I tre Maurizi

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I TRE MAURIZI

Commedia in tre atti

di DINO FALCONI

Inspirata a una novella di Marco Prada

PERSONAGGI

STEFANO SANDEIXI, notaio

MAURIZIO MARCHI

MUZZI  MARCO

MARTA SANDEIXI

MINGHINA

MARIA

In una cittadina di provincia

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 (Lo studio del no­taio Sandelli cavalier Stefano. Un vecchio studio di provincia. Carte dappertutto. Persino in terra, di­sposte a pile, negli angoli, fra uno scaf­fale e l'altro. Una porta in fondo (la comune), una a de­stra che conduce nel resto dell'apparta­mento. A sinistra una finestra più lunga che larga lascia filtrare dalle persiane inginocchiate qualche lembo di solc. sulla scrivania del notaio un ritratto in cornicc. su di una sedia una giacca da camera. E' tarda mat­tina e non c'è nessuno in iscena. Soltanto dopo un at­timo la comune si apre e lascia passare Minghino. E' un donnone sulla settantina, bolso e rubicondo. I ca­pelli, radunati in un cipollotto esiguo sulla nuca, sono lisci e tirati sul cranio come una calotta bipartita: e la striminzita pettinatura fa ribaltare ancora di più la pie­nezza delle gote giallicce e l'abbondanza di un rosso nasone, tagliato a metà dagli occhiali a stanghetta cer­chiati d'acciaio. Veste un ampio abito color pulce ed lui i capacissimi fianchi cinti da un grembiulone blu).

 Minghina                      - (parlando verso l'interno) Volete vedere anche voi? Il signor cavaliere non c'è.

Marco                            - (un omone tozzo e baffuto, vestito di fustagno, sporgendosi indagatore) Già, l'è vero. Non c'è.

Minghina                       - Se dico una cosa io...

Marco                            - E adesso come faccio?

Minghina                       - Ritornate più tardi.

Marco                            - Più tardi... Quando?

Minghina                       - Non so... Fra un'ora. O dopo colazione, meglio ancora.

Marco                            - E' che io avevo bisogno di parlargli subito.

Minghina                       - Ho ben capito. Ma se non c'è... Caro voi, un notaio non è mica come uno di voialtri che sta tutto il giorno al podere. Ci ha lo studio, va bene. Ma quando si tratta d'una persona di riguardo, gli tocca di muoversi lui. E il signor cavaliere, mica per dire... Ma ci ha una clientela scelta. Ieri l'ha chiamato anche il signor sindaco.

Marco                            - Ah! E che cosa voleva?

Minghina                       - Già, che lo viene a raccontare a me!

Marco                            - (con un'amichevole gomitata) Andate là! Lo sappiamo che il signor notaio a voi vi dice tutto...

Minghina                       - (compiaciuta) Tutto no. Ma di me si fida, questo sì che, son nove anni che son con lui... E la signora l'ho vista nascere con questi occhi!

Marco                            - E non sapete che cosa voleva il sindaco?

Minghina                       - Facciamo conto che non lo voglia dire.

Marco                            - (brontolando) Corpo...! L'è che io ero venuto qui per quello...

Minghina                       - Ben, mi dispiace, ma io...

Marco                            - L'è per il podere del Carutti. Io sono in trattative, capite. Mi piace e so che rende. Ma se è vero che ci dovrà passare la strada ferrata nuova... E a me ne ha fatto una mez7,a parola il segretario comu­nale... Se è vero quello e il Carutti non ne sa niente... (strizza l'occhio)... non sono Marco delle Fontane se non lo so far rendere anche di più. Mi sono spiegato?...

Minghina                       - Domandatelo al segretario comunale, se sa tante cose...

Marco                            - (altra gomitata) Andate là! Il segretario sa e non sa. Chi lo può sapere di certo è il signor notaio. E' lui che si è sempre occupato degli espropri. (Per intenerirla) Buona, Minghina! C'è una bella sciarpa di seta per voi se mi sapete dir qualcosa...

Minghina                       - (beffarda) Ohi! Vi fate male! Una sciarpa di seta per un affare che poco poco vi renderà una diecina di biglietti da mille! Ma che sprecone!

Marco                            - Ho detto una sciarpa così per dire... Fac­ciamo una cosa... Io di robe di donne non me ne in­tendo... Voi mi dite quel che sapete e io vi do un bel bigliettone da cinquanta... diciamo magari anche da cento perché vi 'Comperiate quello che più vi garba... Eh? Un bel bigliettone da cento?

Minghina                       - (nicchia, si guarda in giro, ha un mezzo sorriso per Marco e poi prorompe in un sonoro star­nuto, seguito da una fragorosa soffiata di naso).

Marco                            - Prosperità... A voi... e a me! Va bene? (e le ficca nella tasca del grembiule il promesso bi­gliettone).

Minghina                       - (che ha finito di soffiarsi il naso, miste­riosa) Beh... Io non so niente, badiamo. Ma il po­dere di Carutti lo comprerei...

 Marco                           - (raggiante) Allora... E' vero che ci dovrà passare la ferrovia?

Minghina                       - (enigmatica) Io non vi ho detto niente...

Marco                            - Siete una gran donna, voi! Corro subito dal Carutti. Altrimenti è capace che qualcun altro... Siete una gran donna! (ed esce).

Minghina                       - (gridandogli dietro) Ricordatevi che io non vi ho detto niente.

Il cavalier Stefano Sandeixi   - (entrando per la porta di destra) Non hai detto niente di che? (E’ un ometto sbiadito. I capelli biondicci si son fatti rari sul suo cranio aguzzo, e invano due grossi baffoni più grigi che biondi tentano di dar imponenza al suo viso scialbo. E' in maniche di camicia, con i polsini in mano).

Minghina                       - (colta di sorpresa) Ah, signor cavaliere... Nulla... Era Marco delle Fontane che cercava di lei...

Stefano                         - (occupato a infilarsi i polsini che non gli vo­gliono stare a posto) E perché non l'hai fatto rima­nere?

Minghina                       - Tanto non era per affari. O per lo meno per affari suoi, di lei.

Stefano                         - Ah, no? E allora che cosa voleva?

Minghina                       - Era per un'informazione, si figuri...

Stefano                         - Un'informazione? Da me? E quale?

Minghina                       - (evasiva) Tanto lei non gliela poteva dare...

Stefano                         - E che ne sai tu?

Minghina                       - Voleva sapere se è vero che il signor sin­daco ieri le ha parlato della nuova strada ferrata...

Stefano                         - E che cosa gliene importa a Marco delle Fontane? Non si occupa di poderi, lui? O vuol mettersi a fare il padrone delle ferriere? Va bene che gli spinaci, per esempio, contengono ferro... Ma prima che si possa tirar fuori un binario da un campo di spinaci! (e ri­dacchia, mitemente compiaciuto del proprio spirito).

Minghina                       - No... E' che vorrebbe comprare il podere del Carutti... E se ci passa la ferrovia nuova, con l'espro­prio c'è da guadagnarci...

Stefano                         - Ah, già... Sicuro... (Di colpo) Oh, ma non gli avrai detto niente, spero? E' roba d'ufficio, segreto professionale... (Vedendo che quella non risponde) Di'? Non gli avrai detto niente, eh?

Minghina                       - (scoppia in uno starnuto).

Stefano                         - (impressionato) Minghina! Minghina!... Quando tu starnuti a quel modo è segno che c'è qual­cosa sotto...

Minghina                       - Nossignore... E' che sono infreddata...

Stefano                         - (con bonaria severità) Va là, che li conosco i tuoi raffreddori... Avanti... che cosa gli hai detto?

Minghina                       - Niente, parola mia... Ha sentito anche lei... «Ricordatevi che non vi ho detto niente! ».

Stefano                         - (paziente) Minghina... ci conosciamo... Non gli avrai detto niente, ma... lui che cosa ha capito?

Minghina                       - (vaga) So che andava a contrattar subito la compera col Carutti....

Stefano                         - (brontolando) Belle cose! Lo sai che non voglio che la gente si serva di te per... (Di colpo) A trattar la compera? Ma se la ferrovia passerà da tutta un'altra parte?

Minghina                       - Lo vede? Io non c'entro.

Stefano                         - Minghina! Che cosa c'è sotto? Perché Marco delle Fontane compera il podere del Carutti?

Minghina                       - (messa alle strette starebbe per prorompere in un altro starnuto).

Stefano                         - Niente starnuti! Non attaccano!

Minghina                       - (confusa) Ieri sera... incontrai il Ca­rutti... e mi disse che se riuscivo a fargli vendere il podere... non se ne sarebbe dimenticato...

Stefano                         - (minacciandola, fra divertito e indignato) Te... te!... La vuoi capire che non ti ci devi immischiare in certe cose? Che ci posso andar di mezzo io? Sicuro, io... Sissignore! Sa assai la gente che tu ti approfitti del fatto d'essere in casa mia per... Io mi fido perché so che ci sei affezionata... Ma non voglio andarci di mezzo, poi!

Minghina                       - Come di mezzo? Per stendere il con­tratto dovranno venir da lei, no? Sicché un guadagnino ce l'avrà anche lei!

Stefano                         - Già... E quando Marco si accorgerà che la ferrovia passa da tutt'altra parte...

Minghina                       - In primis io gliel’ho cantato chiaro che non gli dicevo niente... E poi... quando sarà fatta la ferrovia? Di qui a due anni, no? E di qui a due anni la gente non può cambiare idea?

Stefano                         - (involontariamente ammirativo) Tu dovevi nascere avvocato... Accidempoli, che chiacchiera... Volti le cose da così a così!... Beh, dov'è la mia giacca nera?

Minghina                       - Dov'è? Dalla tintora. Se l'è voluta met­tere ieri l'altro al funerale del commendator Peretti...

Stefano                         - A un funerale non ci potevo mica andare in giacchetta chiara. Tanto più che ero fra le autorità.

Minghina                       - E intanto venne l'acquazzone e non le dico come s'era conciata...

Stefano                         - Beh, pazienza...

Minghina                       - Anche la bombetta si è ridotta che pare una ciabatta...

Stefano                         - Eh, insomma, cose che capitano!

Minghina                       - Anche la signora lo dice sempre... Lei è come un bimbo. Se non ci si badasse noi... Peggio del suo figliolo che ha sei anni appena».

Stefano                         - (allegramente) Sei anni, ma quasi quasi è alto quanto me... Eh, che bambinone? (e guarda il ritratto che ha sullo scrittoio, compiaciuto).

Minghina                       - E intanto addio bombetta e niente giacca nera.

Stefano                         - Del resto la giacca aveva bisogno d'una smacchiata... D'altronde a un funeralone come quello... Povero commendatore. Pareva un toro e in due set­timane...

Minghina                       - Anche lui fu per un acquazzone che lo inzuppò tutto...

Stefano                         - (facendo le corna) Anche lui un fico! Io sto benone. (Sovvenendosi) Oh, ieri mi ha detto il sin­daco che aspettava un nipote. L'unico parente. Ecco mio che se la vedrà berne... Ne aveva da parte, il commendator Peretti... (Suonano internamente). Va a vedere. Oh, dammi la giacca. E fa passare, in caso chiedessero di me.

Minghina                       - Guardi che dopo devo andare in cucina.

Stefano                         - Va bene, va bene. Tanto non m'occorre nulla. Ma se suonassero ancora, vai tu, non far andare me: e, in caso, fa aspettare.

Minghina                       - Sissignore. (Esce dalla comune. Dopo un attimo la porta si apre ed appare Maurizio Marchi, un giovanotto sulla trentina, dai modi vivaci e dagli abiti eleganti. Si capisce che è « uno di fuori ». E si capisce anche che non è uno stinco di santo).

Maurizio                        - Il cavalier Sandelli?

Stefano                         - Sissignore... Sono io. E con chi ho l'o­nore...?

Maurizio                        - Maurizio Marchi.

Stefano                         - Fortunatissimo, signor Marchi... Si accomodi.

Maurizio                        - Grazie. (Si siede. Un silenzio. Ognuno at­tende che parli Faltro) Scusi... Il mio nome non le dice niente?

Stefano                         - Ha detto Maurizio Marchi, vero?... (L'altro ha un cenno di assenso). No... Niente.

Maurizio                        - E' strano.

Stefano                         - Eppure... Un momento... Maurizio Marghi... col « g »?

Maurizio                        - No, no... Col «e». Marchi!

Stefano                         - Ah, col «c»!.„ Marchi! Ecco, ecco... (ci riflette) No... Non mi dice proprio niente.

Maurizio                        - Sono il nipote del defunto Maurizio Peretti.

Stefano                         - Del povero commendatore? (Premuroso) Oh, che piacere!... Mi dica, mi dica... Sono a sua dispo­sizione... Tutto quello che posso...

Maurizio                        - Grazie. Molto gentile.

Stefano                         - Per carità! Dovere!... Il suo povero zio mi onorava di una certa cordialità... Gran brav'uomo, pace all'anima sua!

Maurizio                        - Un brav'uomo?... Sì, sì... Può darsi. Non con me, in ogni caso.

Stefano                         - Eh, via...

Maurizio                        - Lasci andarc. sa, io sono abituato a par­lare schietto. E francamente di zio Maurizio non posso dire un gran berte. Pensi che se non leggevo sugli annunzi mortuari la sua... «immatura scomparsa dal regno dei vivi », non avrei neanche saputo il suo indirizzo.

Stefano                         - Che cosa mi dice mai!

Maurizio                        - L'ultima volta che lo vidi fu nove anni fa. Allora lui viveva a Roma. Fu un'intervista piuttosto burrascosa. Io avrò avuto torto, non dico di no... Ma lui fu un tal...

Stefano                         - (mitemente scandalizzato) Signor Marchi! (e gli fa un gesto come per dire « Pensi che parla di un morto »).

Maurizio                        - (correggendo e completando) ...Ma lui. dico, non si comportò come avrebbe dovuto l'unico pa­rente che io avevo. Cugino carnale della mia povera mamma, sa? Parente stretto!

Stefano                         - Ah, è lei quel nipote che lui diceva... Sì, sì! Il suo povero zio ha accennato qualche volta a lei...

Maurizio                        - Oh, mi figuro in quali termini... Dica la verità!

Stefano                         - Oh, Dio mio... (La buon'anima aveva una certa crudezza d'espressioni...

Maurizio                        - (amaro) Già, già... Eppure se lei sapesse come stanno le «03e...

Stefano                         - Il suo povero zio mi fece capire...

Maurizio                        - ...Ero un donnaiolo e uno scioperato, vero? « Disutilaccio », diceva lui che amava sempre parlare in punta di forchetta. Oh, a sentirlo discorrere pareva... (si è un po' scaldato) Beh, guardi... Donnaiolo, può darsi.. Le belle donnine a me son sempre piaciute... (Stefano crolla il capo quasi per deprecare). Perché? A lei no?

Stefano                         - (con un mite sorriso) Cosa vuol mai...

Maurizio                        - (perentorio) A me sì. E anche a mio zio, sa!

Stefano                         - (sobbalzando) Oh!

Maurizio                        - Non so se qui il diavolo si fosse fatto romito. Molte volte il lupo perde il pelo perde anche il vizio. Può darsi. Ma all'epoca di 'cui le parie non si faceva patire, creda a mc. soltanto, sa com'era?, lui i quattrini ce li aveva, e io no. Tutto il punto era lì. E allora il torto era mio.

