Il binocolo alla rovescia

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IL BINOCOLO ALLA ROVESCIA

IL BINOCOLO ALLA ROVESCIA

Commedia in tre atti

di GIUSEPPE LANZA

PERSONAGGI

CICCOPAOLO FERRANTE

TOTO’ MANUZZA

DOTTORE FIORILLO

CALOGERO RANDAZZO

IL PRETE PERNICE

PUDDU

ROSA

GAETANA SUA MADRE

CATERINA MOGLIE DI MANUZZA

FILOMENA

In un paesetto della Sicilia. Poco dopo la guerra europea.

ATTO PRIMO

Una vasta stanza mobiliata all'uso antico pro­vinciale. In fondo: a destra, la comune; a sini­stra, un cassettone con sopra un gran quadro della Madonna di Pompei davanti al quale c'è un lumicino ad olio acceso. A sinistra, due por­te; tra di esse, un altro cassettone con sopra un grande specchio. A destra, una finestra, e vi­cino ima tavola rettangolare.

(La finestra è aperta e Rosa è intenta a sco­pare la stanza. Dopo un poco dalla prima porta di sinistra entra Gaetana).

Gaetana                         - (dopo aver chiuso pian piano la porta) E come! la finestra hai aperta?

Rosa                              - M'ha detto di scopare... Potevo sco­pare con la finestra chiusa, con tutta questa polvere? Mannaggia! pare abbandonata da cent'anni questa stanza.

Gaetana                         - Ma l'aria, figlia mia, entra lì dentro. (Accenna a sinistra).

Rosa                              - Non ce n'è vento; e poi, con la porta chiusa... E com'è stamattina?

Gaetana                         - Meglio, meglio pare. Ma di conoscere, ancora niente. Le ho detto tante volte: « donna Maragrazia, suo nipote Ciccopaolo è venuto ». Niente, non ha capito. Però è più calma. Il miracolo della Madonna di Pompei ci vuole. Lei, santa donna, ch'era tanto devota! E don Ciccopaolo ancora dorme?

Rosa                              - Eh, povero galantuomo, dopo un viaggio così lungo! Da Milano viene: che viene da Catania?

Gaetana                         - Da dove viene viene, zia è, san­gue suo. Quella poveretta sta per morire, e Ini dorme! Niente, non è cangiato: sempre stram­bo. E dire che da ragazzo era così buono, stu­dioso, obbediente... Don Liborio e donna Santa, buon'anime, lo volevano fare dottore. Ma appe­na chiusero gli occhi -   - che il Signore li abbia in Paradiso    - quello prese la mala strada. Dodici anni, signori miei, in giro per città e continenti, senza venire mai in casa, con tutti gli interessi che aveva qua!

(Dalla, seconda porta dì destra entra Ciccopaolo. Ha quarant'anni. E' sbarbato e vestito di scuro con sobria eleganza).

Gaetana                         - Oh, benedìcite, don Ciccopaolo.

Ciccopaolo                    - Cara Gaetana, come state?

Gaetana -                      - E come devo stare? Come la vec-chiarella che sono. Ci arrabbattiamo, don Ciccopa'. E vossignoria bene sta. Ieri sera, con quella confusione, non me n'ero accorta. Bene davvero. Si vede che l'aria del continente le giova. Noialtri, invece, qua...

Ciccopaolo                    - Anche voi state bene: come una papessa.

Gaetana                         - (sorridendo) Vossignoria scherza sempre. Ma le assicuro che dopo quindici notti di dormire sì e no, sempre con l'anima so­spesa... Ho la testa come un pane-cotto.

Ciccopaolo                    - Per mia zia Malagrazia?

Gaetana                         - Eh, se non ci fosse stata questa pellaccia... Perchè il bene che ho ricevuto dalla sua famiglia non lo posso scordare. M'ha aiu­tato anche Filomena, vicina affezionata dav­vero. E la notte abbiamo vegliato un po' per ciascuna: io, Filomena e Rosa. (Indica la fi­glia).

Ciccopaolo                    - La signorina?

Gaetana                         - Ma che signorina! Che dice vos­signoria! Rosa è, mia figlia. Non si ricorda? Quando vossignoria lasciò il paese, dieci anni aveva.

Ciccopaolo                    - (guardando Rosa con compiacen­za) Rosuzza?

Gaetana                         - Rosuzza, sissignore, Rosuzza. Non si ricorda?

Ciccopaolo                    - Sì, mi ricordo. Ma allora era piccola piccola, mezzo palmo... Ora la trovo così grande... Mi congratulo, signorina.

Gaetana                         - Ma che dice vossignoria! Rosa la deve chiamale.

Ciccopaolo                    - Che c'entra ! La signorina qua­si non mi conosce vengo io, così, a un trat­to: Rosa.

Rosa                              - (timidamente) Io la conoscevo, vos­signoria.

Ciccopaolo                    - Capisco: qualche ricordo va­go...

Rosa                              - No: dai ritratti che ha mandato a sua zia. E poi, qua, se n'è parlato sempre di vossignoria.

Gaetana                         - Sempre! Vossignoria di noi non se ne ricordava; ma noialtri, qua... Sua zia, pòi! Pazza, sa, pazza per vossignoria. Diceva sempre: « La Madonna di Pompei mi deve fa­re il miracolo di farmi rivedere mio nipote Cic» copaolo prima di morire »...

Ciccopaolo                    - Povera zia. Ieri sera non mi ha nemmeno riconosciuto.

Gaetana                         - Niente, che conoscere! E' da quindici giorni che non riconosce nessuno. Chi glielo doveva dire, povera signora, che l'avreb­be riveduto così a vossignoria.

Ciccopaolo                    - Ma perchè non mi avete te­legrafato prima?

Gaetana                         - Perchè... Glielo devo dire? Per­chè... qua nessuno credeva che vossignoria sa­rebbe venuta. Suo compare don Totò diceva: ce Io il telegramma lo faccio, ma sono sicuro che mio compare non viene; quello si diver­te, là... ».

Ciccopaolo                    - Ma io, quando ricevetti il te­legramma, avevo già deciso di venire.

Gaetana                         - Sì? Aveva deciso di venire? Perchè, l'aveva saputo forse ohe sua zia?...

Ciccopaolo                    - No, no: avevo deciso di ve­nire per sempre.

Gaetana                         - Per sempre? Per restare sempre qua?

Ciccopaolo                    - Sì: qua, qua. Che città e con­tinente! Sono stufo, cara Gaetana. Ora voglio stare nel mio (paese, nella mia casa, in santa pace.

Gaetana                         - Oh, beliamadre, che felicità! Questo è miracolo della Madonna! Donna Ma­lagrazia, sa, diceva sempre alla Madonna di Pompei - devotissima, vossignoria lo sa; già, tutta la sua famiglia, tant'anni, sempre devota a questa Madonna miracolosa - le diceva: « Bella Madre, voi lo dovete illuminare mio nipote Ciccopaolo. Che fa in quelle città, con quelle donnacce forestiere, senza famiglia? Il­luminatelo, fatelo tornare qua, nella sua casa ». E la Madonna l'ha illuminato!

Ciccopaolo                    - (sorridendo) llluminatissimo, cara Gaetana. llluminatissimo.

Gaetana                         - Ora la Madonna deve fare il mi­racolo di far guarire sua zia.

Ciccopaolo                    - Questo è un po' difficile.

Gaetana                         - Ih, che dice!

Ciccopaolo                    - A ottant'anni, cara Gaetana, certi miracoli...

Rosa                              - E che sarebbe la prima volta ? Quan­do la Madonna vuole...

Gaetana                         - Già stamattina meglio pare. L'ul­tima ricetta del dottore le ha fatto bene. Ora sta riposando. C'è Filomena di là.

Ciccopaolo                    - Chi è il dottore? Don Arcan­gelo Mauro?

Gaetano -                      - No.: quell'eretico: è morto, .con una polmonite fulminante…senza voler ricevere il Sacramento. Ora abbiamo un medico con­dotto forestiero: un giovane davvero valoroso. E affezionato: viene ogni mattina.

Rosa                              - (volgendosi verso il fondo) Mi pare che... (Va atta comune) Lui è.

Gaetana                         - Sempre (puntuale.

Dottore Fiorillo             - (sulla comune) Per­messo?

Rosa                              - Avanti, dottore.

Dottore                         - (entrando) Buon giorno.

Gaetana                         - Benedicite, signor dottore. Que­sto è don Ciccopaolo, il nipote della signora. E' arrivato ieri sera.

Ciccopaolo                    - (stendendo la mano al dottore) Ferrante.

Dottore                         - Dottor Fiorillo. Fortunatissimo. E' da un pezzo che lei manca dal paese, no?

Ciccopaolo                    - Veramente il conto preciso an­cora non l'ho fatto. Ma saranno... più di dieci anni.

Dottore                         - E la malattia della sua signora zia, naturalmente... (A Gaetana) La signora co­me sta?

Gaetana                         - Meglio, meglio pare. Ora sta ri­posando.

Dottore                         - Buon segno. Non bisogna sve­gliarla perchè il riposo le fa bene. Aspetterò qui o... se disturbo, non so... posso ripassare più tardi.

Ciccopaolo                    - Ma che disturbo. Mi fa piace­re. S'accomodi, prego.

Gaetana                         - Con permesso. Noi andiamo di là.

Dottore                         - Mi raccomando: appena la signo­ra si sveglierà...

Gaetana                         - Vengo a chiamarla: non dubiti. (Esce con Rosa dalla prima porta di sinistra).

Ciccopaolo                    - (sedendosi vicino al dottore) E così, dottore, cosa mi dice per mia zia?

Dottore                         - Cosa vuole ohe le dica, caro don Ci... caro signor Ferrante. La sua signora zia ha ottant'anni: età in cui anche un piccolo...

Ciccopaolo                    - Eh, capisco.

Dottore                         - Se la sua signora zia...

Ciccopaolo                    - (interrompendolo) Scusi : di dov'è lei?

Dottore                         - lo? Calabrese; di Catanzaro. Perchè?

Ciccopaolo                    - Siamo quasi della stessa pasta. E allora, sa, può parlare meno forbito. Dica pure « don Ciccopaolo » invece di «signor Fer. rante », e « sua zia » invece di « sua signora zia». Roba inutile, caro dottore. Lei mi vede vestito così, sa che vengo da Milano, e  crede.^:; Niente: decorazioni, forbitézze inutili. Tra pochi giorni mi vedrà con la giacca alla cacciato­ra e con tanto di stivali.

Dottore                         - Il signore non ritorna subito a Milano?

Ciccopaolo                    - « Il signore » non ci ritorna più. Resta qua.

Dottore                         - Forse iper la malattia della sua sigilo...

Ciccopaolo                    - Non ne può fare a meno, eh?

Dottore                         - (sorridendo) Pardon. Dicevo: è per la malattia di sua zia che lei resterà qua?

Ciccopaolo                    - No. Quando ricevetti il tele­gramma io avevo già deciso di venire. Sono stu­fo, caro dottore, stomacato del continente e del-le grandi città.

Dottore                         - E" stato sempre a Milano?

Ciccopaolo                    - Negli ultimi tempi, sì. Ma ho girato tutta l'Italia: da Reggio Calabria sino al­l'ultima punta di lassù: Roma, Napoli, Firen­ze, Torino, Genova, Venezia...

Dottore                         - Beato lei!

Ciccopaolo                    - Lei, niente?

Dottore                         - Non ci sono vissuto, come avrei voluto. Ci sono stato di passaggio: così, un paio d'ore, una notte : durante la guerra, quando dal fronte si veniva in licenza.

Ciccopaolo                    - Ah, è stato militare?

Dottore                         - Aspirante medico: non avevo ancora (preso la laurea.

(Ciccopaolo, sentendo « aspirante medico », quasi istintivamente mette una mano in tasca come per cercare qualcosa. Il dottore lo guar­da come per chiedergli: cosa fa?).

Ciccopaolo                    - Ah, nulla; inezie, abitudini di guerra, caro dottore. Lassù, nel mio battaglio­ne, quando si sentiva « aspirante medico », si toccava subito... ferro, se non altro. Bravi fi­gliuoli ,pieni di buona volontà... (mettendogli confidenzialmente una mano sul ginocchio) ma disgraziato chi ci capitava sotto in certi mo­menti.

Dottore                         - (che comincia a divenirsi) Eh, lo so, lo so. Sicché, anche lei è stato al fronte.

Ciccopaolo                    - (annuisce) Volontario. Io, ca­ro dottore, nella mia vita, ho avuto l'ossessio­ne di voler provare tutto. Quando ho visto la possibilità di provare una cosa nuova, tàffete. Quando scoppiò la guerra, subito, volontario. Mi vestirono da trabante... Una macchietta! Non le dico poi al fronte, vestito da guerriero: elmo, fucile, giberne, aspetto fiero... Oh, ma austriaci, sa, niente, nemmeno uno ne ho am­mazzato. Certe volte miravo, miravo ; ma al momento'di tirare il grilletto... Cosa vuole: non ho mai avuto vocazione ad ammazzare la gen­te. Finivo sempre con lo sparare in aria. E ho avuto la croce di guerra.

