I sonnambuli

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I SONNAMBULI

Commedia in tre atti

di ERNESTO GRASSI

PERSONAGGI

Giovanna

Albert

Larry

Il vecchietto della Casa Rossa

Emma

Un giovanotto

Giorgio

Olga

Delia

La segretaria

Pietro

Un domestico

Stella

Un altro domestico

In Italia, oggi - Le persone e i fatti rappresentati m questa commedia drammatica sono del tutto imma­ginari. E' citato, in qualche punto, il nome di una persona esistente, ma essa non ha alcuna parte nella vicenda.

ATTO PRIMO

La scena, fissa, rappresenta un salotto di lusso. Sulla sinistra, un tavolo sul quale sono due apparecchi telefonici. Porta in fondo. Finestra che dà sul mare. Porta a destra. Un divano sul quale è stato lasciato un libro. Alcune pol­trone, un mobile-bar, sul tavolo alcune tazze di caffè, con caffettiera e zuccheriera di argento. Un orologio a muro e da tavolo, che suona, collocato nel modo migliore. All'aprirsi del sipario, Giovanna Ferrone è se­duta al tavolo. E' una donna che ha passato la cinquantina, ancora bella, molto elegante. Continua a dettare una lettera ad una segre­taria-stenografa, carina e molto ben messa, che è in piedi accanto a lei. E' mezzogiorno.

Giovanna                      - « ... E' dunque stabilito che virgola ferme restando le intese verbali virgola la Banca Mercantile vi addebiterà gli interessi di cartello punto Per procura Banca Mercan­tile società anonima ». La lettera sarà firmata congiuntamente da Morlando e Colombo. Aggiunga ora questa nota riservata: « Nota riservata per Morlando. Occhi aperti con l'Edilizia Industriale. Gli informatori non sanno mai niente. Mi risulta con dati di fatto che il titolare dell'impresa ha perduto ai cavalli dieci milioni in pochi giorni. Quei signori hanno ancora un certo margine, ma dobbiamo essere pronti a bloccare il credito in ogni momento. Tenetemi al corrente delle anticipazioni. Fir­mato: G. F. ».

La Segretaria                 - Perdoni, signora: lei ha det­tato: « ferme restando le intese verbali, la Banca Mercantile vi addebiterà gli interessi di cartello ». Come bisogna intendere la frase « ferme restando le intese verbali »? Credo che sia il caso di istruire chiaramente la Direzione contabile.

Giovanna                      - (fredda) Che cos'è, il cartello? Lo sa?

La Segretaria                 - (intimidita) Mi confonde...

Giovanna                      - Lo sa. Avanti, si liberi da quel complesso puerile. Fra le mie noie c'è anche quella di incutere soggezione alla gente. Dica, su: che cos'è il cartello interbancario? (Entra un domestico in giacca bianca abbottonata al collo, pantaloni neri, controspalline a trecciuola d'oro, e prende sul tavolo il vassoio con le tazze da caffè).

La Segretaria                 - E'... è un accordo che impe­gna tassativamente le banche a fare a tutti i clienti le stesse condizioni.(Il domestico esce).

Giovanna                      - Esatto. Io applico gli interessi di cartello. Soltanto li moltiplico per dieci. Il cre­dito dell'Edilizia Industriale è stato rifiutato dalla Commerciale. Ma la Commerciale è pru­dente, io no. Ci sono alcune generazioni di ban­chieri, nella mia famiglia, prima di me. La fi­ducia si paga, ricordatevelo tutti. Del resto è d'accordo lo stesso cliente: il problema non si pone. Altro? (Entra Delia, siede. E' in cal­zoni di tela blu e camiciuola dalle maniche rimboccate. Ha i capelli corti. Si mette a gio­cherellare con gli oggetti che sono sul tavolo).

La Segretaria                 - La decisione per Cilla...

Giovanna                      - Chi è?

La Segretaria                 - Il procuratore ai cambi.

Giovanna                      - E non avevo dato ordine di man­darlo via?

La Segretaria                 - Sì, certo, ma all'ufficio del personale dicono che Cilla potrebbe far causa. D'altra parte quell'uomo insiste, implora, fa pena...

Delia                             - Devi ripensarci, mammà.

Giovanna                      - Vedete? L'unica volta che non sono andata in banca e ho voluto sbrigare le pratiche urgenti da casa mia. Più tempo passa e più mi accorgo che faccio benissimo ad escludere i miei figli dagli affari. Delia, mettiti bene in mente che il problema del lavoro sarà risolto il giorno in cui il padrone potrà licen­ziare il salariato perché ha il naso lungo o gli occhi verdi. E tutto questo, bada, nell'interesse del salariato. La gente potrà collocarsi in regime di libera concorrenza; e se varrà di più, guada­gnerà di più. Lo sai, chi mi proibisce di dare centocinquantamila lire il mese a questa ra­gazza? Il contratto collettivo.(Alla segretaria) Ha capito, cara? E' il contratto collettivo, che mi proibisce di darle centocinquantamila lire il mese. Il signor Cilla li vedrà all'opera i suoi sindacati. Io me ne infischio. Per esempio, dite al personale di mettersi in sciopero per questo licenziamento, e tagliatemi la testa se uno solo, fra qualche centinaio di impiegati, alzerà il se­dere dalla sua poltroncina.

Delia                             - Cilla può far causa, l'hai sentito.

Giovanna                      - E faccia causa. Dal Tribunale alla Cassazione ce n'è del tempo. Se resiste...(Alla segretaria) Che fa, lei? Ritorna in banca? Dica ad Albert che la faccia accompagnare da uno degli autisti.(La segretaria si inchina ed esce mentre suona uno dei telefoni. Giovanna solle­va uno dopo l'altro ì microfoni dei due apparec­chi) Pronto? Pronto. Sono io.(Pausa) Va bene. Io, per primo provvedimento, blocco i ventimila dollari. Dica a Rota che se la sbrighi lui coi suoi rappresentanti di New York.(Pausa) No, oggi non vengo, mandatemi i telegrammi. Va bene?... Giorno. (Riattacca, forma un altro nu­mero) Che c'è, Delia? Occupato. (Riattacca) Ho capito. Danari. Fuori la cifra.

Delia                             - Ottocento.

Giovanna                      - Tanto? Hai una bella disinvoltura.

Delia                             - Come vedi, non te lo mando a dire.

Giovanna                      - Cos'è, il sarto?

Delia                             - Il sarto e il guantaio.

Giovanna                      - Va bene. Il tuo conto di quest'anno è esaurito, ma provvedo io dalla disponibile. (Ridendo) Rettifico il testamento. (Mette gli occhiali, fa per scrivere) Ti dò un buono per la banca.

Delia                             - No, mammà, mi occorrono i soldi. Mando subito Giorgio a pagare. Ho bisogno di altra roba, e voglio essere in regola.

Giovanna                      - (togliendosi gli occhiali) Ottocen­tomila lire in mano a Giorgio?

Delia                             - E' un tuo cugino, si occupa di tutto. E non credo che abbia mai rubato.

Giovanna                      - Oh, per rubare ha rubato, e come. Ma in preventivo io ci metto sempre anche i ladri. Hanno la loro funzione sociale. Sono utili.

Delia                             - Giorgio è il tuo informatore, la tua polizia segreta. Ma non ti dice tutto.

Giovanna                      - Per esempio?

Delia                             - Per esempio: che Emma si vede spesso a Villa Verde. Lo sai che è una bisca. Vi si brucia il danaro.

Giovanna                      - Non so che farci. Nella divisione del nostro lavoro, voialtri siete addetti a bru­ciare il danaro. D'altra parte Emma non è mino­renne, e spende i soldi di suo marito. E Larry ha le sue azioni, come Stella e come te. E poi la città è piena di signore che si giocano l'anima. Fare un'eccezione per mia nuora? (Ridendo) Non sarebbe dignitoso.

Delia                             - Come vuoi. La padrona sei tu. Però, quando si-tratta di Larry ed Emma, tu non t'imponi mai. Volesti quel matrimonio e spe­riamo che non te ne penta. Ma bada...

Giovanna                      - Delia, risparmiami le tue compli­cazioni. Ma che strana gente siete! A parte il fatto che vestite come stagnini, vi rendete odiosi anche se esprimete opinioni sensate. Ma insom­ma, che vuoi? Non potevo dire a Larry, malato com'è, ti proibisco di sposare quella ragazza perché il padre è pieno di debiti e lei si avve­lenò col sonnifero. Le fecero la lavanda gastrica e noi pagammo i debiti del padre. Lasciala fare. Adesso abbiamo altro per la testa: c'è il matri­monio di Stella a breve scadenza. (Formando un numero) Di' un po': ma Stella che ha? Ah! questi telefoni! (Riattacca) La vedo distratta; forse ci ha ripensato? Non vuole sposarsi più?

 

Delia                             - Chi te lo ha detto, che non vuole sposarsi? E' nervosa, si capisce. (S'ode il rom­bo di un motoscafo che passa e si allontana a tutta velocità).

Giovanna                      - Ma glielo hai domandato, alla piccina, che ha?

Delia                             - Gliel'ho domandato. Dice che avverte un malessere, una paura...

Giovanna                      - Paura di che?

Delia                             - Non lo sa.

Giovanna                      - E allora?

Delia                             - Avrà un poco di esaurimento. Io però rimanderei tutto di un mese o due. Quella ragazza è sciupata. Dorme poco: la passionacela è forte. Ci vorrà una cura. Tieni presente che Pietro non ha chiesto ancora l'ordine di sbarco, e sembra che non abbia l'intenzione di chie­derlo per ora.

Giovanna                      - Cos'è? Non si dimette?

Delia                             - Sembra di no.

Giovanna                      - Perché?

Delia                             - Mistero.

Giovanna                      - E quali ragioni può avere? Fa un grosso affare; ha trovato una bella ragazza, una dote e una carriera.

Delia                             - Ma quello non si capisce. Sembra un dritto ed è uno scemo. Forse la banca non gli piace. Vorrà restare nella Marina Mercan­tile. Oppure, fra loro due ci sarà una piccola crisi. Si era deciso per settembre, no? Potranno sposare in primavera.

Giovanna                      - Ho capito. Bisogna stringere. (Preme il pulsante di un campanello elettrico ] a pera).

Delia                             - Che fai?

Giovanna                      - Stringo.

Delia                             - Sarebbe a dire?

Giovanna                      - Anticipo il matrimonio. Tu parli di crisi; le crisi si prendono di faccia. Perché quest'uomo non vuole dimettersi dalla società di navigazione? Bisogna chiarire. E poi, ai primi di settembre devo essere a Londra: non posso mandare a rotoli dei grossi affari per occu­parmi di fiori d'arancio e di veli nuziali.

Delia                             - Ma come? non vuoi essere presente? (S'ode il motoscafo che passa).

Giovanna                      - Sarò presente, certo, anche per l'occhio del mondo. Ma fra dieci giorni e non ; più tardi. Siamo al dieci di agosto. Sposeranno il venti, e il primo settembre saranno a Trieste. (Entra Albert, il maestro di casa. E' in smoking bianco).

Albert                            - Dica, signora.

Giovanna                      - La signorina Stella?

Albert                            - Ha preso il motoscafo, signora. Va e viene davanti alla villa.

Giovanna                      - Il signor Maranco?

Albert                            - E' giù in garage. Sta registrando i freni alla macchina della signorina Stella.

Giovanna                      - E c'è bisogno che lo faccia luì?

Delia                             - Ha l'hobby delle macchine.

Albert                            - Il signor Pietro non si fida del mec­canico. La signorina Stella va forte, e allora...

Giovanna                      - Gli dica di salire un momento da me.

Albert                            - Subito, signora. (Esce).

Giovanna                      - Dicono che le donne devono ma­ritarsi per forza. Io, per me, il mio problema vedovile l'ho già risolto: mi sono atrofizzata. Adesso c'è il vostro problema. Avete deciso per questo Pietro Maranco e va bene. Ma io...

Delia                             - Tu, l'hai deciso, come per Larry.

Giovanna                      - Va bene, l'avrò deciso io. Ma siete stati voi, a condurmi a questa decisione. Chi comanda subisce l'ambiente. (Si bussa alla porta) Sì!

Delia                             - (alzandosi) Dammi i soldi, su. (Entra Pietro Maranco in abito borghese estivo).

Giovanna                      - (a Delia) Aspetta.

Pietro                            - Scusi, ero in garage. (Siede).

Giovanna                      - Quando sbarchi, tu?

Pietro                            - Non ne ho un'idea. Ieri sono stato sul « Liguria », qui in porto. Il primo ufficiale che deve darmi il cambio non è arrivato ancora.

Giovanna                      - Ma le dimissioni, le hai presentate? Pietro           - (mentendo) Sì.

Giovanna                      - Le hai presentate? (Lo guarda fisso).

Pietro                            - Sì. (Giovanna prende l'elenco degli abbonati al telefono) Cosa fa? La Transocea­nica è chiusa. Sono in ferie per il ferragosto.

Giovanna                      - Allora chiamo il « Liguria ». (Forma un numero) Voglio vederci chiaro, c'è di mezzo mia figlia. Informazioni? Il numero della mo­tonave « Liguria ». Sì, è in porto. (Annota un numero) Grazie. (Riattacca, fa per formare un altro numero).