Stefano                         - (interrompendo) Senta, signor Marchi.» A prescindere dal fatto che lei sta parlando di un defunto... se volesse piuttosto dirmi in che cosa posso esserle utile...

Maurizio                        - Ci vengo, ci vengo... E ha ragione lei. Forse non stà bene che io…. Tanto più che probabilmente adesso le cose saranno cambiate per me con la sua... Mi deve scusarc. sa, non è tanto per come si è comportato con me, quanto per quello che fece soffrire alla mia povera mamma. E tutto per quel suo caratteraccio infame...

Stefano                         - (che ad ogni riferimento critico la memoria del morto si agita sulla sedia) Beh, non ricominci ora.„ da bravo...

Maurizio                        - Ma, scusi... Lei, per caso, era molto amico di zio Maurizio?

Stefano                         - Amico, non direi... La buon'anima, in ve­rità, non aveva molte amicizie...

Maurizio                        - Sfido io!

Stefano                         - (paziente) Voglio dire che non era nel suo carattere stringere intimità con qualcuno... Tuttavia…. Sa, com'è,.. In xata piedola città come questa, un po' di com­pagnia... La buon'anima poi era appassionata per gli scac­chi, e così, un paio di volte alla settimana, si andava da lui per una partitina.

Maurizio                        - Gioca a scacchi anche lei?

Stefano                         - Poco e male. Ma la mia signora ha un po' di disposizione. E poi, sia detto senz'offesa, siccome alla buon'anima piaceva molto vincere, non badava tarato...

Maurizio                        - Oh, lui! Purché dominasse in qualche modo... (Sguardo deprecativo di Stefano). Comunque, zio Maurizio sarà stato loro grato. Gli davano modo di pas­sare la serata... E all'infuori di questo passatempo... diciamo così... patriarcale... non faceva altro?

Stefano                         - Viveva una vita molto ritirata, sa? Può darsi che in passato fosse... come ha detto lei. Ma qui, per quel che mi consta... I giorni di mercato, sì, al mattino', si faceva' vedere in piazza per i suoi affari...

Maurizio                        - I suoi affari? Faceva ancora degli affari? Compiango quei poveri merli che gli capitavano sotto...

Stefano                         - (con un mite sorriso) Era un uomo abile, senza dubbio...

Maurizio                        - (completando, agro) E poco generoso. Scommetto che né a lei, ne alla sua signora avrà mai offerto... magari una tazza di caffè!

Stefano                         - (c. s.) Tanto noi la sera il caffè non lo prendiamo mai...

Maurizio                        - (trionfante) Ci avrei giurato! Che razza di... (Sguardo di Stefano). Beh, veniamo al fatto... Ora che sa chi sono, avrà anche intuito perché sono venuto da lei...

Stefano                         - Veramente... no.

Maurizio                        - Eh, caspita! Sono il solo parente... lei è il notaio più accreditato di qui e per di più era uno dei pochi che zio Maurizio frequentasse... (L'altro seguita a non capire). Il testamento, diamine...

Stefano                         - (come se la cosa lo colpisse soltanto ora) Ah, già... sicuro... il testamento... che stordito! Non ci avevo pensato.

Maurizio                        - Allora lo ha lei?

Stefano                         - Io no.

Maurizio                        - Come no?

Stefano                         - Io non ce l'ho.

Mìurizio                        - Non ce l'ha?

Stefano                         - Non ce l'ho.

Maurizio                        - E chi ce l'ha?

Stefano                         - E chi lo sa!

Maurizio                        - Ma... non le sembra strano?

Stefano                         - Non dico di no, non dico di no... Ma sa... Può anche esser morto ab intestato.

Maurizio                        - Chi? Zio Maurizio? Mi faccia il piacere! Amava troppo i suoi quattrini, quello lì, per non aver pensato a loro in caso di morte.

Stefano                         - (un pò piccato) Si sarà rivolto a qualche mio collega. Però, non capisco perché non si sia fidato di me... In fin dei conti mi conosceva... E...

Maurizio                        - Scusi... si è mai servito della sua opera quand'era in vita?...

Stefano                         - Già... Veramente, ora che mi ci fa pensare... Mai! Diceva che di leggi e di contratti se ne intendeva più di cento notai... E quelle due o tre volte che fu ne­cessaria l'opera d'uno di noi, si rivolse al mio collega di Castelpino... una borgata qui vicino... Si scusò con me di­cendo che non aveva voluto scomodarmi per così poco, poveretto.

Maurizio                        - Poveretto? Senta, delle due Pinta: o lo fece perché il suo collega era meno caro di lei... oppure non voleva che lei mettesse il naso negli affari suoi... Dia retta a me!

Stefano                         - (sempre mite) Può darsi, può darsi... Anzi, mi ricordo che quando mi dette da custodire quella busta, mi complimentò perché non gli chiesi di che si trattasse.

Maurizio                        - (drizzando le orecchie) Quella busta? Che busta?

Stefano                         - Ah, non lo so.

Maurizio                        - Come, non lo sa?

Stefano                         - Non lo so, non lo so... Vede, fu così: una sera, dopo una delle solite partite a scacchi durante le quali io leggevo tutte quelle belle riviste straniere che la buon'anima riceveva... Io capisco solo il francese... Delle altre guardavo le illustrazioni... Che bellezza! Che stam­pa! Oh Dio...1ce ne sono alcune un po'... un po'...

Maurizio                        - (impaziente) Eh, non me ne meraviglio! Ma vada avanti per piacere...

Stefano                         - Eh?... Ah, sì... La busta! Dicevo dunque che dopo k solita partita, mentile la mia signora era di là a mettersi il cappello, il suo povero zio mi dette una busta pregandomi di custodirla a titolo d'amicizia. Ma, badi, saranno ormai cinque o sei anni se non di più.

Maurizio                        - (interessato) Ah! E allora?

Stefano                         - Allora che cosa?

Maurizio                        - Che cosa c'era in quella busta?

Stefano                         - Ah, che cosa c'era... Io non lo so. Non glielo chiesi nemmeno. E fu proprio per questo che la buon'ani­ma mi complimentò. Me lo ricordo come fosse ora. « Lei mi piace, perché non fa domande inutili». Così mi disse la buon'anima.

Maurizio                        - Senta, la finisca con questa buon'anima... Le ho già detto che zio Maurizio non era per niente una buon'anima.

Stefano                         - (dignitoso) E' un rispettoso modo di dire.

Maurizio                        - E questa famosa busta dov'è?

Stefano                         - (alzandosi pomposamente e mostrando la cas­saforte) E' qui... (Un silenzio).

Maurizio                        - Beh? Me la dia!...

Stefano                         - (interdetto) A lei?

Maurizio                        - E a chi allora? Sono il solo erede.

Stefano                         - (dolcemente) Scusi... non è detto...

Maurizio                        - (impennandosi) Come non è detto?

Stefano                         - (semplicemente, sempre mite) Finché non c'è un testamento, scusi...

Maurizio                        - Senta... Quanti giorni sono che mio zio è morto? Quattro, vero? Ora se qualche suo collega di qui o dei dintorni avesse un testamento di mio zio... a quest'o­ra lo si sarebbe saputo, mio? E inoltre, si vede che aveva ragione lei: sarà morto ab intestato. E in questo caso...

Stefano                         - (sempre mite) E in questo caso senza l'in­tervento del Tribunale io non posso...

Maurizio                        - Oh, benedetto il cielo! Come è lento, lei! Si vede che non ne va di mezzo' il suo interesse! Metta che in quella busta ci siano delle carte che mi riguardano...

Stefano                         - Non c'è che aspettare qualche giorno...

Maurizio                        - E non sarebbe più semplice aprirla e ve­dere che cosa contiene?

Stefano                         - Non dico di no, non dico di no... Tuttavia...

Maurizio                        - Non le è mica stata affidata con qualche clausola specifica, vero?

Stefano                         - Per custodirla. Così mi disse. Per custodirla.

Maurizio                        - Beh, ora è morto... Per chi la custodisce, scusi?

Stefano                         - Fa presto, lei... (Esita, poi si decide) Senta... Si può fare cosi: visto che lei ha tanta premura di sa­pere... Io trasferisco la custodia a lei. Se lei poi la vuol aprire, padronissimo'. Se la vede lei. Ma io sono a posto, capisce?

Maurizio                        - Benissimo! Facciamo pur così. Me la dia.

Stefano                         - Ah, un momento... Ci vogliono dei testi­moni.,. Per mia sicurezza, capirà...

Maurizio                        - (annoiato, impaziente) Oh, Dio! Anche i testimoni... Dove vuol che li trovi, scusi? Vuole vedere dei documenti di riconoscimento? Eccoli qui... guardi...

Stefano                         - Uno... almeno uno... Ma non si agiti, non si agiti! Eh, benedetta gioventù! Ha sempre premura! Ora glielo trovo io il testimone... (Chiama, rivolto all'interno) Minghina! Minghina!

Minghina                       - (apparendo sulla porta) Mi vuole?

Stefano                         - Oh, brava... Entra e mettiti là. E' per far da testimonio.

Minghina                       - Ho da firmare qualcosa? Perché, caso mai, vado a lavarmi le mani... Stavo facendo la pasta...

Stefano                         - No, niente firmare. E' solo perché ci sia qualcuno. Sta a sentire... Il defunto commendator Mau­rizio Peretti...

Minghina                       - Requiescat in pace...

Stefano                         - Mi affidò una busta chiusa perché la custo­dissi. Questo signore è il signor Maurizio Marchi, nipote del povero commendatore e suo unico parente. (A Mau­rizio) Le faccia vedere i documenti d'identità. Bravo. Adesso io affido a lui la busta in questione perché la custodisca lui. E tu sei presente al trasferimento. Capito? (A Maurizio) Tanto per la regola, sa? Mica per altro. (Apre la cassaforte e ne estrae una grossa busta sigil­lata) Eccola qua. Sigillata era e sigillata è. E i sigilli sono intatti. Guardi pure. Va bene?

Maurizio                        - Intattissimo. Riconosco il sigillo dello zio. Mi dia pure.

Minghina                       - (dal suo angolo) Non è meglio che veda anch'io1?

Stefano                         - (di fronte a un atto di stupore di Maurizio) Eh, no... Ha ragione. Per la regola, è meglio che veda anche lei. Eh, è pratica la Minghina... Sa «he mi fa quasi da giovane di studio? (Togliendogli la lettera di mano) Permette? (La consegna a Minghina) Ecco, guarda anche tu. I sigilli son intatti.

Minghina                       - (dopo avere gravemente esaminato la busta, incurante della impazienza di Maurizio) Sissignore. Tutto in regola (consegna la busta a Stefano).

Stefano                         - (consegnandola a Maurizio) A lei.

Maurizio                        - Oh, finalmente!

Minghina                       - Posso andare?

Stefano                         - Vai, vai, cara.

Minghina                       - Riverisco (ed esce).

Stefano                         - Ecco fatto. Ora, se lei vuol aprire... E' affar suo. Fa male, ma...

Maurizio                        - Sicuro che apro. E subito anche... (strap­pa un lato della busta e ne estrae un'altra ugualmente sigillata, ma più piccola: legge la soprascritta) «Da aprir­si in caso di mia morte. Questo è il mio testamento ».

Stefano                         - (balzando) Cosa?

Maurizio                        - Legga qui (e gli mostra la busta).

Stefano                         - (soffocato, agitatissimo) Ah, ma no!... Que­sto non me l'aveva detto... E sapeva benissimo che io come notaio non potevo accettare senza certe formalità...

Maurizio                        - E forse proprio per questo non glielo avrà detto...

Stefano                         - Ma perché? Perché?

Maurizio                        - Probabilmente per non doverle pagare gli onorari del caso... Redigere un testamento è una cosa e custodire una busta a titolo amichevole è un'altra, no?

Stefano                         - (bofonchiando) Francamente... Franca­mente... usare questa gherminella... sorprendere la mia buona fede...

Maurizio                        - Oh, incomincia ad accorgersi che razza di buon'anima era... la buon'anima? Comunque, poiché questo è il suo testamento, vediamo cosa dice.

Stefano                         - (incerto) Però... però... Non sono sicuro che la cosa sia regolare...

Maurizio                        - Senta... Non vorrà mica dire che un testa­mento cosi non è regolare?

Stefano                         - No, no... H testamento non dico... se non ne salta fuori uno posteriore... Ma aprirlo così... Va bene che lei è...

Maurizio                        - No, ha ragionc. stavolta ha proprio ra­gione. Un testamento non si apre così alla leggera. Eh, questo lo so perché capitò proprio alla mia povera mamma... e la buon'anima, come dice lei, ne approfittò subito per impugnarlo. Ci vogliono' fior di testimoni. Anzi, faccia una cosa: lo apra lei.

Stefano                         - Io!

Maurizio                        - Sì, caro cavaliere. Lei! Lei è un notaio e quando avrà aperto quella busta alla presenza di due testimoni... non ci sarà più niente da dire e nessuno potrà più impugnare niente. Richiami la sua Minghina. L'altro testimone sarò io.

Stefano                         - (brontolando) Tutto questo è molto... molto...

Maurizio                        - Le chiedo scusa del disturbo che le do, ma lei comprenderà la mia impazienza.

Stefano                         - (cortese) Prego, prego... E' quell'affare di avermi taciuto che si trattava di un testamento che mi... Ah, se lo avessi saputo. (Chiama) Minghina! Minghina! (A Maurizio) Ci crede? E' un piccolo dispiacere. Non me lo doveva fare!

Minghina                       - (riapparendo) Mi comanda?

Stefano                         - Sì, mettiti là... Oh, e ti sei lavate le mani? Perché forse ci sarà da firmare.

Minghina                       - (porgendo le mani a palme in su, come i bambini) Lavate. Ho dovuto vestire il bambino.

Stefano                         - Ah, esce?

Minghina                       - Con la signora. Vanno a colazione dalla zia. Non gliel'ha detto la signora?

Stefano                         - Ma già... Che distratto! Ci siamo anche sa­lutati... E me n'ero dimenticato... (ridacchia).

Maurizio                        - (un po' impaziente) Cavaliere... e allora?

Stefano                         - Eccomi a lei, eccomi a lei... (Inforca gli oc­chiali, prende la busta in mano, ma all’improvviso come se gli venisse in mente allora, chiede a Minghina) Ma al­lora la pasta l'hai fatta per stasera?

Minghina                       - Eh, già.

Stefano                         - Lasagne?

Minghina                       - Verdi.

Stefano                         - Magnifiche! (Si avvede della impazienza di Maurizio) Oh, mi scusi, sa... Ma le lasagne verdi sono la mia passione... E questa qui tira la sfoglia che pare... Se si ferma e ci vorrà favorire, mi farò l'onore di...

Maurizio                        - Grazie, cavaliere... Ma intanto se non le dispiace...

Stefano                         - Giusto'. Ogni cosa a suo tempo. Dunque... (Mostra la busta a lui e a Minghino) Sigilli intatti... La prego di accertarsi...

Maurizio                        - Ma abbia pazienza... Se questa busta era dentro quell'atea e anche quell'altra era sigillata, come vuole che...

Stefano                         - Tanto per la regola, tanto per la regola... Oh, ecco qua... (ha strappato un lembo, ne ha estratto un loglio) Leggo?

Maurizio                        - (che non ne può più) Ma si capisce...

