Il buco e la spada

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IL BUCO E LA SPADA

 


due tempi

di Nicola Manzari

PERSONAGGI

Lili

Paolo

Quirico

Scena fissa.


PRIMO TEMPO

Una sala da soggiorno. In un angolo un tavolo da disegno e un portamantelli.

D'improvviso si ode un rumore sordo, come di un corpo che cade, seguito da un lungo grido e un uomo in slip (Paolo) attraversa la scena di corsa dalla porta di destra, come terrorizzato, fino a scomparire nella porta opposta, a sinistra della scena. Si sente il rumore della chiave con la quale Paolo si chiude. Nello stesso momento appare dalla porta di destra una donna sulla trentina (Lili), vestita solo con un accappatoio allacciato in fretta.

Lili — (furente) Ah, maledetto!... scappare in un momento simile... (E comincia a picchiare con le nocche contro la porta della stanza nella quale Paolo si è asserragliato) Apri, se sei un uomo. Un vero uomo! (Minacciosa) Codardo, vigliacco! Ma se speri di cavartela così, ti sbagli... Se oggi mi sei sfuggito, la prossima volta chiuderò la porta della camera a chiave e vedremo chi di noi due avrà l'ultima pa­rola!... Bene, per oggi ho perduto la mia partita ma avrò la mia rivincita... (Ora sembra rassegnata e risale la scena fino al centro, rivolgen­dosi al pubblico) E dire che stavamo per riu­scirvi... (Tecnica) Uno degli esercizi più diffi­cili da realizzare, è vero; lo ammette anche il manuale cinese esplicativo... Infatti dice: « Non eseguirlo se la resistenza del partner è compromessa»... (Un dubbio) O è stato proprio questo a farlo scappare?... Mah!... Comunque riproveremo... (Va alla porta a sinistra, gridando): Non mi sfuggirai!...

(Ma a testa bassa, sconfitta, rientra nella camera di destra. La porta a sinistra dietro cui sì è rifugiato Paolo, si socchiude e Paolo fa capolino, guardingo e ancora scosso. Spia intorno per scoprire se il « ne­mico » ha abbandonato il campo, poi rassicurato, sta per  uscire,  quando...

... Dalla camera di destra riappare Lili che brandisce un libro. Paolo richiude precipitosamente la porta, rinserrandovisi).

Lili — (avvicinandosi alla porta chiusa) Paolo, ascolta... Io sono certa che tu vi riuscirai... Sì, lo ammetto: in principio questo nuovo esercizio può sembrarti difficile... Ma vedrai che vi riesci... Ecco, se non l'hai capito bene, io te lo spiego meglio... Sì, lo so che stai guar­dando... Hai l'occhio incollato alla serratura... D'altronde ti vedo... (Si abbassa a guardare attraverso il buco della serratura) Infatti, eccoti lì: ho incontrato il tuo occhio... Dunque, adesso che sono sicura che stai lì, ricomin­ciamo... Ecco, ti spiego, libro alla mano, la posizione che dobbiamo assumere... Io mi metto prima così... (Si sdraia su una poltrona e comincia a prendere una posizione complicata) Il libro, lo sai, ha anche le figure ... (Consulta il libro) Sì, precisamente... cioè, io devo stare un po' più indietro, in modo che tu puoi, venendomi sopra... Ecco, ci siamo... (Si di­stende ancor più ma perde l'equilibrio e cade pesan­temente per   terra).

Paolo — (di dietro la porta) Lo vedi?... Sai a cosa riusciremo, se ti intestardisci? A rom­perci il collo. Ecco cosa ci accadrà. E niente altro... Non ne posso più... Sì, sono este­nuato, non voglio più sentir parlare delle tue posizioni giapponesi, cinesi, mongoli, sud-coreane, vietnamite, eccetera... Mi hai fatto venire la fobia dell'Oriente.

(Apre la porta e appare, pestando i piedi come un bimbo)

Io ora odio l'Oriente. Lo detesto. Tutto in blocco. Compresi Hong-Kong e Formosa... Guarda come mi hai ridotto... Sono un uomo morto. Finito... Non connetto più. Ho il midollo spappolato, il cervello in briciole, non sono più capace di lavorare, di raccogliere idee... Per   esempio,   l'altro   giorno...

Lili — (senza più ascoltarlo, esce di scena cor­rendo, per entrare nella porta di destra).

Paolo — Lo vedi come sei egoista? Non soltanto mi uccidi ma non mi presti nemmeno ascolto...

(Si accascia su una poltrona e resta si­lenzioso, la testa fra le braccia incrociate).

Lili — (rientra in fretta, tutta fremente, con un bicchiere) Ecco, tesoro mio: bevine, vedrai come ti sentirai meglio...

(Tenta di piegargli indietro la lesta per rovesciargli il contenuto del bicchiere in gola).

Paolo — (lottando, mezzo soffocato) Cosa diavolo è? Mi vuoi avvelenare adesso?

Lili — Ma no: sono tartufi pressati con un pizzico di midollo di aragosta e tentacolini di cavallette, più altre spezie!... Un beveraggio meraviglioso. L'ho fatto secondo le istruzioni di un libro sull'antica cucina erotica orien­tale... Bevi, ti dico... rinascerai! È una ri­cetta di quattromila anni fa. Lo prendevano i Mandarini per le giostre d'amore con le loro concubine...  

(Tenta ancora di farlo bere).

Paolo — (stordito) I mandarini?... (Annusa) Non si sentono.

Lili — Ma che hai capito? Mandarini, dal sanscrito « mantrin », alti papaveri della burocrazia cinese.

Paolo — (sempre più stordito) Papaveri? Droga,   dunque?

Lili — Amore mio, rilassati. Niente droga. « Papaveri » sta per consiglieri dell'imperatore.

Paolo — Ma in Cina ora c'è il Mao non più gli imperatori.

Lili — (paziente come con un infermo) Certo. Le istituzioni dello Stato cambiano ma gli afrodisiaci restano. Ora li usano gli americani dopo il viaggio di Nixon in Cina. È l'unico risultato che ha ottenuto.  Bevi,  dunque.

Lili —  (lenta  di fargli trangugiare l'infuso).

Paolo — (respingendolo, deciso) I tuoi intrugli della malora! Basta con i tuoi afrodisiaci. Non posso più di berne... Sai l'effetto che producono su me?... Ebbene, ascolta. L'altra settimana mi avevano commissionato di dise­gnare una poltrona modernissima per una catena di negozianti texani... Ci ho studiato su due settimane e poi quando ho spedito i disegni mi sono accorto che avevo inviato i « piani » di una poltrona con tre gambe... Ti rendi conto?... Una poltrona a tre gambe! Ma oramai era troppo tardi... I progetti già viaggiavano in aereo... A quest'ora la mia reputazione è distrutta! Mi par già di sen­tirli, i « cari » colleghi: « Il noto designer Paolo Garsci fa poltrone inservibili. Ormai è finito, si è rincoglionito, non sa più tenere la matita in mano... A furia di voler essere moderno, è diventato pazzo, si crede Wright! » .... Ma come posso gridare in giro che se mi sono rincoglionito, è perché tu da sei mesi mi fai fare l'amore tre-quattro volte al giorno?

Lili — (semplice) Intanto, per me, un gior­no, tu, come designer, sarai famoso quanto Wright in architettura... E poi l'amore si fa quando se ne ha voglia!

Paolo — (un grido) Ecco. L'hai detto. « Se ne ho voglia! »... Ma io NON ne ho più voglia... Vuoi capirlo? (Sillabando) Non-ho-più-vo-glia-di-f a-re-l'a-mo-re!

Lili — (calma, didascalica) E com'è, invece, che poi lo fai?... Vuol dire che « credi » di non averne più voglia, ma, a saperla stuzzi­care, la voglia ti ritorna... come spiega questo manuale. « Basta un'adeguata preparazione... (Batte sul libro). « Abilità della partner, va­rietà di posizioni, sollecitazioni con infusi, titillamenti delle zone erogene, eccitazione della fantasia con luci, musiche, e, ove occorra, con abbigliamenti riproducenti quadri ce­lebri... A proposito, ho comprato un costume ispirato alla « Dame au café » di Chagall... « O anche maschere raffiguranti famose dive dello schermo » .... Perciò ho ordinato al mio « visagista » tre « cartonati » con le fattezze di Raquel Welch, Ursula Andress e Sophia Loren. Così ti sembrerà di andare a letto con loro.

Paolo — Sophia Loren non mi piace.

Lili — E allora la sostituirò con Caterine Deneuve. Non dirmi che non ti piace. Hai visto tre volte « Belle de jour ».

Paolo — (finalmente è riuscito a liberarsi della stretta di Lili, facendo cadere il bicchiere e riprende a correre per la stanza fino a barricarsi dietro una poltrona) Insomma hai proprio de­ciso di volermi morto?

Lili — Sciocchezze. Nessun uomo ha mai esplorato a fondo la capacità emozionale del suo rendimento erotico. Il libro dice che un uomo normale della tua età può fare l'amore anche cinque volte al giorno, purché abbia fede nella propria virilità.

Paolo — (sempre più furente) Ebbene io non ne ho più. Sono diventato impotente. Rassegnati.

Lili — (fa un passo avanti).

Paolo — E non avvicinarti o mi uccido.

(Strappa dalla panoplia alla parete una pistola e se la punta alla tempio).

Lili — Non fare la commedia. Sai bene che quella pistola è del settecento: dunque innocua.

Paolo — Anche questa è innocua? (Butta via la pistola e trae di lasca un pugnale).

Lili —  (spaventata) Misericordia!

Paolo — Esatto. È una « misericordia » del quattrocento. Purissima. Guarda gli ara­beschi sul manico. Esemplare rarissimo. L'ho scoperta l'altro giorno da un antiquario dei Coronari. L'ho pagata un decimo del suo valore. La gente non s'intende di armi.

Lili — Invece tu sei un esperto in materia. Sei bravo in tutto tu, meno che nell'amplesso. Ma ci penserò io. Tempo tre mesi e ti porterò al massimo del rendimento erotico.

Paolo — Mi porterai solo alla tomba.

Lili — Sciocchezze. D'amore non si muore. Le capacità di recupero di un organismo ma­schile sono quasi infinite. È scritto qui... (Batte sul libro).

Paolo — Vuoi dirmi cosa t'ha preso d'im­provviso? Fino a sei mesi fa facevamo l'amore solo a giorni alterni.

Lili — Eravamo degli imbecilli. Il corpo umano è un continente tutto da scoprire. E io sarò la tua esploratrice. (Avanza verso di lui).

Paolo — (si punta il pugnale alla gola) Fer­mati o m'ammazzo!

Lili — (fermandosi)  Sei impazzito?

Paolo — Meglio il kara-kiri che la nevrosi.

Lili — (sta per rispondere ma squilla il telefono).

Paolo — (al telefono) Pronto?... Sì... Come!? La poltrona?... (Resta senza fiato e riaggancia in silenzio, sconvolto).

Lili — T'hanno bocciata la poltrona, vero? Beh, fregatene. Ti ritirerai su. Ricordi come eri povero agli inizi? Eri un architetto scono­sciuto che approdava dalla provincia al mio ufficio.

Paolo — Ero alla fame. Per questo mi decisi ad affrontare il lungo viaggio dal Sud.

Lili — Lo capIl subito; perciò cercai di aiutarti.

Paolo — Fosti la prima a credere nei miei disegni.

Lili —  (vaga)  Beh, lasciamo andare...

Paolo — (piccato)  Sarebbe a dire?

Lili — Mi piacesti più tu dei tuoi disegni.

Paolo — (deluso) No! Eppure mi dicesti... « Architetto, i suoi disegni sono molto belli e credo che interesseranno la nostra azienda ».

Lili — Non li avevo nemmeno guardati!

Paolo — No?!

Lili — Lo dissi per farti coraggio. Ma se ricordi bene, aggiunsi subito: (Rievoca e mima la scena di allora) « Ne abbiamo ricevuti circa cinquecento per la progettazione della nuova scrivania razionale per manager. E tutti progetti raccomandati da politici o da prelati.

Paolo — (mima, a sua volta, la scena di allora) .... « Vuol dire, signorina, che c'è speranza per me?

Lili — (c.s.) Spes ultima dea.

Paolo — (c.s.) Anche il latino? Oh, è colta, lei...

Lili — Solo un'infarinatura. Per fare ef­fetto sui clienti. Come dirigente dell'ufficio Pubblicità mi sono più utili le tre lingue mo­derne che conosco a fondo: russo, cinese e arabo.

Paolo — Anche l'arabo?

Lili — Il terzo mondo. Sono i paesi dell'avvenire.

Paolo — (un tempo) Comunque mi consi­glia di tornarmene al paese.

Lili — Nemmeno per idea! Vuol rinun­ciare prima  di  combattere?

Paolo — E allora?

Lili — Deve giocare anche lei le sue pedine.

Paolo — Ho uno zio arciprete. Non basta, vero?

Lili — No. Qui ci muoviamo solo a livello di cardinali. Comunque è in un'altra via che dovremo muoverci.

Paolo — Dovremo?!

Lili — Sì. Perché sto maturando un'idea... (Abbassa la voce) Ma non possiamo parlarne qui, dove anche le pareti hanno le orecchie. Sa, lo spionaggio industriale...

Paolo — (guardandosi intorno) Ci ascoltano?

Lili — Non si sa mai... Dunque troviamoci stasera,  diciamo alle sette,  al caffè...

Paolo — Al caffè...?

Lili — (si guarda intorno, poi rapida scrive qualcosa su un biglietto che gli porge) Lo nasconda.

Paolo — (intasca il biglietto) D'accordo.

Lili — E adesso vada... Presto. Prima che mi   vedano   parlare   con   lei.

Paolo — Grazie. A stasera... (Si avvia, poi torna indietro riprendendo a recitare normalmente) Fu così che quella sera, dopo l'aperitivo al caffè, andammo al ristorante a cena... Vera­mente io non volevo... Fosti tu a insistere...

Lili — Certo. Avevo capito che non avevi i soldi. Perciò ti dissi: « Siamo a Roma e facciamo alla romana ».

Paolo — Ma poi pagasti tutto tu.

Lili — Sì. Alla fine della cena, dissi...

(Siede intorno a un tavolo subito imitata da Paolo. I due cominciano a mimare la scena del ristorante).

Lili — Lasci stare.  Il conto lo saldo io.

Paolo — Non avevamo detto « alla romana »?

Ltli — È stato un trucchetto. Mettiamo tutto in conto alla ditta. Public relations. Perciò trattengo il conto. (Un tempo) E adesso parliamo di cose serie. (Un tempo) Il suo pro­getto, a smuoverlo, ci penso io.

Paolo — Lei?! E come?

Lili — Semplicissimo. Lo metto in evi­denza sopra tutti gli altri. In ditta nessuno sa che io conosco lei e poi il « boss » si fida interamente di me. E se non basta, ho la mia arma segreta.

Paolo — Quale, se è lecito?

Lili — Gli dico che il « suo » progetto interessa in  « alto loco ».

Paolo   —   Un   deputato?

Lili — E cosa conta?

Paolo — Un ministro?

Lili — Meno che niente.

Paolo   —   Un   cardinale?

Lili — Troppa inflazione.

Paolo — E allora?

Lili — Dirò che interessa il MEC. Una sigla. Mai uomini. Viviamo di sigle. E le sigle impressionano sempre; lasci fare a me. E infatti il giorno dopo affrontai il « boss ». Gli dissi a bruciapelo: «Senta, dottor Pe­cora... »

(Si è alzata mettendo una lobbia da uomo su uno dei bracci del portamantelli che, d'ora in avanti, figurerà sempre come i vari interlocutori dei protagonisti) (In piedi, dinanzi al portamantelli)

Mi ascolta, dottore?... Grazie... È per quel progetto della poltrona da manager... Li ho esaminati tutti come lei mi aveva pregato e io  trovo che il più originale è di un archi­tetto sconosciuto... Un certo Paolo Garsci... Sono certa che se l'adottassimo, avremo un grande successo.

Paolo — Il discorsetto va bene. Solo non è andata proprio così.

Lili — (sorpresa) No?!

Paolo — Intanto la posizione non era quella. Non eri in piedi. Tu eri così... Per­metti? (La fa sdraiare sul divano) Tutta distesa. Brava. E ora continua pure ma ti raccomando, usa le parole di allora: « Caro Gianni, ti assicuro che il progetto più originale è di un certo Garsci... ».

Lili — (tentando di rialzarsi) Ma perché sdraiata?

Paolo — Perché eri nuda a letto col dottor Pecora...  Resta dunque sdraiata e continua il discorso  che  gli facesti.

Lili — (rizzandosi) L'esaurimento ti ha sconvolto, amore mio... Scusami, forse hai ragione tu, abbiamo troppo fatto l'amore in questi ultimi sei mesi. A letto io, nuda col dottor Pecora?  Sei proprio  pazzo?

Paolo — Dato che eri la sua amante, quale migliore occasione per raccomandarmi a lui, se non standoci a letto? Perciò il mio progetto vinse.  Questa era la tua arma segreta!

Lili — Se ripeti ancora una volta questo insulto, non mi vedi più.

Paolo — Perché t'inquieti? Ho sempre saputo che eri l'amante del boss. Lo sapevano tutti in ditta. E fuori. Anche sua moglie lo sapeva.

Lili — (colpita) Sua moglie, quella puttana?

Paola — Puttana ma moglie. Tu eri sol­tanto l'amante. Comunque il problema non è questo. E poi è passato tanto tempo ormai...

Lili — Paolo, ti giuro.

Paolo — Adultera, posso accettarlo... ma bugiarda,  no.  Ti prego.

Lili — (un tempo) Ebbene confesso. Sono andata a letto con il dottor Pecora per farti assumere. Dovresti essermene grato!

Paolo — La logica femminile!

Lili — Comunque ho troncato ogni rap­porto con Gianni... (Riprendendosi) ... Voglio dire con il dottor Pecora, subito dopo le nostre nozze. Il che prova che amavo te.

Paolo — (sempre calmo) Nemmeno per idea! Ci andasti a letto la sera stessa che tor­nammo dal viaggio di nozze. Ricordi che mi telefonasti dall'ufficio che facevi tardi per fare lo  straordinario?

Lili — È la verità.

Paolo — Il tuo straordinario si chiamava « amplessi extraconiugali ».

Lili  —  Adesso  basta!   Non  ti  permetto.

Paolo — E hai continuato ad andarci fino a sei mesi fa  quando ti sei licenziata.

Lili — Dunque devi ammettere che non ne potevo più di questa sordida relazione. Avevo ceduto al suo ricatto, lo confesso.

(Rifacendo la voce del dottor Pecora, in piedi di­nanzi al portamantelli):

« Lili, mi hai ingannata sposando quel Garsci che mi hai raccoman­dato. Adesso hai soltanto un modo di dimo­strarmi che non mi hai tradito: riprendere a venire a letto con me ».

Paolo — Così va meglio.

Lili — Comunque appena ho potuto mi sono licenziata. Non mi dirai che adesso vado a letto col mio nuovo padrone.

Paolo — Non ci vai perché è pederasta. Perciò da sei mesi sfoghi su di me la tua carica   erotica.

Lili — Strano, ti facevo meno intelligente.

Paolo — Mi avevi sottovalutato.

Lili — Comunque, per quanto riguarda Pecora, tengo a chiarire che è stato il mio unico amante.                                       

Paolo — Lo so.

Lili — E se ci sono andata è perché anch'io venivo  dalla  provincia.

Paolo — La provincia è la gran riserva d'Italia.

Lili — Al paese soffocavo e poi i miei vo­levano che sposassi un ragioniere pieno di soldi ma anche di tic. Così scappai di casa, dopo aver letto gli annunci economici dei giornali romani. Bussai a tutte le porte. Ma tutti mi invitavano solo a cena. L'unico gen­tile fu Pecora.

Paolo — Tattica diversa.

Lili — Ma quando seppi che al posto di segretaria d'azienda ci eravamo presentate in novantacinque, mi sentii venir meno. Lui sceglieva, sceglieva, ma non si decideva mai...

Paolo — Vuoi dire: « Le portava a letto tutte ma nessuna gli piaceva abbastanza ».

Lili — D'accordo. Quando scoprii che per avere il posto bisognava prima andarci insie­me, pensai a mia madre.

Paolo  — Alla  sua  maledizione.

Lili — No. Al suo trionfo. Se fossi tornata al paese non mi restava che sposare i tic.

Paolo — Non mi dici come fosti assunta proprio tu. Delle novantacinque eri la più bella o la più abile?

Lili — Ero l'unica vergine.

Paolo — No! Vergine a ventiquattro anni!

Lili — Sai, in paese non c'è molte occa­sioni e poi gli uomini, dalle nostre parti, la moglie la vogliono vergine... Infatti molte mie amiche si sono fatte ricucire...

Paolo  —  Senti,  senti...

Lili — Ma poiché io detesto l'ipocrisia...

Paolo — Questa sì che è nuova!

Lili — Insomma le cose stanno così... E adesso se vuoi il divorzio, io non mi oppongo.

Paolo — Io voglio solo che non mi stra­pazzi tanto a letto. Torniamo ai giorni alterni.

Lili — Mi sforzerò...

Paolo — Ti sforzerai?... Io esigo una ga­ranzia... Non intendo finire alla Neuro.

Lili — Ormai non ho che te per fare l'amore.   Dovresti  esserne  contento.

Paolo — Dipende dai punti di vista...

Lili — E poi per una poltrona che ti hanno rifiutata non è il caso di fare una tragedia.

Paolo — Quale rifiuto? La poltrona, l'hanno  accettata.

Lili — Accettata? Ripeti.

Paolo — Non solo l'hanno accettata ma ne fanno diecimila esemplari. È strapiaciuta perché trovano che ho riesumato ammoder­nandola la sedia rigida a tre gambe del primo settecento  francese.

Lili — (saltando di gioia) È la fine del mon­do!    (Abbraccia   Paolo).

