Il bambino e la brasiliana

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“Il bambino e la brasiliana”

Atto unico

Di

Luca Giacomozzi


“Il bambino e la brasiliana”

(Il palco è completamente al buio. Si sente una leggere musica.)

VOCE FUORICAMPO: C’era una volta…Ho pensato una notte intera alle parole da usare per poter raccontare questa storia. Beh! Non ci crederete, non sono riuscito a trovarle. Già, avete capito bene, non ho trovato le parole. E’ buffo no?! Avete pensato a quante parole ognuno di noi conosce. Quante saranno? Centinaia, migliaia, milioni?..Bo! Eppure ci sono delle volte che rimaniamo senza parole. E’ strano, anche perché rimanere senza parole non è proprio come rimane senza zucchero. Come si fa? Perché succede? Quale il motivo?...(piccola risatina) Che stupido. E’ inutile che lo sto chiedendo a voi, tanto non avreste parole per rispondere…(Pausa e cambio di tono) Rimasi immobile, con lo sguardo rivolto verso quella tenda rossa, cercando oltre quel limite un qualcosa che non finisse mai, ed è stato lì che ho capito una cosa, che certe volte nella vita viviamo dei giorni,delle ore, degli istanti, che non si possono raccontare, ma solo vivere.

(Lentamente si alzano le luci ed entra in scena la “Voce”. Fa qualche passo in proscenio, vede per terra una busta verde. La raccoglie e dopo averla spolverata la apre. La “Voce” tira fuori dalla busta un vecchio diario, anch’esso verde. Lo osserva ed inizia a sfogliarlo.)

VOCE:La storia ebbe inizio qualche tempo fa. Era primavera. Una primavera non tanto diversa dal solito, almeno fino al momento del loro incontro. Le giornate iniziavano ad essere sempre un pochino più lunghe, le sere meno fredde ed il sole sempre più caldo.

In un pomeriggio, molto simile a tanti altri, il bambino vide per la prima volta la ragazza brasiliana. In realtà non andò proprio così, o meglio, credo che in quel momento ciascuno di loro ignorasse l’importanza di quel incontro, ignorasse cosa sarebbe potuto accadere di li a breve, ma soprattutto ignorasse la propria condizione. Cosa voglio dire? Voglio dire che forse in quel momento il bambino non si era ancora reso conto di essere tale e che la ragazza non aveva ancora la convinzione di essere davvero brasiliana. Vi sembra strano tutto questo? Eppure ci sono due persone che potrebbero affermare la stessa cosa.  Ma come chi? Il bambino e la brasiliana.

Scusa? Disse timidamente la ragazza.

Il bambino si voltò improvvisamente e rimase immobile ad osservarla. La fissò per un tempo breve, ma intenso. La guardava, con ingenuità, nella maniera più semplice possibile. La guardava e per un istante si sentì vuoto. Fu solo per un attimo, ma sono sicuro che si sentì vuoto.

Ho detto qualcosa che non va? Disse la brasiliana

Eh? Replicò il bambino.

La ragazza sorrise in maniera travolgente. Sia ben chiaro, non fu una risata, ma un sorriso. Cosa c’è di diverso? Beh! Tanto. Una risata ti coinvolge, mentre un sorriso ti avvolge. La differenza è sostanziale, a parte qualche consonante in comune.

Tu non sei di qui, vero? Domandò il bambino.

La ragazza rispose: Perché me lo chiedi?

Perché non sei di qui? Chiese nuovamente il bambino.

La ragazza non poteva più nascondersi. Il bambino aveva scoperto il suo segreto. Aveva capito che la luce che i suoi occhi liberavano proveniva da un luogo lontano, un luogo che lui non conosceva ma che la ragazza aveva dentro di sé.

Lei era felice, ma confusa. Si che sono di qui…o meglio credo di essere di qui…o forse una volta lo sono stata…oppure ora non lo sono più…non so rispondere a questa domanda.

Al bambino non interessava una risposta. Forse non ne aveva realmente bisogno. Forse per capirla gli bastava osservarla, vedere il modo in cui muoveva le sopracciglia, gli occhi, le mani. Tante volte, o forse solo raramente, non c’è bisogno di dire molte parole per farsi capire. Gli occhi. Ecco il vero segreto. Gli occhi sono la nostra finestra sul mondo. Servono per poter osservare luci ed ombre e allo stesso tempo sono la parte più fragile di ognuno di noi. Il punto debole, la porta per poter esplorare l’anima.

Ho tante domande da farti sai? Disse il bambino.