Stefano                         - No, perché se vuol leggere lei...

Maurizio                        - Io, lei... E' lo stesso...

Stefano                         - Come vuole... Allora... (Legge) « Io sotto­scritto » (si interrompe) E' olografo... (e ripiglia) «Io sot­toscritto Maurizio Peretti, sano di mente e di corpo, esprimo qui le mie ultime volontà... »   - (si interrompe) Le ultime... (guarda la data) E di sette anni fa, però... Può anche darsi che in seguito...

Maurizio                        - (perentorio) Per ora le ultime son queste... Vada avanti.

Stefano                         - (ripiglia a leggere) « Desidero che al mio domestico Michele Sturla sia corrisposto un vitalizio di lire tremila e seicento annue, divise in quattro rate tri­mestrali anticipate, e ciò in premio dei suoi fedeli ser­vizi.» » (Parlato) Beh, questo è giusto... Michele era da tanti anni col suo povero zio.

Minghina                       - (quasi fra sé) E non gli dava neanche la mancia a Natale.

Maurizio                        - E poi... e poi?

Stefano                         - (legge) «Al mio fattore Antonio Bonacina la somma di lire diecimila, una volta tante, a titolo di premio per la sua onestà ». (Parlato) Giusto anche questo. Il Bonacina è un brav'uomo e...

Maurizio                        - Avanti e poi?

Stefano                         - (legge) «Item alla biblioteca comunale di Mantova mia città natale la mia libreria composta di ot­tomila volumi » (starebbe per commentare ma la voce dì Maurizio glielo vieta).

Maurizio                        - Avanti!

Stefano                         - (con lieve sobbalzo) « Item la somma di lire cinquantamila ai poveri della mia parrocchia in questa città...».

Maurizio                        - Il diavolo fatto romito, gliel’ho detto... senta, salti tutti i legati e vada al sodo...

Stefano                         - Come vuole... (Scorre a mezza voce alcune righe e poi) «Detratti infine tutti i predetti legati, lascio erede universale del mio patrimonio, patrimonio di cui do più oltre la completa distinta... » (ma si arresta di botto e si lascia sfuggire un) Oh! Maurizio (interessato) Cosa c'è?

Stefano                         - (soffocato, sbalordito, congestionato, osservando ora il foglio, ora un ritratto che ha sulla scrivania) Oh!... U... Ma... Io non... E'-. Oh!...

Maurizio                        - (impressionato) Ma che c'è?

Stefano                         - (troppo turbato per rispondergli a tono) Ma è inverosimile... E'... E' inconcepibile... E’…. E'... Io non potevo immaginare...

Maurizio                        - (alzando la voce) Ma si può sapere che cosa c'è?

Stefano                         - Mio figlio!

Maurizio                        - Suo figlio che cosa?

Stefano                         - A me par di sognare!

Maurizio                        - (togliendogli bruscamente il foglio di mano) Oh, insomma! (Legge) «Lascio erede universale del mio patrimonio il figlio nascituro del cavalier Stefano Sandelli fu Ambrogio, notaio in questa città... ». (Parlato con enorme stupore) Suo figlio?... Nascituro?...

Stefano                         - (balbettando) Gua... guardi la data... E' di sette anni fa... in novembre... Mia moglie era di sei mesi...

Maurizio                        - Ma che vuol dire? (Riprende a leggere) « ... il figlio nascituro del cavalier Stefano Sandelli fu Ambrogio, notaio in questa città, che esso sia maschio o che sia femmina. Tale mia disposizione varrà anche in caso di parto plurigemino e il mio patrimonio' verrà ugualmente ripartito fra i gemelli. Nel caso che l'infante non nascesse o nascesse morto, tutto il mio patrimonio andrà al Brefotrofio Comunalc. similmente accadrà se il nascituro, raggiunta la maggiore età, o chi per esso nell'attesa rifiuterà la successione». (Parlato, furibondo) E non c'è altro.

Stefano                         - (inebetito) Non vi è altro?

Maurizio                        - (secco) Altro. La distinta del suo patri­monio e la firma, autenticata, non so perché, visto che era olografo, da due testimoni, Carlo Bellotti e Luigi Trani. Guardi lei…. (e mentre il notaio macchinalmente legge il foglio che gli vien posto si ode la voce della Min­ghina pacatissima).

Minghina                       - Il Bellotti e il Trani erano uno il suo giardiniere che morì sei anni fa e l'altro il garzone del fornaio che è andato a stabilirsi a Bologna.

Stefano                         - (macchinalmente) Sì, ricordo.

Maurizio                        - (voltandosi di scatto alla Minghino) Lei ne sapeva qualcosa?

Minghina                       - (dignitosissima) Io? E che cosa vuol che ne sapessi?

Maurizio                        - (al notaio) E neanche lei?

Stefano                         - (la mano sul cuore) Ma neanche!

Maurizio                        - (agro, mal rassegnato) E va bene. Neanche da morto mi ha voluto... Che razza di... Basta. (Agro­dolce) Mi pare di non aver più niente da fare qui... Tante cose... E rallegramenti!

Stefano                         - (sincero) Caro signor Marchi... Sono do­lente di... Non so spiegarmi... Proprio non so spiegarmi...

Maurizio                        - C'è poco da spiegarsi... C'è da incassare e buon prò le faccia!

Stefano                         - Io sono sbalordito... Se non ci fosse la firma crederei quasi a uni cattivo scherzo.

Maurizio                        - (aspro) Si rassicuri, egregio cavaliere... La firma c'è-. C'è tanto di Maurizio Peretti, in tutte lettere.

Stefano                         - Ma perché proprio a me, al mio figliolo?

Maurizio                        - Oh, a me, sa... Al suo figliolo o a quello d'un altro. Il doloroso è che non sia io! (Con un riso amaro) E pensare che la mia povera mamma mi aveva chiamato Maurizio, come lui, nella convinzione che ciò lo avrebbe intenerito!

Minghina                       - (a questo punto fa udire uno dei suoi tre­mendi starnuti).

Maurizio                        - (ironico) Ohfflà! Che cannone! Salute! (Stefano si è voltato a guardare Minghino, con una certa sorpresa. Intanto entra saltellando, vestito per uscire, il piccolo Muzzi).

Muzzi                            - Ciao, pappino... Io vado. Ha detto la mam­ma di ricordarti di telefonare alla sarta... Ciao, Minghina!

Minghina                       - (molto affettuosa) Ciao, tesoro bello! Ciao!

Stefano                         - La mamma è già pronta?

Muzzi                            - Sì, è già giù. È già giù che mi aspetta!

Stefano                         - Allora vai, Muzzi. E divertiti. Saluta il si­gnore... (e accenna il visitatore; poi gli spiega) E' il mio figliolo...

Muzzi                            - Buon giorno...

Maurizio                        - (guardandolo con involontario interesse) Buon giorno... (e al notaio) Allora.- sarebbe lui?

Stefano                         - (carezzando il capo del bimbo) Già... sa­rebbe lui.

Muzzi                            - Sarebbe che cosa, pappino?

Stefano                         - Niente, niente, vai, caro. Non far aspettare la mamma.

Muzzi                            - Ciao pappino... (ed esce).

Stefano                         - (gridandogli dietro) Ciao, Maurizio.

Maurizio                        - (a questo nome ha un sussulto) Come si chiama?

Stefano                         - (sereno) Lo chiamiamo Muzzi, per vezzo….Ma si chiama Maurizio.

Maurizio                        - (con una specie di grido) Anche lui?

Stefano                         - Come anche lui?

Maurizio                        - (improvvisamente beffardo e aggressivo) -E diceva che non sapeva spiegarsi?... Alla grazia! Più spiegato di così!

Stefano                         - Ma che cosa vuol dire?

Maurizio                        - (c. s.) Senta... Mi par tanto chiaro! Un Maurizio che lascia tutto il suo ad un altro Maurizio». Ma è tutto quel che c'è di più... (con intenzione)... natu­rale! E' la parola!

Stefano                         - (cominciando a capire) Che cosa vorrebbe insinuare?

Maurizio                        - Eh, no! Caso mai non sono io….. quello che si è insinuato.

Stefano                         - Io le proibisco!».

Maurizio                        - (mutando tono, diventando quasi violento) Eh, egregio signor notaio... Lei non può proibirmi di pensare quel che salta agli occhi... Quel che è lampante... abbagliante! Ah, la partita a scacchi, eh? Scacco alla re­gina, evidentemente! (Brusco) Ma non creda di passarla liscia. Il codice pensa anche a controllare certe sudicerie!

Stefano                         - (paonazzo, la voce strozzata) Sudice... Vada via... Vada via, sa... e si vergogni!

Maurizio                        - Ah, dovrei vergognarmi io? (Istintivamente si volge all’unica testimone come per chiedere il suo parere) Ma lo sente? Devo vergognarmi io!

Minghina                       - (non risponde che con un secondo formida­bile starnuto).

Stefano                         - Minghina!

Maurizio                        - (beffardo) Forza.» E' il caso di dire: «Sa­lute e figli maschi» (ed esce sbattendo la porta).

Stefano                         - (col pianto nella voce) Canaglia!... Ca­naglia!... Lui e quell'altro... Pensare che io... che lei... che Maurizietto... Dillo tu, Minghina, dillo tu!

(Ma Minghino emette un terzo starnuto, più violento degli altri, che fa volare le carte sparse sul tavolo del cavalier Sandelli e che lo fa cadere a sedere inebetito).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Un salotto arredato con gusto borghese e lievemente antiquato in casa del notaio Sandelli. Una arcata, nel1 fondo, verso destra immette nella sala da pranzo; se ne vede la tavola mezza sparecchiata sotto il cerchio lumi­noso della lampada ad ampio paralume. Nella parete di sinistra una finestra. In quella di fondo, verso sinistra, la comune, e su quella di destra la porta che conduce nel resto dell'appartamento. È sera. Il notaio sta sprofondato in una poltrona, immobile, con gli occhi sotto le soprac­ciglia aggrondate riversi verso terra. Sua moglie Marta, una giovane signora, ricama accanto a luì. Muzzi è ag­grappato al grembiulone dalla Minghina e grida, mezzo implorante mezzo imperativo).

Muzzi                            - Sì, sì! La storia dei tre fratelli! La storia dei tre fratelli!

Minghina                       - (che è presso la tavola da pranzo, come ss stesse sparecchiando) Tesoro... Ora non posso mica... Lo vedi che ho da fare...

Muzzi                            - Fa niente! Finisce mammina! Tu raccontami la storia dei tre fratelli!

Marta                            - (alzandosi dalla sedia su cui stava ricamando) Accontentalo, Minghina... Se no, non si quieta». Fac­cio io (e, senz'altro, comincia a togliere la tovaglia).

Muzzi                            - (felice) Mammina ha detto di sì! Mammina ha detto di si!.» (Trascinando la vecchia sino a una sedia) Qui... Siediti che ti vengo in braccio...

Marta                            - (sempre terminando di sparecchiare) Ma poi, a nanna, eh?... Senza tanto frignare.

Muzzi                            - Sì, sì». (Accoccolandosi nel vasto grembo della vecchia) Su, Minghina! Quella dei tre fratelli.

Minghina                       - E va bene. Dunque... C'erano' una volta tre fratellini...

Muzzi                            - Come si chiamavano?

Minghina                       - Si chiamavano... (Tanto per dire) Uno si chiamava Giuseppe».

Muzzi                            - Come il povero nonno!

Minghina                       - Sì, uno Stefano, come il papà.

Muzzi                            - E uno Maurizio come me! (Stefano nella sua poltrona ha un piccolo sussulta e cambia di posizione).

Minghina                       - (che non ,si è accorta) Sì., e uno Mau­rizio come te. Vivevano tutti e tre in una casetta che aveva tre camere, Ire finestre e tre porte... Una per fra­tellino, capisci?

Muzzi                            - E il papà e la mamma dove stavano?

Minghina                       - Il papà e la mamma non li avevano più, poverini, perché erano orfani.

Muzzi                            - E allora come facevano a pagare l'affitto? Qui lo paga il papà che poi dice «di questo passo dove si andrà a finire? ».

Minghina                       - (paziente) L'affitto non lo pagavano perché la casa era proprio del loro papà che gliel'aveva la­sciata in eredità™

Muzzi                            - Che cosa vuol dire eredità?

Minghina                       - Vuol dire... vuol dire che quando uno muore lascia tutto a quello che rimane sulla terra...

Muzzi                            - E perché glielo lascia?

Minghina                       - Perché gli vuol bene... Perché è il suo fi­gliolo...

Stefano                         - (scattando) Non hai altre stupidaggini da raccontare a quel ragazzo?

Marta                            - Ma è la solita favola, caro!

Stefano                         - Macché favole... A un ragazzo di quell'età non si raccontano più favole...

Muzzi                            - (frignando) Ma io voglio la storia...

Stefano                         - (brusco) E invece te ne vai a letto... e basta! E non frignare! State via tutto il giorno tu e tua madre, e quando vieni a casa sei buono soltanto a frignare. Pre­sto, a letto... Mughina, mettilo subito a letto... E basta! E... (ma è come spossato dal proprio tono imperioso, per­ciò termina con un) Oh!...

Marta                            - (sorpresa dalla inusitata bruschezza del marito vuole, per altro, che sia ubbidito: perciò dice al figlio, con dolce fermezza) Su, non far arrabbiare il papà, Muzzi... Dammi uni bacino e vai a nanna... (Muzzi ben­ché di malumore ubbidisce) Bravo, amore, dà la buona notte a papà e chiedigli scusa...

Muzzi                            - (accostandosi a Stefano, contrito) Buona notte, papà„. scusa...

Stefano                         - (burbero) Buona notte...

Muzzi                            - (timidamente) Un bacino...

Stefano                         - (vorrebbe quasi dir di no, ma la faccetta sup­plice del bimbo, lo intenerisce, lo prende per le spalle, gli solleva il viso, lo fissa, gli carezza il capo ed è quasi commosso che lo bacia in fronte e gli mormora) Buo­na notte, piccolo... (Accompagnato da Minghino, il bam­bina esce. Una pausa. Stefano ha seguito con lo sguardo, poi ha dato una manata sul bracciolo della poltrona, mormorando, non si sa se con amarezza o con indignazione) Ah, che roba!

Marta                            - (che ha finito di sparecchiare, accostandosi al marito) Stefano... Che cos'hai? Siamo tornati e a mo­menti non ci davi nemmeno la buona sera... A tavola non hai detto una parola... Adesso tratti così il bambino senza un vero e proprio motivo... Si può sapere che cos’hai?

Stefano                         - Altro che se si può sapere... E se tu non fossi uscita stamane prima di colazione per tornare po­chi minuti prima del pranzo l'avresti già saputo...

Marta                            - Siamo stati da mia sorella, lo sai. E nel po­meriggio, visto ch'era bello, siamo andati a portare due fiori ai poveri morti...

Stefano                         - (come una belva) Quali morti? Perché ai morti?

Marta                            - (stupita) Papà e mamma... Era l'anniversario della morte idei povero papà... Ma, insomma, che cos'hai?

Stefano                         - (sta per esplodere) Sai chi... (Di botto) Il bimbo va a letto, eh?

Marta                            - - Ma sì, sì, ci pensa la Minghino...

