I
venexiani
di
Giuseppe Manfridi
PERSONAGGI:
Giacomo Casanova
Maddalena (colei che nelle ‘Memorie’ è MM)
Caterina (colei che nelle ‘Memorie’ è CC)
Bernis
Pietro (colui che nelle Memorie è PC)
SCENA I
(Luci dell’alba in una stanza miserabile. I pochi raggi che filtrano, passano
da una minuscola finestra a soffietto. Una tavola con su della carte gettate
alla rinfusa e delle monete non raccolte. Tra carte e monete, è poggiata una
maschera. Alcune sedie scostate in disordine. Un uomo di grossa mole e dal
mantello color porpora, va su e giù per la stanza a larghi passi. Un altro
individuo, abbigliato con una divisa militare che sa di contraffatto, se ne sta
invece chino a ramazzare carte e denari. Ha un’aria vile e trasandata. Lo si
direbbe assai più giovane dell’altro. Il primo è l’ambasciatore Bernis, ma la
nostra storia ce lo dirà solo in seguito. Il secondo, si chiama Pietro. Bernis
estrae da un taschino del panciotto una scatoletta contenente pillole da fiuto.
Offrendo...)
BERNIS: S’il vous plait...
(Il
giovane lo guarda senza capire)
BERNIS: Tabacco. (Con la ‘erre lievemente arrotata dei francesi) Per voi.
Volete?
PIETRO: Ah.
(E prende. Bernis, con la pastiglia tenuta tra pollice e indice, fiuta
delicatamente. L’altro, invece, preferirà ingollare la sua masticandola a colpi
di ganasce mentre insiste a ragranellare monete)
BERNIS: Sicuro sia tutto vostro?
PIETRO: Oh, no-no... sto solo sistemando. Qui i conti son segnati. Quando
volete...
BERNIS: Allora ve lo dico io: è tutto vostro.
PIETRO: Signore... la vostra munificenza...
BERNIS:
Pas de tout! Legittimo
guadagno. Le carte vi hanno dato torto, la nostra scommessa vi ha dato
ragione.
PIETRO: Davvero posso?
BERNIS:Allez!
Allez!... Intascate
e via.
PIETRO: (Sbrigandosi a far sparire tutti i soldi) Vivaddio... uno sfidante
leale come voi è un onore incontrarlo, ma quasi un’onta batterlo.
BERNIS: Nulla da dire... chapeau!... Conoscete il signor Casanova più e meglio
di me.
PIETRO: Mi è quasi parente, comprenderete.
BERNIS Mai-mai-mai: davvero mai avrei pensato che dicesse no all’occasione di
tener banco quando il Gran Consiglio ha chiuso ovunque i tavoli da gioco.
Jamais!
PIETRO: E’ mio dovere ricordare che questa era una scommessa per cui non si era
stabilita alcuna posta.
BERNIS: Lo faccio adesso. Prendetevi quelle rimanenze come fossero il prezzo
del nostro patto. Avete un sorella che le vale tutte se, a quanto pare, è per
lei che un giocatore della sua statura rinuncia di buon grado al proprio vizio
capitale.
PIETRO: Chissà che non l’abbia fatto per trasformare mia sorella in un vizio
ancor più grave.
BERNIS: Sembra vogliate darle un prezzo.
PIETRO: Tutt’altro. Anche per me si tratta di una scoperta.
BERNIS: Che dubito vi infastidisca.
PIETRO: Giusto appena.
BERNIS:
Siete geniale. Mais vraiment.
PIETRO:
Eccellentissimo... mi domandavo se la notte che abbiamo trascorso insieme basti
a consentirmi una certa confidenza.
BERNIS:
Je vous en prie!
PIETRO:
Vi sta più a cuore sapere di lui, o della donna che l’avrebbe trattenuto?
BERNIS: E che tutt’a un tratto, cos’è?... Ha perduto il suo nome?
PIETRO: Compatitemi. M’imbarazza meno parlarne facendo la parte di quello che
neppure la conosce. Piccole viltà, ma così umane!... C’è della vergogna, voi
capite, a chiacchierare dei giochi amorosi di una cara consanguinea. E che di
più umiliante trattandosi della propria sorellina?... Anche per mio padre... è
un fidanzamento che, in casa, facciamo meglio a tenergli nascosto. Non per
nulla ce l’ha reclusa in un convento.
(Bernis va a sedersi per fronteggiare meglio l’altro)
BERNIS: Très bien... rieccovi doppio e triplo. Niente, per voi, merita rispetto
se non in ragione del suo tornaconto.
PIETRO: Ah, no! Con questa premessa riprendetevi anche i vostri soldi, perché
io...
BERNIS: (Bloccandogli la mano) Detta da un’altro sarebbe un’offesa, non da me.
Dialogare con chi gioca d’astuzia è il mio mestiere. Voi mi siete affine. E
sappiatevi, perciò, pienamente compreso. La vostra doppiezza mi è del tutto
trasparente. Più vi conosco, e più mi fido.
PIETRO: Signore, se lo debbo alla vostra disistima, fate conto conto che non vi
abbia chiesto niente.
BERNIS: (Spingendo di nuovo i soldi verso di lui) Nessuna domanda è mai
impudica. Solo la pretesa di una risposta può esserlo. Con ciò, vi risponderò.
La curiosità che nutro per questo gentile signore, io la debbo a un’altra donna
che pare se ne sia incapriccata in ragione del capriccio che prova per lui una
femmina di cui nulla sapevo prima di stanotte, e che ora, grazie a voi, mi è
divenuta quasi familiare. Una linea tonda che ancora non riesce a farsi
cerchio. Ma intravedo un bel gioco. Comprennez-vous?...
PIETRO: No, poco. Forse sono meno triplo di quanto pensiate.
BERNIS: Un gioco a cui desidero prender parte. E ora, perciò, i vostri favori
mi servono.
PIETRO: Ma di quali maneggi mi ritenete capace?... E sull’onore, poi, di una
poverina che è sangue del mio sangue!...
BERNIS: Siate all’altezza di voi stesso. Qui tutto si fa con garbo. Chiedo
favori, rendo favori. O non cercavate qualcuno che scontasse le vostre cambiali
per quella partita di vino mai pagata, e per mille altri debiti di cui potrei
stendervi la lista?... A Rialto le cose si sanno. Bene, eccomi. Io salvo i
vostri affari, voi consentite... a me i miei cerchi. Poi, a vostro conforto, è
la mia donna che mi preme. E, più ancora, i suoi possibili spassi con uno che
per adesso, come spasso, ha più vostra sorella che non lei. Per spiare ho
bisogno d’una spia. Se non sarete voi, sarà un altro. Alors?... Monsieur, à
vous de me repondre.
(Una pausa)
PIETRO: D’accordo. Volete scendere al mio livello? D’accordo. Vi dico
‘benvenuto’ ed eccovi le cambiali.
(E, cavate di tasca alcune cedole, le spinge verso Bernis)
BERNIS: Voilà. Ora... prima di farvi mio confidente, vi tocca farmi da confessore.
Al convento di Sant’Angelo a Murano, dove la vostra... com’elle s’appelle?...
Caterina?
PIETRO: Caterina, Caterina.
BERNIS: Caterina. Dove la vostra Caterina è stata mandata per fuggire le
seduzioni di quel libertino...
PIETRO: Cui mi onoro di essere amico. Oltre che cognato.
BERNIS: E come tale mi servite. Nello stesso luogo, abita una mia protetta, la
purezza del cui spirito è tale che, chi la vedesse, cadrebbe in grave errore
dicendo: nel suo aspetto ha il meglio. Ma un errore che possono commettere in
pochi. E’ in clausura. A me è concesso vederla per trucchi che non sto a dirvi.
Bien. L’amicizia che ci lega si fonda sulla schiettezza più assoluta. (Tirando
fuori delle lettere) Qui le prove. M’ha scritto di aver visto un gentiluomo
presentarsi tra i fedeli all’ora della messa. Una svelta indagine le ha fatto
capire che non era lì per i santi uffizi ma per qualcuna che, dietro le grate,
si aspetta quotidianamente di vederlo apparire, e sapete chi dico.
PIETRO: Un gioco che, al momento, non vi riguarda affatto.
BERNIS: Auguratevi di sì. Le sorti delle vostre cambiali dipendono da questo.
Leggete.
(Pietro prende i foglietti. Li dispiega)
(Altrove compare Maddalena, in abiti da monaca, di spalle presso una grata. E’
lei a mormorare il contenuto della lettera)
MADDALENA: Mio caro amico, come non dirvelo?... Ho novità. Una giovane ospite
delle nostre mura, qui tradotta dall’intransigenza di un padre che vuol
preservarne le virtù per il sacro imeneo, vive una ben curiosa storia con un
cavaliere veneziano che non capisco chi sia. Questo bel tipo fa della nostra
cappella la sua piazza d’appuntamenti venendo ogni giorno a vestire, sacrilego,
i panni del finto devoto per consentire alla sua amata di poterlo vedere e per
dirle: ‘tu sei sempre con me. Io son sempre per te’. Un intrigo che, nelle noie
di qui, mi fa da passatempo. Vorrei saperne di più. Mi aiuterai?
BERNIS: E sapere chi sia, è stato il più facile. M’è bastato chiedere notizie
della sola nel convento che non fosse monaca. Da quella a voi, e da voi a
lui.
PIETRO: Ma che mia sorella sia stata richiesta dal signor Casanova è risaputo.
La vostra amica ve l’ha anche scritto: è nostro padre che l’ha rinchiusa per
levarglielo di testa.
BERNIS: Difatti qui abbiamo altre lettere molto più recenti. La cosa è
progredita, e di tanto. A’ vous.
(E Pietro scorre una seconda lettera)
MADDALENA: E’ tempo che la faccenda abbia evoluzioni, altrimenti, amor mio,
rischiamo di stancarcene presto e non ne parleremmo più. Guai. Ricorda quanto
ci ha divertito farne alimento dei nostri convegni, e di certi caroselli che
sennò tu mai avresti fantasticato, né io consentito. E poiché vedo che non è
bastato alluderlo, te lo chiedo: fammi fare, se puoi, la conoscenza di questo
grazioso signor Tartufo tutto palpiti. Anche perché, e sono così sicura di
solleticarti al meglio, è soprattutto questa cara giovane a interessarmi per la
squisitezza del suo sentimento, pari solo alle sue molte grazie. Sicché, in
breve, m’interessa l’affetto di lei per lui, nutrendo io stessa molto affetto
per lei. E sta’ sicuro che tutto ciò non diminuisce l’affetto che provo per te.
Ah, mon ami... è miracoloso di quante biacche possa imbellettarsi quel demone
che, avari, battezzammo con un solo nome: amore.
(Buio su Maddalena)
PIETRO: Non avete davvero reticenze a mettervi in mutande con chicchessìa.
BERNIS: (Riprendendo le lettere) Molto poche con quelli che tengo in pugno.
PIETRO: Oi, non sono cosa vostra!
BERNIS: Ma sono cose mie le cose vostre... perciò, al passo. Ho fatto,
stanotte, affidamento su di voi per avere un primo approccio con questo
galantuomo usando l’esca di un tavolo in funzione, ma voi sapevate che non
sarebbe venuto. Perché?
PIETRO: Perché lo so a Murano, ecco perché. Perché mia sorella non è in buona
salute. E perché, lui dice, non vuole allontanarsi da dove la sa inchiavardata.
Così che dice.
BERNIS: Troppo poco malizioso.
PIETRO: Mi spiace, ma è la realtà che, spesso, pecca di poco sale.
BERNIS: Io temo, invece, che la mia amica mi abbia taciuto qualcosa, e che stanotte
sia stata lei a offrirgli dell’altro che non fosse una partita a zecchinetta.
PIETRO: In buona sostanza, mi mettete a stipendio della vostra gelosia.
BERNIS: Non del tipo che pensate voi. Gelosia, semmai, per un girotondo da cui
mi si tiene al bando.
PIETRO: E non vi sembra che, nel caso, io sia proprio l’ultimo a cui Giacomo
farebbe confidenze che potrei riferire a mia sorella?
BERNIS: Sarà vostro mestiere far dimeticare chi siete. Ne avete l’arte.
PIETRO: Mi lusingate.
BERNIS: (Alzandosi) Ho un’inclinazione particolare per gli individui
corruttibili. Gli debbo i tutti i miei successi.
PIETRO: Corrutibile, io?...
BERNIS: E della razza che preferisco.
PIETRO: Ah, bella! Corruttibile perché mi trovate nel bisogno?...
BERNIS: (Calzando la maschera) Corruttibile perché è di me che avete bisogno
voi.
PIETRO: E se invece avessi a cuore il matrimonio di Caterina con Messere?...
Non può essere che anche lui mi sia compiacente e che si adoperi per avermi al
suo servizio?
BERNIS: Fosse così, le cambiali che mi avete dato non le avreste avute voi, ma
lui per conto vostro. Sbaglio?...
(Pietro non replica)
BERNIS: Non credo.
(Ed esce. Pietro lascia passare alcuni secondi, poi si accosta alla soglia per
verificare che Bernis si sia allontanato. Quindi, va a una porticina interna e
vi bussa contro)
PIETRO: Giacomo... è andato via. Puoi uscire.
(La porta si apre e ne vien fuori Giacomo Casanova. Ventottenne)
GIACOMO: (Cavandosi di tasca delle monete e mettendole sul tavolo) Una notte
che ti ricorderai a lungo. Pagato da una parte e dall’altra. E senza neanche
aver fatto torti a nessuno. Gli hai dato quel che voleva, e a me altrettanto.
PIETRO: A te senz’altro. E questi soldi non c’entrano un accidente. Te li ho
chiesti da tempo, li prendo come un prestito. Se ora fai la bocca storta perché
ho voluto avvertirti che qualcuno ti veniva appresso...
GIACOMO: Un grazie non ti basta? Quanti ne vuoi?
PIETRO: Nessuno. Solo un po’ di confidenza. Qua sono l’unico che giochi a carte
scoperte. Beh, l’hai sentito: vuole notizie. Dimmelo tu quelle che gli posso
dare.
GIACOMO: Una che per lui non avrà gusto: che la sua amica io non so chi
sia.
PIETRO: Nel senso che non t’ha mandato un lettera, un messaggio, un
biglietto?... Davvero niente?
GIACOMO: Che è? Ti sei già messo al lavoro?
PIETRO: Domando.
GIACOMO: Io a Murano ci vado per Caterina.
PIETRO: Bò bò bò.
GIACOMO: Che mugugni?
PIETRO: Dico: facile. Sai a chi parli, e può essere ti faccia comodo che vada a
confermarle le tue promesse.
(Giacomo tira fuori un coltello e, con un gesto improvviso, va a puntarlo
contro la gola dell’altro)
GIACOMO: Ha detto bene l’amico tuo: sei doppio e triplo!
PIETRO: Ho piacere. Vedo che si sentiva bene di lì dentro.
GIACOMO: Sta’ al tuo posto, bava della terra!... Tua sorella ti rende immune,
ma guai a forzare le leggi a cui mi sottometto: mano e cuore potrebbero
decidersi di andare e uno di qua e uno di là, e allora ‘Ciao, Pietro’ una volta
per tutte!
PIETRO: E questo sarebbe il tuo omaggio alla mia fedeltà!?
GIACOMO: Uno come te, più lo s’impala, più fa quel che deve.
PIETRO: Quel che devo è quel che voglio!
(Giacomo lo scaraventa per terra e si mette a tempestarlo a calci)
GIACOMO: E non t’azzardare a parlare da uomo libero! Non lo sei! Non lo sei!
Non lo sei!
PIETRO: (Piagnucoloso) Amico mio... amico mio... ma più che avvertirti di un
pericolo, che dovevo fare?...