Pietro                            - Un momento... Che figura mi fa fare? Alla fine, perché dovrei dirle una cosa per un'altra?

Giovanna                      - Per la retorica dell'oceano: il solito melodramma che è la rovina di noi ita­liani. Giovanotto, tu le dimissioni non le hai presentate. Ebbene, non sono d'accordo. (Riat­tacca) Se non ti dimetti dalla « Transocea­nica », non se ne fa più nulla. Te ne vai oggi stesso. A Stella penso io. (Si alza. S'ode ancora il rombo del motoscafo che passa).

Pietro                            - E perché? Sarebbe crudele e inutile.

Giovanna                      - Crudele, lo ammetto. Ma perché inutile? Inutile, in queste condizioni, sarebbe il matrimonio.

 

Delia                             - (avviandosi alla porta) Quell'uomo lì, vedi, ha un'amante che non lo lascia. Questo è tutto. E tu preparami i soldi. (Esce).

Pietro                            - (a Giovanna) Scherza, non le dia retta.

Giovanna                      - Un'amante si liquida. Tanto per ogni anno di servizio.

Pietro                            - Ma no! Che amante!

Giovanna                      - Che un uomo abbia un'amante non è una turpitudine. Parla: quanto ci vuole? A questa donna si dà un passaporto, la si mette in aereo, e via.

Pietro                            - Lei risolve tutto col danaro. Non c'è nulla. E' il mare che mi trattiene. Ha ragione: sono un marinaio; sbarcare mi dispiace. (Alzan­dosi, con risoluzione improvvisa) Insomma, lei vuole farci sposare subito?

Giovanna                      - Per me potresti andare a romperti il collo altrove. Non mi piaci, ma Stella ti vuole, ed io ti subisco.

Pietro                            - Allora bisogna farci sposare imme­diatamente. Senza perdere tempo. In otto giorni.

Giovanna                      - (fissando Pietro) Perché quello scatto?

Pietro                            - Nulla di straordinario. Credevo anch'io che fosse il caso di anticipare.

Giovanna                      - Così, lo dici? Con quella faccia? Quando un momento prima avevi detto il contrario?

Pietro                            - (smarrito) Ma che vuole da me?

Giovanna                      - Voglio la verità. Qui c'è qualche cosa che non si spiega. Ma come? Un uomo è ad un passo dal matrimonio, sta per mettersi a posto per tutta la vita, e tentenna così. A chi vuoi farlo credere? a me?

Pietro                            - Non è che non voglio sposare: non voglio dimettermi. E' un'altra cosa.

Giovanna                      - Senti, tu non mi sfuggì. Può darsi che io esageri, che io giudichi le cose dal punto di vista della mia generazione, per la quale ogni incidente è una tragedia, ma bisogna che io sappia: quando so io, tutto si accomoda. Per i miei figli do tutto. Tu hai dei debiti di gioco e devi pagarli.

Pietro                            - (ridendo) Io? dei debiti di gioco? ma se non ho mai toccato una carta!

Giovanna                      - Qui giocano tutti, è il loro passa­tempo. Ad ogni modo, tu dici che non si tratta di questo. Va bene, ti credo. E allora? (Misu­rando la camera a passi svelti) Allora... Allora... (Batte il dorso di una mano sul palmo dell'altra, poi si ferma) Ebbene lo dirò io a te. Ti dirò una cosa che ti lascerà trasecolato. Io incasso.

Pietro                            - Cosa vuol dire?

Giovanna                      - Incasso, vedi? Reagire sarebbe paz­zesco. Hai fatto il tuo piano e l'hai fatto bene.(Guardando Pietro con un sorriso avvelenato) Però... guarda, ti ammiro. Eri compagno di scuola di Larry: hai riannodato la vecchia ami­cizia per introdurti in casa ed hai cotto Stella a fuoco lento... Bravo. Farai strada, tu.

Pietro                            - (ridendo) Guardi che si sbaglia.

Giovanna                      - Ridi? tu ridi?

Pietro                            - Le dico che si sbaglia.

Giovanna                      - Lo dici tiepidamente, quasi soddi­sfatto, per farmi capire che non mi sbaglio. Fra te e Stella c'è già qualche cosa. Voi due vi trovate nei pasticci. Per te non è importante; per me, sì. Per me è una cosa grave. Evidente­mente, per noialtri anziani, l'onore femminile ha una ubicazione anatomica. Però non riesco a comprendere il perché di questo temporeg­giamento, di queste dimissioni non presentate. Ah, ecco, ci sono. Per negoziare, per giocare al rialzo. Ma te l'ho detto: io ci sto. Avanti: fuori le tue condizioni.

Pietro                            - Come corre, lei! sembra che abbia perso la testa. Ma dica un po': con tutti quei danari, perché ce l'ha tanto con l'umanità?

Giovanna                      - E' l'umanità che ce l'ha con me. Una piccola umanità, naturalmente: quelli che vorrebbero spogliarmi.

Pietro                            - (con una risatina incosciente) Magari. E' ancora una bella donna.

Giovanna                      - Che dici? (Ride nervosamente) Sei anche sfrontato; sei di una banalità rivoltante!  Meglio: farai più strada. Allora? Vogliamo rego­lare le nostre cose? A Stella do cento milioni. Sposerete fra dieci giorni e andrete a Trieste. Entro sei mesi, un anno al massimo, sarai diret­tore della filiale. La stoffa ce l'hai. Va bene? (Tirando fuori dalla borsa di pelle tre pacchetti da diecimila lire).

Pietro                            - Cosa fa?

Giovanna                      - (scoppia a ridere) Ma non sono per te!  E volevi che avessi cento milioni pronti nella borsa? No, no. Sono per la mia Delia, perché li sperperi al vento. Ma ti occorre qual­cosa? (Velenosa) Di'. Sei il mio piccolo, il mio caro futuro genero... Mi firmi una carta e ti do quello che vuoi.

Pietro                            - Non voglio danari e non firmo carte.

Giovanna                      - Proprio niente?

Pietro                            - No. Voglio Stella.

Giovanna                      - Senza dote?

Pietro                            - Se ce la fa con quello che guadagno io, anche senza dote.(Entra Larry con un gior­nale, siede e comincia a scorrere il foglio. Porta gli occhiali da miope).

Giovanna                      - Non ce la fa. Scrivi la lettera di dimissioni e dammela. La mando io a bordo.

Pietro                            - Sta bene. Ciao, Larry. (Esce).

Larry                             - Ciao. (Sollevando gli occhi dal gior­nale) Che c'è? Non vuole andarsene dalla Ma­rina Mercantile?

Giovanna                      - Non voleva, ora ha cambiato idea. Gliel'ho fatta cambiare io.

Larry                             - Gli avrai messo la corda al collo.

Giovanna                      - Un cappio da forca. « O ti dimetti, o te ne vai ».

Larry                             - Sta' attenta. Pensa a Stella.

Giovanna                      - Lo sapevo che si sarebbe subito arreso. Altrimenti avrei parlato in un altro modo. Eh, caro mio! Non è facile, far filare la gente! (Esce col danaro dal fondo. Entra Emma, dalla destra. Porta gli occhiali da sole. Accarezza i capelli a Larry, va verso il divano e prende un libro).

Larry                             - Strano mondo.

Emma                            - (volgendosi) Che c'è?

Larry                             - C'è qualche cosa che non ti aspetti. Ma perché quegli occhiali da sole?

Emma                            - Ho un po' di emicrania, ed oggi c'è una luce troppo cruda. Che cosa hai letto, in quel giornale?

Larry                             - Le cantine di Saint-Germain-des-Prés sono visitate da branchi di turisti accompa­gnati dalle guide. (Ride) Dei veri musei! L'esi­stenzialismo come vita ha fatto il suo tempo. Ormai nessuno ci pensa più.

Emma                            - Saranno stanchi; riprenderanno. E' una cosa troppo vera, perché finisca così.

Larry                             - No, Emma. E' la vita che cammina. Oggi accadono cose che dieci anni fa non si sarebbero nemmeno immaginate. Io mi sento un vecchietto precoce, come tanti della mia età. E sai chi eravamo noi? Eravamo la famosa gioventù perduta. E' bastato qualche anno per stritolare una intera generazione e per preci­pitare una tragedia nel ridicolo. Noi stessi, vedi, siamo scavalcati dai ragazzi d'oggi che hanno la testa sul collo e si laureano in fisica nucleare. Insomma, il tempo è rientrato nel suo terno; tutto si va assestando su basi reali­stiche. E se ti guardi intorno...

Emma                            - Se mi guardo intorno, vedo un mondo perfetto. (Ride) Tu parli come tua madre, e tua madre si esprime come il « Readers Digest ». « La vita è bella... Volere è potere... Una per­sona che non dimenticherò mai... ». Ma perché non li apriamo anche in Italia, gli istituti di bellezza per i cadaveri? Trucchiamola, la morte col rossetto! Che aspettiamo? Larry, tu sei il figlio di Giovanna Ferrone. E' naturale, che I ragioni così.

Larry                             - Non parlare di mia madre. Mia madre è un caso-limite. Domina le crisi, non le su­bisce. Ma io volevo dire un'altra cosa. Volevo dire che la vita cambia.

Emma                            - In meglio, naturalmente. E questo è l'ottimismo prefabbricato di chi ha troppo danaro.

Larry                             - Che c'entra, il danaro? Tu ti monti a freddo. Si direbbe che hai il dente avvele­nato per altre cose taciute o sottintese. Intanto, se banchetto c'è, siedi al banchetto anche tu.

Emma                            - Certo. Sono tua moglie!  E che volevi, che stessi a guardarvi? Adesso non potrei rinunziarvi nemmeno io. Mi ci sono assuefatta. E' normale.

Larry                             - Ecco. Questo è il punto. E' normale. Tu parli scientificamente. Quando si sono sod­disfatte le voglie elementari, quando si è pla­cata la brama del ventre, comincia il bisogno del superfluo. Se c'è danaro, beninteso. Se il danaro non c'è, il discorso è chiuso. I poveri sono tutti ventre e sesso. A certe cose non ci pensano: pensano alla trippa e basta. Ma per i ricchi la cosa cambia. Più danaro c'è, più i desideri aumentano; più sono soddisfatti, più ne sorgono di nuovi. Quando poi il danaro non si conta più, quando ce n'è troppo, allora le voglie non hanno più limiti e corriamo tutti alla catastrofe. Senza avvedercene. Come son­nambuli. Hanno fatto più male alla borghesia italiana i processi Bellentani e Montesi che non la disfatta del quarantatre. Il danaro si getta dalla finestra. Tu stessa, Emma, spendi dei mi­lioni. E sputi nel piatto dove mangi.

Emma                            - (ridendo) Larry!

Larry                             - E no? Di' che non è vero.

Emma                            - Non è vero. Il tuo nervosismo mi preoccupa. Devi curarti, ragazzo mio. Però vo­glio dirti una cosa alla quale non hai pensato. Superato un certo limite, il bisogno del super­fluo del quale tu parli, sai come si risolve? Si risolve col ritorno all'istinto. Col ritorno all'istinto, dico. Quando si è provato tutto, si torna daccapo. Stella, che è più ricca di me, vuole un marito massiccio, intellettualmente inferiore. E tua madre glielo compra per con­tanti. Vedi bene che siamo tutti uguali.

Larry                             - Emma, non voglio arrabbiarmi. Ho male qui, all'occipite. Ma tu manchi il tuo ber­saglio. Che cosa puoi dire, di Stella? Il suo candore intenerisce tutti noi. Io la sento non come una sorella, ma come una figlia mia. Penso che si mariterà; penso che presto sarà in potere di Pietro Maranco, ed ho paura. Mi pare che quell'uomo debba ferirla atrocemente; che debba ucciderla. Tu non mi crederai, ma Stella mi fa pensare a Giulietta. Vorrei che un uomo dicesse di lei: « E' un grazioso fiore che comincia a schiudersi alle profumate aure del giorno ».

Emma                            - (dura) Queste parole Pietro Maranco non le dirà mai.

Larry                             - E perché?

Emma                            - Perché non è Romeo. E' un capitano delle navi da carico, un uomo solido, un bell'animale. Dio, che caldo! (Va al mobile bar e prepara whisky con ghiaccio) Stella è ancora una bambina, ma Pietro le piace per quello che è. (Porge il bicchiere a Larry) Quel mo­mento che a te fa orrore, per lei è la cosa più bella e più pulita del mondo. Le donne hanno una loro fantasia segreta, ricordatelo bene, Larry. No, non parlarmi mai di amori bianchi, di amori spellati. Sono peggiori degli altri. (Beve).

Larry                             - E il cervello? e il cuore? (Beve an­che luì).

Emma                            - Il cuore non c'entra. E' un muscolo cavo che serve a pompare il sangue. Il cer­vello ha certamente la massima importanza, in queste cose, ma nella vita non si può avere tutto. Senti, tu hai letto la fine dell'esistenzia­lismo. Ora io ti dirò un altro fatto che i gior­nali non hanno pubblicato e non pubbliche­ranno mai. Tempo fa, non so dove, mi dissero che una donna... (Esita).

Larry                             - Allora?

Emma                            - Ho ritegno di dirlo.

Larry                             - Parla. Siamo amici.

Emma                            - (con un sorriso inquietante) ... Mi dis­sero che una donna aveva due uomini, uno soltanto per il cervello, e l'altro per tutta se stessa.

