Il burattinaio

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IL BURATTINAIO

COMMEDIA IN UN ATTO

DI ARTHUR SCHNITZLER

(Traduzione di Umberto Barbaro)

PERSONAGGI

EDOARDO

GIORGIO

ANNA

IL PICCOLO

Stanza modesta ma graziosa e bene ordinata. Due finestre; sfondo di tetti, colline, cielo pri­maverile azzurro pallido. A destra la porta d'in­gresso e, a sinistra, un'altra porta. Edoardo Ja-gisch entra da destra. E' un uomo gracile, sbar­bato, di circa quarant'anni, vestito modesta­mente ma decentemente; simpatico nel suo a-spetto un po' timido. Subito dopo di lui entra Giorgio Merklin, di circa cinquant' anni. Barba piuttosto imbiancata, folta chioma grigia. Cap­potto logoro, dal bavero sollevato, calzoni scuri un po' sporchi, cappello pieghevole, scarpe ma­landate e impolverate : tuttavia i modi di lui sono improntati a una certa nobiltà anche este­riore.

Edoardo                        - Eccoci, siamo a casa. Vieni, Gior­gio, sii il benvenuto. Io non so dirti quanto be. nedica il caso, quanto ini faccia piacere... (Posa il cappello sul sofà) Allora non vuoi spogliarti?...

Giorgio                          - (si chiude con intenzione il cappotto) - Grazie, grazie.

Edoardo                        - (osserva i vestili di Giorgio; sul suo viso passa un’impressione di compassione che egli non vuol far comparire) ~~ Sì, hai ragione : fa piuttosto freddo. Ma naturalmente alla fine di aprile non si riscalda più, non è vero? Non ti siedi? (Giorgio rimane in piedi) Dunque, Giorgio., sai quanto tempo è passato? Più di undici anni... sì, più di undici anni che non ci vediamo. La cosa più curiosa è che, proprio ieri, si sono compiuti gli undici anni...

Giorgio                          - Ieri?

Edoardo                        - Sì, io so che l'ultima volta che ci siamo visti è stato il ventotto aprile. Perchè l'ultima sera che ci siamo visti è stata per me, in certo qual modo, indimenticabile, e ancora ha per me un suo curioso fascino...

Giorgio                          - Lontano...

Edoardo                        - E' passato tanto tempo senza che ne sapessimo niente uno dell'altro, e a un tratto c'incontriamo così per caso in strada. Pensare che si sarebbe potuti vivere nella stessa città senza mai incontrarci!

Giorgio                          - Certamente.

Edoardo                        - Ma non per colpa mia. Per conto mio ti ho cercato... ho fatto delle vere indagi­ni... per lo meno negli ultimi tre anni, da quan­do sono tornato dall'America. Ci tenevo molto a ritrovarti.

Giorgio                          - (che è rimasto allo stesso posto, si guarda attorno per la camera. Con aria indiffe­rente) Perchè?

Edoardo                        - Perchè? Ma io avevo un grandis. simo desiderio di rivederti. Non lo capisci? Pen­sa quanto siamo stati insieme ai bei tempi! Spe­cialmente megli ultimi giorni del mio soggiorno a Vienna. Fu nella mia cameretta a Neudorf-strasse che tu ci hai letto la tua commedia.

Giorgio                          - (alla finestra) Che bella vista!

Edoardo                        - Sì. Dico anch'io. Per questo son venuto ad abitare qui, così lontano. Tuttavia anche questo ha i suoi lati spiacevoli, special­mente quando io esco tardi dall'Opera e fa cat­tivo tempo. Quando è bel tempo tante volte io vengo a casa a piedi anche d'inverno. Non ci vogliono più di tre quarti d'ora. E si è proprio in campagna. C'è anche un giardinetto vicino alla casa; noi non possiamo andarci. Ma per il ragazzo è già una buona cosa, se egli mette la testa fuori dalla finestra della cucina, che respi. ri il profumo dei fiori.

Giorgio                          - (si volge improvvisamente verso di lui) Sei sposato?

Edoardo                        - (un po' spaventato all'idea di essersi tradito troppo presto) Certo che lo sono.

Giorgio                          - Sì. E perchè no» me lo hai detto subito?