GIACOMO: Giustappunto la parte penosa che hai fatto. Faremmo meglio a scordarci
l’un dell’altro, e che sia per sempre. Non sono io quello che ha le tue cambiali.
Sta’ con chi ti serve. Non sono io, quello. Va’! Va’!
PIETRO: Ma Giacomo, perché?... Ragiona!... Basterà concertare cosa dirgli, e
potremmo recuperare un bel po’ di zecchini. Poi, metà io e metà tu... sono
lì... a portata di mano.
GIACOMO: Fila via!
PIETRO: Per una volta che possiamo combinare un buon affare insieme...
GIACOMO: T’ho detto: fila via!
(Pietro raccatta i suoi soldi e va. Giacomo cerca di recuperare un po’ di
tranquillità imponendosi un respiro regolare)
GIACOMO: Bene, è fatta. Ho un nemico di più. Adesso, perlomeno, è guerra
dichiarata. Meglio! Non è cosa in cui quel ramarro sappia destreggiarsi. L’odio
manifesto non è il suo pane. Tipi del genere hanno armi infallibili solo con
gli amici. Un avversario che esca allo scoperto, è la sciagura peggiore che
possa capitargli. (Tirando fuori da una tasca una busta sigillata) E qui,
adesso, sta per iniziare qualcosa che pretende il segreto più assoluto. Hai
avuto l’occhio lungo, caro il mio nobile becco. E che tu ancora non lo sia, conta
poco innanzi al fatto che nelle stelle tutto è già mirabilmente iscritto. La
tua manza ha qualcosa da dirmi. Dubito sia d’altre il biglietto che una suora
m’ha passato in sagrestia. (Tirando fuori un’altra lettera) Questa invece non
mi mette dubbi affatto. Ah, il mio amore!... A te di parlarmi per
prima!...
(E apre la seconda busta)
(Luce su Caterina. E’ meno che ventenne. Veste abiti semplici, ma del secolo)
CATERINA: Sposo mio... muovo la penna alla fiamma d’un lumino che, di
quest’ora, mi sarebbe vietato tenere acceso. Mio fratello, lo so, insiste a
importunarti con pretese che non avrebbero ragion d’essere se non fosse per
l’affetto che ti lega a me. Ah, che insolente!... Lo amo come natura pretende,
ma ciò non m’impedisce di pensarne tutto il male che ne pensi tu, e che solo
per compiacenza nei miei confronti hai il pudore di non dirmi. Anche per
questo, grazie e mille baci in più.
GIACOMO: (Scostando la lettera) No, fermo!... Con che spirito, sciagurato, ti
delizi al distillato di tanto miele?... Ecco la più perfetta delle mogli che ti
si conferma tua. Anche la malagrazia di suo fratello, lei sa convertirla in una
prova della sua intelligenza tutta dedita a te, e a dimostrarti quanto sappia
chi sei e cosa pensi e che vuoi. Donna benedetta che si è fatta il talamo nelle
mie carni!... (Stringendosi con la mano tra le gambe) La tua soavità mi scarica
sangue laddove è più indecente sentirlo battere a colpi di bombarda. Ma sarà
per te, o per quell’altra busta ancora chiusa?... (E prende l’altra busta) A
quanto pare, ho due maniere per esser debole: da debole... o da debolissimo. Da
debole se la straccio, da debolissimo se la apro. Debole se mi nego anche solo
di sapere; debolissimo se invece non mi tattengo, la leggo, e cedo. Però è solo
da debolissimo che potrò dimostrarmi poi fortissimo stracciandola dopo averla
letta. Allora?... Deciditi in fretta, o torna a colei che più di ogni altra ti
merita, pur meritando un uomo assai meno incostante di te. (Infine, apre anche
l’altra lettera. Leggendo...) “Gentile signore, una monaca che da due mesi e
mezzo vi vede ogni domenica nella chiesa del suo convento, desidera
conoscervi.”
(Luce su Maddalena)
MADDALENA: Gentile signore, una monaca che da due mesi e mezzo vi vede ogni
domenica nella chiesa del suo convento, desidera conoscervi.
GIACOMO: (Stringendosi con più forza tra le gambe) Sì, sei tu, sei tu che mi
chiami. E’ questo il foglio che sa di cosce, non quello! Questo!
MADDALENA: (Con più forza) Gentile signore, una monaca che da due mesi e mezzo
vi vede ogni domenica nella chiesa del suo convento, desidera conoscervi.
GIACOMO: E che miracolo è? A rileggerti cambi di tono. Ti fai pure proterva Se
solo il tuo inchiostro strepita così, che sarà dover fronteggiare il fiato
della tua voce?
MADDALENA: Vi parrà forse ardito, indecente...
GIACOMO: Indecente!... Come il sostegno di ogni mio pensiero.
MADDALENA: ...chiedervi quel che sto per chiedervi. Nulla, se non vorrete, che
vi coinvolga. Sono io, piuttosto, che desidero mettermi in gioco, come una
carta del vostro mazzo che aneli ad essere rovesciata sul tavolo, squadernata e
scoperta. Ma dunque... so di voi, signore, quanto mi basta a qualificarvi: il
vostro apetto. Raramente ne ho apprezzati di più esaurienti a definire un uomo.
Io già vi conosco. La mia preghiera, piuttosto, è un’altra: farmi da voi
conoscere.
(Giacomo allontana da sé la lettera mettendola affianco di quella già sul
tavolo)
GIACOMO: Nulla di grave all’apparenza, perciò gravissimo. Mi chiamate a danze,
signora bella... attenzione, sono un ottimo ballerino. (Rirendendo la prima
lettera che ha aperto) Quello che con te, invece, non voglio essere. Ti ho
promesso tutto di me, e non mi va di togliertelo. Che il mio buon angelo mi
aiuti a serbarti sempre come la mia prediletta. Sù, forza, convincimi!
CATERINA: Ho sparso sangue per te sul lettuccio di questa cameretta, ma tutto è
oliato a dovere e la vigilanza è molto blanda. Posso consentirmi di soffrire
senza temere di essere interrogata circa i miei pallori o le mie lacrime, o
circa quant’altro ancora esprima, nei modi che il corpo conosce, il mio essere
separata da te. Due sole cose vorrei ripeterti all’infinito: t’amo, e
aspettami.
GIACOMO: Ahiahi, lucherino mio! Non c’è nulla che, ripetuto all’infinito, non
finisca.
CATERINA: Io, qui, non ho altro pensiero che tenermi bella per te.
(Buio su Caterina)
GIACOMO: E tu bella lo sei!... Ma la tua bellezza ha un difetto: che io già la
conosco. (Andando all’altra lettera) Questa, al contrario, no! Sentiamo,
allora, che dice. Lo faccio per te: togliamo mistero a chi ha osato sfidarti.
(E legge)
MADDALENA: La mia proposta è semplice.
GIACOMO: La proposta non dubito, dubito che lo siate voi.
MADDALENA: Venite al convento un’altra volta ancora, ma non quando c’è messa.
Chiedete di far scendere al parlatorio una monaca che risponde al nome di Suor
Agnese. Non sono io, ma verrò io. Vi spiego. Questa monaca è un’anziana
professa che da tempo, per la gotta, è stata ricoverata altrove. E’ a me che
tocca di ricevere visite a suo nome. Direte, se richiesto, che siete suo
nipote. Quando sarò lì, se non vorrete parlarmi vi chiedo solo: fingete di
farlo. Vi sarà chi, pur senza diritto, si metterà a spiarci. Qui è la norma.
Nient’altro. Il mio vedervi o no, varrà come risposta.
(Buio su Maddalena. Giacomo intasca le due lettere)
GIACOMO: Una tessitrice provetta. Ma la trama mi piace. Mi si chiede poco, e
potrei averne molto. Non c’è bisogno di essere un sensuale per consentire
all’invito. Dovrei piuttosto essere un vigliacco. Mai stato, e dunque?... Per
non essere vigliacco, è doveroso, Giacomo, che tu ti faccia debolissimo. Non ti
mancheranno poi i modi per importi d’essere quel che hai giurato d’essere: un
marito devoto. Sposato in nozze profane, ma sposato. E sia... andiamo, dunque,
a informarci su come procede la gotta di nostra zia.
(Ed esce)
SCENA II
(Nel convento. Due letti. Uno è vuoto. Sull’altro sta sdraiata Caterina. In
piedi, presso la soglia, Maddalena. Vedendola apparire, Caterina si solleva a
sedere)
MADDALENA: Saremo compagne per alcuni giorni. Spero non ti dispiaccia. Ti
toccherebbe altrimenti rimanere sola.
CATERINA: Ma la mia conversa?
MADDALENA: Va via. Le è stato consentito di avvicinarsi alla sua famiglia che
abita a Padova.
(Caterina dà l’impressione che le manchi il respiro)
MADDALENA: Sembri più contrariata che stupita.
CATERINA: E’ che vengo a saperlo così all’improvviso...
MADDALENA: Perciò non mi avrebbe meravigliato il tuo stupore.
CATERINA: Una cosa e l’altra, Madre santa. Eravamo diventate ottime
amiche.
MADDALENA: Facile affezionarsi quando l’alternativa è lo star sole.
CATERINA: Ci si può affezionare anche a se stessi, quando l’alternitiva è una
compagnia difficile.
MADDALENA: Paura di me?
CATERINA: No, di me.
MADDALENA: Di te per cosa?
CATERINA: Parlo poco. Mi si può perciò fraintedere trovandomi poco gentile.
MADDALENA: E la tua conversa ti aveva capita?
CATERINA: Di più. Lei diceva di apprezzarmi.
MADDALENA: Come molte qui dentro.
CATERINA: Ma se quasi nessuna sa chi sono?...
MADDALENA: Nulla è più percepibile di un’ombra all’occhio di un gatto. (Una
pausa) Sù, Caterina, non far finta di non capire. Sei qui già da qualche mese,
e non l’hai fiutato abbastanza il posto dove ti trovi?... Resta fra noi solo un
anno ancora, e vedrai che pure i tuoi occhi si faranno sottili come quelli di
un gatto.
CATERINA: Chi vi ha scelto per sostituire la mia amica?
MADDALENA: Un’altra amica che vorrebbe esserti più amica di quanto lo fosse
lei.
CATERINA: Voi?
MADDALENA: Avevo il potere di chiederlo, e anche quello di ottenerlo.
CATERINA: Un desiderio insensato.
MADDALENA: Per te, non per me.
CATERINA: (Alzandosi per scostarsi) Rispetto la vostra autorità, ma dei miei
sentimenti decido io! Con quale diritto mi proponete di amarvi? Seducetemi,
prima. O persuadetemi, almeno!
MADDALENA: Che dovrei fare? Improvvisare un’apologia che mi accresca nel tuo
rispetto?!... E come potrei, senza apparirti più presuntuosa che degna?...
CATERINA: Perciò diffido, perché è difficile.
MADDALENA: Come ringhi!
CATERINA: Non vi conosco. Questo è tutto.
MADDALENA: E la tua amica?... Lei sì, ti conosceva?...
CATERINA: Moltissimo, ve l’ho detto!
MADDALENA: Non è vero, e lo sai.
CATERINA: Le ho aperto il mio cuore. Mi conosceva, sì.
MADDALENA: E se io non avessi bisogno di un simile privelgio per dimostrarti
che ti conosco meglio di lei?... (Silenzio) E che non ho bisogno di alcuna
lusinga per compiacere le tue esigenze?...
CATERINA: Non ho esigenze.
MADDALENA: La tua conversa è stata trovata con dieci zecchini addosso. Una
somma che non poteva né doveva possedere. La cosa ha avuto non piccola parte
nel suo traferimento. Una pratica che non è passata per le mie mani, ma nella
quale mi son presa la briga di interferire.
CATERINA: Va bene, sì... erano miei. Voleva farsi imbastire un velo nuovo, e
allora...
MADDALENA: Non ti sto chiedendo altrettanto.
(Caterina non capisce. E’ interdetta)
MADDALENA: La malattia che ci ha fatto stare tanto in pensiero per te, e che ti
ha tenuta inchiodata su questo letto per quasi un mese... no, non
impallidire!... E’ una donna che ti parla: una donna più donna di quanto non lo
fosse quella sciagurata che ha avuto bisogno delle tue confidenze per capire di
che si trattasse: io no. Lei, per tacere, t’ha chiesto un velo. Io nulla.
CATERINA: Fosse così, non ne parlereste affatto.
MADDALENA: Volevi essere convinta. Ci sto provando.
(Maddalena va al letto. Ne rovescia le coperte. Passa la mano a carezzare le
lenzuola. Rovescia anche quelle)
CATERINA: Dio mio, no!
MADDALENA: I materassi hanno più memoria delle lenzuola. Qui c’è ancora sangue.
E non è di mestruo. Seguivo le cronache delle tue febbri compiangendoti. Avevo
capito, e pregavo per te... ‘Aiutala, buon Gesù!... Qualche scellerato l’ha
abbandonata a un destino che il più forte degli uomini non saprebbe
sopportare.’
CATERINA: Lo scellerato che dite è lì fuori a consumarsi più di me!
MADDALENA: Non m’interessa trascinarlo nei nostri discorsi.
CATERINA: Interessa a me difenderlo.
MADDALENA: Basta, non ho bisogno d’altro: è già assolto. Ma è per lui che sei
entrata qui dentro incinta.
(Caterina non replica. Maddalena le si acosta. Nota un medaglione al collo di
lei)
MADDALENA: La tua patrona?... (Caterina annuisce) Che miniatura deliziosa!...
Un regalo del tuo amante?... (L’altra fa di no col capo) Ecco che di nuovo mi
fai meno donna di quanto lo sia tu. Li conosco questi ritratti. Sono fatti per
contenerne altri.
CATERINA: Se dite di volermi bene, perché mi interrogate così?
MADDALENA: Voglio dimostrarti che non mi servono confidenze per esserti vicina.
CATERINA: Mi imponete una vicinanza che piace solo a voi.
MADDALENA: Peccato. Ho fallito. Riferirò di aver cambiato idea e che ti mandino
qualcun’altra. Però, dal momento che mi hai fatto il torto di vedermi come una
ricattatrice, voglio esserlo.
CATERINA: Inutile, non ho più niente.
MADDALENA: Oh, sì. Vuoi sederti, per cortesia...
(Caterina obbedisce)
MADDALENA: Il pegno che pretendo, è un omaggio da tributare al tuo tabernacolo
ferito. (E le si inginocchia davanti) Te lo portano le labbra che hanno tanto
pregato per lui. Se vuoi affliggerle, riscusale con un cenno della mano sul
capo.
(Così dicendo, solleva le gonne di Caterina e si spinge col volto tra le gambe
di lei, che subito sta per bloccarla spingendole indietro la testa, ma la mano
si ferma indecisa a mezz’aria, sinché gli occhi le si socchiudono
abbandonandosi al piacere di quel bacio. Così ancora sta, quando Maddalena si
risolleva in piedi)
MADDALENA: Non sono più lì, Caterina. Guardami.
CATERINA: (Riaprendo gli occhi e sollevando il viso) Quel che vi dovevo, è
saldato.
MADDALENA: E’ stato poi tanto più grave che offrire un velo da suora?
CATERINA: Mi domando quale senso abbia il vostro, di velo.
MADDALENA: Vestirmi.
CATERINA: Mi costringete a immaginarvi in abiti diversi.
MADDALENA: Ne ho.
CATERINA: E per farne che?
MADDALENA: Per indossarli fuori di qui.
CATERINA: Parlate come se anche voi non siate soggetta alle regole.
MADDALENA: Pur io ho i miei zecchini da spendere.
CATERINA: E avete anche un amico?
MADDALENA: Sì. E tu, a quanto vedo, dei libri.