Dottore                         - Perchè sparava in aria?

Ciccopaolo                    - No: perchè non avevo paura. Di notte, quando c'era la luna, anche quando gli austriaci sparavano (ricorda, di notte? tan, tan-tàn, tan) io prendevo il mio bravo modello novantuno, caricavo a mitraglia (fa il gesto), e me ne andavo fresco come una rosa a fare la posta alle lepri. Ed ero considerato un eroe. (Alzandosi e battendogli la mano sulla spalla) Ora, caro dottore, senza eroismo, me ne devo fare tante cacciate in queste campagne!...

Dottore                         - Sicché è proprio deciso a restare in paese.

Ciccopaolo                    - Decisissimo.

Dottore                         - Lei avrà i suoi interessi; ma vi­vere in una grande città...

Ciccopaolo                    - Le piacerebbe?

Dottore                         - E' stato sempre il mio sogno.

Ciccopaolo                    - Che brutto sogno! Io non ca­pisco cosa ci vedono di bello nelle grandi città.

Dottore                         - Ma scusi: lei...

Ciccopaolo                    - Perchè ci sono stato tanto tempo? Cretino, pazzo, come gli altri. Perchè sono pazzi : non si può spiegare in altro modo. Bestie impazzite. L'umanità delle grandi città, caro dottore, è affetta di febbre bestiale paz­zesca. S'ammazzano a lavorare, s'imbestialisco­no più del naturale - e per che cosa? Me lo spiega lei? Per la carne, caro dottore, per la femmina. E non parliamo delle donne. Miseria, miseria. Niente di... di veramente bello. Mi spiego?

Dottore                         - Dica quello che vuole; ma per un giovane...

Ciccopaolo                    - Lei è intelligente... ma è cre­tino. Non si offenda. A modo mio. Uno può essere intelligente e nello stesso tempo cretino. (// dottore ride) Ci ride?

Dottore                         - (ridendo) E' un bel tipo.

Ciccopaolo                    - O Dio! anche lei? Un dottore! calabrese !

Dottore                         - Perchè, anch'io?

Ciccopaolo                    - Lassù, le donne, quando uno si mostra un po' diverso dagli altri e... (fa ca­pire: va a genio) mi spiego? - subito: Che bel tipo! E l'indomani, o il dopodomani... Mi spiego? Ma lei... un dottore... un giovane in­telligente...

Dottore                         - Ma cretino.

Ciccopaolo                    - Se vuole, può diventare intelligente sul serio. Accetta un consiglio fraterno?

 

 Dottore                        - Sentiamo.

Ciccopaolo                    - Se ne vada a fare il medico sulle montagne calabresi, là, sulla Sila. C'è sta­to sulla Sila?

Dottore                         - No, mai.

Ciccopaolo                    - Mai? E' calabrese e non cono­sce la Sila? E vuole andare a Roma, a Milano? Oh disgraziato! Ma vada a domiciliarsi sulla Sila, che è il paradiso terrestre.

Dottore                         - Ma sulla Sila, caro don Ciccopao­lo, ci sono boschi e paesi piccolissimi.

Ciccopaolo                    - E le sembra cosa da niente? I boschi ci vogliono! Aria pura, libertà!

Dottore                         - Ma 'per la mia professione...

Ciccopaolo                    - Cambi, cambi professione. Faccia il pecoraio. Più nobile - creda a me - più nobile che fare il medico in una grande città. Si sposi con una bella conladinotta - lì ce ne sono che sembrano monumenti - e le faccia ruzzolare un figlio all'anno.

Dottore                         - (ridendo)Lei forse mi darà l'e­sempio ?

Ciccopaolo                    - E perchè no? Ho intenzione di sposarmi e di fare vita semplice, campestre. Prima, sa, anch'io qua mi sentivo soffocare. E une ne andai lassù. Ho girato, ne ho fatte di tutti i colori: ho vissuto, come si dice. Cretino! cieco! Poi, a un tratto, che fu che non fu, mi si schiarì la vista. Capii il meccanismo della vi­ta. Qui sta l'intelligenza, caro dottore: capire il meccanismo della vita! Gli uomini sono co­me pulcini tra la stoppa. E non se ne accorgo­no: questo è il bello. Ora uno, per campare, per vivere veramente, se ne deve andare quan­to più lontano è possibile dalle grandi città, procurarsi un pezzo di terra e coltivarselo con le proprie mani: l'unico lavoro che non imbe­stialisce l'uomo e l'avvicina a Dio. Mi spiego?

Dottore                         - Una vita primitiva, insomma.

Ciccopaolo                    - Una vita propria. E quando l'uomo vuole farsi una vita propria, deve diven­tare primitivo. Per forza. Primitivissimo.

Dottore                         - Ma scusi, la civiltà...

Ciccopaolo                    - Quale civilità? Il treno lampo, la luce elettrica, il telegrafo senza fili, i comizi, il cinematografo, l'automobile, il caffè concer­to? Questa è la civiltà? E quale influenza può avere nella vita di un uomo se non quella di to­gliergli continuamente qualche cosa di suo, di intimo? Miserie, caro dottore. Creda a me, che ho vissuto in mezzo a questa civiltà. Miserie! L'uomo dev'essere civile dentro, in sé. Mi spie­go? - Lei ancora è giovane... Scusi: quanti an­ni ha?

Dottore                         - Ventisei.

Ciccopaolo                    - Bambino ancora. Non può ca­pire. Cresca, cresca. L'uomo, veda, è animale ragionevole          - sempre animale è, ma insomma è più ragionevole sino ai quindici sedici anni. Poi... s'incomincia a sviluppare la bestia... Ver­so i quarantanni, o diventa ancora più bestia, o incomincia a ragionare.

Dottore                         - Ma scusi: secondo quello che lei diceva poco fa, la gente di questi paesetti, he vive una vita quasi primitiva, dovrebbe essere felice.

Ciccopaolo                    - Ma no. Gliel'ho detto: lei è intelligente, ma cretino. Questa gente vive qua perchè vi è nata, senza capire il valore della vita che fa. Anzi l'odia, e sogna - tal'è quale come lei - le grandi città, dove c'è - poveri illusi! - la civiltà. Ha capito? Bestie anche queste; di razza migliore perchè stanno in con­tatto con la natura, ma bestie. La loro non è una vita di elezione. Mi spiego?

Dottore                         - Capisco, capisco. Ah, come idee, eccellenti, non c'è che dire. Hanno qualche co­sa del misticismo di certi antichi sacerdoti orientali...

Ciccopaolo                    - (interrompendolo) No, ma che sacerdoti, faccia il favore!

Dottore                         - Volevo dire che le sue idee...

Ciccopaolo                    - Ma che idee: fatti, fatti! Ap­pena lei avrà spedito mia zia all'altro mondo (a un gesto di protesta del dottore) lo so : non ci sarebbe bisogno del suo aiuto - io mi sposerò...

Dottore                         - (ridendo di cuore) Ha già scelto?

(Dalla prima porta di sinistra entra Rosa).

Ciccopaolo                    - (guardandola) Forse... ho scelto.

Rosa                              - Dottore, si è svegliata la signora.

Dottore                         - Vengo subito. Lei viene, don Cic­copaolo ?

Ciccopaolo                    - Vada, vada, dottore. La seguo. (Il dottore esce. A Rosa che sta per seguirlo) Signorina Rosa!

Rosa                              - A me chiama vossignoria?

Ciccopaolo                    - Senza signoria, mi racco­mando.

Rosa                              - E come la devo chiamare?

Ciccopaolo                    - Come vuole, ma senza signoria e simili sciocchezze.

Rosa                              - Vossignoria mi vuole prendere in giro: mi chiama signorina...

Ciccopaolo                    - E non è signorina, forse?

Rosa                              - Signorine le figlie dei signori sono.

Ciccopaolo                    - Che «signori e signori, Roba antica di secoli.

Rosa                              - Che comanda?

Ciccopaolo                    - (con misurata galanterìa) Nien­te... niente... Che si può comandare a una ra­gazza graziosa come lei? Volevo avere... il pia­cere di vederla... così... bene. Ieri sera, con quella confusione, non l'ho nemmeno vista. Sta­mattina... non l'ho riconosciuta... Io la lasciai piccola... così (segna con la mano l'altezza). Ora la trovo così grande... così bella... (Rosa china il capo) Le faccio soggezione?

Rosa                              - No, che dice...

Ciccopaolo                    - La trovo donna, ecco. E... la vorrei vedere presto... maritata... con un nomo che la sappia apprezzare... Non ce n'è in vista?

Rosa                              - (vergognosa) Che dice vossignoria!

Ciccopaolo                    - Nessuno... l'ha chiesta?

Rosa                              - Che vuole? Noi poveretti siamo... Io dote non ne ho, vossignoria lo sa...

Ciccopaolo                    - Ma lei... non desidera sposare?

Rosa                              - Quando vuole il Signore.

Ciccopaolo                    - Lasci stare il Signore. Non lo mischi in queste faccende. Lei non ha nessuno nel...? (indica il cuore) Nessuno? A me lo può dire. Non mi ha fiducia?

Rosa                              - Per fiducia... a vossignoria...

Ciccopaolo                    - Nessuno? (Rosa fa di no col capo) E allora... mi vuole per marito?

Rosa                              - (Zo guarda meravigliata, poi ride) Vossignoria mi vuole prendere in giro.

Ciccopaolo                    - No, no: parlo sul serio. Io ho intenzione di sposarmi, farmi la mia famiglia, e campare qua in paese in santa pace. Dunque, che mi risponde?

Rosa                              - E che so... signorino... non ci posso credere. Vossignoria...

Ciccopaolo                    - Senza signoria, per favore.

Rosa                              - Vossignoria è galantuomo... Io so­no figlia di villano...

(Dalla sinistra entra Gaetana e fa per attra­versare la stanza).

Ciccopaolo                    - Cara Gaetana, una preghiera.

Gaetana                         - Meglio, meglio pare sua zia.

Ciccopaolo                    - Lasciate stare mia zia.

Gaetana                         - Che comanda? Ha bisogno di qualche cosa?

Ciccopaolo                    - Ho intenzione di maritarmi.

Gaetana                         - (sorridendo) Ih, sempre lo stes­so è, come da ragazzo, sempre allegro. E bene, bene fa. Una buona moglie, con la benedizione di Dio... Bene fa. Il Signore la benedica. Vera-mente la Madonna l'ha illuminato.

 Ciccopaolo                   - Illuminatissimo, cara Gaeta­na. Me la date vostra figlia per moglie?

Gaetana                         - (sorridendo, con tono di affettuoso rimprovero) Che sempre, sempre deve scher­zare vossignoria?

Ciccopaolo                    -   Gaetana, io parlo seriamente. E che ho la faccia ridicola? Io vi chiedo for­malmente la mano di vostra figlia Rosa. Ho do. mandato alla signorina se... che so, qualche impedimento, qualche amore nascosto... Dice di no. Dunque, ora a noi. Me la date?

Gaetana                         - (stenta a credere) Gesù... creti­na mi pare di diventare. E come!... vossigno­ria... mia figlia? Per davvero?

Ciccopaolo                    - E come ve lo devo dire?

Gaetana                         - E come!... vossignoria... un ga­lantuomo... Noialtri villanelli siamo, lo sa. E poveretti. Rosa dote non ne ha.

Ciccopaolo                    - Vostra figlia vi domando, non la dote. Anzi voglio anche la dote. L'avete an­cora quella bella zappa della buon'anima di vostro marito?

Gaetana                         - Ancora l'abbiamo. Sotto il letto è. E che vuole farne?

Ciccopaolo                    - Quella sarà la dote di Rosa.

Gaetana e Rosa             - (meravigliate) La zappa?

Ciccopaolo                    - Sissignore. Mi serve. Devo fa­re il villano.

Rosa                              - Il villano, vossignoria?

Ciccopaolo                    - Nelle mie terre. Mi zapperò le mie terre.

Gaetana                         - Gesù... Gesù... cangiato è. E co­me cangiò? Miracolo della Madonna!

Ciccopaolo                    - Lasciate stare la Madonna. Ve­niamo a noi. Rosa?

Rosa -                            - Per me... se vuole mia madre...

Gaetana                         - Bellamadre, incretinita sono. E donna Maragrazia? Bisogna vedere cosa ne di­ce sua zia.

Ciccopaolo                    - Quella è morta: non c'entra.

Gaetana                         - Ih, che dice! Il Signore cent'an­ni di salute le deve dare.

Ciccopaolo                    - Insomma, cara Gaetana, con­cludiamo.

Gaetana                         - Don Ciccopa'... posso dire di no a vossignoria? Per noi onore grande è...

(Si ode).

La voce di Filomena     - Gaetana?

Gaetana                         - Vengo, vengo. Bellamadre, incre­tinita sono. E perchè sono venuta? Ah! (Pren­de da un cassetto un asciugamano ed esce dal' l'uscio donde è entrata, dicendo) Non capisco più niente, incretinita, bellamadre...