Larry                             - E li amava tutti e due?

Emma                            - (ambigua) Uno la faceva conversare bene. La sua cultura ne era beata.

Larry                             - E l'altro?

Emma                            - L'altro le dava il delirio. Questa era la differenza.

Larry                             - Insomma, amava il bruto.

Emma                            - Lo amava follemente. Non avrebbe potuto farne a meno. Era il suo vizio. Lo ama­va, Larry, hai capito?

Larry                             - E come faceva, a tenerli buoni?

Emma                            - Come faceva? Mentiva. Mentiva al punto di ingannare se stessa.

Larry                             - Un compromesso vergognoso. (Si alza).

Emma                            - Vergognoso, ma, se ci pensi, brutal­mente logico. Quei due uomini non erano per­fetti. Uno mancava di spirito e l'altro... come dire?

Larry                             - L'altro mancava di prestigio.

Emma                            - Direi di umanità. Questi sono pro­blemi umani, Larry. E sono talmente complessi...

Larry                             - E tu porti ad esempio una simile bruttura? tu giustifichi una pervertita come quella?

Emma                            - Io non giustifico quella donna: la capisco.

Larry                             - E sei più sporca di lei.

Emma                            - (alzando le spalle) Ma va...

Larry                             - Sei più sporca di lei! (L'afferra per le braccia, la scrolla) E togliti quegli occhiali neri! (Glieli toglie, la bacia con violenza sulla bocca. L'altra gli si abbandona, inerte. Poi Larry cade a sedere su una poltrona e s'abbatte col capo sullo schienale. Emma ha un moto di con­trarietà e di preoccupazione).

Emma                            - (a bassa voce) Larry! Su, rispondi, che hai? (Va alla porta, chiama) Olga! Albert! (Entrano Albert e la cameriera).

Albert                            - Oh, signor Larry! (Sbottona il col­letto a Larry. Si volge a Olga) Un po' di caffè, presto. Signor Larry...

Dottore...                      - (Guarda Emma).

Emma                            - Parlavamo, s'è sentito male. Il solito deliquio. (Entrano in fretta Giovanna e Delia).

Giovanna                      - Ma no, che caffè! gli fa male! (Larry solleva la testa. Entrano Pietro, che è vestito correttamente in blu, e Stella. Stella si inginocchia accanto alla poltrona di Larry).

Stella                             - Larry, c'è qualcosa che non va? (Lo accarezza).

Delia                             - Sta meglio.

Larry                             - Un capogiro. Niente. E' passato. (Pren­de una sigaretta, l'accende).

Emma                            - Non fumare, Larry.

Giovanna                      - Se gli fa piacere, lascialo fumare. Gli farebbe più male privarsene.

Stella                             - Larry, esci un po' con me. Faremo una corsa sul lungomare. Albert, le chiavi della macchina.(Albert ed Olga escono in fretta. Giovanna ravvia con la mano i capelli di Larry. Larry si alza).

Giovanna                      - Sì, esci con Stella. Ti farà bene. Andate, su.

Pietro                            - Poi vai a cambiarti e torni qui. Ti aspetto. Pranzeremo al « Loreley ». (Torna Al­bert con le chiavi della macchina, le consegna a Stella).

Giovanna                      - Va meglio, Larry? Deve, andar meglio.

Larry                             - Sì, mammà, sto benissimo. Ora sto proprio bene. (Albert esce. A Pietro) Passerò a prenderti fra un'ora. (Ad Emma) Vieni anche tu? (Pietro consegna a Giovanna la lettera di dimissioni).

Emma                            - Non credo. Oggi ho avuto tanto di quel caldo; mi ha preso il mal di capo. No, preferisco di no.

Stella                             - Andiamo, Larry. Ciao, Pietro. A più tardi.

Pietro                            - (a Stella) Arrivederci, cara.

Stella                             - Ciao. (Gli sorride).

Giovanna                      - Stella?

Stella                             - Mammà? (Si avvicina alla madre che le accarezza il volto e la guarda per un istante).

Giovanna                      - Niente. Va' con Larry. (Stella sì avvia guardandola sorpresa).

Emma                            - Vi accompagno fino alla macchina. (Esce con Larry e Stella. Giovanna legge ra­pidamente la lettera di Pietro).

Giovanna                      - Va bene. Domani sarà a destina­zione. Giorgio non si è visto? Proprio oggi che mi serviva. Queste mignatte, più gli dai sangue da succhiare, peggio è.

Delia                             - Cos'è quella lettera?

Giovanna                      - (indicando Pietro) Le dimissioni di quel giovanotto dalla «Transoceanica ».

Delia                             - Ti sei deciso? Era tempo.

Pietro                            - Ho dato la mia parola e non se ne parla più. Qui, però, altro che comando di bordo! Dopo sei anni di navigazione, Dio lo sa, che è, che non è, ti sballano dalla Marina senza darti nemmeno il tempo di chiamare Gesù e Maria. (Parla con Delia; Giovanna lo guarda tra sprezzante e divertita) E ti mettono a fare l'impiegato.

Giovanna                      - L'impiegato? Il padrone! (E' iro­nica. Entra Giorgio).

Giorgio                          - (deferente) Buon giorno, Vanna. (Agli altri) Buon giorno:

Pietro                            - Salute e bene.

Giovanna                      - Eccoti qua. Ti si vede, meno male.

Giorgio                          - (a Giovanna) Sono andato...

Giovanna                      - Lascia correre. Dovrei dirti delle cose molto amare. Non ti fai vivo da due giorni.

Giorgio                          - Sono andato alla Curia, per i do­cumenti.

Giovanna                      - E ci sono?

Giorgio                          - Ci sono. (Trae di tasca certi docu­menti piegati, li mostra timidamente e fa per rimetterli in tasca).

Giovanna                      - Fa' vedere. (Tende la mano).

Giorgio                          - No, senti...

Giovanna                      - Non sono i documenti. L'avevo capito. Guardate: mentisce come un ragazzo colto in fallo. A quell'età. Un vecchio. Giorgio, io ti pago. I parenti non fanno mai nulla gratis. E come? tenevi tanto al decoro, alla delica­tezza... perché devi sapere Pietro che lui... La posso fare, Giorgio, la piccola rivelazione? Sono passati tanti anni... (Ride).

Giorgio                          - Ma no, Vanna... Lascia andare...

Giovanna                      - Mi chiama Vanna, mi chiama... Ti sei mai domandato il perché di quel vez­zeggiativo?

Pietro                            - Io, in verità, mai.

Giovanna                      - Allora tu ignori qualcosa di molto bello che avvenne quando le orchestrine suo­navano « Valencia ».

Delia                             - La preistoria, insomma.

Giovanna                      - Infatti, noi eravamo gente delle caverne: eravamo cavernicoli sentimentali. Non è vero, Giorgio?

Giorgio                          - Hai voglia di scherzare, oggi.

Giovanna                      - Sì. Ho voglia di scherzare. Tutto questo mi diverte enormemente. Figuratevi... Lo dico?

Giorgio                          - Ma sì, fa come vuoi... Però, vedi, è ridicolo, a questa età...

Delia                             - Su! Lo tieni sulla graticola!

Giovanna                      - Figuratevi che siamo stati fidan­zati noi due! Abbiamo anche noi il nostro ro­manzetto. Te la ricordi, avvocato, Giovannina che ti guardava con la bocca aperta?

Delia                             - (ridendo) Mammà!

Giovanna                      - Come, no!  Ed era un bel giovane, sapete! Anche superbo, era! Poi trovò l'a­more, e per svignarsela disse che ero troppo ricca!... Che era una questione di dignità... Ed eccolo lì, guardatelo. (Delia e Pietro guardano Giorgio e ridono) Adesso però c'è da pensare alle cose serie.

Giorgio                          - (con voce da vinto) Non mortifi­carmi così davanti a tutti! Alla fine sono un professionista... Ho famiglia, c'è il bisogno, devo lavorare anche fuori di qui... Potevo diventare un grande avvocato civile. Ma la malasorte...

Delia                             - E sì... Lo tratti male... Sei cattiva, mammà...

Giovanna                      - I documenti occorrono subito, ca­pisci? Io devo andare a Londra, e si è deciso di anticipare il matrimonio di Stella al venti di questo mese.

Giorgio                          - E lo sapevo io?

Giovanna                      - Adesso lo sai. Domani tutti i certi­ficati devono essere qui. Ma c'è una cosa anche più importante da fare. Pietro si dimette dalla « Transoceanica ». Questa è la lettera di dimis­sioni. Tu vai a bordo della motonave « Liguria » che è ormeggiata in porto, la consegni al coman­dante e ti fai dare una ricevuta del documento. Quella ricevuta io devo averla domani stesso. Albert verrà con te. E' bene, anzi, che venga. Per diligenza e puntualità non posso fidarmi che di lui. Lo pregherò di occuparsene. (Suona).

 

Delia                             - Pregarlo?

Giovanna                      - Certo.

Delia                             - Ma è il suo mestiere!

Giovanna                      - Di fare il galoppino? No, non è il suo mestiere.

Giorgio                          - (a Pietro) Il galoppino sono io.

Giovanna                      - (che ha udito) Vedi? E' lui. (Albert è apparso alla porta) Senta Albert, domani alle quattro lei va a rilevare l'avvocato a casa e lo accompagna sul « Liguria », al molo Quintino Sella. L'avvocato le dà una ricevuta, lei la porta qui. D'accordo?

Albert                            - Sarà fatto, signora. Ordini per il pranzo? E' già pronto.

Delia                             - Credo che saremo soltanto in quattro; Larry e Pietro pranzano fuori.

Albert                            - La signora Emma m'ha detto che non viene a tavola. Non si sente bene. E' di là, sulla veranda.

Pietro                            - Allora sono in tre.

Delia                             - Può restare Giorgio!

Giovanna                      - Sì! Giorgio?

Giorgio                          - Grazie.

Albert                            - Allora quattro. Bene. Permesso. (Si ritira).

Delia                             - Strano tipo.

Giovanna                      - Perché? E' un grande maitre d'hotel. L'ho tolto al « Palace ».

Pietro                            - Non so: pare che ogni sua parola voglia dire un'altra cosa.

Delia                             - Sì, c'è sempre un sottinteso. Non lo vedo volentieri, quel personaggio. Pare anche che anni fa sia stato in manicomio. Che allegria! 

Giovanna                      - Ha uno strano romanzo, lo so, ma non ho visto mai una persona più equili­brata. Ve le sognate, certe cose. (Albert è apparso sulla porta).

Albert                            - Signora, il pranzo è servito. (Gio­vanna si alza ed esce con Giorgio senza salu­tare. Pietro si alza).

Delia                             - (esce dopo Giovanna) Ciao.

Pietro                            - Ciao. (Entra Stella correndo, dalla destra).

Stella                             - Non c'è nessuno?

Pietro                            - Ci sono io. (L'abbraccia) Sono an­date a pranzo. E Larry?

Stella                             - E' di là che si cambia d'abito. Ab­biamo fatto una corsa, col vento in faccia. Va molto meglio, ma bisogna che si curi, po­vero Larry. Tu lo aspetti, vero? (Gli dà un bacetto sulle labbra). Allora vado. (Fa per avviarsi per il fondo).

Pietro                            - (trattenendola) Senti, non andare.

Stella                             - Perché? Che hai? Bisogna che vada: Mammà aspetta a tavola... (Si svincola) Torno subito

Pietro                            - No, senti, resta qui.

Stella                             - A presto. (Lo saluta con la mano, esce. Pietro fa per uscire dall'altra porta, ma si trova di fronte a Emma che entra. Emma è pallida, porta sempre i suoi occhiali da sole. Pietro ritorna sui suoi passi. Emma si stende sul divano, prende il libro, comincia a scor­rerlo, in silenzio, pensando ad altro. Il dialogo che segue tra Pietro ed Emma sarà intenso, ma soffocato; violento ma quasi sottotono. E non soltanto perché i due parleranno di cose segrete: ma anche per ragioni di tonalità. Il dramma, a senso dell'autore, sta nella situa­zione tesa all'estremo: più il discorso è freddo, più è drammatico. Salire di tono, con la voce e con la scena, sarebbe esiziale. Dati i perso­naggi, s'intende).

Emma                            - (sempre scorrendo il libro) Insomma, è deciso? (Pietro non risponde. Emma si volge a guardarlo) E' deciso?

Pietro                            - Pare.

Emma                            - Per quando?

Pietro                            - Per il venti, dicono.

Emma                            - Dicono? Sei tu, che ti sposi.

Pietro                            - (guardandosi una mano) Sì, sono io.

Emma                            - E dove andrete?

Pietro                            - A Trieste, lo sai.

Emma                            - Allora sbarchi?

Pietro                            - Sì.

Emma                            - Ti avrà fatto una situazione di prim'ordine.

Pietro                            - Be', di prim'ordine... Vado lì con l'incarico di liquidare il direttore.

Emma                            - Non va bene, il direttore?

Pietro                            - No, no, va benissimo.

Emma                            - Ci starai male. Non è sistemazione per te. Vieni da tutt'altra vita. Ricordati i tuoi viaggi e i tuoi ritorni. Portavi dal Sud America quei liquori sconvolgenti che andavano subito al cervello. A la Guayra disincagliasti il « Città di Tripoli », ti ricordi?