CATERINA: Non sono una monaca. Basta che siano consentiti.
MADDALENA: Ti piacerebbe leggerne degli altri?
CATERINA: Me li vieterebbero.
MADDALENA: E tu non far capire di che si tratta. Fossero in francese, basterebbe
dire a chi te li compra di cambiare la rilegatura con quella, ad esempio, della
‘Vita aurea’, e nessuna si proverebbe a censurarteli.
CATERINA: Non potrei leggerli. Io il francese non lo conosco.
MADDALENA: Io sì. Vuoi impararlo?
CATERINA: Ma ci vorrà molto!
MADDALENA: Dormissi con te, avremmo anche la notte.
(E fa per andare)
CATERINA: Reverenda Madre!... Se non avete bisogno che vi si sveli nulla per
sapere tutto... anche gli zechini della mia conversa sapevate dove fossero?
MADDALENA: Le ho solo fatto sapere che sapevo.
CATERINA: E perché?... Per farmi sapere che vi piaccio?
MADDALENA: Tesoro caro... finalmente hai capito che la nostra lingua è la
stessa.
(Caterina è scossa da un moto di risa)
CATERINA: Fra tutte le tue allusioni, questa è la più maliziosa di tutte.
(Maddalena fa di nuovo andare. Caterina ha uno slancio)
CATERINA: Dove vai?
MADDALENA: A sentire che vogliono. Mi chiamano.
(Ed esce)
CATERINA: Ma torni?...
(Nessuna risposta. Caterina appare eccitata e incapace di ristare ferma. Va al
suo letto. Di sotto il materasso tira fuori foglio e penna e inizia a scrivere)
CATERINA: Amore amore amore, vita mia e sposo mio esemplare... (Cercando di
raccapezzarsi) Ma dovrò poi dirti tutto?... (Risolvendosi) Sì, tutto! Tutto!...
Non è di un amante che debbo parlare al mio amante, ma di un bacio che nessun
altro, se non lui, può capire che sia e quanto valga. (E scrive) L’omaggio di
cui sto per raccontarti... e che oggi ho ricevuto nelle più strane
circostanze... prendilo per quel che è: un omaggio a entrambi. A ciò che più tu
ami, e a ciò che più ti ama.
SCENA III
(Parlatorio del convento. Giacomo, ammantellato, è in attesa. Luce oltre una
grata. Dietro l’ampio disegno del ferro traforato, compare, a figura intera,
Maddalena. Lui si volta si scatto a guardarla. Un silenzio. Infine...)
MADDALENA: Siete voi che avete chiesto di suor Agnese?...
(Giacomo le si avvicina)
MADDALENA: La mia povera sorella non può incontrarvi. Neanche è più da noi. Ma
se avete un messaggio da trasmetterle, potete dire a me.
(Giacomo tace)
MADDALENA: Vi prego. Vi sembro tanto inaffidabile?... Non esponetemi a un
simile giudizio dinanzi a chi, forse, ci sta guardando.
GIACOMO: (Piano) E ascoltando?
MADDALENA: Voi siete, immagino, suo nipote.
GIACOMO: Appunto. E son cose private.
MADDALENA: Vostra zia mi ha dato la delega per riceverne di privatissime.
GIACOMO: Delega a voce?
MADDALENA: (Passandogli un foglio al di là della grata) Vi fa onore essere così
sospettoso. E’ nostro costume tenere in conto la prudenza come la più virile
delle virtù. Controllate.
GIACOMO: Mi auguro di essere tanto prudente quanto basta a compiacervi.
MADDALENA: (In un soffio) Amate sedurre coi doppi sensi?
GIACOMO: (c.s.) Non sono qui per sedurre, ma per essere sedotto.
MADDALENA: (Forte) Controllate la delega e ridatemela.
(Giacomo dispiega il biglietto e ne legge il contenuto. Poi, restituendo...)
GIACOMO: Impeccabile. Ho preso nota.
MADDALENA: Anche dell’indirizzo dove incontrarvi con vostra zia?
GIACOMO: Di quello soprattutto.
MADDALENA: Direte a lei, o preferite farlo adesso con me?
GIACOMO: Che da dire ci sarebbero molte cose. Farlo qui, potrebbe essere
inopportuno.
MADDALENA: Dunque, nient’altro?
GIACOMO: Non per sgarbo, signora... ma la vostra tunica, ben più di questa
grata, fa da freno a parole che potrebbero suonare azzardate. E nonostante la
delega.
MADDALENA: Non siate maldestro nel suscitare curiosità che non è cortese
lasciare inappagate.
GIACOMO: Mi volete più franco?... Non son venuto qui per un saluto, ma per un
certo affare che in famiglia ci sta molto a cuore. Con mia zia - santa donna,
non dico di no - abbiamo purtroppo dei contenziosi in atto per via di un
certo... di un certo suo pupillo alquanto ribelle che noi non sappiamo come
tenere a bada. Animo rozzo e basso che vuole sempre averla vinta, e duro...
duro su tutto e con la testa perennemente in fiamme.
MADDALENA: Me ne ha parlato. Un irrequieto.
GIACOMO: In particolare da quando ha trovato chi gli dà manforte.
MADDALENA: Non lo maltrattate. Mi risulta che spesso vi abbia anche dato motivi
di grande orgoglio.
GIACOMO: Ne faccio colpa, difatti, a chi ha voluto solleticarlo nelle sue
debolezze.
MADDALENA: Che vostra zia proclama essere dei pregi.
GIACOMO: Dio vi scampi dal verificarlo. I suoi appetiti sono insaziabili.
MADDALENA: Non provocate il mio spirito di carità. Potrei chiedervi di
incontrarlo per tentare di farlo rinsavire.
GIACOMO: Da quel che m’ispirate, ammetto che colgo una speranza.
MADDALENA: Se pensate che possa fare qualcosa per lui...
GIACOMO: Più che qualcosa! Una carezza del vostro zelo, e sarebbe fatta. Ha un
tale bisogno di sfogare tutti i cattivi umori che si tiene dentro!
MADDALENA: Serva vostra.
GIACOMO: Ah, potervelo rimettere tra le mani!
MADDALENA: Una carezza non sarà poca cosa?
GIACOMO: Per ammansirlo, no. Ma per curarlo, forse, ci vorrà dell’altro.
MADDALENA: E m’immaginate all’altezza?
GIACOMO: Assolutamente. Ma non sta solo a me decidere. E’ bene che mi rechi...
ah, suggeritemi voi quando!
MADDALENA: Dopodomani sera.
GIACOMO: E’ bene, dunque, che mi rechi dopodomani sera, da mia zia,
all’indirizzo che mi avete dato. Per quanto questo sciagurato sia il mio
tormento, resta innanzitutto creatura sua.
MADDALENA: Solamente sua?
GIACOMO: Totalmente sua. Per sempre sua.
MADDALENA: (Piano) Dio vi preservi dallo smettere di essere bugiardo! La
menzogna vi si addice più della vostra cipria.
(Giacomo va. Buio sulla grata)
SCENA IV
(Presso la laguna. Una figura intabarrata spia oltre l’angolo di un palazzo. E’
Pietro. Fa segni a qualcun altro che possiamo intuire nascosto poco lontano,
oltre un spigolo alle spalle di Pietro)
PIETRO: Eccolo. La gondola ha messo fune adesso. Tu sta’ ancora lì e ricorda...
quando arriva me ne vado, prendi la busta che ti passo e gli dici come ti ho
detto, gliela butti ai piedi e fili via. Chiaro?... Ora non ti muovere,
aspetta. Sono io che lo so riconoscere. (Si sporge oltre il suo spigolo per
controllare meglio) Ma che fa?... Perché non viene?... Mi sa che ha svoltato, non
lo vedo più. (Ritraendosi) C’è un’altra gondola che attracca, la sua è
ripartita. (Più tra sé) Lo sapevo! Con quella faina non mi ci dovevo mettere.
(All’altro, spingendo la voce) Tienti nascosto, stà lì... ci penso io a
vedere!... (Cautamente, si sporge di nuovo) Sì, rieccolo!... Mi sa che c’è...
parla con qualcuno... no, diavolo, quello mica è lui!... (In un ringhio
all’altro) Sta’ dentro! Sta’ dentro! E’ uno che non c’entra. Quand’è passato te
lo dico.
(Così dicendo, Pietro si ritrae tenendosi schiacciato contro il muro. Nel breve
tempo dell’attesa, tira fuori di sotto il mantello un involto. Controlla che
sia tutto a posto e lo ricaccia via. Ancora alcuni istanti, e da oltre lo
spigolo di Pietro spunta una maschera che supera l’uomo a passo svelto. Pietro
accenna un saluto irrigidito che neanche vien colto. La maschera
scompare)
PIETRO: Rimettiti all’erta, se n’è andato. (E guarda) Niente... non c’è più
nessuno. Ma non può essere, l’ho visto. (Si sporge di più) Canchero d’un bue,
se pensi di farmi passare la voglia!...
(Dal vicolo in cui si presume fosse nascosto l’altro, si ode un urlo)
PIETRO: Oi! Che è?...
(E dal buio oltre lo spigolo verso cui si rivolgeva Pietro, compare Giacomo con
la spada sguainata e sporca di sangue)
GIACOMO: Se ne ho per uno, ne ho per molti, canaglia! (E chiudendogli la via di
fuga) Che ti piace di più?... Il ferro o l’acqua?... Deciditi!... O avanti, o
indietro!... Uno, t’infilzi; due, t’affoghi!
(Ma l’altro, insistendo a tenersi premuto il manto sulla faccia, annaspa
attorno, brandendo goffamente un pugnale)
GIACOMO: Col tuo amico ci parlavi. Cos’è?... Hai la voce che ti va a
singhiozzo?
(L’uomo, per levarsi dai guai, caccia fuori il suo involto di sotto il manto e
lo getta lontano potendo così scappare per la direzione opposta. Giacomo, dopo
un attimo di indecisione, rinuncia all’inseguimento e va a recuperare quel che
l’altro ha buttato via. Svolge la stoffa che conteneva un fascicolo di carte
legate strette. Giacomo le controlla.
Nel frattempo, la maschera che si era allontanata, torna sui propri passi.
Capiamo che è Bernis. Anch’egli ha una lama sguainata)
BERNIS: Un agguato, Monsieur?...
GIACOMO: (Puntandogli la spada contro) Fermo là!
BERNIS: Ne eravate forse voi l’oggetto?
GIACOMO: La stessa domanda su cui mi stavo interrogando io.
BERNIS: (Rinfoderando) Abbassate l’arma. Sono accorso per starvi affianco, non
per darvi contro.
(Dopo una pausa, Giacomo rinfodera a sua volta)
GIACOMO: Debitore!
BERNIS: Se posso aggiungere qualche indizio alla vostra indagine, questi
galantuomini non erano qui per rapina. Io son passato prima di voi ma mi hanno
lasciato andare.
GIACOMO: E perciò non capisco. Quello che è scappato m’ha imbrogliato
gettandomi questo straccio in mezzo ai piedi.
BERNIS: Vuol dir qualcosa?
GIACOMO: Molto. C’erano cose mie, e le aveva lui.
BERNIS: Chi ha rubato e torna dal derubato, capita spesso che lo faccia per
ricattare. Immagino che ve le abbiano riportate per dirvi che ne hanno delle
altre. Può essere?
GIACOMO: Sì, son cose gravi.
BERNIS: (Buttando l’occhio nel vicolo) Più grave, comunque, è quel che vedo lì:
un uomo in terra. Opera vostra?
GIACOMO: Per difendermi, l’avete visto!
BERNIS: Siete senza maschera, non vi conviene. Né a me di star con voi se avete
in testa di rimanere qui.
GIACOMO: Venite da Murano?
BERNIS: Sì, e lo sapete. I nostri gondolieri hanno vogato fianco a fianco per
quasi tutta la traversata. Allons nous!... Vite! Vite!
(E i due si allontanano)
SCENA V
(Al convento. Caterina recita una sua lettera. Maddalena è altrove, e non
sembra che possa ascoltarla)
CATERINA: E’ giorno. Un inutile giorno. Oggi non ti ho visto. Stavo, come
sempre, ansiosa alla grata e, per la prima volta dacché il nostro amore si ciba
di queste misere occasioni, fra i tanti che c’erano, tu non c’eri. Perché,
Giacomo? Stai male? Tutto, ma questo no. Che tu ti sia scordato della tua
sposina è il danno meno grave fra i mille che temo. Io conto nulla innanzi a
te. Meglio un mio dolore che una tua sventura. Dimmi che sono io la colpita, e
griderò ‘Alleluia!’. Mostrati una volta ancora, anche se per dirmi: è l’ultima.
Scrivimi una volta ancora, anche se per dirmi: mai più. Tu m’hai resa debitrice
dal primo istante che m’hai spinto a giurarti ‘sì’. Anche un figlio m’hai dato,
e quel figlio, noi, lo abbiamo avuto. Sì, avuto comunque e mai sepolto!... Non
fremere! Lo dico in pace. Ti sembra un orrido pensiero pensare che le macchie
del mio materasso siano vive, e che siano lui?... Io le carezzo forte forte,
gli do forma e le cullo, come un corpicino destinato a raccontare, negli anni,
il tuo volto, la tua voce, i tuoi gesti. Sono matta?... Ventiquattrore senza di
te, questo il mio male. Ventiquattrore di niente. Ti imploro... corrompi il
vento perché mi urli il tuo: ‘Esisto! Vivo! Respiro!’
(Maddalena viene avanti. Va al piccolo scrittoio collocato fra i due giacigli.
Ne prende una busta chiusa)
MADDALENA: E’ qui la lettera per il tuo cavalier servente?
(Caterina annuisce)
MADDALENA: Spero che tu non ti sia umiliata troppo.
CATERINA: Troverai a chi darla?
MADDALENA: Se il garzone è quello che m’hai indicato, sta’ pure al mio
servizio.
CATERINA: Da chi vai?
MADDALENA: Da chi sai.
CATERINA: Parlami del tuo, di amico.
MADDALENA: No.
CATERINA: Perché?... Io di me ti ho detto tutto.
MADDALENA: Il mio amico non merita che di lui si sappia quello che, invece, è
giusto sapere per elogiare il tuo. Sei capace di farlo talmente bello!...
CATERINA: Lo è.
MADDALENA: L’amante premiato, è il premio di chi lo premia.
CATERINA: Come se i suoi meriti fossero i miei!
MADDALENA: Così è.
CATERINA: E la sua bellezza, allora?... Una maschera che gli faccio io?
MADDALENA: Sei giovane, crescerai. La vita ti dirà di sì.
CATERINA: Sempre a darmi lezioni! Qui non si parla francese.
MADDALENA: Ti mostro solo le cose che vedo.
CATERINA: Ma è stupido! Lo dici pensando a quelle che senti. Quando tornerà, te
lo indicherò. Mi dirai, allora, cos’è meglio. Se quel che vedi, o le mie parole
che te lo descrivono.
MADDALENA: Le tue parole hanno già vinto da tempo. (Le va vicina, la carezza)
Caterina, ma mignonne.... sai cosa mi hai ridotta ad essere? Una donna
invidiosa. Dammi la tua storia, e te la pago a peso d’oro.
CATERINA: E tu, il tuo uomo?... Perché lo ami?
MADDALENA: Perché è gentile.
CATERINA: Come tu lo sei con me?
MADDALENA: La gentilezza di un maschio è sempre una via di mezzo. Quella di una
donna può essere un culmine.
CATERINA: La gentilezza e basta? Non sa darti altro?
MADDALENA: E’ sereno e mi rende serena.
CATERINA: Si dice così del proprio amico quando è vecchio.
MADDALENA: Non è vecchio, ma nemmeno giovane.