Ciccopaolo                    - E ora andiamo a vedere i morituri. Tu, cara promessa sposa (oramai ci possiamo dare del tu), mi devi fare un favore: de­vi andare a prendere quella tale zappa. Voglio la dote anticipata. (Esce dalla porta di sinistra, donde subito entra Filomena).

Rosa                              - (fuori di sé dalla gioia) Filomena, Filomena, mi marito!

Filomena                       - Te lo sei sognato?

Rosa                              -   Altro che sognare. E sai con chi?

Filomena                       - (ironica) Col figlio del sindaco?

Rosa                              - Meglio, meglio: con don Ciccopaolo.

Filomena                       - Ti sei ubriacata di buon mat­tino ?

Rosa                              - Ubriaca? Vedrai, vedrai. Cotto, cot­to è.

Filomena                       - Si, cotto! Quello, galantuomo, chissà quante ne ha viste e ne ha avute donne eleganti in quelle città... vede te, e si cuoce!

Rosa                              - Vuol dire che gli piaccio più di quel le. Tu che ne sai ?

Filomena                       - E che gli porti in dote, il feudo di Mascalucia?

Rosa                              - (ridendo) La zappa di mio padre, dice, è la mia dote.

Filomena                       - La zappa? E che se ne fa?

Rosa                              - Il villano, dice, deve fare.

Filomena                       - Il villano?

Rosa                              - Già, il villano... Così dice, ma poi... Sempre galantuomo è.

Filomena                       - Ma vero è?

Rosa                              - E che ti pare una fandonia? Vero, vero, vero!

Filomena                       - Sai che ti dico ? Non ti maritare con don Ciccopaolo. Pazzo dev'essere. Già mia madre me lo diceva sempre che è strambo e che buona riuscita non ne fa.

Rosa                              - No: cangiato è. Anche mia madre lo dice, che lo conosce da ragazzo. E' pentito delle stramberie che ha fatte. Ha idee serie ora. E poi... che me ne importa? Io sono senza dote... e so che mi marito con un galantuomo, con uno che ha viaggiato, elegante (hai visto com'è vestito? pare un figurino), e so... che di­vento una signora! (Fa per andare).

Filomena                       - E dove vai ora?

Rosa                              - (ridendo) Vado a prendere la mia dote, la zappa. (Esce dalla comune; la si ode salutare allegramente delle persone che incon­tra per le scale) Benedìcite,

Filomena                       - Stamattina mi pare di essere in mezzo ai pazzi.

(Dalla comune entrano Manuzza e Caterina).

Filomena                       - Benedìcite.

Manuzza                       - (tipo di possidente paesano: magro, duro, e vestito alla meglio) Cara Filome­na, come sta donna Maragrazia?

Filomena                       - Meglio pare stamattina.

Caterina                        - Perciò Rosa era così contenta.

Filomena                       - Se vogliono entrare di là... C'è il dottore e don Ciccopaolo. (Si avviano, ma sull'uscio si incontrano con Ciccopaolo e il dottore).

Ciccopaolo                    - Carissimo compare Totò!

Manuzza                       - Caro compare! Caterina, vieni qua. Compare, vi presento la mia signora. Voi la lasciaste signorina...

Ciccopaolo                    - (stringendo la mano a Caterina) Felicissimo. Dopo tanti anni Ja trovo... Mio compare Totò non poteva scegliere meglio. E lei, signora, se lo sognava di vedermi tor­nare... così, figliuol prodigo?

Caterina                        - Veramente... tanta fortuna... Mio marito mi ha parlato sempre di lei...

Manuzza                       - Cos'è questo lei? Siete com­pare e comare. E' vero, dottore?

Dottore                         - (che se n'è stato in disparte, in­chinandosi a Caterina) Buon giorno, si­gnora.

Caterina                        - Oh, buon giorno, dottore. Scusi, non l'avevo vista. (Agli altri) Piuttosto, vorrei vedere donna Maragrazia. (Al dottore) C'è spe­ranza, dottore?

Dottore                         - Fuori pericolo oramai.

Caterina                        - (a Ciccopaolo) Permettete, com­pare ?

Ciccopaolo                    - Prego, prego.

(Caterina esce dalla prima porta di sinistra seguita da Filomena).

Manuzza                       - Sicché, dottore, donna Mara-grazia ?

Dottore                         - Meglio, meglio. Ora si può in­cominciare a sperare.

Manuzza                       - L'ho detto sempre, io! Il nostro dottore Fiorillo, caro compare, fa /miracoli, privo di Dio!

Ciccopaolo                    - Una specie di taumaturgo.

Dottore                         - Non esageriamo.

Manuzza                       - Questa è settimana di mira­coli .

Ciccopaolo                    - Altri miracoli, compare?

Manuzza                       - Il vostro, compare! Cangiato, dottore, cangiato completamente. Me ne sono accorto ieri sera, subito. Sa?... strambo sul serio. Ha fatto la vita veramente: donne, viag­gi... Ora ha messo giudizio, ha idee serie. - Bravo, compare! Mi piace di dirvelo davanti al nostro dottore, che è un giovane serio, è clie qua gli vogliamo bene tutti. (Ciccopaolo sorride con aria di indulgente superiorità) Bra-vo! Ora siete veramente uomo! (Gli batte una mano sulla spalla. Poi, al dottore). Ora gli troviamo una buona moglie...

Gaetana                         - (entrando da sinistra) Gliel'ho fatta prendere la pillola, dottore.

Dottore                         - Ah, bene. Ora vi scrivo la ri­cetta. Andrete dal farmacista Cùcola... (Continua a parlare piano con Gaetana. Poi va al tavolo e scrive la ricetta. Gaetana gli sta vi­cino).

Ciccopaolo                    - (dall'altra parte della stanza) Compare Totò, venite qua. Vi piace Rosa, la figlia di Gaetana?

Manuzza                       - la che senso?

Ciccopaolo                    - Insomma... !che ragazza vi sembra ?

Manuzza                       - (accalorandosi) Ah no, compa­re. Quella ragazza onesta è. Povera, ma onesta. Tutta la famiglia - voi lo sapete - è stata sempre in casa vostra. Compare, mi raccoman­do, non fate ragazzate. E come, dite che siete venuto con idee serie!... Qua non siete hi con­tinente. Le ragazze oneste, qua...

Ciccopaolo                    - (interrompendolo, calmo) Compare, adagio. Avete preso il volo! E' una ragazza onesta?

Manuzza                       - Onestissima, compare.

Ciccopaolo                    - Benissimo. Quello che volevo io. Me la sposo. Idea più seria di questa?

Manuzza                       - (stupito e incredulo) Parlate se­riamente ?

Ciccopaolo                    - E che ho la faccia ridicola stamattina ?

Manuzza                       - Scherzate... volete scherzare... Una ragazza del popolo... una villana... Voi, un galantuomo!...

Ciccopaolo                    - Compare, un momento, ra­gioniamo. Prima l'avete portata alle stelle: è una ragazza onesta - mi raccomando, non fate ragazzate - qui non siete in continente... Ora vi dico che voglio sposarla...

Manuzza                       - Che c'entra! Non è la stessa cosa. Credevo... così, per capriccio. Ma per moglie... Che c'entra! Uno deve stare nella sua posizione (Sociale...

Gaetana                         - (prendendo la ricetta che ii dottore le porge) Sissignore, ci vado ora stesso. E spe­riamo che la Madonna faccia il miracolo. Cen­to anni di salute! (Via dalla comune).

Manuzza                       - Io, compare, sono sbalordito.

Ciccopaolo                    - Per così poco?

Manuzza                       - Poco vi pare? Compare, ma dove l'avete-la-testa?

 Ciccopaolo                   - (toccandosi la testa) Qua è, compare. (Al dottore che si avvicina dopo avere intascato il taccuino) Illustre dottore, le dò subito l'esempio. Mi sono fidanzato.

Dottore                         - (ridendo) Di già?

Ciccopaolo                    - Con Rosa, la figlia di Gaetana.

Manuzza                       - (eccitato) Ma queste sono cose da pazzi, privo di Dio! Un galantuomo come voi!... Dottore, glielo dica lei.

Dottore                         - Io non posso permettermi...

Ciccopaolo                    - Si permetta quello che vuole. Tanto è lo stesso. Piuttosto, caro dottore, im­pari, approfitti dell'esempio.

Manuzza                       - (sempre più eccitato) Io non capisco, privo di Dio!...

Ciccopaolo                    - (calmissimo) Mio compare, caro dottore, è come un tram: ha bisogno del binario. La mattina esce... dàn, dàndàn, dàn - e se ne va pacifico sul suo binario. Io sono un uomo senza binario. Mi spiego? La strada me la faccio da me, come credo meglio.

Manuzza                       - (c.s.) Ma che binario e tram! Che gli contate! Dottore, ha caipito, sì o no? Si vuole ammogliare con una villana che non ha nemmeno la camicia per dote!

Ciccopaolo                    - (c.s.) Sicuro, Rosa, una ra­gazza del popolo. E' come la terra incolta, caro dottore. Si può coltivare come si vuole. E qui sta l'arte. Me la coltiverò io. Di queste nostre ragazze di campagna, caro dottore, se ne può fare ciò che si vuole. Ora, io, che donne ne ho conosciute a bizzeffe, me la for­merò secondo i miei... (Dalla comune entra Rosa, con in mano una vecchia zappa arrugginita. Il dottore e Manuzza si guar­dano stupiti).

Ciccopaolo                    - (andando incontro a Rosa e prendendo la zappa) Be­nissimo. Ecco qua. Le presento la mia fidanzata, illustre dottore. E a voi, caro compare, vi. presento la dote. (Mostra la zappa).

Manuzza                       - (sbalordito) La do­te?

Ciccopaolo                    - Questa è la dote di Rosa. La zappa della buon'ani­ma di suo padre, lavoratore inde­fesso. (Pausa) Compare, mi sem­brate mezzo allocchito.

Manuzza                       - (c. s.) Io mi sento preso dai turchi, privo di Dio!

Ciccopaolo                    - Senza turchi, caro compare. Farò il villano, mi zap­però le mie terre. (Si apre l'uscio dell'ammalata, e appare Filomena, spaventata, chia­mando) Dottore, dottore, venga, venga subito. (E scompare).

Dottore                         - Un nuovo disturbo? (Esce dallo stesso uscio, seguito da Manuzza e Rosa allarmati).

Ciccopaolo                    - (resta solo, con la zappa in mano. Mormora tra se) Il miracolo del dottore, forse.

(Dopo un poco si odono gridi delle donne, seguiti da pianto e sin­ghiozzi. Ciccopaolo fa con le dita il segno della morte).

Manuzza                       - (entra con il fazzoletto agli occhi e soffocando i singhiozzi) Coraggio, compare, coraggio! (Lo abbraccia. Poi, vedendo che Ciccopaolo non si commuove ed è come impietrito con lo sguardo fis­so a terra, si scosta sorpreso e lo indica al dottore, che entra in quel momento con l'evidente intenzione di fare le condoglianze a Cieco-paolo, facendogli capire con gesti che gli sembra impazzito).

Ciccopaolo                    - (sul proscenio, col ca­po chino, facendo girare lentamen­te con una mano la zappa appog­giata a terra, dice tra se) A ot-tant'anni c'è forse cosa più natu­rale della morte?

FINE DEL PRIMO ATTO

SECONDO ATTO

 

Dopo due anni.

La stessa scena del primo atto. La stanza ha un aspetto più gaio. I mobili sono allo stesso posto. Qualche cambiamento negli oggetti po­sti sui cassettoni e nei quadri delle pareti. Sul cassettone addossato alla parete di fondo sono le fotografie di Ciccopaolo e Rosa.

Quando il sipario si alza, Ciccopaolo, Rosa e Gaetana, seduti alla tavola, finiscono di de­sinare.

Ciccopaolo è seduto in modo da guardare il pubblico; le donne ai due lati. Ciccopaolo ve­ste una giacca alla cacciatora e porta stivali a soffietto. Le donne son vestite meglio che nel primo atto.

Rosa                              - (a Ciccopaolo) Ti piacciono le fave cucinate così?

Ciccopaolo                    - (mangiando) Eccellenti. Han­no però un certo sapore... Sarà l'olio che in­comincia a invecchiare, poveretto.

 Gaetana                        - Non è l'olio. E' che questa scioc= ca ci fece una vampata che manco se avesse do. vuto cuocere un maiale, con rispetto parlando. A fuoco lento vanno fatte. Glielo dissi io. Ma nossignore, vuole fare semipre come le dice la sua testa.

Ciccopaolo                    - Cara madre, e per questo vi prendete «collera? E' morto il papa forse?

Gaetana                         - Che c'entra! Quando si fa una cosa, si deve fare con tutte le regole.

Rosa                              - (seccata, alla madre) Per non farlo aspettare, che era tardi.

Gaetana                         - Già, e per non farlo aspettare un po', gli fai mangiare questa bella pie­tanza.

Ciccopaolo                    - Squisita, cara madre, eccellen­te. (A Rosa) E questa sciocca che se la prende sul serio. Via, non fare la ragazza.

