I vecchi rivali

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COMMEDIE

DI

JACOPO ANGELO NELLI

E notizie sin ora da me raccolte intorno a Jacopo Angelo Nelli sono poche e non tutte ben certe. Gli storici della nostra letteratura o non fanno di lui menzione o ne toccano di volo; Siena, sua città natale, ne serba scarsi ricordi. E nondimeno fu uomo di molta e varia dottrina ed erudizione, conversò o carteggiò familiarmente coi più ragguardevoli scienziati e letterati dell' età sua, quali i famosi abati Carli e Pasquini, il Gigli, il Sergardi, il Bsnvoglienti, il Fontanini, il Brancadori, il Capassi, il Lancisi, PAgazzari, il Marmi, il Forteguerri; e di quasi tutti fu intimo, specialmente in Roma, dove fece per molti anni dimora.

Compi, secondo si crede, il Vocabolario Cateriniano, lasciato interrotto dal Gigli alla parola: Raguardare; scrisse prose, sonetti, capitoli bernieschi, ebbe lode di poeta estemporaneo, compose una tragedia e insino una grammatica della lingua italiana. Nella commedia poi, come fu il più prossimo tra i percursori del Goldoni, cosi anche di gran lunga il più notabile; e tra i seguaci del teatro molieresco il meno servile, si che riusci quasi sempre originale e strettamente italiano. Ha lo stile comico spigliato, lucido e puro, il dialogo naturale e vivace, l'intreccio, se non peregrino, per lo più franco e verisimile: la pittura de' caratteri felice. Spesso, ahimè troppo spesso, urta nella farsa, ma abbonda di scene condotte con singolare maestria ; non rifugge da scherzi ed equivoci grossolani, ma d'ordinario è gentilmente arguto. La sua lingua infine è schietta, salvo qualche rara maniera che ai puristi non garberà forse del tutto, e tanto ricca, duttile e graziosa, da essere assai difficile l'emularla nella commedia, il superarla a pena possibile. Al signor professore Giosuè Carducci, che pensò a promovere questa ristampa e all'ardito editore Sig. Zanichelli debbono quindi aver obbligo gli studiosi che più non resti quasi sepolto in qualche biblioteca tanto tesoro, massime oggi che l' arte di scrivere ha grande bisogno di ritemprarsi alle antiche fonti, senza per questo cessare d'esser moderna. E glie ne saranno sopra gli altri riconoscenti gli autori drammatici, i quali vedranno quanto sia falsa l' opinione di chi afferma non avere l' Italia una lingua adatta al dialogo comico, si che sia forza ricorrere a quella de' cinquecentisti, dove pur e' è tanto da studiare e da scegliere, o portare su la scena una specie di gergo che non è nostro né di nessun popolo.

Ma tornando alla vita del Nelli, l'egregio Signor Dott. Curzio Mazzi ne trovò, fra i manoscritti della biblioteca comunale di Siena, un cenno brevissimo nella Raccolta biografica d 9 illustri Senesi, lavoro di Ettore Romagnoli; e l'illustre Sig. Comm. Luciano Banchi e il valente bibliotecario Sig. Dott. Fortunato Donati fecero per me altre scoperte non certo inutili né di poco momento, non però tali da acquetare chi tenti ritrarre la gaja e bonaria figura dell'abate commediografo. Sino la data della sua nascita, non sicura per alcun documento autentico, può essere messa in dubbio, perché, raffrontata a quella più certa della morte, mostrerebbe che il brav' uomo vivesse novantasei anni, longevità poco credibile, anche in un abate del settecento. Né mi sono mancati altri validi aiuti a siffatte indagini, e ne ringrazio cordialmente in primo luogo V insigne bibliografo bolognese sig. Dott. Alberto Bacchi Della Lega, poi alcuni amici carissimi: il Can. D. Gaetano Teloni, che mi donò anche il primo tomo delle' Commedie edite in Milano dall'Agnelli nel 1762; il Dott. Giovanni Federzoni e V Avv. Augusto Franchetti, dei quali misi a dura prova l' affettuosa pazienza. Mi sovvennero ancora d' informazioni i Signori Professori Isidoro Del Lungo, Giacomo Zanella, Pietro Canal, Fabio Nannarelli e Domenico Gnoli; l'eruditissimo Dott. Eduardo Alvisi, il dotto Sig. Co. Francesco Fiorenzi di Osimo e il notissimo bibliografo mantovano Sig. March. Ippolito Cavriani. Ancora il Comune di Siena mi diede ogni agio di consultare la sua ricca collezione di manoscritti, e il sindaco Signor Banchi su nominato anche le sue proprie, fra le quali, notabilissima quella già del Borghesi da lui ereditata. Mi fu altresì consentito di ricopiare, traendole dalla biblioteca senese, tre commedie cercate invano, ch'io sappia, insino ad oggi, e un bel numero di lettere autografe del Nelli o al Nelli. E tuttavia le cure amorevoli di tanti valentuomini e la mia diligenza non diedero quel frutto ch'era da sperarne. Quanto poi alle opere stampate del Nelli, io non ho potuto veder altro che le sue commedie, e pur troppo non tutte. Nella Bibliografia dei testi di lingua a stampa citati dagli Accade* mici della Crusca, opera di Luigi Ra^olini ed Alberto Bacchi Della Lega (Bologna, Romagnoli, 1878.) si citano due raccolte di esse commedie, Tuna, cioè l' edizione principe, incominciata in Lucca nel 1731, ripigliata in Siena venti anni dopo, poi interrotta di nuovo per quattro anni, e da ultimo condotta sino al volume sesto; l'altra uscita nel 1762 a Milano dalla tipografia dell'Agnelli in cinque volumi, contenenti le commedie, che sono ne' primi cinque dell' edizione Lucca-Siena, e solo mancanti di tre lettere dedicatorie. Se non che io ho ragione di dubitare che l'edizione senese non procedesse oltre al tomo quinto, e che il sesto non sia altro che il primo di una nuova incominciata a Lucca nel 1765, e rimasta proba bilmente in asso. Infatti questo tomo primo contiene appunto le commedie che la detta bibliografia assegna all'ultimo della prima edizione; ed ha il numero di pagine, il sesto, la data e il nome del tipografo, Filippo Maria Benedini, quali sono in essa descritti. Che se si ponga mente come il frontispizio non abbia numerazione di tomo, e soltanto in fondo all' ultima pagina del volume si legga: Fine del primo tomo, si dovrà forse concludere che era facile cadere in si lieve errore, e che ormai è cosa inutile il cercare più oltre un volume che pare non sia mai esistito; rallegrandosi di averne il contenuto in questo da me per grande ventura trovato. Ma d' altra parte lo stesso Nelli, in una lettera del 23 febbrajo 1756 all' Ab. Carli, cosi discorre dell' edizione Lucca-Siena : « Mi suppongo che Ella sappia che il primo tomo fu stampato in Lucca; e perché di questi non se ne trova più, lo stesso Rossi ne promette assolutamente la ristampa. ! Il secondo, stampato dal medesimo,  può aversi, volendosi. Il terzo e il quarto sono gli stampati ultimamente, 3 il quinto si stampa Tenne poi la promessa? Ai bibliofili la risposta. al presente, e si anderà continuando sino all' ottavo. » Ma il fatto è che il quinto fu pubblicato soltanto due anni appresso, si che avea ragione l’Autore di scrivere: « Questo stampatore Rossi si piglia poca briga di stampare con sollecita* dine le mie commedie, delle quali in un anno e mezzo non ne ha stampati che due tomi 1 , di tre commedie per ciascuno; e ciò perché troppe cose intraprende a fare. 

Oltre a ciò l'Allacci nella Drammaturgia cita un tomo settimo delle commedie, il che dimostrerebbe all'evidenza che vi fu un tomo sesto; ma, siccome gli assegna la data del 1755, anteriore di due anni a quella del tomo quinto, convien dire ch'egli abbia errato o nel citare il tomo, siccome io credo, o nel citare la data.

Infine ho sott' occhi il Manifesto, col quale il Rossi « avvisa a' letterati d'Italia avere in punto per metter sotto il torchio le Commedie inedite del Sig. Jacopo Angelo Nelli, che da molte parti vengono richieste da coloro, che hanno veduto e gustato le altre sei stampate in due tomi del oc medesimo; il primo in Lucca dal Marescandoli, del quale non se ne trova più in vendita, ed il secondo in Siena più modernamente dallo stesso Francesco Rossi. Queste che si promettono saranno quindici, che comporranno cinque tomi in dodici, e saranno tre commedie per tomo, conforme agli altri già stampati. Annunzia quindi P ordine con che saranno pubblicate, che è differentissimo da quello veramente seguito; onde, non potendosi supporre che siano uscite in luce da una stessa tipografìa due edizioni del Nelli nello stesso tempo, si dee credere che P Autore le ordinò poi altrimenti, né è cosa del tutto improbabile che P edizione giungesse, come prometteva il Maniiesto, al tomo settimo. Certo è che in quelP annunzio sono ricordate quasi tutte le commedie da me cercate in vano, cioè: V amante scaltra, Il Misantropo disingannato, Il mondo alla rovescia. Gli Sposi travestiti, Il Gentiluomo prudente; e vi mancano solo: / Duelli sti^ V Accademia delle false dame, I Ripieghi amorosi o La Dama scaltra: se pure non sono una cosa stessa / Duellisti e / Vecchi rivali, U Accademia delle false dame e La Dottoressa preziosa, I ripieghi amorosi e L'Amante scaltra. Se quindi l'edizione fosse mai stata compiuta, con quale ordine non importa, e se qualche copia fosse scampata al singolare naufragio delle commedie nelliane, poco o nulla mancherebbe alla loro piena resurrezione. In tanta scarsità di notizie biografiche e bibliografiche sarebbe temerità poco scusabile il voler discorrere de' casi e delle opere del Nostro, senza tentare nuove indagini. Per che, seguendo anche in questo il savio consiglio del Sig. Prof. Carducci, al quale mi lega infinita gratitudine, ho divisato differire ad altro volume la pubblicazione degli studi, quali essi siano, da me fatti sul Nelli, ed eccitare frattanto la cortesia degli uomini di lettere e degli eruditi a volermi comunicare quanto possa valere a darmi luce e conforto. Cosi, se il mio lavoro non riuscirà, pur troppo, degno del soggetto, non si dovrà almeno imputarne ad altro che alla mia insufficienza la colpa.

Mi resta a dire delle norme che ho tenuto e terrò in questa ristampa.

Il testo da me seguito è quello della edizione Lucca-Siena per le prime quindici commedie, per le tre ultime quello della lucchese: ma ho corretto qualche rara volta la prima con la edizione Agnelli, dove mi parve necessario, notando a pie di pagina le varianti. Né ho stimato dover tenere altro ordine da quello della prima stampa, fatta,, senz' alcun dubbio, sotto gli occhi dell' Autore. L' ortografìa ho conservata qual era, quando non m' abbattei a errori tipografici manifesti. Tuttavia mi parve scrupolo pedantesco, del quale non mi avrebbe saputo grado il lettore, mantenere le majuscole dove l'uso moderno a ragione le vieta; rispettare sempre, anche a costo della chiarezza, la punteggiatura disuguale e trasandata dell'Autore ; lasciare accenti e apostrofi dov' erano al tutto fuor di luogo, né porre gli uni e gli altri a loro posto, seguendo per quelli la pronunzia toscana, per questi l'ortografia moderna. Ma d'altra parte non mi è parso di aver diritto a scrivere diversamente da quel che allora si usava e da taluni si usa ancora, certe parole ; come jeri, noja, studj, doppo, ohibò e molte altre; e quelle che l'autore scrisse in modo singolare forse per ragione di prònunzia o di dialetto. Siccome poi il Nelli scrive non pochi vocaboli ora in una maniera ora in un'altra, cosi, quando l'una di esse mi sembrò erronea usai sempre la buona, quando l'una e l'altra fossero accettabili, le lasciai quali erano. Però si troverà ad esempio: obligare e obbligare, roba e robba, soprafare e sopraffare, incomodo e incommodo, caminare e camminare, e sr vedranno ora divise ora no le preposizioni articolate.

Ho aggiunto al testo note brevissime, e soltanto dove mi parvero strettamente necessarie a dichiarare qualche parola o frase difficili a intendere dai più anche con l' ajuto de' vocabolari. Resa cosi ragione dell' opera mia, auguro sì lettore benevolo, e vada anche per il malevolo, perché l'augurio non sia ristretto a pochissimi, la vita singolarmente lunga, che, sino a prova contraria, dobbiam credere che toccasse allo spiritoso e bizzarro abate senese.

Jesi, 26 maggio 1883.

Alcibiade Moretti.


I VECCHI RIVALI

commedia Del Signor Dottore Jacopo Angelo Nelli.

LETTERA DELL'AUTORE

all' illustrissimo signore

UBERTO BENVOGLIENTI.

Illustissimo Signore,

ENCHÉ abbia V. S. Illustrissima veduta

rappresentare qui in Siena, nel passato

carnovale, da' nostri Accademici Rozzi la mia com-

media de' Vecchi rivali, da me antecedentemente

composta, come la Moglie in calzoni, pel solito

divertimento di villeggiatura nella castellina del

Chianti; ho desiderato ch'Ella la veda ancor sot-

tocchio, e nella sua vera ed ingenua produzione,

perché possa darmene più accertato il suo senti-

mento: poiché, oltre all'essere questa, nella se-

conda rappresentazione, stata alterata e troncata

in più luoghi, io* sono di parere che il rumore, le

risa e le distrazioni in un pieno teatro impedi-

scano ad un critico di poter fare tutte giuste le

più minute osservazioni sopra dell'opera che si

rappresenta, per poterne dare con sicurezza il

giudizio.

Da ciò mi do a credere sia proceduto, che

molte eccezioni siano state date a questa mia

commedia da alcuni critici (parlo di quei, che

meritano sia fatta di loro qualche stima,. nulla cu-

rando degli altri) le quali sono o deboli assai, o

del tutto insussistenti, esaminate che siano a buon

lume, e sulla vera tessitura della commedia. Quanto

poi ad alcune altre, che sono ragionevoli, o almeno

hanno apparenza di esser tali, ho creduto dover

far loro qualche risposta, confessando ingenua-

mente, o scusando quegli errori che non ammet-

tono replica, o difendendo gli altri, che son cre-

duti tali senza esserlo. La prego dunque di vedere

e la commedia e queste mie risposte, e dirmene il

sincero sentimento suo, del quale ho sempre fatto,

e farò sempre gran conto per mia istruzione e re-

golamento.

Il primo errore, ed il più considerabile, e che

io non posso negare, è della lunghezza di questa

commedia, considerata adattabile al costume mo-

derno, poiché la libertà di conversar con donne,

introdotta anche in Italia, pe' luoghi pubblici e

per le case particolari, fa che una troppo lunga

dimora in uno stesso luogo, ove debba starsi con

qualche soggezione e silenzio, si renda nojosa ed

intollerabile più che .avanti di tal uso non era:

convien però dire, che non ne apparirebbe lunga

e tediosa la rappresentazione di questa (supposto

che tutti gli attori facessero il loro dovere), se le

rìsa quasi continue degli uditori non impedissero

il corso andante alla recita. Confesso, come ho

detto, ancor io questo difetto, conosciuto anche

nel!' atto istesso di compor la commedia; ma vi fui

portato dalla necessità di dover far tutte le parti,

se non eguali, almeno tali, che chi doveva rappre-

sentarle non se ne disgustasse, essendo queste per-

sone o nobili, o molto civili, e non obbligate alla

recita, se non che dal genio, e dal brio della con-

versazione, e che punto si sarebbero accomodate a

fare in teatro la trista figura e nojosa di testimonio,

o di semplice messaggiero. Mi potrebbe esser ri-

sposto, che poteva introdurvisi un minor numero di

personaggi. A questo replico che, oltre non essere il

numero di nove eccedente (giacché in ciò la persona

di Ciancichino non dev'essere considerata), .l' espe-

rienza mi ha quasi sempre dimostrato che poco

dilettevoli riescono quelle commedie, ove poche

persone s'introducono a parlare; poiché natural-

mente si prènde noja in veder troppo lungamente

un medesimo personaggio in mostra, o ogni due

o tre scene riveder sempre gì' istessi a trattar quasi

la medesima cosa. Le rappresentazioni teatrali vo-

gliono varietà, movimento e fuoco in sé stesse,

altrimenti riescono sempremai fredde e rincre-

sce voli.

All'altra eccezione, che gli avvenimenti di que-

st' opera appariscano inverisimili a poter succedere

nel tempo determinato ad una commedia, rispondo

che, se ben si esaminano, non richiedono essi tal

lunghezza di tempo, da non poter succedere dentro

lo spazio di ventiquattr'ore, comunemente permesso

per un' azione teatrale.

Convengo che i caratteri de i due Vecchi non

siano de' più usitati fra gli uomini di questa età; ma

non per tanto sono essi fuori dell' uso e del verisi-

mile; onde, ciò supposto, ho creduto per questo

istesso dar più vaghezza all' azione, con porre in mo-

stra caratteri non cosi owj e tante volte veduti sulle

scene, e che sono per sé stessi ancor più ridicoli.

A me basta che questi siano conservati, e posti

in buon lume, per farli apparir biasimevoli ed im-

proprj a tal sorta di persone.

In quanto a proverbj, de' quali è aspersa molto

questa favola, si dice essercene quantità non con- '

venienti, perché non intesi universalmente; volen-

dosi che questi debbano esser tali, che siano co-

muni a tutta la Toscana almeno, o che il loro si-

gnificato sia intelligibile all' universale. Dico ancor

io che "un proverbio di una città, o di un luogo

particolare, mal s'impiegherebbe in un componi-

mento da servire universalmente, quando il signi-

ficato di tal proverbio non fosse per sé stesso in-

telligibile a tutta una nazione, o provincia; ma, se

io non sono ingannato, parmi non ve n' essere al-

cuno in questa commedia, che non sia affatto ita-

liano, ò almeno toscano, o che non sia del tutto

intelligibile, quanto al significato, a chi questa

lingua possiede. Dico in quanto al significato, per-

ché, in quante* all' origine, diffidi cosa sarebbe po-

terla rintracciar di tutti, ed in tal caso verrebbe a

proposito la risposta, che si dà nella commedia

degl' Intronati intitolata: GV Ingannati, nella

scena prima dell' atto terzo; ove essendo fatta al

pedante da Fab.° la seguente interrogazione: Ho

sentito ancor dire : Tu hai tolto a menar V orso

a Modana. Che vuol dire? dov'è quest orso? ei

risponde : E* son dettati antiqui, de quibus nesci-

tur origo. Non accordo però che, per poter far

uso con libertà di un proverbio, sia necessario, che

questo debba esser comune ad un' intiera provincia

almeno ; perché molti ce ne sono che si trovano

messi in uso dagli antichi ^scrittori italiani o to-

scani, e pure non sono comuni, e forse mai intesi

dire dalla maggior parte degli stessi Toscani, come

per esempio quello, che, eoa alcuni altri, mi vien

biasimato in questa commedia, atto primo, scena

XIV: Il bu* di Martino, che t si lasciava co^ar

dalle pecore: e non per questo lasciano di esser

belli, e da potersene servire. Anzi direi di più che,

Supposta l' intelligenza chiara, e la buona frase

proverbiale, fosse lecito a chiunque d' inventarne a

suo piacere in una lingua viva, qual è la nostra.

E come potevano fare altrimenti i primi inven-

tori di essi? Per quel che è poi dell'eccezione

data di non essere intelligibile il sopra detto pro-

verbio: il bu' di Martino, che si lasciava co^ar

dalle pecore, mi par che sia poco sussistente, poi-

ché ei viene abbastanza spiegato da sé stesso, mo-

strando esser stato questo bue vile e codardo, al

contrario di quel della favola, che essendo stato

attaccato da un montone vanaglorioso e superbo,

per vedersi ossequiato e temuto da tutto il suo

gregge, lo sventrò a' primi colpi colle sue corna.

La mentita che dà Clarice a Ruggiero nella

scena XX dell 9 atto secondo, e che è appoggiata

su proposizioni dette dal medesimo Ruggiero, e

da lui supposte direttamente contrarie, bisogna

considerarla data da una donna innamorata e sde~

gnata al suo amante, e su materie di amore; ie

quali circostanze tolgono tutta l' improprietà e gra-

vezza dell'ingiuria, e del trascurato risentimento

di chi la riceve. Le altre mentite poi, che si danno

i servi fra loro nella scena seguente XXII, sono

totalmente nell'uso e nel carattere di simil gente,

onde non devono condannarsi: come condannar

non si può per quas' inverisimile, che Leandro,

nella scena XII dell' atto terzo, consigli Ruggiero

a maritare la sorella a Volontario suo padre, sul

fondamento di esser l' amor degli amanti assai più

forte dell' affetto filiale; perché questa persuasione

di Leandro non procede da affetto verso del padre,

ma da generosità verso l'amico.

La finzione del pittor da ritratti cieco, che si

dimostra nella scena XIII del detto atto terzo, sa-

rebbe senza dubbio del tutto irìverisimile, e della

maggiore inverisimilitudine ancora; né potrei es-

sere in alcuna forma scusabile, se fatta fosse per

farla credere non agli uditori (perché ciò si vede

chiaramente non essere), ma ad alcuna delle per-

sone sensate, che s'introducono nella favola j ma'

di farla credere ad un vecchio innamorato, che,

per quel che apparisce, non è stato mai di gran

senno, e con circostanze tali, che confondono ed

abbagliano 1' intelletto di lui, non mi par tanto

condannabile. Si fa questo vecchio prevenuto del-

l' amor grande verso la sua amata, di cui vuol far

fare il ritratto; e dal discorso di Fracassa, che lo

ha persuaso esser questo pittore il prim' uomo del

mondo, si dimostra incredulo da prima di ciò, che

gli è detto dal pittore della sua abilità. Gli viene

dallo stesso asserito con franchezza, e con affasci-

namento di parole e nomi strani, di aver fatto

cose maravigliose ; a queste la sua incredulità prin-

cipia a cedere; fa nuove difficoltà, alle quali ri-

sponde il pittore con ragioni false si, ma appa-

renti per buone al corto intendimento di lui. Fi-

nalmente cqcìq in tutto, dopo aver fatto riflessione

a due verità incontrovertibili, e note in Firenze;

la prima esserci stato un cieco, detto da Gambassi

sua patria, che lavorava maravigliosamente statue

di terra, che cotte poi e colorite erano tenute in

gran pregio, delle quali una gran parte si vedono

presentemente fare il più bello e divoto ornamento

della cappellina del Santuario di S. Vivaldo; l'al-

tra che un tal signor Gio. Battista della nobilis-

sima ed insigne famiglia degli Strozzi, detto il

Cieco, con tutta questa sua imperfezione, faceva

modelli eccellenti di architettura; di che sene ve-

dono de' monumenti assai belli in Firenze. Vero

è che il paragone nel caso nostro non corre, per

essere assai differente lavorar di pittura e di statue

di terra ; ma una mente come quella di Volontario,

e nelle addotte circostanze, non è inverisimile, che

in quel sùbito non sapesse ciò distinguere, e si

lasciasse portare alla credulità da quella compara-

zione. Ma quando accadesse che tutte queste mie

ragioni non arrivassero a persuadere, non per tanto

crederei che non fosse soffribile una tale inverisi-

militudine, sopra della quale non istà appoggiato

alcun fatto principale o dell' intreccio o dello scio-

glimento, in grazia del rallegramento e delle rìsa

che suscita nel popolo una simil disconvenienza e

stranezza ; non potendosi, anche dagli uomini sen-

sati, non ridere ad alcune improprietà lepide e

graziose, che tutto giorno si vedono nelle ordi-

narie commedie degl'istrioni. Se poi, non ostante

ciò, qualche gusto troppo delicato disapprovasse

una tal finzione, e ne prendesse nausea si per la

lettura, come per la recita, la tolga pur via con

tutto quel che ad essa ha relazione; poiché potrà

ciò farsi facilmente con pochissima mutazione, sen-

z' alterar punto il viluppo della favola.

Il nascondimento de' Vecchi sotto i tavolini non

mi par punto improprio o disconvenevole, essen-

docene degli esempi accaduti a' tempi nostri in

persone ancor di condizione. Quel che è necessario

in quest'azione, siccome in molte altre di questa

e dell' altre mie commedie, è che sia rappresentata

da bravi attori, per darle tutta 1' anima e vivacità

e giustezza, altrimenti resterà fredda e stucchevole.

Ma di ciò, che si appartiene alla rappresentativa,

ne dirò forse qualcosa in altro luogo.

Resta adessb, che V. S. Itlustriss. mi faccia il

favore, di che V ho pregata nei principio di questa

foglio; perdonarmi V incomodo, che le apporto; e

comandarmi con libertà.

Le bacio le mani, e mi confermo con tutta

P ossequio

Di V. S. ILLUSTRISSIMA

Di casa 28 febb. 1730.

Divotissimo, ed obbligatissimo servitore

Jacopo Angelo Nelli.


I VECCHI RIVALI

commedia Del Signor Dottore Jacopo Angelo Nelli.

INTERLOCUTORI

VOLONTARIO PIEGHEVOLI, vecchio amante d’Isabella

STRINATO STECCHETTI, vecchio amante d’Isabella

LEANDRO, amante d'Isabella e figlio di Volontario.

CLARICE, amante di Ruggiero e figlio di Volontario

RUGGIERO, capitano tornato dalla guerra, e amante di

Clarice.

ISABELLA, sorella di Ruggiero, e amante di Leandro.

SERPINA, cameriera d'Isabella.

LAURETTA, cameriera di Clarice.

FRACASSA, servo di Ruggiero.

CIANCICHINO, paggetto di Volontario.

Firenze è il luogo della rappresentazione.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Cortile.

Serpina e Lauretta.

Serp. da una parte, ridendo» Ah, ah, ah: oh che gusto,

oh che gusto!

Lau. dall' altra parte, piangendo . Uh, uh, uh : oh che

galera, oh che inferno!.

Serp. vede Lauretta. Quella piange, e io me la rido, ih,

ih, ih.

Lau. vede Serpina. Serpina. ha bel tempo, e io meschi-

nella..... uh, uh, uh.

Serp, Lauretta, che guai ci sono?

Lau. Buon per te, che hai buone nuove. Io sono la più

tribolata cameriera che' sia al mondo.

Serp. Che? forse i tuoi parenti ti hanno abbandonata, e

non ricercano più di te?

Lau. A questo non ci penso.

' Serp. I padroni ti hanno forse gridata ?

Lau. Di ciò me ne riderei.

Serp. DP il vero: la signora Clarice ti ha schiaffeggiato

un poco, e fuori di ragione ? Eh lo so, che se ne trovano di

queste padrone, che lo soglion fare.

Lau. Eh peggio.

Serp. Ora t'intendo: il salario non corre, e a tavola si

stenta*

Lau. Peggio, Serpina mia, peggio.

Serp. O che diamin puoi avere di peggio!

Lau. Il servire in una casa, dove la padrona è innamo-

rata, il padron giovane innamorato, e il padron vecchio in-

namorato, cotto, spolpato più di tutti. r

Serp. ride. Ah, ah, ah, povera sempliciaccia. E questi sono

i tuoi guai ?

Lau. Che ti par poco? .

Serp. Oh guarda, quanto siamo di natura diversa tra

noi: e io rido, come una matta, per questa stessa ragione;

perché ho la padrona e il padrone, che sono innamorati morti

ancora loro.

Lau. Che il Cielo te la perdoni. E come puoi tu mai avere

un'ora di bene? Io, per me, mi veggo disperata. Quello ti

comanda una cosa; queir altro te n'ordina un 1 altra: la si-

gnora' Clarice vuol oggi che gli accomodi il battilaglio all' ul-

tima moda; dimani la cresta ad un'altra foggia; raccomodare

la pellegrina; rintrussare il manto, nuove pieghe all'ari»

drìenne ....

Serp. Ma chi mangia il pan degli altri, sorella mia, biso-

gna che fatichi lui.

Lau. Lo so da me, ma se si carica l'asino più del dovere,

scoppia finalmente sotto la soma. Le faccende per la signora

sarebbero un zucchero; ma e 1 e il signor Leandro ancora,

che ogni giorno muta due volte di biancheria, per piacere

alla sua cicisbea; e quel vecchio rimbambito del signor Vo-

lontario suo padre fa cento volte peggio di lui, per parer

bella alla signora Isabella tua padrona. E di più sospiri di

qua, sospiri di là, grugni tanto lunghi, grida, inquietudini.

Non si vede mai una faccia da rìdere in quella casa.

Serp. Oh pazzarella, e tu ti tapini per questo eh? Noi

altri servitori si starebbe freschi, se ci volessimo ammalare

per le pazzie de' padroni, e particolarmente di questa sorta»

Gli spedali averebbero troppo da fare. *

Lati. Ma quell'essere sempre in moto....

Serp. Se il moto non è di corpo, dattene pace; anzi per

noi altre il servir tali padroni è il miglior servizio, che pos-

siam trovare.

Lau. Uh che tu sii benedetta! E come mai?

Serp. Madonna si. Primieramente lo stare a osservare le

grandi stravaganze, che gli fa fare V amore, è un volersi sma-

scellar dalle risa, come faccio io. Ora si vede un raggiro ; ora

un anderivieni in qua e in là senza conclusione; ora buon

viso a questo, faccia burbera a quell'altro; bissi bissi al-

l' orecchio, discorsi segreti, e maneggi sul serio, come di po-

litiche di stato. Delle visite e rivisite, biglietti ed imbasciate

non ne parlo; troppo ci sarebbe da dire. .

Lau. Queste commedie le non mi farebbon mai ridere

me, quando mi avessero da costare tanto care, quanto le mi

costano.

Serp. Vieni un pò* qua, e rispondi a quest' altre ragioni, se

puoi. Dimmi, ti pare un nulla a te le mance, che si buscano,

e la libertà che abbiamo, quando le padrone tengon visite?

Lau. Quest' è qualcosa, non te la nego.

Serp. Anzi è una bagattella: 11 più di tutto è che, quando

i padroni sono innamorati, possiam fare all' amore ancor noi

.quanto' vogliamo; perché siamo sicure che non ne saremo

sgridate.

Lau. Vuoi che te la dica, Serpina mia? Tu m'hai fatto

osservare a certe cose, che non possono esser più vere di

quelle che siano, onde fo conto di mutar parere.

Serp. Eh si, sciocchina, datti bel tempo, e riditela con me.

Lau. Per verità a guardar le cose per quel verso che le

guardi tu, non si può far di meno di non ridere, particolar-

mente a considerar quel vecchio del signor Volontario, che

pretende di fare il cascamorto colla signora Isabella.

Serp. Io le veggo le belle scene, non ti dubitare; e di più

quando ci s' incontra quell' altro vecchio barbogio del signore

Strinato, che ancor egli pretende di fare il medesimo colla

mia padrona.

Lau. Quel vecchio usurajo ancora Fa V innamorato della

signora Isabella: che cosa mi dici?

Serp. Io non ti conto fandonie, le sono verità belle e

buone, e da farcene sopra una commedia da crepar di risa.

Lau. Povera signora! Oh lei ci ha dato ne' suoi cicisbei!

Me ne viene compassione. Guarda se quella è carne da es-

sere biasciata!

Serp. La compassione la devi avere per quei poveri mer-

lotti; perché ella accenna a coppe, e dà a denari. Non la

credere di tanto cattivo gusto, no.

Lau. Volevo ben dir io! Ma dimmi, chi è quello che la

solletica ?

Serp. Oh che dimanda è questa? Sei sciota (1) tu, o la

vorresti far me?

Lau. Com'a dire?

Serp. Non m' hai tu detto ora che il signore Leandro tuo

padrone è innamorato morto?

Lau. Bene: e per questo?

Serp. Oh di chi è innamorato?