Paolo — No. È la fine del gusto. Ma già... gli americani... la prossima volta li farò se­dere su una sedia a sella di cavallo... possi­bilmente con le staffe... vedrai che piacerà perché in ogni jankee sonnecchia un cow-boy.

Lili — (un grido) Oh, Dio, le undici!

Paolo — Che succede alle undici?

Lili — La trasmissione. L'avevo dimenti­cata per parlare con te.

(Corre al televisore. L'ac­cende. Sul video appare un uomo che parla seris­simo).

Signore — (al video) ...« Ed è per riaffer­mare l'autorità dello Stato che ho dato ordini a tutte le forze di polizia di essere infllessibili nello  stroncare  ogni  forma  di  violenza... ».

Lili — (al video, gridando) Ma dillo sorri­dendo... sorridi... Te l'ho sipiegato, la prima regola per un Ministro dell'Interno è di riu­scire simpatico, specie quando dice cose spia­cevoli... e tu, niente, insisti con quella faccia da  mutria  che  ti  ritrovi...   sorridi!

Signore — (al video) «... che venga dagli opposti  estremismi ... »   (Abbozza   un  sorriso).

Paolo — (a Lili) T'ha sentito. Ha sorriso.

Lili — (a Paolo) Un sorriso, quello? Ma è un ghigno. (Spegne il video) La prossima volta gli incollo due « scotch » agli angoli delle labbra: così dovrà sorridere per forza.

Paolo — (c.s.) Non te la prendere: il « tuo » ministro, anche sorridendo, sarà sem­pre antipatico!

Lili — Lo so. Che posso farci? L'ho truc­cato, gli ho spuntato le sopracciglia, gli ho fatto cambiare due denti...

Paolo — È la faccia che dovresti cambiargli.

Lili — Impossibile. Tutti i nostri politici hanno delle facce odiose. E poi gestiscono male, camminano peggio, parlano in dialetto... Dovrebbero imparare dagli anglosassoni che dicono anch'essi cose cretine ma con molto più garbo. Il mio è un lavoro sprecato!

Paolo — Non te la prendere. Importante è che ti pagano bene.

Lili — Non basta. C'è anche una dignità professionale. E io, se ho lasciato le « pub­bliche relazioni » dell'industria per quelle della politica, è stato solo per ambizione. Spe­ravo di « realizzarmi » di più. Come potevo immaginare che la nostra classe dirigente fosse così squallida?  Renderli  accettabili  è  come dare belletto a  un    morto. Avrei più suc­cesso  con  dei  manichini.

Paolo — Ma sono dei manichini! Solo che a muoverne i fili c'è gente che non vedi e dunque non ha bisogno del tuo « maquil­lage » psicofisico.

Lili — Errore. Tutti ne hanno bisogno perché oggi, più che mai, « parere » conta più dell'« essere ». E adesso scappo, amore mio, perché il ministro sarà impaziente di conoscere l'impressione che mi ha fatto sul video.

Paolo — E tu, naturalmente, gli mentirai.

Lili — Certo. Tutto è menzogna, meno il nostro  amore.   (Lo  abbraccia  con  slancio).

Paolo — (ritraendosi) Attenta: ricorda i patti!

Lili — (distaccandosi) Sì. Amplessi a giorni alterni. Dunque, nessun contatto sino a dopo­domani. (Gli butta uh bacio sulle dita) Va bene così?             

Paolo — (ricambiando il bacio con lo stesso gesto)  Perfetto.

Lili — (avviandosi) Per distrarti, disegna qualche cosa.

Paolo   —   Disegnare?   Così   esausto?

Lili — Appunto. Se quando sei fisicamente giù, inventi una poltrona a tre gambe... chissà cosa combini oggi che t'ho distrutto!  (Esce).

Paolo — (al pubblico) L'amore coniugale! Conoscete la « mantide religiosa »? Ebbene una moglie può uccidere un marito per trop­po amore. Forse è una forma raffinata di uxoricidio. Ed è quello che temo Lili mediti a mio danno... State in guardia anche voi, signori mariti... Meglio un'amante che, in fondo, offre una certa garanzia. Infatti se il marito muore, la moglie eredita. L'amante, no. Peggio poi, se le due, moglie e amante, diventano un'unita persona: chi si salva al­lora?... Meglio essere realisti allora, e au­guratevi che vostra moglie riservi a un altro i suoi amplessi omicidi... Se le corna servono a salvarvi la vita, perché dovreste formaliz­zarvi, signori mariti?... Guardate me: ho evitato per un pelo l'infarto... (Riflessivo) Vero è che, proprio perché sessualmente distrutto, ho potuto progettare una sedia originale sulla quale forse anche voi un giorno poggerete il fondo della vostra schiena... ma io sono una eccezione e non tutti voi fate un mestiere così libero da vincoli razionali come me... No, credete a me: meglio becchi che cadaveri... (Si volta di colpo perché ...

Sulla porta  è apparso un uomo in divisa cinquecentesca: giubbotto di raso, soggolo ricamato, cappello piumato e una gran spada al fianco. Una specie di moschettiere redivivo, ma sfarzosamente elegante).

Paolo — (calmi, all'estraneo) Il costumista cinematografico è al piano di sotto. Mi scusi, ma spesso  sbagliano.

Cavaliere — (con un inchino)  È lei il de­signer Paolo Garsci?

Paolo — (sorpreso) Sì.

Cavaliere — Dunque, non ho sbagliato.

Paolo — Scusi, ma io non la conosco. E poi non disegno costumi.  Solo oggetti indu­striali.

Cavaliere — Lo so. Ne parliamo spesso con la signora Giuliana.

Paolo — Giuliana? Non la conosco.

Cavaliere — Ma è sua moglie.

Paolo — Mia moglie si chiama Lili.

Cavaliere — Infatti: diminutivo di Giuliana.

Paolo   —   Ah,   già,   l'avevo   dimenticato. L'ho sempre chiamata Lili...  scusi,  ma  che c'entra Lili, o Giuliana, come lei la chiama?

Cavaliere — Io e Giuliana  ci  amiamo. Sono  venuto  per  questo.

Paolo — (stordito) Vuol ripetere, per fa­vore? Sa, oggi sono un po'... stordito.

Cavaliere — (paziente) Io amo sua moglie. E lei ama me. E sono qui per chiarire la si­tuazione. (Trae la spada dal fianco impugnandola).

Paolo — Vuol ammazzarmi? Ma io mi difendo, sa... (Corre a prendere la misericordia). Ecco. (L'impugna) Ma le faccio notare che è un duello ad armi impari. La sua lama è quattro volte più lunga della mia. Non è leale da parte sua.

Cavaliere — Ma io non intendo battermi con lei. Se mi son tolta la spada è solo per sedermi. Con questo maledetto stocco non ci si può sedere. Michelangelo l'ha disegnata per costringerci a stare in piedi. E sono nove ore, dalle cinque di stamani che io sto ritto in piedi, immobile come una statua; con questo maledetto spadone che pesa più di due chili... perché abbiamo avuto la canonizzazione in San Pietro di tre vergini suore che hanno avuto la malaugurata idea di farsi massacrare da certi selvaggi dell'Uganda il secolo scorso, pur di non cedere alle loro voglie. Come vede, abbiamo tre sante in più in cielo; e in compenso, il durone del mio alluce  mi  fa  un  male  dell'accidenti!

Paolo  —   (sempre più stordito)   Un...   che?

Cavaliere — Durone. Callo. Come li chiama lei?

Paolo — Io non ho calli.

Cavaliere — Fortunato, lei... si vede che non è costretto a stare ore e ore in piedi come me.

Paolo — Scusi, non per sapere i fatti suoi, ma lei perché ci sta? Fa lo yoga?

Cavaliere — (indignato) Vorrebbe forse che stessi al fianco di  Sua Santità seduto?

Paolo — (c.s.) Non capisco... Di che santo parla?

Cavaliere — (paziente) Santità... non « santo » che è un'altra cosa...

Paolo — E chi sarebbe questa... santità?

Cavaliere — Ma, diamine, il Sommo Pontefice, felicemente regnante, del quale lei, fra  l'altro, porta indegnamente il  nome.

Paolo  —  Intende dire:  Paolo...

Cavaliere   —  Sì... Paolo VI (Si inchina, segnandosi).

Paolo — (comincia a tenere le distanze, con­vinto ormai di avere a che fare con uno squilibrato) Ma sì... d'accordo... lei sta vicino al Ponte­fice vestito così... capisco... (Intanto si è avvici­nato al telefono e ne impugna  il microfono).

Cavaliere —  Cosa fa,  scusi?

Paolo — Chiamo la Polizia... a meno che lei non se ne vada con le sue gambe!

Cavaliere — (calmo) Guardi che non sono pazzo... anzi d'ora in avanti, la prego, mi chiami « altezza ».

Paolo — Altezza?! E poi dice di non essere pazzo?

Cavaliere — Ma il titolo mi spetta perché io sono il principe Massimiliano Federico Adolfo Quirico Tigrini assistente al Soglio Pontificio, il più alto grado della aristocrazia nera. È da secoli ormai che noi, ramo dei Tigrini, ci alterniamo con la casata dei Ca­pitelli, nel tramandarci il titolo, unico, nella storia della Chiesa. Se muore un Capitelli, succede un Tigrini... se muoio io, facendo le corna... (Riprendendosi) Oh, mi scusi non vo­levo  alludere...

Paolo   —  Alluda pure, ma concluda.

Cavaliere — Dicevo, se muoio io, il titolo ritorna ai Capitelli. Il che avviene anche se non ho eredi... e purtroppo mia moglie, la principessa d'Orange, contessa de Lafayette è sterile come accertato da un consesso di alti prelati...

Paolo — Scusi, ma ha detto: prelati, cioè sacerdoti? Non credevo che dei preti visitas­sero  la vagina  delle donne!

Cavaliere — Non essi direttamente. Ma medici incaricati dalla Sacra Rota conducono gli esami, che poi i reverendi giudici rotali approvano dopo attento esame. E purtroppo la principessa d'Orange è irrimediabilmente sterile per infantilismo dell'utero... Se vuole leggere il referto...  (Porge un foglio).

Paolo — Le credo sulla parola... altezza.

Cavaliere — Grazie. Purtroppo io non avendo eredi in vista, dovrò cedere il titolo, al mio decesso, ai Capitelli... che sono gene­ralmente prolifici.

Paolo — Così che lei avrebbe pensato di avere... l'erede da mia moglie.

Cavaliere — Sì, ma dopo regolari nozze, dopo che la Sacra Rota avrà annullato il mio primo matrimonio.

Paolo — Altezza, devo avvertirla che ha preso un granchio...

Cavaliere — Anche la sua signora è sterile?

Paolo — Assolutamente.

Cavaliere — Forse lei è impotente? (Tec­nico) Impotentia coeundi o impotentia generandi?

Paolo — Sono potentissimo. Ma con Lili siamo d'accordo nel non volere bambini. Ci impedirebbero di realizzarci professionalmente Perciò usiamo la pillola.

Cavaliere — (con sincero orrore) Il Santo Padre l'ha proibita.

Paolo — E a me che me ne importa?

Cavaliere — Meglio il metodo Ogino-Knaus... ne abbiamo discusso a lungo con Giuliana.

Paolo — Ah, parlate anche di questo?

Cavaliere — Soprattutto di questo... Sa, dobbiamo pianificare il nostro avvenire...

Paolo — (esplode) Altezza, mi pare che lei adesso esageri: cornuto, sì; ma non pianifi­cato, come dice lei.

Cavaliere — Guardi che lei offende Giu­liana. E anche me.

Paolo — Lasci stare Giuliana o Lili... ma sa che lei è proprio un bel tipo?... Non solo va a letto con mia moglie, ma viene a dirmi che vuole un bambino da lei. Va bene che la mia « misericordia » non è grande, ma non bisogna abusarne...   (Arretra).

Cavaliere — Lasci stare la misericordia a Nostro Signore che è l'unico in diritto di usarla.

Paolo — Alla misericordia di Dio, io non credo, ma alla mia, sì... (Impugna la miseri­cordia)   In guardia,  altezza!

Cavaliere — Mi uccida pure. Non mi difenderò. Cristo ha detto: « ama il prossimo tuo come te stesso »!

Paolo — Veramente lei ama mia moglie.

Cavaliere — Certo. Ma non siamo amanti.

Paolo — No?

Cavaliere — Assolutamente. Io sono assi­stente al Soglio.

Paolo — E con questo? Forse gli « assi­stenti » non fanno l'amore?

Cavaliere — Certo. Ma solo con le con­sorti legittime.  Perciò sono venuto.

Paolo — Continuo a non capire niente. Vi amate ma non andate a letto...

Cavaliere — Orrore! Non ci siamo mai nemmeno baciati. Non mi permetterei... Le bacio solo la mano quando la incontro...

Paolo — (inquisitore) « L'incontra »... dove? Nella sua garçonnière?

Cavaliere — (scandalizzalo) garçonnière? Ma per chi m'ha preso?... Io sono assistente...

Paolo — .... al Soglio. Questo l'ho capito. Ma dove vi vedete?

Cavaliere — In Vaticano, diamine.

Paolo — In Vaticano? Casco dalle nu­vole. E i prelati vi fanno da mezzani?

Cavaliere — (ponendo mano alla spada) Moderi i termini. Lei può insultare me ma non la Chiesa. Stia in guardia.

Paolo — Scusi non ha detto che Cristo vuole che si ami il nostro prossimo?

Cavaliere — Sì, ma non quando c'è di mezzo la Chiesa. Se uccido un eretico, io sono assolto perché elimino il suo corpo ma salvo la sua anima... Veda l'Inquisizione.

Paolo — Comodo!

Cavaliere — Lo sbaglio storico della Chie­sa è di aver abolita l'Inquisizione.

Paolo — Veramente sono stati gli altri a farvela abolire... Stesse in voi brucereste an­cora Giordano Bruno se rinascesse.

Cavaliere — E faremmo bene!... Ma non sono qui per Bruno ma per Giuliana.

Paolo — Altezza, finiamola: insomma lei cosa vuole da me? Che convinca mia moglie a venire a letto con lei?

Cavaliere — Non ce n'è bisogno.

Paolo — Come?! Ma non mi ha spiegato fin ora che a letto non ci andate?

Cavaliere — Certo. Ma per volontà mia. Non per sua moglie.

Paolo — Intende dire che Giuliana... ci verrebbe?

Cavaliere — Sin dal primo momento. Sono io che gliel'ho impedito.

Paolo — Non ci si finisce mai di stupirci... Dunque, mia moglie... era disposta a diven­tare la  sua  amante?

Cavaliere — Dal primo momento che mi ha visto. Capirà: vestito così, a fianco del Sommo Pontefice... insomma faccio una certa impressione... e le donne sono sensibili alle uniformi... (Confidenziale) Sapeva che certe turiste straniere, con il pretesto di fotogra­farli, giungono a strappare le bande delle brache degli svizzeri in alabarda? Sa, sono bande di  Michelangelo!

Paolo — Lo so. Cosa non ha fatto quel genio! Oggi sarebbe designer. Come me.

Cavaliere — Ma noi di brache ne ab­biamo una riserva!

Paolo  —  Per favore, concluda.

Cavaliere — Non chiedo di meglio.

Paolo — Eravamo rimasti al fatto che mia moglie non vuol venire a letto con lei.

Cavaliere — No, sono io che mi rifiuto. Lei ne avrebbe una voglia matta, l'impudica!

Paolo — E da quando è che Lili vorrebbe e lei dice di no?

Cavaliere — Sei mesi.

Paolo — (un grido) Sei mesi. Ci sono! Ecco perché da sei mesi mi massacra! Lo sa che Lili, a causa del suo rifiuto, scarica su di me i suoi furori erotici?

Cavaliere — Lo so.

Paolo — Lo sa?

Cavaliere  — Certo.

Paolo —  Ma insomma Lili le racconta proprio tutto!

Cavaliere — No, guardi, che ancora una volta lei è fuori strada. Sono stato io a con­vincere Giuliana a sfogare su di lei i suoi istinti... Lei ne è il legittimo consorte. E il debito coniugale va soddisfatto. Una volta che Giuliana diventasse la principessa Tigrini, potrà farlo con me. Ma prima, no.

Paolo — Ah, debbo insomma ringraziare lei se per poco non finisco alla Neuro. È lei il responsabile, dunque... Lo sa che da sei mesi  mia  moglie  è diventata  una furia scatenata, una ninfomane pazza e... posso dirlo? Una  espertissima puttana?

Cavaliere — Dica « cortigiana », per fa­vore.

Paolo — E va bene: cortigiana. La so­stanza non cambia.

Cavaliere — Fra moglie e marito è più che naturale. Noi della Chiesa non abbiamo più i tabù di un tempo: una moglie può essere l'amante « in tutti i sensi » del ma­rito; anzi « deve » esserlo, come sostengono i più moderni teologi, proprio per mantenere viva la fiamma dell'amore coniugale.

Paolo — Anche con l'ausilio di testi ero­tici orientali?  Questo non lo sapeva,  vero?

Cavaliere — Lo so, lo so... glieli ho dati io...

Paolo — (stupefatto) Lei?!

Cavaliere — Certo. Abbiamo ormai un canale diretto, anche se clandestino, con la Cina   di   Mao.

Paolo — È il colmo. Ma lei come parla? Un assistente al Soglio!

Cavaliere — È il fine che conta. L'ha detto il « vostro » Machiavelli. E se Giuliana non esaurisse interamente con lei il suo tra­sporto erotico verso di me, chi le dice che non lo farebbe con altri? In tal caso non potrei sposarla più... Allora sì, che diventerebbe una cortigiana... No, la morale innanzi tutto. E con il consorte, nessuna posizione, per quanto eterogenea,   è  peccato.

Paolo — Permette che prenda un tranquil­lante?... I suoi discorsi mi hanno agitato. (Si alza).

Cavaliere — Se permette, gliene offro uno io... (Porge una scatoletta preziosa).

Paolo — Gira con i tranquillanti?

Cavaliere — Per forza! A stare tante ore in piedi, accanto al trono papale, i nervi saltano! Ma con queste pilloline si riesce a dormire in piedi a occhi aperti.

Paolo — Come i cavalli.

Cavaliere — Esatto. Ma la gente non se ne accorge.

Paolo — (prendendone una) Anche queste pillole sono  cinesi?

Cavaliere — No. Russe. Siamo equidistanti. Diplomazia.

Paolo — Insomma, non avete preconcetti.

Cavaliere — Siamo tutti fratelli in Cristo. Ma torniamo a sua moglie. Dove eravamo rimasti?

Paolo — Che vuol venire a letto con lei ma lei non ci sta...

Cavaliere — (sottolineando) Non « ci stavo »

Paolo — Non mi dica che « ora » ci andate!

Cavaliere — La situazione è cambiata ma non in quel senso. Perciò sono venuto... Dopo averne parlato con mio zio.

Paolo — (irritalo) Insomma lei manca solo che metta i manifesti in piazza!

Cavaliere — Mio zio è persona riservatissima.

Paolo — (ironico) Se lo dice lei...

Cavaliere — Mio zio è principe...

Paolo — Questo è ovvio. Se è principe lei, lo è anche lui.

Cavaliere — Mi faccia finire!... Mio zio è principe di Santa Romana Chiesa... Cioè Cardinale. Prefetto della Sacra Congrega­zione per la dottrina della fede. Ex Sant'Uf­ficio...

Paolo —  Quelli  che bruciarono  Bruno?

Cavaliere — Precisamente. E infatti mio zio sarebbe propenso ai roghi. Ma non più solo a Piazza Campo dei Fiori. Ma in tutta Roma...Ma lasciamo andare queste quisquilie.. Dunque, giorni fa andai da mio zio e gli dissi...

(Si alza e trae di tasca uno zucchetto rosso da Cardinale e lo mette su un braccio del portamantelli al  quale parlerà).

Cavaliere — (inchinandosi) Eminenza zio, vorrei informarla sulla situazione disagevole in cui mi trovo... Non m'ha lasciato prose­guire che ha attaccato lui... (Fa un vocione come fosse il Cardinale a parlare in puro roma­nesco) « Ah, fija de na bona donna e mò me te presenti quanno che l'inghippo è già sulla bocca de tutti »?

Paolo —  Scusi,  ma suo zio  parla  così?

Cavaliere — È romano de Roma ma parla correttamente sette lingue, compreso l'afgano dove fu nunzio... Dunque, è sempre zietto che parla... (Torna a parlare col vocione) Ma com'è che te sei messo in mente de sposà na burina, tu principe assistente al Soglio e nepote de un Cardinale?... te fossi ammat­tito? Ma ce pensi allo scandalo?... Intanto te cacciano come assistente e li Capitelli tor­nano su dopo tre secoli e passa... e io che figura ce faccio?... E poi tu moje more de vergogna... quest'è certo... anche se nun sa­rebbe poi male visto che pe ventre cià na pignatta vota... No, fijetto bello... tu non pòi dà sto dolore a zietto che se potesse, te farebbe brucià vivo in piazza...

Paolo — Ma è una mania!

Cavaliere — La prego, non mi interrompa sennò perdo il filo... Ecco, l'ho perduto... non ricordo il seguito del discorso...

Paolo — Non importa, concluda.

Cavaliere — Insomma, mio zio che è un grand'uomo, sennò non sarebbe a quel posto, m'ha dato il consiglio giusto.

Paolo — E sarebbe?

Cavaliere — (ancora il vociane) « Vacce a letto con la burina, se proprio te scappa... ma nun la sposà, altrimenti io te distruggo ».

Paolo —  Mi  meraviglio. Un sacerdote!

Cavaliere   —   Un cardinale. È diverso. Loro guardano le cose dall'alto, dunque ve­dono più lontano. Insomma,  mio zio m'ha convinto.

Paolo — E così siete andati a letto.

Cavaliere  — Assolutamente.

Paolo — Scusi, ma non ha detto che mia moglie non attendeva altro?

Cavaliere — È questo il punto. Perciò sono venuto da lei...

Paolo — Insomma, lei finora m'ha detto che è venuto per un mucchio di motivi, ma ancora non ho capito quello esatto.

