I vincitori

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Sul palco una struttura simile al podio olimpico , con i tre gradini per il primo , il secondo ed il terzo ; solo le dimensioni sono maggiori e sulle tre pedane si può muovere qualche passo , è anche più alta e , stando seduti , ci si può comodamente app

I Vincitori – opera depositata – cod. S.I.A.E. 156654

Lui – il reduce

Lei – la profuga

Il Guerriero

Sul palco una struttura simile al podio olimpico, con i tre gradini per il primo, il secondo ed il terzo; solo le dimensioni sono maggiori e sulle tre pedane si può muovere qualche passo, è anche più alta e, stando seduti, ci si può comodamente appoggiare.

Le tre posizioni sono occupate: la più alta dal GUERRIERO, è un bel giovane con indosso una divisa non identificabile composta da parti di divise di vari eserciti del ‘900, è il solo pienamente illuminato, maneggia con cura e passione una incongrua spada corta romana della quale saggia il filo con il dito, ma la lama lo taglia e lui lecca con la lingua la stria di sangue.

In posizione due: LUI – IL REDUCE, barba lunga, cappotto liso, guanti di lana senza dita, ai piedi scarpacce sfondate tenute insieme da brandelli di una coperta, si soffia continuamente sulle mani, poi le stringe sotto le ascelle per scacciare un freddo che sente solo lui, poi scende e si siede sul palco appoggiando le spalle alla pedana e si raggomitola tremando.

In posizione tre: LEI – LA PROFUGA, anche lei indossa un cappotto simile a quello di LUI, ma se possibile ancora più sporco, i capelli sono arruffati, il viso pesto con segni di percosse, sotto al cappotto si indovinano i resti di un vestito elegante strappato e sudicio, con le mani LEI si stringe il cappotto addosso per coprire lo sfacelo che c’è sotto, è seduta sulla pedana si dondola in un movimento continuo e inquietante nella sua meccanica ripetitività, si lamenta piano e a volte da quei suoni indistinti emerge un brusco ordine: “Frau Komm!”

IL GUERRIERO – (dopo aver finito di pulire e ripulire la sua lama, assume la posa della Giustizia, poi non contento quella di un monumento al Condottiero, soddisfatto si congela e declama) Gli slavi non sono esseri umani… sono i portatori di un seme infetto, senza il minimo barlume di spiritualità… destinati a servire, a servire noi: i vincitori, i fondatori di una nuova umanità, dal sangue puro, che saranno a fianco degli dei il giorno non lontano dell’ultima battaglia…(si spegne la luce su di lui , ma prima che si accenda sul reduce sentiamo una cacofonia di marce militari , rombo di carri armati , aerei in volo e l’inconfondibile rumore di un esercito che marcia)

LUI – (trema ancora dal freddo, poi quando viene maggiormente illuminato, sembra calmarsi tende le mani ad un fuoco immaginario ed inizia a raccontare) Ero proprio bello con la divisa, quando mi mettevano a far la guardia alla porta della caserma a Milano… ero partito dal mio paese per fare il servizio militare, un paese piccolo… in mezzo alla campagna, ora ero a Milano, Milano! Non mi pesava fare la guardia, stavo impettito per ore nella mia bella divisa nuova e guardavo, guardavo le automobili (al paese quando ne passava una tutti venivano fuori dalle case o dalle botteghe, anche i bambini del catechismo uscivano a guardarla) i tram… e la gente… e le ragazze! le ragazze! Con quelle gonne corte, ma corte che si vedeva tutto un pezzo di gamba da sotto il ginocchio al piede… per il mio buon stato di servizio mi regalavano il biglietto per la Scala o per la partita… il cinema o la rivista (canta, con una bella voce piena di malinconia Parlami d’amore Mariù…la voce si spegne in un singhiozzo).

IL GUERRIERO – 22 giugno 1941! le armate corazzate della Grande Germania con il supporto di contingenti dei paesi alleati invadono l’Unione Sovietica sfondando con un poderoso colpo di maglio le difese bolsceviche dal Mar Baltico al Mar Nero. La marcia inarrestabile per la conquista del nostro Spazio Vitale ci porterà in poche settimane a Mosca, a Leningrado, a Stalingrado! Il seme infetto sarà estirpato dalla faccia della Madre Terra ed il più adatto, come è giusto, dominerà per mille anni!