Lau. Che vuoi eh 7 io sappia io? Che gli vo dietro? Mi

sono accorta da cento cose che egli lo è, e l'ho sentito" dire;

ma di chi poi, non so.

Sérp. Si vede bene, che la malinconia ti ha levato di cer-

vello davvero: abitiamo nella medesima casa, benché in ap-

partamenti differenti, e non sai che egli è amante della mia

padrona ?

Lau. Ti confesso che non me n'ero accorta. Ma che

zuppa d' innamorati è mai questa ? Il signore Strinato, il si-

gnor Volontario, il signor Leandro suo figlio....

Serp. Se ti dico che sono cose da crepar di risa. La mia

padroncina però ne sfanga bene ve 1 lei, quanto se fosse la

più anziana di tutte le cicisbee. Se tu vedessi come è destra,

ti stupiresti. Fa buon viso a' vecchi, ma il buon cuore però

è tutto del sig. Leandro, al quale ella parla a tempi rubati,

e di nascosto.

Lau. Oh non è miracolo dunque che io non me ne fussi

accorta. Ma come aneleranno le cose adesso, che è tornato

dalla guerra il signor capitano Ruggiero suo fratello? Egli

non suol essere cosi dolce in certi affari, com'è la signora

Facilia sua zia, che è sempre malazzata, la poveretta.

Serp. Per dirtela, questo suo ritorno ci ha messo un poco

in confusione; ma quando una donna, che ha dell 7 accortezza,

vuole .... Oh, addio Lauretta, vedo venire quel seccatore del

tuo vecchio padrone; non vo'che mi trovi qui.

Lau. Nemmeno io; ci rivedremo.

Serp. Addio: fuggo di qua.

Lau. E io per di quassù. ( Via.)

SCENA SECONDA

Strinato, Serpina e Volontario.

Striti, s'incontra in Serpina. Dove si va, Serpinuccia

garbata ?

Serp. — Oh diavolo! dalla padella nelle brace. —

Voi. Buon 'giorno, Serpina, appunto ti volevo.

Serp. — Eccomi tra l'incudine e '1 martello. —

Stri. — Mancava adesso questo vecchio a guastarmi i

disegni. —

Voi. — Venga la rabbia agl'intoppi. —

Serp. Buon di a loro signori. Se la passano bene questa

mattina ?

Stri. Non mai peggio.

Voi. Grazie al Cielo, i'son lesto come un pesce; e poi

basta che tu mi guardi in viso.

Serp. Me ne rallegro. Veramente, quando si ha il cuor

contento, e si riposa bene tutta la notte.....

Voi basso a Serpina, tirandola un poco a parte. Ah,

Serpillo, tu t'inganni: non non ho potuto chiuder occhi.

Stri, a Serpina, tirandola dall' altra parte. Serpina mia,

nemmeno un 1 ora ho potuto dormire*

Serp. a Volontario. Perché mai?

Voi, a Serpina. La signora Isabella....

Serp. lascia Volontario, èva a Strinuto. Da che è venuto?

Stri, a Serpina. La tua padrona....

Serp. a Volontario. Che diceva, signor Volontario?

Voi. a Serpina. Che la tua padrona mi è stata sempre ....

Serp. a Strinato. Signore Strinato, non seguita il suo di-

scorso? Che le ha fatto la mia padrona?

Stri, a Serpina. La signora Isabella m'ha talmente....

Serp. a Volontario. Che cos' ha, signore, che non finisce

di dire?

Voi. a Serpina. Cotesto vecchio ficcanaso....

Serp. a Strinato. Che ? ha dato nelle secche ? Tiri pure

avanti.

Stri, a Serpina,. Quel vecchio barbogio....

Voi. — Sto sulle spine. — Signore Strinato, con sua li-

cenza. (A Serpina, forte:) Serpina, senti una parola; (La

tira a parte.) mandalo al diavolo, che t'ho da parlare.

Stri. — Mi sento morir dalla pena. —

Serp. a Volontario. Come vorrebbe eh 9 io facessi?

Voi. a Serpina. Trova scusa, che....

Stri, tira Serpina a parte. Con buona grazia, signor Vo-

lontario. (A Serpina:) Levatelo d'intorno, che t'ho da di-

scorrere.

Serp. a Strinato. Come ho da fare?

Stri, a Serpina. Che non ti dà l'animo trovar qualche

pretesto... {Parlano basso fra loro, e Volontario gli guarda,

mostrando smania).

Voi. — Sicuro gli parla adesso d' Isabella. — (Forte:) Si-

gnor Strinato, quando averà finito i suoi discorsi, averei da

trattare un affare con Serpina. (A Serpina basso:) .Sbrigalo

in due parole, che poi possiamo discorrerla in pace.

Stri, Il mio discorso è un poMuaghettò; però sarà .meglio

<che si sbrighi prima lei, che potrà farlo presto.

Voi. Anzi sarà meglio si spicci lei, che non .può avere

•negozio di tanta importanza, che il mio.

Stri. Si serva, si serva pure il primo lei.

Voi. Mi compatisca: V. S. come il più attempato deve

«attere la precedenza.

Stri. Quanto agli anni, credo ci corra poco tra me e lei.

Voi. Una ventina di più però è qualcosa.

Stri. V. S. non si faccia tanto giovane, no; perché l'aspetto

lo smentisce.

Serp. che si è ritirata indietro appoco appoco. Ora gli

corbello tutti e due. ( Via.)

Voi, Me ne rimetto al giudizio di Serpina, a chi di noi....

Serpina, di' pure liberamente*. Oh! Lina comprato il porco. (1)

Stri, — La se Tè fatta. —

Voi, La vostra seccatura, signore Strinato, l'ha fatta an-

noiare* e ha tolto a me il modo di trattar seco del mio

Affare.

Stri. Siete bene stato voi, che non la finite mai, né .mi

avete lasciato dirle una parola del negozio, che tanto mi

premeva.

Voi. Non voglio che entriamo in queste dispute fra noi.

•Vi riverisco.

Stri. Sarà meglio. A rivederci.

Voi. da sé. L'anderò a cercare in casa. (Via.)

Stri. La troverò ih altro tempo.

SCENA TERZA

Lauretta.

Il discorso di Serpina in parte mi quadra, e in parte nò.

Circ' alle mance e alla libertà, mi ci accordo, ma a quelP es-

sere sbalzata in qua, e in là da' capricci de' padroni innamo-

rati, non mi ci so accomodare. Adesso la signora Clarice mi

manda a ricercare di cento cose per mettersi in gala, avendo

saputo che jersera tornò dalla guerra il signor capitano Rug-

giero, che è più d' un anno, che parti di Firenze. In quattro

mesi, che sono in casa, non l' ho veduta fare altro che pian-

gere, e sospirare per lui; e quando siamo sole non ci è modo

di sentirle far mai altro discorso, che della sua persona. Mi

par mill'anni d'impararlo un po' a conoscere. Se egli l'ama

davvero, ci dovrebb' essere di tanto in tanto qualche rega-

1 uccio per me; se non è uno di quei tanti innamorati spi-

lorci, o spiantati, che vanno in giro. Non so se vado prima...»

Ma chi è costui?

SCENA QUARTA

Fracassa, e detta.

• Fra. — Che bella cosa aver viaggiato, e preso un po' di

aria forestiera. Tutti ti cavano di cappello, e ti guardan dietro

per meraviglia. —

Lau. — È fo rastiero : che bella maniera ! che bel garbo ! —

Fra. — Gli amici poi ' non ti lasciano ben avere : cjii

alza le mani al Cielo per contento di rivederti; chi ti bacia

in faccia; chi ti abbraccia di dietro. Di qua un ben tornato;

di là un mi rallegro ; in somma ognuno ti fa cortesia e buon

viso. —

Lau. — Incanta proprio a 1 mirarlo ! Mi ha anche cera di

soldato. — t

Fra. — Le donne poi .... ( Vede Laura. ) Oh eccone una

appunto: mettiamoci in aria estrangiera. —

Lau. che si è messa in aria d' affettazione femminile.

. — Mi ha veduta. Quanto gli parlerei volontieri: ma.... —

Fra. — Abbordiamola un poco con un complimento alla

tramontana. (1) — Se è vero, madamigella, che l'influenze delle

stelle influiscano nelle cose sullunari, quando che sia che

gl'influssi mattutini per rincontro de 1 Gemelli.... de 7 Ge-

melli.... Si signora, la mia stella mi è favorevole questa

mattina, se cosi di buon'ora mi fa incontrare nel sole della

vostra bellezza. — Canchero, la tramontana l'ho avuta a

perdere io. — »

Lau. — Questo è complimento; che risponderò? — Si-

gnore, vorrei avere il suo spirito per trovar parole che cor-

rispondessero a tanta gentilezza e sapere; ma una cameriera

della mia condizione....

Fra. Come? Voi siete una cameriera?

Lau. Per servirla.

Fra. Tanto meglio. E chi è mai quel fortunatissimo uomo,,

che è servito alla camera da una si amabil persona came-

rieresca?

Lau. Io sto qui in casa del signor Volontario Pieghevoli;

ma in camera poi servo là signora Clarice sua figlia.

Fra. Voi abitate in questa casa? Fortuna sopra fortuna I

Lau. E lei chi è in grazia, se è lecito domandargliene ?

Fra. Io sono Fracassa Fracassoni, che ha fatto si gran

fracasso alla. guerra, fracassando quante fracassee incontrava

nel fracassamento degP inimici Galli e Germani; e sto al ser-

vizio del signor capitan Ruggiero, ritornato jersera alla patria.

Lau. Oh voi siete il servitore del signor capitano eh?

Fra. Al vostro servizio sempre.

Lau. Quanto l' ho mai caro ! Potremo vederci spesso dun-

que, e tattarci (1) alla famigliare.

Fra. Come vi piacerà, e a tutte V ore, di notte, di giorno,

la mattina, la sera: basta, quando vorremo.

Lau. Manco male, averò adesso con chi passarmi la ma-

linconia. — Quanto mi piace! —

Fra. Io lo farò di tutto genio, e per un mal simile vi

prometto che ho de' segreti bellissimi.

Lau. GÌ' imparerò volentieri. E poi chi sa quanti t>e* rac-

conti mi farete, perché chi è stato fuori, e particolarmente

alla guerra, si sarà trovato a gran cose.

Fra. A delle sbalorditele, e, a farvene il racconto, vi farei

inarcare le ciglie.

Lau. Uà vero caro, perché, a dirvela, sono anch'io come

V altre femmine, un po' curiosetta. E delle donne come ce ne

Bono delle belle in que' paesi?

Fra. Delle bellissime.

Lau. E' saranno anche garbate ?

Fra. Per garbatezza poi, bisogna che queste nostre gli

diano la man dritta, eccettuatane qualcuna, e particolarmente

voi, che al primo vedervi mi avete dato negli occhi. *

Lau. Eh, vi piace il ben dire. Io non sono.... .

Fra, Ma a proposito. Qual è il vostro nome, perché me

io possa scolpire nel cuore?

Lau. Lauretta per servirla.

Fra. Lauretta ? Oh nome caro I Cosi appunto si chiamava

una certa giovane, che, quando Pebbi a lasciare per venir

via, si svenne due volte pel dolore, la poverina.

Lau. La compatisco, perché quando si ama una persona...

Fra. Oh questa mi amava davvero. E sarà difficile che

ne possa trovare un'altra che mi ami come lei.

Lau. E perché? Che non ci sono forse anche qui in Fi-

renze delle donne di buon cuore, e di buon gusto?

Fra. Ah! Non lo spero.

Lau. Fatevi animo, perché io ne conosco una.... (Si

pente. ) Ma ditemi, il signor Ruggiero ancor lui avérà trovato

buona fortuna!

Fra. Di questo non se ne domanda. Ne aveva in tutte le

città, ed una per quartiere. Gli uomini di guerra ? Gli uomini

'di guerra trovan ricapito per tutto.

Lau. Considerate dunque quanto gli sarà dispiaciuto atì-

che a lui doversene tornare per la malattia della sua si-

gnora zia.

Fra. Potete immaginarvelo. Io poi mi consolerei faci!-

mente, se, come ho trovato qui' il nome, ci potessi ritrovare

anche il cuore della mia Lauretta. (La guarda affettuosa"

mente, )

Lau. Non posso più trattenermi: addio signor Fracassa,

Fra, Ma perché partir cosi subito ?

Lau. Addio, addio, ho fretta. Pensate a) cuore di Lau-

retta. ( Via.)

Fra. penserò anche alla coratella, al fegato- e al polmone.

Questa a buon conto è impaniata alla prima, benché mi sia,

parsa lesta bene. Oh in un mese ne ho una cinquantina al

mia comando dell 1 innamorate; e quelle che non mi faranno,

giuoco le scarterò come si fa delle carte di primiera. Serpina

però è carta di cinquantacinque, da tenersi sempre in mano.

(Via.)

SCENA QUINTA ,

Sala, o cambra, nel 1 ' apoart amento di Ruggiero. „

Le a moro e Ruggiero.

Lean, Signor capitano, riflettendo voi al vostro merito

ed al mio affetto, non vi sarà diffidi comprendere qual sia '

il. contento che provo, pel vostro ritorno alla patria.

Rug. Per le stesse ragioni potete immaginarvi qual sia \\

mio in rivedere ed abbracciare un amico si caro.

Lean. La sincerità della nostra amicizia è certamente il

fondamento più solido di questo mio piacere; ma come que-

sto può ricevere qualche aumento da altri riflessi, senza far

torto a quella, non ho rossore a confessarvi che un mio par?

ticolar interesse me lo rende ancor più caro.

Rug. La considerazione, che- la mia presenza potesse os-

servi di qualche utile in questa città, sarebbe ella sola stata

valevole a. farmi prendere la risoluzione del mio ritorno,,

che ho presa, come saprete, per altri motivi. Ma in che debbo-

servirvi?

Voi. — Questo figliuolo non ce Io vorrei; -—

Lean. Il signor Ruggiero possiede ogni virtù in alto gradov

ma quella....

Voi. Ora tu, figliuolo, mi suppongo che averai fatto il tuo-

complimento, però potresti andare a far qualche negozio,

perché il tempo passa.

Lean. Questo per gli affari, di che mi avete incaricato,

non fugge. È per anche di buon'ora.

Voi. Si, sta' li ad aspettare. Tu lo sai pure, che su gli (1)

Uffizi se si sgarra d'un punto, bisogna indugiare alle volte

e due, e sei, ed otto de' giorni per fare un negozio» Va', va',,

il signor capitano te ne dà la permissione.

Rug. Deve servirsi come comanda.

Lean. Amico, in altro tempo ci rivedremo..

Rug. Sarà mio pensiero il trovarvi.

Lean. — Parto contento, ma non senza gran timotc —

(Via.)

Val. — Ora potrò parlare con libertà. — Che dite, signor

capitano, della mia disattenzione in non essere stato il primo

a venirvi a riverire?

Rug. Ella mi ha favorito con troppa sollecitudine.

Voi. No, no, non mi vogliate scusare. Lo vedo da me*

che per essere nella medesima casa, non dovevo essere degli

ultimi; ma ho voluto aspettare che fossero sfollate te vi-

site, perché avere! da trattarvi ancora d'un negozio di mia

somma importanza: — e anche per yedere la mia Isabelluo

eia (2) che do vrebb' esser levata. —

Rug. V. S. è sempre padrone, ed io sono pronto a ser-

virla.

Voi. L'ore veramente non so quante le sieno; ma, se la

signora Isabella fosse alzata dal letto, si potrebbe sapere, per-

ché dalla levata delle signore si sa subito se è. di buon' ora

o tardi.

Rug. Io non ho affari che mi premano, perciò elia può

servirsi a suo comodo*

VoL La mi fa grazia.' Ma st potrebbe vedere se fosse,

levata?

Rug. Non mancherà tempo, e frattanto potrebbe discorv

rermi dell'affare, che diceva avere a trattar meco. *

VoL Si può fare. Io signor capitano, com'ella mi vede,

sono ancora di complessione forte e robusta, benché sia pa-

dre di figliuoli allevati.

Rug. Lo vedo, e me ne sono seco rallegrato ben di cuore*

• VoL Or bene; stante questo, e l'aver bisogno di una

donna da famiglia, (perché la Clarice, oltre ali 7 esser giova»

netta, la c'è oggi, e non domani; bisogna maritarla) avere»

pensiero d'accasarmi nuovamente.

Rug. Che mi dice mai, signor Volontario?

Voi. Oh che ho detto qualche eresia?

Rug. Non dico ciò; ma ella deve pensare a dar moglie a)

signor Leandro, che. ...

Voi. E lui è ancora troppo giovane, e non ha quell' eape»

rtenza, che si ricerca per un affare di tanto peso.

Rug. Egli ha però un 1 età giusta, ed è molto savio e pru-

dente.

VoL Eh no, no; non ci pensate; e poi per lui non fugge

tempo.

Rug. Ma questo è uno di quei passi, che vanno fatti in

gioventù.

Voi. Eh gioventù m' incupola; n' abbiamo gli esempj cosi

di quei matrimoni sgraziati per troppa gioventù ! Io in somma

ho deliberato pigliar moglie, e ho posto gli occhi....

SCENA SETTIMA

Strinato, e detti.

Stri. Mi rallegro col signor capitano.... ( Vede VolontariOj

e si volta con indignazione.) — Venga la rabbia, eccoti

costui. —

Rug. maravigliato dell'atto di Strinato, si volta a Va*

lontario. Che ha questo vecchio?

Voi. voltandosi a parte con atto d' indignazione^ an-

c/vesso per V arrivo di Strinato. — E destino che quel vec-

chio stregone m'abbia sempre a venire a rompere le cal-

cagna. — *

Rug. a Strinato. Signore Strinato, che cosa lo muove....

Stri. — Ah s' i' lo potessi aver fra 1 denti. —

Rug. a Volontario. Signor Volontario, mi dica almeno

lei....

Voi. — Se mi desse fra Pugne, ne vorre'far salsiccia. —

Rug, — Ho paura che questi vecchi siano impazziti. —

Ma può sapersi che motivi abbiano lor signori di turbarsi in

questa forma?

Voi. a Ruggiero^ a parte. Non gli date retta, perché egli

è rimbambogito.

Stri. — Sicuro gli parla d' Isabella. — ( Tira Ruggiero

a parte. ) Non badate a quel eh 7 ei dice, perché egli ha mezzo

dato la volta.

Voi. — Ora glie la chiede lui innanzi a me. — ( Tira

Ruggiero a parte.) Eh signor Ruggiero, (Basso.) se egli vi

avesse 'domandato ....

Stri, tira di nuovo Ruggiero a parte. Eh signor capitano,

(Basso.) se per sorte vi parlasse....

Voi. tirando nuovamente Ruggiero, che vien tenuto an-

cora da Strinato, e parlano tutti e due insieme. Signore,

senta, senta....

Stri. Signore, senta, senta ....

Rug. sdegnato. Che impertinenza è questa ? r Son io forse

il vostro scherzo ? Giuro al Cielo ....

Voi. lo, signor capitano....

Stri. Io, signor Ruggiero.... (Parlano nel medesimo tempo

intimoriti.)

Rug. Fuori di questa casa. E se non fosse l'età vostra

decrepita, vi averei insegnato con questa spada che non si

viene ad insultar la gente in casa propria.

(Nel medesimo tempo.)

Voi. Dì grazia, vi * prego....

Stri. La supplico, signore ....

Rug. Non voglio ascoltar discolpe. Partite, o altrimenti...

Stri. Ecco, abbia, flemma. — Era meglio ch'io non ci

fossi venuto. ( Via.)

Voi. vedendo venire verso sé Ruggiero. Vo ora, vo ora:

non v' adirate. — Ho fatto peggio che un buco nell' acqua. —

( Via.)

Rug. Temerarj, credermi cosi buono, da soffrire più lun-

gamente l'impertinenze lorot (Passeggia sdegnato: poi pen-

soso.) Ma, che ho fatto? Disgustare in tal forma il padre

della mia cara amabilissima Clarice! Insensato che fui a la-

sciarmi cosi trasportare dallo sdegno! (Soprapensiero.) .

SCENA OTTAVA

Isabella e detto.

Isa. — Serpina mi ha avvisato essere il mio caro Leandro

con Ruggiero. — Signor fratello, sono venuta per intènder

novelle di vostra salute.

Rug. Ve ne sono obbligato. (Pensoso.)

Isa. — Leandro non ci è. — Siete molto turbato! Forse

la stanchezza del viaggio non vi ha lasciato ben riposare

questa notte?

Rug. Altre cose turbano il mio riposo.

Isa. — Che mai sarà ? — E da che tempo ? Jersera era-

vate pure d'animo lieto e tranquillo.

Rug. È vero, ma le cagioni de' disturbi posson nascere da

un momento all'altro. (Pensoso.)

Isa. — Non vorrei già che nascessero dal mio amante. —

E perché non cercate divertirvi ? Potreste andare a trovare

il signor Leandro nostro amico, e con esso....

Rug. Eh egli è stato qui (Sempre soprapensiero,),

Isa. — Oh Dio! —

. Rug. da sé, ma è inteso da Isabella. Maledetta visiti) !

Isa. — Ahimè i miei timori non furono vani. — Ruggiero,

e chi è mai venuto ad inquietarvi?

Rug. Non v'importi saperlo.

Isa. L'interesse ch'io prendo in ciò che vi riguarda....

Rug. Pur troppo siete interessata ancora voi.

' Isa. — Misera me ! non ho più luogo da dubitarne. — r

Rug. da se\ ma è inteso da Isabella. Ma una temerità

simile non poteva soffrirsi. (Pensoso.)

Isa. In che (1) mai V offese Leandro?

Rug. da sé, ma è inteso da Isabella. Vado a cercarlo per

risarcire l' affronto. ( Via. )

Isa. Fratello, fratello. Ah, egli è partito con furia. Chi sa

a quali' eccesso sia per trasportarlo il suo naturale ardito e

focoso. Come potrò io impedire.... Ahimè! Dove trovar chi

avvisi.... Anderò io stessa....

SCENA NONA

Sekpina, poi Leandro, e detta,

Serp. Signora.

( Isa. voltandosi. Ah Serpi na mia, presto, corri, avvisa

Leandro....

Serp. Non vi riscaldate tanto, signora, egli è qui. — O bene,

non potea stare un momento senza. di lui — .

Isa. Ov'è? Digti presto....

Lean. Eccomi, .amata Isabella.

Serp. Signora, se non occorre altro, me ne anderò. ( Via.)

Isa. le fa cenno che vada. Che mai avete fatto, signor

Leandro?

Lean. Di che intendete redarguirmi, signora ?

Isa. Voi offendeste mio fratello....

Lean. Io ho offeso il signor Ruggiero? Siete ingannata.

Isa. La vorrei essere, ma ne ho tròppo chiari gl'indizj.

Lean. Voi non ne avete dunque prove sicure?

Isa. No, ma le conjetture sono infallibili.

Lean. Eh toglietevi, mia cara, questi sospetti dalla mente ;

«nzi rallegratevi, e sappiate che io mi sono avanzato a do-

mandarglivi per isposa.

Isa. Ah incauto che siete stato 1 Adesso non ho più luogo

-<da dubitare di ciò che jemeva. „ -

Lean. Questo è stato il mio errore?

Isa. Si questo. E voi non dovevate essere cosi ardito....

Lean. Ma il mio amore, e la tema di essere prevenuto. . ..

Isa. Ma voi, dico, non dovevate prendervi questa libertà

senza il mio consenso.

Lean. Voi dunque disapprovate ero che dorerebbe pre-

mervi tanto?

Isa. Io disapprovo il vostro inconsiderato ardimento.

Lean. Non parlate già dà scherzo?

Isa. Dico del miglior senno eh' io m' abbia.

Lean. Ah Isabella, se io vi era odioso, perché lusingarmi

tanto fin ora? perché ingannarmi cosi?

Isa. Voi stesso ingannaste voi medesimo.

Lean. Si, perché prestai troppa fede alle s parole di una

donna menzognera: ma sapfò correggere Terrore all'àvve-

-aire. ( Vuol partire.)

Isa. Ove andate, Leandro? Ascoltate.

-Lean. Ascoltai abbastanza per disingannarmi. ( Via.)

Isa. Ah inconsiderata eh 7 io fui! Perché rimproverarlo ctfn

tanta asprezza della più bella testimonianza del suo affetto?

Poteva pure consigliarlo piuttosto a placare Ruggiero, che

ad irritarlo contro di me. Ora sdegnato il fratello, disgustato

4'femante.... e chi sa che qualche incontro fra essi non mi

renda infelice per sempre ! Misera, che farò ? Anderò forse.*..

$Aa come potrò io sotet.... Ahimè, son confusa.

SCENA DECIMA

Camera nell'appartamento di Volontario.

Clarice, e Lauretta.

Clar. Dunque non hai per ancora veduto il mio Ruggiero?

Lau. Signora no. Ho visto solamente il suo servitore, che

é il più bel giovinetto, che possa vedersi con due occhi.

Clar. Quando vedrai il padrone, approverai il mio buon

gusto, né potrai condannarmi di avere tanto sospirato nella

sua lontananza.

Lau. Ma ditemi, signora Clarice, à tanto garbato quanto

il servitore?

Clar. Impertinente, ti pare di avere a fare tal compa-

razione ?

Lau. Oh che ho detto qualche cosa, che non possa es-

sere? Ne ho visti que' pochi de 1 padroni, che hanno cento

volte meno garbo de 1 servitori.

Clar. Ruggiero non entra in questo numero. Egli è il più

gentile ed il più amabile fra tutti gli uomini; e poi egli ha

per me un affetto si tenero e costante, che troppa ingiustizia

gli farei a non amarlo con tutta l'anima.

Lau. Egli dunque vi ama di molto, eh?

Clar. Posso dirò più di sé stesso.

Lau. E vi è fedele e costante?

Clar. A mio riguardo egli è la fedeltà e costanza me-

desima.

Lau. E non vi è pericolo che, nel tempo eh' egli è stato

fuori, abbia amato nissun' altra donna?

Clar. Di questo ne sono sicurissima.

Lau. Ma se egli lo avesse fatto?

Clar. Non può essere.

Lau. Ma figuratevi che questo non può essere lo fosse

stato, in tal caso, che fareste? ,

Clar. L'odierei, lo disprezzerei, né mai più.... Eh folle

ch'io sono, angustiarmi per compiacerti, col figurarmi un

impossibile !

Lau. E pure, signora, io ho saputo di buon luogo tutta

il contrario di quel che v'immaginate.

Clar. E pur colle tue impertinenze..^.

Lau. Oh via, sia per non detto, non entrate in collera.

Clar. Ruggiero mancarmi di fede, quando in ciascuna

delle sue lettere me la giurava illibata e costante!

Lau. Sarò stata ingannata io.

Clar. Lo sarai stata certamente. Egli ha troppo bel cuore,,

ed incapace di tradimento. E da chi lo hai saputo?

Lau. Eh signora no, non può essére, chi vuol che me

Pabbia detto?

Clar. Sarà una falsità.

Lau. Signora si, una falsità senza dubbio.. Che non si ha

da creder più alle lettere di uno innamorato, che alle parole

dette con sincerità da persona, che ha veduto.... eh via.

Clar. Certo. Ma chi è questa persona, che ti ha dato tali

notizie ?

Lau. Eh che è sproposito. Le bugie e gl'inganni stanno-

intorno alle gonnelle e le scuffie; ma intorno a 7 cappelli e

a' calzoni, il Ciel ne guardi! (Ironicamente.) Un uomo ama

fingere, e ingannare! È pazzìa, il sospettarlo.

Clar. Ora non mi stare a fare la graziosa a me. Palesami

da chi hai ciò inteso.

Lau. Ma sarà un 7 impertinenza la mia....

Clar. Non irritare più lungamente la mia bontà, se non

vuoi provare il mio rigore.

Lau. Glie lo dirò, ma non creda che mi sia stata detta la

verità, veda. L' ho saputo da Fracassa.

Clar. Dal servitore di lui? E che ti ha detto?

Lau. Che il suo padrone ne avea delle cicisbee in ogni

città, ed una per quartiere; ma non sarà vero.

Clar. Ahimè! Dunque Ruggiero....

Lau. Signora non lo creda, perché il signor Ruggiero ha

un cuore cosi bello, che è impossibile che possa averla tradita»

Clar. E Fracassa ti ha assento ciò che ini dici?

Lau, In quanto a lui me l'ha asserito sicuro; ma ohe sia

-vero poi....

Clar. Ah traditore! Ma che motivo ha egli avuto il servo

di forti tal confidenza ?

Lau. Il motivo è, che egli mi raccontava non so che di

una certa sua innamorata, ed io gli ho addi mandato se il

suo padrone ne avea ancora lui qualcuna, e mi ha -risposto

come vi ho- detto.

•Clar, Ah sventurata Clarice! con che speranza puoi tu

adesso lusingarti della sincerità del suo affetto, e della già

'-promessa fede di sposo?

Lau. Signora, non si affligga per questo.

Clar. Come? non devo affliggermi nella perdita della più

«ara cosa eh 1 io avessi!

Lau. «— Mi pento di averglielo detto. — Eh che non sarà

poi vero: non bisogna credere cosi sùbito ad un servidore,

Vedete. In somma voi non ne avete altre riprove.

Clar. Il vedere che per anche non- è venuto a visitarmi

ne è una convincentissima.

-Lau. So che vuol venire, ma non a vera ancora potuto.

-Sapete pure che gli affari e le visite non mancano, quando

si torna da un gran viaggio.

Clar. Se egli non fosse indifferente per me, ogni -altro

affare gli sarebbe stato meno a cuore di questo.

Lau. Ma, e poi, quando fusse come voi dite, vi vorreste

iper questo ammalare? Io sono di un umore differente, e

credo che una donna, che ha giudizio, non si deva pigliar

pena dell' infedeltà degli amanti. Cambian loro? Cambiare

ancor noi. Trattarli come meritano, e stare allegramente.

Clar. Tu non sai che cosa sia amore, perciò parli in

«al forma.

Lau. Non lo so? Mi fate torto, signora, a credermi tanto

dappoca. Guardate, io già avevo cominciato a lasciarmi raz-

ziare il cuore dalla bella prospettiva e galanteria di Fra-

cassa; ma dopo che ho inteso che Serpina -è la sua antica

cicisbea, ho risoluto, benché mi s' afferebbe molto, lavarmene

le mani, e trattarlo....

Clar. Lauretta, eccolo quell'infedele.

Lau. Uh ci è ancora il mia

Clar. Che mi consigli? Io fuggo, o F attendo qui?

Lau. Aspettatelo, e fuggitelo.

Clar. Come?

Lau. Non vi movete, ma voltategli le spalle, e lasciate

fere a me.

SCENA UNDECIMA

Ruggiero, Fracassa e dette.

Rug. Eccomi, amata Clarice, dopo il tormento di una si

lunga lontananza, che io ritorno.... {Clarice voltata dall'al-

tra parte.) Ma.... signora, non riconoscete più il vostro Rug-

giero? {Ella gli volta di più le spalle.) Come? E questa è

la gentile accoglienza, che io mi aspettava dalla tenerezza del

vostro affetto? ( Clarice sempre voltata, sen^a parlare.) Dun-

que non mi stimate degno, non che d'uno de' vostri sguardi,

né meno di poter rimirare il vostro bel volto? (A Fracassa:)

Oh Dio ! Ella forse è sdegnata del trattamento da me fatto a

suo padre.

Clar. a Lauretta. Me ne vien compassione.

Lau. a Clarice. Non vi gettate.

Fra. Il ricevimento è assai affettuoso.

Rug. ritorna a Clarice. Almeno dite, o mia cara, in che

vi offesi, acciò possa giustificarmi.

Clar. a Lauretta, mentre Ruggiero va verso Fracassa.