Riguardo a cosa?

Il bambino si fermò, prese fiato, e liberò ogni piccola curiosità che animava la sua mente.

Il sole, che colore ha laggiù?

Tu come te lo immagini?

Caldo.

La ragazza sorrise nuovamente. Beh! Anche questo sole è caldo!?

Il bambino scosse lievemente la testa. Secondo me il sole del Brasile è diverso da quello che si trova qui.

Perché dici questo?

Perché i tuoi occhi hanno una luce diversa rispetto a quella delle persone che affollano questa città.

Il bambino aveva capito. La vedeva diversa. La vedeva “luminosa”. Forse si sentì anche un po’ a disagio, forse no. Non cantava la stessa canzone della ragazza, ma ascoltandola riusciva a capirla.

La brasiliana guardò fuori dalla finestra, oltre il traffico, oltre le automobili ed i palazzi chiusi a chiave…e vide il Brasile.

Il sole lì non muore mai. Sorge ogni mattina senza mai tramontare. Sale, illumina ogni piccolo angolo di terra, scalda i cuori della gente e rimane dentro di loro, anche quando, per lasciare il posto alla luna, si va a riposare.

La ragazza parlava ed il sole le illuminava lo sguardo. Il bambino sentì sulla  pelle il brivido di chi, pensando intensamente ad una cosa, la vede diventare realtà davanti a sé…e disse:

In quale momento dell’anno è più caldo il sole in Brasile?

Durante la notte. Rispose semplicemente la ragazza.

Il bambino rimase sorpreso dalla risposta.

Ma tu hai detto che la notte il sole lascia il posto alla luna?

Si, ma ho anche detto che rimane nel cuore della gente.

Le parole della ragazza accarezzarono il bambino. Lei passò la sua mano destra sul viso di lui, che sorrise. Lui la guardò ancora una volta. Non aveva paura, non poteva averla con lei accanto. Non si sentiva solo, c’era lei.

Com’è il cuore dei brasiliani?

Com’è?

Si, com’è?

Come il mio.

“Come il mio”. Breve, concisa, essenziale. Il suo cuore era il Brasile. Era questo quello che voleva dire con: “Come il mio.”

Era buffo osservarli da fuori. Così diversi, così uguali. Le cose in comune rendono le persone simili, ma sono forse le differenze a renderle uniche. Come sarebbe a dire: “Cosa significa?”

Quello che voglio dire, è che quando una persona riesce a capire fino in fondo quello che un’altra persona prova suonando la propria melodia, allora quelle due persone non hanno più bisogno di parlare per comunicare tra di loro. Si può anche non condividere le scelte, le passioni o i desideri di chi hai accanto, ma se non riesci a capire l’importanza che essi hanno per la vita di quella persona, allora vuol dire che quello è stato solo un incontro “casuale”.

Il bambino guardò la ragazza. Lei guardò lui. Era chiaro. Il loro non fu un incontro “casuale”.

Il bambino era seduto sopra ad un tavolo. Le sue gambe dondolavano in maniera lenta ma continua. Era costante quel suo andare e venire. Sono convinto che, in quei momenti, lui non poteva desiderare di più. Aveva accanto a sé proprio quello di cui aveva bisogno. Attenzione, forse “bisogno” non è la parola giusta perchè da più il senso di necessità. “Lei”. Ecco l’espressione giusta è questa. Lui aveva “lei”.

E i bambini?

La ragazza si voltò improvvisamente. Come i bambini?

I bambini brasiliani sono uguali a me?

Ma tu non sei un bambino.

Il bambino fermò il movimento delle sue gambe. Fermò il respiro. Fermò una nuova domanda.

Come sono i bambini laggiù?

La ragazza iniziò a passeggiare per la stanza. Lentamente. Il suo andare e venire era come il dondolio delle gambe del bambino.

Non lo sapevano ma avevano già qualche cosa in comune, un andare e venire.

Non ti so dire come sono. Non saprei spiegare a parole quello che ho provato la prima volta che lo sguardo di un bambino brasiliano ha illuminato il mio viso.

Voglio saperlo. Disse il bambino.

La ragazza si fermò e guardò l’orizzonte fuori da quella stanza.

Ero distratta, forse attenta a qualcos’altro. Ero li e la mia mano si sentì chiamare. Mi voltai e non vidi nulla accanto a me. Poi, abbassai lo sguardo e vidi il viso più bello del mondo.

Ne avevi visti tanti? Chiese il bambino.

Di cosa?

Di visi.

Non tanti.