LUI – Dopo l’addestramento ero stato in Francia, poi in Jugoslavia… ai primi di luglio arriva l’ordine di rientrare per prepararci a partire per la Russia… la Russia! Oh Madonna… dov’è la Russia? Là da qualche parte… lontano… lontano dal mio paese, dai miei vecchi, da Maria, la Maria  sono già due anni che mi aspetta… ci dovevamo sposare a maggio (risate, scampanio festoso, brindisi) e invece io sono qua, che devo partire per la Russia, per fortuna ci hanno dato tre giorni di licenza…

IL GUERRIERO – Partenza per il fronte russo, 14 luglio 1941

LUI - Verso le otto della sera  finiamo di caricare sulla tradotta centinaia di cavalli e cannoni, io ho in consegna un autocarro da combattimento per il trasporto di una pattuglia d’osservazione  e collegamento. Il mio gruppo è comandato da un maggiore di Milano e da un capitano di Mantova (scatta sull’attenti , si signore! comandi! Tutto come da ordini!)… siamo  250 artiglieri. Prima di partire il comandante ci raduna sul marciapiede della stazione per farci un bel discorso, parla bene, pulito, senza errori…

IL GUERRIERO – (ripone la spada dietro la pedana, sorride bonario) Soldati! durante il viaggio  attraverseremo  alcuni Stati alleati e quindi vi dovete comportare bene, per l’onore della bandiera ! Vi voglio sempre educati e gentili con le popolazioni che incontreremo… e ricordate che per chi sgarra c’è la Corte Marziale…

LUI –  Ci distribuiscono carne in scatola e gallette per il viaggio e poi la tradotta parte… (rumore di un treno a vapore che si stacca dalla banchina, LUI saluta con la mano) arrivederci… arrivederci… torniamo… torniamo! (in un sussurro) ciao Maria… (riprende a narrare con voce normale) all’alba arriviamo al Brennero. La tradotta si ferma una mezz'ora per il cambio della locomotiva. Poi dopo altre ore di viaggio la tradotta arriva alla stazione di Vienna… un'ora di sosta… i soldati addetti ai cavalli con i secchielli danno da bere alle bestie (buono Morello! Buono…che tra qualche settimana si arriva, si vince la guerra e si torna! Dai bevi che ci sono anche gli altri), altri invece vanno nei bar per fare provvista di birra. Nel pomeriggio il treno passa lentamente su di un ponte sul Danubio vicino Budapest e si ferma in attesa del disco verde per entrare nell'area di smistamento. Una folla di gente sta sulla sponda del fiume, chi prende il sole e chi fa il bagno appena si accorgono che siamo soldati italiani in viaggio per il fronte russo alzano le mani salutandoci e gridando:  “Viva Hitler!”. Dopo qualche ora di sosta nell'area di smistamento la tradotta continua la sua corsa verso est viaggiando tutta la notte ed il giorno seguente in territorio ungherese. Poi si ferma in mezzo ad un bosco vicino al confine romeno dove c'è uno scalo ferroviario fatto con travi di legno. Finito di scaricare tutto il nostro materiale bellico continuiamo il cammino con i nostri mezzi ed entriamo in Romania.

LEI – (durante tutto questo tempo è rimasta rannicchiata su se stessa, dorme, ma il suo sonno è agitato da incubi, ogni tanto geme, ora si sveglia di colpo urlando) Non vi avvicinate! No! No! Io sono Leni, io sono Gretchen, io sono Eva, io sono tedesca! (piangendo ritorna nella sua posizione iniziale)

LUI - Dopo diversi giorni di cammino attraversiamo il confine russo facendo tappa in Ucraina nei dintorni della città di Balta occupata dalle truppe tedesche e romene all'inizio della guerra. La gente dei villaggi viene a guardare chiedendoci sigarette (papiroska! papiroska tovarisc), ma difficilmente ci si comprende; tutti i giorni si fa una marcia di 40 o 50 km per non affaticare i cavalli  che  tirano  i cannoni… si deve raggiungere il fronte dove i tedeschi si stanno battendo… (spari , urla , ordini)