Cavaliere — Glielo dico subito. Ora che sono disposto io,  non è più disposta lei.

Paolo — E come mai?

Cavaliere — Adesso gli scrupoli morali sono venuti a lei.

Paolo — Non mi faccia ridere! Se non ne ha mai avuti...

Cavaliere — Con lei, forse... ma frequen­tando me... insomma è accaduto quello che sempre avviene in chi, per i motivi più di­versi, si avvicina alla Chiesa... alla Chiesa, intendo, non come istituzione fondata dal Cristo, ma semplicemente come maestosa apparenza.

Paolo — Non capisco.

Cavaliere — Mi spiego. Lo sa perché noi non rinunciamo a questi vestiti, allo sfarzo delle uniformi, alla spettacolare regia di certe cerimonie religiose? Perché esse fanno presa sulle anime semplici. Come le statue dei santi. Per gli altri, per gli intelligenti basta il Van­gelo. Anche, se, a volte, può accadere che un poeta come Claudel si converta al cattolice­simo assistendo alla messa di Pasqua nella cattedrale di Notre Dame a Parigi. Come vede, le vie del Signore sono infinite.

Paolo — Ma cosa c'entra Claudel con mia moglie?

Cavaliere — Giuliana, a forza di frequen­tare San Pietro con i permessi che io le davo per le grandi cerimonie liturgiche, s'è lasciata contagiare... Forse lei ignora il potere esal­tante del profumo dell'incenso, della musica dell'organo, eccetera...

Paolo — Sono ateo.

Cavaliere — Affari suoi. Comunque è come per la droga. Si comincia per caso, e poi non se ne può fare a meno. Noi soltanto che ci viviamo dentro, ne siamo immuniz­zati... Ma i cuori semplici... E poi le donne sono così suggestionabili!... Pensi che nel mondo il numero delle monache è tre volte maggiore di quello dei sacerdoti e dei frati tutti insieme.

Paolo — Lasci stare le statistiche e venga al dunque.

Cavaliere — Sono qui per questo. Cer­chiamo insieme un soluzione.

Paolo — Lei dimentica che io sono il marito. Cioè, il cornuto.

Cavaliere — Becco, lei non lo è. Glielo giuro sul Vangelo. Lo era prima, se mai, quando Giuliana andava a letto con il pa­drone delle auto Pecora.

Paolo — Sa anche questo?

Cavaliere — Certo. Ma che importa? Cristo non perdonò l'adultera? E poi Giu­liana ci andava perché quell'ignobile la ri­cattava. È stato il suo unico amante.

Paolo — Glie l'ha detto Lili?

Cavaliere — È stato zietto a informarmi Ha frugato nei dossiers.

Paolo — Quali dossiers, scusi?

Cavaliere — Noi abbiamo il servizio-spio­naggio più efficiente del mondo. La CIA deve nascondersi al nostro confronto. Politici, personalità, industriali, prelati, sono tutti schedati, da noi. Non sfugge nessuno! Quindi stia tranquillo: lei è stato becco una sola volta. Anche se a rate. Cioè, prima e dopo le nozze. Ma di questo io la vendicherò.

Paolo — (ironico) Un duello con Pecora?

Cavaliere — Non usa più. No, l'ho detto a zietto. E lui stravede per me. Sono il suo unico nipote. E, a saperlo prendere, non mi nega mai niente.

Paolo — Scusi, siccome anch'io ci ho il dente avvelenato con il Pecora, potrei sapere che gli farà suo zio, cioè Sua Eminenza?

Cavaliere — Semplicissimo. Quello che facciamo sempre quando vogliamo colpire qualcuno. Butteremo sul mercato tutte le azioni delle auto Pecora che possediamo. E vedrà che bella picchiata in borsa per il Gianni dei miei stivali.

Paolo — Lei mi colma di gioia. Posso stringerle la mano, altezza?

Cavaliere — Se proprio ci tiene... (Gli dà la mano).

Paolo — Senta, forse lei mi farà cornuto...

Cavaliere — È escluso.

Paolo —  .... Comunque mi  è simpatico.

Cavaliere — Anche lei. Ha ragione Giuliana.

Paolo — Giuliana le parla di me?

Cavaliere — Sempre. Non parliamo d'altro.

Paolo — Grazie.

Cavaliere — Giuliana la trova adorabile. E io concordo.

Paolo — Però vi preparate a farmi becco.

Cavaliere — (perplesso) Non è detto... la faccenda, come le dicevo, s'è un po' ingar­bugliata da quando Giuliana s'è data a Dio. E con il Signore non si lotta.

Paolo — Non capisco.

Cavaliere — Le ho detto che Giuliana è ormai contagiata. E purtroppo il peccato le fa orrore!

Paolo — E con me non pecca?

Cavaliere — Lei è il marito. Con lei, non è peccato.

Paolo — Effettivamente, la faccenda è un po' ingarbugliata.

Cavaliere — Un vero busillis. Perciò sono venuto a trovarla. Naturalmente, Giuliana non sa che sono qui. Dovremo decidere fra noi due. Per il bene di tutti.

Paolo — Giusto. Ma come?

Cavaliere — Francamente non lo so.

(Una pausa. I due riflettono).

Cavaliere — Permette che fumi per rilassarmi?

Paolo — Prego, le sigarette sono lì. (Porge un astuccio).

Cavaliere — Grazie. Io fumo solo sigari. (Ne trae dal giubbotto uno enorme)  Gradisce?

Paolo — Grazie. Non fumo. Scusi ma cos'è? Un sigaro così non l'ho mai visto.

Cavaliere — (accendendo il sigaro che aspira con  voluttà)  Cubano. I migliori del mondo.

Paolo — Cuba? Cioè, Castro.

Cavaliere —  (indifferente)  Sì.

Paolo — Ma Castro, scusi, non è...

Cavaliere — Comunista? Esatto. E con questo? « Che Castro ci frega? » Come dice zietto. La chiesa, il meglio, lo prende dove lo trova.

Paolo — Vogliamo tornare a mia moglie?

Cavaliere   —   Volentieri. Ha un'idea?

Paolo — Nessuna.

Cavaliere — Nemmeno io.

Paolo — (timidamente) E se lo dicessimo a suo zio?

Cavaliere — Per carità, lui, agli inghippi non ci sta.

Paolo — È proprio un bel pasticcio.

Cavaliere — Lo dice a me che con mia moglie devo andarci a letto.

Paolo — Ma se è sterile!

Cavaliere — Sterile. Ma vogliosa. E poi « il debito coniugale » dove lo mette? E se la vedesse!

Paolo — È bella?

Cavaliere — È mai stato allo zoo?

Paolo — Qualche volta.

Cavaliere — Ebbene immagini un incro­cio fra una scimmia e una giraffa. E poi fa l'amore tutta vestita.

Paolo — Intende, con gli abiti da passeggio?

Cavaliere — No, certo... ma con delle camicione lunghe fino alle caviglie e legate ai polsi e al collo, che confezionano apposta per le Suore Orsoline, del cui Ordine mio zio è alto protettore.

Paolo —  (divertito) Così lei...

Cavaliere  —  Faccio  l'amore  alla  cieca.

Paolo  —  Pudore,   immagino.

Cavaliere — No. Regalità. Gli Oranges de Lafayette aspirano al trono di Francia.

Paolo — Ma c'è Pompidou.

Cavaliere — Sì, ma loro aspirano sempre. Da due secoli. Il pretendente è mio suocero. Pretende e attende. Mio zio dice che cià la capoccia svitata! ».

Paolo — Torniamo a Lili.

Cavaliere — A proposito, non le faccia lasciare il Ministero degli Interni.

Paolo  —   (stupito)   Lili  vuole  andarsene?

Cavaliere — Sì.

Paolo — L'ignoravo.

Cavaliere — Anch'io. Ma mio zio mi ha avvertito: « Guarda che la tua burina... ».

Paolo — Scusi, vuol smetterla di chiamare « burina » mia moglie?

Cavaliere — Per zietto sono « burini » tutti quelli che non sono nati a Roma, anche i milanesi, i toscani, eccetera... Dunque zio ha detto: « Guarda che la tua burina vuol passare agli Esteri per starti vicino... Dije de no, perché sto ministro mica è pederasta come quell'altro e le segretarie se le ripassa tutte! »

Paolo — Accidenti!

Cavaliere — A chi lo dice! Io sono gelosissimo. Lei, no?

Paolo — No.

Cavaliere — Logico: è il marito. Ma stia tranquillo: agli Esteri Giuliana non ci andrà

Paolo — La convincerà lei?

Cavaliere — Fossi matto! Ci penserà zietto. Una parolina sua e non l'assumono. E se insiste lo passano alle poste e telefoni.

Paolo — A Giuliana?

Cavaliere — No. Il ministro.

Paolo — Suo zio può tanto?

Cavaliere — Per forza: è Cardinale di Curia. E, in più, Camerlengo di Santa Roma­na Chiesa.  Sa che significa?

Paolo — No.

Cavaliere — Che se, Dio ci guardi, al Santo Padre, mettiamo, gli prende un colpo, è zio che regge la Chiesa Universale. Capisce ora?

Paolo — Perfettamente.

Cavaliere — E così un giorno il nuovo papa sarà lui.

Paolo — Lei crede?

Cavaliere — La nostra casata ha dato già tre pontefici alla Chiesa. Non che zietto ci tiene a mettersi in testa la tiara, perché gli piace troppo passeggiare per Roma, ma... (Col vocione) « Se me sacrifico a fa il Papa è pe dà na bella ramazzata a tutti sti preti progressisti che, co la scusa del Concilio, vonno fa quello che je pare... ».

Paolo — (interessato) Crede che ce la farà?

Cavaliere — Un terzo del Sacro Collegio è già con lui, gli altri Cardinali se li sta la­vorando  uno  ad  uno...

Paolo — (scandalizzato) Mendica voti come un qualsiasi politico?

Cavaliere — Sì. Ma in nome di Dio. Tutti i Papi si fanno così.

Paolo — Ho sentito dire che è lo Spirito Santo che ispira il Conclave.

Cavaliere — Esatto! Ma lo Spirito Santo vola, povera colombella! E per farla scendere sulla testa di questo o di quello, bisogna guidarla...

Paolo — Un momento... Se suo zio di­venta Papa, più che mai Lili si rifiuterà di venire  a  letto  con  lei...

Cavaliere — Al contrario; perché io la sposerò con tutti i crismi di Santa Romana Chiesa.

Paolo — E sua moglie, la principessa?

Cavaliere — La ripudio. Annullo il matrimonio.

Paolo — La Sacra Rota?

Cavaliere — No. Mio zio, direttamente. Il Papa è al disopra di tutto: può fare e di­sfare. Scioglierà lui il vincolo e la principessa andrà a farsi benedire.

Paolo — E lo scandalo?

Cavaliere — La nipote di un Cardinale può far scandalo. Non la nipote di un Papa.

Paolo — Vuol dire che Lili diventerebbe... (Non riesce a proseguire soffocato dalla emozione).

Cavaliere —  Nipote del Papa.  Che c'è di strano? L'idea ha già conquistato Giuliana. È fuori di sé dall'emozione.  Perciò aspetta con ansia il Conclave.  Veramente lo aspet­tano anche molti Cardinali. Sia pure per mo­tivi diversi.  Ma pare che questo Papa,  in­vece  di  morire,  si  dimette.  Almeno  così si dice...  Ma zio non  ci crede...   (Di nuovo col vocione)  « È tutta na finta, nepotaccio mio... E quanno mai un papa se ne è ito con le gambe sue? Perciò, Quirichetto mio, te tocca de tirà il collo prima d'impalmà la burina... ».

Paolo — Ma suo zio è un cinico.

Cavaliere —  Per forza.  È un politico. Tutti i Cardinali sono dei politici. Altrimenti come governerebbero la Chiesa universale? L'umiltà, la pietà loro la lasciano ai parroci di campagna che sono operai...

Paolo   — Operai?!

Cavaliere — Operai della vigna del Si­gnore, secondo l'espressione del Vangelo. Ma i Cardinali sono dirigenti d'azienda e dunque devono essere impermeabili ai sentimenti. Anzi zietto dice che per fare bene il papa bi­sognerebbe essere miscredenti.

Paolo — (esplode) Suo zio è un...

(Ma ammutolisce perché entra rapida Lili in un abito lungo nero, elegantissimo).

Lili — (attraversando la stanza, rivolta ai due uomini) Continuate pure a parlare. Io riesco subito perché ho lasciato l'auto in doppia fila. 

(E scompare nella solita porta di destra).

Paolo — Dev'essere morta mia suocera. Finalmente. Ecco perché è vestita a lutto.

Cavaliere — Non è un abito da lutto. Ma da cerimonia.

Paolo — (di colpo) Ora che ci penso: Lili ci ha visti insieme e non ha fiatato! Dunque sapeva della sua visita!

Cavaliere — Assolutamente.

Paolo — Non sapeva? E tace?

Lili —   (rientra indossando sul capo  un velo nero  ampio  come  una  mantiglia.  Ai due  uomini) Scusatemi, vado dal Santo Padre.

Cavaliere — (inchinandosi) Implori la be­nedizione anche per me. La formula è: « Be­nedica, Padre Santo, un peccatore il cui nome mi riservo in pectore! »

Lili — (tono ovvio) So già. « In pectore ». (Inchinandosi)  Altezza!  

(Gli porge la mano da baciare che l'Assistente bacia con compunzione).

Cavaliere — Signora!

Lili — Ciao, Paolo. 

(Lo bacia sulle labbra. Poi si avvia).

Paolo — (le grida dietro) E il ministro? L'hai visto?

Lili — Sì. L'ho mandato al diavolo! (Esce).

Paolo — (perplesso) Vuol dire che si è dimessa? Inaudito!

Cavaliere — Inaudito, cosa? Che si sia dimessa dal Ministero?

Paolo — No. Che ci veda insieme e non reagisca.

Cavaliere — Per l'impiego, nessun timore. Gliene troviamo uno migliore. In quanto a noi due, anzi a noi tre, credo che il compor­tamento di Giuliana sia il più idoneo. Dia­mine, siamo esseri civili, non selvaggi.

Paolo — (sconvolto) Devo sedermi. Mi tremano le gambe.

Cavaliere — Sieda pure, ma non dram­matizzi. La situazione volge al bello.

Paolo — Per lei, forse. Ma io vedo nero. Come l'abito di Lili.

Cavaliere — Le vie del Signore sono in­finite. (Confidenzialmente) Da qualche tempo mia moglie, la principessa, non sta molto bene.

Paolo —  E  a me cosa me ne importa?

Cavaliere — Conosce Santa Emerenziana vergine e martire?

Paolo — Le ho già detto che sono ateo!

Cavaliere — Santa Emerenziana è la mia protettrice di fiducia. Le ho chiesto di far sì che dalle radiografie di mia moglie risulti un qualche tumore. Sua nonna è morta così. Tumore al seno. Per mia moglie è in ballo l'utero. Forse Dio toglie ciò che è inutile, come dice zietto... E se la principessa muore di cancro, tutto si risolve dignitosamente e senza scandali.

Paolo — Taccia, per favore. Più lei parla, più le gambe mi ballano. Non vede?

Cavaliere — (tecnico) Il suo è un parletico da esaurimento erotico. Prenda queste vita­mine.  

(Gli porge  un'altra  scatolina preziosa).

Paolo — (scoppiando) La smetta con le sue pillole. E mi faccia il favore di andarsene prima che la picchi.

Cavaliere —  (avviandosi)  Come vuole.

Paolo — No, non se ne vada. Altrimenti qui, da solo, io impazzisco.

Cavaliere — Come vuole. (Torna indietro).

Paolo — Mi scusi se mi sono lasciato an­dare. Ma questa è una situazione nuova per me. In genere, si è becchi senza saperlo. (Confondendosi) Cioè, voglio dire, non si parla di queste cose con l'amante, mi cor­reggo, l'aspirante-amante della propria mo­glie. Insomma non mi ci raccapezzo più.

Cavaliere — Mi creda, sono il primo a rammaricarmene. Ma che colpa abbiamo io e Giuliana se ci amiamo? (Un tempo) Santa Emerenziana...

Paolo — (interrompendolo) La smetta con codesta  vergine!

Cavaliere — Santa Emerenziana è cono­sciuta come la santa degli « impossibili ». Quello che non riesce a noi, vedrà che riu­scirà a lei. Ho fede. Tanta fede.

Paolo — La sua, è una strana fede.

Cavaliere — La fede è polivalente.

Paolo — Insomma, codesta Emerenziana fa da paraninfa?

Cavaliere — No. Protegge gli amori dif­ficili; perché lei stessa ne soffrì. Infatti preferì morire martire ma vergine.

Paolo — Vergini non ne nascono più.

Cavaliere   —  Ma ne muoiono. Guardi l'agiografia.

Paolo — (sempre più stordito) La geografia?

Cavaliere — (paziente) Agiografia. Vita dei santi. Ne facciamo sempre di nuovi perché c'è continua richiesta da tutte le categorie professionali e artigiane. Mancava quello dei sommozzatori. E l'abbiamo creato. Tre mesi fa. San Telemaco.

Paolo — C'è quello dei cornuti?

Cavaliere — Certo. San Martino. È molto popolare.  Sa, siete in tanti.

Paolo — A proposito, parliamo di mia moglie.

Cavaliere — Volentieri. Ha visto come sta bene in nero? Io trovo che il nero è il colore più eccitante. Non per nulla è quello preferito dalle spogliarelliste. (Eccitato) Oh, nero su bianco!

Paolo — (che non connette più) Allude al suo contratto nuziale?

Cavaliere — No, al candore della pelle di Giuliana sotto quel nero. Sono eccitatis­simo. Per favore, mi dica è proprio così bianco il corpo come s'intuisce dal collo?

Paolo  —  No. È abbronzato. Il sole.

Cavaliere — Abbronzata. Tutta?

Paolo — Tutta.

Cavaliere — Proprio tutta?

Paolo — Proprio tutta.

Cavaliere — Anche lì?

Paolo — Anche lì.

Cavaliere — Meraviglioso. (Preoccupato) Ma va al mare senza bikini?

Paolo — No, qui in terrazzo abbiamo il « solarium ».

Cavaliere — Capisco. Ecco perché lei non si stanca mai di baciarle tutto il corpo. Anche mezz'ora fa.

Paolo — Mezz'ora fa? E lei come lo sa? Tira  a indovinare?

Cavaliere — No. (Attraversa la stanza e indica un modernissimo paralume)  Guardi.

Paolo — È un paralume. L'ho disegnato io.

Cavaliere — Ecco. (Svita l'abatjour).

Paolo — (un grido) Un microfono!

Cavaliere — Sì. E ce n'è un altro qui. (Indica  un vaso)  E uno sotto la  poltrona.

Paolo — (correndo a verificare) È vero. È vero. Ma come si permette?

Cavaliere — E ce n'è altri tre in camera da letto. Così vi controllo quando fate l'amore.

Paolo — Ma quando li ha messi? Io sono quasi sempre in casa.

Cavaliere— Non li ho messi io, ma Giu­liana. Per rassicurarmi che non ci tradisce, io e lei.

Paolo — Ma lei è un « guardone ». No, mi correggo. Un « orecchione ». Insomma, non so come si dice.

Cavaliere — Dica « uditore ». È un ter­mine squisitamente ecclesiastico. Ad esempio « Uditore della Sacra Rota ».

Paolo — Lei è un erotomane.

Cavaliere — No, ma mi piace tenere la situazione sotto controllo. Foemina diabolus est.

Paolo — Suo zio.

Cavaliere — Sì. Ma questa è mia. Voluptas fìt in ore. Il piacere nasce sulle labbra.

Paolo — Ma non avevate abolito il latino?

Cavaliere — Solo nella messa. Insomma io approvo che lei baci tanto il corpo di Giu­liana. Appena potrò, lo farò io.

Paolo — C'è tempo.

Cavaliere — Dipende da Sant'Emerenziana.

Paolo — (di colpo) Mi tolga un dubbio. Lili, quando è riuscita, poco fa, vestita di nero, aveva sull'abito qualcosa che brillava. L'ha notato anche lei o è una mia allucina­zione  da   esaurimento  erotico?

Cavaliere — No. È esatto. L'aveva. È l'Ordine di San Giacomo. Una decorazione ecclesiastica.

Paolo — Gliel'ha fatta avere lei?

Cavaliere — Naturalmente.

Paolo — E a che titolo, scusi? Non mi pare che Lili abbia meriti particolari. Specie sotto il profilo morale.

Cavaliere — Gliel'abbiamo data per « motivi spirituali ». Avere, cioè, servito la Chiesa. È una formula vaga che usiamo quando vogliamo premiare qualcuno che non lo merita.

Paolo — Ma è un'aberrazione!

Cavaliere — Non direi. Tutto quello che fa la Chiesa è giusto, per il solo fatto che lo fa. Del resto, noi premiamo le intenzioni oltre le opere.  Ora Giuliana ha manifestato il desiderio di coadiuvare le buone dame della Pontificia Opera di assistenza per i bimbi poveri del Biafra.

Paolo — Ma non l'ha ancora fatto, che io sappia.

Cavaliere — Certo. Ma ne ha la volontà. E questo basta per noi. Vede, la Chiesa non giudica con un metro umano ma trascen­dente. È il nostro vantaggio. E con quella decorazione che oggi indossa per la prima volta, Giuliana sarà notata nell'udienza col­lettiva pontificia. Il che le farà piacere e, di conseguenza, la ispirerà davvero a compiere opere buone; dunque l'onorificenza finirà per meritarsela davvero. (Confidenziale) L'idea è di zio. (Vociane) « Damoje un segno di rico­noscimento alla burina così io la distinguo in mezzo a tante altre e me ne faccio una idea ». (Voce normale) Zietto va apposta alla udienza di cui non gli importa niente. Vede quanto bene mi vuole zio? Speriamo che faccia una buona impressione Giuliana. Tutto dipende dall'idea che zio se ne fa. (Un grido)   Oh, Dio, le undici e trenta.