CATERINA: E geloso lo è?
MADDALENA: Non quanto vorrei.
(Caterina si risolve a fare qualcosa che le costa fatica: apre il medaglione e
lo mostra all’altra)
CATERINA: Un volto così potrebbe aiutarti a ottenere ciò che desideri?
(Maddalena osserva il ritratto e lo ridà)
MADDALENA: Me lo vuoi cedere?
CATERINA: No, ma ho avuto un pensiero strano. Di metterlo tra noi.
MADDALENA: Tra noi potrebbe significare anche contro di noi.
CATERINA: Allora, contro tutt’e due sarebbe meglio.
MADDALENA: Mi preferisci a lui?
CATERINA: Mi sento offesa.
MADDALENA: Da che?
CATERINA: Dal pensiero che lui possa...
MADDALENA: Dì.
CATERINA: Essere...
MADDALENA: Mio?
CATERINA: No.
MADDALENA: Di un’altra?
CATERINA: Meglio tuo... che morto.
MADDALENA: (Esplodendo in una gran risata) Lo sgozzerò io stessa se non ti farà
resuscitare resuscitando.
CATERINA: Ma meglio morto che di un’altra.
MADDALENA: E allora guai a lui se, volendoti tradire, non saprà scegliere
l’unica che abbia avuto il tuo beneplacito.
(Maddalena esce. Caterina si accovaccia tra le lenzuola con le ginocchia al
mento)
CATERINA: E’ un fanciullo. Deve crescere. E io aspetto. Fa’ quello che devi,
Maddalena, poiché quello che devi è quello che voglio. Io sto qui. Aspetto.
SCENA VI
(Nell’appartamento dell’incontro stabilito con Maddalena. Giacomo è già lì. Si
aggira a osservare libri e oggetti. Tocca, sposta, controlla. Prende un volume,
si versa da bere, si siede su un canapè allungando le gambe. Sfoglia. Compare
Maddalena, elegantissima in abiti borghesi)
MADDALENA: T’avverto, sono qui per non darti niente. Tranne una lettera che non
ho scritto io.
GIACOMO: Mai incontrata una donna tanto svelta a punirmi quanto voi! E per
cosa, signora?
MADDALENA: (Poggiando) Questa è la lettera.
GIACOMO: Per cosa, signora?
MADDALENA: Sei troppo amato. Il che ti deprezza.
GIACOMO: Risultato secco di un’operazione astrusa. Merito di non replicare
nulla?
MADDALENA: Mi ha attratto verso di te una giovane che circola fra noi
propagandando la tua avvenenza. M’ha attratto verso di te il suo essere
prigioniera tua, e a causa tua. Mi ha attratto verso di te il suo averti donato
gli strazi del ventre come un maschio non potrebbe mai. Come tu non potresti mai...
GIACOMO: Dio, che donna querula!
MADDALENA: Sto zitta.
GIACOMO: Per carità, lei, non voi. Querula quanto un cavaliere non lo sarebbe
mai. Come io non saprei mai essere.
MADDALENA: Sicuro. Difatti me l’hai tenuta nascosta.
GIACOMO: Non sta a voi sapere se taccio con me stesso la querimonia dei miei
peccati. Il che, è affar mio.
MADDALENA: Sta di fatto, mio caro Adone...
GIACOMO: Dite, mia cara Minerva!
MADDALENA: ...che la luce del tuo fuoco riflessa da lei, si è oscurata
all’istante quando ho scoperto che questo fiore di elettissima virtù
anteporrebbe la sua vita alla tua. Perciò, dico, ti deprezza. Se ti desidera
perché ti ama, il desiderio che susciti è comprensibile, perde di mistero e si
fa ovvio. Chiunque può amare chiunque. E io... non mi do a chiunque..
GIACOMO: Che sofisma da decrepito Zenone! Non s’adegua per niente a quel che mi
mostrate di voi.
MADDALENA: Ho avuto ottimi maestri.
GIACOMO: Insomma, debbo rammaricarmi dell’amore di una brava giovane come fosse
una referenza degradante.
MADDALENA: Colpa mia. Mi sono impigliata in una rete di richiami di cui ho
perso l’ordine. Sono venuta a chiederti scusa, e a dirti no.
GIACOMO: No?... E’ no?...
MADDALENA: E’ no.
GIACOMO: E m’avreste chiamato a questo convegno per dirmi: non intendo
convenire con voi?...
MADDALENA: Sarà un no paradossale, ma è un no.
GIACOMO: Senza margini?
MADDALENA: Nessuno.
GIACOMO: (Con una reverenza) Madama... la mia mano non osa farlo, ma tutto in
me lo prentende e lo fa. Con il pensiero, vi ho appena schiaffeggiata.
MADDALENA: Ah, sì?
GIACOMO: Eh, sì. Sarà un sì paradossale, ma è un sì.
MADDALENA: Schiaffeggiata... e come?... Con forza?
GIACOMO: La vostra guancia sinistra la vedo di fuoco.
(Lei d’istinto se la carezza)
GIACOMO: Come, peraltro, insistendo a pensare ciò che m’è d’obbligo non fare,
lo saranno tra breve le vostre natiche.
MADDALENA: Tra breve quanto?
GIACOMO Tra breve adesso. Proprio mentre vi sto parlando.
MADDALENA: Strano, non sento niente.
GIACOMO: Lo dite per non darmela vinta, ma vi assicuro che sta
succedendo.
MADDALENA: Sarà che la guancia è nuda, le natiche no.
GIACOMO: Che ne sapete voi delle vostre natiche strapazzate nei pensieri che se
ne stanno prendendo cura?
MADDALENA: Che ne sapete voi delle mie natiche, presuntuoso che non siete
altro?
GIACOMO: Mi date del tu o del voi?
MADDALENA: Che ne sapete?
GIACOMO: Inutile scansarmi: vi sono addosso.
MADDALENA: V’ho chiesto che ne sapete delle mie natiche!
GIACOMO: Ne so quel che vedo, e i miei pensieri le vedono.
MADDALENA: E le percuotono?
GIACOMO: Violentemente.
MADDALENA: Ma ancora adesso?
GIACOMO: Con la correggia dei pantaloni.
MADDALENA: E io?
GIACOMO: Urlate e ridete.
MADDALENA: E voi?
GIACOMO: Quasi vorrei smettere, vedo che vi piace.
MADDALENA: E... lui?
GIACOMO: Chiede permesso e sto per darglielo.
MADDALENA: Concessione vostra, non mia.
GIACOMO: Ogni cortesia è bandita. Sei entrata per mettermi in scacco e ti ci
sei messa da sola.
MADDALENA: Mi date del tu o del voi?
GIACOMO: M’hai infoiato e deriso. Nulla di più e di peggio per dare a un uomo i
diritti di un toro a cui sarebbe insensato di chiedere di non sbuffare ma di
dire ‘Buongiorno’.
MADDALENA: E ora?
GIACOMO: Ti ho rovesciata, madama.
MADDALENA: E ora?
GIACOMO: Scoperchiata e invasa.
MADDALENA: Dove?
GIACOMO: Dì ‘fino a dove’, piuttosto.
MADDALENA: E io?
GIACOMO: Mi implori di ripeterti quello già da un po’ ti dico.
MADDALENA: Cosa?
GIACOMO: Quel che sei.
MADDALENA: Cosa?
GIACOMO: Accostati qui. Ascolta il mio pensiero.
MADDALENA: Sentirei cose che non conosco.
GIACOMO: Sì, invece. Se non le conoscevi prima, da pochi istanti le conosci
benissimo.
MADDALENA: Porco!
GIACOMO: Troia!
(Lei lo schiaffeggia)
GIACOMO: Voglio credere che anche questa fosse una fantasia. Sono io, adesso,
che non ho sentito niente. Mi picchi, intanto però mi scongiuri di farmi
crescere altre mani per averne dapertutto. E non solo mani!
MADDALENA: Ve lo siete portato da casa il fantasma con cui fate l’amore!
GIACOMO: Noi non stiamo facendo l’amore, vi sto stuprando.
MADDALENA: E dite che rido!
GIACOMO: Mentre io, invece, piango scongiurando Priapo che si levi di torno, ma
non lo fa!... Signora, guai... guai a divertirsi con dei no che sono aste di
torce sventagliate a casaccio. Attorno, il mondo è di paglia, mentre la cima di
quelle torce spara scintille. Voi mi date diritti che non avrei mai presunto di
avere. I diritti della natura bruta. I diritti delle leggi che negano le
leggi!... Mi riducete a bestia. Perciò vi urlo contro, e al contempo vi inondo
di lacrime i piedi strepitando il mio grazie. (A denti stretti) Voi mi
costringete... mi costringete a cospargervi tutta... tutta... ovunque...(Ha un
rantolo) Ah!... (Poi, crollato) E’ disagevole... ma ‘consummatum est’. Pare che
le mie brache abbiano ricevuto ciò che anelava a voi. Di questo sì, fatevene
una colpa. (E ride)
MADDALENA: Perché ridete?
GIACOMO: Per una certa metafora zoppicante che mi è venuta in testa. Che le mie
brache... siano davvero il preservativo più efficace. Più di questi, senz’altro.
(E tira fuori dalla tasca della giubba alcuni preservativi)
MADDALENA: Poco elegante frugare tra le cose altrui.
GIACOMO: Imprudenza vostra. Me ne avete lasciato il tempo.
MADDALENA: Ma non l’autorità.
GIACOMO: Io credo invece di sì. Dovevano essere per me, o dovranno essere per
altri?
(Ma Maddalena sembra distratta da qualcosa. Fa segno di tacere ed esce. Lui,
approfitta della cosa per valutare lo stato dei suoi calzoni.
Così alcuni istanti, poi Maddalena rientra)
MADDALENA: Venite. Sedetevi.
GIACOMO: Perdonate... ho qualche impaccio a muovermi.
(Maddalena si inginocchia presso di lui a pulirlo)
MADDALENA: Sì. C’era del calcolo, è vero. Come in parte è vero che l’essere
diventata intima di una che si vanta d’essere vostra moglie...
(E tace. Pure lui tace)
MADDALENA: Non dite di no?
GIACOMO: Ci divertiamo a chiamarci con nomignoli che...
MADDALENA: Maritino?... Sposina?...
GIACOMO: Sì, più o meno.
MADDALENA: Lei dice ‘moglie’.
GIACOMO: L’amo. E, se amo, sposo.
MADDALENA: (Riprendendo a strofinare) Dicevo che l’essere diventata intima di
vostra moglie ha smorzato il mio primo trasporto verso di voi. Ma m’è piaciuto
lo stesso mettervi alla prova, e l’astuzia con cui avete saputo restare al
vostro posto era esattamente quello che m’aspettavo. Se adesso non tocca a me
di ritrovarmi in esilio, vi dico: eccomi.
GIACOMO: Propormelo in queste condizioni è quasi una beffa.
MADDALENA: Il mio adesso vale per domani sera.
(Si alza e si riassesta)
GIACOMO: Giocate a rimbalzino?
MADDALENA: Gioco, ma a un gioco diverso da quello che pensate voi. Se sono qui,
e se potrò esservi anche domani, lo dobbiamo entrambi alla compiacenza del mio
decrepito Zenone. Un amico cordiale a cui debbo di che vestirmi come mi vedete,
e la comodità di questo stanzino.
GIACOMO: Un becco di gran cuore.
MADDALENA: Lo capireste meglio disponendovi ad ammirarlo.
GIACOMO: Alla prima occasione, senz’altro.
MADDALENA: Gliela potete offrire voi. Il mio amico è pronto a consegnarmi
totalmente alle vostre premure, e non per lascivia ma per la stima che vi
porta.
GIACOMO: Mi conosce?
MADDALENA: Sa chi siete, e apprezza le vostre mosse. Solo chiede di scrutarvi
meglio. Sia chiaro: lo chiede a me, non a voi. Vuole essere presente ai nostri
incontri. Ma non lo darà a vedere. Starà lì, dietro quel muro. E’ forato nei
punti giusti per far vedere, e tanto sottile da far sentire.
GIACOMO: Ottimo. Per ammirarlo dovrò farmi ammirare.
MADDALENA: Giacomo... questo è il primo dono d’amore che ricevi da me. Non
dovevo dirti nulla, e ti ho detto tutto. L’ho fatto per riguardo a te, e a lui.
Mi spiacerebbe sentirlo chiamare becco e decrepito in sua presenza. Si sa
dominare, ma perché verificare sino a quanto?
GIACOMO: E saprà dominarsi anche quando vi farò tutto quello che i miei penseri
hanno già dimostrato di potermi suggerire?
MADDALENA: Ti garantisco solo che non lo vedrai affatto. Cosa poi vorrà
combinare stando lì dietro, è suo diritto deciderlo. Verrai?
GIACOMO: Sarà per me un punto d’onore mostrare anche a Dio in persona l’amore
che m’ispirate.
MADDALENA: Ma non tradirmi!
GIACOMO: Gli racconterete anche di questa notte?
MADDALENA: Tranne ciò che potrebbe umiliarlo.
GIACOMO: Le mie brache?
MADDALENA: Oh, quelle lo divertiranno.
GIACOMO: (Inchinandosi) Un amante così saggio è unico al mondo, e io non sarò
mai capace di meritarmi una felicità che già mi abbaglia.
(Maddalena esplode in una delle sue risate. Poi vestendo il proprio
soprabito...)
MADDALENA: Ne hai meritata anche troppa! Guarda... ti sta colando sulla fabbia
delle scarpe.
(E va)
GIACOMO: Caro il mio Zenone... è destino che debba esserci sempre qualcosa a
separarci. Una volta è un muro... un’altra è una porta... e un’altra ancora, è
una maschera sulla faccia tra le nebbie della laguna.
(Prende la lettera di Caterina e scompare anche lui)
SCENA I
(Uno stanzino ammobiliato in modo austero. Indispensabili, un divanetto e un
tavolo con due sedie, una sola delle quali scostata come se vi fosse seduto
qualcuno alzatosi da poco. Sul tavolo, i resti di una cena con un solo coperto
e un candelabro con dei moccoli consumati. Sul muro di fondo, ben visibili, una
linea di sbreccature profonde che terminano in tanti piccoli fori scavati a
mezza altezza. Chicchiericcio da fuori; risatine; silenzio. Da una porta laterale,
entra cauta Maddalena. E’scalza, e vestita da un drappo che lei sorregge con
una mano stretta al seno. Non appena fatto un passo dentro, la donna appare
rassicurata. Va al tavolo, prende un frutto e lo addenta. Poi va al muro, e
guarda da un foro. Ride)
VOCE GIACOMO: (Sentendo ridere) Chi è?
MADDALENA: Non toccarti... ti vedo.
VOCE GIACOMO: Dove sei?
MADDALENA: E smettila di chiedergli troppo. Ormai son cinque ore.
VOCE GIACOMO: Non gli chiedo un bel niente. Se gli va, gli va.
MADDALENA: E con chi? Con l’aria?
VOCE GIACOMO: Sì, se abitata da te.
MADDALENA: Digli che se la tua mano ne venisse a capo, mi offenderebbe.
VOCE GIACOMO: E perché?
MADDALENA: Sarebbe umiliante che lei possa quel che non ha potuto la mia.
VOCE GIACOMO: Ma se è avuto quel che le è parso e piaciuto.
MADDALENA: Villano! Era a lui che piaceva.
VOCE GIACOMO: Ma era lei che voleva.
MADDALENA: L’ho visto un po’ affranto. Lascia stare. Se non gli, non gli va.
VOCE GIACOMO: Ora invece, guarda... pare di sì.
MADDALENA: Hai trovato la tua amante. Non mi rimane che andarmene.
VOCE GIACOMO: Dimmi dove sei.