Rosa                              - Davvero ti piacciono?

Ciccopaolo                    - H mangiare preparato da mia moglie, con le sue manine, è mangiare di re, anzi più che di re, perchè il re la fortuna di mangiare pietanze cucinate dalla regina non l'ha. E' come il frutto della terra che uno col­tiva con le proprie mani. Mi spiego? E tu, sciocca, per una cosa da niente... (A Gaetana) Voi, cara madre, siete come l'olio: con la vec­chiaia, ogni tanto...

Gaetana                         - E io che parlo per me? Per vos­signoria parlo.

Ciccopaolo                    - Ecco, questa è la pietanza che io non vorrei: questo vossignoria. Mi guasta la digestione. Da due anni predico che non voglio sentire vossignoria... E a chi parlate, alla luna?

Gaetana                         - (sorridendo) Bellamadre, non ci riesco a chiamarla Ciccopaolo. Manco mi pare vero, tanto grande è l'onore per la mia ca­sa...

Ciccopaolo                    - Oh Dio, una colica mi prende oggi-

Rosa                              - (evidentemente infastidita dal parlare di sua madre)   E la finisca. Non vede che gli fa male?

Ciccopaolo                    - (crede premurose le parole della moglie. Affettuoso) No, sciocca, che male! Scherzo. Per me, in qualunque modo mi chia­mi... cangio forse? Sempre lo stesso sono. E' come se a una bottiglia di vino ci metti l'e­tichetta: moscato, o aceto, o sciampagna. Sem. pre vino è. Mi piacerebbe però un po' più d'intimità... ecco, di confidenza da parte di tua madre, che non si può convincere - cosa sovrumana! - come io  - don Ciccopaolo Fer­rante! - possa essere il marito di sua figlia!

Gaetana                         - Davvero, certe volte, quando ci penso, manco mi pare vero. Rosa, che glie-l'avrebbe detto alla buon'anima di tuo pa­dre, eh?    - Quando vossignoria era ragazzo e si ammazzava a studiare, la buon'anima di mio marito diceva : « Dotto si farà questo ra­gazzo: sarà l'onore del parentato ».

Ciccopaolo                    - E chissà... forse sono vera­mente dotto. Se avessi continuato a studiare, sarei potuto diventare... avvocato, dottore... che so,... deputato; ma sempre cretino sarei rimasto. La vita bisogna studiarla direttamente

                                      - e capirla. Io l'ho capita e mi sento dot­ tissimo, meglio che se avessi una diecina di lauree. Voi, cara madre, sareste (più contenta se io fossi diventato, mettiamo, dottore?

Gaetana                         - Che c'entra! Dottore... sempre dottore è.

Ciccopaolo                    - Già... sempre cretino è. Come il dottore Fiorillo, che sogna sempre... Senza dire che non mi sarei sposato con vostra figlia. Per forza.

Gaetana                         - Quando una cosa è destinata dal Signore...

Ciccopaolo                    - Lasciatelo stare quel galan­tuomo. Se dovesse pensare al destino di tutti gli uomini... Ognuno, cara madre, il destino se lo deve fare lui stesso.

Gaetana                         - Che dice!

Cicccopaolo                  - Vangelo, cara suocera. Il guaio è che gli uomini sono ciechi. Cioè, ve­dono, ma vedono male. Io, per conto mio, il destino me lo son fatto io stesso. Venni in paese, mi sposai con vostra figlia... Tutti di­cevano che ero pazzo. Non è forse vero?

Rosa                              - L'invidia! Perchè ti maritasti con una senza dote.

Ciccopaolo                    - No, anche quelli che non ave­vano nessuna ragione per essere invidiosi. Co­sì... per asinaggine umana. Quando vedono uno che pensa a modo suo e che fa come gli dice la sua testa, che esce fuori dal binario

                                      - subito: pazzo è. Quando non volli più an­ dare a scuola e lasciai il paese: pazzo! Quan­ do tornai: saggio! Quando mi maritai con te: pazzo! E mi guardavano come una bestia rara, a distanza. Poi, a poco a poco... Ma per loro sono sempre pazzo perchè vado in campagna con i villani, mi faccio gl'innesti, la potatura... zappo... Possono capire, poveri disgraziati, la bellezza della mia vita?

Rosa                              - (mostrando che quella vita non le gar­ba) Ma veramente chi te lo fa fare? Stare vestito così, come un villano... Potresti fare quello che sei, il galantuomo; potresti essere il più elegante del paese... campare in santa pace... Ti mancherebbe di che mangiare?

Ciccopaolo                    - Sono pazzo anche per te forse?

Rosa                              - Io dico per...

Ciccopaolo                    - Non sei contenta forse del tuo stato?

Rosa                              - (con falsa umiltà) Per questo, non sono degna di ringraziare Dio: bacio la terra! (Fa per toccare il suolo con le dita).

Ciccopaolo                    - (fermandole il braccio) No, sciocca, che fai? Bacia qua. (Le offre la guan­cia) Voi, cara madre, permettete, eh?

(Rosa lo bacia sulla guancia).

Gaetana                         - Il Signore vi benedica! Cent'an­ni di salute, con la santa pace di Dio!

Ciccopaolo                    - Tu, cara Rosa, non ti devi pre­occupare di ciò che dice la gente. Affari miei. Tu devi fare la tua (professione; la moglie. Lo sai come si fa?

Rosa                              - Come si fa?

Ciccopaolo                    - Semplicissimo. Pensare al mangiare, fare maccheroni (col buco e senza buco), lasagne, conserve, fave, fichi secchi e... eccetera. Mi spiego?

Gaetana                         - Ih, sempre allegro è, beato lui! Cent'anni di salute il Signore...

Ciccopaolo                    - (interrompendola) Cara ma­dre, mi raccomando: il Signore, a furia di sentirselo ripetere ogni momento, si secca... e riduce.

Gaetana                         - (come ricordandosi improvvisamen­te) Oh! la testa sto perdendo!

Ciccopaolo                    - Che è successo?

Gaetana                         - Coniare Rosalia! Devo andare a far visita a comare Rosalia.

Rosa                              - E c'è bisogno di fare così? Fa sal­tare l'anima!

Ciccopaolo                    - Ancora dura questa visita­zione ?

Gaetana                         - Il terzo giorno questo è, l'ulti­mo. Vicina affezionata, cornare Rosalia. A un bisogno, sempre si vede. Per tanto che ora... Io non sono superba.

Ciccopaolo                    - Io non capisco perchè dovete affliggere quella povera disgraziata, stando là, seduti come tanti mammalucchi. Come se non le bastasse la morte del marito.

Gaetana                         - Che deve fare come vossignoria, ohe quando morì sua zia se ne andò in cam­pagna? Usanza è, tant'anni. Le dispiace forse che ci vado?

Ciccopaolo                    - A me? Per me questa usanza la potete fare durare quindici giorni. Andate… andate, cara madre. Piuttosto, sapete che do­vete fare? Prendete quattro uova, un pezzo di formaggio, una bottiglia di vino vecchio, e glieli portate. Ora ch'è rimasta sola, pove­retta...

Gaetana                         - Il cuore grande l'ha vossignoria. Parla, parla, ma poi... E i poverelli, i villanelli lo sanno; e le vogliono bene, sa, per dav­ vero. »

Rosa                              - Vorrei sapere chi dei signori di que­sto paese fa il bene che fa lui. E c'è poi chi va sparlando.

Ciccopaolo                    - Ti preoccupi di ciò che dice la gente? Miserie, cara moglie, miserie...

Rosa                              - Sì, ma sino a un certo punto. Una lezione ci vorrebbe per certuni.

Gaetana                         - Giusto dice Rosa.

Ciccopaolo                    - (per tagliar corto) Va bene, va bene, cara suocera: daremo la lezione.

(Frattanto Rosa ha sparecchiato e Gaetana, dopo aver preso ciò che deve portar via, s'è messa lo scialle).

Gaetana                         - Io me ne vado.

Ciccopaolo                    - Tanti saluti a comare Ro­salia.

Gaetana                         - Sarà servita. (Esce dulia co­mune).

(Rosa finisce di ordinare la stanza. Cieco-paolo carica la pipa e fuma a grandi boccate, sdraiato su una sedia).

Ciccopaolo                    - (piano, come seguendo un suo pensiero, alternando con pause) La gente sparla... Povera umanità... Febbre bestiale pazzesca!... Come se campassero per vedere vivere gli altri, e non per vivere loro. Belve umane! (Chiamando forte, verso la comune) Puddu! Puddu!

Puddu                           - (da fuori) Vuole me?

Ciccopaolo                    - No, l'altro Puddu.

Rosa                              - Che ragazzo stupido !

Puddu                           - (sulla comune) Che comanda?

Ciccopaolo                    - Quanto siamo inteligenti, eh?

Puddu                           - Che dice vossignoria?

Ciccopaolo                    - L'hai fatto ferrare l'asino?

Puddu                           - Sissignore, qui sotto è, che man­gia.

Ciccopaolo                    - Cosa mangia?

Puddu                           - La paglia che gli ho dato.

Ciccopaolo                    - (calmissimo) E quando mai tu ne hai fatta una giusta? T'ho detto e ri­petuto die paglia di giorno non gliene devi dare. Di giorno gli devi dare l'erba fresca. Ma che hai una simpatia speciale per la paglia?

Puddu                           - No; è che...

Ciccopaolo                    - E' ohe ti seccava andare nella stalla per prendere l'erba, e hai preso la pa­glia dal magazzino. Mi spiego? Ora ci vai e la vai a prendere.

Puddu                           - Sissignore. (Esce mogio mogio).

Rosa                              - Tu lo tratti troppo con i guanti gial­li, come se non fosse un garzone. E quello se ne approfitta. Se invece gli facessi ogni tan­to una bella lavatina di capo...

Ciccopaolo                    - Che lavata di capo! Ragazzo è. All'età sua io facevo tutto il contrario di quello che mi dicevano.

Rosa                              - Mia madre dice sempre ch'eri ob­bediente, ragazzo.

Ciccopaolo                    - Di fronte... alla maestà del bastone di mio padre, si capisce. Ma poi, fuori tiro...

Rosa                              - Oggi resti in casa?

Ciccopaolo                    - No. Faccio mangiare un po' d'erba all'asino e poi dò una capatina alla vigna.

Rosa                              - Con questo caldo?

Ciccopaolo                    - Caldo? Dove c'è verde, albe­ri, aria pura, la temperatura è un'opinione. E poi... quanto vale una fumata fatta lassù, sotto il pergolato... Il paese pare un giocattolo, pic­calo, sperduto... Pare di essere in paradiso, di salire... salire verso Dio, diventare un po' di Dio... (Rosa è seccata e impaziente) Se il tem­po non cangia, cara Rosuzza, quest'anno dob­biamo comprare una botte nuova. Feci una potatura alla vigna, che manco il meglio vil­lano. Ogni vite ha per lo meno tuia trentina di chili d'uva. (Acorgendosi che Rosa non gli presta attenzione) Che hai? Mi pari un po' stralunata.

Rosa                              - No... niente... mi duole un po' la testa.

Ciccopaolo                    - Per forza: stai sempre in casa! Vuoi venire con me alla vigna? Una passeg­giata ti farà bene. Sull'asino: comodissimo: pare una poltrona.

Rosa                              - No, con questo sole... non ci sono abituata... E poi, ho promesso a comare Con­cetta di andare ad aiutarla a nettare il fru­mento....

Ciccopaolo                    - Se ti senti male...

Rosa                              - Cosa da niente è.

Ciccopaolo                    - Fa come vuoi.

Rosa                              - Per stassera che vuoi che ti pre­pari?

Ciccopaolo                    - Affari tuoi. Io non c'entro.

Rosa                              - Poi non resti contento...

Ciccopaolo                    - (sorridendo bonariamente) Io? E quando mai? Vorrei vedere se nel mon­do c'è mi uomo che s'accontenta come me,

Puddu                           - (sulla comune) Don Ciccopa', c'è don Calogero Randazzo e il Prete Pernice.

Giccopaolo                    - Dove sono?

Puddu                           - Qua sotto.

Ciccopaolo                    - Tanto piacere.

Puddu                           - Vogliono parlare con vossignoria.

Ciccopaolo                    - Con me? (Va alla finestra e guarda fuori, come per accertarsi) E che vogliono da me queste due bestie umane?

Rosa                              - (seccata per il contrattempo) Che ne so io?

Ciccopaolo                    - (a Puddu) Falli salire. (Pud­du va via. A Rosa) Fa il favore, va' di là. Li liquido in due minuti.

(Rosa esce dalla sinistra).

Ciccopaolo                    - (sulla comune) Avanti, avan­ti, accomodatevi.

(Calogero Randazzo e il Prete entrano. Dapprima sono un po' impacciati, ma l’accoglien­za cortese di Ciccopaolo li rinfranca).

Randazzo                      - Caro don Ciccopaolo!

Il prete                          - Disturbiamo forse? Senza com­plimenti, don Ciccopa'.

Ciccopaolo                    - Ma che disturbo! Prego, in testa. Accomodatevi, don Calogero. Reverendo, s'accomodi.