Ahimè, non vorrei,,..

Lau. a Clarice. Tenetelo sulla corda.

Rug. a Fracassa. Né meno si degna rispondermi.

Frac, a Ruggiero. Non ve ne pigliate pena. Non vedete

che la cameriera tratta nella stessa forma ancor me? Sono

smorfie di donne. Caleranno poi più che non vorremo.

Rug. a Clarice. Bellissima Clarice, se per sorte vi fos-

sero giunti a notizia i miei inconsiderati trasporti, e di ciò

vi offendeste, vi prego a perdonarmi, e considerarli solamente

come effetti di fuoco giovanile non ben regolato dalia pru-

denza, e non mai come errori della mia volontà, determinata

ad offendervi.

Clar. a Lauretta. L'iniquo ancor gli confessa.

Lau. a Clarice. E voi soda.

Rug. a Fracassa. Né pur si piega l'ostinata. Mi verrebbe

in pensiero....

Frac, a Ruggiero. Lassate parlare a me, che so come

vanno prese le donne: con due paroline la sbrigo.

Rug. a Fracassa. Si, vedi tu se puoi persuaderla almeno

a parlarmi. (A parte pensoso.)

Frac. Ci vuole dell' altura, e saper loro mostrare il viso.

Lau. a Clarice. Non vi fate oca, e umiliatelo bene.

Clar. a Lauretta. Già lo sdegno principia nel mio cuore. .. .

Frac, a Clarice. Sa ella lei, signora altiera, che il mio pa-

drone merita essere ricevuto altrimenti?

Clar. con sdegno, a Fracassa. Sapete voi, il mio teme-

rario, che voi meritate esser ricevuto cosi ? ( Gli dà col ven-

taglio. )

Lau. a Clarice. Brava, questa vale un tesoro..

Rug. a Fracassa, che va verso lui. E bene, che ti ha

risposto?

Frac. Male. Non ha potuto nemmeno aprir la bocca dalla

confusione per quel che le ho detto, ma ha aperte le mani,

e ha parlato congesti.

Rug. Ma che voleva significare?

Frac. Poco di buono in fede mia. Ma aspettate: voglio

provare se per mezzo della cameriera.. ••

Rug. Si, tenta pure anche quest'ultima prova. — Gran

contrasto che mi fanno in petto lo sdegno e l'amore! —

(Pensosa.)

Frac, a Lauretta, che la tira per un braccio. Favorisca,

madamigella, una parola. Con chi vi pare a voi altre donne

superbette malcreate di avere a trattare, quando trattate con

noi altri soldati forastieri?

Lau. a Fracassa. E a voi altri soldati forestieri, imperti-

nenti, temerari, con chi vi pare di avere a trattare, quando

trattate con noi altre donne del paese?

Frac. Fuor di qui, madama la cuciniera, vi si farebbe

provare quel che sta bene. '

Lau. E qui, monsù leccapiatti, vi si farà sentire quel che

sta male. (Gli dà uno schiaffo.)

Rug. a Fracassa, che se ne va verso lui. E cosi ti sei

sbrigato ancora?

Frac. Oh, sbrigatissimo.

Rug. Che risposta ne hai ricevuto ?

Frac. Cattivissima. La serva parla lo stesso linguaggio

della padrona, non gli si può cavare né di bocca né delle

mani cosa di buono.

Clar. a Lauretta. Ma io ho gran timore....

Lau. State quieta. Gli uomini vanno trattati cosi, e poi

dopo si viene agli accordi, e si fa la pace. (Parlano fra loro,)

Rug. a Fracassa. Prova di nuovo, e dille....

Frac. Oibò! Non mi ci provo più di sicuro. Il mio ben

dire non si accorda troppo col loro mal fare. '

Rug. Tenterò io finalmente....

Frac. Signor padrone, faccia a mio modo, non s'arrischi

né meno lei.

Rug. Che sarà mai? Se non vorrà ascoltare le mie dis-

colpe, averò giusto motivo di abbandonarla.

Lau. a Clarice. State: par mi sentir gente. (Sta ascoltando.)

Rug. a Clarice. Sarà dunque possibile o mia bella cru-

dele, che il vostro Ruggiero....

Lau. a Clarice. Il signor padre : andiamo. ( Clarice e Lau-

retta partono.)

Rug. Ah donna altiera e superba!

SCENA DUODECIMA

Volontario affacciato alla scena, Ruggiero e Fracassa.

Rug. Cosi mi schernisci, e mi fuggi?

Voi (facendo capolino ) M' hanno detto che Ruggiero. . . .

Oh povero me! Eccolo qui: che non sia venuto per darmi

sul capo. — (Si ritira.)

Frac. Lasciatele pure andar via in tanta malora, che è

meglio cosi. ( Volontario ritorna.)

Rug. Non viverò quieto, finché non sarò vendicato.

Voi. — Non lo diss'io? —

Rug. Un simile affronto a me, che ho un cuore da non

poter soffrir né pure un 1 ombra di scherno?

Voi. — Ma che gli ho io fatto po' poi? — (Si ritira.)

Frac. Sto cheto io, che ho sentito più di voi quel loro

parlare alla mutola. ( Volontario ritorna.)

Rug. Io sono V offeso, e venni in questa casa....

Frac. Signore, faccia a mio modo: andiamocene.

Voi. — Oh meschino ! E venuto per accopparmi davvero. —

Rug. Non partirò finché non sia tornato Volontario, che

han detto esser fuori.

Voi. — La cosa è chiara. Ma tu non mi vuoi trovar oggi:

corro a rinserrarmi a quattro chiavi. — ( Via.)

Rug. Farò seco le mie parti, né mancherò di giustifi-

carmi appresso di Leandro. Se poi ciò non basta, non cu-

randomi più di Clarice.... Ma come potrà il mio cuore più

non curarsi di lei?

Frac. Signor padrone, di grazia esciamo di queste stanze.

Qui c'è una cercaria, che ha un'influenza cattiva del dia-

volo. Da che ci sono, mi è calata una maladetta flussione

alle guance, che me l'ha fatte infocolar tutte. E chi sa che

ancor a voi non sia per far male al cervello?

Rug. Andiamo per intendere se Leandro sia in casa.

Frac. E se non e' è, non voglio che ci trattenghiamo, ve-

dete. (Via.)

SCENA DECIMATERZA

Cortile.

Serpina e Strinato.

Stri. Serpina mia, se tu mi metti in grazia alla tua pa-

drona, non ti ha da far freddo mai più de' to' giorni.

Serp. Mi maraviglio: sapete che io vi servo di genio.

E quanto ho fatto, perché vi voglia bene come vi vuole!

Non mi parla d'altri che di voi. Ma che mi volete fere?

Forse un par d'abiti di castorino, e un par di gonnelle di

scarlatto? Uh, che mi piaccion tanto queste sorte di panni!

Stri. Oh no. Ti vuo' fare un grembiulino di renza di que-

sti alla moda, che arrivano sopra le ginocchia.

Serp. Cosi ci sarà da star fresca per me, e non calda.

Sentite, signore Strinato, quella mia benedetta padrona è una

capricciose Ila, che non si può tener ferma un 1 ora in un me-

desimo proposito. Stamattina, quando le ho data la camicia

per vestirsi, le ho cominciato a dire: Uh se quei buon vec-

chio del signor Strinato....

Stri. Oh no. Serpina mia, tu hai cominciato male; non

dovevi dire vecchio.

Serp. E voi sapete per molto. Ho cominciato benissimo,

anzi l'ho fatto apposta, perché i vecchi le piacciono cento

volte più de' giovani.

Siri. Si eh ?

Serp. Certissimo, perché dice che gallina vecchia fa buon

brodo.

Stri. Gli è anche vero. Si vede che ha giudizio.

Serp. Or tornando a proposito di quel che le dicevo....

Serp. Ma ella a vera dunque anche genio col signor Vo-

lontario?

Serp. Or guardate. E lui non lo può partir di vedere,,

perché le pare che sia.... Ma e poi voi sempre averete la man

dritta, a cagione di que' molti anni che avete più di lui.

Stri. Ne posso aver qualcuno, ma P fare* seco a correre la

posta, e gli vorrei anche dar giunta.

Serp, — Vorrei che questo avesse a essere il corriere

della mia morte. Starebbe un pezzo per viaggio. —

Stri. E che dicevi?

Serp. Dicevo che l'è una morte dover trattare d'amore

con certe donne capricciose e strane, come la mia padrona.

Stri. Eh il preferir me al signor Volontario non mi pare

stranezza, a me.

Serp. Non la dico strana su questo, ma nel proposito di

quando le ho stamattina principiato il discorso, come vi di-

cevo, sopra, di voi, perché mi ha risposto: Uh tu sei pur

nojosa con questo tuo signore Strinato.

Stri. Ma non mi dicevi?...

Serp. Si, ma allora bisogna che ella avesse qualche altra

cosa pel capo.

Stri. Ma tu dovevi dirle che io era

Serp. Buono. Averesti a insegnare al gallo a farsi amico

della gallina, lo le ho detto tutto quello che sapevo di ben

di voi: che siete sano, arzillo, pulitino, ricco in fondo: splen-

dido poi come... ( Fa gesto indicante spilorceria.) e sopra-

tutto che andate pazzo per lei.

Stri. Che tu sia benedetta, cara la mia Serpina : tieni, tien 1

quest' abbraccio.

Serp. Ma, e cosi? E stato giusto un predicar la carità agli

usura j.

Stri. Ohimè, che mi dici tu?

Serp. Che vi perdete d'animo per questo?

Stri, lo si, vedi, perché....

Serp. E io punto né poco, e mi dà più fastidio il freddo

che dovrò patir io quest'inverno, per esser senza scollino,

che la freddezza della padrona, perché lei mi dà il cuore ri-

scaldarla quando voglio.

Stri. Rimedia dunque alla freddezza sua, che io rimedierò

al tuo freddo.

Serp. Fate conto che il negozio sia fatto^ e che ella bruci

già per amor vostro. — Ve' se ce l r ho poi fatto calare nella

rete. —

SCENA DECIMAQUARTA.

Volontario alla finestra, e detti.

Stri. — In somma bisogna regalarle queste cameriere, se

si vuol de' servizj da loro: l'è una miseria! il mondo è pieno

d'interesse. —

Voi. — Di casa dovrebbe essere uscito.... Ma che veggo?

Strinato con Serpina! —

Serp. — Se non lo pelo a modo e a verso, che mi sia pe-

lato a me 1' uno e l' altro ciglio. —

Voi. — Non si parlano ancora. —

Stri. — Penso di darle.... —

Serp. Signore Strinato, sapete quel eh' ho pensato di fare ?

Stri. Di' su, che il Cielo ti faccia ricca.

Voi. — Ora s'abboccano. —

Serp. Io voglio introdurvi in casa, perché le possiate

parlare da voi, quando appunto l'averò disposta.... Lasciate

fare a me.

Voi. — Oh se io potessi intendere quel che dicono! —

Stri. Tutto bene, ma se il capitano suo -fratello....

Serp. Eh il capitano non vedrà né saprà nulla. Piglierò

il tempo a proposito.

Voi. — I'sto su'pèttin da lino. Se Ruggiero non è più

in casa, vo' scappar fuori. ( Via.) —

Stri. Quel che tu vuo' fare, fallo presto, perché non vorrei

che il diavolo si attraversasse a' nostri disegni.

Serp. Ora vado a ordire la tela.

Stri. Disponila bene, e tessila con prestézza.

Serp. Menerò le cai cole più affretta che posso. ( Via.)

Stri. Se per mezzo di questa ragazza posso arrivare a

farmi amare da Isabella di buon cuore, do il mio matrimonio

con essa per fatto; e mettendo lei in <rasa, ci metto una

dote di parecchie migliaja di scudi, che le ha lasciati un suo

zio materno. È vero che il capitano, che mi ha trattato cosi

male, potrebbe forse opporcisi ; ma egli non è che suo fra-

tello, e fratello di padre solamente: vuol dire che, volendo

lei, la sua opposizione mi può far poco male. Quando quel

vecchio barbogio di Volontario lo arriverà a sapere, oh vuol

restar pure scornato ! Gli dia nel collo ! Voler mettersi in

competenza con me.... Ma eccolo qua! Il diavolo lo porta

sempre dóve io sono.

Voi. in strada, — Serpina non c'è più. Manco male! Non

bisogna che ella gli abbia data troppa retta. —

Stri. — Vorrei andarmene, ma non vorrei mostrare di

fuggire per paura di lui. —

Voi. — Vo' cercare di scavare, se posso, qualcosa. —

Oh, signore Strinato, lo riverisco. Chi ben si vuole spesso

s'incontra.

Stri. — Se fosse vero questo, i* ti dovre' rincontrare, come

s'incontrano le montagne tra loro. — È vero, ma s'incontra

alle volte anche chi si vorrebbe vedere nella bara.

Voi. Vo'mi fate torto a credere questo di me.

Stri. Io non lo dico per voi.

Voi. Vorrei ben dire, che chiacchieraste a sproposito,

perché io non vi ho fatto cose da dispiacervi. Vi sono stato

sempre amico, e voglio che ci mantenghiamo tali.

Stri. Mi fate grazia. — Se tu sapessi l' orditura della tela,

non diresti cosi. —

Voi. Mi parete molto sopra pensiero. Avete forse qualche

negozio che non va a modo vostro?

Stri. Io non sono avanti al cancellier degli Otto (1), che

m'abbi a esaminare.

Voi. Non pigliate la spada per la punta. Non ve lo dicevo

per sapere i fatti vostri, ma per rendervi servizio a' bisogni.

Stri, Vi sono obbligato. Io non tengo servitori si nobili.

Voi, — Egli ha mangiato il cavai di coppe: non esce a

nulla. — Qualche volta una parolina detta a tempo può gio-

vare assai, però....

Stri. Io so parlar da me.

Voi. Ma vo' mostrate di gradir molto poco le me' offerte.

Che forse avete ruggine meco, per esservi stato di qualche

impedimento a parlare a Serpina? Per rimediare al mal fatto

potrò farla avvisare che state aspettandola, per dirle una

parola.

Stri. Non sono in questo bisogno.

Voi. Ah, che le avete forse parlato?

Stri. — Costui raspa per trovare il granello sotto terra; ma

i'son spupillato. — Io non l'ho vista, né mi curo di vederla.

Voi. — Egli è di Calca, ma i' non sono da Bergamo. (1)

— Ma e' m'era pur parso di vedervi seco poco fa.

Stri. Se le cornacchie v' avessero cavato gli occhi, vo'non

ci aresti veduti.

VoL — Oh i' non vo' più tenere in collo la piena. — Ma

che modo di trattare è il vostro ? Non vi crediate già eh' io sia

come i bu' di Martino, che si lasciaa cozzar dalle pecore, ve'.

Stri. Né vi crediate eh' io sia come i gatto del Miaula,

che si lasciava roder la coda da* topi.

Voi. l' conosco il trotto d'i mio cavallo.

Stri. l' conosco da che pie zoppica il mio. ( Via,)

VoL Poffar egli è di peso; ma i'non son dique'da Zago,

che davano i letame al campanile, per farlo crescere. (Via.)

SCENA DECIMAQUINTA

Ruggiero e Fracassa.

Rug. Non posso viver quieto, finché non mi sono scusato

con Volontario e suo figlio.

(.) S'egli e un furbo, io non sono un gonzo, un arlecchino da

Bergamo. — Si è lasciata la maiuscola in Calca, perchè I' Autore ado-

pera questa parola come nome proprio di luogo, a riscontro di Bergamo,

Frac, E voi vi mettete in soggezione di un vecchio, che

si butta là con un soffio, e di un giovine, che per quanto

sappia tenere la spada in mano, voi, agguerrito come siete, ne

rivenderesti dieci de' pari suoi.

Rug. Io non mi prendo soggezione di questo, ma bensì

dell 1 obbligo, in cui dev'essere ogni onesto uomo di non of-

fendere alcuno, e specialmente gli amici.

Frac. Ma non mi avete detto che è stato egli il primo a

maltrattarvi?

Rug. Si, ma la sua mancanza non meritava un tratta-

mento si rozzo e dispiacevole in contracambio; e per questo

desidero scusarmi sul motivo d' inconsideratezza, per tra-

sporto di collera.

Frac. E voi fatelo, senza pigliar vene tanta pena.

Rug. Ma se non ne restano appagati, e Clarice seguita

nella sua indignazione contro di me per tal fatto? Hai pur

veduto che dimostrazioni ella me n'ha date.

Frac. Vedute? L' ho sentito io. Ma e per questo vi volete

dare alle bertucce ?

Rug. Se Clarice mi abbandona.... ( Pensa J

Frac. Signor padrone, come v'intendete voi degli argo-

menti cornuti?

Rug. Che vuoi tu dire, sciocco?

Frac. Io non sono punto sciocco; o pure sono anche

sciocchi i dottóri, perché questo lo imparai da un filosofo,

che servivo prima di venir con voi; il quale si metteva a

disputar meco anche sopra il pulirgli le scarpe, e dar la

biada al cavallo.

Rug. E bene?

Frac. E bene; che l'argomento è questo. O la signora

Clarice vi vuol ben davvero, o vi vuol ben da burla. Se dice

davvero, voi la vedrete venir lei a baciar basso.

Rug. Eh che una donna irritata non si piega cosi fa-

cilmente.

Frac. Nego consequentiàm. Fanno delle smorfie costoro;

ma quando amano di cuore, le si gettano giù, come il tordo

allo schiamazzo. Se poi ella vi ama da burla, che ne volete

fare? Vi terrà inquieto eternamente col pigliar muffii sopra

ogni bagattella, per attaccar (1) ragioni o ragionacce da rom-

perla con voi.

Rug. In qualunque modo che io mi trovassi privo di

Clarice, sarebbe per me un gran tormento.

Frac. Oh! che è spento il mondo di femmine? Poffare!

non ci è altra abbondanza che di questa mercanzia, ed è

venuta a tanto buon mercato, che molta ne muffa ne' ma-

gazzini

Rug. Quando è mercanzia però simile a Clarice, trova

bene il suo spaccio.

Frac. E a me dà V animo di trovarvene ancora della mi-

gliore. Conoscete voi la signora Vallincontra Tenere! li?

Rug. (2) « Chi? Quella che previene ella medesima gli

« amanti, e si fa gloria di averne senza numero? Questa

« veramente sarebbe mercanzia da contrattarsi con facilità.

Frac. « E la signora Rustichetta Agrestini?

Rug. « Eh via! Come accomodarsi con una capricciosa

« simile, che arriccia il naso a tutte le cose, né parla né

« guarda mai una persona senza farle una mala creanza?

Frac. « Che direte della signora Studiosa Filosofanti, e

« della signora Mobilia Carlomagni? A queste non c'è da

« oppor nulla.

Rug. « Buono! La prima fa la saputella, criticando tutto

« ciò che le dà alle mani. Non parla che di poesia, belle let-

« tere e istorie, e si vuole spacciare per la maggior dotto-

« ressa del mondo. L'altra poi va tanto pomposa d'abiti, e

« del fasto de' suoi antenati, che non serve per adornarla

« V entrata di dieci poderi, e, se tornassero in qua Adamo

« ed Eva medesimi, non cederebbe loro la man dritta.

Frac. « Oh diavol trovagli una calza che gli entri! Che

« diamine! Voi siete peggio del Nausa, che sputava fin nello

« zucchero. Sapete che la vostra lingua è più tagliente della

« vostra spada?

Rug. « Mi prendo questa libertà, perché siamo qui soli

« fra noi: che del resto, se foss' inteso da altri, parlerei in

« diversa forma, sapendo che le donne sono venerabili.

Frac, « Senza dubbio. Ma ritornando alla signora Clarice,

« giacché vedo che questo è il dente che vi duole....

Rug. Aspetta. (Guarda verso la scena,) Signor Leandro,

signor Leandro. Di grazia una parola.

SCENA DECIMASESTA

Leandro e detti.

Lean. Sono a servirvi. (Leandro parla con della fred-

derà.)

Rug. Andavate molto soprappensiero!

Lean. Ne ho delle forti ragioni.

Rug. — Intende del mal trattamento fatto a suo padre. —

Non fuggivate già il mio incontro?

Lean. Anzi ho bene avuto piacer di trovarvi, per ripren-

dere la mia parola sulla dimanda fattavi di vostra sorella.

Rug. Eh, amico, credo che burliate. (Pensoso mostra

principio d f indignazione.)

Lean. Non sono queste materie da scherzare. v

Frac. — La cosa comincia male. —

Rug. E che motivi ne avete?

Lean. 1 motivi son giusti, e tanto vi basti.

Rug. Se son quelli che mi suppongo, hanno facile il

rimedio.

Lean. Non è tale qual voi supponete.

Frac. — Sta' a veder, sta 7 a vedere, che si ha da far

qualche zuppa. —

Rug. Dunque una mia dichiarazione non è bastante....

Leon, Non basta.

Rug. Non basta ? (Con della dimostrazione di collera

interna,)

Lean. No certamente.

Rug. tira mano alla spada. Sarà dunque bastante la

mia spada a farmi dar sodisfazione del ritrattamento della

parola datami.

Lean. Molte ragioni potrei addurvi, che mi disobblighe-

rebbero da tal sodisfazione ; ma per tema d 1 essere incaricato

di viltà d' animo, non ricuso V incontro. ( Tira mano, e si

battono. )

Frac. Oh povero me ! Dicon davvero. Ajuto : correte.

SCENA DECIMASETTIMA

Isabella, Serpina, Clarice e Lauretta da diverse parti e detti.

Isa. a Leandro, ritenendolo. Contro il vostro amico?

Clar % ritenendolo, a Ruggiero. Contro il mio fratello?

Lean. Isabella! ahimè! )

(Partono nel medesimo tempo.)

Rug. Ciance! O Cielo! )

Clar. seguitando Leandro. Ascoltate fratello. ( Via. )

Isa. seguendo Ruggiero. Ruggiero sentite. ( Via. )

Serp. Fracassa, che hanno avuto che dire?

Laur. Che e' è stato ?

Frac. Ne siete cagione voi altre pettegole. ( Via. )

Serp. Vo dietro alla mia padrona ( Via.)

Laur. E io dietro alla mia. ( Via. )

Fine dell'atto primo.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Appartamento d' Isabella.

Clarice e Isabella.

Clar. Quanto vuol esser per noi cagione di afflizioni e

tormenti il contrasto de' nostri amanti, e respettivamente

fratelli !

Isa. Cosi è, amica Clarice; lo stesso caso porta ad am-

bedue la medesima infelicità. Voi disgustata di Ruggiero

perché infedele, io di Leandro perché imprudente. Vi ven-

dicate voi troppo aspramente col non volerlo ascoltare, io

col rimproverarlo con troppo rigore. Ci pentiamo, né an-

diamo procurando V emenda, e lusingate dalla speranza di

giustificarci e riunirci con essi, ahimè ! troviamo che la dis-

cordia nata tra loro ci pone in disperazione di vedere una

volta conclusi i nostri sponsali.

Clar. Ah, che pur troppo è vero che ogni speme di fe-

licità per noi è svanita, e nuli' altro ci resta, che pianger per

sempre e la nostra inconsideratezza e la nostra disgrazia.

Isa. Dunque il gentilissimo Leandro non sarà più mio?

Clar. Né mio sarà più l'amabilissimo Ruggiero?

Isa. Ma perché gittarsi affatto in braccio alla dispera-

zione? Speriamo, Clarice, e lasciando ad altre femmine meno

coraggiose di noi una tal viltà d' animo, ponghiamo in opera

ogni arte, per rintracciare 1' origine dei dissapori de 7 nostri

amanti.

Clar. E quando questo ci sortisca?

ha. Allora potremo più facilmente adoprarci per la riu-

nione de' medesimi.

Clar. lo non so lusingarmene. Vostro fratello è troppo

ardente e risoluto.

Isa. Si, ma egli è ancora ragionevole. Oltre di che, avendo

il cielo permesso che dal nostro casuale arrivo sia impedita

l'uccisione forse di uno di loro, voglio sperare che favorirà

ancora le nostre intenzioni per quest' altr' opera si giusta e

lodevole.

Clar. Cara Isabella, le vostre riflessioni alleggeriscono

bene assai 1' oppressione del mio cuore, né posso negare che

non siano molto savie e prudenti; ma permettetemi che vi

palesi un mio pensiero, che crederei più proprio e sicuro

per un tal fine.

Isa. Dite pure: qual è?

Clar. Di procurar piuttosto con ogni mezzo la riunione

di noi co' nostri amanti, perché, ottenuta questa, sarà molto

più facile coli' opra nostra ottenere allora la riunione degli

animi loro.

Isa. Non mi dispiace il consiglio: tanto più che princi-

pieremo da ciò che è reso dalla nostra passione più deside-

rabile al nostro cuore. Io molto mi prometto, in questo af-

fare, di Serpina.

Clar. Ed io molto di Lauretta.

Isa. Cosi faremo; e se ci riesce in tal forma porre il no-

stro spirito in calma, molto avremo da riderci degli amori

di Strinato e di vostro padre.

Clar. Risparmiate questo secondo quanto potete, ve ne

prego, e fate ogni possibile di toglierli queste sue frenesie di

testa, che potrebbero esser d' impedimento a' nostri desideri,

come sono di non piccolo discapito al suo decoro. ■

Isa. Non mancherò di ciò fare dal canto mio: è neces-

sempre il mio cuore è stato un girasole, che non sa voltarsi

se non allo splendore del tuo bel volto.

Ser. Eh, chi sa che tu ancora non mi abbi fatta qualche

infedeltà. Di questi splendori se ne trovano per tutto, e cosi

il tuo ancora....

Frac. Te lo giuro per l'intemerata salita del monte Li-

bano, guarda, che ti sono stato sempre fedele.

Ser. Tu giuri perché io più ti creda; e io ti giuro che

mai ti credo meno che quando tu giuri. Me V insegnò mia

madre, che ero tantina, che non credessi a' giuramenti de-

gl' innamorati.

Frac. Oh, tu' madre a vera dato alle mani di qualcuno

di que 1 volponi vecchi maliziosi, che si mettono a ruzzare

colla lepre, per poi aggrancirla, e farne pasto de' suoi denti.

Ma io sono più puro e semplice dell'acqua di fontana.

Ser. Ho paura che tu sia come l'acqua di fontana dav-

vero, che se ella è pura e limpida nel suo principio, scor-

rendo poi in questo paese e in queir altro, spesso s'impan-

tana.... Basta, non vo'far giudizj temerari.

Frac. Che vorresti tu dire per questo?

Ser. Che non viaggiò mai volpe, che non tornasse a casa

co' piedi polverosi o inzaccherati.

Frac. Dunque, se viaggiassi ancora tu....

Ser. Eh, io non sverei tanta fortuna di avere questo gusto

di poter girare un po' il monda

Frac. Oh, che credi che sia?

Ser. Un bel piacere ve'. Se non fosse altro, il veder tante

mode, tanti paesi, tanta gente diversa.

Frac. Tanti campanili, tanti batacchi.

Ser. Si, tanti campanili e torri e palazzi, e poi bella gio-

ventù, maniere differenti dalle nostre. Dimmene un po' qual-

cosa, Fracassa mio, che mi muojo di curiosità di saperle.

Frac. V ti contenterei in altro che in questo. Di' pur su,

che vorresti tu sapere?

Serp. Che so io per me? Come vanno vestite le donne....

Fra. Te lo diròl Primieramente portano la camicia....

Serp. Oh diavolo, che avessero andar senza! Questo me

P immagino da me. Dico a che usanza, io.

Fra, L'usanza, fra l'altre, è di andriènne sciolta e legata.

Chi ha bella vita, e ci pretende, la porta attillata col bu-

stino sotto; e chi ha una vita cosi cosi dice non potere stare

stretta a cagione de' vapori o altro, e la porta spampanata

con un corse da balia, che è comodissimo per stare appog-

giata e a diacere.

Serp. Quest'usanza è arrivata ancora qui. E in testa?

Fra. In testa poi la cornetta, il parrucchino, il battiloc-

chio e mille altre cose simili.

Serp, Oh, come qui. Le maniere poi di vivere saranno ben

diverse.

Fra. Ecco : i vecchi sempre gridano, sempre attenti a far

roba, stringati, avari, pieni di paura che non gli manchi la

terra sotto. Quei di mezza tacca la spoliticano, cercan cari-

che, procurano guadagni, dalla mattina fino alla sera appli-

cati a'negozj, tutti ambizione, frodi, inganni e raggiri; quando

non gli sia restato addosso il male della gioventù ancora,

cioè fare all'.amore.

Serp. Giusto come qui; e i giovani?

Fra. I giovani poi, oh che bella cosa ! Si levano ben tardi,

si mettono come le dame alla teletta, ove stanno un par

d'ore a pulirsi- e a ripulirsi; qualcheduno anche a lisciarsi,

a pareggiarsi la crovatta, addirizzarsi i capelli storti della

parrucca; poi pomposi ed insaldati cosi, che pajon tutti di

un pezzo, vanno alla toeletta o alla levata delle signore: qui

motti, grazie e tenerezze; viene la cioccolata, che si beve col

saporetto della mormora (1) e de' racconti della sera passata.

Serp. Giusto, giusto come qui.

Fra. Di U vanno a desinare, e spesso fuori di casa pro-

pria: dopo, il suo sonnellino; un poco alla finestra a veder

chi passa ; poi alle visite o al passeggio ; la sera in conversa-

zione o al giuoco o alla comedia; a cena, a letto, passata la

mezza notte; e poi da capo, e sempre cascanti d'amore.

Serp. Come qui per V appunto, per l'appunto.

Fra. I mariti non vedono le mogli, che qualche volta a

tavola, e le mogli....

Serp. Se cosi è, sarò stata in Francia ancor io, senza muo-

vermi di Firenze.

Fra. Questo può essere.

Ser. Ma, dimmi, là ancora gì 1 innamorati abbandonano cosi

per poco le loro amanti come qui?

Fra. Oh li si. Se ne fanno i cambj, come delle bestie

sulle fiere.

Serp. Uh meschina ! ora me ne ricordo ; ho da andare a

far un servizio, e stavo qui teco a cuocere il bu\

Fra. Se tu intendi di cuocer te, muta vocabolo ve',

sorella.

Serp. Uh scimunito! Sempre tu ne vuoi dir qualcuna. Ad-

dio, girasoli no mio.

Fra. Addio, splendore del mio cuore.

SCENA TERZA

Cortile.

Volontario solo.

Ora la pietra è nel pozzo per me: non v'è più riparo.

Quel briccone di Leandro nVè venuto proprio a sonare il

cembalo in colombaja con quella so' sciarrata. Ah V son pur

disgraziato ! Agli altri le gli piovono, e a me le mi diluviano

le male notti: mi mancava ora questa, che mi finisse egli di

spegnere i moccoli delle me' speranze; Pero pur troppo nelle

corna al toro a cagione di quella visita fatta contrattempo a

Ruggiero, senza che egli V invelenisse di più contro della no-

stra casa, col battersi seco. Oh non accor più pensarci alla

Lisabella; per me gli è spiovuto affatto, e me ne posso net-

tar la bocca con do 7 pezzuole. Ma quel che più mi scotta, e

mi rode il cuore, è la paura che la non tocchi a quel vec-

chiaccio di Strinato: sebbene la non avrebbe a toccar né

manco a lui, perché nel calendario di Ruggiero e 1 mi parve

che e 7 non ci fosse troppo né anch'esso: ma chi sa ch'egli

non sia per dargliela per farmi dispetto, ora che ci è soprag-

giunta, e non so perché, la nimicizia del me' figliuolo. Ah fi-

gliuolo briccone, tu mi hai assassinato, tu m' ha' fatto il peg-

gio.... Ma i'non son to' padre, se non t'jnsegno.... {S'in-

contra in Leandro.)

SCENA QUARTA

Leandro e detto.