MADDALENA: Sposta il canapè.
(Sentiamo, oltre il muro, un rumore di mobili trascinati sul pavimento)
MADDALENA: Guarda qui, dov’è la mantovana a destra. Va’ più in là, non ti vedo.
VOCE GIACOMO: Non ne hai abbastanza di stare lì a vedere?
MADDALENA: Se non c’è di meglio...
(E da un foro affianco a quello da cui sta spiando lei, spunta un dito)
VOCE GIACOMO: Buondì!... Niente da dirgli?
MADDALENA: Oh... m’aspetto molto di più.
VOCE GIACOMO: Se quel che t’aspetti comparisse da questo forellino, mi sa che
ti deluderebbe.
MADDALENA: E sia, lo prendo per quel che è: un ambasciatore di buona volontà.
(Maddalena raggiunge il dito. Lo carezza. Lo bacia. Da un altro foro vicino,
spunta un secondo dito)
VOCE GIACOMO: Ah-ah... pare che, in visita, ci sia una delegazione.
MADDALENA: Signori, riverisco.
(E Maddalena va baciare questo secondo dito insistendo a carezzare il primo.
Poi, di colpo, le due dita vengono ritratte. Lei, spiando dentro)
MADDALENA: Giacomo!... Giacomo!... Non nasconderti, vieni fuori!... Ma dove ti
sei cacciato?... T’ho detto vieni fuori!
(E, discinto come lei, compare anche Giacomo)
GIACOMO: Meglio dentro!
MADDALENA: Come l’hai trovato il passaggio?
GIACOMO: L’armadio lì fuori era già un po’ che mi sembrava inutile. Aprirlo e
sentirvi il tuo afrore mi ha detto tutto.
MADDALENA: Beh, dimentica d’averlo scoperto.
GIACOMO: (Guardandosi attorno) Insomma, è qui che stava. (Anche lui va a
controllare da uno dei fori) Sei stata molto abile a consentirgli sempre le
prospettive migliori. Perciò, sul tappeto... perciò, sul divano... perciò lì in
piedi... (passando a un altro foro) e pure lì... (a un altro ancora) e pure
lì... (a un altro) e lì... e mai sul letto.
MADDALENA: Potessimo trasportarlo al centro della stanza!...
GIACOMO: Qui sto. Se vuoi.
MADDALENA: Potessimo, ma non possiamo. Si domanderebbe perché l’abbiamo fatto.
Vuoi insospettirlo?
GIACOMO: Beh, un tuo capriccio.
MADDALENA: Li conosce i mie capricci, e questo gli parrebbe strano.
GIACOMO: Allora un mio capriccio. Anch’io posso averne.
MADDALENA: Ormai conosce anche te.
GIACOMO: Domineddio, che campione d’arguzia!
MADDALENA: La sua cercala in me. Lui dice che sono la sua allieva più formata.
GIACOMO: Ne ho abbastanza di crederti sulla parola. Che ne so di quello che eri
prima di incontrarlo.
MADDALENA: Una monaca.
GIACOMO: Mai stata una monaca, tu.
MADDALENA: Una monaca confusa, ma una monaca. Nulla, altrimenti, m’avrebbe
costretto a prendere i voti.
GIACOMO: Misteri della chiesa.
MADDALENA: Della mia vecchia ignoranza, possiamo riderne solo in due, non tu.
(Anche Giocomo va a addentare un frutto lasciato sulla tavola)
GIACOMO: E’ lui che t’ha insegnato il francese?
MADDALENA: Che ne sai?
GIACOMO: So che lo sai.
MADDALENA: Sì, lui. Ma non per parlarlo.
GIACOMO: E allora perché?
MADDALENA: Per leggere i libri che mi serviva leggere.
GIACOMO: Quelli che, ora, stai passando a Caterina?
MADDALENA: Te ne ha scritto?
GIACOMO: Già vedo in lei, per delega, la sua seconda allieva.
MADDALENA: Che ti ha scritto?
GIACOMO: Che sei provvida di cose.
MADDALENA: Casomai di lezioni.
GIACOMO: Di cose. Cose in tutti i sensi.
MADDALENA: Ti ha scritto di più?
GIACOMO: Che se io la chiamo ‘moglie mia’, tu con lei fai altrettanto, e lo
stesso lei con te.
MADDALENA: Ti spiace?
GIACOMO: A volte ‘moglie’, a volte ‘marito’. A volte, lei a te ‘moglie’, e tu a
lei ‘marito’. Altre volte, l’inverso.
MADDALENA: Ma ti spiace?
GIACOMO: Anzi. Stanotte m’è servito parecchio.
MADDALENA: Servito che?
GIACOMO: Pensarci. Eccellente ritrovato. Ogni volta m’ha rinvigorito.
MADDALENA: E pensare a cosa? A me e a lei insieme?
GIACOMO: A una cucciolata di glutei frementi come gatti, a quattro capezzoli
infalcati, e a quattro mani indaffarate a frugare tutto e dappertutto. Ho visto
in lei quello che potrei essere io se fossi te penetrata da me. O se fossi lei
penetrata da te, penetrata da me.
MADDALENA: Ma questo è uno scioglilingua. Peggio! Un’astrazione.
(Lui le prende la mano e gliela spinge tra le pieghe del lenzuolo da cui è
avvolto)
GIACOMO: Anche questa?
MADDALENA: (Ritraendosi) Lo sai, vero, che parli di una donna che ti ama?
GIACOMO: Parlo di una donna che mi ama, a un’altra che amo.
MADDALENA: Non mi vedrai mai più, mai più!, se, per colpa mia, ti azzarderai a
sottrarle tanto così di quello che le devi.
GIACOMO: Bizzarrissimo escamotage per fare da intermediaria! Mungermi uno a uno
tutti gli ulbumi delle uova con cui ti ho visto condire l’insalata! Cos’è?...
Hai voluto prenderla alla larga per arrivare a perorare la causa della tua
amica, dopo averla avuta vinta con quella del tuo amico?
MADDALENA: Attento, Giacomo: svanisci all’istante se ti dimentichi di lei. Ma
non svanisci per lei: svanisci per me.
GIACOMO: E parlavi di astrazioni?... Tu?...
MADDALENA: E’ nel patto che ci ha congiunti: la nostra non è una storia a due.
GIACOMO: Nessuna storia è mai una storia a due. Ogni corpo trascina ai piedi
dell’amato tutti corpi che ha attraversato, e tutti quelli da cui è stato
traversato. (Picchiettandosi su una tempia) Se li porta qui. Presenti
all’appello. Tutti. Non c’è scampo: ogni amplesso è sempre un’orgia.
MADDALENA: Vorrà dire che la nostra sarà in quattro, e non ne puoi prescindere.
GIACOMO: Prima avevo capito in tre.
MADDALENA: Conta bene.
GIACOMO: (Premendola) Conto gli albumi che m’hai succhiato. Me ne avanza ancora
qualcuno, posso?
MADDALENA: (Andandogli lontano) No!
GIACOMO: Gli ultimi, in genere, distillano sangue. Ti fa paura?
MADDALENA: Il mio amico mi prega solo di una cosa: non eccedere. E’ lui che ha
paura per me.
GIACOMO: E di che? Di un confronto?
MADDALENA: No, che tu mi faccia male. O che rimanga incinta.
GIACOMO: Abbiamo i suoi sacchetti di vitello. Usiamo quelli. Poi che ne sa di
quel che posso?
MADDALENA: L’ha capito dall’altra volta.
GIACOMO: E che gli hai detto? Non è successo un fico.
MADDALENA: Tutt’altro: ti ha visto molto energico.
GIACOMO: Mi ha visto?... Ma quand’è che ha inaugurato questa cameretta?
MADDALENA: Non dovrei, ma te lo dico: due sera fa.
GIACOMO: Era qui?
MADDALENA: Non prendertela, gli sei piaciuto.
GIACOMO: E gli è piaciuto anche sentirsi dire ‘decrepito’ e tutto il resto?
MADDALENA: Perciò ho preferito avvertirti: meglio che non riaccada.
GIACOMO: Ah, bella figura davvero mi hai fatto fare: da perfetto eunuco.
MADDALENA: Non potevi comportarti meglio. Hai dato prove di forza in tutti i
sensi: più di oggi.
GIACOMO: Sbrodolandomi addosso?
MADDALENA: A quel punto m’ha confessato che non ha retto nemmeno lui.
GIACOMO: Se tanto gli è bastato, immagino stanotte.
(Lei va al divano, ne controlla la fodera)
MADDALENA: Credo meno.
GIACOMO: Genio curioso questo signore. Ti chiederò di farmelo conoscere.
MADDALENA: Te l’avrei chiesto io a nome suo.
GIACOMO: Perché? Sai già che lo vuole?
MADDALENA: Moltissimo. Ha lasciato alla mia discrezione di decidere quando.
GIACOMO: Diavolo, mai che riesca a sorprenderlo!
MADDALENA: Ancora una volta, però, non tradirmi.
GIACOMO: Come non ti avessi già dimostrato di apprezzare le recite.
MADDALENA: Sarà per l’ultima sera di Carnevale. Ci incontreremo in maschera.
GIACOMO: ‘Fiat voluntas tua’. - E sua.
SCENA II
(Bernis nel suo ufficio. Riceve Pietro come se si trattasse di un postulante.
Sulla scrivania piena di stucchi dietro a cui è seduto, un cumulo di fascicoli.
Ne sfoglia alcuni)
PIETRO: Pegni di gioco. Pesanti come verdetti esecutivi. Vedete bene,
Eccellenza... sono carte che bruciano. Se non posso darvi altre notizie, posso
almeno darvi queste. Oh, non che vi spinga in alcun modo a usarle: solo a
tenerle. Poi starà a voi valutare se farle circolare o no, nel caso vi sia
necessaria un’arma da puntare contro quell’incantaserpenti. Beh, queste polizze
mi sembrano una spingarda più che sufficiente. So da me, so da me: un’azione
che può sembrare spregevole. Ma, semmai, la mia, non la vostra.
(E tace. Bernis consulta. Pietro riprende per dar sfogo al proprio disagio)
PIETRO: Poi, beh, sì... anch’io, d’altronde, avrei di che giustificarmi,
eccome. Sapere quella povera creatura di mia sorella sacrificata com’è per
colpa d’uno che se ne va a danze con la prima che trova. Oh, no-no-no... non
che m’azzardi a pensare questo della vostra protetta... ma che balza agli
occhi... lui lo farebbe con chiunque. Beh, lo conosciamo di che pasta è. Gli
capitasse una puttana, vada per la puttana... gli capitasse la più timorata
delle vergini, gli andrebbe lo stesso.
BERNIS: La mia protetta non è la più timorata delle vergini.
PIETRO: Era un ‘absurdum’, signore... un ‘absurdum’
BERNIS: Non vi ricordavo così carico d’odio contro vostro cognato.
PIETRO: Non è mio cognato! E’ a quella povera sventata che piace dirlo, e lui
che le dà corda... tutto per una promessa da quattro soldi!
BERNIS: (Passandogli dei biglietti) Le ricevute delle vostre cambiali.
PIETRO: (Prendendo di slancio) Ah, voi mi avete salvato... salvato!
BERNIS: E con quelle, spiegatemi... avrei comprato anche queste (le carte)?
PIETRO: Oh, veramente... io pensavo che fossero, ecco, come un di più...
un’aggiunta... un’aggiunta, sì, rispetto al resto.
BERNIS: Le avete rubate?
PIETRO: Mai! Erano su piazza, le ho solo riscattate.
BERNIS: E con che soldi?
PIETRO: Appunto, dicevo... sulla parola, e perciò facevo conto su un vostro
interesse. E’ per voi che l’ho fatto, mica per me.
BERNIS: Perché mi siete amico?
PIETRO: Devoto. Questo sì.
BERNIS: Ma non amico.
PIETRO: A voi di consentirmelo!
BERNIS: M’interessa poco. Di più, invece, m’interessa capire quali siano i
nemici del signor Casanova.
PIETRO: Io no! E’ lui che è mio nemico. Faccio male a dirlo? Ci è venuto in
casa a sfasciare la nostra famiglia, ma perché?... Io alle sue promesse ci ho
voluto credere, come ancora ci crede quell’anima santa della mia Caterina, e
guardate che fa! Il nemico è lui. Io, per me...
BERNIS: Voi no. Lo dico pur io: voi no. Ma chi mette su piazza carte che
possono trascinare dinanzi al tribunale di Messer Grande, senz’altro sì. Il
gioco è vietato, e già questo basterebbe.
PIETRO: E appunto dandole a voi so di rimetterle in ottime mani.
BERNIS: I nomi, Monsieur!
PIETRO: I nomi?...
BERNIS: Dei nemici.
PIETRO: Oddio, io... io...
BERNIS: Vi pago queste carte solo se mi dite a chi le avete pagate voi.
PIETRO: Non so, davvero... ecco, cioè... se poi magari ricordassi male...
BERNIS: I nomi, Monsieur! (Spingendogli contro un foglio e una penna) I nomi, e
le ragioni.
(Pietro, costretto, si china a scrivere con mano incerta)
BERNIS: Non avete compreso un punto fondamentale. Io stimo la mia amica, che
non è vergine ma neppure puttana. E perciò stimo gli amici che lei stima. E
nessuno gode della sua stima più di vostro cognato.
PIETRO: (Sollevando la testa dalle carte) Ah, ma pur io... gli do pure da
dormire...
BERNIS: Scrivete.
(Pietro si china di nuovo, e scrive)
BERNIS: Di quelle cambiali ne mancano alcune.
(A quest’affermazione Pietro risolleva di scatto la testa)
BERNIS: Fate conto di avere già anche quelle. Sù, scrivete.
PIETRO: La mia vita è vostra.
BERNIS: (In un grido, picchiando il pugno sulla scrivania) Scrivete!
SCENA III
(Giacomo, nel suo boudoir, si sta truccando da Pierrot dinanzi a uno specchio)
GIACOMO: Ne amo due... o nessuna?... Se due... più quella, o più
quell’altra?... Si può amare diversamente, ma con la stessa intensità?... O si
può non amare mai, ma credendo di amare sempre?... E domandarselo che vuol
dire? Un passo avanti o uno indietro?... (Da fuori, una musica) Venezia canta.
Questa città mi distrae. Troppo mia, e troppo fuori di me. Fosse una donna e
l’incontrassi, mi costringerebbe a conoscermi per bene. Ma servirebbe?...
Conoscersi: servirebbe?... Mistero! Mistero! Mistero!... Oh, ad altri
sicuramente sì che servirebbe, ma a me?... La mia vita va bene così. Io non
tradisco mai. Mai un amico, mai una donna. Il mio carattere è quello che è, e
io gli volo appresso. Il mio fato è tutto lì. Come il fato di un piccione è
tutto nelle sue ali. C’è mica bisogno che quello sappia perché lo tengono in
aria. Lui vola e basta. Per un uccello non è prodigioso volare; è prodigioso
cadere. (Infilandosi, da ultimo, il camicione a sbuffo) Per cui, meglio niente
prodigi. Amo Venezia, ma come metafora della mia vita mi si addice poco. Acqua
che sta, non acqua che va. Roma... Parigi... Vienna... quelle sì che mi
racconterebbero a dovere. Città fluviali! Mi basterebbe affacciarmi alla
finestra per ritrovarmi come in uno specchio. O Serenissima, consolati... ci
pensa il tuo Giacomo a completarti. Sono io il tuo fiume. E ora andiamo. Non si
sa per cosa. Non si sa per dove.
SCENA IV
(Una sala da pranzo. La tavola è imbandita riccamente. In attesa, Bernis e
Maddalena. Entrambi indossano dei costumi mitologici. Dalla cinta di lei, pende
una spada. Bernis sembra incapace di mantenersi calmo. Da fuori giungono i
suoni festanti del Carnevale)
BERNIS: Per la sua maschera come avete provveduto?