(Siedono tutti).

Randazzo                      - Siamo venuti a farvi questa vi­sita... ecco...

Il prete                          - Si tratta... (Non sapendo come cominciare) Ma non disturbiamo?

Ciccopaolo                    - Niente disturbo, reverendo. Piuttosto... l'onore di questa visita...

Il prete                          - Che onore! E' forse la prima volta ohe veniamo qua? o ci conosciamo da ieri?

Randazzo                      - Le nostre famiglie, tant'anni, come parenti, sempre assieme. Vostro padre, buon'anima, e mio padre erano come fratelli.

Il prete                          - E mio nonno e vostro nonno?

Ciccopaolo                    - Non ci sperdiamo nel medio­evo, reverendo.

Il prete                          - La vostra famiglia, poi - non per disprezzare, con Calogero - come reli­gione e devozione alla Chiesa, la (prima! Anche vostra zia Maragrazia, requie all'anima sua, nel suo testamento si ricordò della casa di Dio.

Randazzo                      - Santa donna, per davvero!

Ciccopaolo                    - Sì, sì... eh. E allora, giacché i nostri antenati... non parliamo d'onore, eh? diciamo... il piacere. Dunque, il piacere di questa visita?

 Randazzo                     - Ecco...

Il prete                          - Si tratta...

Randazzo                      - Ecco. Come sapete, è stata sciol­ta la Camera dei Deputati e si devono fare le nuove elezioni.

Ciccopaolo                    - lo veramente non so niente.

Il prete                          - Come, non l'avete letto il « Gior­nale di Sicilia »?

Ciccopaolo                    - Non leggo giornali da due an­ni. Ma... insomma?

Randazzo                      - Ecco: dovreste far parte del Comitato del nostro partito.

Ciccopaolo                    - Nostro?

Randazzo                      - Nostro, sicuro. Le nostre fa­miglie, tant'anni, sempre dello stesso partito sono state.

Ciccopaolo                    - Scusate, don Calogero : e vi  rivolgete a un pazzo?

Il prete e Randazzo       - Pazzo?

Ciccopaolo                    - Avete sempre detto a dritta e manca che io sono pazzo, perchè sposai una villana senza dote e perchè...

Randazzo                      - Macché! Chi ve l'ha contate queste infamità?

Il prete                          - E voi ci avete creduto? Mi me­raviglio. Noi anzi vi abbiamo ammirato.

Ciccopaolo                    - Ammirato?

Il prete                          - Sicuro, ammirato per il gesto nobile che avete fatto sposando una ragazza povera e mettendovi a lavorare con umiltà. Io vi ho portato ad esempio a tanti e tanti.

Ciccopaolo                    - (per nulla convinto) Non me n'ero accorto di questa ammirazione. Ma in­somma, caro reverendo, ritornando al discorso delle elezioni, partiti e simili inezie... vi dico apertamente che sono cose che non mi inte­ressano affatto.

Randazzo                      - (resta sorpreso, poi) E come, don Ciccopa'?... Ma non sapete che se non ci organizziamo bene, questa volta quei diso­nesti della famiglia Chitarrella, con l'influen­za che hanno nella provincia, riescono a fare eleggere il loro candidato?

Il prete                          - I primi sintomi si sono visti nelle ultime elezioni.

Randazzo                      -  (incalzando) Ci vuole organiz­zazione, or-ga-nizzazione !

Ciccopaolo                    - (calmissimo) Organizzatevi, caro don Calogero. Che c'entro io?

Randazzo                      - Come, che c'entrate?

Il prete                          - Parlate sul serio?

Ciccopaolo                    - Più serio di così... è impossibile.

Randazzo                      - (accalorandosi) Ma scusate, don Ciccopa': ci pensate alle soverchierie che farà l'altro partito se arriva ad andare al potere?

Ciccopaolo                    - Per me, vadano al potere i Chitarrella, o il Kaiser o l'imperatore del Giap­pone, non m'interessa niente.

Il prete                          - (accalorandosi anche lui) Ma lo sapete che se questa volta non riesce eletto il nostro candidato, la feiTovia qua non s'è vista e non si vedrà?

Ciccopaolo                    - Non ho bisogno di ferrovia.

Il prete                          - Ma non si deve essere egoisti. Se non ne avete bisogno voi...

Ciccopaolo                    - (con uno scatto improvviso) Reverendo, Gesù Cristo con l'asino viaggiava. Io viaggio con l'asino, come Gesù Cristo.

Il prete                          - Che c'entra!

Ciccopaolo                    - C'entra, c'entra.

Il prete                          - Allora non c'era ferrovia. Ora con il progresso...

Ciccopaolo                    - (ritornato calmissimo) Mi me­raviglio che un ministro di Dio parli di progresso. Lei, illustre reverendo, si dovrebbe preoccupare del progresso dell'anima. E per l'anima è più consigliabile l'asino. Glielo ga­rantisco. Io... quando vado in campagna... certe mattine, mentre spunta il sole... camminando con l'asino - così, spalla con spalla: tanto per compagnia- mi faccio certi ragionamenti... Sa, che bellezza!... con quell'aria imbalsama­ta... Uno si sente salire... si avvicina a Dio...

Il prete                          - (facendosi scandalizzato il segno del­la croce) Che dite, don Ciccopaolo? Mettete insieme il Signore con l'asino?

Ciccopaolo                    - Non è una creatura di Dio for­se? E poi, Dio non è in terra, in cielo e in ogni luogo?

Il prete                          - Va! va! non usciamo dal semi­nato. Piuttosto...

Randazzo                      - Ecco, diteci il vero motivo per cui rifiutate.

Ciccopaolo                    - Sono cose che non m'interes­sano. Esterne. Mi spiego?

Randazzo                      - Allora... dobbiamo credere a quello che si dice.

Ciccopaolo                    - Che si dice?

Randazzo                      - Si dice che vi siete sposato con una villana e... insomma, badate alla campa­gna, e fate favori a dritta e a manca ai villani, perchè avete intenzione di fondare in paese il partito socialista.

Ciccopaolo                    - (resta stupito, poi, con grande commiserazione) Poveri disgraziati! Perchè faccio... io... dovrei... Infelici! Reverendo, ivo qualche cosa di più grande della potenza divina.

 Il prete                         - Lasciamo stare questo argo» mento.

Ciccopaolo                    - Ed è l'asinaggine umana. Infinita, Reverendo.

Randazzo                      - Ma è vero o non è vero? Ditecelo francamente.

Ciccopaolo                    - E come ve lo devo dire che non m'interessano niente tutti i partiti del mondo, tutte le elezioni passate e future. Non m'in-te-res-sa-no !

Randazzo                      - E come può essere?

Il prete                          - E come campate? Di un partito dovete essere. Allora di niente v'interessate?

Ciccopaolo                    - E vi scandalizzate perchè una cosa che interessa voi a me è indifferente?

Il prete                          - (accalorandosi) Ma quando uno campa...

Randazzo                      - Nel consorzio civile, caro don Ciccopaolo...

Ciccopaolo                    - (alzando la voce per dominare la discussione) Signori miei, questione di ot­tica!

Randazzo                      -  (che non capisce la parola) Di?

Ciccopaolo                    - (ritorna a parlare piano) Di ottica. Ognuno guarda con i suoi occhiali. E gli occhiali, signori miei, sono diversi. Quindi... Ognuno, reverendo, ha nel cervello un paio di occhiali e vede le cose del mondo come gliele fanno vedere gli occhiali. Mi spiego? No? Un esempio. Mettiamo... ecco, mettiamo il cielo.

Il prete                          - Lasciamo stare le cose sacre, don Ciccopà'.

Ciccopaolo                    - Reverendo, io parlo del cie­lo... quello che si vede. Mettiamo dunque un bel cielo di primavera, celeste e bello liscio e pulito. (A Randazzo) Voi lo guardate e vi ri­storate a guardarlo col naso in aria. Oh che bel cielo! E se sapete fare le poesie (ci sono quelli che le fanno; professione come un'altra) ci fate su la vostra brava poesia, e ci fate en­trare... la primavera, l'innamorata, il padre­terno ( il prete tenta di protestare) e, se siete socialista, anche il sol dell'avvenire. Un altro che, mettiamo, fa il villano, si mette a be­stemmiare perchè non piove e quel bel cielo gli rovina il raccolto. Un altro guarda e tira via come se nulla fosse. (A Randazzo) Ora voi, che restate entusiasta del bel cielo e ci fate la vostra brava poesia...

Randazzo                      - Ma io, veramente... poesie...

Ciccopaolo                    - Esempio, don Calogero. Dun­ que, voi andate a dire al villano che il padre­ terno fa bene a tenere quel bel cielo, oppure andate a dire a quello che tira via di fermarsi perchè la vista di quel cielo vale più dei suoi affari. Provatevi. Reverendo, si provi. Legnate prendete. E perchè? Perchè ognuno guarda con i stioi occhiali, e fra gli altri guai non ca­pisce che un altro guarda con altri occhiali. Mi spiego? Ammazzano, mettiamo, un povero di­sgraziato. Uno lo sa e resta addolorato, sgo­mento, perplesso: « Poveretto! giovine giovi­ne! » Un altro inveisce contro tutto il genere umano, dicendo che gli uomini sono degni del­la forca, quasi senza pensare a quel disgraziato che è morto. Un altro mormora: « L'hanno ammazzato? Buon viaggio! beato lui che si è liberato dai guai di questo mondo ». Un altro pensa ai parenti: « Poveretti, chissà che pe­na! ». Un altro, sapendo il modo come quello è stato assassinato, esclama entusiasta: « Per­bacco! che intelligenza ha quella gente! guarda come gliel'hanno combinata bella! » Occhiali, signori miei, ottica! Rendo l'idea?

Randazzo                      - (più confuso che persuaso) Ve­ramente, don decapa'... questo ragionamento di occhiali...

Il prete                          - Mi pare che non c'entri col no­stro discorso.

Randazzo                      - Ecco, che c'entra? Concludia­mo qualche cosa.

Ciccopaolo                    - La conclusione, signori miei, è che i miei occhiali... - no, niente. - La conclusione è che io guardo senza occhiali.

Randazzo                      - Lo sappiamo. Tutti, nella vo­stra famiglia, hanno avuto vista buona.

Ciccopaolo                    - (come per dirgliela grossa) Don Calò... (cambiando tono, con commisera­zione) Siete un gran galantuomo!

Il prete                          - Dunque, concludiamo.

Ciccopaolo                    - Anche lei, reverendo, è un gran galantuomo. (Per far finire la discussione) Signori miei, sono cose che non mi riguardano.

(Dalla comune entra Totò Manuzza)

Manuzza                       - (ha la faccia scura e le mani dietro la schiena, secco) Benedicite.

Randazzo                      - Ecco, qua c'è don Totò ch'è uomo giudizioso.

Il prete                          - Vediamo se ci dà torto o ra­gione.

Mnuzza                         - Lasciatemi stare, che ho altro per la testa.

Il prete                          - (meravigliato) E come, anche voi? Dopo tanto entusiasmo dimostrato...

Ciccopaolo                    - Occhiali momentanei, reve­rendo. Di solito è entusiasta, ma in questo momento... Ottica!

RANDAZZO               -  (vedendo che non c'è da combinar niente, al prete) Allora è meglio che ce ne an­diamo.

Il prete                          - Se don Ciccopaolo...

Ciccopaolo                    - Senza offesa, signori miei. La mia casa è a vostra disposizione, ma su quest'argomento...

Il prete                          - (avviandosi verso la comune, a Ran­dazzo, piano) Ve lo dissi io. Tempo perso è. Testa stramba è.

Randazzo                      - (piano) Quella bestia del sin­daco, che s'intestò. Io glielo dissi: quello è pazzo. (A Ciccopaolo, forte) Padrone mio.

Ciccopaolo                    - Servo. Illustre reverendo, ba­cio le mani. (Strette di mano, saluti con Totò Manuzza. Ciccopaolo li accompagna sulla co­mune. Mentre quelli scendono le scale, grida) Reverendo, si ricordi che per l'anima è più consigliabile l'asino. Bacio le mani. (Ritor­nando) Belve umane! Potrebbero campare fe­lici, in santa pace; nossignore... Quello, don Calogero, padrone di mezzo paese... Quel­l'altro, con quella bella professione... ministro di Dio! potrebbe fare il padreterno in terra... E' la febbre, la febbre pazzesca. (Vedendo che Manuzza va in giro per la stanza nervosamente senza badare a lui) Compare, che avete?

Manuzza                       - (va un altro po' in giro gesticolan­do; poi siede e si batte le mani aperte sui] gi­nocchi, scrollando il capo. Quasi tra se) E che devo avere... Cose dell'altro mondo, privo di Dio!

Ciccopaolo                    - Compare...

Manuzza                       - Che ho? Ah, compare mio, che mondo birbante! (Rimettendosi a girare per la stanza gesticolando) Carogna si deve essere! ca­rogna! Un galantuomo che è un galantuomo, non può campare! Mondacelo di...

Ciccopaolo                    - (vorrebbe ridere ma si trattiene).