Edoardo                        - Volevo farti una sorpresa. Ma ormai è detto.

Giorgio                          - Già da molto tempo?

Edoardo                        - Secondo quello che s'intende. Co­munque mia moglie è andata a prendere il no­stro bambino a scuola, e il nostro bambino ha otto anni.

Giorgio                          - Ah!

Edoardo                        - Sì. E ti debbo dire che sono feli­ce, veramente felice, senza ombre.

Giorgio                          - (scuotendo il capo)  Felice... Io non avrei il coraggio di dire a voce questa parola.   , E' forse un modo di scongiurare la iettatura.

Giorgio                          - Tu sei molto cambiato.

Edoardo                        - Trovi?

Giorgio                          - Se penso che tu una volta eri un ragazzo timido, pauroso, direi quasi meschino...

Edoardo                        - Oh!

Giorgio                          - Sì, eri umiliato... e ora!...

Edoardo                        - Già, ora io ho la sensazione clje tutta la mia infelicità sia ormai, per me, un passato. Ora non può più succedermi nulla di male. Naturalmente, la morte. Ma quella viene per tutti. E poi, ti assicuro che la morte non ha più niente di spaventevole se si ha una mo­glie e un bambino che sai che ti rimpiangereb­bero. Io non so che cosa ne pensi tu di queste cose.

Giorgio                          - Io non ho né moglie né figli e perciò sto dinanzi alla morte senza troppa sim. patia. Perchè mi guardi così? Come mi trovi?

Edoardo                        - Bene, bene... Benissimo.

Giorgio                          - Grigio.

Edoardo                        - Grigio. Ma anch'io, vedi, comin­cio a imbiancarmi : guardami le tempie. E tu sei di quasi dieci anni più vecchio di me...

Giorgio                          - Io ho conosciuto un tale che a ventisette anni era già tutto bianco.

Edoardo                        - Ma certo: Morelet. L'ho conosciu­to anch'io... era tutto bianco. Lo incontro an­cora, qualche volta, ma ora non ci salutiamo più. Eh già, la vita. C'era anche lui con noi quella sera, quella sera indimenticabile...

Giorgio                          -  (come tra sé) Essere grigio non vuol dir niente; e anche gli anni non vogliono dire proprio niente. Non ci sono uomini di sessanta o settant'anni che diventano padri o prendono parte alle campagne militari? Gente simile si può forse chiamare vecchia? No. C'è una cosa sola che prova che si è vecchi. La morte. No» sono vecchi coloro che hanno, cento anni, ma coloro che devono morire domani. (Guardando alla finestra) Quella giovane signo­ra, per esempio, è vecchissima, se è destino che arrivata all'angolo si abbatta al suolo morta.

Edoardo                        - Oh, io temevo che tu indicassi mia moglie che deve tornare da un momento al­l'altro. No, no, non è lei.

Giorgio                          - Mi sarebbe dispiaciuto moltissimo.

Edoardo                        - E perchè?

Giorgio                          - Veramente io ho buone ragioni per stare più attento con questo genere di di. scorsi.

Edoardo                        - Che cosa vuoi dire?

Giorgio                          - Ti voglio raccontare una storia che mj è successa in treno un paio di anni fa. Erano circa le sei di una mattina d'inverno; di fronte a me sedeva un uomo sonnecchiante ap­poggiato all'angolo; io non lo conoscevo, non m'interessava affatto, non l'avevo mai visto. Im­provvisamente mi salta in mente: <t Che tu pos­sa morire ». E lo fisso per un certo tempo. Egli continuava a dormire tranquillamente. Io rico­mincio a guardare dal finestrino com'è mio soli­to la campagna coperta di neve e mi dimentico completamente di lui. Arriviamo a Vienna. Io mi alzo, scendo, l'altro non si. muove. Chiamo gente, lo portano fuori... morto! Morto. I me. dici dissero che si trattava di un colpo apo­plettico.

Edoardo                        - Certamente è un caso curioso.