Il bambino saltò giù dal tavolo che lo teneva sospeso da terra e si avvicino alla ragazza.

Allora come fai a dire che quello era il più bello del mondo?

Perché era immensamente ricco.

Il bambino non riusciva a capire.

Ricco di cosa?

Di sogni, di speranze, d’amore. Aveva bisogno che la sua mano stringesse un’altra mano, e tra tante scelse la mia. Chissà perchè.

Perché eri come lui.

La ragazza si voltò improvvisamente...era nuda.

Cosa vuoi dire? Domandò al bambino.

Lui la fissò negli occhi. Che sei piena di sogni, di speranze, d’amore.

Il bambino metteva davanti al viso della ragazza delle piccole, semplici ed ingenue considerazioni. Erano piccole sì, ma era la verità.

Lui, con una punta di timidezza si avvicinò alla finestra, si avvicinò a lei e senza aggiungere parole, le prese la mano. Quel silenzio parlava, lui era come lei.

Quel pomeriggio si chiuse così alle loro spalle. Si chiuse un giorno e da quel momento se ne aprirono tanti altri. Le ore, i momenti, i mesi passarono l’uno dopo l’altro ed il bambino attraversò l’anima della ragazza come un calore improvviso.

Aprirono il loro cuore, l’uno verso l’altro, senza paura, lentamente, ma senza paura.

Dal momento del loro incontro non passò un giorno che i due non si scambiassero almeno uno sguardo, una parola, un’emozione. Ma la vera magia stava nel fatto che in ogni loro piccolo gesto non c’era mai “abitudine”. Ogni sorriso era un sorriso nuovo, magari uguale a tanti altri, ma nuovo. Respiravano la stessa luce. Si erano incontrati e non potevano più perdersi. Forse lui nemmeno se ne rendeva conto. Forse anche lei non se ne accorgeva. Il rumore e la confusione che li circondava a volte li rendeva “distratti”. Però gli bastava una piccola cosa per tornare vicini. Non erano diversi dagli altri, erano “unici”, tutto qui.

(Buio. Si sente una breve musica. Terminata la musica si alzano nuovamente le luci).

 

VOCE: Il sole solcava il mare. La spiaggia era deserta quel giorno. Il lontananza i loro corpi diventavano sempre più definiti, più visibili, più reali. Il bambino teneva per mano la ragazza ed i loro passi andavano a tempo con il rumore delle onde del mare. Era bello vederli insieme, ancora insieme.

Com’è che hai detto che si chiama? Chiese il bambino.

Samba. Rispose la ragazza.

Ah! Giusto. La samba.

“Il”. Si dice “Il samba”.

Ma è vero che chi ha dentro il samba non si sente mai solo?

Chi te l’ha detto?

E’ vero o no?

Un breve sorriso sfiorò il volto della ragazza. E’ vero.

Tre. Furono tre i passi di silenzio, poi, ancora una nuova domanda.

Tu ti senti mai sola?

Solo quando non riesco a sentire il suono del “birimbao”.

Che è stato? Domandò sorpreso il bambino.

La ragazza non riusciva a capire.

Che cosa?

Il suono che ho sentito poco fa.

Quale suono?

Biri..qualcosa.

La ragazza sorrise in maniera così forte che il suo viso si illuminò.

Ah! Birimbao.

E che cos’è?

E’ uno strumento brasiliano.

E a cosa serve?

La ragazza smise di sorridere. Guardò il mare davanti a sé, poi il bambino e poi di nuovo il mare.

Serve a non sentirsi soli.

Improvvisamente la ragazza lasciò la mano del bambino.

Dove vai? Le chiese.

Voglio farti vedere una cosa.

La brasiliana si allontanò dal bambino che rimase immobile con l’anima appoggiata sulla spiaggia. La ragazza alzò lo sguardo, prese fiato e volò. Si, avete capito bene, volò. Non come volano gli uccelli, ma volò. Dopo un vortice improvviso la brasiliana rimise i piedi sulla sabbia, guardò il bambino e sorrise.

Come hai fatto? Domandò con la bocca spalancata il bambino.

 A fare cosa?

 Ad essere così leggera.

E’ la “capoeira”.

Eh?

La capoeira. Uno dei tre punti su cui si poggia il Brasile.

Tre?

Si.  La capoeira, il samba e l’amore.

La ragazza si passò la mano sinistra tra i capelli. Con la lingua inumidì le sue labbra e riprese a camminare abbracciata al bambino, costeggiando la riva.