Pietro                            - Fu un bel colpo. A San Francisco poi, feci a revolverate con la finanza, sui docks del porto. Sparavamo come pazzi. Lo rimpian­gerò sempre, quel miagolio di gatti arrabbiati. Ero un ragazzo! Ma il tempo passa, figlia mia. Ho trentatrè anni; è il caso di cominciare a ragionare sul serio. Oggi i bamboleggiamenti sentimentali sono lussi per chi non ha da fare. Io debbo guadagnarmi la vita.

Emma                            - Sta' tranquillo: c'è lei che se la guadagna anche per te che sposi la figlia. (Sì mette a sedere sul divano. Un istante di silenzio) Ma io? Ci hai pensato a me?

 

Pietro                            - Ci ho pensato. Ho fatto il possibile.? Adesso mi trovo con le spalle al muro. Non posso fare più niente.

Emma                            - E mi lasci?

Pietro                            - Non si può andare avanti, Emma.E' una canagliata. Mi sento sudicio dalla testa  ai piedi.

Emma                            - T'ho insudiciato io?

Pietro                            - Non dico questo. Non cominciare a cambiarmi le carte in mano. Dico che non ho« più il coraggio. Che non ce la faccio più.

Emma                            - L'hai avuto, però, il coraggio. Venisti qui per me. Non puoi non ricordarlo: fu dopo le regate.

Pietro                            - Mi andò il sangue alla testa. Vedi? la responsabilità me la piglio tutta io. Adesso E è finita. Basta. Ssst!  (Ascolta) Emma, qui non possiamo parlare. Può entrare qualcuno. Può venire lei. (Chiude la vetrata).

Emma                            - Lei chi?

Pietro                            - La madre.

Emma                            - Non aver paura. Non si accorgerà di nulla. Cammina anche lei dormendo sulla grondaia. Lo capisce, che il figlio muore, accanto a me?

Pietro                            - Tu devi guardarti dal romanzo, Emma. Ce l'hai sotto la pelle, come noialtri marinaiabbiamo il sale. Il guaio è che sei troppo istruita. Larry muore... Perché, muore? Non sa niente, di noi.

Emma                            - Perché ha capito che io me ne andrò,Ebbene, che vuoi farci? Iddio prima ci crea  e poi ci abbandona. Forse gli sfuggiamo di f mano. Ma io voglio te e non ti lascio. Lo so,: che cosa pensi. Pensi che è una fatalità, che 1 è stato « sangue alla testa». Aspetti di prenderti Stella e di andartene a Trieste. Tutto I bene. Devi dirmi soltanto che cosa farò io, accanto a quell'uomo. Avrò un altro amante, questo è certo. E poi un altro, e un altro an­cora. (Si alza) Una donna del porto.

Pietro                            - Sta' zitta. Non è così, lo sai. Non costringermi a parlare. Io parlo chiaro. Quello che ho qui ho qui. (Si porta la destra al cuore e poi alle labbra).

Emma                            - E parla, su, che aspetti? Di' la verità, dilla: « Ti lascio perché Stella mi porta tanti di quei soldi ». Ma se non si tratta che di soldi...

Pietro                            - Prendo soldi dalle donne, io? ti risulta? lo sai?

Emma                            - No, non prendi soldi dalle donne. Prendi cento milioni di dote.

Pietro                            - Non è vero. Li ho rifiutati poco fa. Io voglio bene, a Stella, hai capito? E tu non vuoi bene a me. Lo dici sempre: è un vizio. Tu hai bisogno di uno schiavo come me.

Emma                            - E' vero. Tu mi servi. Sei il mio « su­perfluo ». (Ride) Ecco, sei, il mio « superfluo », come dice Larry. Ho bisogno di te, per l'ultima volta. E sai dove? in un bordello. Sono una donnaccia. No?!

Pietro                            - Ma di', ti gira? sei pazza?

Emma                            - Non vuoi? stasera stessa dirò a tutti che sei il mio amante. Lo dirò a Giovanna e a Larry. Lo dirò a Stella.

Pietro                            - Faresti un disastro senza ragione.

Emma                            - Lo farò, tu mi conosci. Dobbiamo incontrarci in una specie di lupanare. Sei un bel marinaio, no?

Pietro                            - Andiamo, non dire sciocchezze... che lupanare... Per vederci ti accontento. Domani, in via Belsìto.

Emma                            - No, Pietro. Deve essere in una stam­berga. Queste sono le mie condizioni. Se no, parlo. Non m'importa più di niente.

Pietro                            - Aspetta, calmati. Sei fuori di te.

Emma                            - Vuoi? rispondi! vuoi?

Pietro                            - Per l'ultima volta, hai detto?

Emma                            - Sì, per l'ultima volta.

Pietro                            - E poi, mi lasci andare?

Emma                            - Ti lascio andare.

Pietro                            - Giura che non mi perseguiti più.

Emma                            - Non ti perseguito più.

Pietro                            - Domani, alle tre, all'angolo di via dei Lavatoi.

Emma                            - Aspetta, dov'è? Bisogna che le im­pari, quelle strade.

Pietro                            - E' una traversa di via Brandi. Ma bada che hai promesso...

Emma                            - (ironica) Parola d'onore. (S'ode un passo. Emma guarda verso la porta e cambia fulmineamente tono) Me l'hai promesso... Devi essere tu, ad assisterlo. Larry è agitato, ha bisogno di amicizia... Io gli voglio bene, ma che posso fare, io? (Sulla porta appare Larry. Fa qualche passo).

Larry                             - Dove sono, loro?

Emma                            - Sono a pranzo. Credo che abbiano finito.

Larry                             - E tu?

Emma                            - Non avevo appetito.

Larry                             - Andiamo, Pietro?

Pietro                            - Andiamo.

Emma                            - Arrivederci, Larry. (Larry e Pietro escono. Emma guarda i due uscire insieme e si dirige verso il divano) Come sonnambuli... (Si sdraia sul divano, apre il libro e riprende a leggere).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Pomeriggio. Entra Giorgio accompagnato da Albert. Consegna il cappello alla cameriera Olga che lo prende ed esce. Giorgio siede. Un istante di silenzio.

Giorgio                          - Non è ancora venuta.

Albert                            - Sarà in banca. Ma verrà presto per la colazione.

Giorgio                          - Sentiremo la macchina.

Albert                            - Sì, signore. La Packard si sente di lontano.

Giorgio                          - Hanno due macchine: la Packard e la Mercedes.

Albert                            - Mi consenta di osservare, signore, che il suo inventario non è esatto. C'è anche la « Jaguar ». Sono tre automobili tutt'e tre fuori serie.

Giorgio                          - La vita, eh, Albert?

Albert                            - Così cammina il mondo, signore. Del resto, se non spendessero tanto, noialtri came­rieri non camperemmo. Una volta, al « Palace » John Rockefeller terzo mi diede cento dollari di mancia. Sessantamila lire. Avevo imbroccato il suo cocktail. Non riesco a detestarli, gli americani.

Giorgio                          - Per quei cento dollari?

Albert                            - Anche. Ma soprattutto perché mi tira­rono fuori dal campo di concentramento. Ciò che avvenne dopo, non fu colpa loro. Beh, ormai sono passati tanti anni...

Giorgio                          - Che cosa accadde, dopo?

Albert                            - Al ritorno, trovai che la mia com­pagna era morta di stenti.

Giorgio                          - Non aveva risorse? possibile? Si arrangiavano tutte...

Albert                            - Non s'arrangiò, come dice lei, signore!  Li ho ricostruiti dopo, quei suoi tre anni, giorno per giorno, ora per ora. Non c'erano ancora gli antibiotici; la mandarono troppo tardi al sanatorio dei poveri... Morì. (Con riso lugubre) Povera Angelica. Era la banca d'Inghilterra dei bacilli di Koch.

Giorgio                          - Lei ci scherza, sulla morte?

Albert                            - La morte è l'unica cosa sulla quale si può scherzare senza paura. Come vuole che si vendichi, la morte? Fa il suo ufficio e basta; è una esecutrice di ordini, come me. Quella poveretta ormai se ne infischia. E' al sicuro.

Giorgio                          - (distratto) Chi?

Albert                            - La mia povera Angelica. Bel nome, vero? Era dolce e mansueta, ma dentro, non so, doveva averci qualche cosa di ferro. Sa, come quei manichini di gesso costruiti intorno a un'armatura metallica. Non si piegò mai alla prostituzione. Unica, signore. Le dico, unica. E doveva toccare proprio a me!

Giorgio                          - (sorpreso) Cosicché lei avrebbe preferito...

Albert                            - (con semplicità) Certo, che lo avrei preferito! Oggi, sarebbe nella mia casa. Forse ci prenderemmo per il collo, ma vivremmo insieme.

Giorgio                          - La capisco, povero Albert. E dire che tante altre... Ah, ce ne sono!  Che spendono, che godono, che non avrebbero bisogno di tra­dire, e tradiscono... E sono belle, adorate, fe­lici... (Si alza, passeggia) Dica un po', Albert... Se lei oggi ne avesse una nelle mani?

Albert                            - Non capisco, signore.

Giorgio                          - Dico: se la sorte di una di queste femmine dipendesse da lei?

Albert                            - In tal caso, lascerei fare alla vita. La vita ci sa fare.

Giorgio                          - (avvicinandosi di scatto ad Albert) E lasci fare alla vita! Ha capito, Albert? ha ca­pito bene? non s'impegni! non muova un dito!

Albert                            - (con un sorriso) Certo, signore! (Agita lentamente le dita della mano destra) Non sembra, ma oggi le dita le muovo con una certa difficoltà: sa, comincia l'artrite... (Ride. S'ode il rumore di una macchina che si arresta. Albert riprende il suo volto di maggiordomo) Ecco la signora. Compermesso. Vado a disporre il servizio per il pranzo. (Entra Olga con la cartella di cuoio dì Giovanna e va a deporla sul tavolo. Entra Giovanna. Squilla il telefono. Mentre Giovanna risponde consegna ad Olga cappello e borsetta. Olga e Albert escono).

Giovanna                      - Avanti la banca. Sì, sono io. Cosa dice? I Mayer rifiutano di pagare? Legga il telegramma. (Breve pausa) Benissimo. Cablo­grafate confermando le riserve. Lanciate in co­dice Lieber's. (Riattacca. Vede Giorgio) Ebbene? la ricevuta? (Giorgio depone il documento sul tavolo. Giovanna, che s'è seduta allo scrittoio, prende appunti su un taccuino per conto suo) Dov'è?

Giorgio                          - Eccola. (Le mostra la ricevuta. Gio­vanna la guarda).

Giovanna                      - A chi l'hai consegnata, la lettera dì dimissioni?

Giorgio                          - Al commissario di bordo. Non vo­leva firmare. Diceva che non c'è l'uso.

Giovanna                      - E poi?

Giorgio                          - Poi si è convinto. Soprattutto quando gli ho detto da chi ero mandato.

Giovanna                      - (sorridendo) Ha fatto commenti?

Giorgio                          - Sì, qualche parola. Ha detto: « La signora Ferrone? Non si discute ».

Giovanna                      - E di Maranco, che cosa ha detto?

 

Giorgio                          - Nulla di speciale. (Ridendo) Lo hai qualificato un marinaio d'acqua dolce. Ha aggiunto: « Ha fatto il colpo ».

Giovanna                      - Certo, che ha fatto il colpo. Il \ commissario ha ragione. E Albert? Era con te?

Giorgio                          - Naturalmente. Non mi ha lasciato I un istante. Mi controllava.

Giovanna                      - Io non mi fido di nessuno. Cos'ha, Albert? Mi è parso un po' seccato. Cos'è? L'aria v del porto non gli è piaciuta?

Giorgio                          - E perché non dovrebbe piacergli? Il porto è pittoresco, con le sue alberature, col suo orizzonte basso, col suo odore di catrame... E poi ci si vedono certe cose... No, Giovanna. Albert non è. seccato, è turbato. E ne ha tutte le ragioni.

Giovanna                      - Ma tu lo sai, il perché?

Giorgio                          - Lo so. (Siede davanti allo scrittoio) Ti dirò tutto. Però devi ascoltarmi con calma.

Giovanna                      - Amico, io non ho tempo da perdere. I patemi d'animo di Albert non mi riguardano. Ho altro da fare, io. Mayer cercano di bruciarmi ventimila dollari. Dovessi rimetterci l'osso del collo, non cederò.

Giorgio                          - C'è ancora qualche cosa, al mondo, oltre i dollari.

Giovanna                      - Naturalmente. Ma vieni al fatto. (Estrae dei telegrammi dalla busta di pelle e m comincia a consultarli).

Giorgio                          - Vengo al fatto, ma con delicatezza. È Sai, certe cose sono molto delicate. Hai un'idea, del punto dov'è ormeggiato il « Liguria »?

Giovanna                      - Le domande inutili!  Dove vuoi che sia ormeggiato? Al Molo Sella. Adesso tu comincerai a dire che c'era il sole a picco, che è stata una sfacchinata, che hai perduto un giorno intero... Vanti la tua merce, tu.

Giorgio                          - No, no. Voglio soltanto orientarti. Tu devi vederlo, il quadro che poi man mano si animerà. Immagina...

Giovanna                      - Ah, gli avvocati!  siete laureati in chiacchiere! Dove vuoi andare a parare?

Giorgio                          - ... Immagina di passare per una via del porto.