Manuzza                       - Uno è buono, amoroso con la fa­miglia, s'ammazza a lavorare, non fa mancare niente in casa... ebbene, un bel giorno...

Ciccopaolo                    - (come sopra) Compare, che vi ha fatto questo mondo birbante? Che vi è successo ?

Manuzza                       - A me? A me, niente.

Ciccopaolo                    - E allora?

Manuzza                       - E per tanto che a me non è suc­cesso niente? E gli altri? Cose dell'altro mon­do, privo di Dio! (Piantandosi di fronte a Cic­copaolo con le mani ai fianchi gli dice a un tratto) Ci credete voi alle donne, eh?

Ciccopaolo                    - (sorridendo e prendendogli il braccio) Alle donne? E per questo?... Alla vostra età, compare!...

Manuzza                       - (gridando) Ma non parlo di me, ve l'ho già detto. (Dopo una pausa, piano) Io parlo così... di... di un altro, ecco, amicò mio, galantuomo come me e come voi... che crede, sua moglie una santa calata dall'altare... e quella svergognata, che non è degna nemmeno di leccargli i piedi, gli fa... Avete capito? Si trastulla !

Ciccopaolo                    - (ridendo di cuore) E così ve la prendete? Oh, povero compare Totò! E che ci potete fare voi?

Manuzza                       - Io? Niente ci posso fare, io. Ma se... (Esasperato dalle risa di Cicco paolo) se fossi il marito, io, il cuore le mangerei a quella svergognata! Così si disonora un galantuomo? Come, ci ridete? Una carneficina farei io!

Ciccopaolo                    - (come sopra) Compare, parete l'Orlando Furioso! Per una cosa da nulla...

Manuzza                       - (fissandolo, stupito) Una cosa da nulla? Compare, che dite? Uno che perde la pace, l'onore...

Ciccopaolo                    - Compare, non esageriamo. Voltate il binocolo.

Manuzza                       - Che 'binocolo?

Ciccopaolo                    - (si siede e distende le gambe aperte) Voi, caro compare, in questo mo­mento guardate non con un paio di occhiali, ma addirittura con un binocolo.

Manuzza                       - (infuriato) Ma che occhiali! che binocolo! Io parlo di cose serie.

Ciccopaolo                    - (continua senza scomporsi) Voi vedete enormemente ingrandito questo pic­colo fatto insignificante, e vi disperate. E que­sta è la malattia dell'umanità: vedere ingran­dito. E più grande vede, più grande vuol ve­dere. E le cose grandi, si sa, fanno spavento. Se vedete un elefante bello grosso: (con ammi­razione, serio) « Oh, guarda ». Se invece ve­dete una formica, che so... un insetto piccolis­simo: (con un breve riso infantile) «Ih! ih! ih! guarda! guarda!». L'umanità, caro compare, ad ogni cosa; « Oh, guarda! ». E resta schiac­ciata dalla grandezza immaginaria delle cose che guarda. Mi spiego? L'uomo, compare, quando è uomo, animale ragionevole, deve vedere tutto alla grandezza naturale, che è piccola, picco­lissima. Voi, caro compare, in questo momento guardate con un binocolo; io, invece, guardo col binocolo alla rovescia. Una meraviglia, com­pare. Tutto piccolo: ih! ih! ih! E ini spasso.

Manuzza                       - (fremente) Ah! vi ci spassate voi, eh?

Cicccopaolo                  - Per forza: vedendo piccolo... Uomini bisogna essere, caro compare, padroni di se, senza perdere mai la calma, specialmente con le donne, che sono di razza infe­riore. Mi spiego? Vostra moglie, mettiamo, vi fa le corna (io parlo in generale, perchè co­mare Caterina non è di queste); voi lo sapete...

Manuzza                       - (che non ne può più; urlando) La scanno, io!

Ciccopaolo                    - Bravo, la bestia! Fate ridere la gente e ve ne andate in galera. Se invece voltate il binocolo, vi potete anche divertire considerando come la povera carne umana...

Manuzza                       - (come soprv) Ah! divertimento vi pare? E la svergognata dovrei lasciarla viva, con me, per divertirmi così, eh?

Ciccopaolo                    - No, questo no. Una pedata gentile gentile nel... e via! Ognuno per la sua strada. Scusate, compare: siete nato per stare sempre con vostra moglie? No. Se vi tradisce vuol dire che la vostra... compagnia non le piace più. Questione di gusti.

Manuzza                       - (sempre più stupito non arriva a convincersi se suo compare parli seriamente o se sia uscito di cervello) Compare... privo di Dio!... E come?... così ragionate?... E se, met­tiamo, capitasse a voi, questo bel divertimento, così fareste?

Ciccopaolo                    - Sicuro.

Manuzza                       - (facendo l'atto d'andarsene) Al­lora... scusate compa'. Fate conto di non aver­mi visto.

Ciccopaolo                    - (trattenendolo per un braccio) Aspettate. Avete detto che... questo incidente è capitato a un vostro amico. Chi è? I vo­stri ramici sono anche i miei...

Manuzza                       - Niente, niente... E che ve ne fate? Io volevo... chiedervi un consiglio... per vedere come si potesse accomodare la faccenda senza fare succedere... Ma se voi la prendete così... Benedicite, compare.

(Dalla sinistra entra Rosa).

Manuzza                       - (come se avesse visto il diavolo) Benedicite, cara coniare. Benedicite. (Esce in fretta).

Ciccopaolo                    - Povero disgraziato! E si gua­sta il sangue: il bello è questo. E non gli riguarda; che se si trattasse... Dio liberi!

Rosa                              - (ha lo scialle sulle spalle) Che aveva tuo compare?

Ciccopaolo                    - Niente, cara moglie. Questione di binocoli. Roba maschile. Miserie. Esci?

Rosa                              - Vado da coniare Concetta.

Ciccopaolo                    - (s'accorge che la moglie ha una guancia troppo bianca di cipria e gliela pulisce col fazzoletto. Rosa arrossisce) E perchè ar­rossisci, sciocca? L'impiego della cipria fa par­te della tua professione di moglie. Ma in una guancia di più e in una di meno, sta male. Ecco, così va benissimo. (La bacia sulla guan­cia) Collaudato.

Rosa                              - E tu, quando esci?

Ciccopaolo                    - Subito subito. Prendo la for­bice da potare...

Rosa                              - Allora t'aspetto.

Ciccopaolo                    - No, va', va'. Prima devo man­dare Puddu a comprare un sigaro.

Rosa                              - Quando torni?

Ciccopaolo                    - Quando comincia a fare scuro. Va' pure. Arrivederci. Fammi il favore: pas­sando, chiamani Puddu.

Rosa                              - Sì. Arrivederci. (Esce dalla comune).

Puddu                           - (entra dalla comune dopo un po' che è uscita Rosa).

Cccopaolo                     - Gliel'hai data l'erba all'asino?

Puddu                           - Sissignore. Sta mangiando.

Ciccopaolo                    - E' legato all'anello?

Puddu                           - No: libero è, senza testiera.

Ciccopaolo                    - Viva l'intelligenza. E se scap­pa?

Puddu                           - Non scappa. Quando mangia...

Ciccopaolo                    - Hai ragione. L'asino è asino, ma è una persona intelligente, e quando ha da mangiare non si preoccupa di niente. In­vece l'uomo, anche quando ha da mangiare... E allora senti che fai. Te' otto soldi. Un to­scano. Nero, eh! sceglilo bene.

Puddu                           - (prendendo i soldi e andandosene) Vossignoria non dubiti. Lo so scegliere.

Ciccopaolo                    - Ehi, senti: con tutta l'intelli­genza, è meglio che lo leghi l'asino, perché se vede passare qualche asina... può diventarti cretino.

Puddu                           - (sulla comune) Sta venendo la si­gnora Caterina. (Via).

Caterina                        - (è preoccupata e nervosa. Con un sorriso simulato) Benedìcite, compare.

Ciccopaolo                    - Oh, cara comare! E come va da queste parti? Accomodatevi. Rosa è uscita in questo momento. Io vado alla vigna.

Caterina                        - (con simulata giocondità) No, grazie; me ne vado. Sono venuta per cercare mio marito. Il mangiare è pronto da un'ora e lui non si vede. Credevo che fosse qua.

Ciccopaolo                    - Qua è stato. Se n' andato po­co fa. Veramente... era un po' agitato. (Sorridendo) Mi ha parlato di un certo affare, e siccome io...

Caterina                        - (diventando ad un tratto seria, ner­vosamente) Ah, ve ne ha parlato?

Ciccopaolo                    - Sì; ed io...

Caterina                        - (interrompendolo) Ma sono di­cerie, dicerie, compare. Le male lingue. Totò l'ha saputo per caso.

Ciccopaolo                    - (soridendo) E allora, dico io, perchè allarmarsi tanto?

Caterina                        - (incalzando; sempre più nervosa) Dicerie, dicerie. Niente di positivo. Ma To­tò, quel benedett'uomo... Dice: Ciccopaolo è un galantuomo, siamo come fratelli, ed io ho il dovere di avvertirlo.

Ciccopaolo                    - (crede di non aver capito bene. Con la voce un po' cambiata) Avvertirmi?

Caterina                        - Per il vostro bene, dice. Ma non ci credete, compare. Calunnie.

Ciccopaolo                    - (come sopra) Per il mio bene? Ma di chi intendete parlare, coniare?

Caterina                        - (resta sospesa, accorgendosi che Cic­copaolo non sapeva. Non sa che dire).

Ciccopaolo                    - (con voce roca) Che volete dire? Parlate! (La prende per un braccio).

Caterina                        - (spaventata, tremante) Oh Ma­ria Santissima!... Che avete, compare?

Ciccopaolo                    - Parlate.

Caterina                        - Non so... Credevo che mio ma­rito... non so niente, Maria Santissima! Voi non c'entrate. Si tratta di una persona che...

(Dalla comune entra Puddu).

Puddu                           - (posando il sigaro sulla tavola) Qua c'è il sigaro. Stavo per litigare con don Luigi il tabaccaio, che non me lo voleva fare scegliere.

Caterina                        - (approfittando dell'entrata del ra­gazzo per svignarsela) Vado a vedere se è venuto mio marito. Compare, non ci pensate.Voi non c'entrate. Permettete  Padrone mio. (Via dalla comune).

Ciccopaolo                    - (vorrebbe chiamare Caterina, ma la voce non gli esce dalla gola; è smarrito, ab­battuto. Si appoggia alla tavola, tremante, con lo sguardo nel vuoto).

Puddu                           - Vado a mettere la bardella all'a­sino. (Via dalla comune).

Ciccopaolo                    - (resta un po' appoggiato alla tavola, poi muove qualche passo come trasognato e dice tra sé, fra lunghe pause, con voce quasi spenta) Rosa? Possibile? Rosa?... Due an­ni... tanto affetto... tanto amore... come una Madonna... E anche lei... Possibile? E poi... Con chi? Non esce mai... qua c'è sempre sua madre... Due annui... Mai una parola, un... (Come cercando nella memoria una parola, un gesto, un fatto che possano confermare il so­spetto) Niente!... niente!... mai!... Non può essere. E' impossibile!... Le male lingue di questo paesaocio... non avendo che dire... E compare Totò, naturalmente, poveretto... (Co­me svegliandosi da un incubo) E io... (Si sforza di essere indifferente ma parla sempre come dominato dal sospetto che gli ha sconvolto il cervello) Cretino! Per una parola detta co­sì... chissà da chi... Cretino! E anche se fosse vero?... (Prende un bicchiere pieno d'acqua, per bere, e s'accorge che gli trema la mano) Oh! E che faccio, tremo? Oh cretino! Va, va, ci vuole una bella passeggiata in campaigna. Aria! aria fresca!

Puddu                           - (da fuori) Don Ciccopa', l'asino è pronto.

Ciccopaolo                    - (fischiettando va in giro per la stanza e prende ciò che deve portare se­co: la forbice da potare, dello spago, ecc. Poi si ferma e ammutolisce, con gli occhi spalan­cati).

Puddu                           - (sulla comune) Pronto è l'asino. (Vedeiulo Ciccopaolo sconvolto) Oh! E che ha, don Ciccopa'?

Ciccopaolo                    - (sgarbato) Niente! niente! Che vuoi?

Puddu                           - (che non l'ha mai visto così, lo guar­da allocchito, con la bocca spalancata).

Ciccopaolo                    - (se ne accorge. Con rabbia) Stupido, che c'è da guardare così?

Puddu                           - (come sopra) E come! Vossignoria che non s'arrabbia mai...

Ciccopaolo                    - (misurandogli un calcio) Ehi, la finisci? Va' a sciogliere l'asino, bestia!

(Puddu scappa. Ciccopaolo lo segue).

FINE SECONDO ATTO

ATTO TERZO

Dopo tre ore.

La stessa scena degli atti precedenti.

Grande confusione. Sulla tavola, pocchi di cotone medicinale.

Quando si alza il sipario, Filomena tenta di mandar via dei ragazzi e donne del vicinato che fanno ressa sulla comune, commentando con bisbigliare sommesso l'accaduto.