Stefano                         - (rassicurato) Ah, bene. (Ripiglia) Sai chi è venuto da me stamane? (Di botto) E quella ha starnu­tito... e quella ha starnutito!

Marta                            - Ma che dici?

Stefano                         - Nientc. so io... so io... A meno che non lo sappia anche tu... (Si è montato) Di' la verità, eh? Di' la verità? Lo sapevi?

Marta                            - (impressionata) Stefano!

Stefano                         - (casca a sedere, la testa fra le mani) Io... io... Io non capisco più niente, ecco! (Quasi sul punto di piangere) Non capisco più niente!

Marta                            - (affettuosa, intenerita) Tu non ti senti bene, caro!

Stefano                         - Sfido io! Vorrei sapere chi si sentirebbe bene dopo quello che... E tutto il giorno .senza poterne parlare... Senza poter sfogarmi... Senza poter sapere». Poter sapere, ecco! Almeno quello... Poter sapere!... Ma tu non cleri…. Tutto il giorno via..., E quell'altra…. (si riferisce alla Minghino) ...quell'altra coi suoi starnuti mi ha fulminato. Fulminato, proprio. Sai come viene il ful­mine? Un tuono e un lampo abbagliante... E così io. Il tuono, lei che ha starnutito... Poi un lampo di luce... che mi ha fatto... che mi ha fatto...

Marta                            - (interdetta) Ma... vuoi spiegarti, benedetto uomo?

Stefano                         - Sì, sì... Mi spiego. Ora mi spiego, vedrai. (Si calma per forza e comincia) Stamattina è venuto da me un certo signor Marchi... Era il nipote del commen­dator Peretti. Voleva il testamento. Gli ho detto che non l'avevo, e poi, non so come, si è parlato della busta che il commendatore mi dette da custodire. Te ne ri­cordi?

Marta                            - Altro che.

Stefano                         - (di colpo) Perché hai detto «altro che»? Che cosa aveva di speciale quella busta perché te ne ri­cordassi tanto bene?

Marta                            - Ma niente! Ho detto «altro che» come si dice «sì, me ne ricordo ».

Stefano                         - Semplicemente?

Marta                            - Certo. Perché eredi che dovrei ricordarmene in modo particolare?

Stefano                         - Perché? Perché... (ma si interrompe). No, aspetta. Dunque, per fartela breve, finiamo per aprire quella famosa busta. Dentro c'era il testamento del com­mendatore.

Marta                            - (interessata) Oh! E a chi ha lasciato?

Stefano                         - (di colpo) Che te ne importa? Perché tutto questo interesse, eh? Avanti, come mai ti preme tanto conoscere il testamento di quello lì?

Marta                            - (semplice) Ma a me non preme niente af­fatto, caro. Soltanto, visto che si tratta di un patrimonio ingente, credevo che una certa curiosità fosse legittima, ecco tutto. Ma se non devo saperlo...

Stefano                         - (scaldandosi di nuovo) E invece devi sa­perlo! (e batte sulla poltrona). E come se devi saperlo... Sai a chi lascia tutto? Sai chi è l'erede universale, de­tratte poche centinaia di migliaia di lire di legati? Sai chi è?... (Come una frustata) Maurizio!

Marta                            - Maurizio? Muzzi?

Stefano                         - Nostro figlio!... (e spia l'effetto).

Marta                            - (pietrificata) Maurizio?! E perché?

Stefano                         - (non si aspettava quella interrogazione: essa raffredda di colpo il suo calore aggressivo; ripete come un'eco) Perché? (Un lampo di gioia gli passa sul  volto scialbo) Hai detto perché... Ma allora.,, allora...

Marta                            - (quasi fra sé, sbalordita) Mio figlio erede universale? !

Stefano                         - (assentendo) Tuo fi... (si interrompe, ag­grotta le sopracciglia) Come, tuo figlio?... «Tuo» fi­glio?... Perché non hai detto « nostro » figlio? .

Marta                            - (sorpresa) Mio figlio... nostro figlio... Non è lo stesso?...

Stefano                         - Ma sì... è lo stesso. Ma... se non fosse lo stesso?

Marta                            - Come, se non fosse...?

Stefano                         - (quasi feroce) Non capisci? Eppure ci vuol poco. Nostro figlio, tuo figlio, ,si chiama Maurizio... E anche il morto si chiamava Maurizio... Neanche questo capisci?

Marta                            - (comprendendo) Oh! Ma è indegno! Come puoi pensare una cosa simile?

Stefano                         - (non sa se giustificarsi o seguitare ad inqui­sire: è ora umile, ora aggressivo, sempre smarrito) No... Io non l'ho pensato... Io non l'ho pensato... Come potrei pensarlo? Se avessi appena potuto, qualcosa allora avrei supposto... qualcosa ora saprei... Io non l'ho pen­sato. E' stato quell'altro che ci ha pensato...

Marta                            - Quale altro?

Stefano                         - Quell'altro... quel nipote... il signor Mau­rizio Marchi...

Marta                            - (macchinalmente) Maurizio anche lui?

Stefano                         - (esasperato) Anche lui... Si vede che il mondo è popolato di Maurizi!...

Marta                            - Spero che tu gli avrai riso sul muso... Vero?

Stefano                         - (vago) Euh! (Più sincera) Ma veramente è stato lui che ha riso sul muso a me... E aveva ragione!

Marta                            - Ragione? Ma sei impazzito?

Stefano                         - (amaro) Ragione. Ragionissima... E come lui mi rideranno sul muso tutti... tutti...

Marta                            - Ah, è «osi, eh? E' così? Valeva la pena che io ti sacrificassi i miei anni più belli! Valeva la pena che io mi dessi tanta briga per contenere tutti i miei desideri di allegria, di freschezza, di piacere... Valeva la pena Che io mi rassegnassi ad essere la buona e fedele moglie d'un notaio di provincia... nonostante i miei vent'anni e la mia sete di vivere... Perché quando t'ho sposato io avevo vent'anni, ricordatelo, e tu ne avevi quarantotto'... Una volta e mezzo i miei, capisci? Potevi essere mio padre... Ma eri un brav'uomo e quando si è in cinque sorelle l'importante è sposarsi presto per non essere a carico della famiglia...

Stefano                         - (allarmato dalla piega che prende il discorso e avvilito da quelle recriminazioni) Marta... Marta... non dire certe...

Marta                            - (ormai è lanciata) Non dico nulla di male. T’ho sposato come fanno tante ragazze della mia condi­zione per sistemarmi... E' la verità. Ma siccome tutta la mia educazione, tutta la tradizione della mia educazione mi imponevano di essere una buona moglie™ lo sono stata. Ho voluto esserlo con tutte le mie forze... Strin­gendo i pugni contro tutte le tentazioni... Chiudendo gli occhi su tutto quello che poteva distogliermi dalla via che mi ero prefissa. E ho finito col volerti bene, sì... col volerti bene perché eri buono, perché mi avevi dato il benessere, perché Ieri mio marito e perché così mi aveva appreso l'esempio della mia famiglia e il monito della società in cui ero sempre vissuta... E quando Muzzi è nato ti ho voluto belle anche perché eri il suo papà, capisci? (E' sul punto di piangere) Perché mi sono detta che ero anche e soprattutto la mamma di quel bambino... del mio... del nostro bambino... (piange, ma subito, iro­samente) E tu ora dubiti? Rinfacci? Che cosa sospetti anche tu? Che io sia stata l'amante di un altro vecchio... più vecchio ancora di te? Oh, se tu fossi geloso d'un giovane... guarda, quasi ti scuserei... o, per lo meno­mi offenderebbe meno di questi tuoi sospetti più nau­seanti che grotteschi... Il denaro?... Ti ho mai chiesto del lusso, io? Ti ho mai rimproverato la insipidezza della nostra modesta vita provinciale? E allora? Allora? Ver­gognati...

Stefano                         - (dopo una pausa: ha le lacrime agli occhi) Hai ragionc. sono uno... Avrei dovuto vedere io. Hai ragione. (Con ira repressa) A quello lì... a quel bellim­busto avrei dovuto dirgliene io quattro. Permettersi di-. (si interrompe, ci ripensa e, mitemente) Sì, ma anche lui... Non ha mica tutti... (Prevenendo la ribellione della moglie) Abbi pazienza, cara... Va bene, noi sappiamo che non è così... Sì, cara, sì. Ora Jo so anch'io. Noi sap­piamo che non, è «osi. Ma lui... uno di fuori. Arriva. Spera d'ereditare... Nossignori. Si trova di fronte a un Maurizio Peretti che lascia tutto il suo a un bimbo che ufficialmente non gli è nulla, ma che si chiama Maurizio come lui... Mettiamoci un po' al suo posto!

Marta                            - (secco) Io non voglio saper nientc. so che al tuo posto gli avrei dato un paio di schiaffi.

Stefano                         - (sempre mite) Ah, già... Tu, perché hai ventisette anni... Ma io ne ho cinquanta passati, cara mia. Ventisette, in caso, li ha lui. Non è mica questione di paura, amore mio. Ma a una certa età le reazioni mutano. Quando si è giovani la ribellione, lo so, è istintiva. Dopo... L'istinto, se mai, è di rassegnarsi... Almeno lì per lì. (Ci ripensa) lo, poi, dico... Anche a quel bene­detto uomo del commendatore... cerne gli è venuto in mente di lasciare tutto a mio figlio?

Minghina                       - (che è entrata da qualche momento, silen­ziosa e imponente come sempre, e si è fermata ad ascol­tare) Ma se è l'umica opera buona che abbia fatto in tutta la sua vita!

Stefano                         - (non si aspettava la intrusione e ha sussul­tato) Chi è? (Vede la vecchia, si calma) Opera buona... opera buona... Mio figlio non è mica un povero derelitto!... Grazie al cielo io ho di che mantenerlo!...

Minghina                       - Signor cavaliere... Mica per dire... Ma quelli là son bei denaroni... C'è una bella differenza!...

Marta                            - Se quei suoi denari devono servire a spor­carci, meglio...

Stefano                         - Ah, sì... In questo Marta ha ragione...

Minghina                       - A sporcarvi che cosa?... O che uno non è padrone di lasciare i suoi soldi a chi vuole?

Stefano                         - Non dico di no...

Marta                            - Ne, che non è padrone, se questo suo gesto può intaccare la rispettabilità di una famiglia.

Stefano                         - Ecco!

Minghina                       - Ma no, signor cavaliere... Lei ora dice così perché vede la signora tutta sottosopra... Ma i de­nari non hanno mai intaccato niente a nessuno.

Stefano                         - Storie! Tutta la città dirà...

Minghina                       - Tutta la città dirà un bel niente, perché tutta la città sa chi è la signora Marta e tutta la città conosceva quel brutto coso del commendator Peretti... E soltanto a supporre che fra la signora e quel vecchio porcospino ci fosse... E' roba che bisognerebbe essere matti e ciechi per pensarci sul serio...

Stefano                         - Questo è vero!

Minghina                       - Fosse state un bel giovanotto o per lo meno un bell'uomo...

Stefano                         - (istintivamente affettuoso alla moglie) Quel­lo che dicevi tu... (Ripensandoci, un po' turbato, a Min­ghina) Si, però...

Minghina                       - 0 fosse stata un'altra donna la signora Marta... Non dico. Ma questa donnina qui e quell'orco spennacchiato con quella pancia e quegli occhi infuori? Ma in che mondo siamo? Va bestie... Il signor cavaliere non è mica un Adone... Va bene... Non è più giovane... Va bene... Che ima moglie Io possa... magari si può anche ammettere...

Stefano                         - Adagio, ohe!

Minghina                       - Ma non una moglie come questa... e non un ganzo come quello che è morto!

Marta                            - Minghina, tu sei «buona! (e l'abbraccia).

Minghina                       - E io che l'ho vista nascere, tesoro! (le ricambia teneramente l'abbraccio).

Stefano                         - (di colpo) E perché hai starnutito, allora?

Minghina                       - (interdetta) Ma quando?

Stefano                         - Stamattina, stamattina! Quando quel... di­sgraziato si è permesso..,

Minghina                       - Ah, quella, poi, è un'altra questione...

Stefano                         - Non tergiversiamo, Minghina!

Minghina                       - Io non so che cosa vuol dire questo che dice lei, ma so che quella Ili è un'altra questione. Il commendator Peretti ha lasciato tutto il suo a Maurizietto? Va bene. Per noi... Dico per loro due... Non c'è niente da dire. Ma per il nipote la cosa è diversa. Noi sappiamo chi siamo. Tutta la città lo sa. Ma il nipote non lo sa. E, magari, gli può anche far comodo di non saperlo.

Stefano                         - Ma glielo dirò io, chi siamo!

Minghina                       - (volgendosi a Marta) Signora... io l'ho bell'e capito chi è quel signor Marchi lì. Intanto è un bel figliolo... (A Stefano) Perché, c'è poco da dire, è un bel figliolo...

Stefano                         - Io non ci ho neanche fatto caso...

Minghina                       - Ah, lei perché è un uomo. Ma a noi donne certe cose fanno colpo. (A Marta) Dunque, è un bel figliolo. E gli uomini, quando sono appena appena passabili, non se la lasciano mai fare in barba. Poi è di fuori. Quello che si può dire qui, quello che si può pensare qui, di lei, di loro, della faccenda, a lui non interessa. A lui interessano i denari Gli piace spendere. Gli piacciono le belle donne. A Roma ci aveva un'amica... Me l'ha detto lo Sturla, il cameriere del povero commen­datore. Lui l'ha anche vista. Una di quelle, dice, che quando si sedeva si vedevamo le gambe fino... Tutta di­pinta... con certi vestiti svelasi, svelosi... E poi, mi ha detto lo Sturla, mica quella sola! Ne aveva quante ne voleva. E una, anzi, la portò via al commendatore che non gliela perdonò e fu appunto per quello... Insomma, signora mia, lei ha capito che tipo è. Simpaticone, sa? Per questo, sì. Si vede subito. Distinto, elegante.

Stefano                         - Si può sapere dove vuoi arrivare?... O vuoi seguitare a parlar bene di quel...

Minghina                       - Parlar bene? Ma neanche per idea. E' per aprirvi gli occhi. Il pericolo è quello lì. Quel signor Marchi non si mette né uno né due nè impugnare il te­stamento dello zio e a metterci tutti in piazza...

Marta                            - Ma come? Se hai detto prima che nessuno potrebbe...

Minghina                       - Ah, nessuno, sicuro. Ma basta .che non ci sia scandalo. Sa com'è il mondo. Uno stagno... con l'acqua betti, limpida, chiara che han voglia di berla. Ci salta d'entro una ranocchia piccola cosi... e subito il fondo si solleva e l'acqua diventa colore del fango. Ca­pisce? Questo impugna il testamento... Avvocati, discus­sioni, chiacchiere... Un sacco di storie... E l'acqua limpida diventa fango. Perciò dicevo che il pericolo è lì.

Stefano                         - Ma va, ci dovrà pensare su due volte prima di p e rimettersi...

Marta                            - No, no! Minghina ha ragione! Questo signor Marchi può farci molto male, in tutti i sensi...

Stefano                         - (fiero) Ma io saprò impedirglielo a quel... (Ripensandoci) Però, è vero... Quello può... Come si fa adesso?

Minghina                       - (cauta) Oh, Dio, magari, parlandogli...

Stefano                         - Dopo quello che ha avuto il coraggio di...? Mai!