Paolo — Che succede alle undici e trenta?

Cavaliere — Permette? (Corre al televisore e l'accende. Appare sul video un cardinale impo­nente che sta parlando in francese).

Cardinale — (pronuncia parole di saluto in francese).

Cavaliere  —  (come presentando)   Mio zio.

Paolo — (suggestionato, si inchina al video) Molto lieto.

Cavaliere — Non così. Dica: Eminenza.

Paolo — (come un automa) Eminenza.

Cardinale — (al video, ora parla in inglese).

Paolo — Inglese.

Cavaliere — E adesso parlerà in tedesco e spagnolo. Parla ai congressisti dei docenti cattolici di mezzo mondo.

Cardinale — (parla prima in tedesco, poi in spagnolo),

Cavaliere — Ora saluterà in russo.

Cardinale — (parla in russo).

Cavaliere — E ora in cinese.

Cardinale — (parla in cinese).

Paolo — Conosce anche il russo e il cinese?

Cavaliere — No. Solo poche frasi che ha imparato per l'occasione.

Paolo — Ma ci sono russi e cinesi al con­gresso? Strano.

Cavaliere — No. Non ci sono. Ma noi « apriamo » sempre. I giornali riferiranno la cosa e farà effetto. Importante è aprire un dialogo. Prima o poi, gli altri rispondono.

Paolo — E se passano anni?

Cavaliere — Noi non misuriamo il tempo in anni ma in secoli perché la Chiesa è eterna. Questa è la nostra superiorità. Perciò finiamo col vivere sempre. E « apriamo » a chiunque.

Paolo — Anche ai fascisti?

Cavaliere — Intende Spagna, Portogallo, Grecia? Per noi gli uomini si dividono in cattolici e no. (Spegne il video) Mi scusi se mi sono permesso di accendere il video ma zietto si fida solo della mia opinione. Non crede a nessuno in Curia. E per me, oggi, è stato telegenico, come sempre. (Tono normale) Di che stavamo parlando?

Paolo — Di mia moglie, naturalmente.

Cavaliere — Sì. Non riusciamo a parlare d'altro. Del resto, è giusto. Giuliana è una donna unica! Con lei non si è potuta realiz­zare per quello che vale.

Paolo — Grazie tante.

Cavaliere — Non intendevo offenderla. Ma solo ricordarle che, per arrivare, ci vuole sempre una spinta. E noi siamo gli unici in grado di dargliela. Vedrà Giuliana fra qualche anno! Tutti mendicheranno una sua parola per risolvere una « pratica » o trovare un appalto, una fornitura, eccetera. Giuliana se la sbrigherà benissimo e porterà danari a fiumi nel tesoro di San Pietro.

Paolo — Insomma la religione cattolica è monoteistica. Ma mi sembra che l'unico Dio che adorate, più che Cristo, è l'oro.

Cavaliere — Per diffondere il verbo di Cristo, l'oro è indispensabile. Chi paga le missioni e il resto? Un'azienda spende solo se incassa.

Paolo — Ma Cristo non scacciò i mercanti dal tempio?

Cavaliere — Gesù era Dio. Noi siamo uomini. E i mercanti li cacciamo dopo che ci  hanno  versato  l'obolo.

Paolo — La prego: vorrei rimanere solo a riflettere.

Cavaliere — Troppo giusto. Ma riflet­tere non serve.  Habent sua sidera  copulae.

Paolo — Questa, l'ho capita: gli amplessi dipendono dalle stelle.

Cavaliere — È una traduzione troppo letterale. Diciamo che tutto è scritto. Quindi se è deciso che io vada a letto con Giuliana, prima o poi, avverrà, lo voglia lei o no. Fiat voluntas Dei.

Paolo — Non credo che il Signore si oc­cupi delle corna nostre.

Cavaliere — Non insista. Lei, becco non sarà mai. Al più, diverrà l'ex marito della principessa Tigrini. Il che, oltre tutto, le gioverà professionalmente. E adesso, se per­mette, prendo congedo perché credo di aver sufficientemente chiarito i termini del pro­blema. Mi rallegro comunque di aver trovato in lei un uomo civile e disponibile.

Paolo — Disponibile... fino a un certo punto.

Cavaliere — Non poniamo limiti alla di­vina provvidenza. (Inchinandosi) Prego, lo stocco.

Paolo — (gli porge la spada) Quanto pesa!

Cavaliere — Era per uomini d'altri tempi.

Paolo   —   Esce   così?

Cavaliere — Sono venuto così. Non di­mentichi che siamo a Roma di cui il Sommo Pontefice resta il vero padrone.

Paolo — Purtroppo. (Saluta) Altezza. (Gli porge la mano).

Cavaliere — Credo che la nostra solidale attrazione verso Giuliana vada suggellata altrimenti che con una semplice stretta di mano. (L'attira a sé e lo abbraccia, inaspettata­mente).

Paolo — (confuso e mezzo soffocato) Lei mi onora, altezza.

Cavaliere  — Chiamami  Quirichetto.

Paolo — (sempre più confuso dall'abbraccio che si protrae oltre il previsto) Chierichetto.

Cavaliere — (sempre abbracciandolo) Qui­richetto. Diminutivo di Quirico.

Paolo — (nell'abbraccio) Mi abbraccia o mi strozza?

Cavaliere — (sciogliendosi dall'abbraccio) Fatto.

Paolo — (con un sospiro) Finalmente.

Cavaliere — (si allontana da Paolo che aveva coperto nell'abbraccio e ora soltanto vediamo che dal collo di Paolo pende un collare con un meda­glione mollo vistoso e brillante).

Paolo — Mi pare che mi pende qualcosa.

Cavaliere — Sì.  Guardati allo specchio.

Paolo — Bello! Ma cos'è? Una collana hippye?

Cavaliere — L'Ordine del Santo Sepol­cro. Da questo momento sei cavaliere di cappa e spada e difenderai, simbolicamente benin­teso, il Sepolcro di Cristo. Hai diritto anche alla uniforme.

Paolo — (sempre più stordito) L'uniforme?

Cavaliere — Sì. È stupenda. Non proprio come la mia. Ma quasi. Sarai in polpa, cal­zamaglia, berretto piumato e, naturalmente, spada con elsa istoriata.

Paolo — Io?! E che ci faccio?

Cavaliere — Sarai di guardia due volte al mese nell'anticamera pontificia. Avrai di­ritto al « presentat-alabarde » delle guardie svizzere. E i diplomatici accreditati presso di noi ti daranno la mano. Nelle grandi ceri­monie vieni quasi subito dopo la sedia gesta­toria del Santo Padre. Contento?

Paolo — Sono stordito.

Cavaliere — Per forza: ex abrupto. Ma guarda che non ne facciamo quasi più di cavalieri così. L'idea è di Giuliana. Vedi come ti ama. E zio ha approvato. (Vocione) « Mejo così. Che la gente non pò capì che te metti co la moje de uno che non è gnente. Famolo armeno cavaliere der Santo Sepolcro e così la cosa se nobilita un pò ».

Paolo — (osservando il medaglione) È d'oro?

Cavaliere — No. È fasulla come tutte le nostre decorazioni. È una « patacca » come dice zio. D'oro vero c'è solo l'Ordine di Cristo ma sono in sette ad averla nel mondo e tutti capi di Stato: Franco, Umberto di Savoia, eccetera!

Paolo — Brutta compagnia.

Cavaliere — Infatti. Ma questa, anche se non è d'oro, è di grande prestigio. E sai quanta gente importante farebbe i salti mortali per averla? Noi diamo solo patacche. Ma in cam­bio riceviamo quadri celebri, codici miniati e roba simile. Altrimenti come s'incrementano i nostri musei?

Paolo — E chi non ha quadri?

Cavaliere — Dà soldi. Sic et simpliciter. Da questo momento sei anche cittadino va­ticano e hai diritto a prendere merci in fran­chigia. Poi, se a zio gli gira bene, ti diamo anche il C.D.

Paolo — Il C.D.?

Cavaliere — La targa del Corpo Diplo­matico col passaporto.

Paolo — Ma io non sono un diplomatico.

Cavaliere — Non importa. Ti nominiamo viceconsole di uno staterello accreditato presso di noi: metti l'Honduras, le Bahamas, Haiti... Tanto che ti frega? Mica ci devi andare mai. Sei « onorario ». Importante è che quando ti presenti come designer arrivi con l'auto C.D. e potrai alzare i prezzi dei tuoi lavori.

Paolo — (già suggestionato) Come idea, non è male. E l'uniforme quando me la danno?

Cavaliere — Ah, quella te la devi fare da te. Noi ti diamo solo il sarto specializzato e tu con un paio di milioni, te la cavi. Ma vedrai quando esci di casa vestito in uniforme che il portiere si piega in due. E se prendi un taxi, manco fiati che quello ti porta dritto in Vaticano e subito ti chiede un favore. Siamo a Roma... Beh, adesso vado... (Si avvia) Ciao, don Paolo.

Paolo — « Don »?

Cavaliere — Per forza. Mica sei più Paolo ora. Ma don Paolo e Giuliana diventa donna Giuliana. Lei è contenta per il condominio.

Paolo — Il condominio?

Cavaliere — Dice che come condomini avete un generale, un conte e due commen­datori. Ma un cavaliere del Santo Sepolcro quando lo rimediano? (Si avvia) Ci vediamo, don Paolo.

(Si ode il suono festoso delle campane).

Paolo — (con sdegno) Sono le campane della chiesa vicina. Non mi lasciano lavorare. Ho fatto un sacco di denunce ma il Parroco nessuno lo tocca. Adesso come sansepolcrista voglio andare a dirgliene due personalmente!

Cavaliere — Eh, no... non puoi più. Tu sei dei nostri ora. E poi queste sono campane a festa.

 

(Il suono si fa sempre più garrulo)

C'è cerimonia in San Pietro. Beatificano un cap­puccino. Non ricordo il nome. È così ostrogoto!

(Il fondo della scena si illumina in una giganto­grafia riproducente l'esterno di san Pietro col co­lonnato e una gran folla).

Cavaliere — (mette un ginocchio a terra e leva la spada in alto in segno di saluto).

Cavaliere  —  Don  Paolo?!

Paolo — Sì.

Cavaliere — E che fai in piedi? Saluta anche tu da cavaliere di Cristo.

Paolo — (imita il Principe mettendo un ginocchio a terra).

Cavaliere  —  Non il sinistro. Il destro.

Paolo — (cambia ginocchio) Scusa, non sono ancora pratico.

Cavaliere — Imparerai.

Paolo — (indica la gigantografia) Splendido San Pietro!

Cavaliere — E quando la fanno un'altra piazza così? (Sempre in ginocchio). In questo momento un beato di più sale in cielo. Spe­riamo che presto in terra ci saranno altri tre beati:  Giuliana,  tu e io.

(Suono di campane sempre più festoso col coro dell'Alleluia. I due uomini restano, in ginocchio piegato, i due bracci levati: Il Principe salutando con la spada, Paolo con la misericordia).

FINE DEL PRIMO TEMPO


SECONDO TEMPO

Quadro Primo

(La stessa scena qualche giorno dopo).

Paolo — (in uniforme da cavaliere del Santo Sepolcro, spada, cappello piumato, polpe, eccetera, si pavoneggia  dinanzi  uno  specchio).

Paolo — (un tempo) Lili?

Lili — (d.d.) Sì.

Paolo — Puoi  entrare.   Mi  sono  vestito.

Lili — (entra e si ferma come folgorata) Oh, meraviglioso! Splendido. Sembri un altro.

Paolo — Davvero?

Lili — Mi viene da baciarti la mano.

Paolo — Se mai, sono io che te la bacio. (Le bacia la mano) Donna Giuliana!

Lili — (inchinandosi) Don Paolo. (Un tempo) Forse inchinandoti, dovresti toglierti il cappello.

Paolo — (come un allievo) Dici? (Esegue goffamente) Così?

Lili — No. Ricordi i « Tre Moschettieri »? Così.  (Mima il gesto).

Paolo — Capisco. (Esegue) Donna Giuliana.

Lili — Perfetto.

Paolo — Dici che posso uscire vestito così?

Lili — Certo.

Paolo — È la prima volta.

Lili — Prima o poi devi cominciare.

Paolo — E il portiere che dirà? Non finirà  a  sberleffi?

Lili — Vorrei vedere.

Paolo — Sai che è comunista.

Lili — Perché, loro, i russi, le divise non ce l'hanno? Solo che son brutte. No, il por­tiere correrà ad aprirti la porta dell'ascensore. Vedrai.

Paolo — Quando cammino, la spada mi sbatte contro i polpacci e ho paura di finire con il culo per terra.

Lili — Perché non tieni il polso sull'elsa. Hai visto Quirico? Devi tenerla così. (Gli guida la mano sull'elsa) Ecco. Prova adesso. Cammina.

Paolo — Effettivamente sono più sciolto.

Lili — È questione di tempo.  Imparerai.

Paolo — Non mi sento di guidare la mac­china con questo stocco fra le gambe.

Lili — Non penserai di guidare l'auto da te. Non sarebbe dignitoso. Ci vuole l'autista.

Paolo — E dove lo prendo?

Lili — L'ho preso in fitto io con una Mer­cedes. Farai un figurone.

Paolo — Era necessario?

Lili — Certo, perché tutti ti staranno a guardare come prima volta.

Paolo — Non dirmelo che divento ancora più  nervoso.

Lili — Perché? È così semplice. Non devi fare nulla tranne che seguire la sedia gestatoria.

Paolo — E se inciampo nella spada du­rante il corteo?

Lili — Non inciamperai. Basta che stai attento.

Paolo — Forse ho fatto male ad accettare.

Lili — Accettare cosa, il titolo?

Paolo — No. Di andare oggi in Vaticano.

Lili — Prima o poi avresti dovuto cominciare.

Paolo — (un tempo) E poi io sono ateo.

Lili — Nessuno ti chiede come la pensi ma solo se porti bene l'uniforme. E sembra che ci sei nato dentro. Proprio come Quirico. Anzi, sai che ti dico? Che ora ti amo di più, vestito così.

Paolo — Ma ami anche Quirico.

Lili — Sì. Amo anche lui.

Paolo — Ma, più me o lui?

Lili — Non lo so bene... Fammici pensare...

Paolo — Pensa, che intanto io mi abituo a camminare. (Passeggia per la scena) E, allora, ci hai pensato?

Lili — Sì. Forse amo un po' più lui.

Paolo — Perché è un principe?

Lili — Non credo... (Riflette) ... Forse non ci sono mai andata a letto.

Paolo — Ma lui non chiede altro.

Lili — Non   lo  voglio  io.

Paolo — Perché, non ti piace farci l'a­more?

Lili — Scherzi?... Solo a pensarci mi prende il convulso e smanio dalla voglia di andarci... la notte me lo sogno perfino...

Paolo — E allora?

Lili — Non si può. Non sono sua moglie. E una cattolica va a letto solo col marito. Perciò mi confesso del peccato di pensiero.

Paolo   —   (sbalordito)   Ti confessi? Tu!?

Lili — Sì, io.

Paolo — (c.s.) Racconti i fatti tuoi a un prete...

Lili — E a chi ci si confessa se non a un prete?

Paolo — Ma non l'hai mai fatto!

Lili        Mi sono ravveduta.

Paolo — E il prete che dice?

Lili — Che faccio bene: prima sposo Quirico e poi ci vado.

Paolo — Povero Quirico!

Lili — Perché, povero?

Paolo Dovrà aspettare un bel po', allora...

Lili — Non importa. Un giorno lo spo­serò. In chiesa. Ne sono certa.

Paolo — E intanto fai l'amore con me.

Lili — Sì mio marito. (Un tempo) Però...

Paolo — Però?!

Lili — Molte volte, quando faccio l'amore con te,  è a lui che penso.

Paolo — Buono a sapersi. Abbracci me ma vedi lui.

Lili — Sì. Ma non sempre. Certe volte, soltanto.

Paolo — Grazie della concessione.

Lili — Scusami, ma è più forte di me. Più scaccio la sua immagine e più quella ritorna. E allora gli cedo. Così tutto finisce prima...  tanto poi mi pento...

Paolo — Insomma io ho il corpo... e lui, l'anima.

Lili — Non sempre. E poi tu, all'anima non ci credi. Sei ateo.

Paolo — Ateo, ma non come l'intendi tu.

Lili — (un grido) Ci sono!

Paolo — Cos'altro c'è?

Lili — Ho trovato perché amo di più Quirico.

Paolo — Perché?

Lili — Perché è un uomo di chiesa.

Paolo — Non vedo la relazione.

Lili — Io, da piccola, ero molto prati­cante. Sono cresciuta in una famiglia religiosa e conformista. Ero « figlia di Maria »... In­somma, credevo allora... pensa che volevo farmi suora a quindici anni!

Paolo — La pubertà! Era un transfert. Sfogavi in misticismo l'impulso sessuale... Tutti i psicologi lo sanno.

Lili — Può darsi. Poi crebbi e reagii but­tandomi alle spalle l'educazione che mi aveva soffocata. Non andai più in chiesa e facevo la contestatrice... ero lo scandalo della mia famiglia  bigotta... però, dentro, dev'essermi rimasto come un senso di nostalgia... spesso, quand'ero stanca del mio lavoro di « public relations » mi accadeva di distrarmi riveden­domi in quegli anni felici... il coro della chiesetta del paese, l'odore d'incenso, la mu­sica dell'organo, le fiammelle delle candele, il suono delle campane, divenivano così strug­genti che, per liberarmene, dovevo fare su­bito l'amore con Pecora.

Paolo — Subito?! E dove?

Lili —  Nell'ufficio stesso.

Paolo — Su una scrivania?

Lili — Gianni aveva una garçonnière ma­scherata come saletta direzionale dove ci ap­partavamo... e di lì, anche nudi, potevamo seguire il lavoro degli impiegati, mediante un circuito interno di video.

Paolo — Quando si dice l'organizzazione!

Lili — Torniamo a Quirico, se non ti dispiace!

Paolo — Dispiacermi?... Ormai... Dunque in lui hai ritrovato l'odore di incenso...

Lili — Non è il caso di fare dell'ironia... Cercavo di spiegarti che per me Quirico, più che un uomo, è un simbolo e un ricordo... A parte che, accanto a lui, mi sento sicura, protetta.

Paolo — Per via dello stocco?

Lili — No. Per tutto quello che c'è dietro di lui: cioè la Chiesa come istituzione, come potenza e come forza morale... Sì, non mi sento più inquieta, insicura, perennemente alla ricerca di qualcosa che mi sostenga, mi dia fiducia... non c'è più solo il lavoro e il sesso per me.

Paolo — A proposito di sesso, ti ricordo che sono quindici giorni che non facciamo più l'amore.

Lili — Così poco?

Paolo — Così tanto, direi. Eravamo d'ac­cordo per i giorni alterni. Non per la sospen­sione totale.

Lili — Bisogna che ti ci abitui, amore mio.

Paolo — Abituarmi,  a  cosa?

Lili — A non fare più l'amore con  me.

Paolo — Che novità è questa?

Lili — È una decisione che ho ponderato a lungo. E dunque irrevocabile.

Paolo — E  il  « debito coniugale »?

Lili — Cessa quando c'è un debito tra­scendente. Informati.

Paolo — Vuoi spiegarti?

Lili — (un tempo) Ho fatto un voto.

Paolo — Voto elettorale?

Lili — Non si scherza su queste cose. Voto  religioso. A Sant'Emerenziana.

Paolo — Rieccoci  con  la paraninfa.

Lili — Non bestemmiare. Non è da gentil­uomo,  anche  se  non  credi.  Ho  promesso  a Sant'Emerenziana   di   non  fare  più  l'amore con te se mi fa sposare Quirico.

Paolo — Con me... E con gli altri?

Lili — Né con te. Né con gli altri.  Sarò casta fino alle nuove nozze.

Paolo — E tu fai « voti » senza interpellarmi?

Lili — I voti sono segreti.

Paolo — E io come faccio?

Lili — Ti lascio libero. Puoi farti una amante se proprio non puoi rinunciarvi. An­che se mi dispiace, perché sono sempre gelosa. Io però ti consiglierei l'astinenza. Vedrai come diventerà più limpida la tua mente. Prova.

Paolo — Devi essere completamente impazzita.

Lili — Non  sono  mai  stata  così  lucida!

Paolo — L'astinenza! Questa deve essere un'idea  di  Quirico.

Lili — Assolutamente. Lui ignora il mio « voto » e sono certa che lo disapproverebbe perché ti vuole bene. Molto bene.

Paolo — Me ne frego del suo bene. È te che voglio.               

Lili — (dolce) Non puoi avermi più, amore mio. Del resto, non ne avevi abbastanza del mio corpo? Comunque, cerca altrove... Non c'era quella biondina del tuo ufficio che si sdilinquiva per te?...  Questo è il momento di darti da fare. Tanto lei ci sta.

Paolo — E tu come lo sai?

Lili — Si vede che è una puttanella. Spe­riamo solo che non ti mangi molti soldi.

Paolo — Marisa non è avida.

Lili — Se la difendi, è segno che forse ci sei già andato.

Paolo — Mai.

Lili — E allora questa è la volta buona. Lei abbocca subito, vedrai...  E poi ti sarà comodo perché ce l'hai sottomano, in ufficio.

Paolo — Io  non  ho  la  garçonnière  direzionale.

Lili — Non importa. Quella si fa sbattere anche sul cestino della carta straccia.

Paolo — Vuoi litigare?

Lili — Non ci penso nemmeno. Tentavo di spiegarti la nostra situazione.

Paolo — Insomma, Quirico è riuscito a inibirti.

Lili — Diciamo piuttosto che mi ha libe­rata dalla schiavitù del sesso.  (Tono ispirato) « La purezza dell'anima è il suo distacco dall'inquinamento del corpo, la purificazione della mente dalla putredine dei pensieri sor­didi, la nettezza delle intenzioni, la lumino­sità dei sogni, la sanità degli istinti ».