MADDALENA: La troverà nella gondola che ho già pagato.
BERNIS: Lo stesso rematore che ha portato voi?
MADDALENA: Non mi fiderei di nessun altro.
(Un silenzio)
BERNIS: Se l’è scelta da sé?
MADDALENA: Oh, sì. Ci teneva.
BERNIS: Sapete quale?
MADDALENA: Senz’altro quella che avete suggerito voi.
BERNIS: Non era un pretesa.
MADDALENA: Ma ha saputo del vostro suggerimento, e credo ne abbia fatto tesoro.
BERNIS: Peccato. Una sorpresa in meno.
MADDALENA: Non siamo noi, stasera, quelli che si debbono sorprendere.
(Ancora un silenzio)
BERNIS: C’è libeccio. Avrebbe dovuto venire con voi. Partendo più tardi
potrebbe incontrare delle difficoltà.
MADDALENA: Sembrava fosse così importante che non si arrivasse tutti insieme!...
BERNIS: Ma cherie... voi mi caricate di mille responsabilità. Prendete ogni mio
parere come un ordine.
MADDALENA: Questa cerimonia era stabilito che fosse affare vostro.
BERNIS: M’innervosisce più di una questione pubblica. Neanche fossi un attore dietro
al sipario, con tutti i palchi al completo. (Sedendosi) Venite qui! Chez
moi!... Sulle mie ginocchia, qui. (Maddalena obbedisce) Voglio la verità: so di
avervi sempre chiesto molto, non sarà che stavolta vi ho chiesto troppo?
MADDALENA: Che stupidaggine... lasciarsi turbare da un eccesso di affinità!...
(E lo bacia)
BERNIS: No, rispondete.
MADDALENA: Chi è, fra noi due, che è corso appresso al desiderio dell’altro?
Sapreste dirlo?... Io no. Il mio fa da eco al vostro. Il vostro al mio.
BERNIS: (Stringendola) Sempre di più, mon amour... sempre di più.
(Sulla soglia interna appare Giacomo col suo costume da Pierrot. I due si
sciolgono all’istante, ma senza imbarazzo)
MADDALENA: Ah! Chi c’è dietro quella farina?... Il nostro ospite?...
GIACOMO: Un’amazzone e Giove... capisco bene?
BERNIS: Per me, non sono che un dio qualunque. Purché pagano.
MADDALENA: E io un’amazzone, ma non qualunque. La regina: Pentesilea.
GIACOMO: Che amava Achille. (A lui) Una disdetta, signore. Abbiamo entrambi
sbagliato costume.
BERNIS: Il vostro no, è perfetto. Oltre che un omaggio alla mia patria.
Obbligatissimo.
MADDALENA: (Presentando) L’ambasciatore di Francia Francois Joachim de Pierre
de Bernis.
GIACOMO: Il mio solo titolo è quello di veneziano. Giacomo Casanova.
BERNIS: Il vostro titolo è tutto nel vostro nome.
GIACOMO: A voi di dargli un senso.
BERNIS: Siete l’amico della mia amica. Ecco il senso. Desideravo moltissimo
fare la vostra conoscenza.
MADDALENA: Non di farla, ma di rifarla. Credo che vi siate già presentati. A
Parigi.
BERNIS: (A lui) Sì, me lo diceva. Purtroppo, al momento, posso solo vedere in
voi il più squisito Pierrot che abbia mai incontrato.
MADDALENA: Convenevoli, convenevoli, convenevoli...
GIACOMO: Io, invece, ricordo. E’ stato il giorno in cui ebbi l’onore di
pranzare con Vostra Eccellenza da Mocenigo. Dovevate partire quattro giorni
dopo per Venezia e vi congedaste subito dopopranzo.
MADDALENA: Convenevoli, convenevoli, convenevoli...
BERNIS: Oh, voilà... c’est vrai!... Sì, sì... ricordo tutto.
GIACOMO: Ma adesso non potremo più dimenticarci. Il segreto che ci unisce è
abbastanza forte per renderci intimi amici.
MADDALENA: Ecco il mio titolo da affiancare ai vostri: di essere il segreto che
vi unisce. Signori... la tavola è per voi.
GIACOMO: Molti piatti, vedo.
MADDALENA: Confidiamo nel vostro appetito.
GIACOMO: Quattro sedie?
BERNIS: Un auspicio.
GIACOMO: Di che?
BERNIS: Abbondanza. Abbondanza.
MADDALENA: A un giovane sposo come voi dovrebbe suonare gradito.
GIACOMO: Un matrimonio fittizio, si sa.
MADDALENA: Dio lo benedica, comunque. Ora non saremmo qui. (A Bernis) Voi
sapete a cosa dobbiamo il nostro incontro, vero?...
BERNIS: Poco. Più o meno.
GIACOMO: Abbiamo avuto un’innocentissima sensale.
MADDALENA: Una sensualissima sensale.
GIACOMO: E più che innocente, ignara.
MADDALENA: Ma stupendamente efficiente.
BERNIS: (A lei) Se non sbaglio, una conversa di dove abitate voi...
GIACOMO: E’ la sposa per burla che mi si vuole attribuire. E lo dico con
rispetto: una burla che è piaciuta a entrambi. La poverina è stata incarcerata
contro la sua volontà per levarla a me. Sta a Murano da ospite, non da monaca.
MADDALENA: E perciò, poverina sul serio! A essere monache di un certo tipo, lì
tutto si è, tranne che incarcerate.
BERNIS: Se monache regine, senza dubbio!
GIACOMO: E se armate!
MADDALENA: E se ricche.
BERNIS: (A lui, offrendogli un plateau di pasticcini) Ma parlatemi di quella
ragazza. So che piace molto anche a Maddalena.
GIACOMO: E’ appetitosa. Che sia piaciuta a me, sta nell’ordine delle cose. Fra
due amazzoni, invece, avrebbe potuto darsi battaglia. Poiché pare di no,
domandate a lei. Le referenze di una donna varranno molto più delle mie.
BERNIS: A me sembra che si siano date battaglia, eccome!
(Un silenzio)
GIACOMO: Signori, c’è per caso una posta in gioco per questa cena?
BERNIS: Se l’argomento v’imbarazza, cambiamolo subito.
GIACOMO: L’argomento mi piace. E so che piace a voi, e so pure che sapete
quanto piaccia a me. Però, guardo quel tavolo. Sì, è apparecchiato a dovere...
ma mi sembra più da bisca che da sala da pranzo. E ogni frase che ci diciamo,
casca tra noi come una carta sul panno. Oh, la cosa mi è graditissima. Sono un
forte giocatore. A Venezia si sa.
MADDALENA: Sì, una posta c’è. Il nostro benessere. Nient’altro.
BERNIS: (A lui) Sarà la vostra natura a tradurre il nostro convivio in ciò che
vi è più affine. Da giocatore, vedete un tavolo da gioco. Foste pittore, vi
sembrerebbe una natura morta.
GIACOMO: Ritiro! Ho una tale smania di avventura che la vado cercando pure dove
avrei solo da godermi quello che mi si dà.
BERNIS: E pensare che io mi sento come nel vivo di una peripezia inebriante!
MADDALENA: Poi esistono anche avventure quiete. Forse questa è una di quelle.
GIACOMO: Mia Regina, sono un gran maleducato: vi ho tolto la parola nell’atto
stesso di darvela. Dite di mia moglie. Mi piace l’idea di vederla attraverso i
vostri occhi.
MADDALENA: E io non posso che restituirvela ancora più bella di quanto già non
la sappiate. E’ provvida in tutto, e tutto le è caro. Dalla cosa più umile alla
più preziosa. Vive in omaggio alla vita. E’ curiosa del mondo, ma sa frenarsi.
E da come si contenta, capisco che ha avuto un ottimo educatore. Ma sa anche
frenarsi dal frenarsi, il che mi dice che di educatori ne ha avuti più d’uno.
Si trattiene e si abbondona col ritmo naturale delle maree. Voi siete esperto
di oroscopi... capirete che dico se dico che è governata dalla luna. La vedo
gioire e soffrire. Il pianto la fa più bella e il riso la fa divina. Esagero
nelle lodi, ma le lodi le si confanno solo quando siano tanto esagerate. A
questo che altro aggiungere, se non aggiungendo un po’ di me? Quello che sto
per dirvi non sarà uno svelare ma un ripetere, so che lo sapete entrambi: ci
carezziamo e ci baciamo. Non siate gelosi, lo facciamo da donne. Dopo tanti
educatori, mi piccavo di poter essere la sua prima educatrice, ed eccomi
diventata la sua discepola. In breve... merita molto più di quanto non abbia.
GIACOMO: Se ha voi, direi che ha molto.
MADDALENA: Di me si contenta. Lei è di quel genere di donne a cui necessita il
troppo, non il molto.
BERNIS: Una creatura davvero magica.
MADDALENA: Non potevo non eccedere. Caterina è di per sé un eccesso. Ne avessi
parlato da maschio, tutta quest’apologia si sarebbe risolta dicendo che è una
donna... appetitosa e basta.
BERNIS: Parlate di lei o del vostro specchio?
MADDALENA: Sarebbe la mia ambizione.
BERNIS: Figliolo... non vi pare che la nostra amica abbia tratteggiato il
proprio ritratto e ce l’abbia consegnato come quello di un’altra? (A Maddalena)
Questa siete voi, altro che lei!
MADDALENA: Può essere che cominci a somigliarle.
BERNIS: Ma io vi conosco da prima che conosceste quella, e vi ricordo
appetitosa sin da allora. (A Giacomo) E voi che fate? Restate alla finestra
senza dir nulla?
GIACOMO: Convenevoli, convenevoli, convenevoli....
MADDALENA: Non siate sgarbato.
GIACOMO: Troppa cipria mi fa starnutire. La verità è che m’avete messo in
imbarazzo con tanti complimenti. Quella fanciulla mi riguarda come fosse parte
di me, il che m’impone il dovere di replicare: ‘No, io non sono così’. Ma,
confesso, m’è piaciuto sentirlo.
BERNIS: Come pure vi piace sentirvi donna?
GIACOMO: Oh... è una filosofia un po’ complessa, la mia.
BERNIS: In sintesi?
GIACOMO: Mi piacebbe divenire le donne che amo. Essere loro al punto da
incontrare me stesso in quel che provano, per rincontare loro nell’uomo che le
possiede.
BERNIS: Pas mal. Un retore della copula. (A lei) Tu confermi?
GIACOMO: Vi date del tu o del voi?
BERNIS: La confusione non è una musa che avete in esclusiva. (A lei) Tu
confermi?
MADDALENA: Vesto da amazzone. Da donna maschio. Forse sì, mi ha infettata.
Chissà da cosa mi sarei mascherata, altrimenti!... Però facendolo, non ci
pensavo. Ho scelto così, e senza troppi dubbi. Sarà stato a suggerirmelo quel
po’ di Casanvova che Casanova ha travasato in me.
BERNIS: Ma lui?... Dimmi di lui in veste da donna?
(Un lungo silenzio prima di rispondere)
MADDALENA: Allora... o è instacabile, o sa nascondere l’instancabilità. E
questo, sì, è da femmina perfetta. Poi, vediamo... ah, sì... amando, talvolta,
si annoia. Ma può amare lo stesso e non lo dà a vedere. Anche questo, da
femmina perfetta. E insulta, ma preferisce essere insultato. Altro requisito del
tutto confacente. E spesso si vergogna di quel che fa; e più si vergogna, più
lo fa, e più lo vuole. Mi ci riconosco appieno.
BERNIS: Helas!... Che stupefacente girotondo!... Voi, allievo di lei, che è
allieva della vostra allieva. La grammatica del reale si fa un po’ ridicola se
messa in parole.
GIACOMO: Anche la filosofia usa linguaggi contorti, ma non ne conosce altri...
come Aristotole quando s’aggroviglia e scrive: ‘Il pensiero che pensa il
pensiero pensante’. Bell’accozzaglia, ma così è.
BERNIS: Ah, c’est très drole en italien... repetez- vous!
GIACOMO: Il-pensiero-che-pensa-il-pensiero-pensante.
BERNIS: (E ride ripetendo buffamente) Ilpensierochepensailpensieropensante...
le pensée qui pense le pensée pensant...
(Anche Maddalena si diverte a scimmiottare la stessa massima sottolineando la
goffaggine delle dentali)
BERNIS: (Applaudendo all’indirizzo di Giacomo) Complimenti... il nostro
incontro si sta rivelando una cornucopia di delizie. Ringrazio la mia
insistenza nell’averlo tanto desiderato.
GIACOMO: Come sottrarsi agli editti di Zeus?
BERNIS: Ah, Pierrot, Pierrot... guardi la luna, e ti tingi coi colori della
luna.
(Sulla soglia appare Caterina. Ha un costume esotico. Da ancella araba.
Spillata sul velo che le fascia la fronte, una mezzaluna d’argento. Ma Giacomo,
che le dà le spalle, non s’accorge del suo ingresso)
BERNIS: Siete voi quello che pensa il pensiero pensante. Completamente concluso
in voi stesso. Utero e membro, petto e seno... sultano e concubina. Ma che
vedo? Un’altra parte della vostra persona che viene a farci visita!
(Giacomo si volta. Vede Caterina. I due si fronteggiano)
GIACOMO: Sbagliavo. Quello non è né un tavolo da gioco, né da cena. Ma da
fiera.
MADDALENA: Se t’avessi avvisato, avresti detto no?
GIACOMO: Mia cara... io ti avrei deluso a dirti no, tu mi hai deluso a non
farmi dire sì.
MADDALENA: (A Caterina) E tu... avresti detto no?
CATERINA: Ho detto di sì venendo. Sapevo che il tuo amico era lui.
BERNIS: Mademoiselle, voci maligne e veritiere sostengono che il suo amico sia
formalmente io.
CATERINA: Di voi sapevo. Ma lei m’ha detto d’un secondo amico, e non avrei
attraversato la laguna se non fossi stata certa di trovare lui.
BERNIS: (A lui) Sentito?... E’ venuta per voi. Noi pure siamo qui per voi. E
voi, adesso, per chi è che restate?
GIACOMO: Non mettetemi al centro di una festa che non mi è dovuta. Ho gradito
l’invito, e gradisco goderne. (A Caterina) Il tuo costume significa qualcosa?
Forse che stai per entrare in un harem?
CATERINA: No. E’ la mia conferma che già gli appartengo.
BERNIS: (Porgendole da bere) Non abbiamo toccato cibo in vostra attesa. Io e la
mia protetta sapevamo perché. Più interessante è domandarsi perché non l’abbia
fatto lui. (Offrendo un calice di vino anche a Giacomo) Vi pensavo digiuno. Non
avete fame?
GIACOMO: Mancava un ospite. Anch’io aspettavo che fossimo tutti.
BERNIS: Come ‘anche voi’?... O suor Maddalena è troppo indiscreta, o voi troppo
intuitivo. (Offrendo, da ultimo, anche a Maddalena) Ti avevo implorata di non
far capire nulla.
MADDALENA: (A Caterina) Tesoro mio, scagionami. Ti ho fatto forse il suo
nome?... (A Giacomo) O a te il suo?
(Silenzio)
MADDALENA: (A Bernis) Pare di no. (Alzando il calice) Non rimane che brindare a
questo trionfo della sagacia su cui governa uno splendido nume. La passione.
Ecco la vera spia, la delatrice, non io. Rivelatore è il fatto che parlando a
lei di un uomo, abbia pensato a lui... e che tacendo a lui di una donna, abbia
comunque pensato a lei?
BERNIS: (Alzando anch’egli) Ca suffit. Sei assolta.