IL GUERRIERO - I tedeschi non sono esseri umani! D'ora in avanti il termine tedesco è per noi tutti  la maledizione più orribile, d'ora in avanti il termine tedesco ci spinge a scaricare un'arma. Noi non parleremo. Noi non ci commuoveremo. Noi uccideremo. Se nel corso di una giornata non hai ucciso nemmeno un tedesco allora per te è stata una giornata persa. Se tu credi che il tedesco invece che da te sarà ucciso dal tuo vicino, allora non hai capito il pericolo, se non uccidi il tedesco sarà il tedesco ad uccidere te. Egli arresterà i tuoi e li torturerà nella sua dannata Germania. Se tu non sei in grado di uccidere con una pallottola il tedesco allora uccidilo con la baionetta. Se nel tuo settore c’è tregua e non è in corso una battaglia allora uccidi il tedesco prima della battaglia. Se lasci in vita il tedesco, il tedesco ti impiccherà e disonorerà la tua donna. Se tu hai ucciso un tedesco allora  uccidine un secondo. Per noi non c'è nulla di più piacevole dei cadaveri tedeschi. Non contare i giorni, i chilometri, conta solo una cosa: i tedeschi che hai ucciso. Uccidi i tedeschi! Questo implora la tua vecchia madre. Uccidi i tedeschi! Questo implorano i tuoi figli. Uccidi i  tedeschi! Così grida la nostra madre terra. Non perdere l'occasione! Non sbagliarti! Uccidi! I tedeschi malediranno l’ora in cui calpestarono la nostra terra. Le donne tedesche malediranno l'ora in cui partorirono i loro feroci figli. Noi non malediciamo. Noi siamo sordi. Noi ammazziamo.

LUI -  La mattina del 28 agosto verso le quattro del mattino, tre o quattro commilitoni si alzano per fare il caffè quando un aereo russo vedendo un fuoco nel buio sgancia delle bombe (esplosioni, LUI si butta a terra coprendosi il capo con le braccia) esplodono vicino agli autocarri… noi autisti che eravamo sopra i cassoni a dormire dallo spavento usciamo fuori correndo in mezzo alla campagna, quando il maledetto aereo se ne va  rientriamo tutti all'accampamento… sul terzo autocarro dopo il mio due nostri compagni sono morti. Uno era un radiotelegrafista di Milano, una scheggia gli ha staccato un braccio e poi è entrata  nello stomaco… (ha gli occhi sbarrati, guarda davanti a sé come se vedesse i corpi mutilati dei suoi amici) l'altro è un autista di Novi Ligure colpito da una scheggia alla testa. Il comandante ci ordina di scavare una fossa sul ciglio della strada (rumore di pale che scavano) e dopo averli seppelliti e messo una croce di legno con sopra gli elmetti rendiamo gli onori con le armi (si mette nella posizione, con le mani ricrea il fucile e fa pum! Quattro o cinque volte). Poi ci rimettiamo in cammino, ma nessuno ha voglia di parlare. Ognuno pensa al suo destino… pensa a casa (una lunga pausa) Ci siamo! Zona di combattimento! Verso la mezzanotte noi della divisione celere dobbiamo schierarci lungo il fiume per un tratto di circa 30 km arrivando fino ad una città per prendere il posto dei tedeschi che vanno a combattere in un altro settore del fronte. Mentre con l'autocarro a fari spenti vado verso il fiume incontro dei soldati tedeschi che gridano qualcosa…

IL GUERRIERO – (con un duro accento teutone) Italiani! I russi vi ammazzano tutti!

LUI -  (si mette dietro la pedana e sbircia verso il pubblico) per tutta  la notte dalla sponda del fiume si sente arrivare solo qualche colpo di fucile. Nelle prime ore del mattino la vallata  lungo il fiume è immersa in una fitta nebbia che impedisce la visibilità. Quando il sole la dissolve comincia il fuoco dell'artiglieria russa dall'altra parte del fiume… i miei compagni che hanno nascosto i cannoni in un campo di girasoli rispondono al fuoco… in poco tempo la nostra zona diventa un inferno (con la bocca ed il mulinare delle braccia tenta di rendere l’idea di un fumigante caos di esplosioni poi si ferma ansimante e senza fiato). Le granate scoppiano da tutte le parti e le schegge mi fischiano nelle orecchie (fischia e abbassa il capo per non farsi colpire) per ripararmi mi metto sotto il motore dell'autocarro… tra una ruota e l'altra… non penso a che fine farei se una scheggia di  granata incendiasse il serbatoio del motore o i fusti di benzina di scorta o le casse di munizioni piene di proiettili e bombe a mano. Per un'ora restiamo sotto il tiro violento dell’artiglieria nemica  poi cambiano bersaglio, il capitano del nostro gruppo profittando della tregua con la moto fa un giro d'ispezione in tutti i nostri appostamenti sparsi nella campagna… per il primo giorno di conflitto siamo stati fortunati: nessun morto… soltanto qualche ferito. Visto che c'era calma penso di prendere una vanga e mi scavo una tana sottoterra… così di giorno faccio la vita del topo… di notte esco e vado a mangiare qualche scatoletta di carne… ho vent’anni… voglio vivere (urla) voglio  vivere! (ancora più forte) Vivere!