Giorgio                          - Caso? Allora tu non sai quante volte capita, giorno per giorno, che si avveri quello che si è voluto in segreto e che si è Irri­flessivamente auspicato a voce alta? Tu non sospetti nemmeno la potenza misteriosa che esi­ste nelle nature capaci di creare? Io mi sono recato da un commissario di polizia e gli ho narrato 11 caso: « Mi metta in prigione, signo­re,             - gli ho detto,       - perchè io sono certamen­te colui che ha ucciso quell'uomo. E, per di più, non ne provo il più piccolo rimorso ». Ma il commissario non mi ha messo in prigione e mi ha subito rimandato.

Edoardo                        - Ah, tu sei sempre lo stesso! Vec­chio mio! Giorgio, Giorgio!... Ma che fa mia moglie che proprio oggi tarda tanto a venire? Come rimarrà stupita! Tu non puoi immagi­nare, Giorgio, quan'ìo spesso io le abbia parlato di te. Posso offrirti un sigaro?

Giorgio                          - Grazie, no, grazie. Non fumò più. Ho perduto queste abitudini superflue. No... no... Lascia, non lo sopporterei più nemmeno.

Edoardo                        -  Come vuooi tu. Ma almeno siediti. E, raccontami un po', che cosa hai fatto tutto questo tempo? Io non riesco a capire come mai non si sia più sentito parlare di te che avevi cominciato così bene...

Giorgio                          - Sono stato dimenticato. Dillo pu­re. Ti assicuro che non mi dispiace affatto di essere stato dimenticato. E per di più trovo che a gente del mio stampo la miglior cosa che possa succedere è di essere dimenticati.

Edoardo                        - Ma allora... sembrava che... tutti noi aspettavamo... Allora tu eri sulla strada di diventare qualche cosa di grande.

Giorgio                          - E chi ti dice che io non lo sia diventato? Debbono per forza accorgersene gli altri? Se tu vendessi oggi il tuo oboe e se le tue dita o le tue labbra fossero paralizzate così die tu non potessi più suonare, non sa­resti tu forse più un virtuoso come prima? 0 se tu non avessi più voglia di suonare e get­tassi l'oboe dalla finestra perchè il suono fosse diventato insufficiente alla tua vita, saresti for­se per questo meno artista di prima?

Edoardo                        - Quello che tu dici l'ho pensato spesso anch'io.

Giorgio                          - Ebbene, io ho gettato il mio oboe dalla finestra. Gli 'stupidi possono dire che non ho più nessuna ispirazione: io li lascio gri. dare. Il vero artista non può perdere niente perchè egli ha tutto in se, ha una pienezza in­terna. E' questo ciò die vale.

Edoardo                        - Mi pare di averti visto ieri per l'ultima volta... Veramente! Non'riesco a con­cepire che ci rivediamo solo oggi per la prima volta dopo quella festa d'addio del 28 aprile...

Giorgio                          - Non era una festa d'addio. E' stata soltanto una combinazione...

Edoardo                        - Per me lo era. Io avevo già in tasca la mia scrittura per Boston. Non ti ri­cordi più? Si bevve al mio avvenire. Tu hai tenuto perfino un discorso. Non ti ricordi? Che sera! E' stata la prima sera primaverile della mia vita. Io la rievoco come un sogno. Stavamo sotto i grandi alberi a due tavolini che si erano dovuti riunire per la circostanza... Sui tavoli ardevano torce a vento. Merelet, il canuto Merelet, stava seduto là, e qui Habicht, quel giovane attore dagli occhi chiari, e qui quella violinista che morì poi nello stesso anno. E la tua amante... di una volta era tutta vestita di bianco, aveva delle rose rosse scure nei ca­pelli... e poi, quando non ci fu più nessuno in giardino, si sdraiò ai tuoi piedi e appoggiò il capo alle tue ginocchia. Si chiamava Irene.

Giorgio                          - Sicuro. Si chiamava Irene. Del resto mi ricordo che anche tu quella sera non hai avuto a lagnarti.

Edoardo                        - Ah, no! Certo che no! Non ho proprio avuto di che lagnarmi.

Giorgio                          - L'hai rivista? Voglio sapere se dopo quella sera l'hai rivista.

Edoardo                        - (finge di non aver capito) Irene?

Giorgio                          - No, no. L'altra. Quella che se­deva a fianco a te. Quella biondina dal viso di bambola. L'hai rivista?