(E beve. Gli altri pure. Posato il suo bicchiere, Bernis va a sguainare la daga
che pende dalla cintola di Maddalena, e la brandisce)
BERNIS: (A Giacomo, porgendogliela) Fatemi la cortesia di impugnarla. E’ la
cosa meno posticcia del suo cotume. Avanti!
(Giacomo obbedisce)
BERNIS: Più sù, più sù... sollevate quel braccio.
(Giacomo obbedisce)
BERNIS: Che mascherina feroce!... Ne avevo davvero un gran bisogno. Mi avete
fatto girare la testa con tutte le vostre storie di uomini e donne che vi
mescolate dentro. Ora sì vi riconosco. E voi me?
GIACOMO: Non ho bisogno di mettervi in posa. Siete la maschera che mi ha
scoccorso.
BERNIS: Ah!
GIACOMO: La vostra dizione vi mette a nudo più della vostra faccia. Non vi ho
ricordato di quell’incontro per rispetto al timore che confessaste allora. Un
incidente da cui mi sono ripromesso di tenervi fuori. Sempre che sia stato un
incidente vedervi comparire al momento in cui qualcun altro m’aspettava per un
agguato.
BERNIS: La gioventù non dovrebbe essere tanto incline alla diffidenza.
GIACOMO: La vita insegna, Monsieur.
BERNIS: Tornavo da Murano come voi. Lì avevo i miei interessi, come voi ne
avevate altri. Eccoli qui adunati ... i miei, e i vostri (le donne). Nulla di
più ne avanza.
GIACOMO: E dei miei nemici non sapevate nulla?
CATERINI: Che nemici?
BERNIS: (A lui) Ne so da poco. Imparerete ben presto quanto mi siano odiosi. Ma
tornando a cose di maggior sapore... eravate più maschio o più femmina quando
vi ho visto infilzare un uomo?
GIACOMO: Infilzare è roba da maschi.
CATERINA: Infilzare chi?...
BERNIS: (A lui) Niente giochi di parole.
GIACOMO: So anche avvelenare. Quello è più da femmine.
BERNIS: Tema interessante.
CATERINA: Pietro!?... E’ con lui che è successo?
GIACOMO: (A lei) Hai scoperto come fare su e giù dalla tua galera. Vallo a
trovare e ti metterai tranquilla.
MADDALENA: Non accusarla di niente. Ho pagato io per lei. La suora di guardia e
il gondoliere. Come faccio, per me, da sempre.
(Giacomo va a poggiare la spada al centro del tavolo. Un tempo)
GIACOMO: Sono abituato a non capire. E a non chiedere. Sanissima abitudine. Son
troppe le cose impossibili da capire... alcune attorno, altre in cielo, e altre
in fondo al mare. Basta guardare un filo d’erba, ed ecco l’incomprensibile che
già ti balza addosso. Di che vive? E perché?... Più mi tenete all’oscuro, più
fate il mio gioco. (A Bernis) Volete sondarmi?... Sono un cavallo che non bada
alla strada che fa, ma solo ai suoi garretti. Quando la strada sarà finita, i
miei garretti ne cercheranno un’altra.
BERNIS: E che vi dicono i vostri garretti adesso? Che questa vicenda è una
strada finita?
GIACOMO: La mia vicenda con voi, con lei, o con lei?
BERNIS: Più umilmente, quella di questa cena e basta.
GIACOMO: Quelle pietanze mi dicono che deve ancora essere consumata.
(Bernis va alla sedia su cui è buttato un mantello, lo prende e se l’avvolge
attorno)
BERNIS: Buon prò. Ve la lascio tutta. Compatitemi. Un dispaccio arrivato due
ore fa mi impedisce di fermarmi per continuare ad essere felice con voi. Dovrò
passare il resto della notte a scrivere la risposta. L’ho saputo tardi, e non
volevo comunque rimandare un appuntamento a cui, come s’è visto, tenevo
infinitamente. Vi chiedo non solo di perdonarmi, ma anche di compiangermi. Spero
che mi concediate venerdì prossimo il piacere di cui la fortuna nemica mi priva
stasera. Vorrei trovare la stessa compagnia che sono costretto a lasciare
adesso. (A Maddalena) A te di farmi avere la risposta. Ah!... Ho lasciato di
sotto il pacco che volevi. (A Caterina) Signora... sappiate che, nonostante la
fugacità di questa presentazione, non mi siete affatto ignota. C’è chi ha
intonato il vostro panegirico, e chi l’ha confermato. Poi, non bastasse, c’è
quel che vedo. (A Giacomo) Un’ultima cosa per voi. Non l’ho fatto per nulla di
ricordare l’incidente al porto. E’ vostro interesse rincontrarmi al più presto.
Adieu.
(E va)
GIACOMO: (A Maddalena) Sapevi che sarebbe scappato?
MADDALENA: Me l’ha detto solo quando eravamo qui.
GIACOMO: Non c’è che dire! Il tuo amico è davvero il re degli uomini. Mi ero
quasi convinto di una trappola, ed eccomi servito di un magnifico dono.
CATERINA: A me è bastato vederlo, per non dubitarne.
GIACOMO: E rivederlo ti va?
CATERINA: Non ha chiesto una risposta subito.
MADDALENA: (A lei) Sai che ti ama?
CATERINA: So che ama la mia mogliettina.
MADDALENA: (A lui, scoppiando a ridere) Non ti offendere. Questa gliel’ho
insegnata io.
GIACOMO: Non era nemmeno una risposta.
CATERINA: Oh, sì. Io amo chiunque ti ami. Lei ti ama, e perciò l’amo. Lui
l’ama, e perciò amerò anche lui.
GIACOMO: Riconosco le lezioni del decrepito Zenone.
MADDALENA: Di cosa credi, sennò, che staremmo parlare io e lei tutte le notti,
per tutta la notte?
GIACOMO: Perché? Vi date anche il tempo di parlare?
MADDALENA: La bocca, a volte, può dimenticarsi del corpo lasciandogli fare ciò
che vuole.
GIACOMO: Dimenticanza gravissima. La bocca, spesso, può essere il cuore del
corpo. Soprattutto, per un corpo senza piolo.
CATERINA: Vi sono bocche che, parlando, eccitano.
GIACOMO: (A Caterina) Più la tua o la sua?
MADDALENA: Se preferisci, ripetile la domanda in privato. Scendo a prendere
quello che mi è stato lasciato giù. Poi, finalmente, potremo sederci a tavola.
(E si allontana. Non appena Maddalena è uscita, Giacomo va a stringere Caterina
fra le sue braccia baciandola, corrisposto da lei con forza)
GIACOMO: Dieci mesi... dieci mesi...
CATERINA: Non potevi che essere tu. Ah, finalmente respiro! Ma perché ti sei
quasi spaventato a vedermi? Davvero non sapevi che mi avresti trovata qui?
GIACOMO: Certo che no.
CATERINA: Se ti dispiace, ne sarò disperata. Ma non è colpa mia.
GIACOMO: Mia adorabile amica, come puoi credere che mi rincresca vederti? Sei
sempre la miglior parte di me.
CATERINA: (Scostandosi) M’hai guardata, almeno?... L’hai detto, son dieci mesi.
GIACOMO: Il tuo seno li racconta tutti.
CATERINA: Toccalo.
(Lui la carezza)
GIACOMO: Oddio... ma dove sono finiti i miei dolci caprioletti?... Ah, dovrò
abituarmi alla meraviglia di questi pandizucchero. Quanto sono cresciuti!
CATERINA: So che è vero. Ho potuto misurarli con quelli di qualcun’altra. Da me
non lo avrei mai capito.
GIACOMO: (Poi, scostandosi) E dei miei peccati non t’importa niente?
CATERINA: M’importerebbe se non m’importasse tanto di colei che te li fa
commettere.
GIACOMO: Possibile che tu le sia devota fino a questo punto?
CATERINA: Mi tiene in vita per te. Mi carezza a tuo nome, purché io faccia poi
con lei lo stesso. Casanova non è mai stato tanto appagato come tra le mura
della nostra cella.
GIACOMO: Mi togli il fiato! Quasi non vorrei esserci... o solo stare qui, e
vedervi.
(Riappare Maddalena, con un involto tra le mani)
MADDALENA: Puoi.
(E, sedendosi, va a poggiare il pacco così com’è al centro della tavola)
GIACOMO: Posso, esattamente, cosa?
MADDALENA: Farti invisibile e rimanere. Ma resisterai?
CATERINA: Gli ho detto del mio seno.
MADDALENA: (A lui) Sai che quasi combacia col mio?
GIACOMO: Voglio conferme.
MADDALENA: Mangiamo.
GIACOMO: T’ho detto che voglio conferme.
MADDALENA: Dopo, ora mangiamo.
(Anche Giacomo e Caterina vanno a sedersi. Vengono passati i piatti. I tre si
mettono a mangiare. A tratti ridono senza parlare. Poi Giacomo inizia a
strofinarsi via il bianco del trucco con un lembo della tovaglia. Lo farà sino
a ripulirsi completamente il viso)
MADDALENA: Cominci già a spogliarti, amore mio?
(Caterina esplode in una risata più forte delle altre)
MADDALENA: E’ questo che la fa stupenda. Che deve ancora crescere e che non
vede l’ora. Come il suo seno. E come te.
GIACOMO: Dio non voglia che m’accada mai, tranne per quello che mi serve.
MADDALENA: Anche il mio amico, che pure ti stima tanto, dice lo stesso.
GIACOMO: Eccone un altro che pretende di suonarmi come un piffero. Ma non sono malato
e non mi servono diagnosi.
CATERINA: Oh, ‘in nomine Patri’... la mia vita è qui! E’ qui!
MADDALENA: Tesoro, che c’è?
CATERINA: (A lei) L’hai detto: mi va di crescere. Ve ne prego... regalatemi una
vita così! Noi tre. (A lui) Vedendoti crescere. (A lei) Con te che mi vedi
crescere.
(Fuori si è fatto il silenzio. Niente musica)
GIACOMO: Zitte!... (Ascolta) Dev’essere passata mezzanotte. Carnevale se ne è
andato. Per me questo vuol dire essere già in Quaresima. (Sfilandosi la camicia
di Pierrot) Signore... niente sacrilegi... via le maschere! (E resta a dorso
nudo)
MADDALENA: No, pazienza!... Il mio caro benefattore mi ha fatto avere qualcosa
che non credo sia solo per me.
(E spiega la stoffa del pacco, che contiene un libro)
GIACOMO: (Prendendo) Che meraviglia! Le stampe di Meursius.
CATERINA: Che sono?
GIACOMO: (Sfogliando) Pose. Maniere d’amarsi tra donne. (Passandolo a Caterina)
Guarda se ne trovi che non conosci.
(Caterina lo prende, e guarda incuriosita)
CATERINA: Pare suggerito da chi so io. Ah, che combattimenti!
MADDALENA: (A lui) Dopo un regalo simile, a te decidere come pareggiare i
conti.
GIACOMO: Aiutami tu a sdebitarmi, lo conosci meglio di me. Io saprei scegliere
bene, che so, dei guanti, oppure delle calze di seta. Ma le apprezzerebbe?
MADDALENA: (Piano, quasi in un orecchio) Fossi in te, quello che gli darei in
cambio è il prossimo venerdì. Credo se lo meriti.
GIACOMO: (Pianissimo) Non ci penso nemmeno. Verrò.
CATERINA: (Sollevando gli occhi dal libro) Non capisco. Merita cosa?
MADDALENA: Piccoli obblighi di deferenza. (Sfilandole il volume dalle mani) Sù,
ora lascialo qui, e terminiamo di mangiare.
(Il libro viene rimesso aperto al centro della tavola. I tre riprendono la
cena. Ogni tanto, a turno, uno di loro si sporge a sfogliare una pagina. Poi
Giacomo ha un soprassalto. Si alza e va a controllare la parete. Maddalena
ride)
MADDALENA: Non cercare buchi nel muro. Lì non ne trovi.
SCENA V
(La stessa, ma sul far dell’alba. Giocomo è solo. Scalzo e svestito. Indossa solo
le brache bianche di Pierrot. Se ne sta buttato su un divano. In abiti
borghesi, entra Bernis. Ha con sé una cartella di cuoio. Si siede. Raccoglie di
terra il libro delle stampe, lo fa scivolare sul divano affianco di Giacomo
che, riscosso, si sveglia)
BERNIS: La luna si è eclissata, amico mio. E anche Giove. Col Carnevale, e
tutta la baraonda.
(Giacomo, vedendolo, si alza svelto in piedi)
GIACOMO: Ah, Eccellenza. La vostra amica, con la mia... è già parecchio
che-che... ma mi ha fatto intendere che per me non c’era fretta.
BERNIS: Ve l’ha fatto intendere da parte mia. Vi ho chiesto di raggiungermi, ma
sto partendo per Padova. Non mi avreste trovato.
GIACOMO: Ma venerdì rimane?...
BERNIS: Beninteso. Ma sarà il nostro ultimo convivio. La mia partenza d’oggi è
anticamera di un abbandono. Venerdì qui, poi in Francia. E mi dicono per
molto.
GIACOMO: Non siete voi a volerlo?
BERNIS: C’è chi ha potere, e chi autorità. Io ho l’una, ma non l’altro. I piani
del mondo mi chiamano altrove. De toute façon... venerdì è troppo in là, e a
voi certe cose serve di saperle prima.
GIACOMO: Per qualcosa che serve a voi?
BERNIS: No, a voi. Come lacché ne ho di migliori.
(Bernis gli offre una presa di tabacco che viene accettata, e si sofferma a
notare se l’altro la mastichi o la fiuti. Cosa che Giacomo fa)
BERNIS: Avete più gusto di vostro cognato.
GIACOMO: Quell’impostore!
BERNIS: Già, non lo amate. O sua sorella non avrebbe paura che possiate
ucciderlo.
GIACOMO: Pensavo che il nostro fosse un intrigo amoroso, non poliziesco.
BERNIS: Da questo a quello. (Va alla cartella. Mostra delle carte) Sapete che
sono?
(Giacomo annuisce)
BERNIS: Prendete. Erano vostre, e tornano vostre. (Giacomo le prende)
Sparpagliare pegni di gioco quando il Gran Consiglio ha chiuso anche il
Ridotto, è come farsi maldicente di se stesso.
GIACOMO: Questi li ho rimessi solo a chi consoco, amici di cui mi fido
totalmente.
BERNIS: Intanto eccoli qui come denunce a piede libero. Sono magistrato, e so
di che parlo. Venezia può essere severissima, e con voi non sarebbe affatto
indulgente.
GIACOMO: Ditemi il prezzo.
BERNIS: Trecento zecchini.
GIACOMO: E’ enorme, non posso.
BERNIS: Ma ho potuto io. Già dati.
GIACOMO: A chi? Ve li rifonderò.
BERNIS: Toccava a me. Me l’imponeva la parte che ho deciso di recitare in
questa tresca. Quei pegni li ho comprati dal fratello della nostra sultanina.
E’ lui a manovrare il traffico dei documenti che vi riguardano. Articoli che,
di questi tempi, vanno a ruba.
GIACOMO: (Alludendo ai pegni) Son tutti?
BERNIS: Quasi tutti. Voi parlate solo dei vostri amici. La si direbbe una
schiera foltissima. Sarà perché vi ficcate dentro pure i vostri nemici.
GIACOMO: Non so di averne.
BERNIS: Mariti traditi, niente?... E l’Abate Chiari, di cui ti ostini a far fischiare
le commedie?
GIACOMO: E’ lui che mi aggredisce con i suoi libelli!