Filomena                       - E andatevene, per favore. Non fate confusione. (A un ragazzo che è riuscito ad entrare) Ehi! e a chi parlo, al'muro? L'hai capito, sì o no, di andartene? Via! (A una donna) Comare, anche voi? Sembrate una ra­gazzina! (Ai ragazzi) Ehi, ragazzi, se non ve ne andate, prendo un bacile d'acqua e vi bagno come pulcini. Via! Via! (Riesce a mandar via tutti. Entra Caterina) Serva sua, signora. Guar­di che confusione hanno lasciato. (Va metten­do un po' d'ordine nella stanza) Mi hanno stor­dita. Tutti qua dentro erano... Che paesaccio barbaro! Quando succede una disgrazia, è co­me se venisse carnevale, per loro.

Caterina                        - E com'è? Che ha detto il dot­tore?

Filomena                       - E che ne so, signora mia! An­cora di là è il dottore. (Indica la stanza a sinistra) C'è anche don Totò, suo marito. M'han­no detto di non farci entrare nessuno. Quando lo portarono pareva morto, tutto insanguinato, come il Nazzareno.

Caterina                        - Vergine Santa! E come fu? co­me fu? Lo sapete?

Filomena                       - Signora mia, che le posso dire... Ero in casa io, che mangiavo, quando sento sparare. M'affaccio e vedo gente correre verso la casa di comare Concetta.

Caterina                        - Ah! Lì fu?

Filomena                       - Sì. Vossignoria sa che nello stes­so fabbricato di comare Concetta (si sale dalla stessa scala) ci sta quel giovanotto palermitano eh'è impiegato al municipio...

Caterina                        - Quello era? Con lui?...

Filomena                       - Lui, lui! E quella buona fem­mina di comare Concetta gli faceva... Ha capito? Rosa, col pretesto di andare da lei...

Caterina                        - Pezzo di mala femmina! Ma voi... prima sapevate qualche cosa?

Filomena                       - Signora mia... io imi faccio gli affari miei... e non vedo niente. Ha capito?

Caterina                        - Ma contatemi il fatto. Coinè fu? Chi sparò prima, don Ciccopaolo?

Filomena                       - No: quel galantuomo non ave­va revolver. Il palermitano sparò. Forse si vide minacciato... Sparò e scappò. Quando arrivai io, trovai don Ciccopaolo con la faccia tutta insanguinata ohe ammazzava a legnate sua mo­glie     - nuda, signara mia, con la sola, camicia, la svergognata! Pareva un pazzo, signora mia. Pugni, schiaffi, sgraffi... Tanta gente che gliela voleva levare dalle mani, e lui pugni a tutti a dritta e a manca. Un pazzo, le dico. Aneli'io ani buscai un pugno, che ancora mi fa male. Poi a un tratto cadde a terra, coirne un morto, con la bocca piena di schiuma... Che scandalo, signora mia! che scandalo!

Caterina                        - (è come sui carboni accesi) Ver­gine Santa!... chi se lo poteva figurare!... Un uomo così calmo...

Filomena                       - Le voleva bene, signora mia, le voleva bene!

Caterina                        - E ora?... Ma che ferita è? Come pareva?

Filomena                       - Che le posso dire, signora mia? Nella faccia pareva ferito. Forse gli devono fare l'operazione.

Caterina                        - Vergine Santa! E lei, Rosa?

Filomena                       - Scappò. Forse se né andò da sua zia Maracatina, in campagna.

Caterina                        - E Gaetana?

Filomena                       - Morta, signora mia, morta, dal dispiacere e dallo apavento. Quando trovò sua figlia là, in quello stato, e seppe di che si trattava, se la voleva mangiare. Quante gliene disse: « Svergognata! disonorata! ingrata! di­sonore di tutta la famiglia! ». Poi la prese il nervoso; e ora è buttata in un fondo di letto più morta che viva.

Caterina                        - Che sorte di disgrazia!

(Dalla sinistra entra Puddu).

Caterina e Filomena      - Com'è? Che dice il dottore?

Puddu                           - Niente, niente.

 Caterina                       - E la ferita?

Puddu                           - Niente... La palla gli strisciò vi­cino all'orecchio senza entrare. Il dottore dice ch'è una cosa leggera. Era svenuto. Ora sta me­glio... si è alzato. (Esce dalla comune).

(Si ode).

La voce del dottore      - Io le consiglio di met­tersi a letto, don Ciccopaolo.

(Da sinistra entra Ciccopaolo, seguito dal dot-tore e da Totò Manuzza).

Ciccopaolo                    - (ha la testa fasciata da una benda che gli copre Vorecchio sinistro e gli gira sotto i)fl mento. E' pallidissimo e stravolto, con gli occhi spalancati senza sguardo. Dirà le prime battute come assente da sé, con voce che sem­bra giungere da lontano).

Caterina                        - (trema; vorrebbe andar sente ma si crede guardata da Ciccopaolo e si ferma. Ti­midamente dice) Benedicite, compare.

Ciccopaolo                    - (che non si era accorto di lei, si volta e la guarda come trasognato) Cara co­mare... (Muove qualche passo per la stanza).

(Il dottore e Manuzza lo guardano, preoccu­pati dal suo mutismo e non sanno se sia me­glio parlare o no).

Dottore                         - Don Ciccopaolo, non si strapazzi. Le fa male. Segga, dia .ascolto a me. (Mette una sedia vicino alla tavola, verso il proscenio) Ecco, segga qua.

Caterina                        - (a Manuzza, piano) Me ne vorrei andare. Che dici?

Manuzza                       - (piano) Sì, è meglio che te ne vada. Io verrò fra poco. Anche voi, Filomena, se volete andarvene... E grazie.

Filomena                       - (piano) Che grazie, don Totò! Piuttosto, se c'è bisogno mi può chiamare dalla finestra, e vengo subito.

(Caterina e Filomena escono dalla comune).

Manuzza                       - (dopo un silenzio penoso, al dot­tore, piano) Dottore, che ne dice? Io ho paura di questo mutismo. Nemmeno « ahi » ha detto.

Dottore                         - (piano) E' ancora sotto l'impres­sione... Passerà.

Manuzza                       - (si avvicina a Ciccopaolo e gli dice timidamente) Compare, come vi sentite?

Ciccopaolo                    - (mettendogli una mano sulla spalla e scrollando dolorosamente il capo) Che santa che pareva, eh?

Manuzza                       - (liberamente, contento che Cicco­paolo finalmente ha parlato) Cose dell'altro mondo, privo di Dio! Sette spiriti hanno le donne, come i gatti. Piuttosto voi... proprio come un ragazzo: con la forbice... Certe cose quando si fanno... Ma ora quello che è fatto è fatto. State allegro e non ci pensate più.

Ciccopaolo                    - (senza prestargli attenzione. Tra se) Quanto le volevo bene! quanto! Senza saperlo quasi... (Con voce straziante) Ma per­chè? perchè?...

Manuzza                       - Via, non fate il ragazzo, ora.

Dottore                         - Stia sereno. Non si tormenti con i ricordi.

Ciccopaolo                    - (con un sorriso disfatto) Più sereno di così? Non devo ricordare? Anche le bestie ricordano.

Dottore                         - Ma adesso le fa male, caro don Ciccopaolo. La ferita è lieve, va bene, ma oc­corre che lei mantenga ima certa serenità...

Ciccopaolo                    - (si tocca le bende. Come ricor­dandosi ad un tratto del fatto recente, con an­goscioso stupore) E' terribile!

Dottore                         - Le duole molto?

Ciccopaolo                    - (tra se) E come può essere?

Manuzza                       - Vi duole, compare?

Ciccopaolo                    - (come sopra) Con una spallata sfondai la porta. (Si tocca la spalla come se sen­tisse il dolore prodotto dall'urto) E come mi venne quella forza? E poi... dopo?... (Con gli occhi sbarrati, cerca di ricordare i particolari confusi ma terrificanti della scena. E' preso da un tremito convulso) E come può essere?!...

Manuzza                       - Via, compare, state allegro. Io vado ad affacciarmi in casa per prendere un boccone, perchè da stamattina ancora... Torno presto. Con permesso. (Esce dalla comune).

Ciccopaolo                    - E' temibile!... è terribile!...

Dottore                         - Lei, caro don Ciccopaolo, vuole rovinarsi. Deve avere la febbre. Faccia sentire. (Fa per prendergli il polso).

Ciccopaolo                    - (schivando il gesto del dottore. Con asprezza) Che ci tasta, faccia il favore! (Dopo un po', ripreso dal suo strazio) Io, dot­tore, della mia vita ricordo tutto, tutto - tutti i minimi particolari, sin da quando ero fanciullo - tutto, le dico.

Dottore                         - E con questo?

Ciccopaolo                    - Quando uno fa una cosa, pri­ma la pensa, anche un attimo prima - è vero? - e il pensiero che lo muove a fare quella cosa, quel gesto, quell'azione, resta nella me­moria, è vero?

Dottore                         - (che non capisce dove Ciccopaolo vuole andare a finire) Certo...

Ciccopaolo                    - (quasi con gioia, sentendosi con­fermata l'evidenza delle sue parole) Certo, vero? (Con disperazione) Nella mia mente, di questo fatto, di ciò che ho fatto io, nulla è rimasto, quasi nulla! E come può essere?!... Senza pensare? E come...

Dottore                         - Ma lasci staire per ora. Non si tormenti.

Ciccopaolo                    - Come lascio stare, dottore? Che sono un ragazzo? Una bestia? Io sono un uomo che ragiona, che vuole vedere chiaro...

(Si ode bussare alla comune).

Randazzo                      - (entrando) Permesso? Dotto­re... (Vedendo Ciccopaolo, meravigliato di tro­varlo in piedi) Don Ciccopa'!... Cosa da niente allora è.

Ciccopaolo                    - Cosa da niente vi pare?

Randazzo                      - M'avevano fatto spaventare, pa­rola d'onore. La testa traforata... operazione... morto... Dio liberi! Invece vi trovo così, in piedi...

Ciccopaolo                    - Vi dispiace, forse?

Randazzo                      - Che dite! Contento, ecco. Fi­guratevi!... Dev'essere una ferita insignificante, è vero, dottore?

Dottore                         - Sì, leggerissima. Qualche setti­mana di cura...

Randazzo                      - E allora, allegro, don Ciccopa', allegro.

Ciccopaolo                    - (con un sorriso straziante) Al­legrissimo. Allegrissimo.

Randazzo                      - Io non posso capire, parola d'o­nore, come un uomo così calmo come voi...

Ciccopaolo                    - (cupo) Quello che lo capisce meno sono io.

Randazzo                      - Però io qualche cosa l'avevo ca­pita. Il pensiero di... vi covava in testa da sta-mattina. Perciò quei ragionamenti/ sconclusio­nati... Certi discorsi, caro dottore... occhiali, l'asino, quando ammazzano un uomo... mi di­ceva che io faccio poesie... Strambo, ecco. Io l'avevo capito.

Ciccopaolo                    - Siete dotto! un genio! Randazzo - Però... l'avete fatta proprio da ragazzo. Non ne avevate in casa revolver, pistole vecchie, fucili, che ci andaste con la for­bice da potare?

Ciccopaolo                    - Che dovevo fare con i revolver e le pistole?

Randazzo                      - (meravigliato) Come! Andate per sorprendere in fragrante vostra moglie con...

Ciccopaolo                    - Io?

Randazzo                      - Non potete negare che ci an­daste con l'intenzione - giusta, badiamo; ogni uomo d'onore l'avrebbe fatto - con l'inten­zione di ammazzarli. Lo stesso Rotella, il pa­lermitano, l'ha dichiarato. Me l'ha detto in con­fidenza il delegato. Ha dichiarato che sparò per difendersi da voi che l'avevate aggredito con un'arma bianca.

Ciccopaolo                    - (non vorrebbe da un lato credere vere, le parole di Randazzo, ma vede in esse, d'ahro canto, precisati i suoi ricordi confusi. Con stupore doloroso) Io?!... io?!...

Randazzo                      - Difatti il delegato trovò sul luo­ go la forbice a terra. Il Rotella dice che voi prima tentaste diverse volte di colpirlo e poi, mentre lui scappava, gli lanciaste addosso la forbice che gli strappò la giacca e gli fece una leggera scalfittura.

Ciccopaolo                    - (come sopra) Io?! Gli lan­ciai... E così lo potevo ammazzare!... Io, ammazzare un uomo! E come! nemmeno alla guerra, che era obbligatorio!... Assassino?! as­sassino ? ! A quest'ora in galera. E come può essere? Senza volontà?

Randazzo                      - Come, non ci andaste con l'in­tenzione ?...

Ciccopaolo                    - Ma che intenzione! Niente! E come potevo avere, io!, questa intenzione?! Mi pare di fare un brutto sogno... e di vedere... così... confuso... in sogno. (Con impeto ini" provviso e con voce lacerante) Ma se non ricor­do quello che ho fatto!

Randazzo                      - Io non ci capisco niente, paro! d'onore!