Voi. Oh, tu arrivi giusto a tempo il me' furfantane, per-

eh 1 V ti lavi il capo, come tu meriti.

Lean. In che ho errato, signor padre, che possa giusta-

mente dar motivo a tanta sua indignazione?

VoL In che hai errato eh? Ancor me ne domandi!

Leon. Vi confesso che non mi ritrovo colpevole di cosa,

che meriti riconvenzione.

Voi. Tu ti confessi male, il me' sciagurato : ma ti darò

io tal penitenza, che non ti verrà più voglia di far lo spa-

daccino.

Lean. Che forse mi attribuite ad errore Tessermi bat-

tuto con Ruggiero, eh?

Voi. Stiamo a vedere che ti parrà di aver fatta un'azione

da meritare una statua.

Lean. Non dico questo; ma né meno da meritarne alcun

biasimo.

Voi. No eh? Io ti farò cacciare in una segreta, e allora

si vederà se t'avrai meritato biasimo o lode. Ti par forse

bella cosa far tirar mano ad un amico, senz'averne ragione?

Lean. Signor padre, ella s' informi prima meglio del fatto,

e poi giudichi sopra di esso. Non sono stato io che ho inci-

tato Ruggiero a battersi; egli mi ha obligato por mano alla

spada per mia difesa.

Voi. Come? Non sei stato tu che P hai sfidato?

Lean. No certamente; e chi le ha asserito in contrario?

Voi. Mi è stato detto che ti sei battuto con lui, ed io mi

credevo.... Ma non importa, tu non dovevi tirar mano, e

forti cosi nemico un signore, che può far molto bene alla

casa nostra.

Lean. Come? Per un motivo si basso doveva io renun-

ziare al mio onore, e soggiacere alla taccia di uomo vile e

codardo? Perdonatemi, signore, io mi aspettava da voi altri

documenti.

Voi. Si: ma perché glie n'ha 1 tu data occasione? Che gli

hai tu fatto? Lui non ti a vera sfidato a capriccio, perché so

che ti voleva bene.

Lean. Il motivo non meritava tal risentimento.

Voi. Ma qual è stato questo motivo?

Lean. — Che dirò? —

Voi. Tu non parli : i' Io vo* sapere.

Lean, Il mostrarmi io disgustato.... ( Tace.)

Voi. Disgustato di che? Di' su.

Lean. Del trattamento.... lasciate che io lo taccia, per ri-

sparmiarvi un nuovo dispiacimento.

Voi. — Vuol dire del trattamento poco civile, che Rug-

giero mi fece in casa sua. — Oh via, ti voglio compiacere,

ma con questo che tu veda di rappacificarti seca

Lean. Farò quello che converrassi al mio decoro. Ma voi

per altro....

Voi. Non parlar più, ti perdono. — Non è materia questa

per me da stuzzicarsi troppo. — Voglio andare a far un ne-

gozio, sai: non posso trattenermi da vantaggio. ( Via.)

Lean. Vada pure. — Troppo mi premea tenere ascoso a mio

padre il motivo di quella rissa; la quale, benché terminata

senza sangue, pure mi vuol costare la vita per l' afflizione.

Inconsiderato che fuil Perché corsi senza una più matura

riflessione alla renunzia di quel bene, che era tutta la deli-

zia del mio cuore, adesso mi convien vivere sonza speranza

di racquistarlo, e cosi sempre tormentato dal rimorso di es-

sermi lasciato trasportare da una forse insussistente appa-

renza di non esser più caro alla gentile Isabella. Ah perdita

irreparabile! Ah Leandro infelice! ( Va per partire.)

SCENA QUINTA

Serpina, Strinato con un rivolto ascoso sotto il ferrajolo,

t detto.

Serp. chiama Leandro, Eh, eh, zi, zi. (Leandro si volta,

e ritorna, e nel medemo tempo esce Strinato.)

Stri. Eccomi, Serpina mia, già i' venivo a trovarti.

Serp, — Oh diamine ! ecco guastacavoli. —

Lean. Serpina, chiamasti me?

Serp. Io veramente volevo,... — Sono imbrogliata. —

Stri, Me, non è vero?

Serp. Signor si, ma....

Lean. Anderò dunque al mio viaggio.

Serp. Signor' no, signor no, aspetti.

Stri. Ma se tu mi vuoi parlare ....

Serp. Signor si, ma vo' dire una parola anche al signor

Leandro.

Stri, a Serpina. E che cosa vuo'da lui?

Serp. a Strinato. Or ora. ( Va a parlar basso a Lean-

dro.) Ho bisogno discorrervi a solo; ma ora non è tempo,

lasciatevi rivedere in casa tra poco.

Lean. Su che materia? (Basso a Serpina.)

Serp. Lo saprete: per adesso fìngete collera per ingannare

il vecchio. (Forte.) Non vi alterate.* ognuno è sottoposto a

errare.

Lean. forte. Mi maraviglio del tuo ardire; né posso sof-

frire da vantaggio la tua impertinenza. ( Via.)

Serp. Uh che vipera!

Stri. Serpina, che gli ha 7 tu detto?

Serp. Son giovanastri, che non gli si può far né meno

una correzione.

Stri. Sopra di che glie la volevi tu fere?

Serp, Eh sopra la sciarrata che ha fatta col mio padrone;

e perché gli ho detto che ha fatto male, e che bisognava

che facessero la pace, avete veduto?, è parso mi volesse

mangiare.

Stri. Oh no, Serpina, non devi intrometterti perché sì

riuniscano; anzi devi mettere maggior male tra loro.

Serp. Ma questo sarebbe un operar contro la carità.

Stri. Chi lo dice?

Serp. Io, e tutti i buoni libri lo dicono.

Stri. Oh tu non capisci: a operar cosi faresti una carità

fiorita: sei allo scuro, sorellina mia.

Serp. Ho paura che ci siate voi allo scuro, o ci vogliate

andare.

Stri. Adagio, adagio, piglia le cose pel suo verso; ascolta.

Serp. Sentiamo un pò 7 questa nuova dottrina.

Stri. Non è egli vero che è carità l'adoprarsi perché se-

guano i matrimoni?

Serp. Bene?

Stri. Che il mio colla signora Isabella sarebbe più facile

che seguisse, se s'impedisse che ci fossero altri pretendenti,

è cosa chiara.

Serp. E cosi?

Stri. Dunque a procurare che non si riunisca il tuo pa-

drone col signor Leandro, faresti a me una gran carità; per-

che impediresti che Volontario seguitasse a pretendere, come

egli fa scioccamente, allo sposalizio della medesima.

Serp. Oibò, oibò, questo discorso non camina.

Stri. La ragione?

Serp. Io non ho studiato, e per questo la ragione non la

so; ma so che ella ci ha da essere.

Stri. La cosa sta come ho detto ; e, per dirtela, mi son

rallegrato tutto quando ho intesa questa nimtcizia. Ora quel

falimbello di Volontario non dovrebbe più aver ardire ....

Serp. Voi sete pure spericolato. Anche senza questa ni*

micizia, che ombra vi può egli fare?

Stri. Oh nissuna, perché tra me e lui ci corre quel poco»

Serp. Eh, fra voi e lui non credo che ci corra molto; ma

il punto sta nella signora, che io ho svolta tutta in vostro

favore.

Stri. Ora veggo che tu mi vuoi bene, e t'assicuro eh* io

te ne voglio altrettanto. Dunque questo sarà il tempo che io

possa venir da lei, come avevi pensato?

Serp. finge tossire. Eh, eh, eh, eh.

Stri. M'immagino che tu m'abbi chiamato per questo:

non è vero?

Serp. segui f a tossire. Eh, eh, eh, eh.

Stri. Che cos'hai?

Serp. Sono infreddata morta. ( Tosse di nuovo.) Eh, eh,

eh, non posso né meno rispondere.... eh, eh, eh.... queste

frescure.... eh, eh, eh.

Stri. Non mi pare che sia gran freddo, a me anzi....

Serp. Voi non lo sentirete sicuro, che siete carico di panni,

ma io ( Tosse.) eh, eh, eh.

Stri. Ritornando al discorso, questo sarà dunque il tempo

di venire da Isabella, giacché tu dici....

• Serp. fingendo andarsene. La riverisco.

Stri. Vien'qua, dove vai?

Serp. In casa, ch'io tremo come una vetta. ( Va per

partire.)

Stri. Aspetta, aspetta, ch'io ho qui qualche cosa per te.

Serp. Che diceva, signor Strinato? (Ritorna a fretta).

Stri. — Volevo vedere se me la potevo risparmiare; ma

non ci è modo, bisogna contentarla. — Dicevo ch'io ti ho

portato da pararti il freddo : tieni. {Le dà P involto. )

Serp. Ma lei è troppo cortese. Eh, glie l' ho detto sempre

alla signora che un cuor liberale come il suo non si trova

in tutta Firenze.

Stri, h giustizia ricompensare largamente chi lo merita.

Ora dimmi, ho io da venire adesso dalla signora?

Serp. Ora, ora in questo punto signor no, perché credo

che il signor capitano sia in casa; ma lasciatevi rivedere fra

un'ora, che spero che si potrà.

Stri. O via farò cosi; intanto anderò a fare un negoziuccio.

Serp. Si, si, vada pure.

Stri. In questo mentre lavora in favor mio.

Serp. Vada, vada, non ci pensi.

Stri. — S'ella non fosse tanto interessata, la sarebbe una

ragazza d'oro. — ( Via.)

Serp. Oh venga la rabbia agli stringati, ci è voluto gli ar-

gani a cavargli dalle mani questo regalo. Pesa che spiomba.

Sarà qualche sottana di scarlatto almeno. Non posso indù*

giare; in casa a vederlo: la curiosità....

SCENA SESTA

Lauretta e detta.

Lati. Oh Serpina, che fagotto è codesto? Vai al Monte, (i)

o ne vieni?

Serp. Lauretta mia, questo è un regalo e non un pegno.

Lau. Un regalo? Fortunata te che hai chi ti dà, e chi ti

avventa.

Serp. Questi sono i vantaggi di chi serve, come ti dicevo,

padroni innamorati.

Lau. Buon prò ti faccia: e chi te l'ha dato?

Serp. Lo saprai.

Lau. Che cos' è di bello, si può sapere ?

Serp. A dirtela, non so nemmen io: appunto adesso stavo

per vederlo; ma dovrebbe essere qualche veste di scarlatto

o castorino ; perché chi me l' ha dato può far questo e altro :

vediamo. (Svolta appoco appoco.)

Lau. Buon per te, che avrai da pararti il freddo in que-

st' inverno.

Serp. V ho avuto a questo fine.

Lau. Ma come fai, che a me non mi sarebbe dato nem-

meno un zolfanello a baciare?

Serp. Figliuola, in bocca chiusa non entrò mai mosche;

ci vuol giudizio e lingua. (Finisce di svoltare, e trova un

guarnello di rovescio rosso, tignato, rattoppato, rotto e

corto,) Oh a varacelo scomunicato; che ti venga il mal del

fistolo sulle mani; che tu possi morire a ghiado!

Lau. Ah, ah. (Ride.) Un bel castorinol Tu puoi andare

alla tramontana a tua posta, senza paura di tremare.

Serp, Vecchiaccio barbogio ! Tanto avessi tu fiato, quanto

io non sono da esser burlata cosi ! Che mi sia cucita la bocca,

se non te la fo pagare: non mi morse mai cane, ch'io non

mi volessi medicar col suo pelo.

Lau. Non occorre che tu mi dica più chi è stato il dona-

tore, perché si riconosce dal dono. Questo non può esser

d'altri che del signore Strinato.

Serp. Si, egli è quell'unguento da cancheri; che se ne

possa perder la semenza, come de' cavalli verdi. Guarda qui

se si può trovare un guarnello più rifinito di questo! E sa

se me l'ha fatta cascar da alto.

Lau. Non lo disprezzar tanto no, che ti potrà servire a

tare uno spazzatolo da forno, o uno spauracchio da piccioni.

Serp. Né meno del mezzo della strada si ricorrebbe.

Lau. Figliuola, se tu non apri la bocca ad altro che a

queste mosche, ti consiglierei a tenerla piuttosto chiusa.

Serp. Ah, per questa volta tocca a te a darmi la quadra;

ma sempre non ride la moglie -del ladro.

Lau. Ora rinfagotta un po' cotesto tuo regalo, e discor-

riamo di servir bene le nostre padroncine, che non si posson

dar pace, le poverette, d'esser restate per loro colpa come

suor Chiappa, che, sognando di aver preso un tordo, si trovò

poi colle man vuote. Dimmi, hai tu fatto nulla per loro?

Serp. Oh, a proposito: hai fatto bene a ricordarmelo. Bi-

sogna che vada in casa, perché son restata col signor Lean-

dro, tuo padrone, di discorrergli su questo negozio, e l' ora

ai avvicina.

Lau. Va 1 pur, e fa' bene; e io, se posso, parlerò al tuo.

Serp, Se ti riesce servirlo a suo genio, ratti regalare

almeno.

Lau. Eh i be' regali son tutti per te.

Serp. Hai ragione : me ne servirò per cenci da strofinare»

( Via.)

Enu. Questi signori uomini si danno a credere che noV

altre donne caschiam morte di loro, e però pretenderebbero

trattarci alla turchesca; e che di più ci dovessimo rinchinare

e raccomandare, anche quando ci strapazzano. Ma se tutte

fossero del mio umore, si vedrebbero bene trattarci con mena

altura, e non farci tanto l'uomo addosso. Con tutto che io

sia ragazza, ho però imparato a conoscere che una mano di

costoro sono una sorta d'animali, che vogliono essere padro-

neggiati o menati pel naso, per ottenerne qualcosa: e però

saprò ben sostener le ragioni della mia padroncini ( Vede

Ruggiero.) Oh eccolo a tempo. (Pensa.)

SCENA SETTIMA

Ruggiero e detta.

Rug. — Ecco Lauretta: vorrei intender da essa se Cla-

rice sia irritata di più contro di me, a cagione dell* incontra

avuto con suo fratello. L'amore che conservo per quella

bella crudele.... Ma il mio decoro richiede sostenutezza. —

Lau. — Vo' servir la padrona, ma non mi vo' gittare

però. —

Rug. — Le passerò davanti, senza parlare: ella, come

donna, dovrebbe dar motivo al discorso. —

Lau. — Passerò via senza fargli motto: averebbe egli a

uscire a qualcosa. — {Si passano davanti, mostrando non ve-

dersi, e giunti all' altra parte si fermano pensosi.)

Rug, — Non vorrei che un intempestivo ritegno pregiu-

dicasse a' miei disegni amorosi. —

Lau. — Non vo' che la mia altura mi faccia scappare

un 1 occasione si bella. — (Si voltano tutti due.) Oh Compa-

tisca, signor capitano, non l' avevo osservato.

Rug. Né pur io te.

Lau, Noi altre serve abbiamo alle volte tante cose da

fare, che non ci lasciati pensare a tutto.

Rug. È segno di aver somm' attenzione in ben servire i

padroni.

Lau. — E' fa Alberto duro, e io sarò Petronio. — Oh quanto

a poi quando si tratta di servir la mia padrona, mi farei sparare.

Rug. Il servire i padroni con affetto è un 7 ottima qualità.

Lau. E come si potrebbe far di meno a non amare quella

signora, che, oltre ali 1 essere una pasta di mèle e cosi carina

e vaga, ha poi tante belle virtù che incantano?

Rug. h gran sorte P essers' incontrata si bene; ma è mag-

giore il saperlo conoscere. — Non può tardare a calarsi ove

l'aspetto. —

Lau. — Sta più sodo d' un cavicchio confìtto a forza. —

E pure ci sono alcuni, che, avendo gli occhi di pavone rivolti

solo alle proprie bellezze, van tanto gonfi di quelle, che gli

pare che tutti gli altri, rimpetto a loro, sien corbi.

Rug. Può essere, ma io non ne conosco alcuno.

Lau. Ne conosco ben io ; ma, se avessero a far meco, gli

vorrei scodare in maniera, che si avessero a vergognar di

sé stessi.

Rug. E chi mai son eglino questi si poco conoscenti del

vero ? — Questo sarebbe il tempo, ma mi conviene aspettarlo

più proprio. —

Lau. — La palla sarebbe venuta al balzo, ma non gli vo'

dare ancora. — Non tocca a me a mettere il bucato al sole ; che

del resto saprei....

SCENA OTTAVA

Volontario e detti.

Voi. Lauretta, ha' tu visto Serpin.... (Vede Ruggiero, e

sì ritira un poco.) — Oh diascolo, il capitano è qui. — .

Laù*. — Il padrone! —

Rug. — Arrivo importuno! —

Voi. — Mi ha visto: ora non posso fuggirlo: che farò ioi*

Lau. — Venga la rabbia all' altura ! Ecco P occasione an-

data al diavolo. —

Rug. — Ah come per mia colpa perdo la congiuntura

che la sorte mi aveva presentata si bella!

Voi. — Batte da brusco; (i) chi sa povero me come

Pabbia a ire. —

Lau. — Non viene innanzi. Sicuro che gli ha preso bizza,

per vedermi con Ruggiero; se posso, svicolerò. — (Si tira

appoco appoco verso la scena, e, quando vede il tempo, va

via.)

Rug. — Mi prevarrò dell' altra di far le mie scuse con

Volontario. —

Voi — È meglio eh' V pigi' il puleggio, diamin eh 1 e 1 m' ab-

bia a correr dietro. — ( Via. )

Rug. — Giacch'ei non s'accosta, sarò io il primo a ri-

verirlo. — (Si volta, e non vede alcuno.) Ma qui non è al*

cuno. Fuggi egli il mio incontro, sdegnando abboccarsi meco.

Or come potrò ricompor le cose per l'acquisto di Clarice?

E sdegnata ella per la prima offesa fatta al padre, quanto la

sarà di più per la seconda fatta al fratello ! Mal avvisato che

io fui a lasciarmi sedurre da' miei subitanei movimenti di

collera !

SCENA NONA

Volontario e Fracassa.

Fra. Dieci scudi eh?

Voi. Dieci scudi, se mi fai rappacificare col signor capi-

tano tuo padrone; e dieci doppie, se m'introduci dalla si-

gnora Isabella.

Fra. Date qua.

Voi. Oh, adagio; e' non si paga l'asino, finch'e' non è con-

segnato. Se tu mi dicessi: datemi un pò* di caparra, ^inten-

derei; ma quel voler essere pagato innanzi e' verrebbe a fare

ch'io fu&si servito doppo, come dice il proverbio.

Fra. Che servito doppo?

Voi. Oh, signor si, vedi.

Fra. Voi siete servito beli* e adesso. Il negozio è fatto.

Voi. Come fatto? Pdico che si ha da fare, io.

Fra. Signor si, fatto; siate pur sicuro che il padrone è

rappacificato, e figuratevi di essere già stato a riverir la

signora.

Voi. Oh, P non vo' far questi conti io. Tu mi vorresti ri-

méttere dall' abbicci, (ratei mio, a quel eh' i' veggo.

Fra. Air abbicci mi par che vorreste voi rimetter me,

che mi pigliate per un parabolano o per un dappoco. E se

russe altri che voi,....

Voi. Non entrare 'n collera: i'non ti piglio né per l'uno

né per l'altro; ma le cose fatte le piglio per fatte, e per non

fatte quelle che sono ancora da farsi.

Fra. Qui è dove voi pigliate sbaglio: non avete mai sen-

tito dire che, quando il paziente sta sotto alla forca, si ha per

-impiccato?

Voi. E cosf, che vuo'tu dir per questo?

Fra. Vo'dire che quando una cosa è sicura, la si dà

per fatta.

Voi. Se cosi è dunque, tieni pur per dati i dieci scudi e

le dieci doppie, perché le son sicure.

Fra. Già io veggo al vostro mo'di parlare che non vi

fidate di me.

Voi. E al mo' di sornacare che fai tu, i' conosco che tu

non ti fidi della mia parola.

Fra. Ma di che avete paura?

Vói. Di quel che hai paura tu. Tu l'hai che io non ti

dia i quattrini doppo fatto il servizio; ed io V ho che non ci

sia più servizio doppo dati i quattrini.

Fra. E voi tenetevi i vostri quattrini, che io mi terrò il

mio servizio.

Voi. Oh noe, Fracassa mio.

Fra. O perché m' ho io da fidare più tosto di voi, che

voi di me?

Voi. — E non dice male lui. —

Fra. Or guardate se ho caro servirvi: non voglio che si

feccia né tutto a mo 1 vostro, né tutto a mio: voi mi darete

adesso cinque scudi per la rappacificazione, e cinque doppie

per V introduzione, ed il restante a cose fatte.

Voi. Son contento; questa è cosa giusta: tieni. (Gli dà

il denaro.)

Fra. — Di questi partiti ne farei a ogn'ora uno. —

Voi. — E stato la mia fortuna aver rincontrato costui adesso

che me n'andavo per disperato. —

Fra. Orsù, signor Volontario, a rivedervi.

Voi. Oh, piano; quando mi conduci tu dalla signora

Isabella ?

Fra. Bisogna prima pigliar tempo.

Voi. Ma quanto sarà egli lungo questo tempo? Pnon

vorrei....

Fra. Ho inteso: date qua tutte le dieci doppie, e an-

diam ora.

Voi. resta un po' pensoso, poi risoluto. Si bene, mi ci

accordo.

Fra. Andiamo dunque, e muoja V avarizia. ( Via.)

Voi. Eccomi — Quello spilorcio di Strinato starà un pò 7

fuora il minchione; di questi passi da giganti e 7 non è per

farne, s'è' campasse mill' anni.

SCENA DECIMA

Appartamento d' Isabella.

Isabella e Serpi ha.

Isa. Leandro è dunque qui per visitarmi.

Serp. Signora si, ed è cosi umiliato, che fa compassione.

Isa. Digli che non voglio vederlo.

Serp. Oh che fa qualche quarto di luna? Dianzi eravate

tutta in pena pe' disgusti seguiti fra voi, e per quelli di esso

con vostro fratello; mi mandate a rintracciarne l'origine colla

maggior premura del mondo, affine di trovar modo di rap-

pacificarvi tutti quanti; io la rintraccio; ve la dico, e di più

ve lo conduco qui per farvi le scuse; e ora, voltata bandiera,

o volete mandar via come un furbo. E perché questa mu-

tazione ?

Isa. Perché voglio umiliarlo davvantaggio, ad effetto che

impari ad aver più ossequio, e far più stima della mia

persona.

Serp, Eh via, non fate questa cosa, fatelo passare e presto;

che potrebbe venir poi vostro fratello....

Isa. Hai inteso.

Serp. Dice bene il proverbio: né di donna, né di mare,

se non vuoi guai, non ti- fidare. Vado a licenziarlo, ma ve-

dete, non mi venite più a belare intorno, e dirmi : ahimè, non

posso vivere cosi tormentata; Serpina mia, trova qualche

refrigerio alle mie pene; va 7 , parla, procura; ah tu sai i miei

bisogni, mi pongo nelle tue braccia, e mi fido di te; che io

allora farò cornacchia di campanile, e vi lascerò cuocere,

come il prugnolo, nella vostr' acqua....

Isa. Ma ti pare ch'egli se la deva passar cosi per poco

d'avermi rinunziata?

Serp, Ma se voi lo avevi.... basta, che occorre far adesso

tanti discorsi? Voi non ne volete saper altro, e io vado....

Isa. Si, va', e digli.... (Pensa.) digli che passi.

Serp, Ora mi pare che l'intendiate meglio; vado. ( Via,)

Isa. Veramente egli potrebbe da tal rifiuto prendere mag-

gior motivi di abbandonarmi; ed io, misera, piangere inutil-

mente il mio errore. Mostrerò ben da prima sdegno e soste-

nutezza, per dar maggior peso alla sua colpa; ma poi anderò

mitigando il rigore fino a scendere alle solite affettuose espres-

sioni, per maggiormente obligarlo ad amarmi. Ma eccolo:

cuor mio, non m'ingannare.

SCENA UNDECIMA

Leandro e detta.

Isa. andando incontro a Leandro. Leandro, non temete,

venite, venite pur liberamente a far pompa della vostra in-

fedeltà. Una fanciulla, come io sono, abbandonata, schernita,

vilipesa, che volete che possa contro di un eroe, che si batte

cosi coraggiosamente, per sostenere i suoi rifiuti e la sua

mancanza di fede?

Lea. s* inginocchia. Io, signora, sono a 1 vostri piedi per

domandarvi perdono di un errore, che non voglio negare;

ma che, a ben esaminarlo, potrebbe passar per non tale, o

almeno meritare gran compatimento.

Isa. Alzatevi: non è giusto (Ironicamente.) che un inno-

cente, qual voi siete, mi si presenti davanti in aria di colpe-

vole, e si avvilisca cotanto.

Lea. Confesso, amabilissima Isabella, d'esser reo al tri-

bunale del nostro amore; ma vi prego di ascoltar le mie dis-

colpe, che spero faranno comparire il mio delitto ben diverso

da quello che lo supponete.

Isa. Dite pure a vostro talento, che io vi do tempo quanto

vi piace d'inventar menzogne e ripieghi, quando non gli

aveste anche premeditati.

Lea. Signora, vi supplico formar di me un concetto mi-

gliore, ed ascoltarmi almeno con dell'indifferenza; poiché,

con tali prevenzioni, qual giustizia posso io sperare che sia

fatta alle mie ragioni?

Isa. La giustizia alle vostre ragioni sarà fatta qual esse

la meritano. Vi ascolto.

Lea. Io non credo che prima di oggi potesse mettersi in

dubbio la sincerità del mio tenerissimo affetto verso di voi.'

Isa. Adagio: questa è una proposizione che non può met-

tersi per base della vostre ragioni; mentre V accertatezza di

essa risultar deve dal giudizio, che converrà darsi delle vostre

ultime operazioni.

Lea, Come? E vorrete formi ancora questo torto di giu-

dicar menzognero il mio amore?

Isa. Per ora ne sospendo il giudizio.

Lea, E che riprova ne vorreste maggiore di quella di

avervi con tanta sollecitudine e premura dimandata a vostro

fratello per isposa?

Isa. con risentimento. E di avermi con tanto calore, fino

a battersi seco, di poi cosi villanamente ricusata?

Lea. Dunque mi accusate di ciò che io feci per compia-

cervi?

Isa. Ah traditore? Un rifiuto simile per compiacermi?

Lea, Ma non foste voi quella che mi condannaste di troppo

ardito in aver fatta tal richiesta, che disapprovaste con tanto

risentimento?

Isa. Io disapprovai la vostra inconsideratezza in disgustar

mio fratello, che supposi....

SCENA DECIMASECONDA

Serpi na e detti.

Ser. Signori, credo che il signor Ruggiero sia alla porta.

Isa. Ruggiero ? Ahimè, che far deggio ? Leandro, partite.

Lea, Io partir da voi noti ancor giustificato?

Isa. Si, partite: temo che la sua animosità.... partite

prima che giunga.

Lea. Partirò, purché mi accordiate altro tempo per le mie

discolpe.

Isa. Ve lo prometto. Serpina, conducilo fuori di casa

senza ch'ei lo veda.

Ser. S' egli è lui, ci vuol esser per ora male il modo. Lo

farò bene ascondere in quest'altre stanze.

Lea, Bella crudele, esaminate, vi prego, con miglior cuore

le mie ragioni. ( Via.)

Isa, — Ah per me troppo infausto contrattempo! —

Ser. — Questo gioiello di diamanti, che mi ha dato il si-

gnore Strinato, Io ha fatto diventare il signore Ruggiero, e

adesso adesso lo farà ritornare Strinato, com' egli è. — ( Via. )

Isa. Quanto contraria è mai la sorte a 1 miei amori! Infe-

lice! Nel tempo appunto che il mio caro Leandro era per

consolare il mio cuore colla maggior certezza della sua fe-

deltà, son obligata a licenziarlo amareggiato da 1 miei troppo

rigorosi rimproveri, e lasciarlo coli' incertezza di essere ap-

pagata delle sue discolpe, e di corrispondere alla fiamma si

bella dell'amor suo.

Ser. ritorna. — Senza bugie non si fa roba; spiatteglia-

mogliene. — Signora padrona, ridete, ridete, (Ride,) ah, ah, ah.

Isa. Io ho piuttosto motivo di piangere.

Ser. ride. Ah, ah, ah, ridete, vi dico, ancor voi.

Isa. E di che vuoi che io rida?

Ser. Della più bella trasformazione del mondo. II signor

Ruggiero vostro fratello è diventato il signore Strinato Stec-

chetti.

Isa. Come?

Ser. Signora si: quello che bussava alla porta, e che io

credevo che fosse il signor Ruggiero, era il signore Strinato.

Isa. Dunque mio fratello non ci è?

Ser. Signora no.

Isa. Avvisa Leandro che ritorni.

Ser. Oh egli è costi che cova*! Se n'è andato lui.

Isa. E perché, se non ci è Ruggiero? E tu malaccorta....

Ser. Per dir ve la giusta, ei sarebbe ritornato volontierì;

ma sono stata io che non ho voluto.

Isa. Temeraria, perché ti arroghi quest'autorità sopra

delle cose mie?

Ser. Gridatemi pur quanto volete. Io l' ho fatto, e lo farei

di bel nuovo. Vi voglio troppo bene.

Isa. Veramente queste ne sono di belle dimostrazioni.

Ser. Signora si, perché, avendomi egli detto che l'avete

strapazzato alla peggio, e non avete voluto ascoltar ragioni,

ho considerato che per lui oggi non faceva buon tempo; e

l'ho consigliato a rimetter questa visita a quando il mare

(manca pagina 293)

Ser. Signora, bisogna far conto di tutti, non disgustar

nissuno, e farsi degli amici. Ogni pietra, per cattiva che sia,

alza fabbrica; ognuno può fare de'servizj.

Isa. ObediscL

Ser. Ma fatelo almanco per amor mìo.

Isa. Per amor tuo? Come ciò?

Ser. Signora si, perché.. ,. bisogna finalmente che ve la

confessi. Mi ha promesso un bel giojello di diamanti, se lo

facevo abboccar con voi.

Isa. Dunque il mio genio e la mia persona deve servire

al tuo interesse?

Ser. Oh fate adesso monti' Onesta da Campi, come se voi

fuste la prima, che facesse di questi ed altri servizj simili

alle cameriere. E come averemmo a fare noi altre poverette

ad andare un po' ben vestitucce, per far onore alle padrone,

e metter da parte qualche cosarella per la dote, se non aves-

simo di questi approvecci? Co'salarj, se questi sono tanto

meschini, che appena ci servono per le scarpe?

Isa. Questa è una ragione peggiore dell'altre.

Ser. Oh via, fate come volete, ma non vi aspettate che

io vi faccia più servizio d' un et, guardate, ne' vostri rigiri

amorosi; e quando verrà il signor Leandro.... basta, so quel

ch'ho da fare. (Mostra sdegno).

Isa. Vorrei compiacerti; ma devi considerare....

Ser. affettuosamente. Si, la buona citrina, fatemi questo

servizio, e poi comandate a me.

Isa. Sai si ben dire, che finalmente m' hai persuasa a sod-

disfarti.

Ser. Uh, siete una signorina che valete cento centi. Vi

foresti amar dalle pietre.

Isa. Ma digli che non si trattenga molto.

Ser. Considerate, è stato tant'a aspettare, che si sarà

annojato. — In somma con arte e con ingegno si acquista

mezzo un regno; e con ingegno ed arte si acquista l'altra

parte. — ( Via.)

Isa. Non mi compliva disgutarla, perehé male, senza di

essa, potrei condurre i miei amori. Questa è V infelicità di

noi altre padrone, essere molte volte obbligate a servirci del-

l' ajuto della servitù ne' nostri affari amorosi; ed una volta

che abbiamo fatta loro tal confidenza, ci siamo rendute

schiave de' loro capricci.