Giovanna                      - (sempre consultando i suoi telegrammi) Io? E perché?

Giorgio                          - Dico: immagina.

Giovanna                      - Va bene. L'ho immaginato.

Giorgio                          - E' l'ora del tramonto. Tu vieni dal Molo Sella. Sali per via dei Lavatoi; devi rag­giungere via Brandi. D'un tratto, per caso, vedi due persone che conosci benissimo, un uomo e una donna, davanti a un sudicio palaz-zetto dalla facciata rossa. Tu non lo sai, ma prima lì c'era una casa di tolleranza. Tu ti fermi e li osservi di lontano. Giovanna, tu con­tinui a guardare i tuoi telegrammi?

Giovanna                      - Sì, ma ti sento. Va' avanti.

Giorgio                          - Quei due non ti vedono. Escono, si dividono. L'uomo discende verso San Severo; la donna risale, scivolando lungo i muri, per via dei Lavatoi. Hai mai visto, di notte, i topi guizzare sotto il bordo del marciapiede, per raggiungere la fogna?

Giovanna                      - (alzando gli occhi dai telegrammi) Ah! Sei ripugnante!

Giorgio                          - (ridendo) E' che tu certe cose non le hai mai viste. Io mi ci fermo sempre, di notte, presso le fogne, e ascolto i topi. Ah, quel loro zirlìo di uccelli! C'è tutto un mondo in libertà che tripudia, lì sotto, nelle tenebre...

Giovanna                      - Taci: dà allo stomaco. E poi tu divaghi. Non perderti in parole inutili. Rac­conta.

Giorgio                          - Io non divago, sei tu che non capisci. Te l'ho detto. Tengo a farti un quadro preciso di ciò che ho visto. Ebbene, ho guardato la casa dalla quale erano usciti quei due. Non m'ero ingannato, né era possibile nessun dubbio.

Giovanna                      - Naturalmente, se guardavi. E allora?

Giorgio                          - E' grave, Giovanna. Le due persone uscite dalla locanda le avresti riconosciute be­nissimo, anche tu.

Giovanna                      - Chi erano?

Giorgio                          - Se volessi fare del melodramma, ti direi: « Ho il dovere di riferirti tutto. Non posso tradirti anch'io ».

Giovanna                      - Parla! Chi erano quei due?

Giorgio                          - Non ho il coraggio...

Giovanna                      - I nomi, santa pace!  Con me non si fanno giri di parole.

Giorgio                          - Vuoi saperli?

Giovanna                      - (con forza) Erano Pietro e Stella?

Giorgio                          - No. (Un tempo) Pietro e...

Giovanna                      - Pietro e Stella?

Giorgio                          - Pietro e Emma.

Giovanna                      - Mia nuora? (Scattando in piedi) No!  Non è vero!  Non è possibile!  Ti sei ingannato!

Giorgio                          - Ma Albert ha visto come me.

Giovanna                      - Aspetta, non perdiamo la testa. Raccontami tutto con ordine.

Giorgio                          - E che devo raccontarti ancora? Li abbiamo visti uscire dal vecchio postribolo.

Giovanna                      - E li avete riconosciuti bene? Senza possibilità di errore?

Giorgio                          - Li abbiamo riconosciuti perfetta­mente. Non credevamo ai nostri occhi. Lei era sulla porta dell'albergo ed ha guardato sulla strada in qua e in là. Allora io ed Albert ci siamo nascosti ed abbiamo visto Pietro che parlava con un uomo. Poi ha tirato qualcosa di tasca e lo ha dato a quell'uomo.

Giovanna                      - Pagava.

Giorgio                          - Direi.

Giovanna                      - Allora li hai visti bene. Dal punto ove eravate si distingueva tutto, esattamente?

Giorgio                          - Esattamente, tutto.

Giovanna                      - (fredda con voce sorda) Non ricordi altro? Non so, un dettaglio, un particolare, un fatto qualsiasi che possa darci un'altra spie­gazione di questa avventura?

Giorgio                          - No... Non ricordo altro. Mi pare che basti, no?

Giovanna                      - No, non basta.

Giorgio                          - E perché, non basta?

Giovanna                      - Perché la credibilità di una cosa è in ragione inversa della sua gravità. Più una rivelazione è tremenda meno ci si crede. Così, per istinto. Mi dirai che si tratta di una cosa certa, ferma, inoppugnabile. Lo ammetto. Eppure... Eppure la vita è anche capace di farti i giochi di bussolotti sotto gli occhi. O è piatta, banale, di una avvilente stupidità, oppure se si mette ad inventare sul serio, ti fa rizzare i capelli sul capo. Della stessa cosa possono es­serci dieci spiegazioni diverse. E così, certe volte, crolla anche l'evidenza.

Giorgio                          - No, Giovanna. Di ciò che abbiamo visto, c'è una sola spiegazione: la peggiore di tutte. Io non sono nato ieri. Prevedevo tutte le tue obiezioni. Le aspettavo!  (Alzandosi) Sono entrato, nell'albergo. Ci sono entrato con Al­bert. Ho fatto la voce grossa; mi avranno preso per un commissario di questura accompagnato da un agente. Ho domandato le generalità della coppia. Le avevano segnate nel registro. Erano stati esibiti anche i documenti personali: li­bretto di navigazione e carta di identità. « Sono amanti » mi ha detto la padrona. « Si godono la vita. Ma hanno i documenti in regola ».

Giovanna                      - E se tu menti?

Giorgio                          - C'è Albert.

Giovanna                      - Sì. Bisogna che io parli anche a lui. Ciò che tu dici è spaventevole. Non posso tralasciare nulla. (Suona) Albert! (Silenzio) Al­bert! (Entra Albert).

Albert                            - Dica, signora.

Giovanna                      - Lei ha visto?

Albert                            - Ho visto, signora.

Giovanna                      - Li ha visti uscire, separarsi? Lei è andato con Giorgio ad interrogare l'uomo della locanda?

Albert                            - Esatto. Ho visto anche il registro.

Giovanna                      - Albert. Io spero che lei non subisca l'influsso di uno stato d'animo personale.

Albert                            - Signora, ma che cosa dice? Per quanto nella sua casa io sia trattato con molta genti­lezza e comprensione, sono sempre un servo. Ebbene, in questo momento lei dimostra di non dimenticare la mia condizione. Ma come vuole che io riferisca un fatto simile senza esserne più che certo? (Sorridendo) « Non dir false testimonianze » è un comandamento di Dio. E poi... e poi nella vita non c'è bisogno di calunniare nessuno. Tutto è vero. Tutto è sempre vero.

Giovanna                      - Allora lei sarebbe disposto a giu­rare sulla memoria della sua compagna che tutto ciò che mi ha riferito è esatto?

Albert                            - La mia compagna non c'entra, in questa faccenda. Era un'altra cosa, lei. Ma, dal momento che ne ha bisogno, sì, glielo giuro.

Giovanna                      - Grazie. (Il maggiordomo esce len­tamente) Un disastro. Una rovina.(Pensa per un istante. E' atterrita, ma fa un ultimo sforzo per tenersi in piedi) Niente da fare... Niente... Larry, Stella, figli miei...

Giorgio                          - Già, Stella...

Giovanna                      - L'avevi dimenticata? Io no. Io l'ho davanti agli occhi. Mi sembra di vederla morta. E sì! Adesso si spiega tutto! L'esaltazione di quel verme... Il suo scatto improvviso... « Ci faccia sposare subito, in otto giorni! ». Aveva paura; voleva andarsene al più presto!  E Larry, Larry! Che orrore! Ma allora... Io ho sbagliato? Ho sbagliato a metterli al mondo, questi figli? Era dunque la smania fisica di espellere qual­che cosa da me? Soffro ancora quel terribile dolore, sento ancora le viscere che mi si strac­ciano, ho ancora negli orecchi quel grido che chiedeva il mio latte, perché chiedono chiedono sempre, dall'istante che nascono! Io volevo un maschio che mi somigliasse, che nascesse per starmi a fianco nella guerra della vita... Dicono che il maschio è tutto sua madre... Non mi somiglia... E' un altro carattere, è un'altra cosa... Ed è malato. Si è abbandonato cieca­mente a quella donna, ed ha trascinato Stella nel baratro! E perché, poi? Per un brivido che dura un secondo, per un fatto meccanico.

Giorgio                          - E' lì che si riduce tutto? Forse hai ragione. Ma ce ne rendiamo conto quando siamo vecchi e non ci serve più. Ma da giovani ci si costruisce sopra vere cattedrali di sal­gemma. Poi, il primo temporale...

Giovanna                      - Ora non capisco niente. E' tutto capovolto. Devo riordinare le mie idee. Ho pen­sato che si potesse dominare la vita con la potenza del denaro. Forse lo credo ancora..,! Sono una povera donna... (E' annientata).

Giorgio                          - Beh, va bene, adesso... Sta' su, noni abbatterti. E come? Hai sempre detto che sei forte, che sei così forte... Larry, ormai... cosa  vuoi farci più? Pensa a Stella, piuttosto. Devi! sorreggerla, liberarla di quel bruto... E' così delicata, povera ragazza...

Giovanna                      - Non lo reggerà, lo schianto. Povera figlia mia! Come faccio? Come rimedio?! (Cominciando a ripigliarsi) Eppure è necessario che realizzi qualche cosa per frenare lai catastrofe... Ma perché, accade tutto questo?perché? Ogni cosa ha la sua ragione, a questo mondo; non v'è nulla che non si spieghi, che  non sia rigorosamente logico... Troppo danaro! Ecco!  Troppo danaro!  noi ci siamo addormentati, sul danaro!  Gli altri, gli estranei, quelli che sono entrati di violenza nella nostra famiglia, si sono sdraiati su quel soffice letto senza far niente, senza sapere nemmeno tanto danaro da dove venisse!  E lo sai, perché l'hanno commessa, quella turpitudine? Per la noia. Capisci? noia! Per fare qualche cosa! Perché! non avevano nulla da fare!  Lavorare, dovevano,come fa tutta la gente. Ed invece quei due! sono venuti qui, una per giocarsi i milioni al Villa Verde, e l'altro per godersi l'adulterio in casa di Giovanna Ferrone!  Figurati se gli impiegatucci e i commessi della Banca Mercantile venissero a conoscenza di questa bella storia!  Ah, è terribile. (Misura la camera, si ferma, fissa Giorgio per un istante) Chissà che gioia, proverai tu!  E' naturale!  E' umano!  I Ma tu non parlerai, eh? Se no...

Giorgio                          - Giovanna, tu sei sconvolta.

Giovanna                      - Ti mando in galera. Ecco. Io ti consegnai tre milioni per un trimestre di tasse, e tu « dimenticasti » di versarli all'esattoria. Poi hai supplicato, hai pianto, ed hai ottenuto che te li rateizzassero. E sai perché lo hai ottenuto? Perché sono intervenuta io, e ti ho garantito.

Giorgio                          - Eri... informata?

Giovanna                      - Mi sono imposta e ti ho salvato!

Giorgio                          - Perché ti ero utile.

Giovanna                      - Se non mi fossi utile, non sare­sti qui.

Giorgio                          - Io lavoro!

Giovanna                      - E io ti pago. Devi servirmi. Stella deve partire subito, stasera stessa. Ci vuole un pretesto, una ragione seria. (Dopo un istante dì riflessione) La ragazza è pallida. E' un po' sciupata. Il mio medico mi ha detto che deve, andare un po' di giorni a Cortina. Va bene? Provvedi per il vagone-letto e per l'albergo.

 

Giorgio                          - E... Larry?

Giovanna                      - Non t'impicciare. Ci penso io. Gli parlo. Alla fine è un uomo. Gli dico tutto. Si troverà un'altra donna.

Giorgio                          - Sta' attenta a quello che gli dici: gli può venire un attacco.

Giovanna                      - Lo so. Vuoi che non conosca la tara di mio figlio? Ma non ho scelta. Stella      - (entrando) Mamma!

Giovanna                      - Ah! (Si ricompone) Vieni, Stella. (Stella è in un elegante tailleur). Stella           - (infilandosi i guanti bianchi) Io esco. Oggi devo fare un giro piuttosto lungo. C'è ancora da comprare un servizio di cristallo. Pietro ne ha visto uno bellissimo di Murano. Poi bisogna che passi da Renée: l'abito da viag­gio non è ancora pronto, e...(Entra Delia).

Giovanna                      - Che c'entri, tu, col servizio da tavola e con l'abito da viaggio? Si telefona ai fornitori che vengano qui a far vedere la merce. Si precipiteranno. Ci penserà Delia. Tu parti stasera. Vai a Cortina.

Stella                             - Io? Stasera a Cortina? Perché?

Giovanna                      - Ho parlato or ora col dottor Walker. Ieri sera, al « Loreley », ha notato che Stella è un po' giù. Consiglia una settimana di riposo in montagna. (A Stella) Oggi è mer­coledì. Tu ritorni martedì prossimo, in tempo per fare tutto.

Stella                             - Non l'ho visto, Walker, al « Loreley ». (Entra Larry)

Larry                             - Andiamo, Stella?

Delia                             - C'è il contrordine.

Giovanna                      - (a Larry) Stella parte per qualche giorno. Ha bisogno di rimettersi. (Apre la borsa di pelle e ne trae un pacchetto di biglietti di banca, preparati come li confezionano i cas­sieri di banca, e lo dà a Giorgio. Cinquanta da diecimila).