Paolo — Sono parole di Quirico?

Lili — No. Di Simeone. 482-565.

Paolo   —   482-565.   Cos'è, il telefono di questo Simeone?

Lili — (paziente) Nato il 482. Morto il 565, sotto l'imperatore Giustiniano. Simeone, santo, vescovo di Edessa. Un grande mistico.

Paolo — (perplesso)  Capisco.

Lili — (c.s.) « La voluttà e il piacere sono zolfo perché portano con sé il tumore del­l'anima e il fetore della concupiscenza e l'ar­dore della pena ».

Paolo — Sempre Simeone?

Lili — No. Brigitte.

Paolo — Brigitte Bardot?

Lili — (dolce)   Brigitte di  Svezia. Regina e Santa. 1303-1344.

Paolo — (ironico) Li conosci tutti?

Lili — Per conoscere tutti i mistici, non basterebbe una vita. Solo da qualche giorno ho cominciato.

Paolo — Insomma prima propagandavi auto, adesso santi.

Lili — Non reagisco ai tuoi insulti perché come  dice Jacopone  da  Todi:  « La prima virtù è sopportare le offese degli altri ».

Paolo — Ti ha dato di volta il cervello.

Lili — No. Ho conquistato la pace. La pace di Cristo. Prego anche per te, sai?

Paolo — Per me?! E chi ti ha pregato?

Lili — Prego perché tu sia in pace con te stesso.

Paolo — Per essere in pace io devo venire a letto con te.

Lili — Impossibile.  Credi che io non ne abbia voglia, a volte?

Paolo — E come fai?

Lili — Devo essere forte e « far oblazione del mio corpo a Dio per possedere la mia anima ». Giovanni  da  Licopoli.

Paolo — Se non la pianti, faccio una fes­seria. Paolo da Roma. Cioè, io.

(Si sente suonare).

Lili — Hanno suonato. Dev'essere l'autista.

Paolo — E  se fosse  Quirico?

Lili  —  Non  si  permetterebbe mai. Apri pure.

Paolo — No. È meglio che apri tu. Se è Quirico,  lo scaravento giù dalle scale.

Lili — Allora vado io.  (Esce).

Paolo  —   (torna  a guardarsi nello  specchio) « La voluttà e il piacere sono zolfo! »... e lo dice proprio lei!

Lili — (torna con due pacchi) Non era Quirico. E nemmeno l'autista. Ma un fattorino. Hanno portato due pacchi? Uno per me. L'altro per te. (Li mostra).

Paolo  —  Doni  del  principe,  immagino.

Lili — (allegra) Penso proprio di sì. Apro prima il mio o il tuo?

Paolo — Ognuno apre il suo.

Lili — Comincio io. (Apre il pacco e ne trae una camicia da notte in trine e merletti, lunga fino alle caviglie)  Stupenda.

(Va a provarsela dinanzi allo specchio).

Paolo  —   (un grido) Ma c'è un buco.

Lili — (si rigira e scopriamo che proprio all'al­tezza  del  sesso  della  camicia   tutta  allacciala   al collo e ai polsi, c'è un buchetta ricamalo tutt'intorno).

Paolo  —  C'è  scritto  qualcosa. Forse le tue iniziali. No. Dice: (Legge)  «Dio vuole qui ».  C'è anche un biglietto  del principe. (Legge il biglietto) « Questa camicia ha cento anni, è appartenuta a una mia trisavola.  È per la prima notte di una sposa cattolica ». (Ride)  Il principe proprio non ti conosce. E tu dovresti fare l'amore con quello scafandro?

Lili — Come cattolica concordo con lui.

Paolo   —  Veramente, il tuo pigiama è sempre stato quello di Marilyn Monroe: Chanel n. 5.

Lili — Prego: Prestige di Atkinson.

Paolo  —  Insomma, dormi  nuda. O, al massimo, in baby-doll. Mi pare che il salto sia piuttosto forte.

Lili — Comunque è un salto di qualità.

Paolo  —  È  tutta  una  finta.   Quirico  ci tiene a vedere il tuo corpo. E come! Non ha fatto che dirmelo.

Lili — Lo so. E glielo mostrerò, povero caro. Ma, a suo tempo.

Paolo — E la camicia,  allora?

lili — È  un dono simbolico.

Paolo  —  Insomma,  una ipocrisia  dietro l'altra.

Lili — È inutile ingolfarsi in una discus­sione teologica. Temo che apparteniamo ormai a  due pianeti  diversi.

Paolo — Comincio a temerlo anch'io.

Lili — Non apri il tuo pacco?

Paolo —  (l'apre)  È una tabacchiera del settecento. Molto bella; devo ammetterlo. Speriamo che non contenga hascich... Dal tuo principe c'è da aspettarsi di tutto.

Lili — C'è anche un suo biglietto. Leggilo.

Paolo —  (legge)   « Mio caro Paoletto, ti invio delle pilloline appena sperimentate dai biologi dell'Accademia delle Scienze di Mo­sca. Sono portentose. Le ho provate anch'io. Puoi fidarti ».

Lili — Gentile.

Paolo — Mi sfotte. Sono certo delle pillole eccitanti, erotiche...

Lili — Vediamo il depliant delle pillole. (Prende un foglietto e legge): « Pillole deprimenti la virilità, molto indicate per erotomani, ma­niaci sessuali, sadici, affetti da turbe da or­gasmo incontenibile; deprimono la sfera ses­suale senza annullarla. Una compressa prima del sonno notturno. Due, se l'eccitazione per­siste ». I russi, che scienziati! Sono proprio adatte a te. Prendine subito una, così dimen­tichi Marisa!

Paolo — Davvero? E allora guarda cosa ne faccio! (Butta via le pillole) E, in quanto a Marisa, le telefono subito. (Forma un numero al telefono) ...Pronto?... Signorina Marisa?... Sì, sono io, il suo capoufficio... Sorpresa?... Come mai le telefono di domenica?... Perché deve farmi un lavoro straordinario... sì, è urgente... E disposta anche subito?

Lili — (sottovoce) Che ti avevo detto?

Paolo — (al telefono) No, subito non posso, sono impegnato... Facciamo per il pome­riggio... No, non fuori... Vengo a lavorare di­rettamente a casa sua... Non mi ha detto che vive sola?... Bene... No, non serve la carta carbone... non si preoccupi, porto tutto io l'occorrente... lei prepari solo lo stretto ne­cessario... O.K.

Lili — (maligna) Lo stretto necessario. La puttanella.  Te ne accorgerai!

Paolo — Cosa vorrebbe essere? Un'insinuazione?

Lili — Figurati! Contento tu...

Paolo — Mi hai dato un buon suggeri­mento. Mi sento tutto disteso e calmo. Vedrai come mi comporterò bene alla cerimonia adesso... l'idea del pomeriggio con Marisa mi ha già rilassato...  Ehi,  cosa cerchi?

Lili — (è curva a terra frugando qua e là) Sto raccogliendo le pillole russe che hai buttato via.

Paolo — Ti ho già detto che non le prendo. Adesso il mio tranquillante si chiama Marisa.

Lili — Ma le pillole le sto raccogliendo per me. (Ha finito di raccoglierle) Anzi ne prendo subito  una.   (inghiotte  la pillola).

Paolo — Scusa, ma come tranquillanti non hai già Simeone e Brigitte?

Lili — Le precauzioni non sono mai troppe.

(Suono alla porta di ingresso).

Lili — Ecco. Hanno suonato. È l'autista che viene a prenderti.

Paolo — Oh, Dio, mi ricomincia il parletico...   (Riprende a  tremare).

Lili — Coraggio. Andrà tutto bene.

Paolo — Scusa, apri tu. (Siede).

Lili — Come vuoi.  (Si avvia).

Paolo — E digli di abbassare le tendine dell'auto. Ho paura dei ragazzini.

Lili — Glielo dirò.  (Esce).

Paolo — Guarda cosa mi doveva capitare.

Lili — (rientra accompagnata da Quirico che è in borghese con un vestito sportivo da cavallo).

Paolo — Oh, sei tu. La cerimonia è rinviata, vero?

Cavaliere — E quando mai?... Noi quan­do programmiamo qualcosa, non c'è forza al mondo che possa disdirla. No, sono qui, per tutt'altro motivo. E ti chiedo scusa d'essere venuto senza farmi precedere da una telefo­nata. Ma non posseggo telefono.

Paolo — Ti hanno tagliata la linea per morosità?

Cavaliere — La prendo come battuta di spirito. No, il telefono non ce l'ho sul serio. Mai messo. Anche la luce elettrica non c'è a casa mia.

Paolo — T'hanno tolta anche la luce... scusa, volevo dire... non capisco... Ma come fate?

Cavaliere — Come nel cinquecento. Siamo fermi a quel secolo. Per la luce abbiamo i doppieri con i servi che accompagnano gli ospiti, reggendoli.

Paolo — E per il telefono?

Cavaliere   —   Mandiamo messaggi per corrieri. Non posso inviarli a cavallo come facevano i miei antenati per il traffico di Roma. E l'autista li recapita a mano.

Paolo — Ma perché?

Cavaliere — Perché la principessa ed io rifiutiamo tutto ciò che è prodotto della tecnica

moderna. Noi viviamo come quattro secoli fa. Nulla è cambiato nella nostra casa. (A Lili) Mi dispiace, cara, ma dovrai adattarti...

Lili — Sarò ben felice. Il telefono è una tale noia. E poi a me piace mangiare a lume di candela.... Vado apposta in quei ristoranti di  Roma dove  usa...  Vero,  Paolo?

Cavaliere — Non mangerai a lume di candele ma lume di torce... delle quali, tutte in argento cesellato da grandi orafi, ce n'è due anche del Bernini...

Lili — (batte le mani dalla gioia) Bellissimo... come un film... Mi par già di esserci...

Paolo — Ci vuole un bel po' di servitù per  tutto  questo.

Cavaliere — Purtroppo l'abbiamo ridotta perché non si trova più personale adatto. Abbiamo soltanto dodici fra camerieri e val­letti, ora, più, naturalmente il maggiordomo, la cuoca, le cameriere e i giardinieri...

Lili — Dodici? Ma tua moglie impazzisce!

Cavaliere — No. Gli ordini lei li dà al maggiordomo che poi provvede a farli eseguire. Purtroppo il personale oggi è quello che è: figurati che a volte fanno storie per le divise, dato che ne hanno tre: quella da fatica, quella per il servizio a tavola, e l'altra di gran gala per gli ospiti illustri. Io, i servi li farei frustare, come facevano i miei antenati. Ma oggi non si può più per via dei sindacati. Ma non perdiamoci in quisquilie. Sono qui per una brutta notizia. La principessa...

Paolo — È morta.

Cavaliere — Magari. No. Le radiografie sono negative, purtroppo. Si tratta non di un tumore ma di un semplice polipo all'utero, asportabilissimo con venti minuti d'intervento. È già ricoverata in clinica. E ne esce domani, più vogliosa che mai, perché, come dice il ginecologo, queste asportazioni, liberando la vagina, rendono più agevole l'amplesso. Sono rovinato. (A Lili) E anche lei, donna Giuliana.

Lili — Coraggio.

Paolo — Sì. I medici, a volte, sbagliano.

Cavaliere — No. Sono due arche di scienza. Non c'è speranza. Ma questo, santa Emerenziana, a me non lo doveva fare. Adesso mi vendico.

Lili — Ti vendichi? E come? Lei è in cielo e tu stai in terra.

Cavaliere — La faccio degradare da Santa. L'abbiamo già fatto con San Nicola, San Gennaro, Santa Genoveffa che erano molto più importanti di lei. Ma chi si crede di essere questa verginella? San Nicola è co­nosciuto in tutto il mondo; in Russia era addirittura il santo numero uno e si chiama­vano gli zar... e San Gennaro, poi... Bene, non sono più santi. Vedrai come sistemo questa « santarella degli impossibili ».

Paolo — E  come fai, scusa?

Cavaliere — La Congregazione dei Riti. Zio ne fa parte e il Prefetto è un suo caro amico. Si fa presto... (Tecnico) Per fare un santo ci vogliono le prove di almeno due mi­racoli. Bene, per far licenziare un santo, a togliergli l'aureola insomma, si fa il procedi­mento inverso: io presento una denuncia alla Sacra Congregazione dei Riti in cui di­mostro come avendo riposta tutta la mia fiducia nelle virtù taumaturgiche di codesta verginella, lei non solo ha tradito la mia attesa, ma mi ha fatto conseguire l'effetto opposto.

Paolo — Dirai che volevi la morte di tua moglie?

Cavaliere — Fossi scemo! Dirò che mia moglie aveva un semplice polipo; e dopo le mie preghiere a Emerenziana... come vedi, comincio io a non chiamarla più santa... dopo le mie preghiere, le lastre invece hanno rivelato un tumore. Insomma, uno scherzo da prete!

Paolo — Ma le lastre dicono il contrario.

Cavaliere — E io mica porto le lastre sue. Ma quelle di sua nonna. Poi mi faccio rilasciare, ad abundantiam, due dichiarazioni da due miei servi dove dicono come egual­mente anch'essi, devoti di Emerenziana, non sono stati esauditi ma traditi da lei.

Paolo — E sei sicuro che ti faranno la dichiarazione?

Cavaliere — Non gli parrà vero. Sono comunisti.

Lili — Ma ci vorrà un processo. La fac­cenda andrà per le lunghe...

Cavaliere — Cerco, andrà per le lunghe... ma a me basta iniziarla, poi andrà avanti per conto suo, perché le cose, da noi, una volta avviate, poi camminano per forza d'inerzia. ..

Lili — E io intanto cosa faccio?

Cavaliere — Ma quella, contro Emerenziana, è una mia vendetta personale. Per te escogiterò qualche altra cosa; magari d'ac­cordo  con zietto.  A proposito,  gli hai fatto una gran bella impressione all'udienza pontificia.

Lili — Davvero? Non m'illudere.

Cavaliere   —   È la verità.   (Col  vocione) « Nepotaccio mio, te devo da dì che la bu­rina tua,   nun è burina manco pe niente. Hai proprio ragione tu.   Ce dovrebbe esse lei ar posto di quella pignatta vota de tu moje...  ma come se fa?  Si fossi Papa... Ma qui ancora de Conclave manco se ne parla... certo che se fussimo a li tempi de Papa Borgia »... e non ha continuato.

Lili  —   (un grido)   Il veleno?!

Cavaliere  — Zio non  l'ha  detto.

Paolo —  (sarcastico)  Ma l'ha pensato.

Cavaliere  —  (a Paolo)  Hai  mai sentito questo termine: la ragion di Stato?

Paolo — Sì, per giustificare i peggiori delitti.

Cavaliere — Dipende dall'angolo visuale. Se vedi le cose « sub specie historiae », t'ac­corgi che anche il duca Valentino che. invita a un pranzo di riconciliazione i suoi ex ne­mici e poi li fa fuori tutti, non commette un crimine perché riesce a riportare il ducato di Urbino sotto il potere del Papato. Ed ora, considerata la « ragione di Stato », devo spiegarti ancora che, se io muoio senza eredi, il titolo di assistente al soglio passa al ramo dei Capitelli. E costoro non si sono sempre comportati bene nei riguardi della Chiesa. Ecco perché mio zio non si fida troppo di loro e vorrebbe che io avessi un erede, così il titolo, con annessi e connessi, non passa ai Capitelli e questi (Vocione) « .... nun ponno fa tiri mancini a Santa madre Chiesa ».

Lili — Non sperare che io ti dia un figlio senza nozze in Chiesa!

Cavaliere — Non lo voglio io! E se anche lo volessimo, se non nasce legittimo, cioè da giuste nozze, è come se non esistesse per la Chiesa. È per questo che, disperato, stamani ho fatto un tentativo presso mia moglie, in­vitandola ad aderire spontaneamente all'an­nullamento, stando la sua incapacità a proli­ferare...

(Trae di tasca un diadema di brillanti e lo appende a uno dei bracci del portamantelli)

 

« Excuse-moi, Jacqueline, si ca derange toi… mais moi je te dois parler d'un question qui me presse... »..

Lili   —   Perché, in francese?

Cavaliere  —  Parliamo  solo  in  francese con mia moglie. Prima, perché è la sua lingua materna. Secondo, perché lei ha un profondo disprezzo per l'eloquio italiano. Lo trova volgare, pedissequo e molle. Ma la princi­pessa non mi ha lasciato proseguire... (Con voce femminile): « Tu te tais, mon ami. J'en ai assez de cette histoire de ta  petite putaine... ».

Lili — La « petite putaine » sarei io.

Cavaliere   —   Sì.   (In fretta)   Cioè,   no... Questo è un suo modo drastico di considerare la questione.

Lili — Può darsi. Ma la « putaine » resta e... « pas respectueuse »... E tu non mi hai difeso?

Cavaliere — Naturalmente. (Al portamantelli) « Madame la Princesse, ca vaux mieux une putaine que un ventre vide comme toi! »

Paolo — La pignatta vuota. Vide. (Ride).

Lili — E  lei?

Cavaliere — È diventata una belva. (Voce femminile) « Peut-être, que ce n'est pas moi que je suis sterile mais tu que es impuissant! »

Lili — (preoccupata) È vero che sei impotente?

Cavaliere — Io?! Scherzi? È una vile calunnia della « singe ». La scimmia. Quando m'arrabbio, la chiamo così. Senza offesa per le  vere scimmie!

Lili — Insomma è finita male.

Cavaliere — Malissimo. Rottura completa. E adesso non so proprio dove dar di capo! Fra l'altro sono due notti che ti sogno... Scu­sami, Paolo.

Paolo — (ironico) Il n'a pas de quoi.

Lili — (lusingata) Sogni me? E come? Col diadema di brillanti?

Cavaliere — Nuda. Tutta. Anche lì. Riscusami,   Paolo.

Paolo — (c.s.) Je vous en prie, Monsieur le Prince.

Cavaliere  —   Sogno  anche  te,  Paolo.

Paolo — Nudo?

Cavaliere — No. Così, in uniforme.

Paolo — Meno male.

Cavaliere — Per tua moglie, io sono re­sponsabile dei miei atti, non dei miei sogni. Comunque, la colpa è della pillola.

Lili — Quale pillola? La cinese?

Cavaliere — Quella è erotica. No, la russa. La deprimente. Le ho mandate tutte a te; mentre ero io che ne avevo più bisogno.

Lili — (al Cavaliere) Povero caro! Ma te ne dò subito una. Ecco. (Gliela dà).

Cavaliere — Grazie. (La inghiotte subito) Ma come mai, Paolo non le prende?

Lili — Non ne ha bisogno. Si è fatto l'a­michetta. Le prendo io, invece. Ti dispiace?

Cavaliere — Fai pure. Se mi sogni anche tu.

Lili — Sì. Ma in uniforme. Non come sei vestito oggi.

Cavaliere — Vengo dalla mia tenuta agri­cola. Ho cavalcato tutto il mattino. Per di­stendere i nervi. (Un tempo) Permettete che mi segga?

Paolo — Fa come fossi in casa tua. Anzi, se vuoi appartati in camera da letto con Lili.

Lili —  Non  essere volgare.

Paolo — Non c'è doppio senso. Trovo che, distesi, forse vi mettete d'accordo prima.

Cavaliere — Paolo, io sono un gentiluomo. E ti prego di non infierire. Sono già abbastanza giù.

Lili — Paolo, smettila. Non vedi com'è sconvolto Quirico?

Paolo — Non parlo più.

Cavaliere — Sono in un « impasse » e vorrei studiare con voi due che mi siete amici, il modo migliore per venirne fuori.

Lili — Siamo pronti a collaborare.

Paolo — Su me non contare.

Lili — Parla, Quirico, ti ascolto. (Siede a sua volta) Paolo e tu non siedi?

Paolo — Non posso per via dello stocco.

Cavaliere — Come ti capisco! Resta pure in piedi. Ma partecipa al dibattito, ti prego.

Paolo — È faccenda che riguarda voi due.

Cavaliere — No, di riflesso interessa anche   te.

Paolo — Solo di riflesso. Comunque, vi ascolto.    (Prende a passeggiare).

Cavaliere — Per riassumere, il problema, a mio avviso, è tricornuto.

Paolo — (sempre passeggiando) Continua pure,   non mi offendo.

Cavaliere — Tricornuto, intendevo, per­ché occorre scegliere fra separazione, annulla­mento e divorzio. Questo, per la parte giuri­dica, ma c'è una quarta soluzione per elimi­nare la principessa. Ed è una soluzione fisica.

Lili — Fisica?! Non capisco.

Cavaliere — Ucciderla.

Lili — (un grido) Ripeti. Temo di non aver udito bene.

Cavaliere — Sì. Ucciderla. Pensaci bene e vedrai che è l'unica soluzione logica, rapida ed efficace.

Lili — Povero amore, vaneggi.

Cavaliere — Quattro secoli fa l'avrei uc­cisa personalmente, addebitando il crimine a un servo e costui sarebbe finito sotto la man­naia del boia. E mia moglie spariva defini­tivamente   dalla   scena.

Paolo — (malgrado tutto, interessato) E se ti avessero   scoperto   e   processato?

Cavaliere — Eravamo nel cinquecento, mio caro. E allora i morti ammazzati si spre­cavano. E poi, processare il nipote del Camer­lengo di Santa Romana Chiesa? Chi avrebbe osato? Comunque, anche fossi finito in un tribunale ecclesiastico, avrebbe prevalso per i giudici, appunto, la « ragion di Stato » o un qualche altro inghippo... Ma oggi in que­sta repubblica cosiddetta democratica, potrei finire in Corte d'Assise e ne andrebbe di mezzo la mia dignità.

Paolo — Dignità? Libertà, vuoi dire!... Ti darebbe l'ergastolo. Uxoricidio premedi­tato, con l'aggravante dei motivi abietti.

Cavaliere — Ti prego: l'amore non è mai abietto.

Paolo — Comunque; l'ergastolo te lo becchi. E forse anche Lili per istigazione al­l'uxoricidio. Ipotesi che non mi ripugna del tutto perché così io sarei libero con Marisa.