IL GUERRIERO –  I Cavalieri dell’Apocalisse hanno voltato i teschi ghignanti e sorridono al nemico… Lo hanno fatto... lo faranno... che importa? Importa l’eternità del dolore ….

LEI – (sempre con quello spasmodico serrarsi delle mani che chiudono gli strappi del cappotto da cui si intravedono lembi di pelle pesta e sanguinante, brandelli di un vestito di pregio, gli occhi bassi, la voce sussurrante che ha sobbalzi e scarti improvvisi, gli occhi bassi che quando si alzano si socchiudono per la paura della luce, se toccano lo sguardo di un uomo (nel senso di maschio) scartano come cavalli imbizzarriti, non si sa a chi rivolge il suo  racconto  a  tutti, a nessuno…)

Il 13 febbraio, giorno dell'ingresso dei sovietici in città, restammo in cantina sino alle 20 indisturbate, poi sentimmo dei passi e tanto era il terrore che non osavamo respirare… comparvero quattro soldati che dapprima si comportarono sopportabilmente, presto però divennero un po' troppo intraprendenti verso di me e verso una giovane signora che era con noi, all'improvviso ci chiamarono: ”Frau Komm!”. Non risposi. Al terzo ordine, spazientito, il soldato mi afferrò per un braccio e mi diede un calcio tale che volai sino alla porta della cantina. Un altro malmenò la signora Keil e poi se la trascinò dietro costringendola a portare con sé la figlia. Anche tua mamma e tua sorella dovettero andare. Cosa poi ci capitò non occorre che te lo descriva… andò avanti tutta la notte sino al mattino, una cosa bestiale. Io tornai per prima nella cantina e là trovai gli anziani coniugi nostri vicini uccisi e con gli occhi strappati, si erano opposti a lasciare andare con i soldati  la cognata e il nipotino. Verso le 10 ci fu un po' di tranquillità e ci recammo nell'appartamento della signora Keil la cui figlia undicenne era stata pure violentata. Ci cucinammo qualcosa da mangiare, ma in quel mentre udimmo nuovi passi e si ricominciò daccapo. Pregavamo, urlavamo di lasciarci in pace, ma non avevano pietà. Ci accordammo allora di impiccarci, ma ne sopraggiunsero altri. Quando finalmente anche costoro se ne andarono eravamo pronte. Ognuna di noi si era procurata un coltello ed anche un lenzuolo era pronto. La signora Polowski si impiccò per prima. La signora Keil  impiccò dapprima la sua bambina e poi se stessa, lo stesso fece tua mamma con tua sorella. Restammo solo noi due: tua mamma ed io, la pregai di fare il cappio anche per me, a causa dell'eccitazione non ci riuscivo… lo fece, ci abbracciammo ancora una volta e spingemmo via con i piedi  il bauletto sul quale stavamo. Mi accorsi di toccare terra con la punta dei piedi, tua mamma mi aveva fatto la corda troppo lunga, provai ancora e ancora perché volevo morire, ma senza riuscirci. Guardai a destra e a sinistra: eravamo appese tutte su di una fila e loro si trovavano bene poiché erano morte. A me non restò che liberarmi dal cappio, cosa che mi riuscì dopo molti tentativi, ero sola e fuggii disperata. Verso Danzica e poi Dresda. (la voce si è andata spegnendo… il GUERRIERO si avvicina e le carezza il volto, è il primo contatto fra i personaggi e sembra gentile, delicato, improvvisamente il GUERRIERO stringe con una mano la gola di LEI che non fa nulla per liberarsi, marionetta disarticolata…ancora stringendole la gola si raggomitolano insieme sulla pedana  quasi a farsi ingoiare dalla terra).