Giorgio                          - Ha ragione la mamma, Stella. Sei pallida.

Stella                             - Lo so, ma vuole mandarmi a Cortina.

Giorgio                          - Ebbene?

Stella                             - Cortina non mi va. Preferisco Porto­fino. E' tranquillo e suggestivo. La montagna finisce sempre con l'essere triste. Il bianco è come il lutto. Ed io non voglio essere triste. Sono felice. Forse per questo, mi vedete pallida. (Si alza, si avvicina alla madre, le fa una ca­rezza) Grazie di tutto ciò che hai fatto per me.

Giovanna                      - Sei felice? Tu sei felice?

Stella                             - Sì. Mi è passato anche quel senso di sgomento che avvertivo e che non si spiegava. Che vuoi? Sarò una ragazza fuori moda, ma oramai la cotta l'ho presa. Forte. (Ridendo) Senza scampo.

 

Giovanna                      - Per... quell'uomo?

Stella                             - Certo. Pietro non è sofisticato, è un po' « nature », ma come uomo mi piace enor­memente. E' un fusto. (A voce bassa) Due o tre volte gli ho sentito fare un errore di sintassi: mi ha intenerita. Se fosse stata Delia, Pietro l'avrebbe perduta per sempre. Quando l'ho udito io, mi ha legata di più.

Delia                             - Non mi vanno, gli errori di sintassi.

Stella                             - (alla madre) Vedi?

Larry                             - Ormai Stella è partita in quarta. Non c'è più nulla da fare.

Stella                             - (con estrema semplicità) Senza Pietro non potrei più vivere. Sono la sua ragazza; aspetto soltanto di essere la sua donna. Noialtri giovani abbiamo questo di buono: chiamiamo le cose col loro vero nome. Oggi Pietro non c'è, è andato a sbrigare certi affari in città. Ebbene, mi manca l'aria. (Delia ride) Non ridere, Delia. Se devo partire per pochi giorni, parto: l'ha detto mammà e basta. Ma, non so... Mi pare che non debba tornare più... (Piange).

Giovanna                      - (abbracciandola) Bambina mia, non piangere, non piangere così... Allora, d'ac­cordo. Portofino. Va' all'agenzia di viaggi, pre­nota la cabina-letto. (Stella esce con Larry e Giorgio).

Delia                             - (alla madre) Ma che c'è? Ti vedo inquieta, hai gli occhi gonfi; sembra perfino che tu abbia pianto...

Giovanna                      - Che cosa vuoi che ci sia? Nulla...

Delia                             - E Stella mandata in esilio? C'è qual­cosa che non va. Voglio sapere.

Giovanna                      - Non ti riguarda.

Delia                             - Sono forse un'estranea, io? Avanti, dimmi che cosa accade in questa casa.

Giovanna                      - Vieni qua. (Delia si avvicina) E silenzio, Delia. Non deve uscire una sola parola di quello che ti dico. C'è un guaio tremendo... una faccenda terribile... una cosa che non ci saremmo mai aspettati: Emma è l'amante di Pietro.

Delia                             - Di Pietro? L'amante di Pietro! (Cade a sedere).

Giovanna                      - Bisogna correre ai ripari.

Delia                             - Tu, eh? L'infallibile! Non te lo avevo detto io?

Giovanna                      - Che cosa?

Delia                             - Che quella non era una donna per Larry!

Giovanna                      - No, tu dicesti che Larry non era un uomo per lei!

Delia                             - Era lo stesso! Ma rispondesti che andava bene. Lo hai ripetuto ieri per il matri­monio di Stella! E si capisce. Tutto deve andar bene per forza, perché così hai deciso, perché vuoi che sia così.

Giovanna                      - E sì, adesso è facile infierire! E' facile mettere la madre sotto processo! 

Delia                             - La madre che incombe!  La madre che governa!  Dici sempre « Qui comando io!  ». Lo vedi, che significa comandare così?

Giovanna                      - Significa costruire per gli altri! Vostro padre morì a cinquant'anni, e mi lasciò con la banca sulle spalle. Ho messo insieme per voi una fortuna di miliardi, ed ecco cosa ci guadagno! Che vuoi da me? Una sventura può capitare a tutti!

Delia                             - Sentitela!  Voleva guadagnarci!  E tu parli di sventure? Tu?

Giovanna                      - Ti ribelli, eh? Fai la congiura di palazzo!  Afferri l'occasione e dai l'assalto!  Avanti, siedi qui! (Le indica il proprio posto) E che aspetti? Siedi! Tieni in pugno il perso­nale marxista!  Studia gli arbitraggi!  Tieni dietro alla sarabanda di tutte le Borse d'Europa e d'America! Avanti, ti cedo il comando. Bella situazione, la mia!  Vorrei sapere chi ci lascerò a controllare quest'inferno!  Chi ci farò sedere al mio tavolo quando non potrò lavorare più! Chi, tu? tu che guardi appena, distrattamente, qualche rivista di moda? Tutto, qui, è destinato a polverizzarsi. Oltre tutto non c'è cuore. In un momento terribile come questo, mentre la fami­glia vacilla, nessuno ha pronunciato la parola con la quale s'identifica la donna che ci diede la vita!

Delia                             - La parola, « mamma », vero? Quanta retorica, non s'è fatta su quella parola! E all'atto pratico i figli si considerano come schiavi!... Si pensa soltanto a guadagnare mi­lioni! per gettare il denaro alla famiglia come l'erba alle capre.

Giovanna                      - Basta, Delia, basta. (Entra Larry).

Larry                             - Sempre in polemica voi due! Emma dov'è?

Giovanna                      - Di', ma t'importa proprio tanto, di tua moglie?

Larry                             - Dipende. E' un fatto di epidermide e di cervello. Ma non credere che sia poco. Io ed Emma stiamo bene insieme.

Giovanna                      - Lo credi tu?

Larry                             - Non lo credo, lo so. E poi... non scan­dalizzarti: quello che sto per dirti non è osceno: è pulito, è difficile ed è molto importante. (Bre­vissima pausa) Nell'amore, noi due realizziamo l'unisono.

Giovanna                      - (sprezzante) Che vuol dire?

Larry                             - Vuol dire tutto. Tu sei una donna intelligente, lo capisci. Il sesso è il motore del mondo. Se così non fosse, nelle sfere dei Beati Dante non ci avrebbe messo Beatrice, una donna, una donna che ebbe anche un marito,

Giovanna                      - Larry, scendi dal tuo piedistallo dantesco. La vita è aritmetica, non è teologia.; Sei pronto ad ascoltare tutto?

Larry                             - Ma sì!

Giovanna                      - Dobbiamo affrontare un fatto nuovo. E' una cosa molto grave.

Larry                             - Sarebbe a dire?

Giovanna                      - Preparati al peggio.

Larry                             - E parla! parla! (Le afferra le mani, gliele torce).

Giovanna                      - (con un piccolo grido di dolore) Ah! E tu maltratti tua madre per una donna come quella?

Larry                             - Ma che accade? Spiegatevi! (Appare Emma, pallida).

Giovanna                      - (ad Emma) Ascoltavi?

Emma                            - Ho capito e sono venuta da me. (A Larry) Preferisco dirlo a Larry io stessa. Mi accusano di essere stata con Pietro Maranco in una locanda del porto.

Larry                             - (sbalordito) E perché?

Delia                             - Te lo dò ad indovinare.

Larry                             - Emma, è vero?

Emma                            - (chiaramente) Sì, è vero.

Delia                             - Brava. Hai dell'iniziativa.

Emma                            - (beffarda) E questo basta per fare di me l'amante di quell'idiota?

Giovanna                      - Basterebbe, ma ci sono anche prove inoppugnabili.

Emma                            - (a Larry) Mi facevi pedinare? Ah, Giorgio, la « polizia segreta »! 

Giovanna                      - Di' Giorgio e Albert. Erano in due.

Larry                             - Rispondi! E' vero, ciò che dice mia madre?

Emma                            - Non è vero!

Giovanna                      - Che cosa si può aver fatto, quando si scantona per via dei Lavatoi come una don­naccia schedata dalla questura?

Emma                            - Lasciami parlare!

Larry                             - (annichilito) E parla! Difenditi! Di' qualche cosa!

Giovanna                      - (ad Emma) Nessuno ti ha invitata a venire qui dentro per dare spiegazioni. Ep­pure, vedi, noi siamo disposti ad ascoltarti.

Emma                            - (con sarcasmo) Oh, grazie! 

Giovanna                      - Anche l'ironia, ora? (Avvicinan­dosele) Guardami in faccia! Guardami! Sei protetta dagli occhiali neri, eh? Il tuo sguardo non si vede! Se si vedesse, vi si leggerebbe l'odio. Ebbene, il tuo odio è sterile. Ma il mio è fecondo e senza limiti!  Ti lascio libera ma ti seguo; ti lascio andare, ma sta' tranquilla che ti riprenderò alla giusta ora. Ricordalo.

 

Emma                            - (si toglie gli occhiali. Il suo sguardo è limpido e freddo) E se muori?

Giovanna                      - Non muoio. Pressione perfetta: centocinquanta. Non sperare nell'infarto.

Delia                             - (ad Emma) Avanti, parla: di' quello che devi dire.

Emma                            - A che prò? Credete che io sia l'amante di Maranco. Ne siete convinti.

Larry                             - Non sei l'amante di Maranco?

Emma                            - No.

Larry                             - E dì chi, allora?

Emma                            - Ma debbo essere per forza l'amante di qualcuno? Fino a tal punto, ti senti debole? Tu permetti che tua moglie sia pedinata e venga sottoposta ad un processo. Va bene. Ma che cosa risponderesti, se ti dicessi che per sposarti ho lasciato che un uomo andasse alla deriva? (Larry non risponde). Non rispondi, vedi. Lo troveresti naturalissimo. Sarebbe, infatti, natu­ralissimo: l'amore non è beneficenza e non co­nosce pietà. Ma io...(Breve pausa).

Delia                             - Continua.

Emma                            - Quell'uomo si era ridotto a vivere con una prostituta. Poi lei si era stancata di lui e lo aveva abbandonato. Lo aveva lasciato solo, gravemente malato. Di lui non m'importava gran che, ma conservava certe lettere che gli avevo scritto in altri tempi e che volevo ripren­dermi prima della sua morte. Dovevo andarci, ma avevo paura. E ho pregato Maranco di accompagnarmi.(Giovanna scoppia a ridere).

Giovanna                      - Da quando in qua, così squilibrata? Ma che romanzo!

Delia                             - Lasciamola parlare.

Giovanna                      - (a Delia) Ma dice una cosa assurda!  Non ci sarebbe che un solo mezzo, per since­rarsene: interrogare quel patetico personaggio consumato dal male e sul punto di andarsene al Creatore.(Emma sorride) Sarebbe tutt'altro che dignitoso, ma Larry lo farebbe. Senonché, vedi, Larry non potrà vedere quell'uomo mai più.

Delia                             - E perché?

Giovanna                      - Perché è morto! (Ad Emma) E' morto, di' la verità?

Emma                            - Infatti.

Giovanna                      - Vedi? Tutto è organizzato con acume e con fantasia, al punto che io ci cre­derei, se alcuni particolari non fossero di un'evi­denza lampante...

Larry                             - Ieri sera li ho trovati qui, che parla­vano sottovoce.

Emma                            - Maranco aveva acconsentito ad accom­pagnarmi ed io lo ringraziavo.

Larry                             - (indicando Emma) Mi ha narrato di una donna che aveva due uomini, uno per la conversazione ed uno per il « sommier ».

Giovanna                      - Pietro che accompagnava cavalle­rescamente questa donna è stato visto pagare la nota dell'appartamento, della camera, che so. Ma si spiega anche questo! E sai come? con la carità! L'uomo non ha danaro: sta morendo senza pagare il conto. Due persone, ignare della sua fine imminente, vanno a visitarlo; possono essere parenti, amici intimi... E il « concierge » presenta il conto.(Ad Emma) E' vero?

Emma                            - E' vero: è così.

Giovanna                      - Perfetto: un romanzo perfetto.

Larry                             - Chi te lo ha suggerito?

Delia                             - Quello che dice è controllabilissimo.

Larry                             - Che controllare? sono storie fanta­stiche.

Delia                             - (ad Emma) E qual è questo albergo?

Emma                            - (fredda, con intenzione sottintesa) Tu non hai il diritto di giudicare la mia condotta. Non ne hai il diritto e ti conviene tacere, hai capito, Delia? mi hai capito? e basta.(A Gio­vanna e a Larry) Volete le prove di quello che affermo? (Con una risata tagliente) Ebbene, è inutile. Con voi non si ragiona. Ammetto tutto. Sono andata a letto con Maranco.

Larry                             - Vattene.(Emma esce subito. Pren­dendosi la testa tra le mani) Stella! Povera creatura!

Giovanna                      - Sì! La vittima innocente è lei! (Alzandosi) Che miserabile! Tu non le bastavi, a quella donna.

Delia                             - E se prima ha detto la verità?

Giovanna                      - L'ha detta dopo, la verità. Ha cer­cato una storia qualunque e l'ha trovata.

Larry                             - (guardando Delia) Perché la difendi, Delia?

Delia                             - Io non la difendo; figurati un po'!  Ma nella vita accadono cose incredibili. Mi attendo tutto, dalla vita, io.