Lili — Paolo, hai finito di lare lo spiri­toso? La situazione è tragica.

Cavaliere — Tragica. Esatto. (Un tempo) Ho considerato tutte le possibili forme del crimine perfetto. Mi sono documentato. Ma le ho dovute scartare tutte perché non sono perfette manco per niente... Me ne sono ri­maste solo due: una spinta dalla finestra del nostro castello o l'incidente di macchina. Io propendo per quest'ultimo. Ma vorrei il tuo parere,  Giuliana.

Lili — Pazzo! Sei completamente pazzo!

Cavaliere — No. Un incidente di mac­china si fa presto a montarlo. Il fatto è che mia moglie, per malintesa dignità, non guida mai personalmente l'auto; quindi dovrei ammazzare anche l'autista. Non che mi di­spiaccia... ma gli è che è un ciociaro con una mandria di parenti e costoro potrebbero mangiare la foglia. Hai qualcosa da suggerirmi?

Lili — Sì. Lo psichiatra.

Cavaliere — Meraviglioso. Non ci avevo pensato. Farla dichiarare pazza e internarla in manicomio. Le donne, che fantasia! Sem­plice, sbrigativo e incruento. Mi hai dato un'idea  stupenda!

Lili — Ma io parlavo dello psichiatra per te.

Cavaliere — (non l'ascolta più, illuminato dal progetto) Giusto, ho uno psichiatra amico che viene sempre a chiedere favori. L'abbiamo fatto consulente di non so quanti ospedali... Non potrà negarmi questo piccolo piacere. E poi chi non è un po' pazzo oggi? Una zia di mia moglie aveva una nevrosi a sfondo paranoico. Mia moglie stessa è una mito-mane affetta da delirio di grandezza, prova ne sia che vuol far tornare i re in Francia... e poi è piena di tic di origine chiaramente isterica che mutano con i suoi cicli mestruali... l'ultimo della serie è questo... (Agita la mano).

Paolo — Il saluto fascista?

Cavaliere — No. Si allena a salutare con la manina la folla che accoglie il suo ritorno sul trono di Francia!

Lili — Ma è pazza!

Cavaliere — Infatti cosa sto dicendo? Io, con l'aiuto dello psichiatra amico, la mando fra tante che si credono Cleopatra, Messalina, Lucrezia Borgia, Santa Teresa d'Avila... il medico mi ha spiegato che il misticismo confina spesso con la follia... Ve­drai che in manicomio sarà fra le sue pari. Troverà finalmente pace. Sì. Ho deciso. Grazie,   Giuliana.

Lili — Quirico, se ancora una volta insisti su codesto tuo progetto, mi perdi. Per sempre.

Cavaliere — Ma io lo faccio per te. Al­lora non è vero che mi ami.

Lili — Ti amo ma voglio togliere di mezzo tua moglie con mezzi legali.

Cavaliere — Legali, appunto. Una volta accertato che è pazza,automaticamente viene interdetta e tutto lo scioglimento del vincolo sarà facilitato. Ma se tu ti opponi...

Lili — Sì. Mi oppongo. Con tua moglie in manicomio come potrei stare, sia pure da sposa, nel tuo letto?

Cavaliere — La domenica andremo a tro­varla e diremo che siamo emissari clandestini dei realisti francesi. E lei lo crederà; perché rinchiusa fra le pazze, non passerà molto che  impazzirà  sul  serio.   Vedrai.

Lili — Io non vedrò un bel nulla perché se continui così, distruggerai la bella opinione che io ho di te.

Cavaliere — E allora non restano che i Gesuiti.

Lili — I gesuiti? Non capisco.

Cavaliere — È un'idea di zio. (Vocione) « Va a parlà co' le vipere... e se nun so boni loro a datte na mano, è segno che te devi tené la pignatta fin quanno campa... ».

Lili — Traduci.

Cavaliere — « Vipere » sta per gesuiti. Perché riescono sempre a sostenere, testi sacri alla mano, una tesi e, contemporanea­mente, la tesi opposta... per questo hanno sempre ragione loro e sono diventati la quinta colonna della Chiesa. Sì, oggi stesso andrò a consultare il papa nero.

Lili — Il nero?

Cavaliere — Sì. Quello bianco sta in Vaticano ma, a due passi, in Borgo Santo Spirito, c'è l'altro, il nero... e non si sa chi conta di più... È amico di zio, per quanto può essere amico un gesuita, beninteso. E sono certo che mi darà il consiglio giusto. Oh, come mi sento rilassato ora che so da chi andare... Mi verrebbe quasi di distendermi.

Paolo — T'ho detto già di andare in camera da letto.

Cavaliere — Dev'essere anche la pillola che comincia a farmi effetto. E tu, Giuliana, senti niente?

Lili — Sì. Anch'io mi sento rilassata e ho voglia di distendermi. Forse è la pillola che ho presa.

Paolo — Distendetevi insieme, di là. Senza complimenti.

Lili — Paolo, smettila.

Cavaliere — Oh, per questo, sta certa Giuliana che potrei starti sdraiato vicino tutto nudo, senza che accadesse nulla. Ho una volontà di ferro. E so dominare gli istinti.

Paolo — Hai sentito? Perché non lo metti alla prova?

Lili — Non sono Marisa, io. Ricordalo, Paolo. E tu, Quirico, mi meraviglia!

Cavaliere — Scherzavo. Nessuna forza al mondo potrebbe costringermi a varcare la tua camera da letto prima delle giuste nozze.

(Si ode il citofono).

Lili — Il citofono.

Paolo — (va a rispondere) Sì. Va bene. Scendo subito.   (A Lili)  È arrivato l'autista.

Lili — Bene. Il gran momento è giunto. Auguri, mio caro.   (Lo bacia).

Paolo — (avviandosi)   Speriamo   bene.

Lili — E ricorda il pugno sull'elsa.

Paolo — Così?   (Esegue).

Cavaliere — No. Sennò lo stocco si alza troppo e finisci col darlo nei testicoli di chi ti viene dietro nel corteo. È già successo. La posizione giusta è questa. (Corregge la posizione guidando il pugno di Paolo) Ecco.

Paolo — Capito.  Arrivederci.   (Si avvia).

Cavaliere — Un momento. Vengo con te.

Paolo  —  Mi   accompagni  in  Vaticano?

Cavaliere — Figurati! Ne ho fin qui del Vaticano... No, esco, perché non intendo restare sotto lo stesso tetto della mia fidanzata.

Paolo — Ma se avete preso la pillola tutti e due...

Cavaliere — Non è questione di pillola. Ma di stile.

Lili — Giusto.

Cavaliere — Andiamo.

(Muove qualche passo   ma   d'improvviso   vacilla).

Paolo — (corre a reggerlo) Ehi, caschi!

Cavaliere — Strano. Le gambe non mi reggono. Mai successo.

Paolo — (un grido) Lili. (Corre appena in tempo per sorreggere Lili che stava cadendo) Che hai?

Lili — Non so... anche a me le gambe tremano... la pillola o l'emozione...

(Siede a fatica,  aiutata da Paolo).

Paolo — (un grido) Quirico. (Corre a reggere Quirico che ha ripreso a oscillare paurosamente) Siedi, prima che sbatti per terra. La pillola! Ho fatto bene a non prenderla, almeno io!

(Il citofono torna a squillare).

Lili — Dio mio, l'autista!

Cavaliere — Certo che se il primo giorno fai tardi, sei finito. « La noblesse c'est la ponctualité ».

Paolo — Sì. Corro.

Cavaliere — Vengo con te.

(Fa per alzarsi ma non vi riesce).

Lili — Mancano dodici minuti alla ceri­monia. Che disastro!

Cavaliere — Vengo con te.

(Nuovo tenta­tivo inutile di alzarsi).

Lili — Muoviti, Quirico.

Cavaliere — Sto tentando.

Lili — Ti dò una mano. (Fa per alzarsi ma ricade sulla sedia).

Cavaliere — (ricade a sedere a sua volta) Niente da fare.

Lili — (grida) Meno undici!

Paolo — Beh, io scappo. Arrangiatevi da soli.

(Corre ma rischia di inciampare nello stocco).

Cavaliere — (grida) Attento ai testicoli!

Paolo — Sì.

(Corregge la posizione dello stocco e scompare).

(Una lunga pausa. 1 due, sem­pre seduti; si guardano a lungo, poi distolgono lo sguardo:  sembrano due collegiali).

Cavaliere — Chiedo scusa. Ma appena riprendo un po'  di forze,  vado.

Lili — Fa con comodo. Tanto, ormai...

Cavaliere — Tra l'altro, sono supersti­zioso... E restare sotto il tetto della fidanzata, da soli, porta male.

Lili — Sciocchezze.

Cavaliere — Non sarà vero, ma ci credo.

Lili — Perché sei un uomo del cinquecento, maghe, streghe, e così via... (Riflette) Certo che a una mia amica, in paese, per aver ricevuto sotto il tetto il fidanzato, da sola, è andata male...

Cavaliere   —  Lo   vedi?

Lili —  (pensosa)   S'è ritrovata incinta.

Cavaliere — E lui ha dovuto sposarla con  la pancia.  Che vergogna!

Lili — No. Lui è scappato. E lei s'è tenuta la pancia e il ragazzino.

Cavaliere — Scappo anch'io. (Tenta violentemente di alzarsi ma non ce la fa).

Lili — Non fare sforzi. Stamattina hai anche cavalcato.

Cavaliere — Ho montato Satanasso. Tre ore. E tu, come va?

Lili — Sto riprendendomi. Sì. Credo che ora posso anche provare ad alzarmi. (Esegue) E camminare.   (Esegue)  Vedi?

Cavaliere — Le donne hanno più facoltà di recupero.

Lili — È da dimostrare: infatti mi sento molto languida. Forse perché da quindici giorni sono casta.

Cavaliere   —   Quindici   giorni?   Scappo.

Lili — No. resta. Mi fai compagnia. A proposito, grazie della camicia.

Cavaliere — L'hai provata?

Lili — Non ancora. L'ho appena ricevuta. Vuoi che la indossi?

Cavaliere — (spaventato) No, no, per carità.

Lili — Ma se è una tuta da palombaro. Non lascia vedere nulla.

Cavaliere — Lascia vedere quanto basta.

Lili — Ah, capisco... Le trou... Ma l'in­dosso sul vestito. Ti va?

Cavaliere — Come vuoi. Giusto per ve­dere se hai la taglia della trisavola.

Lili — Subito. (Indossa la camicia sul vestito) Perfetto. Abbiamo la stessa taglia. Di', non sono ridicola?

Cavaliere — Ridicola,  tu?

Lili — Voglio vedermi.   (Va allo specchio) Certo   che,   senza   l'abito   sotto,   mi   andrà meglio.

Cavaliere  —  Penso  anch'io.   (Un  tempo) Porti molta roba?

Lili — Dove?

Cavaliere — Sotto.

Lili — Collant e slip.

Cavaliere — Null'altro?

Lili — Cosa dovrei portare?

Cavaliere   —   Già...   (Si   terge  il  sudore).

Lili — Sudi?

Cavaliere — Dev'essere la pillola. Strano: non sudo mai.

Lili — Dovrò abituarmici.

Cavaliere — A cosa?

Lili — Al camicione. Di solito dormo col lenzuolo.

Cavaliere — Vuoi dire: nuda?

Lili — Sì. E tu? Camicione, come nel cin­quecento?

Cavaliere — No. Pigiama.

Lili — Meno male. Perché due camicioni, sai...

Cavaliere — Ma tu non devi dormire con quello scafandro. Mai!

Lili — No?... E allora perché me l'hai mandata?

Cavaliere — Non potendo darti l'anello...

Lili — Capisco.

Cavaliere — Ci sono anche i mutandoni della trisavola...

Lili — Per carità! Già soffoco con questa. Anzi me la tolgo. Mi aiuti a sfilarla?

Cavaliere — Non posso.

Lili — Non importa.  Faccio da me.  

(Si sfila a fatica la camicia e solleva inavvertitamente la gonna dell'abito).

Cavaliere — (un grido) Attenta!

Lili — (con la testa infilata nella camicia) Attenta a che?

Cavaliere — La gonna!

Lili — (c.s.) Cosa?

Cavaliere — Le gambe.

Lili — (c.s.) Quali gambe?

Cavaliere — Le tue. Si vedono.

Lili — Davvero? Oh, mio Dio! 

(Si toglie di scatto la camicia e così solleva completamente la gonna, senza accorgersene).

Cavaliere — (grida) Gli slip!

Lili — Non capisco. (Si è tolta la camicia e la gonna dell'abito è ritornata al suo posto) Cosa hai farfugliato?  Balbetti ora?

Cavaliere — Ho visto gli slip! (Balbetta come folgorato)  Gli slip. I tuoi.

Lili — Impossibile. Ha le traveggole. La pillola.

Cavaliere — (sempre più agitato) Sono rossi.

Lili — È vero. Rossi. Allora li hai visti davvero... Scusami. Sono una svergognata.

Cavaliere — (non l'ascolta più e grida sem­pre più forte) Rossi. Rossi. E io che me li so­gnavo neri o bianchi. No. Rossi. Un rosso cardinalizio.

Lili — Calmati.

Cavaliere — (si alza di colpo) Mi sono tor­nate le forze. Rossi! E le calze nere. Solo al « Lido » di Parigi, ho visto un'acconciatura simile. E al cabaret « Eva » di Vienna col principe Alberto di Belgio mentre di giorno partecipammo al congresso eucaristico. Rosso e nero. Meraviglioso. Rouge et noir. « Allons enfants de la Patrie...   (Canta la Marsigliese).

Lili — (costernata) Canti adesso? Ma ti senti proprio male, allora!

Cavaliere — Sto benissimo. Mai stato così bene. (Canta ancora) Uccido la principessa-scimmia. A me, una spada. (Corre per la scena) Le trou et l'épée.

Lili — Mio Dio! Il principe è uscito di senno. Sant'Emerenziana, aiutalo.  

Cavaliere — Non nominarla o faccio una strage. Dov'è la spada? Perché sono uscito senza stocco?

Lili — (tono come con i pazzi) Perché sei in borghese, amore mio. Rientra in te.

Cavaliere — Balla con me la Carmagnola.

(Canta la Carmagnola).

Lili — Ma la Carmagnola è un canto ri­voluzionario. La Comune di Parigi. Tu sei assistente al Soglio.

Cavaliere — (sempre gridando) Me ne frego! Li hai rossi. Rossi come il mantello di mio zio.  Rossi!

Lili — (paziente ormai) Sì. Rossi.

Cavaliere — Col merletto, vero? L'ho intravisto.

Lili — (c.s.) Col pizzo.

Cavaliere — E il reggiseno? Anche rosso?

Lili — Il reggiseno? Cos'è?

Cavaliere — Come, cos'è? Per reggere il seno.

Lili — Mai usato. Il mio seno si regge da sé.                                                             

Cavaliere — (riprende a correre per la stanza) Non usa il reggiseno! (Urla) Non l'ha mai usato. Mia moglie porta il busto con le stecche. Vado a casa e l'uccido. Sì. Stavolta l'am­mazzo. Ho una sala delle armi nel castello. Stacco la più pesante delle mie spade e le spicco la testa dal busto. Dal busto con le stecche. Addio. Vado. Leggi i giornali domani.

Lili — (lo blocca trattenendolo) Tu non esci di  qui.

Cavaliere — Lasciami andare. Tanto ho deciso. Non si può dormire con una donna col busto dalle stecche di balena quando qui ce n'è una che va in giro col seno a ruota li­bera. No, lasciami. L'ammazzo.

Lilli — Se resti, te li faccio rivedere.

Cavaliere — Cosa?  (Balbetta)  Co-sa?

Lili — Gli slip.

Cavaliere — Davvero? Non menti?

Lili — Li vedrai. (Un tempo) Solo vedere, però.  Proibito toccare.

Cavaliere — Non oserei mai, prima delle nozze legittime.

Lili — Promesso?

Cavaliere — Parola di assistente.

Lili — È meglio che giuri.

Cavaliere — Mi offendi.

Lili — Giuri.

Cavaliere — Va bene. Giuro.

Lili — Ecco. (Solleva la gonna e l'abbassa rapidamente) Ora hai visto. Contento?

Cavaliere — Abbastanza.

Lili — Come,   « abbastanza »?

Cavaliere — È stata una visione superso­nica. No. Non mi basta. È meglio che uccida la scimmia.

(Si avvia).

Lili — Insomma vuoi rivederle.

Cavaliere — Sì. Ma con calma,

Lili — (diffidente) Che significa: « con calma »?

Cavaliere — A mio agio.

Lili — Fissa il tempo, allora.

Cavaliere — Diciamo: novanta secondi.

Lili — Troppi.

Cavaliere — Sessanta.

Lili — Ancora  troppi.

Cavaliere — Meno di trenta non accetto. È in ballo la vita di una principessa nata d'Oranges. O trenta. O niente.

Lili — Va bene. Trenta. Ha il cronometro?

Cavaliere — Eccolo. (Cava dal panciotto un orologione).

Lili — Cos'è,  quell'affare?

Cavaliere — Un orologio. Del seicento. Rarissimo.

Lili — Cammina?

Cavaliere — Sì. Ad acqua.

Lili — Ad acqua? Vaneggi?

Cavaliere — No. Si carica con un'ampol­lina ogni sette giorni e poi va. È un mecca­nismo elaboratissimo. Lo fece un orafo con­dannato a morte da un mio avo. Ci lavorò in Castel Sant'Angelo, durante la prigionia. E per rimandare sempre l'esecuzione, conti­nuò ad arricchirlo ogni volta di nuovi aggeggi. Durò diciott'anni  la sua fatica.

Lili — Così salvò la vita.

Cavaliere — Manco per sogno. Appena lo finì, gli tagliammo la testa. La legge è la legge.

Lili — Non sei un  sadico,  per caso?

Cavaliere — Non ammazzerei un fagiano. Infatti odio la caccia.

Lili — Ma le scimmie, sì, le ammazzi.

Cavaliere — « La » scimmia. Una. Se non vedo gli slip.

Lili.— Comunque non mi fido di quell'ar­nese. E se invece di trenta, mette cento secondi?

Cavaliere — Impossibile. Vedi questa leva? Segna il tempo. E quando sono passati trenta secondi,  esce il cuculo  ad avvertirci.

Lili — Il cuculo?

Cavaliere — Sì. Viene fuori l'uccellino di sedici millimetri e fa glu-glu-glu. Vedrai.

Lili — Sarà. La cosa, però, mi sa d'inghip­po, come dici tu. È meglio che il tempo lo controlliamo sul cronometro di Paolo. (Prende un orologio)  Ecco.

Cavaliere — D'accordo.  Sei pronta?

Lili — Prontissima.

Cavaliere — Allora andiamo.

Lili — Ecco. Comincia a contare: uno, due, tre... (Fa cenno di alzare la gonna).

Cavaliere — Ho detto:  andiamo.

Lili — E io sto « andando ».

Cavaliere — Andare, in italiano, vuol dire: andare in un altro posto.

Lili — E dove, se è lecito?

Cavaliere — Ho detto « a mio agio ». E tu hai accettato. Dunque, devo sentirmi a mio agio. E qui non lo sono.

Lili — E secondo te, dove saresti « a tuo agio »?

Cavaliere — Di là.

Lili — Ma di là c'è la camera da letto.

Cavaliere — E con questo? Ho giurato: vedere e non toccare. Per me il giuramento è sacro!

Lili — (perplessa) Ho timore che la fac­cenda prenda una brutta piega. E devo ri­cordarti che io ho fatto voto di castità.

Cavaliere — Anch'io.

Lili — Anche tu?

Cavaliere — Sì. Dunque non c'è pericolo.

Lili — Sarà, ma non mi sento troppo sicura...

Cavaliere — Io invece lo sono. (Declama): « La fornace prova l'oro. Così la tentazione è la via alla perfezione della virtù perché di­schiude i tesori della divina provvidenza ». Parole di San Lorenzo Giustiniani. 1380-1456.

Lili — Lui era un santo!

Cavaliere — E io non gli sarò da meno. Vedrai.

Lili — Per vedere, sei tu che vedi...

Cavaliere — Sono io che ne ho voglia...

Lili — Chi ti dice che anch'io... non ne abbia?

Cavaliere — Mi vuoi vedere anche tu in slip?

Lili — Grazie. Non ci tengo. Comunque io so resistere alle tentazioni senza l'aiuto di San Lorenzo.

Cavaliere — Ci conto. Dunque, andiamo.

Lili — E sia. Andiamo. Ma è la prima e l'ultima volta.

Cavaliere — Prima delle nozze, beninteso.

Lili — Prima delle nozze.  D'accordo.

Cavaliere — Ti prego: fammi strada. Sono timido.

Lili — Non direi... Comunque...

(Esce seguita  da  Quirico).

(Un orologio comincia a scandire i secondi ad alto volume, simbolicamente, invadendo il campo sonoro della scena mentre in sottofondo la voce amplificata di Lili scandisce i secondi).

Lili — (fortissima) Uno... due... tre... quat­tro... cinque...

(Non si ode altro rumore fin quan­do... Allo scoccare del trentesimo secondo si ode un grido acutissimo).

Lili — (voce naturale d.d.) Quirico... no! Sauvons le trou!

Cavaliere — (voce naturale d.d.) A moi l'épée.

(Improvviso suono aggressivo e incalzante dì campane a festa).

                                            

FINE  DEL  PRIMO  QUADRO  DEL  SECONDO TEMPO


SECONDO QUADRO DEL SECONDO TEMPO

Stessa  scena,   qualche giorno  dopo,  di mattina.

(Paolo, in kimono, è solo in scena, circondato da manichini di moda ai quali sono appesi vari vestiti monacali di fogge e colori insoliti e piuttosto audaci.

Ai bracci del portamantelli sono appesi cappelli da prete, zucchetti di vescovi, mitrie pastorali, manti e pianete sacerdotali, sai di frati e di suore.