Li persi di vista per un istante e li ritrovai qualche giorno dopo seduti su una panchina in un parco di periferia. La piccola panchina poggiava su un tappeto verde, non era il Brasile, però era verde.

Il bambino era seduto in maniera ordinata, tenendo la testa della ragazza sulle proprie gambe. Lei aveva tanti capelli, lunghi, ricci, dolci da accarezzare. Il bambino amava perdersi nei suoi pensieri fissando il viso della ragazza. La guardava. Delle volte riusciva a stare per un tempo infinito in silenzio. Già, proprio così. Gli bastava guardarla, ed in silenzio era il modo migliore per farlo. Fissava gli occhi di lei. Erano troppo belli, grandi,senza fine. Brillavano. La brasiliana aveva gli occhi che brillavano, ne sono sicuro. Poi aveva i denti bianchi. Credo che solo la neve possa avere un colore simile ai suoi denti.

Forse, quello che pensai il primo giorno che li vidi insieme si stava per avverare. Posso quasi affermare con certezza che in quel momento, su quella panchina, sotto quel cielo, il bambino si stava innamorando di lei.

La ragazza si accarezzava le gambe con le mani e fissando il bambino gli disse.

Non riesco a spiegare con esattezza quello che provo. Ci sono delle volte che ripensando alle tue parole mi manca il respiro.

Beh! Non è una cosa positiva. Rispose sorridendo il bambino.

Per la ragazza non era facile dire apertamente quello che sentiva, il bambino era troppo vicino.

Non so come fartelo capire, però mi capita spesso di avere in mente una cosa, che sò, un pensiero, un’immagine e tu mi guardi negli occhi e mi dici esattamente quello che in quel momento voglio sentirmi dire.

La ragazza fissò il bambino negli occhi.

Ma come fai?

E tu come fai?

A far cosa?

A non annoiarmi mai, a farmi ridere, a farmi riflettere, a farmi provare tutte le emozioni che un cuore può contenere.

Il bambino fermò per un istante il suo respiro.

Perché sento di non poter più fare a meno di te?

La ragazza spostò lievemente la sua testa e fisso il vuoto, per poco più di un secondo. Stava guardando dentro di sé.

Forse anche io non posso più fare a meno di te.

Non era una cosa banale quello che si erano appena detti. Non so bene cosa volessero comunicare con quelle parole, però una cosa era certa, quei due amavano respirare insieme, scambiarsi suoni che la gente “comune” non riusciva a capire. Forse erano anche un po’ egoisti in tutto questo. Loro avevano qualche cosa di più degli altri, ma la tenevano solo per loro.

Arrivò un’improvvisa notte d’autunno. Arrivò così rapidamente che sorprese il bambino e la ragazza seduti sul tappeto di una piccola stanza. Era la camera della ragazza. “Il Brasile imprigionato dentro quattro mura”. Quel paese era chiuso li dentro, ma era libero, perché quella stanza aveva un piccolo particolare, non aveva il tetto. Avete capito bene, la camera della brasiliana non aveva il tetto. Lo tolse lei il giorno in cui capì che il sogno che aveva nell’anima doveva essere lasciato libero di andare. Se fosse riuscita a farlo sarebbe stato lui a condurla nel paese che amava.

Ho deciso di partire. Disse la ragazza.

Il bambino non rispose nulla.

Hai sentito quello che ho detto?

Ho sentito.

E  non sei sorpreso?

Io lo sapevo, l’ho sempre saputo.

Sempre?

Dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti ho pensato che prima o poi saresti partita. Non te l’ho detto, ma l’avevo pensato.

Ed ora cosa pensi?

Cosa penso?

Si, cosa pensi?

Penso…penso che era ora che tu tornassi a casa.

Era felice di aver detto quella frase. Il bambino era felice per lei.

Perché non vieni con me?

Il bambino si scostò lievemente. Il mio posto non è li.

E dov’è?

Io il mio posto l’ho già trovato e non lo lascerò mai.

Si, ho capito, ma dov’è?

Il bambino fissò la ragazza negli occhi.

Il mio posto sei tu.

Io?

Si tu, il tuo cuore, la tua mente, la tua anima. Io sto bene li, non voglio andare altrove.

Il bambino era fortunato. Aveva trovato un luogo nel quale vivere. Un luogo senza tempo, senza confini, un luogo dove lasciare tutte le sue emozioni.

Nel silenzio della notte la frase della brasiliana cadde improvvisa come una pioggia d’estate.

Partirò domani.