Larry                             - E poi, qual è questo famoso albergo? Perché non ha voluto dirlo?

Delia                             - Perché è inutile. Se Giorgio e Albert l'hanno vista uscire, sanno bene che albergo è e dov'è.

Giovanna                      - Quasi che sia difficile per una donna come quella, farsi un testimone comodo del portiere della locanda. E tu, nella tua inco­scienza crederesti anche al portiere.

Larry                             - (avvilito) Io non ci credo. I fatti son fatti. Due o tre volte ho creduto, due o tre volte mi hanno truffato. Tanto vale pagare una profes­sionista. E ti dico di più, ti dico. Mille lire come espressione monetaria si possono anche risparmiare. Si subisce, si finge di perdonare, la cara donnina la si tiene in casa, a disposizione degli amici. Ci si abitua anche a questo. Noi siamo degli intellettuali? reciteremo Crommelynck.

Delia                             - Larry, tu sei pazzo!  Questo è un ragio­namento da...

Larry                             - Da cornuto. Bene, ed io che cosa sono?

Giovanna                      - Non ascoltarlo. Fa del satanismo verbale. Una cosa, però, è certa: quei due sono andati in una casa schifosa per perversione.

Delia                             - E' strano, però. Gli uomini hanno sempre una garsonnière. C'è una polizia oppri­mente che controlla gli alberghi e...

Giovanna                      - (sussultando) Come lo sai, Delia?

Delia                             - (confusa) Io?

Giovanna                      - Sì, tu.

Delia                             - (ridendo) Sta' a vedere che... Lo so perché lo si sente sempre ripetere; lo dicono le donne.

Giovanna                      - Non parlare più. Ho paura! 

Larry                             - Affinità elettive, vite parallele!  Temeva che l'altra rivelasse le sue gesta! Perciò, la difendeva!

Delia                             - Vigliacco!  (Se ne va sbattendo la porta. Larry cade a sedere stringendosi la fronte tra le mani. Sta per venir meno).

Giovanna                      - (ansiosa) Larry? Sta' calmo. Datti forza; c'è di mezzo la tua vita.

Larry                             - La mia vita? che vale...

Giovanna                      - Ma guardati intorno! Ci sono ra­gazze buone, gentili, che non domanderebbero di meglio che di starti accanto!  Scegline una: farai ciò che vorrai! Ti farò divorziare in tre mesi!

Larry                             - (con una folle speranza nella voce) Ma Giorgio e Albert li hanno visti bene? Ne sono proprio sicuri?

Giovanna                      - (sfiduciata) Ecco: non ne sei certo. Questo è il vero disastro. Hai paura della ve­rità! Non devi aver paura! Devi reagire! Devi difenderti!

Larry                             - Sì. Vuoi saperlo? Ho paura. Sono un vile. (Soffocando i singhiozzi) Ma tu non dovevi parlare! Perché hai parlato? Perché hai risolto il tuo problema personale, sì? Perciò, hai par­lato?

Giovanna                      - Non c'era altro da fare! Non po­tevo lasciartela accanto. Ma tu devi resistere!

Larry                             - Non posso! Mamma, finirò per ucci­dermi.

Giovanna                      - Fino a questo punto?

Larry                             - Fino a questo punto. La testa mi scop­pia! Mi uccido.

Giovanna                      - Larry, Larry, senti, forse quello che ha detto è vero... Cercava le sue lettere... Non è impossibile... Larry, sta su... C'è una pro­babilità su cento che abbia detto la verità, ma c'è... (Larry si alza, scosta la madre con la ma­no, sì avvia lentamente alla porta. Giovanna lo segue).

Larry                             - (come un automa) Forse quello che ha detto è vero... Una sola su cento...

Giovanna                      - Sì, figlio mio, non è impossibile. Vedremo.

Larry                             - (Esce. Giovanna lo segue con lo sguardo e quando sarà rimasta sola la sua tenerezza di madre sarà più forte della verità; incerta con se stessa, grida) E se ha detto la verità?

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(Scena vuota. Sera. Entra un domestico e ac­cende una grande lampada a stelo. Subito entra Olga, la cameriera, e chiama sottovoce).

Olga                              - Alfredo! Alfredo!

Il Domestico                 - Che c'è, Olga?

Olga                              - Il telefono della signora, dov'è andato a finire?

Il Domestico                 - Di quale signora?

Olga                              - Della signora Emma.

Il Domestico                 - Perché, non si trova? Era di sopra, nella sua camera.

Olga                              - Non c'è più. E' il telefono a spina, la derivazione. La signora è uscita e al suo ritorno non l'ha trovato più.

Il Domestico                 - Ma non so...

Olga                              - Va bene, ho capito. L'hanno sequestra­to. (Sorride) La padrona, dov'è?

Il Domestico                 - La signora Giovanna?

Olga                              - Sì.

Il Domestico                 - E' di là, seduta nella veranda, con gli occhi chiusi. O pensa, o dorme.

Olga                              - Va bene. Adesso vattene.

Il Domestico                 - Oh! E che modi?

Olga                              - Va'!  (Il domestico esce guardando Ol­ga. La cameriera si avvicina ai telefoni deposti sul tavolo. Legge qualcosa su un pezzetto dì carta e forma un numero. Attende la risposta sorvegliando le uscite) Pronto? Motonave « Li­guria »? Il capitano Maranco. Presto, per fa­vore. (Olga guarda intorno) Pronto!  Signor Pie­tro, è lei? La signora vuol sapere se è stato là. La signora Emma? Qui al telefono? No, non esce di camera. Senta, vado a dirglielo. (Emma  è già apparsa) Come? Sì, ma un minuto solo, per carità. Sì, vado, vado! (Si incontra con Emma che prende il telefono).

Emma                            - (parlando al telefono) Ci sei stato là... in via dei Lavatoi? Non ho capito. (Sussulta) C'era già stato lui con Albert? Li hai visti usci­re? Ho capito. Troppo tardi. Hanno fatto par­lare quelli dell'albergo. Senti, noi partiamo insieme. Ce ne andremo stasera stessa. Alle un­dici e mezza alla stazione centrale. Non discu­tere, non aver paura... danaro ce n'è. Sì, fa co­me ti dico. (Riappare Olga, preoccupata) A sta­sera. (Riattacca, esce in fretta seguita da Olga. Entra Giovanna con Alfredo).

Giovanna                      - Fate passare. (Alfredo esce e rien­tra con un uomo dimesso, dai baffi bianchi in­gialliti dalla nicotina. Alfredo si ritira) Dica. (Siede).

Il Padrone della Casa Rossa - Si tratta di due persone che sono venute ieri alla « Casa Rossa». Lei voleva sapere...

Giovanna                      - Cos'è la « Casa Rossa »?

Il Padrone                     - E' un piccolo albergo dove per­nottano pochi emigranti prima di partire per l'Argentina o per il Venezuela. Niente lusso, lei capisce... Ma niente cimici!  E' una piccola pro­prietà... Onorata, intendiamoci! Non accoglie contrabbandi di nessun genere... Non avrebbe bisogno, ed oggi ne ha bisogno meno che mai. Ho realizzato un « dodici » al Totocalcio. Un modesto « dodici ». Mezzo milione. Sono il pro­prietario, sa, e allora...

Giovanna                      - Avanti, mi dica ciò che mi deve dire.

Il Padrone                     - Ah, se sapesse, signora bella! Una storia così deprimente... Venne un uomo. Era ammalato, aveva il cancro. Era agli estre­mi, ma non sembrava. Se l'avessi saputo, non lo avrei preso in casa... Tra l'altro non aveva soldi, non poteva nemmeno pagare. Ma che vuole? Il cuore o c'è o non c'è. Quando ci si trova di fronte alle sventure umane... Insomma, lo tenni in albergo. Si mise a letto, e dopo qualche giorno entrò in agonia. Gli avevo do­ mandato: « Ma non avete parenti? ». Ma ieri pomeriggio, vennero due persone, un signore ed una signora, simpatici, eleganti...

Giovanna                      - (alzandosi, suona) Aspetti. (Va verso la porta di fondo) Albert! Albert!

Albert                            - Dica, signora!

Giovanna                      - (che improvvisamente è divenuta agitatissima) Vi siete sbagliati, Albert!  E' stato un errore! C'era veramente quel moribondo nel piccolo albergo!

Albert                            - Davvero? (Sorride).

Giovanna                      - Sì! Chiami Larry! Chiami Delia! (Albert chiama il domestico Alfredo e insieme vanno a chiamare Delia e Larry) Aspetti.

Il Padrone                     - Va bene. (Durante l'attesa, Gio­vanna estrae dalla solita borsa di pelle un pacco di banconote per mezzo milione e lo consegna al padrone della Casa Rossa).

Larry                             - (entrando, demolito. Sembra invecchiato di dieci anni) Ancora? Che c'è? (Delia lo segue).

Giovanna                      - (turbatissima) Ascoltate quest'uo­mo! (Chiama) Albert! (Appare Albert) Albert, ascolti anche lei... Lei sapeva... E' stato un errore terribile... Ciò che ha detto Emma era vero... La vita ci ha fatto il gioco delle tre carte... (Al vecchietto) Dica...

Il Padrone                     - La signora voleva essere infor­mata di come sono andate le cose, in albergo. Le ho detto che realmente c'era un uomo ma­lato, in fin di vita. Ho anche raccontato alla signora che il poveretto non aveva nessuno.

Giovanna                      - Era arrivato fin qui. Continui. (Va alla finestra, spalle al pubblico).

Il Padrone                     - ... e non aveva nemmeno soldi. Ieri, nel pomeriggio, sono arrivate due persone, una signora ed un signore molto distinti, per­bene. Si chiamavano per nome. Lui aveva nome Pietro, e lei, aspetti...

Larry                             - Emma?

Il Vecchietto                 - Ecco, sì, Emma. Non hanno potuto parlare all'infermo che già era più di là che di qua. La signora ha aperto il tiretto del cassettone, ed ha preso un pacchetto di lettere... Non so se ne aveva il diritto, ma in­somma, le ha prese. Hanno pagato il conto e sono andati via. Poi il poveretto è morto. Vi dirò di più. Ogni tanto viene da noi un ra­gazzo che, dice, desidera farsi strada in gior­nalismo, e non vogliono ammetterlo nel sinda­cato perché non ha i titoli richiesti. Viene per le notizie degli emigranti. Giorni fa, si trovò da noi, fiutò subito il fatto di cronaca, tanto più che il moribondo era stato reduce di guerra. Gli fece una bella intervista. Loro capiscono, no? Un reduce che muore solo, senza conforto, senza soccorsi... una cosa che fa impressione; così avrebbe avuto un altro articolo da aggiun­gere alla documentazione che deve presentare al sindacato. E, difatti, ha scritto il servizio. Se vogliono, è qui fuori, l'ho portato con me.

Giovanna                      - (volgendosi) Lo chiami.

Il Padrone                     - (affacciandosi alla porta di fondo) Signor Giacomo!

Voce                             - Eccomi.

Il Padrone                     - Entrate, vi vogliono.

Il Giovanotto                - Eccomi qua.

Larry                             - Lei ha scritto un articolo su un re­duce che...

Il Giovanotto                - Sì, signore.

Larry                             - Faccia vedere.

Il Giovanotto                - Ecco. (Trae di tasca alcune cartelle e le porge a Larry).

Delia                             - Quell'uomo era stato in guerra?

Il Giovanotto                - Sì, sul fronte russo.

Delia                             - E poi, che cosa ha fatto, per tanti anni?

Il Giovanotto                - Faceva l'arredatore. Aveva del gusto e guadagnava bene. Anzi, appunto per la sua professione... Ecco, questo è il lato pate­tico della faccenda... si trovò in casa di un si­gnore aristocratico, un vedovo, e s'innamorò della figlia di quel signore. Un amore infelice. Conservava anche le lettere... Mi narrò tutte queste cose ansimando... Era già grave. E così...

Giovanna                      - Sta bene. Abbiamo capito. Non c'è bisogno d'altro. (Larry riconsegna al giova­notto i fogli mentre Giovanna preme il pul­sante. Appare Alfredo) Accompagnate.

Il Padrone                     - Buona sera, signori.

Il Giovanotto                - Buona sera.(S'inchinano, escono col domestico).

Larry                             - (ad Albert) E lei?

Albert                            - Io?

Larry                             - Sì, lei. (Eccitandosi) Lei ha calunniato mia moglie.

Giovanna                      - Larry, sta' fermo.

Albert                            - Calunniato? Si calmi, signore. Io non ho calunniato nessuno.

Delia                             - E' vero che è stato in manicomio, Albert?

Albert                            - E' vero. Ci sono stato tre mesi, ma ne sono stato dimesso guarito. Ho i documenti. Fu una nevrosi depressiva che ebbi in seguito-in seguito a certi miei grandi dolori. Ma que­sto non basta, per asserire che io abbia infa­mato qualcuno. Io ho riferito ciò che ho visto, e l'ho riferito su richiesta della signora Fer­rane. Vero, signora?

Giovanna                      - Verissimo. Gliel'ho domandato io.

Larry                             - Tu? E su quale indizio serio?

Giovanna                      - (scattando) Taci, Larry!

Albert                            - Per quello che mi riguarda, io sono pronto a lasciare il servizio. Loro mi danno ciò che mi spetta, ed io me ne vado.