Marta                            - E invece hai torto, caro. Forse a saperlo prendere...

Minghina                       - Bravo, tesoro! A saperlo prendere... Ha detto proprio una parola Cantal Creda a me, quello è uno che non va preso dì petto...

Stefano                         - Beh... se domani e dopodomani fosse ancora qui... Potresti anche cercare di vederlo... di incon­trarci...

Minghina                       - Lei? (è dubbiosa).

Stefano                         - Io, si capistc. se no, chi?

Minghina                       - (gira intorno all'ostacolo della risposta con una dei suoi tremendi starnuti).

Stefano                         - (severo) Minghino! Cosa c'entra, adesso?

Minghina                       - (le mani sul cuore) Per combinazione, parola! E poi anche...

Stefano                         - Ah, lo vedi? Che cosa hai combinato, ora?

Minghina                       - (querula) Beh, va bene... avrò anche sbagliato, io non lo so... Ma quando ho visto lei nello stato che era- E quando ho pensato (accenna a Marta) a questo povero tesoro... E a quello che la gente per colpa di quel ragazzaccio avrebbe potuto...

Stefano                         - (ansioso) Avanti, avanti...

Minghina                       - (c. s.) Io Ilio fatto perché a loro ci sono affezionata... Se ho sbagliato...

Stefano                         - E non mi fare stare sui carboni accesi!... Che cos'hai combinato?

Minghina                       - (lenta) Gli ho fatto dire di venirle i parlare stasera...

Stefano                         - (soffocando) Qui?... Ma...

Minghina                       - (precipitosa) Lei si era chiuso in ca­mera e non voleva vedere nessuno... La signora era fuori... E io non sapevo che pesci pigliare...

Stefano                         - Ma nessuno ti aveva chiesto di pigliar pe­sci! Cosa t'è venuto in mente?

Minghina                       - Senta, signor cavaliere... Io sapevo già che quando lei avrebbe parlato con questo. tesoro qui... (accenna Marta)si sarebbe subito persuaso che non c'era niente di male... sissignore, io lo sapevo, perché la mia signora è un angelo. (Improvvisamente risoluta) E poi, se lo vuol proprio sapere, non volevo che tutto quel beh di Dio che la Provvidenza aveva loro mandato dovesse andar perduto: ecco! (Si scalda) Io, a questa donnina qui, le voglio bene come a una figlia... Più che se fossi la sua mamma, guardi... L'ho vista nascere.,. L'ho tirata su io... E quando era piccola e mi buttava le braccine al collo e mi chiamava la sua tata... io non so quello che avrei fatto per lei... Poi, quando l'ho ve­duta crescere e diventare una signorina da marito... Beh, io sono una vecchia ignorante, lo so... Ma a me mi sembrava che dovesse" sposare un principe... Che sarebbe diventata una principessa... Che avrebbe fatto una vita di lusso... con tanti vestiti... tanti gioielli... fante belle cose accanto a un bei giovanotto che le desse tutta la felicità... come dicevano te favole che le raccontavo quand'era piccinina per farla addormentare... Invece, ha sposato lei...

Stefano                         - (seccato) Ma chi sono? Uno strofinaccio, io!!

Minghina                       - Non si arrabbi, signor cavaliere. Voglio bene anche a te, sa? E ho visto subito che lei era una brava persona... Ma... Ma, insomma, adesso che questa donnina può avere tutto il lusso che merita, e vivere davvero come una principessa in grazia della bella pen­sata di quello che se ne è andato... Eh... c'aro lei!... Non bisogna mica lasciarsela scappale una occasione simile!

Stefano                         - (che in verità è già mezzo persuaso) Tu te la fai, te la dici.. Neanche fossi tu la padrona di casa!

Minghina                       - (tornando umile) Io? Ma le pare. Il padrone è lei!

Marta                            - Ma no, (caro... Il padrone sei tu, - si capi­sce... Però Minghina, povera donna, ha ragione...

Stefano                         - E allora che cosa dovrei fare, io?

Minghina                       - Lei... niente, per ,ora.

Stefano                         - Ma se hai detto al signor Marchi di venire qui...

Minghina                       - Ah, quando verrà... se ai verrà.,, allora, si Capisce... Ma mica affrontarlo subito. Si ,dice affron­tarlo, così per dire... Mica mettersi subito a discutere... Guardi, lei chi lo ha persuaso? La signora. E magari, dopo, un po' anch'io... E dunque... Lasfei che gli par­liamo prima noi.

Stefano                         - Voi? Con quello scioperato che ha avuto il coraggio di...

Minghina                       - Con lei che è uomo. Uomo con uomo, si sa nelle discussioni cosa succede. Ma un uomo a di­scutere con delle donne ci scapita sempre.

Marta                            - Però, Minghinia... Io quel signore non lo conosco...

Minghina                       - Appunto! Ed è bene che lui conosca lei….. Che sii renda conto di tante cose.

Marta                            - Ma io non vorrei... non mi sento d'incon­trarmi con uno che...

Minghina                       - Tesoro! Ma che cosa vuol che le fac­cia? Non la mangerà mica! Gliel'ho detto... in fondo è un simpaticone. ,

Stefano                         - Simpaticone o simpatichino, a me sembra che non sia una cosa giusta... Non varrei che quello poi credesse... Va bene che la mia Marta è al disopra...

Marta                            - Se è per questo, Stefano... Non aver paura. Saprei come parlargli...

Minghina                       - Oh, brava! Così mi .piace... Creda a me, signor cavaliere, lasci fare a noi!

Stefano                         - (incerto) Io preferirci di no... Però, fran­camente... Se quello ricomincia come stamane, io... io... (Suono interno di campanello).

Minghina                       - Questo è lui...

Stefano                         - (sempre più incerto) Allora?... Io non so... Io... o magari invece... voi... Per conto mio, vor­rei... Ma però se...

Minghina                       - (tagliando la testa al toro) Vada di la, signor cavaliere... In caso la chiamo io...

Stefano                         - (lasciandosi sospingere) Io però... tu però... voi però...

Marta                            - (coti dolce fermezza) Vai, caro. E stai tran­quillo. (E Stefano si lascia Spingere fuori da Minghino che sparisce anche lei. Marta ripiglia il proprio ricamo, ma è evidentemente nervosa e spiai di sottecchi l'uscio del quale di lì a poco entra Maurizio seguito da Min­ghino). ,

Minghina                       - Si accomodi, signor Marchi… Il signor cavaliere viene subito... Questa è la signora...

Maurizio                        - (nel vedere la giovinezza di Marta ha un piccolo gesto di meraviglia, seguito da un mezzo sor­riso di beffarda comprensione; tuttavia dice con com­pitezza) Buona sera, signora. Mi dispiace disturbarla...

Marta                            - (che è più curiosa di conoscerla di quanto voglia dimostrare) . Prego... Si accomodi pure... (Una pausetta imbarazzata di tutti e tre).

Minghina                       - (decidendosi) Ecco, signora... Questo sigillare qui è quello che stamattina ha detto quello che lei da...

Maurizio                        - (preso alla sprovvista, rimane sconcertato) Ma... io...

Marta                            - (tranquilla) Sì, si, Minghina. L'avevo capito.

Maurizio                        - (molto imbarazzato) Signora... La mia situazione...

Marta                            - Non si allarmi. Ma, capirà anche lei... Era logico che mio marito mi raccontasse tutto. Dovrei adesso dirle che la sua supposizione mi ha offesa... E, per la ferità, non le nascondo che lì per li... Ma poi Minghina mi ha persuadala... Lei non mi conosceva e dun­que poteva supporre quello che voleva.

Maurizio                        - (con uno sguardo di traverso alla vecchia) Ah, è stata...

Minghina                       - (affabile) Sissignore. Eh, io sono vec­chia, come vede... E anche se sono una povera serva gli anni mi hanno dato un po' di™ come sii dice?... in­somma, di so veder chiaro.

Maurizio                        - (ironico) Senti, senti!

Minghina                       - E allora ho detto alla mia signora: «Ma naturale! Uno che non la conosce può pensare an­che male di lei... Ma se la conosceste! ».

Maurizio                        - (con compitissima ironia, a Marta) Al­lora... sono stato chiamato qui pel" avere il piacere di conoscerla?

Marta                            - Signor Marchi... Io so che lei è avvezzo a trattare con le donne. Ma non so se sia avvezzo a trattare con donne come me. Non mi fraintenda, badi. Non c'è nessunissima superbia nelle mie parole. Voglio dire che lei è avvezzo a donne più moderne, più mondane, più scevre di pregiudizi, più lise ai modi eleganti, mentre io sono una povera donnetta provinciale, piena di pregiudizi, fino al collo, e magiari anche un po' anti­quata. A me, vede, quello che lei ha supposto stamane non sarebbe mai venuto in mente... neanche se mi fossi troviate in rana situazione come la sua e neanche, so­prattutto, se si fosse trattato di un'altra donna anziché di me. Mica per nulla, sa?... Ma non ci avrei pensato, non mi sarebbe venuto in mielite.

Maurizio                        - (un po' smontato) Ma... io...

Minghina                       - Ma lei è un uomo, si sa. E certe cose, ai signori uomini, vengono in mente senza fatica. A lai, poi, che la vita la deve prendere piuttosto allegra-mente, la sua supposizione sarà parsa più che naturale. Non c'è mica niente di male. sbagliare Si può tutti. E ha sbagliato anione il suo defunto signor zio.

Maurizio                        - (drizza le orecchie) Ha sbagliato? In che senso?

Minghina                       - (a Marta) Glielo dica, signora. Glielo dica pur lei. 0 glielo dico .io?

Marta                            - (un po' turbata) No, Minghina... Non credo sia il caso...

Minghina                       - Sì che è il case Me lo lasci dire! Al signor cavaliere, no... Lo capisco. E ha tatto bene an­che lei a tacere. Ma il signor Marchi lo deve sapere. (Si volge a Maurizio, che è sempre più sconcertato e co­mincia) Ti suo defunto signor zio si è sbagliato proprie come lei. Lo stesso sbaglio. Anche lui un certo tempo crederle che la mia signora fosse... come ha creduto lei-Mi capisce?... E, naturalmente, tentò...

Maurizio                        - (involontariamente come per dire: «Lo sa­pevo bene ») Ah!

Marta                            - (subito, con fremente dignità, a Minghino) Lo vedi? Ne ero sicura! (Di scatto, a Maurizio) No, signor Marchi! Non c'è proprio niente da fare «ah»!

Maurizio                        - (falso per cortesia) Le assicuro, signora...

Marta                            - Non mentisca. Sono urna provinciale, una non sono proprio una sciocca. Lei è convinto ancora di quello che ha detto stamane... Dica la verità!

Maurizio                        - (decidendosi) Beh, signora mia bella... Se la vuol sapere tutta... Mi dia dello sfacciato, dell’impertinente e anche di peggio... Non mi sgomento, perché non sarebbe la prima volta che una bella donna mi dice delle male parole... Ma se lei vuol proprio che io sia sincero, le devo dire di sì... che la mia opinione è quella di stamattina e che finora non c'è stato proprio nulla che me l'abbia potuta far cambiare.

Marta                            - (ribellandosi) Ma lei...

Maurizio                        - (con una faccia da schiaffi) Signora mia, l'ha voluto lei... (A Minghina) E l'hai voluto anche tu, cara la mia Miinighina-Minigona! Ma, dico, credevate dav­vero che un po' d'arie e due po…..e di maestà offesa mi avrebbero dato alla testa?... Io non voglio mancarle di rispetto, cara «ignora, perché con le donne son sempre stato educato, ma ad orata di questo noci mi son mai neanche lasciato menare per il naso... Guardi, facciamo ima bella 'cosa... Chiami il suo signor consorte... E' me­glio discutere fra uomini!

Marta                            - (molto seria) Sì, Minghina... chiama mio marito.

Minghina                       - Oh, per me... Lo chiamo subito. (Si avvia, si arresta, e a Maurizio) Però lei ha torto.

Maurizio                        - (allegramente) Ma sì, va bene, ho torto, (A Marta) Minghina mi piace perché è battagliera!

Minghina                       - Ha proprio torto. Si può dar tutte le arie di burlone che vuole, ma lei non ha testa, se vuol sapere come la penso io.

Maurizio                        - (c. s.) Ah, non ho testa? Ma guarda un po'!

Minghina                       - Neanche tanto così! Io lo so già che cosa vorrebbe fare lei. Impugnare il testamento, vero? Ma che bella idea! Intanto il testamento del suo defunto signor zio è in regola... (Maurizio sorride, superiore). Me ne intendo, sa, di queste cose... Magari più di lei. Mica per niente sono accanito ad un notaio da tanti anni.

Maurizio                        - (opimo ed irridente) E allora se è in regola come dici tu, non c'è da temete che il Tribunale vi possa dar torto. Dà che vi preoccupate?

Minghina                       - Ma fra cause e controcause, avvocati e contro avvocati, passeranno almeno almeno un paio di anni.

Maurizio                        - Se è per me, io non ho fretta.

Minghina                       - Già, e le centocinquantamila lire che suo zio le ha lasciato staranno là a far la muffa.

Maurizio                        - (interessato) Quali cento cinquantamila?

Minghina                       - Il legato del suo defunto signor zio. (Ve­dendo che l'altro non capisce) Ah, lo vede che è senza testa? Lei stamattina è montato in furia, ha insultato un galantuomo, ha insultato una signora a cui dovrebbe far tanto di cappello, ha sbattuto la porta e se ne è an­dato... E così del resto del testamento non ha saputo niente... (L'altro starebbe per parlare), « Salti tutti i legati e vada al sodo »... Lo ha detto lei al signor cavaliere, no? E lui ha saltato. E ha saltato anche quello che riguardava lei. Io l'ho letto per combinazione, men­tre spolveravo... Mica per niente... Ma perché non ci volevo credere.»

Maurizio                        - (un po' scosso) Ti ringrazio della no­tizia... giacché mettiamo le carte in tavola. Ma che cosa vuoi che siano centocinquantamila lire in confronto...

Minghina                       - Ah, una miseria, d'accordo. Ma son sempre centocinquanta bei biigBerlìi da mille. E sta­ranno li a far la muffa. Peccato, perché mi figuro che le farebbero comodo... Va 'bel giovanotto elegante come lei ci ha sempre qualche buchetto da stoppare... Ma lei, invece, dice: « Meglio la gallina domani che l'uovo oggi », vero?

Marta                            - (molto seriamente) Minghina, il signor Mar­chi farà come crede meglio. Noto è questo che m'inte­ressa, e lo sai. A me basterebbe che egli si ricredesse sa quanto mi concerne. Poi, se vuole anche tutti i de­nari di suo zio... li prenda pure.