SCENA DECIMATERZA

Strinato, Serpi n a ed Isabella.

Stri, a Serpina. Tu dici che la mi vuol bene, e che le

mie ricchezze fanno fracasso nel suo cuore, eh?

Ser. a Strinato. Può essere che non ve lo dimostri per

modestia; ma crediatemi che ne muore de' fatti vostri. Vi

vo' lasciare, perché stiate con più libertà. ( Via. )

Stri. Signora: Toro lucente de' suoi capelli, e l'acqua

cristallina de' fulgidi diamanti de' suoi bellissimi occhi, unita

alle perle ed ai rubini della sua graziosissima bocca, è un

tesoro inestimabile che tira a sé, tira a sé.... — Oh diavolo,

non me ne ricordo più. —

Isa. nel tempo del complimento ride sotto il ventaglio.

Signore Strinato, abbia un po' di compassione di un cuore,

che si trova debole e spro visto di ripari; e non voglia attac-

carlo nel medesimo tempo colla batteria del robusto suo

merito personale, e con quella di un tal ricchissimo compli-

mento. Ella ha molto indugiato a favorirmi.

Stri. E gran disgrazia l'avere delle ricchezze.

Isa. La disgrazia sarebbe assai comportabile. Ma a che

attribuisce questo infortunio?

Stri. Perché l'essere stato obligato a ricevere due pa-

gamenti di grosse somme mi ha impedito di poter venir più

presto a riverirla.

Isa. Ad un tal prezzo sverei desiderato che ella ne fosse

stata impedita per più giorni.

Stri. Ancor io, ma il piacere di godere della vostra con-

versazione non è piccolo, vedete.

Isa. — Lo stile è assai abbassato. — Ella fa troppo onore

ad una sua serva.

Stri. — Che gusto! E quel gaglioffo di Volontario sta a

denti secchi. — La può credere, signora.... (Parlano basso

fra loro.)

SCENA DECIMAQUARTA

Fracassa, Volontario e detti.

Fra. a Volontario. Eccola : fate il fatto vostro : mi ritiro.

{Via.)

Voi. verso Isabella. Garbatissima signora Isabella. ( Vede

Strinato.) — Oh, il diavolo l'ha portato anche qui. —

Stri, con ammirazione.. — Che tu possa crepare! Ec-

cola là. —

Isa. — Questa è assai curiosa! Chi mai l'introdusse? —

Voi. — P credo che s' i' andass'all' Inferno, e' verrebbe an-

che li a soffiarmi dove si soffia alle noci. —

Stri. — Bisogna che questa sia la giornata degl'intoppi,

e che colui si sia accordato col diavolo, per rompermi le cal-

cagna. —

Isa. — Che bel piacere! —

Voi. — Come mai ci è egli entrato?- E 1 bisogna ch'egli

abbia lo spirito folletto addosso; oh e' non può esser di

manco. —

Isa. — Mi burlerò di tutti e due. —

Voi. — Oh d' i sicuro, gli è uno stregone. —

Isa. Signor Volontario, di che teme? Si accosti pure, che

mi è di piacere la sua conversazione.

Voi. con viso gioviale. Eh, i'non ho merito, signora.

EU' è la vostra garbatezza quella che vi fa parlar cosi.

Isa. Io fo giustizia alle sue belle qualità; e vorrei che la

sorte mi porgesse occasione di farle conoscere la stima che

io faccio della sua persona.

Stri. — La fa più cortesie a lui, che a me: uh, mi man-

gerei le man per pane. —

Voi. E' non mancherà la congiuntura di ricevere le vostre

grazie; e spero anche presto,

Isa. Sarò sempre pronta a servirla.

Voi. — Di queste buone parole non glie ne tocca a quel

re degli allocchi. —

Isa. Ecco qua ancora il signore Strinato, che mi ha fa-

vorito con tanta bontà ancor esso....

Stri. Io non farei mai a bastanza, quando mi mettessi per

sedile di botte per lei.

Voi. — Per turacciolo più tosto saresti buono. —

Isa. Non si umilii tanto, no, signore Strinato.

" Voi. basso a Isabella, Che fate a raggirarvi d'intorno

quel viso di zimbel da sassate? (Parlano basso fra loro, e

non vedono Serpina.)

SCENA DEpiMAQUINTA

Serpina e detti.

Ser. basso a Strinato. Il signor capitano è per entrare

in casa; ve ne do avviso, perché....

Stri, a Serpina. Oh meschino, come forò? Non vorrei

che mi trovasse qui.

Ser. a Strinato. Venite meco, e non vi dubitate.

Stri, a Serpina. A quel babbeo di Volontario non gli dir

nulla, sai ? Lasciamolo sulle péste.

Ser. a Strinato. Di lui non me n'importa un fico. An-

diamo. (Vìa.)

Stri. Signora, la riverisco.

Isa. Perché vuol partire si presto?

Voi. a Isabella. Lasciatelo andare a rotta di colla

Stri. Ho una necessità che mi pressa. A rivederla.

Isa. Serva sua.

Stri. — Se ce lo trova, vuol avere il ruzzar de' cani. (1) —

(Via.)

Voi. — Bisogna eh' egli abbia necessità di medicarsi qual-

che mal segreto. — Oh, ora che noi siam soli, Isabell uccia

me' cara, potrò parlarvi con libertà, e aprirvi tutto il me' cuore.

Isa. Dica pure, mi fa grazia. — Mi convien fargli cortesie

per cagion del 'figlio. —

Voi. Sappiate che fin da quando vo'eri bambolona i'v'ho

▼olmo sempre bene; e avevo un piacer matto a tenerv'in

collo, e farvi carezze.

Isa. Ella è stata sempre verso di me cortese.

SCENA DECIMASESTA

Leandro a parte, e detti.

Lea. — Mio padre ! —

Voi Ma poi, da che vo' cominciasti ad avere que' quindici

o sedici anni, e'm'è cresciuto tanto l'amore, che non sto

un'ora senza pensare a voi.

Isa. Ed io vi assicuro di tutta la debita gratitudine per

una bontà si distinta.

Lea. — Ahimè, che ascolto! —

Voi. S'io parlo, i'v'ho nella lingua; s'i' penso, n'i pen-

siero; s'io dormo, vi sogno; in fino quando mangio, e' mi

par d'averv'in bocca, e tutte le vivande le mi pajono, a

questo conto, saporitissime, e per non vi far del male, i' ma-

stico adagio adagio, senza stringer troppo le mascelle.

Isa. — Non posso contener le risa. —

Voi. Or, che ne dite voi?

Isa. Dico che da niun altro mai si sarà fatta una dichia-

razione amorosa con tali espressioni.

Voi. Vo' potete credere ch'i' vi vo'ben davvero, a tale,

ch'i' credo alle volte che vo' m'abbiate fatta qualche malia.

Non vi dirò altro: quand'fvi veggo, o penso a voi, e' mi

vien infin l'acquai in' alla bocca.

Lea. — Mio padre ha perduto il senno. —

Isa. ride, e si cuopre il viso col ventaglio.

Voi. — L'ho fatt' arrossire : la si tura il viso per mo-

destia. — Non vi vergognate, no, Isabelluccia mia, perché ad

ogni modo, se piace al Cielo, vo' avete a esser me' sposa.

Isa. Che dice mai, signor Volontario?

Voi. Che ci avereste forse delle difficoltà a entrare 'n

casa mia?

Isa. Non dico questo; anzi mi protesto che mi stimerei

assai fortunata.

Lea. — Ah infedele ! Non voglio ascoltar davvantaggio. —

( Via.)

Isa. Ma il signor Leandro suo figlio crederei....

Voi. Lui bisognerà che ci abbia pazienza, lo sono il pa-

drone.

Isa. L'età sua però non pare cosi atta....

Voi. Vo'dite il vero, egli è ancor troppo giovane, e non

ha tutto il giudizio; ma Pavera da far meco.

Isa. Io intendeva dell'età di V. S., che a quel che mi

pare....

Voi. Vo' dite bene : l' età mia non è da bagattelle, ma da

cose solide e massicce; e se non ci si frapponevano questa

mattina tant' intoppi e diavolerie, a quest'ora vo' saresti

mia, perché avevo già cominciato a farne parola con vostro

fratello.

Isa. Ed egli mi vi aveva accordata?

Voi. Drent'i so' cuore i' credo di si; ma egli è comparso

nel meglio del discorso quel seccatore di Strinato, e ci ha

interrotti

Isa. Ho una bella obligazione al signore Strinato.

Voi. E perché vi dicev'io che vo'non ve lo raggirassi

d'intorno? Egli è come il bracione, o e' cuoce, o e' tigne; ma

con me e' non trova terreno da por vigna. S' egli mi sta punto

punto a stuzzicare, corpo della luna in quintadecima, se non

gli fo più fòri addosso, che non ha un vaglio.... (Isabella

si volta dall' altra parte, ridendo. )

SCENA DECIMASETTIMA

Fracassa e detti.

Fra. a Volontario, basso. Signor Volontario, se ella vuole

il signor capitano mio padrone, egli è qui.

Voi. 11 signor capitano? E dov'è? (Impaurito.)

Fra. In strada, che sta discorrendo, e credo sia per en-

trare in casa.

Voi. basso a Fracassa. Non vorrei mi trovasse qui.

Fra. basso a Volontario. E per questo l'ho avvisato.

Isa. Signor Volontario, che ha di nuovo? Si è molto

turbato.

Voi. Le dirò, di tanto in tanto mi vanno certi fumi alla

testa, che mi fanno impallidire.

Isa. Sarà meglio dunque che si ritiri per timore di qual-

che accidente.

Voi. Signora si, sarà meglio.

Isa. Fracassa, assistilo.

Fra. Venga meco, e non dubiti.

Voi. — Se ci do dentro, e' mi vuol toccar a morir colle

scarpe 'n piedi. — ( Via.)

Fra. — Se non fa qualche ingiuria a' suoi calzoni adesso,

non glie la fa mai. — ( Via.)

Isa. Gran motivi di risa e di afflizioni, che mi si presen-

tano ad un tempo medesimo! (Via.)

SCENA DECIMOTTAVA

Cortile.

'•" Clarice e Lauretta.

Cla. Non avessi io mai fatta questa visita a Leonora!

Lau. Oh, perché le avete sentito far delle lodi del vostro

Ruggiero, e vi ha dimostrato avere della stima per lui, sù-

bito si ha da credere che sia sua amante? Se cosi fosse, o

bisognerebbe che noi altre donne disprezzassimo tutti gli

uomini di garbo; o si direbbe che fossimo amanti quasi della

nona parte della città.

Cla. Ma quel vederlo discorrere seriameate, come l'ab-

biamo veduto adesso che sta facendo col fratello di lei, non

ti pare che deva darmi dell 1 apprensione?

Lau. Ma voi siete pur sospettosa, e vi tormentate mal a

proposito*

Cla. Io ho troppo timore di perderlo, e per questo...»

Lau. E per questo stesso sarà facile che lo perdiate. Ve

V ho pur detto dell 7 altre volte: cogli uomini innamorati bi-

sogna fare come co' puledri: con essi ci vuol briglia, frusta

e fil d'erba. Ora ritenerli, ora gastigarli, ora lusingarli; altri-

menti, se ci pigliano la mano, fanno di noi quel che ben

loro torna*

Cla. Ma si possono metter cosi in disperazione e ributtarsi.

Lau. In quel caso, che vadano a tirare le carrette; ma

non si hanno a mettere, come ho detto, in disperazione;

e il signor Ruggiero non ci è: non avete veduto come vi ha

riverita con umiltà ed affetto? Quello è pur segno che an-

cora vi ama, e ha del rispetto per voi.

Cla. Se questo fosse vero, non averebbe tardato a se-

guitarmi.

Lau. Signora, guardate quanto son fallaci i vostri sospetti :

eccovelo là che viene.

Cla. Lauretta mia, sento un non so che al cuore, che mi

deprime gli spiriti.

Lau. Fatevi animo.

SCENA DECIMANONA

Ruggiero e detti.

Rug. Signora, io non so in che qualità, se di amico o

nemico, voi siate per ricevere il vostro fedelissimo Ruggiero,

che vi si presenta davanti. Il sincero affetto di amante, che

vi ho conservato fin ora, so che non ha demeritata la vostra

corrispondenza; ma temo che gl'imprudenti trasporti della

mia collera mi abbiano, con qualche apparenza di giustizia,

meritato il vostro sdegno. Vi supplico però di volermi ascol-

tare, perché spero giustificarmi.

Cla. Ruggiero, le vostre azioni a mio riguardo richiede-

rebbero da me de' risentimenti assai forti, e di scacciarvi

dalla mia presenza; ma pure (guardate fin dove scende la

mia bontà) a riflesso del vostro affetto passato voglio ascol-

tarvi, e ricevervi in quel grado di amante, o nemico, che vi

porranno le vostre giustificazioni.

Lau. — Né men la moglie di Cicerone averebbe saputo

rispondere tanto bene. —

Rug. Non meno di cortesia mi aspettava io dal vostro

gentil cuore. Dirò dunque che non pretendo salvare da qua-

lunque taccia d'errore il trattamento poco civile da me fatto

al signor Volontario vostro padre in mia casa, ed il risenti-

mento troppo gagliardo usato con vostro fratello, fino ad in-

citarlo a battersi meco. Confesso che, se non per altro, al-

meno a riguardo vostro doveva io astenermene; ma il mio

cuore, avvezzo a risentirsi anco ad ogni piccolo insulto, mise in

tale agitazione il mio spirito, nel vedersi schernito nel primo

caso e vilipeso nel secondo, che non mi lasciò luogo di riflet-

tere al sagrifizio, che io doveva fare al vostro affetto, di quella

mia passione. Il motivo poi dell 1 uno e dell'altro incitamento.—

Cla. Mi è noto.

Rug. Supposto ciò, voi vedete dunque, amabilissima Cla-

rice, quanto sieno scusabili i miei errori, che sono errori di

primo moto, e non di matura riflessione.

Cla. Fin qui avete giustificato gli errori della vostra col-

lera; ma come giustificherete adesso quelli del vostro amore?

Rug. Del mio amore? Non so di aver mancato giammai

alle sue leggi; anzi protesto di averle sempre inviolabilmente

osservate.

Cla. Cosi avete a dir voi.

Rug. Lo dico, e lo giuro.

SCENA VIGESIMA

Strinato all'ascio, poi Volontario alla finestra

della casa di Ruggiero, e detti.

Stri. — Ahimè! Egli è qui. — (Fa capolino due o tre

volte, e poi torna con Serpina. ) •

Lau. Fate bene, non avete a dirazzar dagli altri uomini:

quel che si è fatto in presenza confessarlo, ma quel che si

è fatto lontano, e che si suppone non si possa sapere, ne-

garlo a spada tratta.

Rug. Mal conosci il carattere di Ruggiero, -egli non sa

mentire.

Voi. alla finestra. — Voi 1 un po' vedere ... . Oh corpo del

Decamerone, egli è giù nel cortile.

Cla. Non vi affranchi te tanto; perché, o voi mentite adesso,

o mentiste questa mattina.

Voi. — E di più colla me 9 figliuola che lo sgrida; po-

trebbe pur fargli carezze la mozzina. —

Rug. Signora, vi prego; non tacciate in questo il mio

cuore : egli ci è troppo sensibile. Io non so di aver mancato

mai alla fedeltà del mio amore, e molto meno di aver

mentito.

Lau. a Clarice. Fatevi viva. ( Parlano fra loro Clarice

e Lauretta; e Ruggiero sta pensoso.)

SCENA VIGESIMAPRIMA

Strinato ritorna con Serpina, e detti.

Stri, a Serpina. Come vuoi eh' io faccia a uscire senza

esser visto?

Ser. a Strinato. Lasciate fare a me. ( Escono, e parlano

fra loro.)

Rug. — Questi rimproveri sono fondati sopra qualche

impostura. —

Voi. — Senza Fracassa non so come scapolare: bisogna

lo cerchi per casa. — ^ ( Parte. )

Ser. a Strinato. Statemi dietro. ( Lo fa star dietro a sé,

e lo cuopre fino a farlo andar via, passando all' altra

parte del cortile.)

Rug. Amabilissima Clarice, non mi tenete più sospeso.

Su che appoggiate voi queste querele? In che particolarità

ho io mancato al mio amore?

Ser. dopo aver fatto uscire Strinato. Bondi a lor signori,

uh che bella conversazione!

Lau. Non istàre ad interrompere i discorsi tu adesso.

Rug. a Serpina. Taci.

Ser. E io me n' anderò. \ Via. )

Cla. Ruggiero, non vi mostrate ignorante di ciò che avete

confessato a me medesima, quando mi pregaste a perdonare

i vostri inconsiderati trasporti, come effetti di fuoco giovanile.

Rug. Io intesi dell'imprudente trasportamento di collera

usato contro del signor Volontario.

SCENA VIGESIMASECQNDA

Fracassa alla porta con Volontario, e detti.

Voi. ha inteso V ultime parole : a Fracassa. Senti e' 1' ha

contro di me. (Parlano fra loro dentro la porta.)

Cla. Ed io intesi, come intendo, rimproverarvi adesso le

vostre molte corrispondenze amorose con altre dame in

tempo della vostra lontananza, quando con vostre lettere mi

giuravate inalterabile il vostro affetto.

Rug. E chi vi potè asserire una tal menzogna?

Lau. Io, signore, io.

Fra. a Volontario. Ritiratevi, e lassate fare a me. (Seg-

uita a parlare insieme.)

Rug. E come t'immaginasti questa falsità?

Lau. Non me la sono immaginata, signor mio, l'ho sa-

puta di certo.

Rug. Chi fu mai questo impostore?

Voi. a Fracassa, — Ma non vorrei.... —

Lau. Oh ne vorresti saper troppa.

Rug. Il tacerlo condanna te per* mendace.

Lau. Non saprei poi, ve lo dirò: il vostro Fracassa.

Fra. Fracassa? Eccolo.

Rug. Ah temerario!

Voi. E? l'ha contro di lui ancora: [oh poveretto! — {Si

ritira.)

Fra. O, che ho fatto?

Rug. Dimmi: come hai tu potuto asserire aver io mai

avuto altri amori, che colla signora Clarice?

Fra. Io non ho detto queste bugiarderìe, né le potevo

dire. Mi maraviglio di chi ardisce....

Lau. Come non l'hai detto?

Fra. Signora no, signora no, signora no.

Lau. Ah bugiardaccio, tu non m'hai detto questa mat-

tina....

Fra. Questa mattina tu mi hai domandato se il mio pa-

drone aveva avuto fuori buona fortuna....

Lau. In amore?

Fra. Si, in amore, e io ti ho detto di si.

Lau. Che ne aveva una per quartiere delle cicisbee....

Fra. Bene, e cosi t'ho detto che era innamorato per

questo?

Cla. Ma una tale asserzione....

Fra. Una tale asserzione vuol dire che ci erano delle si-

gnore che erano innamorate di lui; ma non corre il dir poi

assolutamente ch'egli fosse innamorato di loro.

Rug. Vedete, o mia cara, su che falso supposto avevate

fondato il vostro sdegno?

Fra. E con che poca ragione mi rispondeste con quelle

maledette gesticulazioni.... Ma non ne parliamo più.

Cla. Godo di essermi ingannata.

Lau. Io però non ne sono soddisfatta appieno di questa

rivoltura di frittata.

Fra. Oh tu, si sa, sei incontentabile, e per soddisfarti a

pieno so io che cosa ci vorrebbe. Ma adesso che si son fatte

le paci fra di noi, perché star qui ad aspettare qualche altro

diavolo, che butti air aria ogni cosa? Andiamo almeno su in

casa, .e li in qualche stanza si discorrerà meglio.

Rug. E se vi compiacete, signora, a vero l' onore d\ accom-

pagnarvi.

Cla. Non Io ricuso. (Via.)

Lau. Sia ringraziato il Cielo, che bene o male le diavo-

lerie saran finite.

Fra. Mi stava nel cuore il cavargli di qui. ( Via. >

SCENA VIGESIMATERZA

Strinato e Volontario.

Stri Scappato dal pericolo, la curiosità mi ha spinto a

venire a vedere come saranno passate le cose per quel bar-

bogio del mio rivale, che io vorre'ch' e'fussi.... Ma ecco

ch'egli esce di casa.

Voi. uscendo di casa. — Manco male, e' non v'è più nis-

suno. ( Vede Strinato.) Ma e' v'è pur troppo chi non ci

vorrei. —

Stri. — Io lo vorre' vedere in trionfo sopra un palco a

man dritta del boja, pel ben eh' i' gli voglio. —

Voi. — Oh i' 1' ho pure dove Tafano si cacciò le spezie,

quanto senti i birri. Ma i' vo' un pò 7 vedere se lo posso sdi-

vezzare di raggirarsi tanto intorno a i fregolo, com' e' fa. —

Buon giorno, il me 1 galantuomo; vo' avete di gran negozj'n

questo vicinato?

Stri Quanti ce n'avete voi.

Voi. Oh i' credo d'avercene un po' più. E in questo cor-

tile e' non ci vuol essere troppa buon'aria all'avvenire per

le vostre spalle, perché la chiama le bastonate lontan le miglia.

Stri. Oh ve' chi vuoimi appestar l'aria. Il cortile ha pub-

blico il passo; e V ingresso, per andare in quest'altra casa, non

me Io potete impedir voi.

Voi. Alla prova si scortica l'asino.

Stri. Oh ve 1 gigante .da Cigoli, che battev* e' ceri colle

pertiche!

Voi. Ve' bestia da soma d'arcolaj, che par che voglia

sbarrar montagne.

Stri. Con me non avete a far da Gradasso ve', sior Vin-

ciguerra.

Voi. Né voi con me da Rodomonte, signora Cacca da

Reggio. Non so chi mi tenga.».

Stri. Eh, can che abbaja non vuol mordere.

Voi. Si vedrà chi ara miglior denti.

Stri. Avete vo' più di do' braccia?

Voi. E tu ha' più di cinque dita per mano?

Stri, P n'arò quante bisogna, sior Serquamquam.

Voi. Oh figuraccia da cembali! Affé che questa volta,...

Va 1 a pigliar la to' spada, ch'i 7 vo a pigliar la mia, e t'aspetto qui.

Stri. V non mi spavento de' visacci. Ora ritorno. ( Via.)

Voi. Va' pure, eh' i' ti vo' insegnare di che mese si cap-

ponano e' gatti. ( Via.)

SCENA VIGESIMAQUARTA

Fracassa, e poi Serpina.

Fra, Quando il padrone è in nozze, il servo sguazza; cosi

spero sarà di me. Il signor Ruggiero è in gaudeamo per aver

rifatto la pace colla signora Clarice, e io me la scialerò colla

mia Serpina.

Serp. uscendo di casa. — La mia bontà mi fa star sotto a

molte cose; ma a questa non ci starò mai. Furfantone, po-

teva stare dov'egli era, senza ritornar qui a metter le mani

nella mia pasta. —

Fra. Vede Serpina. Eccol' appunto. ( Va verso di lei af~

fettuosamente.) Oh cara la mia....

Serp. lo respinge. Levati di qui.

Fra. Oh che novità è questa?

Serp. La novità è che non ti voglio più d'intorno.

Fra. Eh burlona; se tu fai la schizzinosa per farmi venir

più voglia d'amarti, te lo puoi risparmiare; perché io non

posso volerti bene di più di quel che ti voglio.

Serp. Ah bugiardo più d'un epitaffio. Bene a me, eh?

Fra. Che ne dubiti? Mettimi alla prova.

Serp. La prova me l'hai data senza che io te la chieda.

Fra. E con chi puoi tu dire ch'io mi sia intrigato, che

ti possa aver fatto torto?

Serp. Col signor Volontario, il mio birbone.

Fra. Oh diavolo! Eh via levati queste pazzie di testa.

Serp. Misser si, misser si, col signor Volontario. Dimmi:

com' entri tu a condurlo in casa della padrona?

Fra. Oh di questo vuoi intendere? È vero, ce l'ho con-

dotto; ma che torto t'ho io fatto per ciò?

Serp. Che torto? Tu dunque hai da cacciar le mani in

quelle faccende, che sono riservate solamente alle cameriere,

e togliermi i miei utili?

Fra. Io non so....

Serp. Se non io sai tu, lo so io che voi altri servitoracci

vi avete da impacciar solo della stalla, e al più della cucina,

e non intrigarvi nelle cose di camera delia padrona. Sarebbe

bella che voleste cacciare il naso ancora fra le gonnelle e le

scuffie.... Basta, questo mestiero è il nostro, e non è chi ce

lo possa levare; e a me tu non me Io leverai, per fra Pun-

tello; guarda che giuro mi fai fare.

Fra. Ma mi par che tu sia d' un taglio differente dall' al-

tre; perché tutte le serve hanno caro che si scemin loro le

fatiche, e tu te n'adiri.

Serp. Si, le fatiche appunto. Vogliam noi dire che, se que-

ste fatiche non avessero il suo utile, te ne fussi impacciato?

Fra. Questi poi sono approvecci incerti....

Serp. Quest'incerti son nostri, il mio trufiattore; e in

coscienza non gli puoi ritenere.

Fra. Oh io poi non l' ho tanto stretta come te, questa co-

scienza, e tengo che ogn' uno si possa ajutare, e i miei gua-

dagni non gii cederei....

Ser. Si eh? Tien pur forte i tuoi guadagni; ma e' voglion

essere come quei di mona Infrignuccia, che guadagnava a

once, e perdeva a libbre. Che mi possa venire il mal del mu-

tolo, se non ti fo cacciar fuora le lische del pesce che hai

mangiato. (Rientra in casa.)

Fra. Oh poverina, tu te la becchi la fantasia, se ti credi

che per quattro smorfie melate donnesche, che per lo più

son finte e piene di veleno, io volessi rinunziare a una qua-

rantina di scudi, che ho guadagnati con quel buon vecchio.

Di queste occasioni non se ne trova a ogni cantonata, e delle

donne ce n'è dieci per uscio.

SCENA VIGESIMAQUINTA

Volontario armato

con caricatura e spada in mano dentro il fodero.

Voi. Affé di quel che non vo' dire, la m' è saltata a modo

e a verso la mosca al naso. Guarda se quel cada vero ambu-

lante ha da trattarmi in quella maniera! Ma Pnon porto 'n

groppa, e quando la me' cornamusa è piena, bisogna ch'ella

suoni. Egli ha invitato una mula spagnola a' calci; il primo

colpo ha da esser questo, il secondo quest'altro, il terzo, il

quarto, il quinto.... {Si prova.) il sesto, il decimo, l'unde-

cime... S'egli viene, i'gli vo'far avere una cattiva giornata.

Ma, e' non è pericolo eh' e' sia tanto pazzo, perché egli ha'l

corpo pien di coniglio li. Quando saprà poi ch'i' son venuto

qui armato, e' non ardirà più alzare gli occhi per guardarmi,

non che di pretendere all' Isabella anche lui. l' are' caro però

eh' e' venisse, per fargli paura. ... Ma e' mi par di vederlo. Oh

egli è lui sicuramente. Eh che spadone ch'egli ha! E come

camina lesto! Oh era pur meglio ch'i' avessi messo un po' di

acqua nel me' vino, quando.... Ve' com' e' s' avvicina ! È me-

glio ch'i' mi ritiri a questo cantone, per veder se e' passasse

senza vedermi ; nel qual caso mi potrei poi far fare una fede

a qualcuno d'esserci stato. {Si ritira a parte.)

SCENA VIGESIMASESTA

Strinato armato

con caricatura diversa, e spada in mano dentro '1 fodero, e detto.

Stri. — Oh non è pericolo eh' e' ci capiti, perché egli è

più poltron d'una cimice. Si credeva d'avere a mangiare il

cavol co' ciechi lui. Poffar di me, lo vorre' fare in brani, se

si lasciasse vedere. ( Passeggia con bravura. )

Voi. — Al sentire e' dice davvero lui. —

Stri. — Questa è una spada che forerebbe una muraglia,

Basta dire eh' eli' era di Tagliacozzo, nonno de' me' bisavolo ;

e la non mi crocchia (i) in mano. — '

Voi. — Dov' ha egli accattato la forza, che a me la mi

va giù? —

Stri. — Ma l'ora trapassa, e non si vede; manco male,

questo sarà un risparmio per la mia riputazione, perché ho

paura.... —

Voi. — Ha paura anche lui. Montiam sul cavai grosso. —

Olà, olà, il me' bravazzone, tu se' pur venuto a nini sbudel-

lare. (Sen%a muoversi.)

Stri, impaurito, tirandosi alla parte pili lontana. — Oh

povero me! E' e' è lui. —

Voi. — E' se la fa sotto. — Non vuol essere aver paura

della su' ombra, qui ci vuol coraggio.

Stri. — Bisogna far animo. — Voglion esser fatti e non

parole. Chi ha paura de' visi brutti, non esca di carnovale.

(Finge andar verso lui.)

Voi. si ritira. Non t'accostare, che ti passo il cuore.

Stri, — Egli ha preso vento: ora è il tempo. — Non bi-

sogna fuggire, mostaccio di lepron guazzoso.

Voi. Accostati, accostati pure; qui si viene a tastare il

polso a 1 leoni, la me* figura da sonargli detro le panche.

SCENA VIGESIMASETTIMA

Sbrpina alla finestra, e poi in strada, e detti.

Serp. — Che strepito è questo? —

Voi. Colle budella 'n mano ti vo' mandare a casa.

Serp, — Oh ve' chi sono che si vogliono sbudellare ! Ora

gli aggiusto io. (Via dalla finestra.)

Stri. Le budella 'n mano ? Io si che ti caverò quel fega-

gataccio marcio, che hai in corpo.

Voi. O' toserà t or di porci, vuol esser meno fracasso e più

lana. Ti vo' arrostire il cuore come un fegatello. (Va un

pò 9 verso lui.).

Stri, va ancor verso Volontario, ma poco. Il maggior

pezzo ha da esser P orecchio ; tanto ti vo' tagliare a minuzzoli.

Serp. fuori, col manico della granata, dando un colpo

all' uno, un colpo all' altro. Fermi, fermi di grazia, non fate.

(/ vecchi *' aggirano pel palco. )

Voi. Tien'lui, che me non occorre.

Serp. Per amor del Cielo non vi ammazzate. (Seguita a

dare. )

Stri. Bada a lui, ch'i 1 riporrò Parme.

Serp. seguitando a dare. Ajuto, misericordia, correte

8* ammazzano.

Stri. Ahimè le me' spalle. »

Voi. Pson tutto fracassato. (

Serp. ridendo. Ah, ah, ah, ah. Oh che bella scena ! Oh

che bel combattimento! Ho ben io cavato lor di capo la vo-

glia di braveggiare. Vado a farne crepar di risa la padrona.

Fine del II atto secondo.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Appartamento di casa di Volontario.

Clarice e Ruggiero.

Cla. Se voi sapeste, amato Ruggiero, quanto costate di

agitazione e tormento al mio cuore, prima per la vostra si

lunga lontananza, e poi per la creduta vostra infedeltà, son

sicura che avereste e di voi e del mio affetto una più giusta

estimazione.

Rug. Bella Clarice, assicuratevi che io tengo nel maggior

grado di stima il vostro amore.

Cla. Ma quel temere che io possa un giorno cangiare af-

fetti non è un torto che voi fate alla costanza di esso ed al

vostro merito?

Rug. Del mio merito non ne parliamo. Egli acquista tutto

il suo pregio dal concetto che voi ne fate: ma quanto al mio

timore, perché condannarlo, se questa è la maggior riprova

che mi sia caro il vostro affetto, e che io non saprei vivere

senza di esso? Sapete pure che non si desidera mai abba-

stanza la sicurezza di ciò che si ama.