Edoardo                        - Quella bionda? No. Avevo in tasca il mio contratto per Boston. Un paio di settimane dopo dovevo partire. L'avevo già firmato. Come avrei potuto rivederla?

Giorgio                          - Era una bella creatura.

Edoardo                        - Oh, sì, bella. Un'amica d'Irene, se non sbaglio.

Giorgio                          - Sì, voglio dire, erano amiche quanto possono essere amiche due donne. (Guar­da dinanzi a se. Poi) Edoardo...

Edoardo                        - Che cosa?

Giorgio                          - Per te quella è stata la prima sera inebbriainte, per così dire, la prima sera me­ravigliosa che tu abbia vissuto?

Edoardo                        - E' stata una sera molto strana certamente.

Giorgio                          - Quella sera, sono state le prime \ parole dolci che ti sei sentito dire... non è 1 vero?

Edoardo                        - Credi?

Giorgio                          - Lo so bene. Quante volte ti avevo j sentito sospirare che tu non eri nato per k I felicità, che eri destinato a trascorrere una gio- 1 ventù sconsolata e triste... perchè tu eri un I giovanotto timido e pauroso...

Edoardo                        - Sì, la mia vita era triste sotto I molti punti di vista.

Giorgio                          - Quello che io rievoco ha uno eco* 1 pò, Edoardo, e lo credo che il destino ci abbia ! fatto incontrare di nuovo solo perchè io possa dirti la verità.

Edoardo                        - Che cosa mi vuoi dire, Giorgio?

Giorgio                          - Io penso che quella sera sia stata per te la più importante di quanto tu stesso non sospetti. Io penso che quella volontà di vita di cui tu ti sei allora inebbriato sia quella di cui sei pieno ancora oggi. Perchè allora tu I hai compreso per la prima volta che anche tu eri in grado di dare e di ricevere la felicità.

Edoardo                        - E' vero.

Giorgio                          - Se non ci fosse stata quella sera tu saresti ancora oggi il giovinetto intimidito e pauroso di allora. Forse non avresti mai trovato il coraggiodi avvicinare una donna.

Edoardo                        - (turbato) Hai ragione.

Giorgio                          - E come mai è avvenuto questo? Che cos'è che ha provocato in te questa tras­formazione della tua vita? Il fatto che lu hai creduto che la bella ragazza che ti sedeva ac­canto si fosse innamorata di te al primo eguardo.

Edoardo                        - Ma avevo ben motivo per ore. derlo.

Giorgio                          - Avevi motivo per crederlo, ma ti sei ingannato.

Edoardo                        - Com'è mai possibile?

Giorgio                          - Era tutto uno scherzo che avevo organizzato io.

Edoardo                        - (con finta meraviglia) Come, uno scherzo ?

Giorgio                          - Si. Era una cosa preparata. La piccola si comportò in quel modo con te sol­tanto perchè io gjiel'avevo chiesto. Voi era­vate due marionette nelle mie mani. Ero io che dirigevo i fili. Era stabilito clic lei avrebbe fiuto di essere innamorata di te. Io volevo risvegliare in t© la suggesione della gioia, perchè la gioia vera ti trovasse preparato quando tu l'avessi trovata. E io - come agli uomini del mio stam­po è dato di poter fare - ho ottenuto un risul­tato forse molto superiore a quello che mi ero ripromesso. Io ho fatto di. te un altro. E ti debbo dire; è un nobile piacere quello di gio­care con gli uomini.

Edoardo                        - Ascolta, Giorgio, a conti fatti io credo che tu avresti dovuto dirmelo.

Giorgio                          - Ma perchè?

Edoardo                        - Pensa, io allora ho pienamente creduto... (Alla finestra) Ah. eccola! Mia mo­glie. Ah, come sarà contenta!...

Giorgio                          - Ma anzitutto io voglio dirti che io non sono in condizioni... Tu vorrai fare le mie scuse per il mio vestito...

Edoardo                        - Ma non fare complimenti! Tu per mia moglie sarai il benvenuto!

Anna                             - (sui trentanni; molto graziosa, vestita molto semplicemente ma con gusto. Con lei un bambino di otto anni).

Edoardo                        - Ah, sei tu finalmente! Guarda chi ti ho portato!