Il bambino si alzò di scatto. Ebbe paura. Fu solo per una frazione di tempo, ma ebbe paura.

Come domani?

Si, domani.

La ragazza sarebbe partita il giorno dopo. Il bambino doveva fare qualcosa, non per impedirlo, ma doveva dare alla ragazza un segnale. Decise così di rallentare il tempo quella notte. Fece passare i minuti più lentamente. Le poche ore che separavano quel momento dalla partenza della ragazza diventarono così eterne ed i due non si divisero mai.

Arrivò l’alba. Il bambino e la ragazza si ritrovarono all’aeroporto. Lei aveva un passo svelto, lui cercava di non perdersi nella sua indecisione.

Devo chiederti una cosa. Disse il bambino.

I due si fermarono improvvisamente. Erano davanti all’imbarco che avrebbe portato la ragazza a casa.

Cosa c’è?

Prima che tu parta devo darti una cosa.

Che cosa?

Questo.

Il bambino prese dal suo zaino una grande busta verde e la diede alla ragazza.

Che cos’è?

Una storia.

Una storia?

Una piccola favola.

La ragazza non riusciva a capire, ma prese ugualmente la grande busta.

Quando arriverai in Brasile devi fare una cosa.

Dimmi.

Tienila tutte le notti vicino al tuo letto, sul tuo comodino ed il giorno che incontrerai nuovamente il bambino brasiliano del quale mi hai parlato…ti ricordi i suoi occhi? Beh! Allora, e solo allora, aprirai questa busta e capirai.

La ragazza abbassò gli occhi. Era un po’ come sfuggire allo sguardo del bambino, ma doveva farlo, perché in quel momento era fragile.

Ti dispiace che sto partendo?

E’ giusto così.

“Giusto così”. Era proprio innamorato. Lo era a tal punto che la felicità della ragazza rendeva luminosa anche la malinconia che lui provava in quegli istanti. Aveva paura ma sapeva che forse quella partenza era la cosa migliore, per tutti e due. Lui l’amava, questo ormai era evidente. L’amava ma era un amore irrealizzabile. Forse, pensava lui, se lei sarà lontano lentamente tornerò alla normalità. “ Alla normalità”. Dal giorno in cui la ragazza era entrata nella sua vita lui non era più normale, per forza, si stava innamorando. La distanza gli avrebbe fatto bene.

Ma cosa è poi la distanza? Sono più lontani i due poli o pure due persone che non si capiscono?

Il Brasile era effettivamente lontano ma loro due non avevano bisogno di essere vicini per capirsi.

Una voce metallica richiamò la ragazza all’attenzione. Era il momento di andare. Erano l’uno davanti all’altro con l’imbarazzo di chi non sa che cosa fare. Lui avrebbe voluto baciarla, con l’anima sulle labbra. Lei avrebbe voluto stringerlo a sé, per sentirlo sempre più vicino. Non fecero nulla di tutto questo. Rimasero fermi, in silenzio. Qualunque gesto avrebbe reso difficile quella partenza. Qualunque, tranne uno.

La ragazza prese la mano destra del bambino, tra tante dita scelse l’indice e fece un piccolo movimento. Portò il dito di lui su le sue labbra e poi con lo stesso dito andò a toccare il petto del bambino, vicino al cuore. Aveva mandato un bacio al suo cuore, quello che portava dentro di sé.

Poi, si voltò e lentamente iniziò a camminare. Lui rimase lì, immobile a guardarla. Il legno caldo dei suoi occhi notò un piccolo particolare, un particolare che gli era sempre sfuggito. La ragazza aveva delle scarpe rosse, come il cuore, come l’amore.

Non so dirvi come andò a finire quella storia, forse è ancora troppo presto per farlo, chissà. Posso solo dirvi che una notte ho visto il bambino, sdraiato su un prato verde fissare le stelle. Ho visto la ragazza brasiliana sdraiata su un prato verde fissare le stelle. Guardavano tutti e due nello stesso momento uno stesso punto. Era la loro stella, quella dove avevano fermato la loro storia, per fare in modo che nessuna nuvola, nessun rumore potesse mai rovinare la magia del loro incontro. Avevano qualcosa in comune…sogni, speranze, amore.

(Si sente una leggera musica. Si abbassano completamente le luci).

VOCE FUORICAMPO: Trovarono la magia nelle cose di tutti i giorni. Impararono ad ascoltare, ad ascoltarsi, a non trascurare mai nulla di quello che provavano. Le sfumature colorarono i loro silenzi, perché è nelle piccole cose che vive la felicità.

FINE