Dottore                         - (« Ciccopaolo) Ma lei avevi» sa­puto da qualcuno che?...

Ciccopaolo                    - Niente. Cioè... ecco: una per­sona, senza volere, parlando... così in genera­le... Sospetto. Ma per un attimo, un attimo. Poi, niente. Pensai: le solite male lingue. E difatti me ne andai in campagna. E la forbice, caro dottore, me la porto sempre, perchè mi serve per tagliare qualche ramo, rimondare qualche pianta... serve sempre in campagna. Ma lassù mi sentii male... la testa confusa... e me ne tornai subito. Prima di venire in casa, salii da cornare Concetta per... chiamare mia moglie, farla venire con me. Nessuna intenzione e nessun sospetto. Non c'era. Quella... brava si­gnora di comare Concetta si mostrò tutta con­fusa: « Si, è stata qua... ora viene... è andata un momento... ». Io... non so... mi sentii una confusione dentro... una cosa mai provata... Ero sul pianerottolo che stavo per scendere, quando sento la voce di mia moglie, dall'altro appar­tamento, che rideva... rideva...

Ràndazzo                      - (al dottore) Andava a casa, pren­deva il fucile...

Ciccopaolo                    - Quella risalta l'ho ancora qua, negli orecchi, nel cervello... Non so... non so... Come una vampata in testa... Con una spallata sfondai la porta, e li trovai là, a letto, tutti e due, come due colombi... Allora... (Ripreso dal terrore angoscioso di pocanzi, non riuscen­do a ricordare con precisione i particolari della scena) Niente! niente! non ricordo... non so... Dottore, come pilo essere?

Dottore                         - Ma nulla di straordinario, caro don Ciccopaolo.

Cccopaolo                     - Nulla di straordinario? Uno, mettiamo, ammazza un uomo, senza volerlo, senza saperlo, ed è nulla di straordinario?

Dottore                         - Li certi momenti, veda, si agisce senza che la volontà abbia influenza nelle no­stre azioni. Il nostro cervello, ordinariamente, riceve una infinità di impressioni e le elabora, le equilibri a. Allora siamo in noi e agiamo secondo la nostra volontà. Ma capita che un'im­pressione violenta arriva improvvisamente, im­petuosamente al nostro cervello, e questo si tro­va nell'incapacità di contenerla ed elaborarla. Succede il disordine completo. E si agisce al­lora indipendentemente dalla nostra volontà. E' una cosa comunissima quando si è travolti da impeti passionali.

Ciccopaolo                    - (quasi a se stesso) E io... sono stato travolto da un impeto passionale?

Dottore                         - Non vorrà dire che non amava sua moglie.

Ciccopaolo                    - Sì, l'amavo... ma veda... Io non mi so esprimere. Ho una confusione nella testa... E perchè l'amavo? Non era passione cieca la mia. Io ho ragionato sempre, sempre! Ho guardato tutto...

Dottore                         - Già, con il binocolo alla rovescia. Ricordo i suoi discorsi. Ma lei guardava gli al­tri, caro don Ciccopaolo. Quando poi capita di... Be', ora cerchi di stare tranquillo. Io la lascio perchè devo andare a fare un sacco di visite... Tornerò stasera.

Ràndazzo                      - Me ne vengo anch'io, dottore. Caro don Ciccopa', allegramente! Quando muo­re un papa se ne fa un altro. Per ora pensate a guarire.

Ciccopaolo                    - (stende In mano in silenzio).

Ràndazzo                      - (avviandosi verso la, comune col dottore. Piano) Io l'ho detto sempre: il cer­vello non l'ha a posto. Oggi, se sapesse, certi ragionamenti di occhiali... (Escono).

Ciccopaolo                    - Guardavo gli altri... guardavo gli altri...(Va in giro per la stanza come trasognato, si ferma davanti al cassettone del fondo, su cui è la fotografia di Rosa, scrolla dolorosamente il capo, la prende, fon un sorriso nervoso ripete le parole dette da Rosa nel secondo atto) Bacio la terra! bacio la terra!... (Viene avanti, vol­gendosi a sinistra, incontra nello specchio, che è sull'altro cassettone, i suoi occhi spettrali smarriti nel pallore cadaverico del viso. Con un grido improvviso, smorzato poi da un singhiozzo che gli gorgoglia nella gola) Ciccopaolo? e il bi­nocolo?! il binocolo?!... (Ricorda il discorso da lui fatto lo stesso giorno a Totò Manuzza, e lo ripete, in un crescendo di eccitazione, con nella voce asprezze laceranti). Voi, caro compare, non guardate con un paio di occhiali, ma addiiitiura con un binocolo. Uomini bisogna essere, e non perdere mai la calma, specialmente per le don. ne, che sono di razza inferiore. Mi spiego? E' chiaro? Io guardo tutti con il binocolo alla ro­vescia, così, voltato, e vedo tutto piccolo, pic­colo, ih! ih! ih!, e mi spasso. Che spasso! che spasso! E dove lo lasciasti il binocolo, Cieco-paolo? Allora lo dovevi voltare, quando toova-sti tua moglie a letto con un atro. Questione di gusti. Mi spiego? Allora lo dovevi voltare il tuo bravo binocolo, e farci sopra una fischia­ta, così, una risata, una bella risata... una bella risata!... (Scoppia in una forte risata nervosa, poi, sfinito, cade a sedere su una sedia. Dopo una pausa, ritornando in se, con voce cupa) E io l'avrei fatto questo ragionamento, l'avrei fat­to anche soffrendo, col cuore sanguinante... ma non fui io, non fui io... Se non ricordo quel­lo che ho fatto! (pausa) E come si fa a non ri­cordare?!... ad agire senza pensare?!... E che siaono, bestie? E così, uno, senza volere, a un tratto... Il meccanismo della vita! Avevo capito il meccanismo della vita! Che arca di scienza! Mi pareva di capire tutto, tutto! di essere un dio! E ridevo, ridevo della meschinità degli uomini, dei vermi, delle bestie umane... e poi, tàffete, più verme, più bestia deglit altri.... (Pausa) Per una donna!... Rosa!... Rosa!... (Pausa, poi guardandosi intorno, come smar­rito) E ora?... e ora?...

(Dalla comune entra Tota Manuzza).

Manuzza                       - Come vi sentite, compare?

Ciccopaolo                    - (con un sorriso doloroso) Be­nissimo, caro compare.

Manuzza                       - Memo male che finì così. Ora do­vete stare sereno e non pensare più a niente. Ciò che dovevate fare, l'avete fatto. Oramai ci ha messo le mani la giustizia. L'amico è già al fresco, arrest ato.

Ciccopaolo                    - E perchè?

Manuzza                       - Sicuro! Per mancato omicidio. Reato d'azione pubblica.

Ciccopaolo                    - Ma quel galantuomo si doveva difendere. Se io lo volevo ammazzare... Mi di­spiace che la palla non entrò, cretina!

Mnuzza                         - Meno male che la prendete a scherzo. Buon segno. Io, privo di Dio, ero preoccupato per davvero, vedendovi muto, co­me se, Dio liberi! aveste iperduto la ragione. Ora dovete pensare a guarire. Poi si provvederà... Ho parlato con don Calogero e col sin­daco... Appena sarete guarito, tanto per di­strarvi, con le elezioni... in qualche paese vi­cino... voi che sapete parlare...

Ciccopaolo                    - Ma che elezioni! che mi con­tate!

Manuzza                       - Lo so: oggi avete detto di no. Ma ora, che siete solo... tanto per distrazione...

Ciccopaolo                    - Se stamattina le elezioni non m'interessavano, ora... figuratevi!...

Manuzza                       - Ma allora... che intenzioni ave­te? Come vi volete sistemare?

Ciccopaolo                    - Sì, sistemare!... Sistemate il fiume che scorre... sistemate l'aria...

Manuzza                       - E allora?

Ciccopaolo                    - Allora... (Dopo aver riflettu­to un po') Parto!

Manuzza                       - Partite?

Ciccopaolo                    - Parto! parto!

Manuzza                       - E dove andate?

Ciccopaolo                    - (aggrappandosi quasi con gioia a quella possibilità che gli è balenata nel cer. vello) Parto! Me ne vado in continente, per città e città. Mi metto a girare. Mi voglio di­vertire come non mi son mai divertito nella mia vita! Vado a trovare Fanny, Lydia, Nanda, Mary...

Manuzza                       - Chi sono?

Ciccopaolo                    - Mie antiche amanti. Ragazze sempre allegre e sincere, come il vino buono. E io che le lasciai perchè mi stomacavano! Cretino! Quella è vita! Sempre diversa, varia, allegra, spensierata! Come se uno camminasse in un giardino. Vede un fiore, e lo coglie; ne vede un altro e lo coglie. Tutti quelli che vede! E si profuma l'esistenza!

Manuzza                       - E bene fate. Buona è l'idea. Per un po' di tempo...

Ciccopaolo                    - (continua esaltandosi) Si pro­fuma l'esistenza! E che vale se sono fiori colti­vati da altri? se crescono così, senza coltiva­zione? per tutti, per tutti quelli che li voglio­no? Che vale! E do, cretino, che volevo tutto mio! Tutto mio volevo: la terra, la donna, il cielo, anche Dio! Ma se... (raffreddandosi e ri­tornando cupo) ma se non sono mio nemmeno io stesso! Perchè se fossi riuscito a farmi una vita mia, veramente mia...

Manuzza                       - Non vi angustiate ora, compare. Appena sarete guarito, partite e così...

Ciccopaolo                    - (sentendo in se stesso la impos­sibilità di tornare alla vita di prima) Sì... par­to... Che partire!... Dove vado?

Manuzza                       - Per un po' di tempo, tanto per svagarvi, andate...

Ciccopaolo                    - Già, a fare la bestia. Lo po­tevo fare prima, senza saperlo; ma ora...

Manuzza                       - E allora?

Ciccopaolo                    - (completamente disfatto) Al­lora... niente... niente!...

Manuzza                       - Io non ci capisco niente, privo di Dio. E restate qua, sereno...

Ciccopaolo                    - (c. s.) Serenissimo. (Breve si­lenzio).

Manuzza                       - (timidamente) Compare, io ho pensato a tutto.

Ciccopaolo                    - Che?

Manuzza                       - Ho parlato con l'avvocato Mi-cali. Domani viene lui qua., e così vi mettete d'accordo per la denunzia dell'adulterio e per costituirvi parte civile nel processo a carico del palermitano.

Ciccopaolo                    - Io?... denunzia?... parte ci­vile? Che mi contate?

Manuzza                       - (stupito) Non ho fatto bene?

Ciccopaolo                    - Niente affatto. Io non c'entro. Ci ha messo le mani la giustizia? E chi l'ha pregata codesta signora? In ogni modo, faccia la giustizia ciò che le pare e piace. E se non fa nulla, per me è lo stesso.

Manuzza                       - Lo stesso? Compare, privo di Dio, io mi sento preso dai turchi! Ma se vo­levate fare una carneficina!

Ciccopaolo                    - (con un soiriso amaro) Bag­gianate, caro compare.

Manuzza                       - Baggianate? Ma anche per l'oc­chio del mondo. Voi, andaste per ammazzarlo e quello vi conciò così...

Ciccopaolo                    - Baggianate! (Pausa. Va in gi­ro come se si sentisse soffocare) Glie caldo! Si soffoca qua dentro. Che aria secca! Compare, andiamo a fare una passeggiata sino alla vigna?

Manuzza                       - (stupito) Una 'passeggiata? Coni, pare, privo di Dio...

Ciccopaolo                    - Aria! Ho bisogno di respirare un po' d'aria fresca, pura...

Manuzza                       - Compare, ho capito. Volete fare qualche sproposito. State attento, che perdete la libertà. Non c'è in paese vostra moglie. Partì. Lasciate fare alla giustizia ora.

Ciccopaolo                    - , Ma che sproposito, caro com­pare!

Manuzza                       - E' inutile il risolino. Ho capito. Prima: «Me ne vado in continente ». Poi: « Resto qua ». E perchè? Ah, ora vi conosco. Come oggi : prima quei ragionamenti sconclu­sionati: « io guardo col binocolo alla rovescia » e poi...

Ciccopaolo                    - (quasi trascinandolo verso la co­mune) Andiamo, compare, andiamo. Senza ragionamenti. Non c'è più bisogno di ragio­nare. Si è rovesciato da sé il binocolo, automa­ticamente. Andiamo.

Manuzza                       - (tentando di resistere) Com­pare, non fate il ragazzo. Mi raccomando. E poi, con la testa fasciata così.

Ciccopaolo                    - (è riuscito a condurlo a braccetto sulla comune. Mette le mani nelle tasche come se cercasse qualche cosa) Oh, aspettate. (Va ad aprire un cassetto).

Manuzza                       - (spaventato, accorrendo) Che prendete, compare?

Ciccopaolo                    - Un fazzoletto, compare. (Glie­lo mostra) E ora andiamo. (Fermandosi sulla comune, con un sorriso desolato) Compare, ce lo portiamo l'asino? Così... tanto per compa­gnia...

FINE