Cla. Ma come accordate voi il desiderio di questa sicu-

rezza a riguardo del mio amore e delle mie nozze, coir aver

tentato tanti mezzi per distruggere e l'uno e V altre?

Rug. In che forma?

Cla, Non vi par dunque che l'aver disgustato mio padre

e nimicatovi mio fratello....

Rug. Cara signora, non mi confondete davvantaggio. Pur

troppo lo sono pel continuo rimorso che mi tormenta. Ma a

che adesso questi nuovi rimproveri, se già vi feci scuse di

que' miei trasporti, che ancor disapprovo, e parve che ve ne

appagaste ?

Cla. Io scusai i vostri errori com' effetti subitanei del vo-

stro naturai troppo ardente; ma, dopo quei primi moti, per-

ché non procurare una perfetta riunione con essi?

Rug. La desidero : ma la mancanza della parola di vostro

fratello . . . . ( Con del calore, )

Cla. Ma il desiderio di non perder ciò che si ama....

Rug. Non più, v* intendo; prenderò da voi quelle leggi

che vi piacerà d' impormi.

Cla, Accetto la promessa, ed in sequela di essa porrò

ogn' opera per disporre gli animi dì mio padre e di mio' fra-

tello al nostro intento.

SCENA SECONDA

Laure-ita e detti.

Lau, tutf affannata. Signora; uh pò ver' a noi! Uh me-

schina!

Cla, Cosa c'è?

Lau, Uh, signora padrona!... Chi sa che sarà mai?... Uh

poverette! Fuggiamo.

Cla. Parla; di' che ci è stato?

Lau, Il signore Volontario.... serriamo almen la porta.

(Sempre con agitazione.)

Cla, Che è di mio padre? Presto, di', che è seguito?

Lau, E armato come un Saracino, con uno spadone tanto

lungo, sbuffa, butta fuoco per bocca.... Uh, signora, tremo

tant'alta dalla paura.

Cla, E contro di chi tanta collera?

Lau. Che vuol ch'io sappia, io? L'ho veduto cosi infu-

riato dalla mia camera. Chi sa che non sia contro del signor

Ruggiero? Serriamo la porta o fuggiamo, dico.

Rug. Contro di me? Come? Assalirmi in sua casa?

(S'infuria.)

Cla. Ruggiero, il vostro sdegno....

Lau. Signora, eccolo: uh poverini noi !

Cla. a Ruggiero. Partite senza contrasto, e soffrite eh 9 io

finga collera contro di voi.

Rug. lo partire? Questa spada saprà....

Cla. Questa è la legge che io v'impongo. Partite senza

replica.

Rug. Obedisco. ( Via. Nel partire per una scena, entra

per la superiore Volontario, che in vedendo Ruggiero si

ritira intimorito.)

SCENA TERZA

Volontario armato, Clarice e Lauretta.

Cla. verso la scena per dov* è partito Ruggiero. Non ab-

biate più ardire di por piede in questa casa, temerario.

(Finge sdegno.)

Lau. — L' è di calca più di me. — ( Volontario % partito

Ruggiero, s* assicura.)

Cla. Dopo avermi offeso il padre ed il fratello, pretender

da me corrispondenza d'affetto! Presuntuoso!

Voi. — Manco male: e' non m'ha visto. — Oh Clarice,

che c'è di nuovo?

Cla. mostra collera, e non aver veduto né inteso il padre,

parlando alla scena. E tua sorte che la condizione della mia

persona non mi permette farmene render ragione colla spada

alla mano.

Voi. — Ci mancava questa di più. — (Con dimostra-'

fhne di dispiacimento.)

Cla. Ma ho un fratello ed un padre che sapranno essi....

Voi. Clarice, Clarice, bada una volta a me.

Cla. Oh signor padre, ella è qui ? ( Verso la scena, con

prontezza.) Aspetta, aspetta. (Poi a Lauretta:) Corri, Lau-

retta, presto, digli che non parta, che mio padre....

Voi. Eh via; perché?... (A Lauretta J Non correr tu,

sta' ferma.

Cla. Ah se foste arrivato un po' prima, averemmo avuto

ambedue il nostro intento; voi di vendicarvi di quel temera-

rio di Ruggiero, ed io di restar sodisfatta in veder gastigato

il suo ardimento.

Voi. E perché questa cosa? Tu sei troppo collerica. Bi-

sogna con certe persone esser di pasta più dolée.

Cla. Ma quando si tratta di unirmi a' vostri desiderj... .

Voi. E' me' desiderj appunto: mi par che tu vada contrap-

pelo alle me* voglie, a me.

Cla. Come? Non cercavate voi di Ruggiero per battervi

seco?

Voi. Eh P cercavo.... te Pho avut'a dire. Perchè m'ho

io a batter seco?

Cla. Ma perché dunque cosi armato?

Voi. Ah questo.... — Pnon vo'dir eh' P torno da bat-

termi, eh' P mi metterei da me sulle ventarole. — Si, ( Pensa. )

Paveo presa la spada per me' divertimento.

Cla. Per divertimento?

Voi. Sibbene. Vedi, figliuola, gli uomini bisogna che non

perdano P uso di tener la spada 'n mano, perché alP occa-

sioni poi....

Lau. Ma se ella era tanto affannata, che pareva....

Voi. Eh mozzina, che t'intendi tu della spada, che non

sai nemmen maneggiare il fuso ? Quando si fan queste prove

bisogna affaticarsi, come se uno fosse nelP atto. Non hai visto

mai tirar di schirma da burla?

Cla. lo mi credeva che foste in collera contro di Rug-

giero. Quanto mi era ingannata!

Voi. T'eri ingannata sicuro. Anzi sare'più tosto in col-

lera teco, guarda.

Cla. Meco? E perché, signor padre?

Voi. Perché ho sentito che tu l'hai trattato di male pa-

role, e V hai scacciato via come un furfantane. Queste cose

le non mi piacciono: non si può mai sapere.... In somma

bisogna far cortesie a tutti.

Cla. Ma egli....

Voi. Ma egli, ma ella. Che ti può aver fatto?

Cla. affetta modestia. Mi si è discoperto amante con mil-

V espressioni di tenerezza, e averebbe voluto che io gli avessi

promesso d'esser sua sposa. Veda lei se....

Lau. — Suor Estasia, che si faceva scrupol del latte la

domenica, e mangiava la carne il venerdì. —

Voi. Oh che hai forse tu questo per affronto ? P non so

che una fanciulla, che sia ricercata per isposa, debba tirar le

sassate a chi le fa P onore di domandarla. Se fosse ciò, chi

sarebbe quel pazzo che le dimandasse ? Ed in tal caso, o bi-

sognerebbe andare a offerirle, come si fa della mala carne,

o vo'vi trovereste a muffar per le case, come i fondacci dei

fondachi, che son pieni di tignole e di ragnateli.

Cla. È vero, ma una fanciulla onesta, che ha il padre, deve

seguire in tutto e per tutto la sua volontà.

Voi. Oh chi t'ha detto che la me' volontà sia al con-

trario?

Cla. Io ho supposto....

Voi. T ha' supposto male. E quando Ruggiero ti volesse,

V te gli darei piuttosto stasera che domattina.

Lau. — L'è più affortunata di Danare, che le pioveva

addosso l'oro. —

Cla. Per rimediare al mio errore sarò dunque necessitata

di far sapere al signor Ruggiero che V. S. accorda ch'io sia

sua sposa, e questa sera....

Voi. Pian piano. Tu vorresti andar più forte che di ga-

loppo, tu: e'v'è prima da spianar qualche passo, che potreb-

b' esser d'intoppo nella carriera.

Cla. E qual è? Forse della dote?

Voi. Quanto alla dote i' non mi ci confondo. P non vo' che

ci corra danaro. E s'ha a fare: to' qui, e dà' qua.

Cla. In che maniera?

Voi. Non ha' tu ma 7 visto fare un baratto di bestie?

Lau. Per esempio di un bu', signore Volontario, con un

altro bu', par pari, non è vero?

Voi. Sibbene. Io ti metterò in casa sua, con questo eh 7 e'

metta la so 7 sorella in casa mia.

Cìa. Il partito non mi par da sfuggirsi, e credo eh 9 e' non

ci averà difficoltà.

Voi. E la Lisabella la ce n'ara meno di lui.

Cla. Quando ciò sia, non temo della conclusione.

Voi. l' glie ne farò parlare.... Anzi ora, guarda, vo'ire a

far il negozio. ( Via. )

Lau. Sia laudato il Cielo, ora non ci sarà da far più i

piagnistei. Chi laverebbe mai detto che una nuvola che mi-

nacciava gragnuola, come questa, avesse poi a piover rugiada!

Cla. Vado con tal nuova a consolar P amato Ruggiero e

P amica Isabella. ( Via.) '

Lau. Ma in quanto alla signora Isabella, chi sa che il vec-

chio non intenda volerla per sé? Sarebbe carità avvisarne il

povero signor Leandro. Se lo trovo, gli vo' far il servizio,

perché possa stare all'erta.

SCENA QUARTA

Bosco o giardino.

Sérpina sola, col giojello in mano.

Ah mi sta meglio che il basto ali 7 asino d' essere stata cuc-

culata (i) per la seconda volta da quelP usurajaccio maledetto

di Strinato, che M diamin se lo porti, il Cielo mei perdoni. Un

giojello, che credevo valesse almeno una dozzina di doppie,

non vale, sto per dire, a quel che mi han detto, un dozzina

di crazie. I diamanti son vetro lustrato, e Poro è ottone ri-

ti) cuculiata, beffata.

pulito. Oh ve' regalo da farsi per un servizio da innamorati !

Ah, se avevo questa notizia, prima d'andare a spartirlo nel

suo duello, volevo che sentisse il manico della granata con

più sapore. In somma, a trattar con questa gente tanto inte-

ressata, se ne va sempre al di sotto, e sarebbe meglio aver

interesse con un giudeo il peggiore del ghetto, che con que-

sta canaglia, che venderebbe l'anima per un soldo. ET mi

pareva ben assai ch'egli fosse tanto liberale con me, quando

sapevo eh 7 egli si scalda al fumo di ciò che non gli vuol più

stare in corpo, e eh' ei non darebbe il coltello al diavolo per

iscannarsi : ma io credevo che 1' amore 1' avesse acciecato, e

che fosse diventato come il Bugnola, che segnava sul desco

la carne che dava a credenza, e il venerdì mandava tutto il

credito in raschiatura 1 Cucuzzole 1 Acciecato da vero ! Egli

ha fatto bilurchia me, (1) che non ho saputo conoscere il

pan da 7 sassi, e mi son lasciata menar due volte air Uccella-

tolo; (2) ma io non son figliuola di mona Basii isca mia ma-

dre, se non gli rendo pan per focaccia. Quello però che mi

scotta davvantaggio è il vedere che quel truffator di Fracassa

m'ha tolto la buona detta (3) di quell'altro vecchio, che non

ha il granchio alle mani. Ch'ei venga, ch'ei venga pure lo

sdolcignato a farmi il bello bellino e lo svenuto intorno; gli

vo' far vedere che non ha da insegnare a rampicar a' gatti. La

padrona, che s'è avuta a smascellar dalle risa, al racconto che

le ho fatto della rissa de'vecchj, si vorrebbe finir di rallegrare

col suo Leandro, perciò mi ha mandata qui nel boschetto del

giardino per avvisarla se a sorte ci capitasse a passeggiar, come

suole. Ma io vorrei che più tosto ci venisse suo padre, per

potergli parlare a solo, e fargli conoscere che egli si deve

indrizzare a me e non al servitore, negli affari che riguardano

la padrona; perché queste son mie rigaglie, e io gli posso

far servizj d'altro sugo in questo particolare. Da lui posso

ricavarne molto più che dal figliuolo, il qual è tenuto corto.

Ma mi par di vederlo balugginare fra quegli alberi il signore

Leandro. È lui, è lui tutto pensoso. Non me ne fo maravi-

glia, perché gì' innamorati, che non hanno da spendere, sono

come un soldato che ha d' andare a battersi colla metà della

spada. Vo a darne V avviso alla signora. ( Via. )

SCENA QUINTA

Leandro solo.

Dopo una stravaganza di questa sorta, che può mai esser

possibile di più strano, di cui non possa credersi capace una

femmina? Abbandonar me per mio padre, e dopo ancora di

avermi per tante volte giurata eterna la costanza dell'amor

suo! Ah infedele! Or ben comprendo il tuo sdegno per la

dimanda da me fatta a Ruggiero delle tue nozze! Ma qual

incentivo, qual motivo mai può aver cagionato in lei una si

strana incostanza ? Ah che io forse la condanno a torta Non

è verisimile che il suo amore .... Ma non V udii io medesimo

acconsentire alle dimande di mio padre? E Lauretta non mi

ha confermato adesso quasi lo stesso, supponendomi esser dis-

posto il suo cuore a questi sponsali? Perfido cuore! Ingiu-

sto cuor d'Isabella! I tuoi sdegni....

SCENA SESTA

Isabella, Serpina e detto.

Isa. Si, caro Leandro, condannate pure il mio cuore, che

seppe co' suoi sdegni e rimproveri tormentar cosi a torto e

voi e sé stesso. Egli però adesso pentito risolve farvi cono-

scere, nell' integrità sua più pura e sincera, qual egli sia stato

e si mantenga per voi.

Lean. con fredderà. Isabella, non vi affaticate per farmi

conoscere qual sia il cuor vostro* Egli abbastanza mi è noto.

Isa. La maniera però con cui me lo dimostrate mi dà mo-

tivo di dubitarne.

Lean. Ne bramate espressioni più chiare?

Isa. Mi obbligherete, acciò da esse si ponga in una per-

fetta calma il mio spirito.

Leon. Vi servo. Il vostro cuore è il cuore più incostante,

più perfido, più traditore, che si chiudesse mai in seno di

donna infedele. Questa è la cognizione che ho del cuor vostro.

Isa. Leandro, sono dirette a me queste querele?

Lean. Non ad altri più giustamente che a voi si con-

vengono.

Isa. Ah, se volete punir con qualche pena V ingiustizia dei

miei rimproveri, trovatene altra, vi prego, che mi sia men

tormentosa, e che meno mi si disconvenga di questa.

Serp. Uh genti, le gran cose! la mia padrona infedele?

Isa. E chi mai nello spazio di poche ore ha potuto porvi

in sospetto la mia fedeltà?

Lean. Un testimone che non può mentire.

Isa. Questo testimone è mendace.

Lean. Come? vorreste smentir dunque i miei occhi e le

mie orecchie?

* Serp. O via, via, non sarà altro. I sogni fanno vedere e

sentire di strane cose, ma poi si consideran per sogni....

Isa. Amatissimo Leandro, scacciate dalla vostra mente

ogni fantasma pregiudiziale alla quiete de' nostri amori. A che

tormentarci cosi vanamente ? Pur troppo V abbiam fatto mal

a proposito fin ora, ed io resa accorta del mio inganno....

Lean. Ah donna lusinghiera ! Ancor pretendereste con tali

sentimenti tenermi occulte le offerte di nozze da altri fattevi,

e da voi accettate di si buon animo?

Isa. Io accettato offerte di nozze? Siete ingannato.

Lean. Ben so che lo sono stato fino a questo giorno; ma

la vostra perfidia non avrà da vantarsene più lungamente.

Isa. Possibile che non vogliate restar persuaso che Isa-

bella non uscirà mai dalla casa di suo fratello, se non per en-

trare in quella di vostro padre?

Lean. Si ? Ed io mi toglierò per sempre dalla casa di mio

padre e dalla patria, per togliermi dall' aspetto d' una furia

ingannatrice. ( Via.)

Isa. Leandro, caro Leandro.... Ahimé, egli mi fugge; e

chi sa che non sia per sempre, com'ei disse? Sventurata che

sono! Si presto svanirono le concepute speranze d'ogni mia

felicità?

Serp, Signora, non v'affliggete tanto; io son quella che...»

Isa. Si, tu sei quella che hai cagionato questi sconcerti.

(Con sdegno.)

Serp. Io? Oh fatemi veder questa!

Isa. Si tu, che col falso avviso d'esser mio fratello alla

porta, allorché Leandro era in nostra casa, venisti ad impe-

dire la riunione de' nostri animi e necessitarmi a licenziarlo

coir incertezza della nostra scambievole corrispondenza.

Serp. Ma io mi credevo che fosse lui; e per questo....

Isa. Dovevi prima certificartene.

Serp. Avete ragione; ma lasciatemi dir due parole senza

entrare in collera. Voi dite bene che potevo allora avere un

po' più d'attenzione, e non correre a furia; ma ciò sarebbe

servito a poco, perché, a quel che ho potuto conoscere, i

suoi disgusti son nati di dopo; e la cagione è l'aver voi

fatto qualche discorso di matrimonio con altri.

Isa. Ah, ch'egli ha preso ciò per pretesto d'abbandonarmi;

perché le mia innocenza in questo è senza pari.

Serp. Ma alle volte scappa detto qualche cosa....

Isa. Temeraria; ben conosco che, per salvare il tuo, vor-

resti condannar me di qualch' errore.

Serp. Uh, il Ciel me ne liberi; anzi in tutt'i casi mi ca-

verei la propria gonnella per ricoprirvi, guardate.

Isa. Ah infelice che sono! Or come trovar rimedio alla

mia disgrazia?

Serp. Non vi tapinate per questo, vi dico. Non sapete che

un uomo, una volta che sia calato al nostro uccellare, può

svolazzar quanto vuole, eh' e' non iscappa? La nostra pania

è troppo tenace, e particolarmente se è saputa manipolare.

Lasciate fare a me, e vi prometto di non guardar più uomini

in viso, se non ve lo do nelle mani per morto.

Isa. Procura almeno risarcire al tuo mancamento. (Via.)

Serp, Sarà vostro più che la camicia che avete indosso.

Vado a ricercarne.

SCENA SETTIMA

Lauretta e Serpina.

Serp. Oh Lauretta, ti è passata la malinconia?

Lau. La sarebbe passata a Raclito, (1) che dicon eh' e'

piagneva sempre, a veder e sentire le pazzie de' nostri in-

namorati.

Serp. O non te lo dicevo, sciocchina, eh' è il più bel pia-

cere del mondo?

Lau. Ma io non m'ero mai trovata alle scene che son

seguite di dopo, e particolarmente a quella del combatti-

mento de' vecchj, che ho saput' or ora che han fatto. Bi-

sogna pur che tu ci abbi avuto il gran gusto a spartirli.

Serp. Più che a far batter la lana delle mie materasse se

fussi sposa. Ti so dire che menavo colpi da orbi.

Lau. Gli dia nel collo! Guarda se quelle mummie han

da pretendere a quella carne si bella e fresca!

Serp. Posson girar quanto vogliono intorno al fregolo; ad

ogni modo vuol loro accadere come disse il Biascia : tu non

ne papperai.

Lau. E pur e pure non credo che il signor Volontario

sia tanto in dietro, da non ci far buona riuscita in que-

st' affare.

Serp. Si. Credi tu che il signor Ruggiero sia tanto disaf-

fezionato alla sorella, che la volesse affogar cosi? E poi non

sarebbe lei cosi chiurla (2) da acconsentirci.

Lau. Serpi na, si vede alle volte di gran cose nel mondo.

Il mio padrone ha intenzione di far un baratto, e non è

molto che lo diceva alla figliuola. Ella ha creduto che vo-

lesse intender di dar lei al signor Ruggiero, e fin qui va

bene, e la signora Isabella al signore Leandro; ma io, che

son furba, credo che intendesse di volerla per sé; e di più

ha detto che non ci s' incontrerebbe difficoltà.

Serp. Tu mi dici adesso una cosa che mi mette in gran

sospetti. Di grazia, rischiariamo un po' meglio questo im-

broglio.

Lau. Lo faremo in casa, perché mi par di veder colà

Fracassa, l'appaltatore di tutti i cuori donneschi. Ma, a pro-

posito di lui, dimmi: che l'hai rotta seco?

Serp. Come lo sai?

Lau. Da lui medesimo : oh te la vo' contare, giacché vedo

ch'ei si trattiene. Egli è venuto di nuovo a farmi cento

smorfie amorose, benché da prima gli avessi dato cartacce;

e perché gli ho risposto che non volevo servir per rifiuto, e

poi che in ogni caso non averei fatto mai torto a te che sei

mi 1 amica, mi ha detto che vi siete adirati, con un mondo

d'altre cose.

Serp. È vero, perché me n'ha fatt'una che gli ha da

costar cara. Ma dimmi la verità : hai tu intenzione di attaccar

paniaccio (1) con lui?

Lau. Oh, Serpina, t'ho pur detto che non ti fare' torto.

Serp. Non aver riguardo a questo; dimmela giusta.

Lau. Da prima ti confesso che ci averei avuto un po' di

baco (2), ma poi quando intesi eh' era tuo cicisbeo, e che lo

conobbi per un rifrustacase (3), il baco invacchi, e se n'è

morto idropico in un sùbito.

Serp. Se cosi è, vorrei che lo strapazzassimo un poco.

Lau. Tu m'inviti al mio giuoco. Che s' ha da fare?

Serp. Io m'asconderò fra questi alberi: tu tingerai d'amarlo;

poi mi Tarò vedere, e faremo la scena in terzo.

Lau. Lascia far a me; ma ritirati, che veggo ch'ei viene.

Serp, Tirato su quanto puoi, e tienlo sulla corda. (Sì

asconde.)

Lau. Gli farò dare il capo nella carrucola; non ci pen-

sare. Quando si tratta di strapazzar qualche uomo, mi par

d'andare a nozze.

SCENA OTTAVA

Fhacawa e dette.

Fra. — Quel matto del signor Volontario mi ba pregato

a trovargli un pittore per fargli il suo ritratto. Io fo conto

di dare un po' questo guadagno al signor Fracassa, giac-

ch'egli è del mestiere, per esaere stato più anni a fare il

Lau. — Che dìamin borbotta da sé? — (S' accosta un

poco per sentire. )

Fra. — Mi travestirò in qualche maniera, perché non mi

conosca, e m'approfitterò cosi del suo pazzo amore e della

sua balordaggine, —

Lau. — Parla d'amore. Egli è sempre li lo svenevole. —

Fra. — Quando questa razza di prede mi dan fra l' ugne,

mio danno se me le lascio scappare. E di più voglio che mi

serva a far qualcheduna delle mie pazzie. — ( Vede Lau-

retta, e Serpina si accosta.) Oh mia sciarmante, siete qui ?

Com'è possìbile che la gran luce che spandete all'intorno

non mi abbia prima d'ora dato negli occhi?

Lau. con dispregio. Mi hai ben tu dato nel naso.

Fra. — Che femmina dispettosa! Ma ci calerà anche

lei. — E la coscienza ancor non vi rimorde dell' orrendo la-

trocinio ch'avete fatto dell'anima mia?

Serp. — Ah birbone ! —

Fra. E ancor siete inesorabile, né vi muovete punì

compassione d'un povero mendico, che vi domanda per li-

mosina un solo sguardo pietoso, per ristoro dell'inedia del

moribondo suo cuore?

Lau. Allo spedai de- pazzarelli devi cercar il tuo ristoro.

Fra. Ho inteso : lo cercherò dalla disperazione. ( Va via

adagio adagio e afflitto.)

Serp. s' accosta a Lauretta, e le dice all'orecchio: Non

lo lasciar partire, e mostragli amore. (Si ritira,)

Lau. Fracassa, Fracassa, ove vai?

Fra, A impiccarmi.

Lau, Eh via, ritorna in qua.

Fra. — Ora é il tempo. — Signora no; mi voglio am-

mazzare, s'i' credessi mi dovesse costar la vita. (Finge

partire, )

Lau. Eh vien' qua, caro il mio Fracassa. ( Lo prende. )

Fra. Non e' è da far bene : la vo' cosi.

Lau. Se la vuoi cosi tu, non la voglio cosi io.

Fra. Oh che non son padrone di far del mi 7 collo quel

che voglio io? Questa è bella.

Lau, Signor no, perché non moriresti solo; uccideresti

dal dolore ancor me.

Fra. guardandola amorosamente. Eh burlona!

Lau, Io non burlo. A confessartela come sta, io ti amo

più di me stessa.

Fra. Oh perché non me l'ha' fatto conoscer prima, che

non si sarebber perse tante belle cose, che t' averei dette in

questo tempo?

Lau. in aria vergognosa. Oh che dovevo sùbito

Una fanciulla.... E poi che sapevo io se tu avessi burlato?

Fra. Burlato? Tu mi fa' torto.

Serp. accostandosi bel bello. — Ah furfantone! —

Lau. Ma la tua Serpina.... chi sa che....

Fra. Non ti pigliar pena di Serpina, che di lei ne fo

quel conto che si fa del cavolo a merenda. (Serpina si pone,

sen^a esser vista, accanto a lui dall' altra parte. )

Lau. Ma so pure che tu le volevi bene, e che....

Fra. 11 bene che vuole il boja all' impiccato che abbrac-

cia. E poi ti par che.... {Serpina si spurga, e si tien ferma,

guardando fissa Fracassa, che resta confuso per un poco.)

— Oh diavolo ! — {Va poi con disinvoltura e viso ridente a

Serpina, dicendole a parte;) Cara la mia Serpina, che ne

dici ? Non ho io saputo ben tingere amore con Lauretta ? Ti

prego, non mi scoprire.

Serp. Ah manigoldo, iniquo, scellerato.

Fra. a Serpina, basso. Oh ecco come tu fai.

Ser. Il bene che vuol il boja all'impiccato eh?

Fra. Quella era una finzione.

Ser. Era una finzione eh?

Lau. Una finzione? Dunque, birbone, tu ti burlavi di me?

Fra. a Lauretta a parte. Eh, ti pare che mi volessi pren-

der burla di chi amo tanto?

Lau. Ah traditore! Me dici d'amar tanto?

Serp, Dunque me prendi per zimbello?

Fra. a Serpina. Se tu sei il mio cuore, ed io son tuo.

Lau. si accosta e Io schiaffeggia. E questi son tuoi.

Serp. Io schiaffeggia anch'essa. Questo è il cavolo,

questa £ la merenda.

Fra. Ahimè, compassione, ajuto.

Lau. Questo è 1> ajuto.

Serp. Questa è la compassione. ( Lo schiaffeggiano, e

partono. }

Fra. si tiene le mani al viso, coprendosi gli occhi; e

dopo ancor partite le donne, si crede esser battuto.) Per-

dóno, non date più; ne volete la pelle del fatto mìo? mise-

ricordia, quartiere. (Si" scopre appoco appoco, poi guarda

da un lato e l'altro.) Che guerra, che soldati? Son peg-

gio due donne che un reggimento di dragoni colla spada

alla mano. Per volerne amar due nel medesimo tempo

m' hanno avuto a manimettere per la rabbia. Ah poveri ser-

vitori, siete pur disgraziati! A'padroni non gli accade cosi:

alle volte n 1 sveranno una dozzina, e pure non c'è chi torca

loro un pelo, e tutte gli voglion bene. Povero Fracassa

Questa volta sei stato fracassato tu; ma fatti animo, questi

son favor di dame, che posso dire m'abbian toccato il viso

con verità. Ma pensiamo al pittore.

SCENA NONA

Civile.

Strinato solo.

Chi ha il bargel per parente ha le scappellate da 9 birri.

Vuol dir che chi ha il diavol dalla sua, le gli riescon tutte

bucherate dritte (1). Cosi è accaduto a quel rodomonte sal-

vatico di Volontario, che la voleva far male per questa volta,

se non veniva quella ragazza cosi amorevole a spartirci. Per

un verso egli è stato bene, perché Pavere* cavato le budella

a lui, e la Giustizia averebbe succhiato a me tutto il me' san-

gue. Oh sicuro eh' l'avere' fatto un latino a rovescio, perché

farsi mangiare il suo è contro la buona gramatica, che in-

segna l'aver assai e spender poco. Il modo di farlo crepare

sarà di procurar d'entrare in grazia a Isabella più di lui; e

per arrivarmi bisogna ch'ei si leghi ben forte le scarpe in

piedi. Ma chi è questo bellimbusto che viene in qua tutto

fronzoli? E' non può esser che qualche matto spacciato, a

gettar via il suo in questa forma. Quanto me la rido fra me

di questi sciocchi, che per caricarsi di pompa votano la cassa

di denaro!

SCENA DECIMA

Volontario, con abito nuovo ornato di nastri con caricatura, e detto.

Voi. — Giacché non l'ho potuto sbudellar colla spada,

lo vo'far crepare col vestito quell' usurajaccio poltrone del

me' rivale. —

Stri. — Oh cospetto di Leonbruno, guarda chi è! —

Voi — Quand' e* mi vedrà, gli vogliono schizzar gli occhi

di fronte per l'astio. ChVfaccia un po' luì una figuraccia

simile appresso l'Isabella! —

Stri. — Io non l'avere' mai riconosciuto. E' par pili gio-

vane venticinque annil — (Con dispiacendo.)

Voi. — Quand'i'mc l'intesto, i' so anche trovar il polso

alle gatte. Questo si chiama saper fare l'innamorato. Lui il

poveretto sa tanto di questo mesti ero, quanto la testuggine

de] votare. —

Stri. — Gli ì vero ch'i'averò il gusto di vederlo spian-

tato ; ma, se gli riuscisse per questo verso l' aver lui Isabella,

e' sarebbe come s'P pretendessi sonare a morto il di della

so' festa. —

Voi. — E v'è anche di più, ch'i'ho pensato fermi dipi-

gner cosi in gala, e regalare a lei il ritratto. —

Stri. — Bisognerebbe pure ch'i'ancora.... Ma questa

Voi. — Fracassa ha già avuto l'ordine. (Vede Strinato.)

Ma eccolo qui quel muso d'arpia. Vendiamogliela cara, per

farlo dar al diavolo davvantaggio. — ( Passeggia con affet-

tazione. )

Stri. — Ve' come passeggia alla spampanata! Par che

tulto'l mondo sia suo. —

Voi. parlando fra sé, ma forte, per esser inteso da

Strinato. — In somma il vestir bene, oltre eh' e' ti fa onore,

ti dà anche gran fortuna, e particolarmente colle donne. —

Stri. — E può anch'essere, perché le si pascon quasi

tutte di fumo. Ma Isabella però inclina più al sodo che al-

l'apparenze, —

Voi. — La signora Isabella poi, quando m'ha visto cosi

sfarzoso, la m'ha fatto un complimentone, eh' e' si poteva fare

al Cirimonia, tant'era grazioso, e quel eh' è più, sì conosceva

che le veniva dal cuore. —

Stri. — Uh, uhi! La stadera dell'Elba (i), che dice mille

nella prima tacca! (Mentre Strinato parla da sé, Volontario

lo guarda sottocchio, e poi se la ride.) Ah V mi sento qua

dentro un non so che. — ( Tocca il petto, e mostra smania.)

Voi, — Crepa, crepa, mostaccio a mosaico. (Poi forte:)

M' ha detto che non l' ho da cedere a un giovanotto di primo

pelo, e che in questa maniera la mi vedrà sempre più vo-

lentieri. — ( Guarda, e ride come sopra.)

Stri. — Chi sa che non sia vero, perché le donne le si

mutan di pensiero più spesso che di camicia. Ma tu non mi

ci hai a fare stare. Da spendere i' n' ho quanto te. Ma questi

denari mi pajon buttati. —

Voi. — Ella m' ha avvertito che stasera crede andar fuori

in conversazione, e che me lo farà sapere, perché ha caro mi

ci trovi ancor io. —

Stri. — Canchero! Questo è qualcosa di più. Non ho

tempo da perdere; bisogna in tutti i modi far questo scor-

poro. — ( Via.)