LUI -  Nelle città e nei paesi da loro occupati i tedeschi iniziano ad ammazzare gli ebrei. Un giorno mentre con l'autocarro attraverso la campagna per fare un carico di avena per i cavalli vedo una colonna di camion tedeschi vicino ad una grande fossa… mi fermo, scendo e mi avvicino… stando bene attento a non farmi notare… da quei camion scendono uomini, vecchi, ragazzi e donne con in braccio dei bambini appena nati… vengono accompagnati dai tedeschi vicino alla fossa… poi con una mitragliatrice ammazzano senza pietà tutta quella povera gente (tatatata – tatatata). L'unica colpa  che avevano era quella di essere ebrei.

( SILENZIO, un lungo silenzio, a mala pena si sente il fruscio del respiro, tutto immobile)

Arrivano le piogge, arriva il freddo, già agli inizi di ottobre il campo di battaglia è un immenso pantano frustato dal vento siberiano… Sapete quel fango non è come il nostro, da noi al massimo ti sporchi un po’ le scarpe… quello è fango maledetto, maledetto come tutto il resto di quel postaccio, è nero, pesante, sembra una cosa viva che tenta di risucchiarti all’inferno… splook… splosc, splosc (tenta di rendere il suono di un risucchio) a quella baracca del mio autocarro si era rotto un semiasse, prima che me ne diano un altro devono passare settimane e intanto gli altri ricevono dagli americani milioni di carri armati nuovi di zecca, con una corazza che puoi prendere a testate per l’eternità senza farle un graffiettino… il mio reparto lo ritirano dalla linea del fuoco per  un  periodo di riposo, bel riposo! A far la guardia ad un deposito di munizioni… con il freddo, il freddo che aumenta sempre, sempre ogni giorno, ogni ora, ogni minuto; poi di nuovo avanti verso il nemico: durante la notte faccio servizio di vedetta in un tratto lungo la linea difensiva di circa 2 km rimanendo scoperto non essendoci ripari. Il turno di vedetta è di un'ora… mezz'ora per arrivare vicino alle postazioni tedesche e scaldarsi vicino al fuoco e mezz'ora per il ritorno. Dopo pochi turni i miei compagni sono ricoverati all'ospedale da campo per congelamento ai piedi. Di giorno invece faccio servizio al rifornimento viveri con l'autocarro, vado alla stazione ferroviaria dove arrivano i treni merci carichi di generi alimentari, il vino nelle botti è ghiacciato e bisogna spaccarlo con una  mazza di ferro e mettere i pezzi nei sacchi. Qualche giorno prima di Natale arriva un treno merci  carico di ogni ben di Dio (assapora ogni cibo che nomina, lo sente in bocca, se la riempie e fa fatica a parlare) caffè, zucchero, liquori, panettoni, torrone, cioccolato, sigarette da distribuire ai soldati per le feste natalizie, mentre carico sull'autocarro i pacchi assegnati al mio gruppo l'ufficiale di servizio alla stazione apre la porta del vagone dove c'erano i liquori e trova i due militari di guardia assiderati per aver bevuto troppo… ubriachi si sono addormentati per sempre (china la testa e si abbandona scivolando con le spalle alla pedana).

LEI – (si libera con fatica dal Guerriero che le grava ancora addosso, il Guerriero rimane disteso sulla pedana, LEI sale su quella superiore) A Danzica era un grandinare di proiettili, le case crollavano una ad una in un ammasso di calcinacci e ceneri.  Nella notte molti cercavano di fuggire, un uomo venne colpito in pieno e con carro e cavallo affondò così tanto nel terreno che i suoi congiunti non trovarono resti da seppellire. Il fabbricato dove stavo fu centrato in pieno e un'ondata di fuoco ci investì… a fatica riparandoci con un panno umido la bocca trovammo una via di uscita e nel buio opprimente ed incandescente ci lanciammo alla ricerca di un rifugio. Riparandoci dietro ogni rialzo del terreno non facemmo a tempo ad entrare in un androne che la casa fu colpita… cinque persone morirono sull'ingresso. Ci dirigemmo allora al grande bunker… il materiale depositato bruciava ed esseri umani ardenti come torce si precipitavano fuori di esso…  abbandonammo ogni cosa e fuggimmo verso la centrale del gas… la strada era disseminata di valigie, indumenti e persone ferite, contorte, schiacciate… morte. Dopo numerose deviazioni vedemmo alla fine il fabbricato ricoperto di ardesia in riva al fiume. Ci cacciammo all'interno e trovammo un posticino in cantina... c'erano circa 2000 tra donne e bambini e persone anziane… trascorremmo la domenica e il lunedì mangiando qualche pezzetto di pane, l’aria era  irrespirabile si sentivano solo singhiozzi, lamenti e pianti di bambini.