BERNIS: E tu gli svuoti le platee. Quello è un vecchio che con te si diverte,
ma i suoi impresari no, e alle loro borse ci tengono. Poi anche dei tuoi
oroscopi si parla molto. Quel tuo mezzo cognato m’ha proposto di procurarmi dei
libri alchemici che ti appartengono. Come può darli a me, può darli a mille. E
mille a cui darli, li trova presto. (Dandogli altre carte) Anche queste son per
te. Il saldo dei pegni prevedeva che mi facessi carico di alcune sue cambiali.
Ho lasciato che tre cascassero in protesto. Le più gravi. Qui si è esposto con
la gilda dei fornai, qui con Mocenigo, e qui con Bragadin, uno che ti è amico
sul serio. Con queste lo puoi fermare oggi stesso. Ma innanzitutto, via da casa
sua! Perché continui a stare da chi ti vuole cucinare a dovere? Vattene e
denuncialo. Chiedi a Bragadin che lo faccia trasmettere a giudizio. Il fuoco è
articolato, ma l’incendiario non è che uno.
GIACOMO: Parlavate di tresca. Anche questi fogli potrebbero farne parte.
BERNIS: C’est formidable! Chi è che accusi? Me?
GIACOMO: Io accuso il vostro accusare chi mi accusa. Mi domando perché dovrei
crederci.
BERNIS: E io mi domando perché ti convenga non farlo.
GIACOMO: So che, forse, converrebbe a voi che io ci credessi.
BERNIS: Detta così, è detta a metà.
GIACOMO: Può essere che la mia Caterina cominci a interessarvi più della vostra
Maddalena, e che vi piaccia mettermi in rotta con la sua famiglia.
BERNIS: Ma se quelle donne sono già nostre entrambe!
GIACOMO: Mia moglie, mi spiace, non ve la lascio.
BERNIS: Una sfida morale, dunque!...
GIACOMO: Solo una scelta.
BERNIS: No, affatto! Ora ti vedo per bene tutto intero. Tu sei una creatura
terribilmente pigra, mon Pierrot. Se il desiderio ti preme sei capace di tutto,
ma per il resto... ti stanchi con niente, anche solo a difenderti. Perciò,
sprofonda pure nelle tue inerzie. Sono la lussuria che preferisci. Peccato...
per venerdì avrei voluto saperti libero.
GIACOMO: Non vi ho ancora detto se sarei venuto comunque.
BERNIS: Almeno, libero di decidere. Se non altro, per devozione a Maddalena...
GIACOMO: Materia che s’è fatta più mia che vostra.
BERNIS: Destinata a farsi morta sia per me che per te.
GIACOMO: Siete voi ad andarvene, non io.
BERNIS: Il che vale il tuo restare, ma senza di me. Non potrai più vederla. O
quali altri appoggi pensi di trovare per farla uscire da Murano come ha potuto
sino adesso?... L’autorità, spesso, sa camuffarsi da potere. E’ questo che ci
ha regalato i nostri svaghi, Giacomo. Non altro.
GIACOMO: So quel che ho, e quel che ho è la mia certezza. Lei è la mia
certezza.
BERNIS: Virtù da vero libertino essere un funambolo del presente, ma cieco ai
paesaggi del futuro. La tua storia con lei finisce con la mia, il cui epilogo è
fissato per venerdì. Se sai apprezzare i diletti di certi addii, battiti per
esserci. Ferma tuo cognato. Subito, però. Appena uscito di qui. - A’ bientot.
(E va)
GIACOMO: A noi due, Casanova... sei giocatore? Gioca. La posta è questa bella
storia che hai tra le mani. Ti dicono: “A starci dentro rischi”, e tu che fai?
Ti scansi o stai?... Stai. A volte un fiume che scorre, vuol esser lento, e io,
ora, ho una gran voglia di esser lento. Spinto dal vento. Ma arriva un
benefattore, e mi costringe a scuotermi. (Gridando verso la porta) No, Abate
caro, non andrò da Bragadin! Grazie, no. Non mi faccio nemico di mia moglie,
perdio! Sì, moglie!... Un mio giuramento sarà meno forte di una benedizione
celeste?... Per niente. E io alla mia cucciola l’ho giurato. All’altra no.
Eccomi spaccato tra una donna e un’altra. In due! Qui, forse libero. Lì, forse
ai piombi. Amo Maddalena come un’aurea vacca, e non ho altri doveri con lei se
non di farle quello che le faccio. Amo Caterina come un gregge di pecore: me ne
basterebbe una, ma debbo curarle tutte. E’ una bella storia e mi va di esserle
fedele. Ah, mia piccola storia... a preservarti sarà sufficiente credere che in
te non vi sia nulla di onesto. Neanche la provvidenza di un falso benefattore
(butta via le carte). E ora, niente di meglio che augurarsi ‘buonanotte’ in
pieno giorno.
(Si sdraia di nuovo sul divano a riprender sonno. Attorno a lui, una pantomima.
Nella penombra del salottino compaiono a passi di danza Maddalena, Caterina e
Bernis. Giocano, ridono, scherzano, si toccano e si baciano. Nei loro volteggi,
porteranno via prima una sedia, poi un’altra, e un’altra ancora. Infine, la
tovaglia dal tavolo, che si rivelerà essere quello della prima scena del primo
atto)
SCENA VI
(Laguna. Presso un imbarcadero. Maddalena e Caterina ammanetallate nella
nebbia. Una di fronte all’altra. Tra loro, alcune borse da viaggio. Non
possiamo dire a chi delle due appartengano)
MADDALENA: Quanto sembrava lontano nel futuro il nostro venerdì quand’eravamo
tutti e quattro insieme!... L’unica volta insieme. E ora, quanto già sembra
lontano nel passato!
CATERINA: A me però è piaciuto. Debbo pentirmene?
MADDALENA: Offenderesti il piacere che ci è stato dato.
CATERINA: Povero Giacomo... non può immaginarselo quante cose siano cambiate!
MADDALENA: La sua discrezione ha reso tutto più facile, tranne questo saluto.
CATERINA: E’ da quella notte che non sa più nulla di me. Non ho avuto neanche
il coraggio di scrivergli.
MADDALENA: Io sì. Gli ho raccontato quello che è successo. Era ancora una
lettera felice. Non so come sarà la prossima. La partenza del nostro buon amico
è un evento che ci sovrasta.
CATERINA: Quando ne troverò il coraggio, lo farò pur io. Ne soffrirà.
MADDALENA: Ma non crescerà per questo. E’ così paurosamente femmina!... Più si
sente trascinato, più mugola di piacere. A lui il destino non piace prenderlo a
scudisciate come un cavallo da tiro. Non darti pena. Noi stiamo scegliendo la
concordia anche a nome suo. E che sia per sempre.
CATERINA: Ti sto rubando qualcosa, Maddalena?... Dimmelo.
MADDALENA: Solo quello che ti ho consentito di prendere.
CATERINA: E che mi ricorderà a ogni istante la tua assenza. E la sua.
MADDALENA: Fa’ quello che vuoi, poiché quello che vuoi è quello che devi.
Giacomo lo sa. (Carezzandola sul volto) Caterina... dolce Caterina. La
ricchezza delle donne è inesauribile.
SCENA VII
(Giacomo si sta levando i panni residui del costume accingendosi pigramente a
indossare abiti borghesi. Entra Pietro con aria allarmata e si mette a ronzare
nervoso attorno all’altro che non lo degna di uno sguardo. Ha una busta tra le
mani)
PIETRO: Buona toletta!... E’ un’eternità che te ne stai chiuso in camera. Senti
il tanfo, non si respira.
(Giacomo si volta lento a squadrarlo da capo a piedi)
GIACOMO: Cos’è quella faccia da bandito?
PIETRO: Se tu dormi che è una bellezza, c’è chi non ha questa fortuna.
GIACOMO: Chi dorme non disturba.
PIETRO: Invece sì! Mi disturba, eccome, il tuo non far nulla a casa mia. Perché
rimani? Caterina non la vedi da più di un mese! Prima ti servivo perché c’era
lei, ora a che?
GIACOMO: Chi è che serviva a chi?... Tu a me?
PIETRO: Sì, da ruffiano! Mi avessi mai degnato di vedermi in altro modo!... Ah,
quante volte mi son dovuto ricacciare le risposte in gola! Beh, vuoi saperlo?
Ne ho abbastanza.
GIACOMO: E dunque?
PIETRO: Dunque cosa? Dunque, via! Ma oggi, ora, subito!
GIACOMO: Riparliamone domani. Sono stanco, non ne ho voglia.
PIETRO: Stanco!? E di che? Di trascinarti dalla sedia al letto?... Sei il più
diffamato dei veneziani, e io non me lo merito di essere coinvolto nella
vergogna che ti tocca.
GIACOMO: Fammeli tu i bagagli. Ma sei pregato di metterci dentro anche i libri
che mi hai fatto scomparire.
PIETRO: Io?... Qui tutto quello che manca, te lo sei perduto a zecchinetta.
GIACOMO: Non i miei libri.
PIETRO: Va bene, dammi pure del ladro!... Anche lo fossi, dimmi tu chi
spenderebbe un soldo per quelle scartoffie da stregoni!... (Poggiando brusco
una busta sul tavolo) Questa da lei. Poi dimmi che ti dice di sé. In casa
vorremmo saperlo. (Fa per andare)
GIACOMO: Vieni qua. (L’altro, bloccato, non si azzarda a muoversi) Forza!...
Anch’io ho da darti qualcosa.
(Infine Pietro, timoroso, gli si accosta. Giacomo gli passa alcune carte
appallottolate)
PIETRO: (Con occhi sgranati) Le mie cambiali!
GIACOMO: Pagate.
PIETRO: Perché da te?
GIACOMO: Perché la cosa restasse in famiglia.
PIETRO: Beh, ma... tu com’è che...? Cioè, a queste... come ci sei arrivato?
GIACOMO: Amici comuni. O nemici comuni, fa’ tu.
(Pietro lo fissa. Forse, capendo benissimo)
PIETRO: Nemici, Giacomo!... Noi, ora, abbiamo solo nemici. Dappertutto.
Vattene. Ti prego, ascoltami... vattene in fretta.
(E si allontana. Giacomo si mette a sedere sul bordo del letto e apre la busta)
GIACOMO: (Leggendo) “Splendido marito mio, posso ancora chiamarti così?... - Ma
sentitela! Poco ci manca che il foglio arrossisca al posto suo. - (Leggendo) Ti
scrivo a quattro settimane dalla nostra dolorosa ma opportuna separazione. -
‘Opportuna’... non c’è che dire, parola che sa di alta diplomazia. - (Leggendo)
Parigi è uno strepito di luci, e il caro Bernis si rammarica spesso della tua
riluttanza a farci visita.’ - Guitto!.. Tutti guitti. - (Leggendo) “E’ davvero
un uomo incantevole, e mi offre molto. Sa il cielo quanto avrei preferito il
tuo poco, ma quello ormai disperavo di averlo. Non è stato certo il mio ‘sì’ a
spingermi con lui in Francia, ma il tuo silenzioso ‘no’. Sta’ certo che non
amerò altri che te, e che tu sarai sempre il solo padrone del mio cuore.” - Il
resto in condomino. Sei cresciuta, lucherino... il cielo è tuo. Scrivimi pure
quanto vuoi, le tue lettere non diverranno mai il mio rosario. (Prendendo un
foglio sgualcito da sopra il letto) Queste, invece, sì.
(Luce su Maddalena, in abiti da monaca)
MADDALENA: (Con naturale gaiezza) Amore mio... sembravi così convinto del tuo
‘verrò’, che il non vederti mi ha quasi commossa. Sicché Bragadin ti voleva con
sé!... Deliziosa bugia. Ti applaudo. E’ uno splendido dono che hai voluto fare
al nostro amico in cambio di quello che lui ti ha fatto lasciando che la sua
Maddalena ti donasse tutto di sé. Mi sei mancato, ma è pur vero che se tu fossi
venuto non ci saremmo divertite molto. Caterina adesso è disinvolta come noi.
Posso vantarmi di avertela proprio educata a dovere.
GIACOMO: Educata non c’è dubbio... per qualcun altro. Ma che importa, se tanto
ormai è chiaro che saresti tu la prediletta!... (E prende un secondo foglio,
altrettanto sgualcito) Su... ripetimi ancora le tue parole più vere!
MADDALENA: (Calando un velo sul volto. Parla con tono ben più melanconico) E’
accaduto. Dalla mia ultima lettera a questa, è accaduto. Il nostro provvido e
generoso protettore è tornato in Francia. Per sempre. Il che farà del monastero
la mia dimora perenne.
GIACOMO: (Citando a memoria) “E della Venezia in cui tu sei lontano da me, un
altro carcere fuori di qui.”
MADDALENA: Soffro nel corpo come nell’anima. E il dolore non mi fa più
distinguere questa da quello.
GIACOMO: (c.s.) “Siamo nel nostro dopo. Quanto già rimpiango l’averti suggerito
di non venire! Triste amore il nostro, mutilato del suo ultimo saluto...”
MADDALENA: ... Triste amore il nostro, mutilato del suo ultimo saluto. A ogni
immagine sacra che mi fronteggia dalle penombre di qui dentro, io mi soffermo e
imploro: “Ridammi l’istante in cui l’ho dissuaso! Che io possa scongiurare quel
venerdì disabitato da lui... vuoto dei suoi sospiri, della sua voglia d’avermi,
del suo pianto mescolato al mio.” Oh, Giagomo... spartire questo addio per lettera
trasforma in lutto la gioia consumata. L’avvenire non mi offre che la propria
fine, e un lento distillare veleno dall’ambrosia che bevemmo. Così è già da un
mese, così sarà per anni.
(Buio su Maddalena)
GIACOMO: Istupidirmi rileggendoti, non mi rimane altro. E nulla in me che
annunci il più flebile ‘basta!’. Intervenga la vita, da me non ci riesco.
(Tornando alla lettera di Caterina) Adorabile C... anche le carezze della tua
sintassi si perdono nella nebbia del ‘troppo tardi’. Tu avevi senso se c’era
lei... lei poteva se c’era lui... e lui voleva se c’ero io. E io?.... Bevuto
nella girandola come un bicchierino d’anice.
(Rumori di sotto, di scalpiccii e di cose rovesciate.
Rientra Pietro, quasi a precipizio)
PIETRO: Giacomo, ma chi mi fai venire in casa? Ci sono le guardie di Messer
Grande.
(Nessuna reazione) Oh! Mi senti?... Giù, di sotto! Ti vogliono a Palazzo.
GIACOMO: (Distrattissimo) Ah, sì...
PIETRO: Come ‘Ah, sì’?... E’ te che cercano.
GIACOMO: E quanti sono?
PIETRO: Un’intera banda d’arcieri del Tribunale. Lo sentivo io che ci stava per
cascare il cielo sulla testa.
GIACOMO: Tu non ti sentivi un bel niente, tu lo sapevi.
PIETRO: E se lo sapevo, ho fatto di tutto per avvertirti.
(Il frastuono si fa sempre più forte)
GIACOMO: Poiché avvertire è il tuo mestiere, vagli a dire che scendo.
PIETRO: Ma ti porteranno in galera!
GIACOMO: Mi hai messo nell’unica camera senza finestre, che pretendi?...
Neanche posso arrampicarmi. Ma non vantarti per quello che mi accade. Persino
la tua infamia è un giocattolo tra le mie mani.
PIETRO: Io, sul mio onore, non ho fatto nulla contro di te.
GIACOMO: E allora, sul tuo onore, salvami.
(Pietro non sa che rispondere. Poi esce di corsa)
GIACOMO: Ma sì. E’ stato perfetto... perfetto... così dice il giorno dopo del
giorno prima, se il giorno prima è stato felice, e il giorno dopo non rimpiange
nulla.
(E va. O buio)