Voi. guarda dietro Strinato ridendo. Ah, ah, ah, guarda,

guarda, e' se ne fugge come un gatto frugato. Queste pi Ho re (x)

di tutta mia invenzione, ch'i' gli ho messo in corpo, le gli

voglion roder le budella peggio che se fosse arsenico. Ti dia

la rabbia, vecchiaccio stregonato! E peggio ti saprà quando

mi vedrai sposo dell 1 Isabella. E 7 non mi rest' altro per ve-

nirne a capo che di veder d' ammanzire (2) quella testa un po'

bajarda del capitano suo fratello. V gli ho messo però attorno

certi can grossi, che dovrcbbon tenerlo a segno. Quest' esser

egli imbertonato della Clarice m' ha fatto un bel giuoco. Ho

detto che gli facciano intendere eh' e' non pensi punto a lei,

se e 1 non pensa di dar a me la so 9 sorella; e s'è' ci s'accorda,

che e 1 può venir a pigliarla beli' e stasera, e di più ch'i' do-

terò Isabella di dieci mila scudi. Ma fra tanto vo' andar un

po' 'n casa per aspettar il pittore. ( Si muove, e poi si ferma

pensoso. )

SCENA UNDICESIMA

Leandro e detti

Leandro. – L’inverisimile ordine della volontà d’Isabella mi lusinga a non dar fede a me stesso e manco meno a detti altrui (vede Volontario) Ma quello è mio padre. E quell’abito chissà che non siauna sicura riprova de’ suoi vicini sponsali?

Vol. – Non so s’ì vo prima a sentire se que cavalieri hanno parlato a Ruggiero, e che risposta hanno avuta. Diecimila scudi di sopra dote contrappesano il vano di quarant’anni, ch’i posso aver più d’Isabella e mi tengano bene in bilancia con essa (sta pensoso)

Lean. — Ahimè, non ho più luogo da lusingarmi. Che tardo dunque a partire? —

Vol. — Sarà meglio ch’i vada da loro. II pittore aspetterà. — ( Vede Leandro.) Oh che fai tu qui?

Leandro. Veniva.... si veniva a domandarvi la permissione di porre ad effetto la risoluzione che ho presa di andarmene in Francia.

Voi. Che grillo i questo che l'i ora saltato in testa?

Perché questa cosa?

Leon. — Che dirò? —

Voi. Tu non rispondi.

Lean. Per approfittarmi nelle scienze.

Voi. Che scienze, che scienze? Che non ce n'è anche

qui de' maestri d'avanzo?

Lean. È vero, ma Fuor della patria si studia con più at-

tenzione.

Voi. Questa l'è una fandonia, perch'i' n'ho visti que'po-

chi andare a studio vitelli, e tornar buoi. E poi tu sarà' sem-

pre com' e' cavalli di Regno, (1} colle lettere nelle chiappe.

Lean. Accrescerò il numero degli altri.

Voi. Tanfo, i' non ho bisogno di far nuove spese ora

ch'i'son per maritar la Clarice. Oltr'a che è necessario che

tu ti trovi presente allo sposalizio, e che tu veda....

Lean, Troppe son le cose che ho vedute fin ora, né sarà

mai vero ch'io voglia trovarmi presente ad inconvenienze

maggiori.

Voi. Com' a dire?

Lean. Il rispetto di figlio m'obliga a tacere.

Voi. Di' pur su, di' pur su, che le me' azioni possono stare

a sindacato.

Lean. Non dirò altro se non che la mia partenza....

Voi. Che troveresti forse da ridire (i) sopra questo me*

vestito? Io sono il padrone, e spendo del mio.

Lean. Già so che siete il padrone, né posso impedirvi le

spese superflue; ma non è però che non ci sia chi le consi-

deri per incongrue e poco proprie del vostro stato. E di

più....

Voi. E di più che? Parla, parla.

Lean. Di grazia non mi forzate a dir cose che potrebbero

dispiacervi.

Voi. E i'vo'che tu le dica.

Lean. Giacché me lo comandate, vi obedirò. Il sapersi da

per tutto i vostri amori....

Voi. Oh diavolo, mi scordavo che sono aspettato 'n un

luogo. ( Via. )

Lean. Ah indiscretissimo padre, padre mal consigliato!

E tu, ingannatrice Isabella.... Ma che non può in cuor di

donna l'allettamento dell'oro? Me infelice! Che far deggio

in tanta disavventura? S'io parto chi sa che.... E s'io resto

avrò da vedere. ...

SCENA DECIMASECOXDA

Rag. Ami™, ( permettetemi questo nome, giacche la di-

menticali» de' passati trascorsi spero mi abbia restituito nel

possesso di esserli tale) quanto a proposito vi ritrovo*

Leon. Voi rìtroTate in me quell'amico che vi fai, ma non

già più Leandro in sé stesso.

Rug. E chi mai vi tolse a voi medesimo?

Leni. La perdita dì quel bene che unicamente poteva....

Ah lasciate ch'io vada ove la disperazione mi guida.

Rug. Fermate. Un animo afflitto non deve lasciarsi gui-

dare dalla sua passione, lo molto vi compatisco, perche so

per esperienza dì me stesso quanto possa in noi una forte

alterazione di spìrito; ma so ancora che, calmata la tempesta,

si vorrebbe aver dat 1 orecchio a più sani consigli. Ditemi le

angustie dell'animo vostro, e assicuratevi dì tutto il sollievo

che possa procedere dalla mia volontà.

Lean. Ah Ruggiero, voi potreste.... Eh no, che nulla

Rug. Questa vostra ambiguità di creder e non credere in

me la potenza di sollevarvi mi dà indizio esser la cagione

delle vostre afflizioni quella stessa, per cui desiderava par-

larvi. Ditemi: non sarebbe già forse il timore di dover per-

dere ogni speranza sopra le nozze di mia sorella, che vi

affligge?

Lean. Ah caro amico, pur troppo è delio.

Rug. Or perché dubitare della mia volontà in conaolarvì,

dopo le si accertate assicurazioni che ve ne feci?

Lean. lo dubitai del vostro potere, non della voitra vo-

lontà. Il cuor d' Isabella voltata ad altro oggetto, ed il vnitrn

tanto affezionato a Clarice... . Ah che per me ogni speranza

i perduta.

Rug. Or sentite, Leandro, e consolatevi. Io sono renato

informato a pieno di tutti i dissapori, che son passati in

questo giorno tra voi e mia sorella, e che sono anche stati

l'origine de* nostri, ed ho compreso esser tutti questi fon-

dati in false supposizioni, come vi significherò con più agio.

Per ciò voi non dovete più dubitare del mio affetto, né di

quello d' Isabella, come io più non dubito del vostro.

Lean. Gran motivi son questi per ridurre in quiete l' agi-

tato mio spirito, ma non bastano. Mio padre....

Rug. Si, vostro padre (e qui sta tutta la difficoltà per

rendere e voi e me pienamente contenti) vostro padre, in-

vaghitosi imprudentemente di mia sorella, mi ha fatto fere

istanze per gli sponsali di essa, e di più con una condizione

la più dura e più aspra per me, che immaginar si potesse.

Lean. E qual fu mai?

Rug. Che io non pensi di ottener Clarice, se non faccio

sua sposa Isabella.

Lean. Ahimè! E voi che avete risoluto?

Rug. Per anche niente.

Lean, Che dunque risolverete?

Rug. Che mi consigliereste risolvere?

Lean. Oh Dio! A me lo chiedete?

Rug. Si a voi. Non diceste d'essermi amico?

Lean. Lo dissi, e mi fo gloria d' esserlo.

Rug. Chi meglio di voi dunque può darmi consiglio?

Lean. dopo aver pensato un poco. Giacché lo bramate!

sentite: io vi esorto ad acconsentire alla dimanda di mio

padre.

Rug. Or sentite qual è la risoluzion mia. Determino spo-

sare Isabella a Leandro.

Lean. Ma, e il vostro cuore, e quello di mia sorella ?

Rug. Ma, e il vostro, e quello della mia?

Lean. No, Ruggiero, non dovete fare un sacrificio del vo-

stro si nobile affetto alla tenerezza del mio. Io bensì, ragion

vuole che sagrifichi ogni mio riposo a quello d'un amico

si degno.

Rug. Lasciam da parte per ora si generose competenze,

ed entriamo in mia case per seriamente pensare ad un moda

proprio e convenevole per renderci felici ambedue, se

possibile.

Lean. E qual mai ci può essere?

Rug. Vedremo.

SCENA DECIMATERZA

Appartamento di caia di Volontario.

IMBILLA, ClIRICE C SEIPIHA.

Isa. Dunque Leandro è partito, ed è partito pieno di

sdegno contro di me?

Cla. Per quanto io mi sìa affaticata, non è stato possibile

ritenerlo. Egli vi ha supposto infedele....

Isa. Me infedele? Ah stelle contrarie a'miei amori! Me

infedele, quando più tosto la vita sarei pronta ad abbando-

nare, che il mio caro Leandro? Ma voi (A Clarice.) perché

non dirgli.... e.... E tu (A Serpina.) perché non ricercarne

sùbito come promettesti?

Cla. Assicuratevi che non ho tralasciato ragioni per di-

singannarlo, non ho trascurato preghiere per indurlo a restare.

Ser. Ed io l'ho cercato per mare e per terra.

Ita. Ma chi dice che sia quest'oggetto da me preferito

alla sua persona ?

Cla. Ve Io dirò, ma stenterete a crederlo: mio padre.

Isa. Vostro padre? E potè Leandro ciò supporre?

Cla. Dice avervi egli medesimo veduta accoglierlo eoa

gentilezza; ascottar con volto gioviale le sue espressioni amo-

rose; ed accettar di buon animo le sue offerte di sposo.

Isa. Cieli! E come mai può egli dir questo? E quando

si è egli trovato con me alla presenza di vostro padre?

Cla. Oggi, die' egli, quando, annoiatosi di star solo troppo

lungo tempo in una stanza, in cui si era ritirato di vottr' or-

dine, per non esser sorpreso da vostro fratello, il suo affetto

lo ha spinto a ritornar nella vostra, ove ha trovato mio

padre, ed ascosamente ha inteso ciò che vi ho riferito.

Isa. Come? Ed avran potuto gli equivoci, co' quali ho

sempre risposto a suo padre, per non rendermegli odiosa a

cagione di lui, esser da esso presi nel peggior senso?

Ser. Signora, non ve lo dicev'io che la sua rabbia era

nata da qualche cosa che vi averà sentito dire?

Isa. Taci, temeraria, ed anche ardisci parlare, essendo tu

stata P origine di queste turbolenze e della perdita d'ogni

mia consolazione? (Piange.)

Ser. Non vi affliggete, gli si farà conoscer lo sbaglio che

ha preso....

Isa. Togliti dalla mia presenza, traditora che mi sei stata.

Ser. — Mare in guerra, piede in terra. —

Cla. Amica, consolatevi, saprò io appresso di mio fra-

tello....

Isa. Ah s'egli è partito, non c'è più speranza che possa

consolarmi.

SCENA DECIMAQUARTA

Lauretta e dette.

Cla. Supposto che lo sia, procurerò sincerarlo per lettera.

Non vi affliggete, dico, Isabella.

Lau. Signore, che V hanno saputa ancor loro la cattiva

nuova ?

Ser. La sappiamo, la sappiamo. Ci mancavi tu ora a ri-

badire il chiodo.

Lau. Ma che ne dicono? Chi laverebbe mai creduto?

Cla. S'egli è partito, si farà ancora ritornare in breve.

Lau. Chi è partito?

Ser. Oh chi è partito! Il signor Leandro. Che ci venivi

tu a dire?

Lau. Egli ha avuto ancor ragione se l'ha fatto, perché

Serp. E noi andiamo in cucina, per ridercela un poco, e

particolarmente delle carezzo fatte al nostro Fracassa, e del-

l' abito nuovo del tuo padrone.

Lau. Volentieri. Ma bisogna poi anche ajutarle dove si

può quelle povere ragazze; meschinelle!

Serp. Colle mani e co 7 piedi lo farò.

Lau. Fare ad altri quel eh' un vorrebbe che fosse fatto

a sé. Tu lo sai.

Serp. Questa l' era la regola di mia madre, benché non

si possa sempre; ma tu che ti storcevi tanto stamattina per

conto di quest'innamorati.....

Lau. Ti se 7 tu mai trovata a veder i gatti mangiar l'in-

salata? Ci s'avvezzano con stento appoco appoco, e poi la

spergerebbono. (1)

Serp. Andiamo via, signora gattina.

Lau. Si, ma io non ho i pedignoni.

SCENA DECIMAQUINTA

Volontario é Ciancichino.

Voi. alla scena. Olà, Ciancichino, portami da sedere. Il

pittore non dovrebbe star* molto, e quel galantuomo di Fra-

cassa, con una doppietta che gli ho dato di mancia, ne ha

trova t' uno forestiero (a quel che mi ha detto non è molto)

eh' è un prodigio, bellumore, di spirito capriccioso un po'

bizzarro all'usanza de' pittori. È poi francone, che con due

sole pennellate ti chiappa un'effìgie per aria. In somma uà

simile non si troverà in tutto V universo mondo. Ma che fa

questo ragazzo? (Alla scena.) Ciancichino, dico.

Cian. di dentro. Signore.

Voi Che non intendi il parlar della lingua? Ti farò in-

tender quel delle mani, sai? Porti tu da sedere?

Ciati, di dentro. Ora; lo pulivo.

Voi. Ti pulirò ben io la bocca con do' ceffate, se non ti

strighi. {Ciancichino con una sedia.) Mettila costi, e non far

entrar altri che un forestiero, che cercherà di me, e Fra-

cassa se fosse seco.

Cian. Signor no. ( Via.)

Voi. V non voglio che '1 me' figliuolo sappia nulla di questo

ritratto. Mal mi sa eh 9 egli abbia avuto qualche sentore

dei miei amori. Ma e 7 vi son certi che l' hanno la diarrea

perpetua nella » bocca, eh' e' non posson tenere un segreto.

Ma proviamoci un poco in che positura sarà meglio che mi

facci dipignere. ( Sì prova in diverse positure sconce. ) Cosi ?

No, mi par un po' secca. Questa altra nemmeno, sarebbe da

comodità. Questa qui? Oibò, peggio, l'è da vecchio cajato. (1)

Una che mostri spirito. In questa forma? Buono, questa è

essa. (S'alia da sedere.) Com'è 7 sarà finito, lo vo' poi fere

tutto ingiojellare d' intorno, per regalarlo all' Isabella.

SCENA DECIMASESTA

Fracassa da pittore vestito con caricatura,

fingendo esser cieco con occhi aperti, e detto.

Fra. parla bolognese alla scena. Tu dici ch'egli è qui?

( Si volta, e fa la riverenza nella parte opposta a dov' è

Volontario.) Mio padrone, servitor suo.

Voi. — Chi è costui? — La riverisco.

Fra. voltandosi alla voce di Volontario, va con impeto

verso di lui, e V urta. Oh V. S. è di qua ? Umilissimo servo.

Voi. Oh diavol, che non ci vedete?

Fra. Ella mi compatisca, il nervo ottico delle mie pu-

pille è un tantinetto invischiato, sicché non ci vedo niente.

(1) • Voce senese. Cascatojo, accasciato, quasi dica cagliato. •

(Fanf.) — Nelle Marche diciamo • il tale ha cajato, comincia a cajare •

di chi si è avvilito, comincia a scadere, ad avvilirsi, e lo diciamo cosi

pel materiale come pel morale. Perché non deriverebbe da calare?

Voi — Se cosi è, egli è scusabile. — Ma chi è lei?

Fra. Io sono il Tinta cieco nato, figliuolo del Guercin

da Cento.

Voi — Oh e' non è miracolo ch'ei sia nato cieco, s'egli

è figliuol d'un guercio. — In che devo servirvi?

Fra. Un tal Fracassa, uomo di garbo, eh' io ho conosciuto

in partis foranibus ....

Voi Si, si, egli è stato fuori.

Fra. Mi ha detto che V. & cercava un pittore, e come

io, senza superbia, lo sono....

Voi Voi pittore?

Fra. Grazia alle mie mani, son tale, e son venuto ad

offerirle ciò che sa fare il mio pennello. (Accenna con un

pennello da imbiancatori.)

Voi — Ha fatto bene a dir: grazia alle mani, perché, al sen-

tire, gli occhi e 7 se gli può cacciare 'n tasca. — Ma come po-

tete vo' mai dipignere, e di più far ritratti, se non ci vedete?

Fra. La natura, quando manca in una cosa,* supplisce nel-

l'altra; per esempio un sordo ha vist' acuta; un pazzo gran

forza; un cieco buone mani.

Voi Che vo 1 possiate aver buone mani, i've lo credo; ma

che vo' siate pittore, e da ritratti di più, i' non l' ingozzo.

Fra. Questo sarebbe come un voler negare eh' io non fossi

uomo, dopo d'esser padre di ventiquattro figliuoli. Chi ha

fatto il ritratto del Senato romano se non io? Chi quello

della moglie del prete Janni? Chi l'altro di madama Epa-

minonda? Chi della duchessa Lubecca? Chi della marchesa

Fiandra, la contessa Cameade, la principessa Bolsena, e P im-

peratrice Aquisgrana ? Son pur io che 1' ho ritratte al natu-

rale da capo a piedi. (Dice tutto questo affretta, in forma

di ritirata da Dottor Bolognese.)

Voi Tutte queste signore l'avete dipinte voi?

Fra. Tutte son opera delle mie mani. E l' arcobaleno di-

pinto a guazzo?

Voi Toh, anche questo? Ma come avete fatto, se non ci

vedete, e dite di non ci aver mai visto?

Fra. Al tasto.

Voi. Al tasto? Eh vo'mi cucugìiate.

Fra. Signor si: tocco e dipingo. Una tastata e una pen-

nellata. V. S. deve sapere che ho il senso del toccare si

perfetto, che anche in una mosca so distinguere tutte le par-

ticelle più minute del suo corpo; e conoscerò benissimo al

tasto un bove da una pecora, ed una vacca pregna di nove

mesi da una sterile di sei anni

Voi. — E' può anch'essere, perch' i' ho 'nteso dire ch'i

cieco da Gambassi faceva le statue, e'1 nostro Giambattista

Strozzi, cieco cieco com' egli era, facev' anche lui le facciate

delle case a maraviglia bene. Poffare! Diceva ben Fracassa:

gli è un prodigio davvero costui! — Ma de' ritratti di uomini

vo' non m' avete nominato che quello del Senato romano.

Fra. Veramente la mia abilità maggiore è di lavorare a

donne, perché mi sono sempre esercitato intorno ad esse; e

ve', so farle ringiovinire d'una dozzina d'anni almeno, quando

mi ci metto, senza far loro perder punto la rassomiglianza.

Quel che non mi è mai potuto riuscir bene di pigliare è

quel flusso perpetuo di bocca che hanno, benché ci abbia

fatto studio particolare, e ne abbia tenuto a modello più di

mille delle più ciarliere.

Voi. Ah queste son cose che non si posson dipignere.

Fra. Come? Lei mi burla. L'altro giorno dipinsi cosi

bene al naturale un' oppression di cuore, che aveva una si-

gnora abbandonata dal suo amante, che essendo visto questo

ritratto da un medico confidente della medesima, nel tempo

che il servitore glie lo portava, egli voleva a tutti i patti cavar

sangue e purgar quel mio quadro li nella strada, tanto quella

verità gli aveva fatta impressione nella fantasia.

Voi. ride. Ah, ah, ah, questa è da ridere.

Fra. E l' averebbe anche fatto, se a caso non sopraggiun«

gevo io in difesa della mia opera colla spada alla mano, e

col minacciarlo di volergli dare una querela di quadricidiario.

Voi. Oh perché tanto fracasso?

Fra. Perché? Non sa lei che una volta che i medici ai

impacciassero di voler curare i quadri, non ce ne resterebbe

più segno al mondo?

Voi. Questo seguirebbe dell'opere vostre solamente, e

de' ritratti delle donne; perché, a quel che vo' dite, in quelli

degli uomini non siete cosi bravo, e ciò mi dispiace, per-

eti 7 i' vorrei ....

Fra. Distinguo. Degli uomini generalmente dice bene; ma

quando si tratta di dipingere (Lo tasta.) o uno sposo o un

innamorato, esprimo infino i desiderj che hanno.

Voi. Oh e' si vedrà di belle cose dunque ne 7 vostri quadri.

Ma ditemi un poco: come farete voi a dipigner me, per-

ch'i' vorrei che ciò si facesse presto?

Fra. Basta che io le metta due volte le man sul viso....

Voi. Le man sul viso? Oh questo poi vo'non lo farete

sicuro.

Fra. Ma come ho da comprendere i delineamenti, le pro-

porzioni e il colorito della sua faccia senza toccarla? Le ho

pur detto....

Voi. Ah si egli è vero. Vo' siete cieco, e sentite le fisono-

mie al tasto. O via facciam qualcosa: in che positura m'ho

io a mettere?

Fra. Com'clla vuole: bovina, equina, asinina.

Voi. Eh che posituracce! Pia vorre' d'uomo di spirito

e volontarioso.

Fra. Ho capito: si ponga dunque cosi. Ora finisca lei, e

poi principierò io. (Lo fa mettere in positura curiosa, e

colla man destra nel borsello.)

Voi. Che ho io da finire?

Fra. L'opera della man destra, altri mente.... ,

Voi. l'ho inteso: tenete, dieci doppie bastano elleno?

Fra. Son contento. Ora si metta colla testa alta e faccia

ridente. Bene. (Si tinge le dita, e poi gli palpeggia il viso.)

Questi son tratti eccellenti: oh che guance tenere e gentili!

Che colorito, che occhi, che bella fronte spaziosa colle sue

elevanzionceile dalle parti. Qui c'è da far una buona cosa.

Ora la riverisco. ( Vuol partire in fretta. )

Voi. Oh piano: dov'andate voi?

Fra. A far il ritratto; mi son scordato della tela.

Voi. lo ritiene. Vo' non m' insegnate.

Fra. Non mi trattenete, che mi scappano P effigie dalle

curai. ( Via.)

Voi. — Gli è pittor davvero costui. — Eh sentite, sen-

tite: ci ho un sopracciel da letto, vo' lo potete far li. (Seguita

Fracassa.)

SCENA DECIMASETT1MA

Cortile.

Supina sola.

Non sempre quando tuona tempesta. Il signor Leandro

non è partito; il padrone si è rappacificato seco; la padrona

e la signora Clarice sono un po' più in calma, e tutt' insieme

sono a consulta sopra il modo di far riuscire i loro matri-

moni : hanno chiamato a consiglio ancor me e Lauretta per

dar loro ajuto, e hanno dato alla mia astuzia Pincumbenza

di far mutar pensiero al signor Volontario. Non riuscendomi

si è pensato ad un altro intrigo, che non sarà brutto. Io ho

accettato 1' impegno più che volentieri: primieramente per

veder di cavargli di mano qualche cosa, e poi per ajutar

que* poveri innamorati, e far capire a molti barbogi che il

far all' amore non è mestier da vecchj. Quant- a quello spi-

lorcio di Strinato, non se V ha da passare pel rotto della

cuffia né men lui. Non sarei Serpina, se non mi vendicassi

delle trappolature che m'ha fatto. Sto pensando che burla

potrei fare che gli scottasse. (Pensa.) Questa non mi dispiace.

(Vede Strinato.) Oh, cosa rammenta per via viene. (Si n-

txra a parte. )

SCENA DECIMOTTAVA

Strinato e detta.

Stri, con abito nuovo stretto e trinato meschinamente, da

far conoscere la sua spilorceria. — Ah egli è bisognato pur

feria questa spesa; ma se V avessero a esser ogn'anno una,

e' non si potrebbe durare. —

Serp. — E come s'è rinfronzolito anche lui! Non siaxn

già a 7 diciassette di gennajo. —

Stri — Canchero! ventinove soldi e otto di nolo ne ha

voluto quel briccon di Pelagrilli, né ci è stato verso potergli

levare nemmeno un picciolo. —

Serp,, — Sicuro è V amore che gli fa far questi sciali; ma

sono sciali da lui. —

Stri, — Oh coscienza, per un giorno ventinove soldi, e otto

di nolo ! Ah e 7 si vede che non hann' anima questi usura jacci

d'Ebrei! —

Serp. — Che diamin fantastica da sé ? Giacché egli è venuto

a tempo, diamogli lo schiamazzo per farlo calar dove voglio. —

Stri. — Ventinove soldi, e otto d' un abito usato; e di più

c'è voluto di dopo la spesa della guarnitura. —

Serp. Almanacca sopra la spesa dell'abito: credo che gli

sia uscita dagli occhi. —

Stri. — Ma per far figura e non esser fatto fare.... —

( Vede Serpina.) O Serpina, sei qui?

Serp, finge da prima non conoscerlo, e poi fa maravi-

glie. Chi è lei?... Oh il signore.... E lei, signore Strinato?

Non Pavere' mai riconosciuto; mi rallegra

Stri. Quest'abito t'ha dato nell'occhio, ne'?

Serp. E di che sorta! (Lo guarda minutamente.) Colla

su' guarnizioncina senza risparmio e di buon gusto, che

bella cosa!

Stri. Or tu vedi : a tempo e luogo mi so far onore anch' io»

Serp. Bisogna farsi veder un po' alla signora Isabella in

quest' abito.

Stri. Tu ti può' immaginare eh' i' me lo son fatto per

amor suo.

Serp. Questi son contrassegni buoni, il non guardar a

spese; e che spese!

Stri. Per la signora nulla è gettato. Dimmi un poco : dove

va ella stasera a veglia?

Serp. Oh, non esce di casa lei. Chi le ha dato ad inten-

dere questa fandonia? Consideri se i! signor capitano.... Ca*

spitera ! se n' avvederebbe lei.

Stri. Mi pareva bene a me ancora cosa difficile che la

lasciasse andare.

Serp. Oh lui ve' è di quelli ! Non può patir nemmeno che

il sole la tocchi.

Stri. — La gli ha cacciala Volontario quella carota, per

burlarsi di lui. —

Serp. — Ora gli stringo i panni addosso. — Ma però,

quando noi altre donne non ci guardiamo da noi, voi altri

uomini non ci potete guardar certo. E sapete che cosa fate

con tanti ristringimenti ? Fate venir voglia a noi, quando non

V avessimo, di metterci più a largo. Il fuoco d' una donna é

come la polvere d' archibuso; più che si rinserra, più fa fra-

casso. Ci tenghiam mano fra noi, e riceviamo quelle visite

che ci pare, alla barba della vostra gelosia.

Stri. Eh P l'ho biasimate sempre ancor io queste maniere

di fare. Ma però la to' padrona....

Serp. La mia padrona veramente sta ritirata; e quando»

avesse a veder qualcuno, vorrebbe uomini fatti e di garbo»

Oh lei poi non vuol frascon intorno, ve'.

Stri. Fa anche bene.

Serp. Che sugo ci è mai in costoro? Mia madre mi di»

ce va che sono come le sorbe non mature; beli' e fresche alla

vista, ma poi aspre spiritate al sapore.

Stri. Dunque stasera la sta in casa?

Serp. In casa, e nelle sue stanze di più. Che non lo ere»

dete? Volete chiarirvene da per voi, che vi ci condurrò?

Stri. Tu può 7 credere s'i' ci venissi volentieri, ma....

Serp. Venite, venite, la vi ci averà caro, e di più consi-

derate in codest' abito. Si, si, v'aspetterò intorno all'un' ora

di notte.

Stri. Ma se il capitano....

Serp. Eh vo' siete pur buono ! Noi altre siam come i Sem*

plici di Val di Struflà, che cambiavan lo scudo per otto lire,

e poi tornavan pel reato. Credete voi che, volendo, non ci

dia l'animo.... E poi questa sera il signor Ruggiero è invi*

tato a cena fuori, e non tornerà che passata la mezzanotte.

Stri. O via dunque, verrò all' un' ora.

Serp. Si bene, ma non vi fate aspettar in vano.

Stri. Non ti dubitare. — Che cosa fanno du'regalucct a

tempo a queste cameriere! ( Via.)

Serp. Se mi riesce, tu vuoi venire pel tuo lardo. Chi gli

pose nome Strinato non dormiva. Si può veder cosa più strin-

gata di quel suo vestito? Ma ecco di qua l'altra pollo da mer-

cato. Oh, che ha egli da dianzi in qua nel viso ? Non siam già

di carnovale, che si faccian le maschere. Uh donne, che ceffo

da Saracino!

SCENA DECIMANONA

Volontario, coir abito di gala e viso tinto, e detta.

Voi. Serpina, che ne dici ora della me 1 persona ? ( Serpina

ride.) Oh, tu te la ridi?

Serp. Signor si, ah, ah, ah, non posso far di meno, oh,

oh, ih, ih.

Voi. O perché mi sbeffi tu cosi? Che forse quest'abito....

Serp. Eh non rido dell'abito io; ah, ah, ah....

Voi. O di che ridi tu?

Serp. — - Non gli vo 1 dir nulla, sarà più bello lo spasso. —

Del signore Strinato me la rido, che ha voluto far la scimmia

a V. S., e s'è rimpiastrellato addosso un vestito di vecchio.

(Lo guarda in viso, e ride di. nuovo.) Oh, oh, oh: par uà

budello.

Voi. Gli è uno scimunito e un avaraccio, che si farà bur-

lare in tutte le cose, l' credo che la tu' padrona mi farà giu-

stizia in paragon di lui.

Serp. Che ne dubita?

Voi. E di più mi son fatto dipignere.

Serp. Ah s'è fatto dipignere? (Accenna al viso Volon-

tario.) E chi è stato il pittore?

Voi Un valentuomo: uno che ha dipinto la signora Fian-

dra, il Senato romano; e poi tant 1 altri che non ti sapre' dire.

Serp. Ma mi dica: perché si è ella fotta dipigner cosf?

Voi. Perché il ritratto lo vo' donare alla signora Isabella.

Serp. E dell'originale che ne farà?

Voi. Oh gli ha esser suo anche quello.

Serp. Com'a dire?

Voi. Che' non lo sai che V ho fetta chiedere al signor

Ruggiero ?

Serp. Uh quel eh* ella mi dice ! Ma ha considerato bene

che cosa sia tòr moglie?

Voi. Pio so benissimo.

Serp. E poi non lo saprà, veh.

Voi. Perché vo'tu dir ch'i' non lo sappia?

Serp. Perché ella non la piglierebbe.

Voi. Anzi perch'i 1 Io so i 1 la voglio.

Serp. Se iMo dico che ella non lo sa. Tòr moglie vuol

dir entrare nel pensa tojo.

Voi. Nel pensatojo?

Serp. Eh, nel pensatoio dico io. Uh a quanti guai si va

incontro!

Voi. E io fo conto d'andare incontro a' piaceri.

Serp, Piaceri quando si piglia moglie da vecchio, e si

piglia una giovane? Gelosie, musi, lamenti.... e poi questo

mestiero è da giovanotti.

Voi. Oh che sproposito! Da giovanotti! Voglion esser

nomini consumati negli affari e di molta sperienza pel ma-

trimonio, e non capi sventati, che non san dove si metter

le mani.

Serp. Giusto per questo che i vecchi son consumati, non

son buoni. L'aver molta esperienza vuol dire esser vissuto

lungo tempo. Chi ha vissuto lungo tempo ha poco dà vivere,

« chi è alla fin della vita non è buon per la moglie.

Voi. Tu la discorri per un altro verso.

Serp. Io la discorro pel verso che va, signor Volon-

tario mio. -

SCENA VIGESIMA

Lauretta e detti.

Voi. — Questa ragazza parla un linguaggio, che non mi

piace punto. Non vorrei che fusse fatta parlare. — (Pensa»

Mentre che Volontario parla da sé, Serpina parla basso

con Lauretta,)

Serp. a Lauretta. Ajuta la barca, e non gli dir niente

della tintura del viso, perché ci fora giuoco.

Lau. Lassa fare a me. (Si ritira dentro.)