Il nemico mise a ferro e fuoco la città… nessuna donna fu risparmiata… anche sotto gli occhi dei mariti tenuti a bada con il mitra, ci si nascondeva, ma ci trovavano egualmente; quando un  giovanotto armato di una bottiglia rotta mi si avvicinò e mi spinse in una cabina telefonica, io gli dissi (cerca di parlare con una voce da vecchia): “Vecchia nonna grinzosa”, ma lui rispose: “Nonna deve!”. In quel mentre una giovane madre con tre bimbi che cercava rifugio in una cantina fu scoperta da un gruppo di soldati… uno dei soldati afferrò i bambini per le gambe e li sbatté contro il muro… (tre schianti in rapida successione, che si ripetono una, due , tre volte) Non dimenticherò mai quel rumore… poi la donna fu violentata da tutti i soldati… alla fine fu solo capace di trascinarsi via nel fango a quattro zampe, come un animale ferito.

IL GUERRIERO – (si è rimesso in piedi, sistemata la divisa ed il cappello, con  la mano spolverati i pantaloni, agilmente salta sulla pedana superiore dalla quale spinge via LEI, che, docilmente torna su quella inferiore) E’ la vigilia di Natale 1941. Nelle postazioni italiane tutto era pronto per festeggiare la ricorrenza nel migliore dei modi. Verso la mezzanotte la maggior parte dei soldati è radunata in qualche capannone per ascoltare la messa di mezzanotte celebrata dai cappellani o trasmessa per radio dall'Italia… (marziale, mani sui fianchi, tono da cinegiornale) Tre divisioni russe con due reggimenti di cavalleria siberiana attaccano di sorpresa il nostro schieramento... i combattimenti, violentissimi, continuano ancora all'alba di Natale quando i soldati russi vengono avanti ad ondate successive calpestando i loro morti nella neve.

LUI -  Nonostante le gravi perdite il nemico a  mezzogiorno occupa il paese dove noi eravamo asserragliati, i primi a cadere prigionieri dei russi furono i cucinieri del mio gruppo… in una casupola, sdraiati sulla paglia, c'erano una trentina di bersaglieri feriti che attendevano di essere trasportati all'ospedale… fatti prigionieri vengono uccisi dai russi con un colpo di pistola alla testa (mentre descrive la scena con un utensile dal manico di legno batte colpi secchi sulla pedana simulando gli schiocchi degli spari) e poi gettati sulla neve insieme agli altri morti… compreso un giovane ufficiale medico che si era fermato con i feriti per assisterli. La notte a causa della nebbia c'è una tregua, ma alle prime luci del mattino del 26 dicembre i combattimenti ricominciano con violenza. Arriva la tormenta! Il gelo a più di 40 sotto zero paralizza i combattimenti lungo tutto il fronte. Passiamo il tempo in qualche isba dal tetto sfondato, ricordando l’Italia, ma esistono davvero il sole, il cielo azzurro, il sorriso della mia Maria? Scriviamo lettere d’amore che non sappiamo se arriveranno mai… per festeggiare la fine dell'anno con i miei compagni pensiamo di fare il cenone.  Sapendo che sotto la neve ci sono molti cavalli morti… con la scure taglio una coscia e la porto nella postazione vicino al fuoco per sgelarla… la sera dopo mangiamo quella carne cucinata con patate e aspettiamo la mezzanotte per brindare all'inizio del nuovo anno: il 1942, ma arriva il tenente...

IL GUERRIERO – Quattro feriti da portare all’ospedale da campo! Subito!