Tutta la sala di soggiorno sembra, del resto, trasformata   in  sartoria   ecclesiastica).

Paolo — (sta disegnando su un tavolo da ar­chitetto e quello che egli disegna si riflette man mano su lato schermo luminoso sul fondo della scena.. Cosi che seguiamo l'evoluzione della matita di Paolo).

(In questo momento egli sta completando il di­segno di una strana veste monacale lunga sino a terra ma aperta sul davanti, in modo che appaiono dei pantaloncini stretti al ginocchio. La mano di Paolo scrive sotto il disegno riflesso sullo schermo: « Abito monacale da tennis »).

(Sostituisce il disegno con altro foglio bianco e inizia un nuovo disegno che appare sempre sullo schermo. É un abito di foggia del tutto diversa, ma sempre chiaramente religioso. Di colpo, si in­terrompe, infastidito, e butta via la matita. Si asciuga   il  sudore)

(Rivolto al pubblico) Non ce la faccio più. Ho qui un'idea fissa come un chiodo. (Si tocca la fronte) Come è potuto accadere? E così? D'improvviso? Per sette anni io e Lili siamo stati una coppia di una fedeltà reci­proca assoluta. Ed ora sono... becco! E ho... un'amante. Je suis cocu e j'ai une maitresse! Accidenti, Quirico mi ha contagiato con il suo francese! Il fatto è che credo di essere caduto dalla padella nella brace. Se Lili mi distruggeva. Marisa mi massacra. Insomma pare che per noi uomini non ci sia scampo e che tutte le donne, prima o poi, diventano delle manti di religiose, delle api regine. Il maschio lo fanno fuori, dopo avergli suc­chiato il midollo. Ed infatti, eccomi qua di nuovo esaurito... E non so più come mandare avanti questo lavoro... (Indica intorno) Sì, sono diventato costumista ecclesiastico. Na­turalmente, è stata un'idea di Lili... e Quirico l'ha realizzata. Ma quando ho avuto l'impru­denza di accettare, ignoravo che esistessero tanti Ordini religiosi nel mondo!... E poi a che fare con le suore!... Peggio che con le donne   comuni... « Vogliamo modernizzare gli abiti ma nel solco della tradizione, badi! »... Insomma, una specie di quadratura del cir­colo. E non gli va mai bene perché devono essere in tante, tutta la comunità, a dire di sì al progetto... E poi come si fa, a lavorare così, senza indossatrici?... Povera Lili, lei mi aiuta come può e fa la mannequin per me... in privato, beninteso... ma non sempre ha tempo, perché è troppo impegnata con le sue opere pie... E poi deve anche soddisfare Quirico, ora che sono amanti... Almeno credo, perché li vedo così di rado, ora, e non mi parlano dei loro rapporti come in passato... e io, del resto, ho il buon gusto di non chie­dere loro particolari... « noblesse oblige»... infatti sono nobile anch'io adesso... sì, mi hanno creato Conte... La Costituzione italiana ha abolito i titoli nobiliari, ma la Chiesa, no... Così sono finito Conte... e mi son do­vuto scegliere anche uno stemma araldico che ho, naturalmente, disegnato io stesso... Tre palle di argento in campo azzurro, irro­rate dai raggi di un sole meridiano... Bello, no?... Ebbene, sapete? molti scambiano l'oro del sole per un marengo... e così, per sfottermi mi chiamano: «il conte tre palle e un sol­do »... ma glissons... (Di colpo) Toh, chi si rivede!

Lili —  (entra rapida. E vestita con una uni­forme  da  crocerossina  ma  azzurra)   Ciao,   caro.

(E sparisce nella camera da letto).

Paolo — Mia moglie ha una nuova divisa e non l'ho disegnata io! Che sarà mai? Mah... Meglio non indagare e distrarmi nel lavoro...

(Riprende il disegno interrotto dell'abito monacale).

Lili — (torna e si ferma un attimo a guardare il disegno che procede sullo schermo luminoso) Mica male. È per le Canossiane, vero?

Paolo — Sì.

Lili — Dovresti fargli la gonna più corta. Ora le suore hanno scoperto i polpacci e vogliono mostrarli. Niente più maxi, dunque. Attento!  Sennò te lo rifiutano.

Paolo — Ma nemmeno mini.

Lili — No, una via di mezzo. In medio stat virtus.  (Fa il gesto).

Paolo — In  medio stat vagina.

Lili — Non cominciare con le tue solite volgarità.

Paolo — Dimenticavo che sei diventata puritana anche nell'eloquio. Piuttosto, c'è novità?

Lili — No. La situazione è statica. Anzi, prostatica.

66

Paolo — Non capisco.

Lili — Sai che zio Camerlengo è stato operato alla prostata?

Paolo — No. Sapevo del polipo della prin­cipessa ma ignoravo i testicoli dell'eminenza.

Lili — Vergogna. Un conte, cavaliere di Cristo.

Paolo — Va avanti con la prostata.

Lili — Intendevo dire che fino a quando non si sa se l'intervento è riuscito, la situa­zione mia e di Quirico è stazionaria.

Paolo — Non vedo il rapporto.

Lili — Spesso l'intervento prostatico inde­bolisce le facoltà intellettive del paziente e già i cardinali francesi hanno messo in giro la voce che zio Eminenza ne ha risentito come lucidità intellettuale. È un colpo basso, natu­ralmente, per indebolire le sue chances in seno al Conclave.

Paolo — Ma la colombella vola sulle teste mica sui...

Lili — (interrompendolo) Certo... Ma tu sai: calomniez, calomniez, quelque chose resterà... Ora Quirico dice che bisogna aspettare che zietto si rimetta e poi... (Fa anche essa il vocione): « Appena sorto in piedi, vojo tené subito un discorso pe' faje vede a sti menagramo de francesacci che sotto ciò du cosi più duri de prima! »  (Voce naturale)  Capito?

Paolo — Più chiaro di così!?

Lili — Sto pregando San Rocco per zietto...

Paolo — San Rocco? Perché è il santo dei coglioni?

Lili — Non bestemmiare! È il santo degli interventi chirurgici. Fu azzannato da un cane. E guarì subito.

Paolo — Senza antirabbica?

Lili — Con te è divenuto impossibile parlare.

Paolo — Scusami, sono esaurito.

Lili — Marisa!

Paolo — Sì.

Lili — T'avevo detto che era una puttanella!

Paolo — E con te non mi esaurivo?

Lili — Che c'entra?  Io ti volevo bene.

Paolo — Anche lei me ne vuole. Almeno, così dice...

Lili — Ecco: lo dice. Comunque, contento tu...

Paolo — Mica tanto... Era meglio con te.

Lili — Davvero?!

Paolo — Sì. Marisa non ha la tua fantasia nell'amore.

Lili — Passale il mio manuale cinese. Vedrai  che  impara.

Paolo — Già fatto. L'ha rifiutato. Dice che lei fa tutto d'istinto.

Lili — Vedi che è una puttana nata? Il manuale, io, invece, ho dovuto studiarmelo. Comunque non mette conto di parlare di una donna-mangiasoldi.

Paolo — Non le dò che lo stretto necessario.

Lili — Rieccoci con lo stretto... Comunque, affari tuoi.

Paolo — (un filo di speranza) Saresti tornata gelosa?

Lili — Non ho più tempo di esserlo. Sono troppo  impegnata  socialmente.

Paolo — Socialmente?! Questa sì, che è nuova.

Lili — Non vedi il mio abito?

Paolo — A proposito, cosa rappresenta?

Lili — Crocerossina dell'Ordine di Malta. Sapevi che l'Ordine fu creato per assistere i derelitti?

Paolo — I derelitti? Dunque, assisti me.

Lili — Abbiamo tre ambulatori gratuiti a Roma e tre sale-parto.

Paolo — E tu che ci fai nella sala-parto? Ti alleni?

Lili — Sono Ispettrice nazionale!

Paolo — Continui a far carriera.

Lili — Chi è al servizio di Dio, non lavora per la « carriera », secondo la tua espressione. Pensa che non sono nemmeno pagata.

Paolo — Di questo non dubito. E quando mai i preti cacciano un soldo? Comunque se non lavori per la cartiera su questa terra, lo fai per avere un posticino in cielo. Sempre arrivismo è.

Lili — Io, così... (Indica l'abito)... finalmente mi realizzo.

Paolo — Anche a letto col principe, ti realizzi?

Lili — Ti prego, non mescolare il sacro con il profano.

Paolo — Se c'è una che riesce a « melanger » diavolo e acqua santa, sei tu. Specie da quando frequenti  i   gesuiti.

Lili — I gesuiti mi hanno spiegato che il peccato non è più interamente tale se nell'atto di commetterlo c'è « l'arrière pensée ».

Paolo — Cioè?

Lili — Se io, spiritualmente, riprovo quanto faccio col mio corpo nello stesso mo­mento che lo compio, io depuro, in un certo senso, l'atto sessuale con l'alimento della grazia e perciò io apro una valvola di scarico per la salvezza della mia anima. Il processo inverso dell'inquinamento. Capisci?

Paolo — E il tuo principe come si regola con la... valvola di sfogo?

Lili — Stesso procedimento.

Paolo — Insomma, fate l'amore senza arrivare all'orgasmo.

Lili — Al solito, sei fuori strada. Il piacere può anche percorrere tutto il suo « iter » e arrivare al « maximum voluptatis »... Impor­tante è che io, partecipandovi con i sensi, anche interamente o senza limiti, d'orgasmo e di prestazioni, me ne ritragga mentalmente... solo   « mentalmente »,   bada.

Paolo — Insomma, te ne pentì, ripu­gnandoti  quanto  hai fatto.

Lili — Non devo pentirmene affatto. Tant'è vero che posso ripetere l'amplesso finché ne ho voglia e quindi esso non deve ripugnarmi. Basta solo che io « prima, du­rante, o dopo » l'atto sessuale, me ne ritragga mentalmente per un attimo — un attimo solo — e mi renda conto che io non sono tutta in quel piacere che provo in quei mo­menti, ma, come la parte migliore di me, la mia « anima » appunto, si scinda più lim­pida che mai dalla degradazione del corpo per recuperarla intera subito dopo i vari mo­menti di  abbandono  nell'amplesso.

Paolo — E questo... « recupero » deve avvenire subito?

Lili — Il tempo non ha importanza. Una ora, una notte. Che differenza fa, se il corpo è caduco, e, dunque, soggetto all'usura degli anni, mentre l'anima è immortale e dunque non deteriorabile. L'anima, basta che io voglia, vince sempre perché appartiene al trascendente non al transeunte, come il corpo.

Paolo — Insomma, in parole povere: fate pure il vostro porco comodo che poi siamo qui noi, i gesuiti, per darvi una spruzzatina della grazia divina e ripulirvi del peccato. Spry-sky, lo chiamerei. Spruzza-cielo. Farei anche i depliant. È un'idea che ti dò.

Lili — Impossibile discutere con te. Per convincerti, ti darò un libro che mi è stato utilissimo. Ti cito solo un pensiero fra i tanti...

Paolo — I pensieri di Mao? Li conosco.

Lili — Macché Mao... Sono pensieri di Ignazio. Ignazio di Loyola. « Chi è nella consolazione pensi a come starà nella deso­lazione che seguirà, procacciandosi forze nuove per allora... » Dal Libro degli esercizi spi­rituali ». Ed io ci penso quando abbraccio Quirico: « Mio Dio, come starò male dopo... » E questo mi salva.

Paolo — E poi, per poterti dedicare a pensare come starai nella desolazione, dopo, ti procuri una nuova consolazione con Quirico...   È  così?

Lili — Bravo! Vedo che hai afferrato il concetto. Se non mi degrado, come posso dall'abiezione risalire alla luce?

Paolo — Questa è la parafrasi della sto­riella di colui che portava sempre scarpe strette che gli facevano male e a chi gli do­mandava perché non ne prendesse di più grandi, rispondeva: «Per poter gioire quando me le tolgo! » Solo che nelle tue scarpe meta-foriche, tu ci sguazzi...

Lili — Sei diventato ancora più volgare da quando vai a letto con Marisa. Dovresti badarci perché sei conte ora. Le voci corrono...

Paolo — Quirico, vero?

Lili — No. Suo zio.

Paolo — E lui che ne sa?

Lili — Dimentichi i dossiers. Gli schedari.

Paolo — Ah, già... E magari ho il telefono sotto  controllo.

Lili — Tu, no... Ma Marisa, sì... Avvertila di non telefonare ad altri uomini quando tu non ci sei.

Paolo — (sconvolto) Marisa telefona ad altri? Impossibile. È una tua perfida insinuazione.

Lili — (trae di tasca un appunto e legge): « Ciao, Mario. No, caro, stasera non puoi venire. Aspetto il conte». Ore 10 e 12 di martedì 21, registrata... Ma Enrico, tu devi capirmi: è il mio capoufficio, mica posso sbat­terlo via, sennò lui sbatte via me»... regi­strata alle ore 15 e 41 di giovedì 23... « Sì, Riccardo, ho tanta voglia di te, ma finché c'è il matusa fra i piedi... qui non devi farti vedere. Se mai, vengo io da te domani sera e resto a dormire da te, perché Paolo parte per due giorni da Roma... » Registrata ore 19 di venerdì 25...

Paolo —   (le strappa il foglio)  Fa vedere!

Lili  —  L'elenco continua. Sembra una pagina dell'annuario dei telefoni.

Paolo — (dà una occhiata al foglio poi cade a  sedere  avvilito).

Lili — Su, non te la prendere. T'avevo detto che era una puttanella. Lei fa il suo mestiere. Ma tu ora sei un Vip. Very important person... e le amanti devi scegliertele adeguate al tuo nuovo rango.

(Gli dà un altro foglio).

Paolo — Ancora quel maledetto elenco?

Lili — No. Sono i nomi di alcune dame di alto lignaggio fra le quali puoi scegliere tran­quillamente per sostituire Marisa. C'è età, altezza, peso... e, in più grado sociale, in­fluenze politiche... Vai a colpo sicuro. E sopratutto puoi contare su un'assoluta discre­zione.  Parola di Quirico.

Paolo — Sbalordisco. Fa anche il ruffiano ora.

Lili — Si preoccupa che la tua condotta non susciti scandalo. Mi pare un pensiero molto carino  da parte sua.

Paolo — Perché, andare a letto con codeste dame non è scandalo?

Lili — No.

Paolo — Perché?

Lili — È gente di chiesa. E la faccenda si nobilita. E poi resta, per cosìdire, in famiglia.

Paolo — Basta. Sono esterrefatto. Le gam­be hanno ripreso a tremarmi. Vedi? Erano dieci giorni che non mi tramavano più.

Lili — È lo choc. È naturale.

Paolo — (un grido) Oh, povero me, mi trema anche la mano. Guarda! La destra. E come farò a disegnare adesso? Sono finito.

Lili — No. Ti riprenderai. Queste sono « dame di San Vincenzo » specializzate nel rimettere in sesto la gente. Molte sono anche crocerossine o infermiere diplomate. Ti ap­plicheranno una terapia d'urto da pronto soccorso. E ti tirano subito su. Ma sbrigati a sceglierne una. (Trae di tasca un album) Qui ci sono le foto. Sfogliale e decidi. Sono tutte disponibili. Solo le foto che hanno una croce sul didietro sono delle dame che hanno già un servizio di assistenza presso qualche pa­ziente. Ma se ti piacciono, non preoccuparti, possono benissimo fare il doppio turno... Se ci tieni proprio ad averla tutta per te, le togliamo il paziente in cura e la distacchiamo esclusivamente presso di te... (Sfogliando l'al­bum) Guarda che ce n'è di quelle molto più belle e più giovani di Marisa.

Paolo — A proposito, appena finisco di tremare, telefono a Marisa e le dico il fatto suo.

Lili — Scherzi? Bada che l'elenco di quelle registrazioni telefoniche è coperto da segreto. Top secret. Vuoi mettere nei guai Quirico che me li ha dati sottobanco? In quanto a Marisa, ci penso io a liquidarla. Non preoc­cuparti.

Paolo — Una scenata? Lo detesto.

Lili — Macché scenata! Lafaccio licen­ziare dall'ufficio per scarso rendimento o un'altra balla! Così tu non figuri e puoi sempre dirle: «Poverina!».

Paolo — E cosa farà senza lavoro? Ha bisogno.

Lili — Farà la puttana. Ma dove le è più congeniale: il marciapiedi.

Paolo — Sei spietata.

Lili — Sono realista. E adesso basta par­lare di Marisa. Parliamo di noi due.

Paolo — Non ci siamo già detto tutto?

Lili — Sì. Meno un particolare. (Un tempo) Ma prima prendi un tranquillante, così non hai reazioni scomposte.   (Glielo porge).

Paolo — (rifiuta) Niente più pillole. Solo, se si tratta di una brutta notizia, risparmia­mela. Sono alle soglie del collasso.

Lili — Nulla di grave, rassicurati. Voglio solo dirti che da oggi ci vedremo sempre meno.

Paolo — Perché ci siamo forse visti spesso in questi ultimi giorni?

Lili — Infatti.

Paolo — A proposito, dove passi tutto il tuo tempo? Da Quirico, naturalmente!

Lili — Povero Quirico, vedo sempre meno anche lui. E non fa che lamentarsi.

Paolo — E cosa fai?

Lili — Un mucchio di cose. L'Ordine di Malta. La sala-parto. Le dame di San Vincenzo. Ma soprattutto ho un nuovo importante incarico.

Paolo — Un altro?

Lili — Sì. Zio Eminenza è così entusiasta di me che mi ha affidato le « public relations ».

Paolo — Il Vaticano ha i press-agents? Mai saputo.

Lili — Infatti. Sono addetta all'ufficio personale di zio. Senza figurare, natural­mente, in organico. Sai, per via della discri­minazione della Chiesa contro le donne che continua nonostante il Concilio.

Paolo — Naturalmente non ti pagano.

Lili — Altroché! Zio attinge ai «fondi segreti ».

Paolo — Ma che fai, di preciso?

Lili — Contatti.

Paolo — Orizzontali?

Lili — Smettila. Faccio propaganda eletto­rale per zietto in vista del Conclave.

Paolo — Galoppino elettorale. Senza colomba?

Lili — Senza colomba. Che c'è di strano? L'ho fatto per anni per le auto Pecora, poi per il Ministro dell'Interno... Gentucola. Almeno qui rappresento un uomo di qualità.

Paolo — E riesci?

Lili — Benissimo. Ho già guadagnato due incerti alla causa di zio: il Cardinale primate d'Irlanda, un reazionario. E il Vescovo dell'Uganda. Due voti sicuri, ormai. Li avvicino con un pretesto... le opere pie, ad esempio... e comincio a tessere la mia ragnatela... Ci vuol tempo, ma ci cascano. Zietto dice che dieci come me e la Chiesa torna in auge. Naturalmente dispenso promesse per il giorno che zietto vince il Conclave. Promesse a tutti.

Paolo — E le manterrà?

Lili — Mai. Perché i deputati mantengono quanto promettono? Verba volant. (Un tempo) E adesso volo anch'io.

Paolo — Scappi in Vaticano?

Lili — No, volo letteralmente. Prendo l'aereo per Vienna. Fra cinquantacinque minuti.

Paolo — E cosa vai a fare a Vienna?

Lili — Missione speciale. Top secret. Posso dirti che a Vienna c'è il Cardinale che tiene i contatti con i paesi d'oltre cortina. E io tento un'apertura...

Paolo —  (ironico) Apertura...

Lili — Diplomatica. Solo diplomatica. Non posso dirti di più. Mandano me perché una donna dà meno nell'occhio. Comunque dopodomani sono già di ritorno. Ciao. (Si avvia).

Paolo — Una volta mi baciavi prima di andartene.

Lili — Ora c'è Marisa.

Paolo — .... e Quirico.

Lili — Sì. Quirico. C'est la vie. Mais il y a une autre vie dans laquelle nous serons ensemble. Toujours.

Paolo — E sarebbe?

Lili — (indica il soffitto).

Paolo — Il cielo?

Lili — Il paradiso.

Paolo — Allora non c'incontriamo pro­prio. Tu forse andrai in paradiso, ma io, di certo, sarò all'inferno. Anzi il mio inferno è già cominciato qua, senza il tuo amore.

Lili — Il letto, vuoi dire. C'è un altro letto più importante.

Paolo — Sarebbe?

Lili — « In lectulo meo quaesivi per noctem, quem diligit anima mea ». « Nel mio lettuccio, nella notte, ho cercato quello il quale ama l'anima mia ». San Bonaventura. Cioè, è più importante il letto dell'anima, del letto del corpo. E in quell'altro letto c'è posto per tutti. E così potremo stare insieme tu, Quirico ed io.

Paolo  —  Il sandwich,  insomma.

Lili —  Blasfemo!

Paolo — L'ammucchiata, l'amore di gruppo.

Lili — Il letto di Dio non è a due o tre piazze ma universale. Dunque lì c'incontre­remo tutti. Abbi solo fede. E adesso corro sennò  perdo  l'aereo.

Paolo — Non credo che parti. Non hai nemmeno una valigetta.  I vestiti e il resto.

Lili — Per i vestiti, mi basta questo. E per il resto, nella borsa ho tutto. (Apre una capace borsa e mostra dei mutandoni, un pigiama, eccetera).

Paolo — (un grido) I mutandoni della trisavola!

Lili — No. Sono i miei. Quelli che indosso sempre ormai. (Solleva la gonna e mostra dei mutandoni che arrivano al ginocchio).

Paolo — Tu, così? È la fine del mondo.

Lili — No. L'inizio di una nuova vita. E se vuoi, posso anche baciarti. Ma sulla gota.   Effettivamente potrei non tornare.

Paolo — Già, con tutti questi dirottamenti.

Lili — No, la mia missione è rischiosa. Sono una 007 in gonnella e potrebbero « far­mi fuori ».

Paolo — (spaventato) Accidenti!

Lili — Infatti. Sarebbe solo un « acci­dente » nella dialettica degli opposti. Ma « l'accidente » non intacca mai la « sub­stantia » che resta, in quanto immortale. Ciao.  