Minghina                       - (a Maurizio che si è voltato a guardare Marta, con un interesse nuovo) E un'altra senza testa! Li prenda pure, li prenda pure! Non prende un bel niente. (Azione di Maurizio). Niente, niente. Meno le centocinquantamila, si capisce. Tutto il patrimonio andrà al Brefotrofio Comunale. Il testamento parla chiaro. E allora? Per chi si batte lei, signor Marchi? Per il Bre­fotrofio Comunale? Per chi vuol sporcare una famiglia come si deve, rispettata ed onorata™ sissignore, onoratissima? Per i trovateci del Comune? Ma che cosa le ha fatto questa povera brava gente, qui, a lei? Il suo defunto signor zio, sì, che le ha fatto una bella cana­gliata... Scusi il termine, ma è quel che 'ci vuole... E l'ha fatta anche a questa brava donnina qua, che gli ha detto di no una volta. (Maurizio fa per protestare). Si­curo, una canagliata... E grossa anche! Ma se voleva lasciare i suoi soldi a Maurizietto a fin di bene, avrebbe chiamato il signor cavalière, che fra l'altro è anche no­taio, e gli avrebbe detto tutto. «Sa, io non voglio la­sciare i miei denari a quello scapestrato del mio ni­pote-. ». Scusi, neh? E' suo zio che parla. « E sAcèonie lei mi è simpatico e la sua signora è una brava donnina, intendo lasciare tutto al figliolo che le nascerà». «Al mio? Ma perché proprio al mio? ». «Perché siete delle brave persone, perché mi fate compagnia la sera venendo a giocarne a swadchi. E perché voglio far del bene a qual­e uno che se lo merita ». « Oh, ma grazie... Ma Dio k benedica... Ma lei è il nostro benefattore ». E tutti con­tenti. Invece che cosa ha fatto? A lèi, una canagliata, va bene. Ma quella, magari, gliela faceva lo stesso. E ai miei signori urna canagliata più grossa ancora: a doppio taglio. Mettere una pulce nell'orecchio al signor cavaliere, insudiciare il nome di questo povero tesoro... e costringere tutti e due a rifiutare l'eredità e a tro­varsi così a portata di mano una fortuna soltanto per vedersela sfumare sènza neanche averla goduto. E lei, facendo come ha minacciato stamane, sa cosa fa? Aiuta suo zio. Quello ha fatto una canagliata, ma lei fa una porcheria anche lèi, ècco che cosa fa.

Maurizio                        - (è visibilmente scosso: getta un'occhiata t Marta e si accorge che piange silenziosamentc. si gratta un orecchio, pensoso. Pausa. Poi, più debolmente) Per questo... anche se io non impugnassi il... chiacchiere qui in città ne farebbero lo stèsso... Scusi, sa, signora... Ma è inutile nasconderselo.»

Marta                            - (piangendo) Lo so, lo so... Ed è per questo che sono... (Con uno scatto) Ah, valeva la pena che io mi... E' ingiusta la vita! E' ingiusta!

Minghina                       - (le carezza il capo) Povera cocca.» Sia calma... si calmi... (A Maurizio con un altro tono) Le chiacchiere... Intanto le chiacchiere così, a vuoto, lasciano il tempo che trovano... Non è come quando c'è d'i mezzo uno scandalo... E poi... e poi... méttiamo che fossimo tutti d'accordo... anche lei... Dico: mettiamo... badi! Le cose, allora, sarebbero diverse. Facciamo conto, per esempio, che quella... buon’anima del suo signor zio... avesse la­sciato tutto a Maurizietto, ma nominando lei ammini­stratore del patrimonio fino alla maggiore età del ra­gazzo... Già la cosa cambierebbe aspetto, no? La fac­cenda sarebbe piana... liscia... regolare... La sua pre­senza nella questione darebbe una specie di garanzia di buona fede. Tutto sarebbe a posto e lei irà intasche­rebbe subito le sue brave centocinquantamila lire. Non le pare?

Maurizio                        - Non dico di no. Ma siccome invece...

Minghina                       - Signor Marchi... Guardi un po' bene que­sta 'cara donnina, qui. (Materna, si è messa accanto a Marta). Ma la guardi un po' bene! Le pare che questa creatura qui meriti di soffrire? Che questi occhi siano fatti per piangere? Lei è uno scapestrato, lo so, che pren­de la vita in ridere. Ma non è cattivo. Io l'ho capito. Non è cattivo. E magari è per questo che non andava d'accordo col suo defunto signor zio, il quale... Beh, adesso è morto e non si dovrebbe dire... ima, insomma, era un gran birbone: lo sa anche lei. E dunque?... Pensi un po' a questa dorami...

Marta                            - Non a me. Cosa vuoi che gliene importi di me? Ma pensi a Maurizietto... Che colpa ne ha di tutta questa roba quel povero piccolo? Perché vuole promuovere uno scandalo che ikuhinrebbe il mio figliolo, un giorno, a vergognarsi di me... Di me che non ho mai fatto nulla di male, signor Marchi, glielo giuro..

Maurizio                        - (un po' commosso, troncandole la parola) Ma no, signora... Lei non ha nulla da giurarmi! Io non ho nessun diritto di...

Marta                            - Non vuole proprio credermi? Le sembro davvero tanto cattiva, tanto bacata... Mi guardi bene!

Maurizio                        - (molto turbato, dopo un silenzio) Io sono un ragazzaccio, signora. Non oso neppure chiederle scusa.

Marta                            - (con un onesto sorriso) Mi fa tanto piacere, signor Marchi. Tanto... come non so dirle.

Minghina                       - (con involontaria espansione, battendo sulla spalla di Maurizio) Bravo, figliolo. Oh, scusi...

Maurizio                        - Prego, prego... (e seguita a fissare Marta con uno sguardo nuovo, tenero e rispettoso ad un tempo).

Minghina                       - E adesso... sì... adesso vado a chiamare il signor cavaliere... Vedrà che una via d'uscita si trova... Vedrà! (ed esce trionfante. Un silenzio).

Maurizio                        - La sua Minghina le vuol molto bene...

Marta                            - Povera donna... ci è così affezionata... (altra pausetta).

Maurizio                        - Se sapesse come sono vergognoso di aver...

Marta                            - (gentilmente) Zitto... zitto... Non ci pensi più.

Maurizio                        - (idem) ...Ma... non ci deve pensar più neanche lei...

Marta                            - (lo guarda, sorride, poi abbassa il capo) No. Le ho perdonato.

Maurizio                        - Allora... amici?

Marta                            - (con molta semplicità, ma con simpatia) Se vuole.

Maurizio                        - (suadente tendendole la mano) ... La mano?...

Marta                            - Ma sì... (gliela porge. Maurizio gliela bacia, forse un poco più a lungo del necessario, tanto che Marta, senza parere, gliela ritira).

Stefano                         - (entrando) Signor Marchi... Io... (è eviden­temente un po' incerto).

'Maurizio                       - (andandogli incontro) Caro cavaliere... Stamane sono stato un gran villano... Me lo lasci dire! Ho avuto torto. Sono qui per chiederle scusa. E per par­lare un po' con lei. Ho l'impressione che troveremo fa­cilmente una soluzione.

Stefano                         - Io non chiedo di meglio, creda... E m'au­guro che...

Maurizio                        - (con un rapido sguardo a Marta, stringendo la mano a Stefano) Stia tranquillo. Ho proprio l'im­pressione che ci intenderemo benissimo.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La stessa scena del secondo atto, senonchè sono pas­sati quindici anni. Perciò c'è qualcosa di cambiato: la tappezzeria, per esempio, la rivestitura dei mobili che pure conservano le medesime posizioni, oppure i quadri alle pareti. Insomma, c'è qualcosa di diverso in una sce­na che è rimasta la stessa. All’alzarsi del sipario la scena è vuota. Una scampanellata, e Maria, la domestica esce da destra, traversa e scompare dal fondo per rientrare poco dopo con un pacchetto).

Maria                             - (verso l'interno, con voce soffocata) Signora-Signora... E' arrivato un altro pacco per il signorino.

Marta                            - (entra: è invecchiata, naturalmente, ma ha con­servato la sua figura giovanile e la serena grazia del suo portamento. E' ancora, insomma, una donna piacente) Ancora? (è lietamente sorpresa). Vediamo... (disfa il pac­chetto: è una bella macchina fotografica). Oh, una Leica... E Maurizio che la desiderava tanto... (C'è un bi­glietto aperto: lo legge) « Al bel cuginetto a patto che ci faccia delle belle fotografie. Maddalena e Marcella ». (Parlato) Che care figliole... Maurizio sarà felice!

Maria                             - Quanti regali! Peggio d'una sposa!

Marta                            - (con un tenero orgoglio) Eh, cara mia! Il «ignorino compisce oggi ventun anno! E' una gran data per un maschio! Diventa un uomo!

Maria                             - E lei che cosa gli regala, signora?

Marta                            - E' una sorpresa... La deve portare il signor Marchi... Anzi, non ha telefonato?

Maria                             - Oh, sì... Scusi, m'era uscito di mente. Ha fatto telefonare stamane che lei era ancora in bagno. Ma l'ho detto al signor commendatore. (Riferendo la telefo­nata) Che è arrivato ieri sera tardi, che ha portato tutto e che alle undici al più tardi sarà qui.

Marta                            - Ah, bene. H signore dov'è?

Maria                             - Credo che sia in studio. Vuole che lo chiami?

Marta                            - No, faccio io. Vai in cucina, tu. E bada allo sformato di fagiolini che non si attacchi.

Maria                             - (uscendo) Non dubiti, signora (esce).

Marta                            - (verso l’interno, affacciandosi alla porta di de­stra) Stefano... Vieni a vedere il regalo di Maddalena e Marcella...

La voce di  Stefano      - Eccomi... (Dopo un attimo entra in iscena anche Stefano: un po' più calvo, un po' più grigio; e la sua abituale mitezza rasenta ora talvolta la svaporatezza. Ma, per il resto, è ancora lo stesso caro brav'uomo).

Stefano                         - Vedere... vedere... Uh, che bella! Proprio quella che Muzzi desiderava... Bella, proprio bella... Po­verine, ma sai che quest'aggeggio costerà a dir poco...

Marta                            - Eh, lo so, caro, lo so... Ma sai che Madda­lena per Maurizio... (e sorride maliziosa).

Stefano                         - Già... Beh, non mi dispiacerebbe mica, sai? Maddalena è una gran cara ragazza... bellina anche... E se Muzzi le volesse bene, sarei proprio...

 Marta                           - Ma va là, che c'è tempo... Maurizio è ancora un bambinone...

Stefano                         - Che fa il secondo anno di legge... Un bam­binone che fra tre anni sarà notaio come me... Fatti sentir da lui a chiamarlo così!

Marta                            - (gii un pochino preoccupata) Non vorrà mica sposarsi subito... che diamine... Starà un po' con noi...

Stefano                         - (bonario) Vuoi che si sposi anche lui a quarantotto anni come me? Va là, va là, se lo deve fare, meglio che lo faccia presto... (Ha ancora in mano la macchina, l'ha piazzata come per guardare dal mirino) Come caspita si fa con queste trappole? Non si vede un accidempoli.

Marta                            - Ah, caro... Io non me n'intendo.

Stefano                         - (brontolone) Ai miei tempi le fotografie le sapeva fare anche un bambino... Si schiacciava il co­sino... e tracchete... la fotografia era fatta e la potevano vedere tutti. Oggi, guarda qui... Un obbiettivo che pare una mitragliatrice... complicazioni che ci vuole un inge­gnere... E le fotografie vengono così piccole che ci vuole la lente per vederle...

Marta                            - Ma poi s'ingrandiscono, retrogrado...

Stefano                         - Bel gusto... Intanto se uno ci vede poco come me... (Sorridendo) Io, sì, che gli ho fatto un bel regalo... Ma, oh!, di quelli...

Marta                            - (assecondandolo) Beh, si può sapere, final­mente? E' un mese che ci tieni in sospeso.

Stefano                         - Tu mi hai voluto dire il tuo? No! E io non ti dico il mio.

Marta                            - Ma io non so bene quale sia il mio». Ci pensava Marchi... Eravamo incerti fra tre o quattro... E ho lasciato arbitro lui che ha tanto gusto e anche perché doveva andare in città...

Stefano                         - Beh, io... senza tanti consigli e consiglieri... Fatto! Indovina?

Marta                            - Non lo so... Mica roba sportiva?... Perché forse anch'io...

Stefano                         - Macché, macché... (Trionfante) Dieci gior­ni a Berlino!

Makta                            - Oh!

Stefano                         - (gongolante) Eh? E' un regalo sì o no?

Marta                            - Ma come hai fatto?

Stefano                         - Ho scritto a un'Agenzia di viaggi... c'era la reclame sul giornale. Dieci giorni a Berlino... Milleottocentonovantaciuque lire tutto compreso... Chissà perché, poi, milleottocentonovantacinque e non millenove­cento che in fondo è lo stesso... Ma, insomma, il prezzo era quello... Che dici? Sarà contento?

Marta                            - Sarà felice! Ma, intanto, noi staremo dieci giorni senza vederlo,

Stefano                         - Eh, beh! Non è mica un secolo! Come siete, voi mamme: esagerate! Ormai Muzzi è un uomo, la vuoi capire o no?

Marta                            - (sorridendo) A me vien da ridere che tu lo chiami ancora Muzzi a ventun anno...

Stefano                         - (oscurandosi) Cosa c'entra? L'ho sempre chiamato Muzzi... (Con tenerezza) Muzzi... Muzzetto... Il mio Muzzetto...

Marta                            - Sì, va bene... Ma adesso...

Stefano                         - (con involontaria bruschezza) E poi sarò padrone di chiamarlo come mi pare, no? In fin dei conti sono suo padre... (si interrompe, si calma, e in tono minore) Io lo chiamo Muzzi, ecco.

Marta                            - Oh, per me, caro... (Un breve silenzio).

Stefano                         - (pensieroso) Secondo te... Gliene parlo oggi?

Marta                            - Del viaggio?... Naturale, se il suo com­pleanno è oggi...

Stefano                         - Nooo. Il viaggio, si capisce. Ma... oggi è entrato nella maggiore età...

Marta                            - (comprendendo, seria) Ah! (Pausetta).

Stefano                         - (seguitando il suo ragionamento) Ormai deve decidere lui... Ha ventun anno... Stupida cosa la legge, però... Fino a ieri, no. Oggi, sì. Come se in venti­quattro ore... Che dici? Gliene parlo oggi?

Marta                            - Che vuoi che ti dica?... Fa tu.

Stefano                         - (imbarazzato) Fa tu... fa tu... E' una cosa delicata... Non vorrei sciupargli questo giorno di festa... E d'altronde, più presto gliene parlo... (Ripensandoci) Fa tu... E' facile cavarsela così, quando si chiede un consiglio... In questo, senti, benedetta la povera Minghina. Chiacchierona, mestatrice quanto si vuole, ma alme­no un consiglio te lo dava.

Marta                            - Povera Minghina! Gli ultimi anni non la potevi quasi più soffrire!

Stefano                         - Che c'entra... Aveva i suoi difetti, pace all'anima sua... Ma aveva buon senso da vendere. Negli ultimi anni spadroneggiava un po' troppo. Ma, già, tutte le persone di servizio, quando è un po' di tempo che... Però la sfoglia della pasta, come la tirava lei...

Marta                            - Beh, io non mi sento il coraggio di addos­sarmi la responsabilità della tua decisione. Ti ripeto... fa come vuoi. A me pare che non ci sia fretta...

Stefano                         - (subito) E invece c'è... Gliene parlo oggi. Subito! Subito! A me è una cosa che mi sta qui         - (indica la bocca dello stomaco. Suono di campanello interno). Che sia lui?

Marta                            - Non credo. Non c'è treni da Padova a quest'ora. Sarà Marchi. Ha detto che per le undici sarebbe venuto qui. (Maria esce da destra, traversa la scena e sparisce dalla comune).