LUI - Con l'autocarro a fari spenti seguo il sentiero nella neve segnato il giorno prima da un automezzo cingolato tedesco, seduto al mio fianco ho un caporale, i quattro militi feriti sono sdraiati sulla paglia dietro, sul cassone. L'ospedale da campo è distante una ventina di km…. ne avevo fatto appena un paio quando comincia a soffiare un vento siberiano che solleva nell'aria turbini di neve  che in poco tempo cancellano il sentiero, perdo l’orientamento, tra il buio e quel vento maledetto e finisco in un cumulo di neve restando bloccato. L’unica possibilità di salvezza per tutti e sei è raggiungere una postazione a circa tre km… copriamo i feriti con tutte le coperte che troviamo e poi... Con una coperta avvolta sulle spalle come due fantasmi nella notte di fine d'anno affrontiamo la tempesta… il fiato che esce dalla bocca si condensa sul passamontagna di lana formando un ghiacciolo sotto il naso… un'ora di cammino… stremati dal freddo arriviamo alle postazioni della fanteria, ma non è possibile portare subito soccorso ai feriti. Quando viene l'alba il vento ha finito di graffiarci la faccia, in compenso ci ha lasciato un amico per tenerci compagnia: il gelo a meno 40!  A mezzogiorno arriviamo all'ospedale da campo: una tenda con circa 30 brandine e un fusto di lamiera pieno di legna e carbone per scaldarsi… le ferite dei nostri compagni non sono gravi,  ma  il congelamento dei piedi è troppo avanzato e devono amputare le gambe, a tutti e quattro. La mattina del 2 gennaio siamo in cammino per raggiungere la linea difensiva, durante il tragitto troviamo un autocarro tedesco abbandonato carico di pasta (mentre il racconto precedente è stato fatto da fermo, “congelato”, il ritrovamento provoca una frenesia di giubilo, pacche sulle spalle dei compagni, salti di gioia) la carichiamo sulla slitta… il mio reparto mangerà pastasciutta per alcuni giorni (si getta su di una vecchia gavetta arrugginita mangiando con le mani inesistenti spaghetti. Si ricompone, assumendo, per quanto possibile, una vaga aria marziale) Rimango in linea a combattere tutto l'inverno… davanti alle nostre postazioni c'è un panorama terribile di cadaveri sparsi nella neve…. sembrano fagotti… sull'altopiano quasi tutte le notti c'è tormenta, al mattino quando cessano le bufere la temperatura è di quasi 50° sotto zero, se qualcuno durante la notte si addormenta… non si sveglia più… Sono le morti bianche. Come se la fottuta morte avesse altri colori oltre a quelli della paura e del marcio… In primavera siamo di nuovo all’offensiva e arriviamo al Don.

LEI – Dopo tanto orrore, arrivai finalmente a Dresda. Ci vive mia sorella, sarò al sicuro! La vita tornerà tranquilla, NORMALE! Accompagnerò i miei nipotini al parco, mi laverò, si , mi laverò e sarò di nuovo pulita, PULITA!

LUI – Il nemico, ritiratosi oltre il fiume, si era riorganizzato ed alla fine di agosto passò al contrattacco, nascosto tra le betulle vedo passare ad intervalli gli squadroni della cavalleria al galoppo (cavalca un cavallo immaginario) che si lanciano al massimo della velocità contro le postazioni russe sciabolando mitraglieri e fucilieri. Cavalcando arrivavano alle trincee  nemiche poi  proseguono di slancio e al fiume girano i cavalli per attaccare i russi alle spalle mentre i lancieri di Novara attaccano ai fianchi; i cavalli feriti, sanguinanti che hanno perso il loro cavaliere passano di corsa vicino a dove sono nascosto per perdersi nella steppa. Dopo 6 ore di violenta carneficina il Savoia Cavalleria conclude la sua ultima carica… che sarà l’ultima carica di cavalleria della  storia italiana… le perdite russe sono circa di 300 morti e 200 feriti, inoltre facciamo 500 prigionieri, in questa battaglia la nostra cavalleria perde metà dei suoi effettivi e moltissimi ufficiali. I nostri squadroni, con le sciabole sguainate (sguaina uno dei suoi arrugginiti utensili), incitati dai trombettieri (una tromba suona la carica) al grido di: “AVANTI SAVOIA!” corrono  incontro alla morte.