Voi. — Oh i' non son po' mica il Tremola ve', che pigliava

cattivo augurio fin dal canto del rosignolo.-P vo 7 che.... —

Lau. esce piangendo. Uh, uh, uh! Signor padrone, pianga

pianga, signor padrone.

Voi Oh, di che ho io a piangere?

Lau. Signor si, pianga, uh, uh, uh.

Voi. Che c'è egli di male?

Lau. Pianga le dico, che lo saprà dopo, uh, uh, uh.

Voi. Pio vo 7 saper un pò 7 innanzi, perch'i 1 non vo 7 gettar

le me 7 lagrime.

Lau. Ah, il signor Leandro.... piagni Serpina, almen tu.

Serp. finge piangere. Uh, uh, uh.

Voi. Che è egli stato di Leandro?

Lau. Egli.... Piagni pure, Serpina, piagni. (Finge pian-

gere, e guardando Volontario, quando non son da esso

vedute, ridono tra loro.)

Voi. Di 7 su, Leandro.... (Mentre Serpina e Lauretta

fingono piangere, Volontario piange dirottamente.)

Lau. con volto allegro. Anzi, no, non pianga, signor Vo-

lontario, rida, e rida di cuore.

Voi. Oh che scena è questa la me'Fulena?

Lau. Avevo sbagliato io. L' è cosa .da ridere. Oh che nuova

curiosa, oh che bella nuova !

Serp. Che ci é mai di tanto curioso i 1

Lati. Serpina, quando la saprai, ne farai le maraviglie.

Voi. Che cosa è accaduto? '

Lau. Glie la vo' dare alle mille a indovinare.

Voi. Di' su, e sbrigati.

Lau. con gravità. Il vostro figliuolo si è vestito con un

abito nero alla magistrale; un collarone che gli cuopre lo

stomaco; un ferrajolo che gli pulisce le calcagna; una per-

rucca liscia di quattro peli mezzi canuti; cappello a quat-

ta acque; (1) calze lenti; scarpe da gottosi. Va in compagnia

degli anziani della città, caminando come l' anatre, appoggiato

ad un bastoncino; non parla che del tempo di già; e sta ri-

formando i costumi d' oggi giorno, biasimando questa cosa e

quell'altra senza discrezione.

Voi. Oh! che è impazzito?

Serp. Poveretto!

Lau. Eh signor no, mostra d'aver giudizio lui.

Voi. Aver giudizio con far queste mascherate da farsi

rider dietro fin tutti i ragazzi delle botteghe?

Lau. Egli dice che in una casa, ove sia un padre di più

di sessant' anni e un figliuolo di venticinque, ci dev' essere

per una parte della serietà, della prudenza e del risparmio;

e dall'altra del brio, delle spese, degli abiti ed amori.

Voi. E bene ?

Lau. Ora vedendo che tutte queste seconde cose, che si

converrebbero al giovane di venticinque anni, le volete far

voi, bisogna ch'egli faccia l'altre da vecchio di sessanta.

Voi Impertinentuzza, ti farò ben io metter la lingua dove

non ti tocca.

Lau. Ma....

Voi. Ma se tu apri più la bocca, che si che te la chiudo

con do 1 labbrate da feste solenni? Via, a noi, torna su in casa.

— Questa seconda inciferata (2) ancora la non mi piace

punto. — {Pensa.)

Lau, a Serpina. La mia è ita a voto.

Serp. a Lauretta, E la mia ancora; ma vattene, e lassa

far a me. {Lauretta parte.)

Voi. — Il me' figliuolo da vecchio, e io da giovane.... —

Serp. E bene, signor Volontario, che dice del signor

Leandro ?

Voi Dico ch'io sono il padrone, e che voglio far a

me' modo.

Serp. Ma si potrebbe....

Voi. E' si potrebbe ch'io lo farò cacciare al Canto alla

Mela(i) o'n Santamarenuova (2) ne' pazzerelli.

Serp. Ma se egli ci fa cacciar lei?

Voi. Me? Me a' pazzerelli il me' figliuolo? (Si agita.)

Serp. V. S. perché no? Che sarebbe il primo?

Voi. con riso sardonico. Serpina, di' il vera T' ha' meren-

dato, e hai alzato il gomito più del solito, eh?

Serp. Che, vorresti dir forse ch'io fossi briaca?

Voi. l' vo' dire che, per far metter uno ne' pazzerelli, e' non

ci si può far -mettere a capriccio, bisogna che ne dia l' om-

perché, l'omperché.

Serp. Oh che vi par forse di far poche pazzie a voi con

cotesti vostri....

Voi. Che pazzie, che pazzie, la me' saputella ? Perch' i' vo

ripigliar moglie, per questo fo una pazzia? Tu t'ha' da in-

tender se il punto messo è troppo largo o troppo stretto, la

me' figlioli n a, e non di queste faccende.

Serp. E de' visi da maschera me ne poss' io intendere ?

Voi. Tu mi pai un'impertinente, e se tu non servissi

chi tu servi, ti vorre'far vedere.... Viso da maschera a mei

Serp. Non si creda eh' io l' abbia pregiudicata, veda.

Aspetti. (Si cerca in saccoccia.) Non so s'io ci abbia una

k sperina che porto sempre pe' bisogni. Oh eccola, ce V ho ap-

punto. V. S. si specchi un poco qui dentro, e poi dica se ho

detto male.

Voi. si guarda nello specchio con ammirazioni. Oh cos' è

questa? Chi mi ha concio cosi?

Serp, Or dica adesso eh 9 io son saputella e impertinente.

Coteste non son pazzie da farsi tirar dietro le melate?

Voi. confuso. "F ha' ragione ; ma questa non è pazzia eh' P

Pabbia fatta io.

Serp. Chi dunque l'ha fatta, il Billèra, che morì nel-

l'uno? Eh via andatevi a vergognare: un uomo come voi

. pretender di lisciarsi per apparir....

Voi Eh lisciarmi le zucche ! E 9 non può essere stat' altri

chel pittore, che nel pigliar le me' fattezze per farai' il ri*

tratto....

Serp. Or vedete che cosa vuol dire in voi il far da inna-

morato e voler ripigliar moglie?

Voi. — Fortuna eh' i' non sono andato fuori per le strade»

— (Sta con/uso.)

Serp, Fate a mio modo, signor Volontario, lassate pigliarla

al signor Leandro, perché egli è giovane,. e la starà meglio

a lui che a voi.

Voi. Ora, Serpina, mutiamo un po' discorso-. Il viso me

lo laverò: la moglie la vo' pigliar io; e Leandro per adesso

starà un po' a denti secchi.

Serp* — Questo tasto non suona bene, tocchiamon' un

altro. — Quando poi abbiate risoluto cosi, non saprei che mi

ci dire, bisognerà che vi dia la ragione.

Voi. Oh sicuro ve' eh' i' n' ho anche da vendere.

Serp. Io per me, per me, l'ho ancor caro, perché dia-

min che non mi tocchino un po' di nozze.

Voi. Per te, s' i' ho la to' padrona, e' è un vestito di seta

nuovo nuovo di trinca.

Serp. Se vi tocca la mia padrona?

Voi. Certo, e con tutta l' accompagnatura anche di più,

guarda.

Serp. E se io vi conducessi stasera a veglia da lei?

Voi. Stasera a veglia?

Serp. Signor si.

Voi. Da Isabella?

Serp Da lei.

Voi. Tieni. (Si va cavando l'anello.) Ma piano. (Re-

stando colla mano al dito.) E Ruggiero?

Serp. Lui va a cena fuori, né sarà tornato nemmeno a

mezzanotte.

Voi. Eh, tu non burli già?

Serp. Che il mal di madre mi possa .... Non mi fate giu-

rare; che serve, se dico di sf?

Voi. A che ora?

Serp, A un'ora e mezzo, e non prima.

Voi. Tieni, tieni, Serpina mia. ( Gli dà V anello. ) V vengo :

a rivederci. ( Via.)

Serp. L'aspetterò puntualmente. — Questa seconda ta-

stata ha sonato bene a maraviglia. —

Voi. ritorna. Eh Serpina, se'l pittore mi manda il ri-

tratto, lo vo' portar meco, vedi? ( Via.)

Serp. Faccia convella vuole. — Se non è pazzo lui, non son

femmina io; si lusinga il poveretto, ma gli vuol accadere

come al can di Babbo Nero, che vagheggiò tanto un pezzo

di carne secca, che cascò morto dalla fame. Corro a dar no-

tizia a 1 padroni dell' impasticciata che ho fatto.

SCENA VIGESIMAPRIMA

Appartamento d' Isabella, con due tavolini e lumi.

Isabella e Clarice.

Cla. Dite il vero; non bisogna perdersi d'animo nem-

meno negl' infortunj più gravi, perché il Cielo non ci affligge

mai per deprimerci.

Isa. Egli è padre compassionevole: ci gastiga per istruirci,

e, se ci toglie talora il possesso di qualche bene, lo fa per-

che lo riconosciamo da esso, e per rendercelo poi o soprab-

bondante o più caro.

Cla. Cosi è. La riunione degli animi seguita fra i .nostri

fratelli, e quella di noi co 1 nostri amanti, ha accresciuto il

pregio ed i vincoli della loro amicizia, come quelli del nostro

amore.

Isa. Per la nostra intiera felicità resta solamente adesso

che si tolga l'unico ostacolo, che procede da vostro padre.

Cla. Io lo spero; e vorrei che riuscisse alle nostre came-

riere l' illuminarlo, per togliere a me la pena, ed a lui la

confusione, che proveremmo quando convenga servirci del

rimedio fra tutti noi concertato.

Isa. Vedete, Clarice, non si disconviene a' figli, anzi è loro

obligo positivo rimetter nella buona strada i proprj genitori,

quando ne sian mora; supposto però sempre che ciò segua

col dovuto rispetto, e colle debite convenienze.

Cla, Ma in ciò che si è determinato di fare, pare a voi

che questo rispetto ci si trovi in tutta la sua convenienza?

Isa. Basta che lo abbiate nel cuore. Ditemi: se vostro

padre fatse infermo di mortai piaga, che richiedesse e ferro

e fuoco, potreste esser tacciata di crudele, se in curandolo

vi serviate di rimedio si violento?

Cla. No certamente.

Isa. Cosi nel caso nostro. Confesso che nell' uno e nel-

l'altro stato non potreste evitare una gran pena; ma il con-

tento poi della guarigione del padre quanto superiore sarebbe

a quel tormento!

Cla. Cara Isabella, le vostre ragioni intieramente mi ap-

pagano; e solamente vi prego risparmiar quanto potete le

debolezze di mio padre.

Isa. Ve lo prometto; ma bisogna però che il rimedio, che

si pretende di porre in opera, sia efficace ed applicato come

conviensi, perché faccia il suo effètto. Potrà però esser che

non ne abbiam di bisogno.

Cla, Oh ecco appunto Serpina e Lauretta. Da esse l'in-

tenderemo.

SCENA VIGESIMASECONDA

Serpina, Lauretta e dette.

Cla. E ben, Serpina, come vanno le cose?

Serp. T,a, ta, (i) frittata. Abbiam fatto un buco nell'acqua.

Isa. Che non avete parlato al signor Volontario?

Serp. E gli abbiam parlato e riparlato per un' ora continua;

e cosi? Vuol moglie, e la vuole, e la vuole.

Lau. E vuol lei, signora Isabella.

Cla. Dunque ogni nostra speranza..,.

Serp. Ora qui non bisogna andare in lungo con discorsi

inutili. Adess' adesso egli sarà qui da voi, e bisognerà farlo

rientrar in sé per quell'altro verso che si è detto; giacché

le ragioni nostre e di altri non son bastate.

Isa. Ma bisognerà pur farne avvertito il signor Leandro

e mio fratello.

Lau. Abbiam fatto tutto, e appunto adesso gli abbiam

lassati nella camera del signor Ruggiero, ove staranno aspet-

tando avviso di quando devon venire.

Serp. Voi, signora Clarice, andatevene adesso da loro, e

la padrona resterà qui a far la scena, che sarà bella ; ma bi-

sogna prima che avvertisca che verrà avanti di lui il signore

Strinato, senza saputa Pun dell'altro.

Isa. Ma perché? Questo intorbiderà P affare.

Serp. Anzi gli darà di mano. Basta eh 1 abbiate giudizio. Ma

sento bussare. (Si sente picchiare.) Andate via, signora Cla-

rice, e tu ancora, Lauretta, che questo è Strinato. Vo ad

aprirgli. {Via.)

Cla. Amica, mi riposo sulla vostra prudenza.

Isa. Vi prometto tutta la mia attenzione pel buon esito

dell' affare.

Lau. Poteva dir ancora tutta la sua furberìa. ( Via con

Clarice.)

SCENA VIGESIMATERZA

Strinato e Isabella.

Stri, La calamita tira 'I ferro, e i buoi tiran V aratolo, dice

il proverbio: cosi voi, signora...»

Isa. Piano, signore Strinato: chi di noi?

Stri Io sarò la stanga e il bombere, che nel terreno delle

vostre grazie lavorerò le speranze di una copiosa raccolta di

contentezze.

Isa. Per seguitare il suo stile risponderò che in altro ter-

reno più sicuro e più fertile di simil mèsse potrebb' ella im-

piegare le sue fatiche; perché il mio è soggetto a frequenti

tempeste, che disperdono in un punto tutte le speranze del-

l' agricoltore.

Stri. Intendo che volete dire delle furie del signor capi-

tano, vostro fratello; ma quando voi vogliate....

Isa. Godo eh' ella capisca le strettezze in cui mi trovo, e

quali siano le sue stravaganze a riguardo della mia libertà,

perché non attribuisca a mia poca attenzione e disistima della

sua persona....

Stri. Eh signora no, io son ben sicuro del vostro genio

per me, come so bene che vostro fratello è un Turco in

queste materie,

Isa. Or come dunque si è ella potuta arrischiare ad ono-

rarmi della sua visita, per perder sé e me in un tempo me-

desimo?

Stri. Vi dirò: io ho saputo che questa sera egli non tor-

nerà che dopo la mezza notte....

Isa. E chi l'ha potuto assicurar di ciò?

Stri. Serpina.

Isa. Ah, che ella ha ingannato ambedue noi, e sé me-

desima.

SCENA VIGESIMAQUARTA

Serpina e detti.

Ser. Oh meschina ! oh poveri noi ! Signora, il signor ca-

pitano, il signor capitano.

Isa. Oh Cieli, son perduta! Dov'è?

Serp. Eccolo qua che viene adesso.

Stri. Oh poveretto me! Fuggirò. (Va per fuggire da

una parte.)

Serp. Non vada di costà.

Stri. Anderò di qua. ( Corre dall' altra parte. )

Serp. Peggio, gli va incontro.

Isa. Certo m'uccide. Ma perché avete avuto ardire....

Stri. Io credevo....

Serp. Eccolo qui, eccolo qui; presto, ascondetevi sotto quel

tavolino, e non vi luticate. (1)

Stri. Sfe, sie. (Entra tremando sotto il tavolino coperto

d'un tappeto.)

Serp. basso a Isabella. Volontario è là che aspetta. Ora

lo fo venire.

Isa. E Leandro? [Basso a Serpina.)

Serp. Son tutti pronti. Fingete paura, e fate ascondere

anche lui, quando sarà il tempo. ( Via.)

Isa. forte, perche' senta Strinato. Ah, infelice, questa vuol

essere l'ultima sera per me. (Finge affanno.)

Serp. ritorna. Signora, sa chi era quello? Il signor Vo-

lontario, che vuol riverirla.

Isa. Ma se mio fratello

Serp. Non e 9 è lui per ora. Lo fo passare. (Via.)

Isa. a Strinato, che vuol uscir fuori. Che fa, signore

Strinato? Stia fermo.

Stri, me^o fuori. Se Ruggiero non c'è....

Isa. Non importa: non voglio che Volontario sappia niente

della sua visita. (Lo fa rientrar sotto.)

SCENA VIGESIMÀQUINTA

Volontario coli 7 abito nuovo, e ritratto; Isabella;

e Strinato sotto un tavolino.

Voi. Buona sera alla signora Isabellina mia dolcissima.

Isa. Son sua serva. Che onori son questi ch'ella mi fa,

signor Volontario?

Voi. Ora io non vo' star a far complimenti. Questo è vo-

stro. (Accenna al ritratto.) E questo (Accenna a se',) lo sarà.

Isa. Faccia favor di spiegarsi meglio, perch'io non V in-

tendo.

Voi. Oh, ecco: questo è il mio ritratto eh' P vi dono. ( Gli

dà il ritratto). E questo è V originale, che sarà vostro sposo.

Isa. Ella mio sposo?

Voi. Che forse vi dispiacerà?

Isa. Lo riceverei a onore; ma me l'assicura per cosa

certa?

Voi. Arcicertissimo. Io v'ho fatto chiedere al signor ca-

pitano vostro fratello, e credo che il partito si stringerà do-

mattina.

Stri, affacciato. — Oh diavolo ! —

Isa* E questo è il suo ritratto?

Voi. Signora si; gli è per ora senza cornici....

Stri, — Le ci starebbono anche bene. —

Voi. Perché il pittore me l'ha portato giusto adesso, e

non ho avuto tempo di farlo ingiojellare, come volevo; ma

le ci hanno da essere, e a modo vostro.

Isa. Egli è prezioso senza le gioje per quel che deve ras-

somigliare.

Voi, Per verità in quanto alla somiglianza non ce n'è

troppa; ma il maestro mi ha detto di ritoccarlo, e che con

due pennellate P accomoda sùbito, perché gli è anche fresco.

Stri. — Basta eh' e' faccia la testa d'un assiolo (i) perché

ti somigli. —

Voi. Ma vo'non gli date nemmen un'occhiata?

Isa. Ho più piacere di rimirar V originale.

Stri, — Oh pettegola sopraffina! —

Voi. Oh in quantappoi, V vo' che vo' lo vegghiate per dirci al

manco il vostro parere. ( Prende il ritratto coperto, e lo sco-

pre.) Guardate che carnagione tenera, (Si vede la pittura fatta

con gran caricatura.) che occhi sdruciti! (2) Che ne dite?

( Isabella si volta da altra parte ridendo,) Ma voi mi pare....

Isa, Me Io favorisca, acciò lo possa contemplar da per me

a lume buono. (Prende il ritratto, e va ad osservarlo al

lume del tavolino.)

Voi, Padronissima.

Isa. V opera è maravigliosa ! Ma se mio fratello arrivasse

a saperlo.... (Lassa il ritratto nel tavolino,)

Voi. E chi volete che glie Io dica?

Stri. — Glie lo dirò io, barone. —

Isa. Ah signore, in questi affari le muraglie stesse par-

lano; e infin che V. S. si tratterrà qui con me, sto con una

pena indicibile per la paura ch'ei non ci sorprenda.

Voi. Ma se v'ho detto....'

Isa. Eh V. S. non lo conosce intieramente. Quando an-

cora ella mi avesse dato Panello, sto per dire che non ci

vorrebbe insieme.

Voi. Oh e' bisogna che sia una bestia davvero, perché

s'P vi piglio, non vi piglio mica per tenervi lontan da me

quattro pertiche, veh.

Isa. Etla non può immaginarsi mai quanto sia strano in

queste cose.

Voi. Ma egli ora è fuor di casa.

Isa. Non importa, suol tornar quasi a ogni momento per

veder se qualcuno fosse da me.

Stri. — Oh se ce lo trovasse ! —

Voi. — Mi comincia a venir la tremarella. — (Si accosti

al tavolino, sotto cui è Strinato, per appoggiarsi.)

Isa. Ove va?

Voi. M' hanno ripreso un po' quelP effumazioncelle (1)

d'oggi; ma non è niente, non è niente.

Isa. Ah, non vorrei.... (Strinato si affaccia, mostrando

rabbia, e sgraffia una gamba a Volontario.)

Voi. fa spaglio. (2) Ah !

Isa. Cos'ha, signore?

Voi. Che ti pappi la rabbia! Te', va' via. (Dà un calcio

sotto il tavolino, e coglie Strinato. ) • Il suo cane m' ha dato

un piluccone, e sorta eh' e' non m'ha arrivato bene. (Isabella

Si ritira a parte, per non esser veduta ridere.) Oh dov'an-

date voi adesso?

Isa. Stavo a sentire se per sorte mio fratello.... Uh, si-

gnor Volontario, ella si è esposta ad un gran rischio!

Voi. Dichiamo a Serpina ch'ella stia attenta, e ci avvisi

in caso che....

Isa. Non è cosa sicura, perché vien quietamente. Il Ciel

ne liberi ch'ei tornasse adesso; potremmo dire d'aver ter-

minato di vivere.

Voi. Come si potrebbe dunque egli fare? (Intimorito.)

Isa. Direi....

SCENA VIGESIMASESTA

Ruggiero di dentro da prima, poi fuori colla spada nuda,

fingendo collera, e detti.

Rug. dentro. Gente da mia sorella?

Isa. finge timore. Ah me infelice! Lo diceva! Eccolo.

Come faremo? ,

Voi. Fuggirò di qui.

Isa. Non si può, che è serrato.

Voi. Entrerò sotto questo tavolino. (Mostra voler entrare

sotto il tavolino, ov' è Strinato,)

Isa. ritenendolo. Ah no.

Voi. Si, avete ragione: il cane mi potrebbe mordere, o

scoprirmi.

Rug. di dentro. Questa spada farà le mie vendette.

Isa. Ah miserabile, son perduta!"

Voi. tutto affanno e timore. Oh meschino me! Insaccherò

sotto quest'altro. {Entra sotto l'altro tavolino.)

Isa. finge agitazione. Che farò misera? Fuggirò? Ma

dove? Dirò che il caso.... Ma che ragioni potranno quietar

le sue furie?

Rug. fuori, dando tacita dimostrazione d'intelligenza a>

Isabella, e fingendo collera. Adesso vedrò chi sarà quel

temerario.... Ma che vedo qui anche un ritratto di più? Ah

sorella perversa! Voi dunque.... Palesatemi V indegno origi-

nale di questa pittura.

Voi. — Ora si che so' spedito. —

Rug. Non ne ritrovo l'effigie. Sarà forse di quell'iniquo

che era con voi. Dite, ove si ascose?

Isa. Siete ingannato, qui non ci troverete alcuno.

Rug. E ancora avete ardir di mentire? Lo cercherò in

quest'altre stanze, ed incontrandolo, non deve costar men

che la vita ad ambedue. ( Passa dall' altra parte, entrando

dentro. )

Voi. — Se il ritratto mi Somigliava, i'ero fritto. — ( Vò-

lontario e Strinato s'affacciano, e vedendosi fanno gesti

strani. )

Isa. Disgraziata ch'io sono! Senza dubbio mi converrà

morire per le mani d' un fratello; e, per essere stata troppo

indulgente, morir colla taccia. (1) (Isabella vedei vecchj che

tentano uscire,) Ahimè! Eccolo ch'ei ritorna. (I vecchj

rientrano. )

SCENA VIGESIMASETTIMA

Leandro e detti

Lisa. Ah siete voi signor Leandro? Di grazia, partite, perché Ruggiero non ci trovasse qui insieme. (danno muta dimostrazione di essere d’accordo)

Leandro. Signora, non permetterete che almeno per un momento abbia la consolazione di trattenermi ocn voi? Il mio amore, che ogni giorno più va crescendo, mi rnde insoffribile la vostra lontananza.

VòJ. — Oh briccone, scellerato! —

Stri. — Anche questo eh? —

Isa. Voi sapete, e non è (fora, che vi amo più di ma

stessa, e piacesse al Gelo che potessimo assicurar per tempro

questi nostri amorì col nodo indissolubile delle nostre notte,

VoL — È una buccia di porro ! Uh P crepo dalla rabbia* —

Leon. Non posso lusingarmi di tanta fortuna, perché, sa*

sendo mio padre di voi amante, devo cedere ad esso la prt»

Stri. — Ora V m'accorgo dell 1 uccellatura. —

VoL — Oh io gli avere 9 dato la matrigna amorevole) —

Isa. Vostro padre è discreto. Io in tal caso amerò lui ed

egli me con affetto di padre e di figlia, e noi ci ameremo con

tenerezza di sposi.

Voi. — Lo die' anch' io. —

Lean. Chi sa se ci potrà riuscire?

VoL — No per dinci. —

Isa. Lo tenteremo.

Stri. — Al sentire, per me è spiovuto. —

Isa. Ma non indugiate a partire, perché, ritornando mio

fratello, potrebber forse andar tutti in disordine i nostri di-

segni (Fanno dimostrazioni mutue d'intelligenza.)

Rug. ritorna, seguitando a finger collera. Ah pur ti ci

colsi. Questa macchia al mio onore?

Voi. — Oh povero me! Ora lo sbudella. —

Lean. Signor capitano, la mia visita è di pura convenienza.

Rug. Una tal convenienza in mia casa si paga colla vita.

(Finge assalirlo.)

Isa. ritenendolo. Fratello, egli è innocente, e, se volete

slogare il vostro furore, eccov'il mio seno.

Voi. — Poverina: eh 9 ella sia benedetta. —

Rug. Ch'egli dunque vi sposi in questo momento.

Leon. Io, signore....

Rug. eolla spada al petto di Leandro. O mia sorella per

tsposa, o questo ferro nel petto.

Leon. Ma non vorrei che mio padre....

Voi. — Pigliala, balordo, e non ti fare sbudellare. —

Rug. Che vostro padre?

Lean. E vorrebbe eh' io facessi un tal passo senza di lui,

quando so eh 9 il suo affetto....

Rug. Il suo affetto? Che forse sarebbe tanto temerario di

pretender ch'io la sposassi a lui? Giuro al Cielo!

Voi. — Noe, noe, i'non ne ho più voglia. —

Lean. Non dico ciò, dico che il suo affetto merita che io

ne abbia il suo consentimento.

Voi. — Eh sf che me ne contento. —

Rug. S'ei non vorrà prestarlo di buon animo, V esigerà

per forza colla spada.

VoL — Sie, dico, afe. —

Lean. Ma potrei adesso andar a cercarlo....

Rug. Ah ingannatore! Crederesti deludermi con questi

pretesti? Non c'è più tempo. (Di' nuovo colla spada al petto

di Leandro. ) O la mano di sposo a mia sorella, o la morte.

SCENA ULTIMA

Tutti.

Cla. mostra frapporsL Ah Ruggiero, che pretendereste

di fare?

Rug. Vendicarmi.

Voi. — Manco male, è arrivata a tempo. —

Cla. Ed in che vi offese mio fratello?

Rug. L' offesa è tale, che non può resarcirsi che o col suo

«angue o colle sue nozze colla mia sorella.

Leon. Morirò più tosto che far cosa opposta a* voleri del

padre.

Rug. Se vuoi la morte, la morte avrai. (Finge ucciderlo.)

Voi. Ahi poverino! (Forte.)

Rug. Come, altra gente si asconde qui? In mia casa

questi mascheratori di frodi? In questo punto, con questa

spada vo* trafiggerli il cuore.

Voi. i *' affacciano nel medesimo Misericordia!

Stri, r tempo, e parlano insieme. Compassione!

Rug. Ah temerarj, iniqui, perversi. ( Va contro Volon*

tario.)

Isa. ritenendolo. Caro fratello, sospendete il vostro sdegno.

Niuno di loro è colpevole.

Rug. Come niuno è colpevole? Fuor, indegni, per giusti-

ficarvi.

Voi. Eccomi, eccomi, pietà.

Stri. Compassione, ubbidisco. ( Escono di sotto i tavolini. )

Isa. Si, essi sono innocenti.

Rug. Innocenti? Ma perché qui, e cosf ascosi?

Isa. L'intenderete a suo tempo; per adesso siate persuaso

di questa verità.

Rug. Come? Ancor pretenderesti ingannarmi.... No, no,

voglio che i suoi delitti....

Voi. Non c'era venuto per far male.

Stri. Nemmeno io.

Cla. Ruggiero, se mi amate, deponete ogni sdegno.

Rug. Io desistere da cosi giuste vendette?

Cla. Sf, dovete farlo, se vi son cari i miei sponsali. ( Rug-

giero mostra placarsi.) Esaminate le cose ad animo quieto,

e troverete che queste, che chiamate giuste vendette, non son

che sfogo d'una cieca passione.

Rug. Ma i loro amori per mia sorella

Cla. I loro amori per vostra sorella non ebbero altro fine

che delle sue nozze.

Isa. Tali furon sempre le loro dichiarazioni.

Cla. Vedete dunque quanto è facile il rimedio a tali che

voi chiamate delitti. Il signor Strinato e mio padre cederanno

di buon animo a mio fratello questa pretensione.

Voi. Volentierissimo.

Stri. Signora si.

Cla. E mio fratello, sposando con tal consenso la signora

Isabella, verrà a risarcire ogn' ingiuria, che pretendete possa

avervi fatta con amarla.

Lean. In tal caso non ho che bramar davvantaggio.

Voi. Pio credo.

Lean. Sennonché, senza le nozze vostre, amico Ruggiero,

con mia sorella, non sarà mai;....

Rug. Ma vostro padre mi fece intendere che non pen-

sassi ....

Voi. Sie, sie, ve la do: non son più di quelP umoraccio;

son troppo scottato delle me" pazzie.

Rug. Quando ciò sia, depongo ogni sdegno. (Ripone la

spada nel fodero. )

Voi. Che vo' siate pur benedetto.

Rug. E voi, Isabella, porgete la mano di sposa al signor

Leandro.

Isa. Niun comandamento vostro mi fu mai più caro di

questo, e di miglior animo eseguito.

Voi. prende la mano di Clarice. E tu dàlia qui al garba-

tissimo signor Ruggiero, che è un galantuomone.

Cla. Son pronta ad ubbidirvi.

Voi. E no' poi, signore Strinato, farem da testimonj.

Stri. l'ho fatto dell'altre volte. — Mi dispiace la spesa

buttata delP abito. —

Rug. Signor Volontario, accetto per isposa la signora

Clarice, e la riconosco pel maggior regalo, che mi potesse

fare la vostra generosità e cortesia.

Voi. Ve la do di buon cuore, siccome ricevo volentieri

per nuora la signora Isabella; e s'ha da fare che quel eh 9 è

stato è stato, senza parlarne più.

Rug. Di buon animo. Ognun condoni all'altro qualunque

trascorso, e s'imponga silenzio a tutto.

Ser. Pian piano con questo silenzio. Bisogna dir qualcosa

di noi ancora.

Isa. Tu potrai sposar Fracassa....

Serp. Fracassa? E' me n'ha fatte troppe.

Fra. La querela del Pigola. Chiedeva quel ch'avev'a

dare. Se tu non mi vuoi, che me ne manca a me delle donne ?

Sposerò Lauretta.

Lau. Me? Oh, tu vuo' morir digiuno, se non hai altra

carne a fuoco.

Rug. Lasciamo questi discorsi ad altro tempo, e andiamo

allegramente a cena, perché credo che sia tardi.

Isa. E per star meglio si potrebbe andar tutti dal signore

Strinato.

Stri. Da me? Pho la serva ammalata; e poi la sera i'non

ceno. — In questa forma mi farebbon far da testimonio a

doppio. —

VoL O via, vo' verrete tutti da me, giacch' P m' ero quasi

preparato a nozze.

Lean. Tornerà meglio; e fra tanto si discifrerà tra noi ciò

che ci resta di oscuro per le cose seguite in questo giorno;

quando però questo non sia per esser di pena al signor padre.

Voi. Si faccia come tu vuoi, giacch' i' conosco ora da me

che a pigliar moglie V are' fatto com'il can del peducciajo;

dato in budella. (1) E vo', signore Strinato, verrete anche voi,

per toccar meglio con mano tutti e due che il far da innamo-

rato non è mestier da vecchj, e che in questa nostra riva-

lità no' ci siam fatti assa'ben corbellare.

Il fine.