Stefano                         - Povero Muzzi... Proprio il giorno del suo compleanno doveva aver l'esame di Storia del Diritto italiano!

Maria                             - (rientrando) E' il signor Marchi... (ed esce da destra).

Stefano                         - (cordialissimo, avviandoglisi incontro) Oh. avanti... Come va?

Maurizio--------------- - (entra dalla comune: invecchiato lui pure, ma sempre un simpatico uomo. Porta in una mano una sacca da golf nuovissima, chiusa nell'altra un piccolo pacchetto) Ciao, commendatore... Buon giorno, Marta.

 Marta                           - Buon giorno, Marchi... E così? Che cosa ha portato?

Maurizio                        - (depositando il pacchetto piccolo sul tavolo ed agitando la sacca) La sacca da golf      - Maurizio quest'estate al Lido la desiderava tanto... Guardi un po'. Le piace? (l’apre).

Marta                            - Bellissima. Io non me n'intendo, ma mi pare stupenda   

Maurizio                        - Stia tranquilla. Gliel'ho scelta io.

Stefano                         - (che la sta esaminando) Che, che lusso! Ma guarda se per una pallina così piccola ci vogliono tutti questi bastoni! (A Marta) Sarebbe il regalo tuo? Chissà che gioia...

Maurizio                        - (togliendo la carta all'altro pacchettino) E questo è il regalino mio... (è un portasigarette molto moderno).

Marta                            - Oh, che amore! Delizioso!

Stefano                         - (ammirativo) Oh, oh! Che eleganza... Che cos'è?

Marta                            - Un portasigarette, non vedi?

Stefano                         - Ah, ecco... Mi pareva... Ma con questa roba moderna non si è mai sicuri. Ti pare un calamaio... è un orologio. Ti pare un vaso da fiori... è un abat-jour... Questo è un portasigarette. Bello... Cos'è, argento e smalto?

Maurizio                        - Smalto e oro bianco. Grazioso, vero?

Stefano                         - Oro? Ma perché ti sei voluto disturbare...

Maurizio                        - Per carità... Piuttosto, credete che al gio­vanotto piacerà?

Marta                            - Vorrei vedere! E' una cosa talmente chic...

Stefano                         - (battendogli sulle spalle) Sei molto caro, sai?... No, no„. Lasciatelo dirc. sei molto buono. Non soltanto per oggi. Muzzi ti deve essere molto grato. Ti sei occupato di lui come un fratello maggiore.

Maurizio                        - E' un simpaticissimo ragazzo. Si sta bene con lui.

Stefano                         - Vero? Vero?... E' un figliolo in gamba. E poi intelligente... pieno di volontà... Sai che oggi ha voluto a tutti i costi dare l'esame di Storia del Diritto italiano con tutto che era il suo compleanno e che gli avevo detto io per il primo di lasciar correre? «Niente, niente - dice - , levato il dente, levato il dolore ». E si è alzato alle sei e alle sette era già in treno.

Maurizio                        - Già l'aveva detto anche a me. Giovedì scorso. E anch'io gli avevo detto come te, che non c'era fretta...

Stefano                         - Ah, ma Muzzi è un ragazzo che sa quel che vuole! Quando decide una cosa... Non è come me, Dio lo benedica! Io ho passato tutta la mia vita a ten­tennare, a.. Lui, invece... Quand'era piccolo (alla mo­glie) tu dicevi che aveva più testa lui di me. Beh, adesso è proprio vero... Ma sul serio!

Marta                            - Tu, poi, sei innamorato di tuo figlio!

Stefano                         - Eh, cara mia... Quando me lo vedo da­vanti, un pezzo di giovanottone sano e ridente... Sarà, magari, perché io ormai sono un povero vecchietto... Ma mi sembra di rinascere. E poi ha un cuore grande così...

Maurizio                        - (gaiamente) E in quello si somiglia a te!

Stefano                         - (sorridente, mite) Perché son troppo buo­no, eh?... Manica larga, vero?

Maurizio                        - No, manica larga, no... Ma qualche volta esageri, ecco.

Stefano                         - (crolla il capo) E' un'idea. Non si esagera mai a esser buoni.

Maurizio                        - Meno quando ci si piglia qualche suo­nata!

Marta                            - Ecco, bravo Marchi! Glielo dica anche lei! E' sempre stato così! Già, in questi' anni se ne è potuto accorgere anche lei.

Stefano                         - (mitemente insistente) Non si esagera mai. E anche se gli altri, a volte, «e ne approfittano e ti fanno qualche... Beh, tu, dentro di te, sei a posto. Hai la co­scienza tranquilla. Ma, scusate, vi par poca soddisfazio­ne potersi sempre dire: «Sono gli altri che hanno fatto il male. Ma io non c'entro! »? Io, per me, non domando di più.

Maurizio                        - (sorride affettuoso) Non so se ti devo am­mirare o compiangere...

Stefano                         - (come scacciando con la mano entrambe le cose) Io so che ti devo ringraziare. Oggi la missione che t'eri voluta accollare con un gesto tanto simpatico di solidarietà e di... Beh, io non so fare discorsi. Anche quando stilo un contratto per conto dei clienti mi costa una fatica improba... Le parole non sono il mio forte... Già, niente è il mio forte. Forse so voler bene, soltanto... Poca cosa, sai, coi tempi che corrono! Comunque, vo­levo dirti che ti sono, che ti siamo molto grati...

Maurizio                        - Non ne parlare neppure!

Stefano                         - No, lasciami dire. Allora ci hai tolto da... (si è oscurato in volto). Eh, allora, se non c'eri tu...

Maurizio                        - (gaiamente) E la Minghina! Perché buo­na parte del merito l'ebbe lei, povera donna!

Stefano                         - Povera vecchia, anche lei, sì... Ma tu hai dimostrato una comprensione, una gentilezza d'animo anche in quella occasione... E poi, durante tutti questi anni, sei stato ammirevole, ecco... Proprio ammirevole. Amministrare un patrimonio come quello non era fa­cile... E tu, invece...

Maurizio                        - (sempre leggermente) Ma va! Ci ho tro­vato il mio tornaconto, sai? Mi sono interessato a tante cose... Ho fatto degli affarucci anche per conto mio... Mi sono sistemato, quasi senza accorgermene. E dunque...

Marta                            - Sa che Stefano vuol parlarne oggi a Mauri­zio? (e, senza volerlo, guarda con una certa ansia il volto dell'amico).

Maurizio                        - (colpito) Oggi? Così... subito?

Marta                            - (a Stefano) Vedi? Sembra anche a lui...

Stefano                         - (con mite fermezza) No, no... abbiate pa­zienza, ma... Voi non siete me. Per me è una cosa... una cosa...

Muzzi                            - (entrando e gettando le dispense che ha in mano sulla sedia più vicina) Trenta e lode! (è un simpatico ragazzo, dal viso aperto e leale).

Stefano                         - Muzzi! Bravo! (e va ad abbracciarlo).

Marta                            - (idem) Caro! Ma con che treno sei arrivato?

Muzzi                            - Niente treno. Giancarlo d'Armiento aveva la macchina e mi ha accompagnato lui. Ciao, Maurizio. Dunque: trenta e lode! Siete contenti?

Marta                            - Che bravo! Sei proprio un tesoro!

Maurizio                        - (cordiale) Sei un asso! Io, ai tempi miei, quando rubavo un diciotto mi sentivo Leonardo da Vinci!

Stefano                         - Chi t'ha interrogato? Il Bertoli? Era mio compagno al liceo... Un somarone! E oggi insegna all'Università! Casi della vita! E che t'ha chiesto?

Muzzi                            - Diritto dei comuni. Mezz'ora mi ha tenuto sotto.

Stefano                         - Eh! I comuni sono la sua fissazione... Ci ha scritto dei volumi...

Marta                            - (al figlio) Bene, Maurizio... Tanti auguri d'ogni felicità... (e lo bacia).

Muzzi                            - Ah, già, che è il mio compleanno... Grazie, mammina...

Stefano                         - (prendendolo per le spalle) Figliolo mio... Sii sempre buono e bravo come sei stato finora... Io, ormai, sono vecchio (si commuove) e forse non potrò assistere...

Muzzi                            - (abbracciandolo) Pappone! E' così che fai gli auguri al tuo Muzzi?... Tu assisterai a tutto, invece, e in prima fila di poltrone... O preferisci un bel palco, che siete più comodi? Senti, se non ridi mi arrabbio, véh! (e si baciano).

Maurizio                        - (scherzoso) Ehi! Pssst! Libero? Finite le effusioni famigliari? E allora fatti abbracciare dal tuo più vecchio amico che ti augura tutto quello che vuoi... (Abbracci).

Muzzi                            - Grazie, Maurizio. Sai che ti voglio bene come a un fratello maggiore.»

Maurizio                        - (affettuosamente burlone) Tanto io non piango come papà... Io sono uno scapolacelo indurito e... (vedendo che Marta si asciuga gli occhi) Uh, guarda la mamma che ha il raffreddore!... Io gliel'avevo detto, Marta, di coprirsi...

Marta                            - (sorridente, vergognosa) Finitela, via!

Maurizio                        - E allora... Passiamo al capitolo regali... Osservino, signori, questa bellissima macchina foto­grafica... Non la daremo per cento, né per cinquanta, né tampoco per venticinque... La nostra ditta non vende ma regala... (altro tono) Vediamo chi è la ditta... (legge il biglietto) ce Al bel cuginetto a patto che ci faccia delle belle fotografie... Ditta Maddalena e Marcella »... (tos­sicchia scherzoso). Ditta specializzata in filarini ed af­fini... come si dice, bel cuginetto?

Muzzi                            - (molto soddisfatto) Oh, ma è bellissima... Come sono state carine!

Maurizio                        - E passiamo ad altro articolo!

Stefano                         - (ridendo) Che buontempone!

Maurizio                        - Una sacca da golf in pelle marrone, com­pleta con dodici ferri... offerta dalla ditta Mamma con raffreddore...

Muzzi                            - (abbracciando la madre) Oh, mammina, è troppo™

Maurizio                        - (pomposo) Un meraviglioso, stupendo, ineguagliabile portasigarette in oro bianco e smalto, prezioso lavoro della moderna oreficeria, opera di valore incalcolabile, offerto dallo stimatissimo signor Maurizio Marchi in un momento di megalomania...

Muzzi                            - (commosso) Maurizio... Grazie... Ma perché...

Stefano                         - Un momento... un momento... Ci sono anch'io... (Estrae di tasca una grossa busta commerciale) Splendida crociera di dieci giorni nella capitale germa­nica, con soggiorno in alberghi di prim'ordine, comprendente viaggio di andata e ritorno, alloggio, vitto, ingresso ai musei e mance al personale... Offerto dal notaio dottor Sandelli commendator Stefano...

Muzzi                            - (precipitandoglisi fra le braccia) Oh, questo, pappone... è il più bello di tutti!

Stefano                         - (fiero, con bonaria beffa agli altri) Visto? Pigliate su... (e col gesto che sogliono fare i ragazzi) Cicca, cicca!

Muzzi                            - (agli altri) Ma anche i vostri... E' troppo, ecco!

Marta                            - (ridente) Mica abituarcisi, neh! Oggi perché diventi maggiorenne...

Maurizio                        - (solenne) Oggi entri decisamente nella vita... (Altro tono, stringendogli la mano) Tutte le espres­sioni delle mie vive e sincere condoglianze!

Muzzi                            - (ride) Va, va... Che al mondo ci si sta bene... E tu sei il primo a dirlo!

Maurizio                        - Ah, ma io mi vanto di non aver mai preso un trenta e lode, però! Non sono una persona seria come te, io!

Marta                            - Non si faccia peggiore di quello che è, Marchi. (A Muzzi) Vorrei, invece, che tu un giorno di­ventassi come lui!

Maurizio                        - Maurizio, sorveglia tua madre... Oltre che il raffreddore deve avere la febbre... Delira!

Muzzi                            - Tu sei un civettone... Ti butti giù per sen­tirti fare i complimenti... Come quando la mamma rac­conta a tutti che ha quarant'anni... Perché sa che non li dimostra, con quel faccino e quella figurina...

Marta                            - Maurizio, sciocchino!

Maurizio                        - Senta, Marta, Maurizio ha il torto enorme di prendere dei trenta e lode, ma in quanto a lei ha proprio ragione... Lei è tale e quale a quando l'ho cono­sciuta io per la prima volta... Mi par ancora di vederla, seduta là, col suo ricamo in mano.

Stefano                         - Muzzi... (In questo frattempo è rimasto pensoso). Muzzi, caro... Devi perdonare al tuo papà se ti attacca un grosso bottone proprio oggi... Ma devo pro­prio farlo... Abbi pazienza!

Muzzi                            - Figurati, pappone... Dimmi...

Stefano                         - Sì... (Una pausa, poi agli altri) Vi fa niente se noi andiamo di là in studio?.» Tanto voi sapete di che si tratta… Ed è meglio che Muzzi... Eh, ci scusate, vero? Vieni, figliolo… (lo prende sottobraccio ed escono insieme da destra. Una pausa. C’è un'ombra di malin­conia scesa sui due che son rimasti. Marta macchinai-mente ha preso un lavoro e si è seduta sulla poltrona che Maurizio ha indicato poc'anzi).

Maurizio                        - (che ha acceso lentamente una sigaretta, come scuotendosi) Ah™ Le ho portato anche dei libri... E i figurini che mi aveva detto. Li ho giù in macchina, perché con la sacca da portar su non po­tevo... Glieli vado a prendere... (fa per avviarsi).

Marta                            - No. Dopo. Ora stia qui. Mi scusi. Ma siccome so nello che Stefano dice in questo momento a Mau­rizio... mi sento un pochino... Se lei sta un po' qui con me, preferisco. Mi sento meno sola.una sciocchezza, vero.

Maurizio                        - La capisco. Stefano vuol parlargli di... (Marta annuisce). Già. E' così... E' finito.

Marta                            - Che cosa è finito?

Maurizio                        - Il mio compito qui.

Marta                            - Perché? Se Maurizio accettasse, benché ora sia maggiorenne, non potrà mica amministrare lui... E Stefano, lei lo sa, non è fatto per certe cose...

Maurizio                        - (dopo un piccolo silenzio) Maurizio non accetterà. (Spiega). Lei sa che Maurizio ha molta confi­denza in me... Forse perché sono più giovane del suo papà... E forse anche perché sono soltanto un amico... Ebbene... ne abbiamo parlato insieme... Anche questa estate, quando andammo insieme, io e lui, al Lido...

Marta                            - E...?

Maurizio                        - Non mi ha detto nulla di preciso. Ma ho capito ugualmente che aveva deciso di non accettare l’eredità. Perciò... il mio compito è finito.

Marta                            - (atona) Ah! (Un silenzio). Ma... ci vedremo lo stesso, vero? Ci verrà a trovare?

Maurizio                        - (amaro)      - Sì... Una volta ogni tanto... Ogni due o tre mesi... E magari l'estate passare una ventina di giorni assieme in montagna, vero? (Quasi con bru­schezza) No.

Marta                            - (involontariamente supplice) Perché?