IL GUERRIERO – Per Dresda, città d’arte chiamata l’Atene dell’Est, totalmente indifesa e piena di profughi, il Maresciallo dell’Aria Harris, chiamato amichevolmente “Butcher” Harris, Harris il Macellaio, ha studiato un bel programmino: tre ondate di bombardieri che devono scaricare bombe incendiarie e dirompenti in un ordine preciso in modo da scatenare furiosi incendi. (professorale, forse tirando fuori una lavagnetta e disegnando i moti dell’aria provocati dalle bombe) E’ il massimo della tecnica di distruzione poiché gli incendi arroventano l'aria soprastante e questa alleggerendosi riceve una violenta spinta come fosse aria compressa risucchiando ossigeno da tutta l'area circostante il focolaio, ne nascono tempeste di fuoco con temperature vicine ai 1000°,  inarrestabili.

Dopo che la prima ondata di bombardieri ha colpito in un raggio di 28 km interi quartieri bruciano come fossero di carta;  piazze e strade sono un mare di fiamme, gli alberi si contorcono come esseri umani torturati, solo pochi sopravvivono a quell’inferno. Puntuali 3 ore dopo giungono i 500 bombardieri delle flotte del secondo attacco. In circa 10 minuti scaricano i loro micidiali ordigni e riprendono la rotta verso casa, nelle loro cabine  arriva il calore soffocante delle alte fiamme che infuriano su una superficie di circa 100 km². Alla stazione, le fiamme investono le scale, si infilano nei corridoi, nelle sale e negli ascensori e si appiccano alla gente, scendono nei sotterranei e in quei locali privi di ventilazione formano vapori velenosi che uccidono di morte lenta più di 500 persone mentre altri infelici annegano nell'acqua bollente che esce dalle installazioni del riscaldamento centrale esploso. Albeggia quando 300 fortezze volanti scortate da un buon numero di caccia prendono il volo con rotta su Dresda, terza ondata, la raggiungono a mezzogiorno e la bombardano per un quarto d'ora distruggendo quel poco che ancora si può distruggere… sui viali lungo l'Elba e nei  parchi sostano in quel momento decine di ambulanze della Croce Rossa e mezzi di soccorso in arrivo da tutte le regioni vicine in risposta all'appello alla radio che le autorità sono riuscite a lanciare. I caccia americani li individuano e si gettano in  picchiata sparando. (In calando) Strage, strage, strage. Nelle basi aeree in Inghilterra i contabili degli uffici munizionamento registrano il consumo dell'operazione: 650.000 bombe incendiarie, 1500 bombe dirompenti… a Dresda si comincia invece a raccogliere le vittime… la morte le ha incollate all'asfalto per l'enorme calore oppure le ha annegate in bacini dove l'acqua è evaporata. Bruciati, carbonizzati, spezzettati in una massa irriconoscibile, mucchietti di cenere con poche ossa carbonizzate… anche lei (indica la PROFUGA)… quello che resta della città è avvolto da un odore caustico e dall’insopportabile lezzo della decomposizione. (prende per mano LEI e insieme, lentamente, illuminati da dietro, prendono la via del buio allontanandosi verso il fondo del palco dove scompaiono).

LUI – Arriva la notizia che mio padre è morto. Papà! (piange) ti ricordi quando… quando? Io non c’ero! NON c’ero a stringerti la mano nei tuoi ultimi momenti… ero qui, in questa merda… mi danno quindici giorni di licenza… i primi 700 km me li devo fare a piedi, zaino in spalla, poi in Polonia troviamo un treno per l’Italia. Dopo altre settimane si arriva finalmente a casa. (Un lungo sospiro di sollievo) Maria mi ha aspettato, insieme possiamo portare dei fiori sulla tomba di papà… a dicembre sono pronto per tornare sul fronte russo, ma ormai le armate dell'Asse sono state travolte e stanno cercando una via di scampo. L’invio di nuove truppe è sospeso. Passo il resto della guerra vicino a Torino… aiutando a scavare tra le macerie ogni volta che la città viene bombardata. Dopo l’8 settembre riesco a fuggire insieme ad altri tre soldati della provincia di Pavia… saltando da una finestra alta 4 metri del castello dove stavamo di caserma,  poi, di nuovo a piedi, parto per tornare a casa. Per sempre.

(Si siede sul palco, sorride, si sente una ninna nanna che lentamente sfuma, mentre le luci si abbassano fino a spegnersi).

Fine.