Giovanna                      - Non è il momento, Albert. E poi sono contenta di lei. Vada, vada. Stia tranquillo. Esca un poco. Anzi metta in libertà la servitù. Tutti. A noi stasera non occorre nulla.

Albert                            - No, io non esco, signora. Non mi sento bene. Se lei permette lascio in libertà il personale e vado a riposare.

Giovanna                      - Va bene, vada. (Albert esce).

Delia                             - Ed ora?

Giovanna                      - Ora bisogna andarci piano. Emma è stata offesa. Non le sembrerà vero, di darci addosso avendone, sì, avendone, il diritto.

Larry                             - E come!  Qui si è agito con tale legge­rezza! Io avrei ammesso che tutto fosse in­certo, che tutto fosse in bilico tra la buona fede e il tradimento. Ma partire così contro una donna che alla fine non aveva fatto nulla di male, con una sicurezza, con una certezza» del peggio! Cos'è, non parlate? Vedete? Ora» non parla più nessuno! E' il rimorso di averla» calunniata! (Giovanna lo guarda).

Delia                             - Cosa vuoi farci?

Larry                             - Non c'è altro da fare, per me, che buttarmi ai suoi piedi e chiederle perdono.

Giovanna                      - (scattando) No!

Larry                             - Come, no?

Giovanna                      - (riprendendosi) No, sì, ammetto, ma senza esagerare. Abbiamo torto, ma proprio quando si ha torto si deve fare la voce grossa.

Larry                             - Bisogna che io ci vada.

Giovanna                      - Dove? '

Larry                             - Da lei. Così non posso vivere, lo ca­pite, o no? Non posso vivere!

Giovanna                      - (guardandolo con inquietudine) Va' Larry. (A Delia) Accompagnalo tu.

Delia                             - E tu, che fai?

Giovanna                      - Esco. Vado in banca.

Delia                             - A quest'ora?

Giovanna                      - Aspetto una risposta per i venti! mila dollari dei Mayer. Ritorno fra un'ora.(Larry e Delia escono. Giovanna appoggia la fronte sulle braccia conserte. Poi si alza, va ì alla finestra, torna al tavolo, suona innervosita, Chiama il domestico) Albert!

Albert                            - Eccomi, signora.

Giovanna                      - Il personale l'ha messo in libertà?

Albert                            - Come aveva detto la signora.

Giovanna                      - Sono già usciti?

Albert                            - Non credo che siano usciti tutti.

Giovanna                      - Provi a chiamare Olga. Se c'è, me la mandi.

Albert                            - Subito, signora. (Si allontana. Entra Olga pronta per uscire).

Olga                              - Scusi, mi preparavo ad andar fuori. Il signor Albert ci ha dato il permesso. Vado al cinema, all'ultimo spettacolo.

Giovanna                      - La signora Emma, è di là?

Olga                              - E' chiusa in camera.

Giovanna                      - Non sta bene?

Olga                              - Non so. Non ha detto niente. (Rientra Larry).

Giovanna                      - Grazie, Olga.

Olga                              - Buona notte, signora. (Esce).

Giovanna                      - Ebbene?

Larry                             - E' chiusa dentro. Non risponde.

Giovanna                      - Ma tu hai bussato, alla porta?  

Larry                             - Sì, ho bussato. Non risponde.

Giovanna                      - Non risponde?

Larry                             - No.

Giovanna                      - L'hai chiamata? L'ha chiamata anche Delia?

Larry                             - Sì, anche Delia. (Pausa).

Giovanna                      - Tu che cosa pensi?

Larry                             - Ma non so... Non so... (Preso da un pensiero repentino) Mammà!

Giovanna                      - Nooo! Macché! Sta' tranquillo,

Larry.

Larry                             - Un'altra volta tentò, te lo ricordi?

Giovanna                      - Ti voleva per forza, e ti ebbe.

Larry                             - Faccio rompere la serratura.

Giovanna                      - Ma lascia stare! Vedrai che...

(Entra Delia).

Delia                             - E' in camera. Si muove.

Giovanna                      - (a Larry) Come vedi...

Larry                             - Ma perché non apre?

Delia                             - Perché l'avete accusata di una colpa che non ha commesso. E' tanto semplice...

Giovanna                      - Le chiederà perdono, le chiederà pietà... Le dirà: « Scusaci, siamo dei criminali ».

Larry                             - E che cosa vuoi che le dica? Abbiamo

torto. (Esce).

Giovanna                      - Sì, abbiamo torto, infatti. Non potete immaginare fino a che punto abbiamo torto. Ah! (Si stringe la fronte con la mano, si appoggia al tavolo) Io vado un po' giù, in giardino. E' stata una giornata, oggi...

Delia                             - In banca non ci vai più?

Giovanna                      - E' tardi... (Guarda l'orologio) C'è Morlando, lì. (Va al tavolo, forma un numero su uno dei due telefoni) Morlando, è lei? Sì, fa bene ad aspettare. No, non vengo. Se ci sono novità da New York, mi telefoni qui. Sì, a qualunque ora. Buona notte. (Esce dalla porta del fondo. Delia la segue. Larry rientra, prende il libro che Emma ha lasciato sul divano, siede ed incomincia a leggere. Ogni tanto solleva gii occhi e li rivolge alla porta. Poi, poco a poco si addormenta. L'orologio suona le undici e un quarto. La porta di destra si apre ed Emma appare vestita di tutto punto, con in mano una valigetta. Urta involontariamente una sedia. Larry si desta, le va incontro, ma Emma lo scosta con la mano. Larry la trattiene).

Larry                             - Emma!

Emma                            - Lasciami passare.

Larry                             - Aspetta, bisogna che ti spieghi

Emma                            - Non voglio spiegazioni. Togliti di

mezzo.

Larry                             - Ma dove vuoi andare?

Emma                            - Dove mi piace.

Larry                             - Sì, ma prima devi ascoltarmi.

Emma                            - Non voglio ascoltare nulla.

Larry                             - E se io ti prego umilmente?

Emma                            - Non pregarmi.(Fa per aggirarlo. Larry le impedisce di passare).

Larry                             - Andiamo, Emma... Non esagerare, adesso... Ascoltami. Dove vai, a quest'ora? Ti dirò tutto. Non puoi andartene prima di aver ascoltato ciò che devo dirti.

Emma                            - Non m'importa niente di ciò che devi dirmi.

Larry                             - Non t'importa perché non sai quello che so io. Ascoltami.

Emma                            - No.

Larry                             - Innanzi tutto, mi sono convinto che tu non puoi vivere nella stessa casa di mia madre. Prenderemo un appartamento in città. Non avrai più controlli, nessuno ti spierà più.

Emma                            - No.

Larry                             - Sei offesa? Ti domando perdono.

Emma                            - Di che cosa mi domandi perdono?

Larry                             - Del processo che ti abbiamo fatto.

Emma                            - Troppo tardi.

Larry                             - Non è mai tardi per riparare alle colpe ed agli errori. Io ho commesso un errore imperdonabile. Non me ne darò mai pace.

Emma                            - Non è stato un errore. Smettila. Ho detto la verità.

Larry                             - E non è possibile. Tu non hai fatto nulla di male. E' risultato con evidenza assoluta.

Emma                            - Come hai detto?

Larry                             - E' risultato come una verità solare. Ne ho le prove.

Emma                            - Non può essere risultato. Non puoi averne le prove.

Larry                             - E invece le ho!

Emma                            - Non puoi averle. Io sono l'amante di Pietro Maranco.

Larry                             - Ma no, smettila... Non è vero...

Emma                            - E' mille volte vero.

Larry                             - E dimostramelo.

Emma                            - Larry, tronchiamo. Lasciami andare. E' meglio per te.

Larry                             - Dimostramelo!

Emma                            - Larry, basta. Lasciami andare!  E' me­glio per te. La nostra storia è chiusa. Non possiamo più vivere insieme. Mai più.

Larry                             - Ti ho detto: dimostrami che sei colpevole.

Emma                            - Sono stata con Pietro alla « Casa Rossa ».

Larry                             - E' una bugia.

Emma                            - Lo sai bene, che non è una bugia. Io sono andata con Pietro in quella casa.

Larry                             - E l'uomo moribondo? E il pacchetto di lettere? E il conto da pagare?

Emma                            - Fantasie.

Larry                             - E' la verità. Tu hai ceduto al tuo temperamento, e ci sei andata un po' per pietà ed anche per riprenderti le tue lettere.

Emma                            - E dove sono queste famose lettere?

Larry                             - Le avrai nascoste. Le avrai distrutte. E' il tuo carattere. Quando ti sei messa una cosa in testa...

Emma                            - Come faccio, a dimostrarti che le lettere non esistono? Lasciami libera. E' meglio che me ne vada.

Larry                             - E smettila.

Emma                            - Ti prego di lasciarmi andare.

Larry                             - Ti ho detto di smetterla! Abbiamo parlato col proprietario dell'albergo. Ci ha con­fermato tutto!

Emma                            - Avete parlato... col proprietario?

Larry                             - Sì.

Emma                            - Sei stato tu, ad organizzare la mes­sinscena della mia innocenza?

Larry                             - Io?

Emma                            - Sì, tu! Sei stato tu! Non puoi fare a meno di me e ti rassegni a tutto!  Ah, che schifo!

Larry                             - Io? No, no!

Emma                            - Ebbene, vedi, ora sono io che non posso fare a meno di quell'altro!  Non ti amo, Larry; non ti ho mai amato! 

Larry                             - Emma!

Emma                            - Quell'uomo ce l'ho nel sangue! La­sciami andare. Mi aspetta. Sei stato di una vigliaccheria...

Larry                             - Emma, io non ho fatto tutto questo! Come avrei potuto premeditare una cosa simile?

Emma                            - E allora è stata tua madre!  Ma questa volta, vedi, il mercato non le riesce! Vuoi la prova del mio adulterio? sì? La vuoi? E guarda! (Si scopre una spalla) Pietro mi ha dato un morso su una spalla! Guarda! Cosa dici? Forse me lo hai fatto tu?

Larry                             - (stravolto) Emma! Emma, bada! Vie­ni!  (Si avvicina ancora di più ad Emma, la schiaffeggia. Emma indietreggia, si difende in­vano. Larry è al colmo d'isterismo. La spinge, lottando, verso la camera, spariscono all'interno. Si sente che la lotta continua. Albert entra e si ferma ad ascoltare; evidentemente ha sentito tutto. Si stringe le braccia per non intervenire, ma poi non resiste ed esce gridando).

Albert                            - Signora! Signora Giovanna! Signo­rina Delia!  Signora Giovanna!  Signorina Delia!  (Albert va verso la destra, ritorna. Ansima. Appaiono, pallide, Giovanna e Delia).

Giovanna                      - Che c'è? Che cosa accade? Albert            - (convulso) Là! Là! Il signor Larry... La signora Emma... Temo che... (Appare Larry).

Giovanna                      - Che hai fatto?

Larry                             - Non so... Là... là... (Cade a sedere. Delia fa per muoversi; Giovanna la trattiene).

Giovanna                      - Vado io, devo andare io. (Esce con passo fermo. Silenzio. Si ode soltanto il respiro affannoso di Larry. Giovanna rientra pallidissima. Larry la fissa, in silenzio).

Delia                             - Mamma! (Giovanna chiude gli occhi per un istante).

Larry                             - (dopo lungo silenzio, alla madre) Hai... pagato... quella gente... affinché mentisse... Per­ché, l'hai fatto?

Giovanna                      - Sì, li ho pagati. Era necessario che avallassero le parole di quella donna.

Delia                             - Perché hai fatto questo? Hai rovinato tuo figlio!

Giovanna                      - (ergendosi in tutta la sua forza) Silenzio, Delia! Dovevo, agire così! Avevo paura di Stella! Temeva che volessi allonta­narla da Pietro. Vedi che non avevo scelta. La vita certe volte ti prende alla gola, non si ha il tempo di riflettere. (Siede. Delia e Larry si mettono accanto, quasi in ginocchio, come aspettando la salvezza da lei) Ora è accaduto ciò che è accaduto. (Con voce decisa) Forse è meglio. Forse ha agito la giustizia di Dio, se Iddio si può immischiare in queste orribili cose. Su, Larry, non aver paura!  C'è tua madre, accanto a te! (Squilla il telefono, una, due, tre volte. Albert va al telefono).

Albert                            - Sì. (A Giovanna) La Banca. (Le porgi il telefono. Giovanna va al telefono anche lei),

Giovanna                      - Sono io. (Pausa) Pagano i ventimila dollari? Va bene. Buona notte. (Va verso i figli) I Mayer pagano. Ho avuto ragione, ho vinto. E vinceremo anche in questa sventura. Però, se non ci siamo svegliati ancora, dobbiam svegliarci!  Domani, non saremmo più in tempo! Non saremmo più noi, i padroni! (Accende tutte le luci) E adesso, fate ciò che dico io. Innanzi tutto non vi agitate. Fermi. Ci vuole un coraggio tremendo!  Delia, dove sono le dia­gnosi di Larry? (Delia va a un mobile, apre un cassetto ne trae alcune carte. Giovanna guarda un'agenda. Solleva un microfono, forma un né mero) Pronto? Casa dell'avvocato Cassinelli? Parla la signora Ferrone. (Pausa) Dorme? L" chiami. E' urgente. Aspetto.

FINE