Maurizio                        - Perché no. (Un silenzio). M'ero abituato a... Quasi tutte le settimane ero qui, per due o tre giorni... Voi mi volevate sempre qui, a pranzo, a cena... M'avevate dato perfino un salottino che mi serviva da studio... Lavoravo qui... Poi, si chiacchierava... Lei mi dava le commissioni per quando andavo in città. E così, anche quando ero via, mi portavo dietro un po' di... E adesso, invece, passare giorni e giorni' senza... (Ripete brusco) No. (Altro silenzio, poi tutto ad un tratto) Perché sono innamorato di lei, Marta.

Marta                            - (chiudendo gli occhi) Che cosa dice, Mar­chi... La prego!

Maurizio                        - (che ormai ha bisogno di parlare) Non gliel'avrei detto, sa? Non gliel’avrei detto mai, se ora non si trattasse di lasciarla, di perderla! Oh, è sciocco, lo so, dirle tutto questo adesso... coi capelli grigi. Ma- Marta- (c'è quasi una commozione in lei, benché dica) Ob, Marchi! Speravo che lei avesse capito che.

Maurizio                        - (dolcemente, malinconicamente) Ho ca­pito. Ho capito tutto. Quella «era, la sera che venni qui per la prima volta... E’ una brutta cosa che sto per dirle, Marta... Ma lei mi perdonerà... Quella sera, quando de­cisi di accordarmi con

Stefano                         - io lo feci con l'inten­zione di rifarmi con lei... Vede, glielo dico brutalmente, crudamente, senza adoperare perifrasi... com'era cruda e cinica la mia intenzione. E invece» Marta... Deve dirlo anche lei: le ho mai mancato di rispetto? Ho mai pro­nunziato davanti a lei una frase meno che deferente... meno che devota?

Marta                            - Mai... E’vero... Ed è per questo che... Sen­tirla parlare così adesso...

Maurizio                        - Adesso... adesso è finita. Quindici anni, Marta... Quante volte avrei potuto... C'erano delle sere in cui lei era... Una sera, guardi... Sei anni fa... Le rac­contavo di Vienna... del Prater... dei valzer... delle don­nine di lì... Erano i primi di giugno... eravamo sul bal­cone, si ricorda? C'era una luna rossa come il sangue... A un certo punto tacqui... E lei rovesciò il capo sulla spalliera della sedia a sdraio... con gli occhi chiusi... come adesso... « Ecco - io mi dissi - ora la bacio. Ora le prendo le mani, quelle sue mani bianche e sottili... E le dico tutto il mio amore... ». E mi batteva il cuore come un collegiale... A un tratto lei si alzò e disse: « Vado a vedere Muzzi se dorme... Aveva un po' di tosse ieri notte... ». E andò nella camera accanto. Dai vetri della finestra che si apriva sullo stesso balcone la vidi chinarsi sul letto del suo figliolo che dormiva, aggiu­stargli le coperte e baciarlo in fronte... Era una mamma. Tutta la purezza, tutta la poesia, tutta la bellezza di quella parola mi tornò alla mente. (Con molta dolcezza) La mamma... (Crolla il capo) E, come quella, venti volte, cento volte, non ebbi il coraggio di turbare la serenità che aveva finito con l'entrare in me, nella vita mia... Mi accontentavo di starle accanto, di udire le sue confi­denze, di farle le mie... Una cara, dolce, amorosa abitu­dine che non osavo rischiar di turbare... E ora è finita.

Marta                            - (involontariamente) Maurizio... Non vada via (gliel'ha detto adagio, come se temesse lei stessa delle proprie parole, ma, appena dette, le ripete con più intensità) Non vada via... Non può andar via... Io... Anch'io m'ero abituata a... Non mi guardi così!... Ma era mi giovane... era il primo giovane che mi stava accanto... Lei mi ha parlato di tante cose che... Con lei è entrata un'aria nuova... un respiro nuovo... Non capivo... Non sapevo... E forse non osavo capire... Ma ora... ora che dovremmo... Avevo paura, sì. Avevo paura... Quella sera come tante altre sere... Ho voluto io mettere qualche cosa fra lei e me... Per paura che lei parlasse... Per paura che se lei avesse parlato... se lei mi avesse...

Maurizio                        - (felice, le prende le mani) Marta!

Marta                            - (sperduta, spaurita) No... no!... Non bi­sogna... Siamo stati coraggiosi... siamo stati onesti... Non bisogna, adesso

Maurizio                        - ( baciandole le mani, attirandola a sé) Che importa! Che importa... Se anche tu mi vuoi bene...

ÌMabta                          - (debolmente) No.„ No... (Si baciano, poi teneramente, ma un po' tristemente) Che pazzia!... Ora che siamo vecchi

Maurizio                        - (baciandole le mani) Vecchia tu? Con quel sorriso?... Con quella bocca? E in quanto a me... Ti proibisco di pronunziare ancora una volta una pa­rola così vuota di senso

Marta                            - (crollando il capo) E? una pazzia... E' una pazzia...

Maurizio                        - (gaiamente) E va bene! Siamo pazzi... Sai com'è bello essere pazzi! I pazzi non invecchiano... (Serio, tenero) Ho deciso! Mi stabilisco qui!

Marta                            - No, no..,

Maurizio                        - Ah, non ti lascio più! Compro la vil­letta sulla circonvallazione, quella dello zio. (Ripen­sandoci) Ah, lo zio! Chissà come si rode lassù... o lag­giù, perché quello è certo laggiù... Sperava chissà che con il suo famoso testamento. Aveva ragione la povera Minghina. Una canagliata a te e a me... E invece!... Sono felice io e sei felice tu... Vero? (Implorante) Vero?... (Senza aspettare la risposta) Tu!... Com'è bello dire tu... finalmente. Di « lei » ce ne possono essere tante... Ma di « tu » non ci sei che tu... Prova a dirmi « tu »... Prova...

Marta                            - (sorridendogli, tentennando il capo) Mau­rizio!

Maurizio                        - Sicuro. Mi stabilisco qui. Tanto ci ho già comprato delle terre... Perché tu, signora, mi hai anche insegnato a lavorare... a guadagnare... ad occuparmi... E' bella, sai, la terra!... Quando se ne raccolgono i frutti... e ripenso che quel suolo, quelle zolle sono cosa nostra... Non credevo che desse tanta ebbrezza!

Stefano                         - (entra: è felice, sembra ringiovanito) Marta... Ho parlato con Maurizio. Ha detto di no. Ri­fiuta. Capisci?... Rifiuta!

Marta                            - Lo immaginavo. Marchi mi aveva detto che Maurizio gliel'aveva fatto capire.

Stefano                         - Sì, eh? E io lo speravo, lo speravo!... Povero figliolo... Dice che qualche suo compagno... ra­gazzacci, si sa... Perché non è vero che a quell'età non si capisca... Bisogna essere cattivi d'animo!... Beh, dice che qualche suo compagno aveva fatto delle allusioni alla faccenda dell'eredità... Lui da principio non aveva neanche capito bene... Ma poi, un po' qui... un po' lì... Finì per capire anche troppo...

Marta                            - (colpita) Oh, che brutta cosa!

Maurizio                        - (iroso) Mascalzoncelli!

Stefano                         - Poverino... Ti puoi figurare come deve aver sofferto... E non ha mai detto niente... Almeno a me, non so se a te...? (a Maurizio).

Maurizio                        - Mai, ti assicuro... Io avevo capito che qualche cosa del genere doveva essere accaduto... Ma era una cosa troppo delicata per...

Stefano                         - (grato) Hai fatto bene sei molto caro. Ma intendo lui, poverino... Con quell'idea... E allora ha deciso di rifiutarla... Dovevi sentirlo. Mi ha parlato proprio come un ometto. Che bravo figliolo!... Ma sì, ma sì... che vadano pure dove vogliono quei denari... Non ne abbiamo mai avuto bisogno, del resto... E ora, soprattutto, grazie alla fortuna che ci ha assistito, ne abbiamo bisogno meno ancora... Via! Via! Vadano via... (si frega le mani felice, poi accorgendosi che i due lo guardano un po' sorpresi) Beh, sì! Sono felice... Perché per me vuol dire... Quando Muzzi, il mio Muzzi mi ha parlato così... E mi ha detto tante cose... tante belle cose, buone, affettuose... Io l'ho sentito proprio mio... Sangue mio... carne della mia carne... Mio, insomma! Mio! Ah, non ve lo potete figurare che cosa significhi! (E’commosso, fa una rapida carezza sul capo a Marta) Povera donnina, anche tu... Cara!... Lo so che sono ridicolo, lo so... Ma tutti questi anni... Non dubitavo, no... Ma era come una spina... Avevo un bel dirmi che non era possibile, che tu eri... Certe volte... Sai, non ti so dire... Mi guardavo allo specchio... Mi vedevo com'ero... Così scialbo, vecchio... Oppure quando tu dor­mivi... Ogni donna che dorme sembra una bambina... Ma tu, poi... quando i tuoi riccioli ti fanno da aureola... con quella tua pelle così rosa... Sembri ancora più i giovane, ancora più bambina... E ti stavo accanto così...E allora quel testamento mi ritornava alla mente e mi faceva male, male come... (si asciuga gli occhi, ra­pido, e poi) E invece, no! Tu sei la mia buona, la mia ' onesta, la mia cara mogliettina... Lo sei sempre stata... Hai sempre voluto bene a questo vecchio matto... (A Maurizio) Eh, tu sei giovane e non puoi sapere come sia triste invecchiare... Non per sé, sai... Per gli altri,  per quelli che ci stanno vicino. Offrire a chi ci vuol bene lo spettacolo pietoso della nostra decadenza…. Per forza si diventa sospettosi, ombrosi, diffidenti... Anche se si ha vicino un amore di donna come questa. E’ tanto buona, sai?... Tanto!

Marta                            - (confusa, turbata) Stefano...

Stefano                         - (giocondo) Del resto, Maurizio ti conosce, vero? Ti devo dire una cosa, Maurizio... Una cosa che I ti farà ridere. Dapprincipio, le prime volte che tu venivi in casa... ero un po' in pensiero. Capirai, Marta era giovane... Tu, oltreché giovane, ti conoscevo come mi donnaiolo, uno scapestrato... Sai, a metter l'esca accanto al fuoco, si faceva presto, a... Beh, ti chiedo scusa! Ti sei comportato sempre come un gentiluomo…. meglio ancora: come un galantuomo. Sei stato un vero amico. Sì, va bene. Tu alai le spalle perché a te è parsa una cosa normale... E questo depone a favore della tua coscienza. Un altro sai che cosa avrebbe fatto?... Ecco, E per me sarebbe stato il crollo definitivo. Sarebbe  stato orribile... Perché io le voglio bene, alla mia Marta... (Alla moglie) Forse non te l'ho mai saputo dire... e neanche dimostrare... Sai, a una certa età a metterci a fare i Floriridi si ha paura del ridicolo. Ma... tu e Muzzi siete tutta la mia vita, ecco. (A Maurizio) Tu ci scusi, vero? Ti faccio fare da terzo incomodo. Ma perché ti considero come uno di famiglia, ormai. Ah, si., Perché l'ho detto anche a Muzzi: tu ormai devi rimanere con noi. Ti è troppo affezionato anche lui. Staremo tutti insieme, va bene?

Maurizio                        - (che durante tutta la scena ha gettato di tratto in tratto dei lunghi sguardi a Marta, ora le lanciato un'ultima occhiata: l'ha vista a testa bassa, per nascondere le grosse lacrime che le rigano il volto; e allora, dopo una pausa, dice con un tono malsicuro) Ti ringrazio, caro.» Ma ho l'impressione che la cosa non sia possibile. (Marta rialza il capo e lo guarda).

Stefano                         - (spiacente) Oh, e perché?

Maurizio                        - Perché… (Falso, con allegria forzata)  perché io non sono abituato a vivere in una città come questa... una vita borghese e quieta come questa...

Stefano                         - (interdetto) Ma... io credevo... Tutti questi anni...

Maurizio                        - (c. s.) Tu... tu sei tanto un caro uomo, ma sei un po' egoista. Ti trovi bene tu, e credevi che stessi bene anch'io. Quante volte ti ho detto se venivate a stabilirvi in città? Hai sempre detto di no, che non ti ci saresti trovato. E così hai costretto me a...

Stefano                         - (sincero) Mi dispiace... Se avessi saputo...

Maurizio                        - (forzando i toni del proprio cinismo) Caro mio, c'era poco da fare... Ormai avevo accettato e dovevo seguitare... Ma caro il mio commendatore, mi pesava, sai! Non era roba per me.

Stefano                         - (umile) Abbiamo cercato di...

Maurizio                        - (con falsa indifferenza) Lo so e ve ne ringrazio... Ma non ci siete riusciti. N,on è la vita per me. Ora, se Dio vuole, è finita. Ridivento libero cit­tadino... Ah! Tiro un respiro! Tu hai voluto parlare subito a tuo figlio... Beh, vuoi saperlo? Io dentro di me avevo paura che tu volessi aspettare ancora.

Stefano                         - (avvilito) Oh!

Maurizio                        - Non te ne avere a male, ma... proprio non ne potevo più. Ora di me non avete più bisogno e io me ne posso andare tranquillamente...

Stefano                         - (sinceramente spiacente) Oh... Marta, va là, diglielo tu, che non faccia così...

Marta                            - (che ha guardato Maurizio con molta tenerezza perché ha capito l’onestà del suo gesto, dice con molta emozione) Credo che Marchi abbia ragione. Il suo posto non è qui.

Maurizio                        - (con serietà e malinconia) No. Non è qui - (e volgendosi a Stefano con molto affetto) Addio, Ste­fano... (e gli tende la mano).

Stefano                         - Ma come? Non ti fermi neanche a cola­zione?... E' la festa di Muzzi...

Maurizio                        - Senti, caro... Me n'ero dimenticato... (Si capisce che mentisce) Devo far colazione con un amico che avevo portato in macchina con me... E poi devo ripartire subito... Abbi pazienza...

Stefano                         - Eh! Ma almeno a colazione...

Maurizio                        - (ancora una occhiata a Marta) ... Una colazione più, una colazione meno... Che fa?... Tanto...

Stefano                         - Ma, dico, ci vedremo ancora... Capiterai qui ancora... Non fosse che per il trapasso dell'ammini­strazione... Ci saranno tante formalità col Brefotrofio...

Maurizio                        - Ah, già... Hai fatto bene a ricordarmelo... Guarda, faremo così... Siccome io vorrei farmi un bel viaggetto... Farò una procura ad un mio amico ragio­niere... Ti scriverò poi il nome... Verrà lui...

Stefano                         - Sia pure... ma quest'estate, almeno...

Maurizio                        - Sì, ecco... Quest'estate... se potrò... Se sarò libero...

Stefano                         - (amaro) Insomma... vuoi proprio liberarci della tua presenza...

Maurizio                        - (grave) Ecco, proprio». Liberarvi. (Ripi­gliando il tono forzatamente gaio) E liberarmi!... Ciao, vecchio. (Senza avere il coraggio di guardarla in viso) Addio, Marta.

Marta                            - (con un fil di voce) Addio, Maurizio. (Egli le bacia la mano, la conserva un attimo fra le sue... Sparisce. Un silenzio. Stefano è rimasto male. Guarda Marta: la vede immobile, con gli occhi fissi nel vuoto).

Stefano                         - Cos'hai? Sei un po' triste?...

Marta                            - (a fior di labbra) No.

Stefano                         - Ti capisco... (E, quasi fra sé, sinceramente addolorato) Però... quel Marchi... non lo credevo così ingrato!

FINE