(Lo bacia sulla gota).

Paolo — (cerca di ricambiare il bacio sulle labbra  ma  Lili  rifiuta).

Lili — Ti ho detto no. (Sulla porta) Ah, dimenticavo. Le Carmelitane vogliono il di­segno di un costume da bagno. Casto ma moderno.

Paolo — Bikini?

Lili — Non si scherza su queste cose. Co­stume intero ma con riferimenti all'Ordine. Sfoglia il  catalogo degli Ordini religiosi.  È una commissione urgente. Ciao. (Esce).

Paolo — (solo, al pubblico) Eccomi combi­nato bene. Senza più Lili e senza Marisa. Almeno avessi ignorato che Marisa va con altri uomini, avrei potuto ancora tenermela. Forse che non mi dava piacere quando ci andavo a letto, anche se faceva l'amore con altri? Questo è il bello delle donne: sono polivalenti e inesauribili. Ma, ad un certo momento, un'altra donna, Lili nel mio caso, che pure ha il suo amante, prova gusto a dirti la verità, così, solo per toglierti la gioia di quel possesso che credevi riservato a te. Risultato? Che se ora andassi con Marisa, non riuscirei più a ricreare l'atmosfera, l'in­canto, l'abbandono della mia inconsapevo­lezza d'allora. E così...

(Si interrompe perché...)

Cavaliere — (entra di cosa) Giuliana! Dov'è Giuliana? La nascondi, vero? (É agitatissimo).

Paolo — Calmati. Cosa ti prende? Lili è partita per Vienna.

Cavaliere — Vienna? Chi te l'ha detto?               

Paolo — Lei stessa. E poi, non dirmi che non  lo  sai.

Cavaliere — Non lo so.  E non è vero.

Paolo — Ma come? ... 007... missione speciale...  top secret...

Cavaliere — Cosa farnetichi?

Paolo — Sono parole di Lili. È tuo zio che la manda in missione segreta come le altre volte.

Cavaliere — Ma quando mai? Figurati se noi mandiamo donne come ambasciatrici! Ti ha raccontato una balla!

Paolo  — E  perché  mai?!

Cavaliere — (non lo ascolta) Allora, è vero. È vero. Povero me!

Paolo — Fermati. Non girare come una trottola.

Cavaliere — (continua a correre come un invasalo) È così. L'ha detto e l'ha fatto. E io ci sono caduto. E finita. Ma questa volta non ammazzo la principessa. No. È me che uccido. Sì. Dammi la misericordia. Presto. Dove l'hai messa? Dammela solo un mo­mento, il tempo di farmi hara-kiri... Mi ucci­do e poi te la puoi riprendere. Presto, tirala fuori. Sennò mi sfuma la rabbia. E magari non mi ammazzo più.

Paolo — Meglio così, no?

Cavaliere — Meglio, un corno. Come posso  vivere  senza  Giuliana?

71

Paolo — (allegro) Ti ha lasciato?

Cavaliere — Sì.

Paolo — (sollevato) Finalmente. Ce n'ha messo di tempo, ma ha capito che è stato uno sbaglio  lasciare me per te.

Cavaliere — Hai poco da ridere. Ha la­sciato me; ma anche lasciato te.

Paolo — Sei becco anche tu?

Cavaliere  —  (con orrore)  Io? No.

Paolo — Se mi hai detto che è fuggita con un altro.

Cavaliere — Io ho detto solo che è fug­gita. Non ho mai parlato di altri. Presto, la misericordia. Non posso resistere nemmeno un momento in questo mondo ormai privo di Giuliana.

Paolo — Scusa, fammi capire: ma se non è fuggita con un altro uomo, perché mai ti vuoi ammazzare?

Cavaliere — Perché l'ho perduta lo stesso. È fuggita. Per sempre. Con una altra donna. La contessa di Noailles.

Paolo — Lili, lesbica? Questa, franca­mente,  non me l'aspettavo.

Cavaliere — Chi ti ha parlato di lesbiche?

Paolo — Scusa, hai detto: « un'altra donna ».

Cavaliere — Ma se sono in tre: c'è anche donna Patrizia Odescalchi.

Paolo — Beh, tre... il sandwich ideale, no? Amore di gruppo.

Cavaliere — Un'altra parola contro Giuliana ed è te che ammazzo invece!

Paolo — Devi strozzarmi, perché la mi­sericordia non te la dò. Comunque possiamo anche ucciderci reciprocamente. O meglio, insieme... perché anch'io non posso vivere senza   Lili.

Cavaliere — Insieme? È un'idea splendi­da. Moriamo insieme guardando una sua fotografia. Magnifico! Io ce n'ho di quelle nude. O preferisci vestita?

Paolo — Giuliana, nuda?  Impossibile.

Cavaliere — Perché no? Con la polaroid. Senza fotografo.

Paolo — Me le fai vedere? Perché io l'ho solo dipinta nuda.  Mai fotografata.

Cavaliere — Guarda. Ce le ho sempre con me.  (Gli dà delle foto).

Paolo — Le mostri in giro? Mi meraviglio.

Cavaliere — Sei pazzo? L'occhio di un altro sul suo corpo? Mai. Le ho sempre con me, perché, quando mi annoio nell'antica­mera pontificia, mentre sono di servizio, ogni tanto gli dò sotto una sbirciatina...  Così il morale mi torna su.

Paolo — Ah, tu lo chiami così, il sesso? (Sfoglia le foto).

Cavaliere — Hai visto com'è bella?

Paolo — A chi lo dici! Poi, così, a colori. Sembra   Botticelli.

Cavaliere — (guardando, a sua volta, le foto che ormai si passano l'un l'altro) No, Velázquez.

Paolo — Botticelli.

Cavaliere — Velázquez. Comunque è un corpo che non va coperto. Dovrebbe an­dare in giro nuda. O con una clamide come nella Roma pagana. Hai presente le Terme? Tutti, uomini  e  donne, si  bagnavano  nudi.

Paolo — Già, ma poi siete venuti voi... ed è finita la pacchia!

Cavaliere — Ci stiamo correggendo. Anche la minigonna è stata ammessa ad una udienza papale. Dai tempo al tempo e torne­remo come Adamo ed Eva.

Paolo — Sì, ma intanto non mi hai detto con  chi  è fuggita Lili.

Cavaliere — Te l'ho detto. Con due dame dell'Ordine di Malta.

Paolo — Ma dove sono andate? In gita turistica?

Cavaliere — Nel Biafra. A fondare un Lazzaretto.

Paolo — Cosa?! Ripeti.

Cavaliere  — Laz-za-ret-to.

Paolo — Impossibile. Lili ha orrore delle piaghe.

Cavaliere — « Aveva » orrore. Ma da quando è diventata devota di San Rocco che di piaghe ne aveva tante, non è più così schifiltosa.

Paolo — Ma tu che ne sai che è partita?

Cavaliere — Lo diceva spesso in questi ultimi tempi. Io credevo che scherzasse... « Oh, poter veramente essere utili ai dere­litti dei paesi sottosviluppati... realizzarsi in opere di pietà... e, chissà, fondare un nuovo Ordine! Sì, ci pensi, Quirichetto, se la gat­tina tua diventa la fondatrice delle, mettiamo, Lazzarettiane? »

Paolo — E tu cosa rispondevi... alla « gattina? »

Cavaliere — « Tu sei proprio picchiata! Come se non ce ne fossero abbastanza già di " teste di pezza " in giro... ».

Paolo — Teste di pezza?

Cavaliere — È il nome che noi diamo alle suore. Una metafora in cui il « conte­nente » sta per il « contenuto ». E, invece, ecco qua: l'ha fatto.

Paolo — Questa è una tua supposizione.

Cavaliere — No. Vedrai che è così... S'è lasciata contagiare.

Paolo  —   (stordito)   Dalla  peste?

Cavaliere — No; dall'incenso. Non ti dissi che le donne sono suggestionabili?L'in-censo è come la droga. Preso una volta, poi non se ne può fare a meno... e si parte in viaggio. Solo che per i drogati comuni il « viaggio » è allucinazione. Mentre per i drogati da incenso, il viaggio può diventare effettivo. Del resto, lo sapremo subito. Faccio una  telefonata.   Permetti?

Paolo — Prego. (Indica il telefono) Chiami le altre due dame?

Cavaliere — No. Zietto. (Forma un numero). Sono sicuro che lui è al corrente. Ecco perché in questi ultimi tempi Giuliana andava a trovarlo. (Al telefono) Sant'Ufficio?... Sono il Principe Tigrini... Sì, aspetto... (A Paolo) zio è con l'ambasciatore del Bangladesh ... Vedi che avevo visto giusto?... (Al telefono) ....Ah, eminenza zio, scusa il disturbo ma vorrei domandarti se quella persona...

(Ma è inter­rotto subito dal vocione).

Voce zio — (al telefono) «Fijetto bello, te devi da rassegnà. Se n'è ita per sempre. Sì, è andata a fonnà un Ordine novo...e che, io potevo dì de no?... Ste cose da noi co­minciano quasi pe scherzo e hai visto mai che fra cent'anni ce ritrovamo co mijaia de monache Lazzarettiane sparse nel monno?... Sì, j'ho puro data la santa benedizione... e staremo a véde... ».

Cavaliere —  (al telefono)  Ed io?

Voce zio — (al telefono) « E tu te gratti... Cocco de zio, vorrà dire che ne riparlamo tra un par de secoli quanno magari la Prov­videnza se sarà servita d'un cojone come te pe fa na santa de più in cielo... Pace e bene. E torna da tu moje...»

Cavaliere —  (distrutto)  Ha riagganciato.

Paolo — Ma allora è vero.

Cavaliere — È vero, sì.

Paolo — E noi due?

Cavaliere — Restiamo come due coglioni. Hai sentito?

Paolo — Io mi ammazzo. Subito.

(Prende dal cassetto la misericordia).

Cavaliere — Un momento. Prima mi ammazzo  io.

Paolo — No. La misericordia è mia e non te la dò. Tu, se vuoi morire, buttati dalla finestra.

Cavaliere — Per rimanere sfigurato? Un assistente al Soglio! Prestamela un momento. Faccio presto. Poi l'usi tu.

Paolo — Bravo! Dopo che è imbrattata di sangue. Il sangue mi fa ribrezzo. No, prima mi ammazzo io; poi tu mi segui a ruota.

Cavaliere — E allora, facciamo così. Tu mi vibri il colpo e rivolgi poi l'arma contro te stesso. Così non c'è passaggio dimano. Ti va?

Paolo — Fammici pensare. (Riflette) No. Ho paura di non farcela ad ucciderti. Mi sei troppo simpatico.

Cavaliere — E allora tu tieni la miseri­cordia per l'elsa e io mi ci butto sopra a pesce.

Paolo — E se mi trema la mano e ti fe­risco soltanto? No. Prima mi ammazzo io. (Si punta la lama alla gola).

Cavaliere — Aspetta. Ho trovato. Mentre tu ti sgozzi, io prendo due tubetti di sonni­fero. No, non va, ci metto troppo tempo. Voglio andarmene insieme a te, così nel viaggio parliamo di Giuliana. (Un tempo) Come si può fare? (Un grido) Ah, il gas. Apriamo i rubinetti in cucina e ci sediamo qui ad aspet­tare insieme la morte. Ti va?

Paolo — D'accordo. Vado ad aprire i rubinetti.  (Esce).

Cavaliere — (rimasto solo, comincia a di­sporre tutt'intorno le foto di Lili. Poi siede a con­templarle.   Trae un pettine di tasca e si pettina).

Paolo —  (tornando)  Ti pettini?

Cavaliere — Voglio che domani le foto sui giornali di me morto siano le meglio pos­sibili. E tu non ti dài una rassettatina?

Paolo — Me ne frego. Quand'è finita, è finita. (Un tempo) Perché hai messo tutte quelle foto di Lili?

Cavaliere — Perché ci dia coraggio nell'ammazzarci e quando ce ne andiamo l'ul­timo  sguardo  sia  per  lei.

Paolo — Bell'affare per i giornalisti, mia moglie nuda!

Cavaliere — E che t'importa? Tanto ti ha lasciato!

Paolo — Già,  è vero.

Cavaliere — E poi sai che botta per la principessa a vederla così bella! Può darsi che la scimmia ci resti secca questa volta!

Paolo — Bell'affare: così vi rincontrate in cielo.

Cavaliere — Impossibile. Tutto previsto. Lei va in paradiso. Ma io, come suicida, vado dritto all'inferno. Così non la vedo più. (Un tempo) E allora hai aperto il gas?

Paolo — Sì.  Non ci resta che aspettare!

Cavaliere — Non si sente manco un po' di  puzza.

Paolo — Dà tempo al tempo. Per ingan­nare l'attesa te la faresti una partita a scopa?

Cavaliere — La scopa? È volgare. Gioco solo a bridge.

Paolo — Il bridge in due?

Cavaliere — E allora, gli scacchi. Gioco sempre al Circolo della Caccia. Quello che rifiutò Vittorio Emanuele, il re, perché i Savoia risalgono al millecento.

Paolo — Tu, invece?

Cavaliere — Due secoli avanti Cristo.

Ma anche tu devi morire bene, perché ora sei conte. Non si sente nessuna puzza.

Paolo — Io comincio a sentirla. Annusa bene.

Cavaliere — Già, è vero. Comincia. Meno male.

(Una pausa. Tutt'e due fiutano l'aria e fan cenno di sì. Si distendono meglio contemplando le foto di Lili).

Paolo — Ho visto in cucina che il frigo è  pieno.

Cavaliere — Pieno di che?

Paolo — Di che vuoi che sia pieno? Di roba da mangiare.

Cavaliere — Che c'è?

Paolo — Di tutto un po'.

Cavaliere — C'è caviale?

Paolo — No. Fagioli.

Cavaliere — Buoni. Funghi, fagioli, spa­ghetti e tonno con un pizzico di rosmarino.

Paolo — Rosmarino? Vuoi dire: prezzemolo.

Cavaliere — No. Rosmarino e un po' di diavolicchi   grattugiati.

Paolo — Piantala che mi fai venire fame.

Cavaliere — Per forza! La voglia, cioè il desiderio di Giuliana, refoulé, cioè respinto, sale e prende lo stomaco. È dimostrato scien­tificamente. Perciò l'amore dà appetito.

Paolo — Certo, che, due spaghetti aglio, olio, prezzemolo, me li farei. Tanto la roba del frigo se la gratta subito la portiera. E poi meglio morire « mangiati » che a digiuno. Che ne dici?

Cavaliere — Concordo. Possiamo farci una bella pappata da crepare. La principessa mi tiene a stecchetto con la scusa della linea, per  via  dell'uniforme  che  indosso.

Paolo — Ma adesso che crepi, che ti frega della linea?

Cavaliere —  È quello che dico anch'io.

Paolo — Allora cucino?

Cavaliere — Un momento. Cucino io. Non mi pare che tu ci sappia fare molto.

Paolo — Ti sbagli. Vedrai.

Cavaliere — Beh, cuciniamo insieme. Così il tempo passa prima. (Un tempo) Eh, no, non si può.

Paolo — Perché no?

Cavaliere — Perché il gas serve per am­mazzarci.   Non  ci  possiamo  cucinare.

Paolo — E noi lo riaccendiamo dopo la « pappata ».

Cavaliere — Già, è vero. Tanto oramai che abbiamo deciso, un'ora prima o un'ora dopo, che cambia?

Paolo — Niente. Bene. Andiamo in cucina.  (Si avvia).

Cavaliere — (si ferma).

Paolo — Beh, ti fermi? Non hai detto che cuciniamo insieme?

Cavaliere — Non posso perché io, dopo pranzo, mi prende sonno e devo farmi subito una   « pennichella ».

Paolo — Beh, e tu dormi. Ci ammazziamo dopo.  Quando ci svegliamo.

Cavaliere   —   Bravo.   E   dove  dormo?

Paolo — Di là. Una dormitina me la faccio   anch'io   perché  bevo.

Cavaliere — Anch'io. Ce l'hai lo champagne?

Paolo — Sì.

Cavaliere — Benissimo. Ce ne scoliamo almeno due bottiglie alla faccia delle nostre mogli. Un momento.

Paolo — Che c'è ancora?

Cavaliere — In camera, ci sono due letti?

Paolo — No. Uno solo. Matrimoniale.

Cavaliere — Accidenti!

Paolo — Perché, non possiamo dormire insieme?

Cavaliere — Già, siamo due uomini; dunque non ci vergogniamo.

Paolo — Vergognarti? Perché? Dormi nudo?

Cavaliere — Alla francese.

Paolo — Sarebbe?

Cavaliere   —  Mezzo  pigiama.

Paolo — La parte di sopra o quella di sotto?

Cavaliere — Ho detto « alla francese »; dunque, la parte di sopra. E tu come dormi?

Paolo — Col pigiama. Ma solo i calzoni.

Cavaliere — Ah, alla americana.

Paolo — Non lo sapevo. Gli americani dormono così?

Cavaliere — Sì. Perché sono fessi.

Paolo — E allora il problema è risolto: dividiamo il pigiama. Tu, la parte di sopra. Io, quella di sotto.

Cavaliere   —   Giuliana dormiva nuda.

Paolo — Lo so.

Cavaliere — A proposito, ha due nei. Stupendi. Uno sotto il seno sinistro. L'altro sul fianco.

Paolo — Ti sbagli. Ne ha tre.

Cavaliere — Mai visto il terzo. Ti sbagli tu.

Paolo — Ci ho dormito insieme sette anni. Tu, dieci giorni. Dunque, lo saprò più io di te.

Cavaliere — E dove sarebbe questo terzo neo?

Paolo — Qui. (Indica la natica) Forse t'è sfuggito.

Cavaliere — E che, mi metto a guardare il cu... insomma guardo di spalle una dama di Malta? Però... un neo, proprio lì... la cosa mi eccita.

Paolo — E ha pure un peletto.

Cavaliere  — Dove?

Paolo — Nel  terzo  neo.   Al  centro.

Cavaliere — Quant'è lungo?

Paolo — Sette millimetri.

Cavaliere — Sette millimetri... Per fa­vore, non continuare sennò mi eccito ancora di  più.

Paolo — Io lo sono già.

Cavaliere — Prendiamo un po' di ghiaccio dal frigo.

Paolo — Perché?

Cavaliere  —  Per calmare l'eccitazione.

Paolo — Io non voglio calmarmi. Prendilo tu.

Cavaliere — (lo scruta a lungo) Senti un po'..

Paolo — Dimmi, Quirichetto...

Cavaliere — (un tempo) Dicono che molti costumisti, designer, insomma, gli artisti, sono di... quell'altra parrocchia... Mi hai capito?

Paolo — T'ho capito, sì.

Cavaliere — Non lo sei anche tu?

Paolo — Dicono che molti nobili e uo­mini di chiesa sono della stessa parrocchia... Del resto, c'è un termine che avete inventato voi.

Cavaliere — E sarebbe?

Paolo — Sodomia.

Cavaliere — Inventato? Adottato, se mai; perché sta nella Bibbia.

Paolo — Già, è vero.

(Una lunga pausa. I due si guardano in silenzio).

Cavaliere — (rompendo il silenzio) Però ste donne... Aveva ragione Leonardo. Nel corpo hanno qualcosa di troppo.

Paolo — Ma Leonardo era  froscio .

Cavaliere — E con questo? Non lo erano anche Michelangelo, Giulio Cesare, Cristoforo Colombo, Platone, Socrate, eccetera? Vuoi mettere il nudo maschile con quello femminile?... Hai presente l'Apollo del Belvedere?

Paolo — A chi lo dici...

Cavaliere — Le donne del Giorgione e del Tiziano sono tutte  « sgallettate ».

Paolo  —  Concordo.

Cavaliere — Per me, la donna ideale dev'essere un po' androgina: Raquel Welch... Ursula  Andress...

Paolo — Sì. Vai con la donna e pensi all'uomo.  Due cose insieme.

Cavaliere — Due cose insieme. Sai che hai dei pensieri profondi?

Paolo — Figurati.

(Un'altra pausa).

Cavaliere — Mio nonno  era pederasta.

Paolo — No! Che mi dici?

Cavaliere — Lo sanno tutti. E poi nella mia famiglia ce n'è altri nei secoli passati... ma allora  non  ci facevano  caso.

Paolo — Perché ora, ci badano? Sono così tutti quelli che contano: i couturiers, i registi,   i   politici...

Cavaliere —  .... I  costumisti...

Paolo  —  Sì.   Anche i costumisti.

(Un'altra pausa).

Cavaliere — Mò, la puzza è troppo forte.

Paolo — Sì. È forte.

Cavaliere — Che ne diresti se spegnessimo,  così mangiamo senza sta  puzza?

Paolo — Te lo volevo chiedere. Allora vado.

Cavaliere — Va. Ma torna presto, Paoletto.

Paolo — Un  minuto.  E  torno.

Cavaliere — Mi prende la malinconia a star solo.

Paolo — (avviandosi) Anche a me.

Cavaliere — Andiamo proprio d'accordo.

Paolo — È quello che penso. Aspettami.

Cavaliere  — E chi si muove?

Paolo — Volevo dire:  mangiamo dopo?

Cavaliere — Sì. Prima ci conosciamo meglio...

Paolo — O.K.  (Esce).

Cavaliere — (si distende. Accende uno dei suoi enormi sigari e butta via con un gesto tutte le foto di Lili).

(Si sente la radio).

Voce radio — Qui, aeroporto di Fiumi­cino... fra i partenti, Sophia Loren, Burt Lancaster, il cancelliere Brandt e tre dame del  nuovo Ordine delle Lazzarettiane...

Cavaliere — (spegne la radio).

(Il solito suono delle campane a festa invade la scena).

Paolo — (riappare) Eccomi. Sono tutto per te.

Cavaliere — Bravo.  Vuoi fumare?

Paolo — Sì. Voglio provare.

(Mentre il Cavaliere gli accende uno dei suoi enormi sigari e Paolo dà la prima boccata, soddi­sfatto...).

F I N E