Giorgio                          - (s'inchina).

Anna                             - (lo guarda, lo riconosce, è molto stu­pita, poi si riprende) Ah, è ancora al mondo lei!...

Giorgio                          - (la guarda).

Anna                             -  (gli tende la mano) Benvenuto!

Giorgio                          - (l'ha riconosciuta) E' mai possì­bile? Anna? (A Edoardo) E questo tipo che mi ha fatto raccontare tutta la storia dal prin­cipio alla fine! Un simile sfacciato è dunque diventato il giovanotto timido di una volta! Dunque voi siete sposati?

Edoardo                        - Come vedi. E ora immagina quanto mi abbia fatto piacere rievocare quei momenti insieme a te... Per me e per Anna...

Anna                             - Certamente. (Fissa a lungo Giorgio).

Edoardo                        - (ad Anna) Dunque tu devi sa­pere che noi siamo i suoi burattini. Però i tuoi burattini sono diventati ben vivi, non è vero, Giorgio ?

Giorgio                          - Lo vedo bene. Questo dunque è vostro figlio. Bel ragazzo. Quanti anni hai, pupo?

Il piccolo                       - Otto anni e qualche mese.

Giorgio                          - (lo tiene per mano) E come ti chiami?

Il Piccolo                       - • Mi chiamo Giorgio Jaeiseb.

Giorgio                          - (rivolto agli altri) Giorgio? Quale dei vostri parenti si chiamava Giorgio?

Edoardo                        - Nessuno. Ci siamo permessi di chiamarlo così per un nostro vecchio amico, per un certo burattinaio... (Ride contento) E* stata un'idea di mia moglie...

Giorgio                          - (li guarda) Ragazzi, voi non vi rendete conto di quanto questa storia sia dÌS« gustosa! (Tra se) Giorgio!

Anna                             - Su, pìccolo. Adesso vai di là, metti a posto le tue cose e lavati le mani; dopo puoi tornare.

Giorgio                          - Si, Giorgio, puoi tornare. .. (Il piccolo esce. Pausa).

Anna                             - Dunque ci si rivede. Si accomodi. Non si vuole spogliare? (Guarda Edoardi) Ve­ramente fa un po' freddino... Anch'io vorrei mettermi qualche cosa addosso.

Giorgio                          - Sì, fa freddo. E del reato vi dirò che io non mi tolgo il cappotto perchè sono in abito da lavoro. Non avevo nemmeno la più lontana idea che oggi sarei stato a fare una vi. sita. Anna, lei è rimasta veramente giovane...

Edoardo                        - Ma datevi del tu come una volta. Non c'è proprio nessun motivo.

Giorgio                          - Veramente non c'è nessun mo­tivo. Dunque, Anna, tu sei rimasta veramente giovane.

Edoardo                        - (guarda la moglie pieno di amore) Sì.

Anna                             - Ma com'è andana? Come mai vi siete...

Edoardo                        - Un caso, Anna. Qui dinanzi a casa nostra. Dopo che lo si è cercato per anni e anni col lanternino! Vado a «passo, o meglio» torno dalle prove, e lo redo qui a dieeì passi da me... L'ho subito riconosciuto dall'andatura. Lui si è voltato e voleva andarsene.

Giorgio                          - Non ti avevo riconosciuto. Tu sai che io sono un po' miope.

Edoardo                        - 0 non volevi farti vedere. Ma no, sarebbe stato troppo brutto; quando si è cercato un uomo per tanti anni...

Giorgio                          - (serio) ...Col lanternino...

Anna                             - Dov'è stato tutto questo tempo?

Edoardo                        - Dove sei stato? Insisto perchè continuiate a darvi del tu, come prima...

Anna                             - Dove sei stato tutto questo tempo?

Giorgio                          - La maggior parte del tempo l'ho passata viaggiando.

Anna                             - Viaggiando?

Giorgio                          - Intorno al mondo.

Anna                             - Solo?

Giorgio                          - Completamente solo. In principio però non solo.

Anna                             - In princìpio con Irene?

Giorgio                          - Sì, con Irene.

Edoardo                        - Hum. E dove... (guarda Anna) dov'è ora Irene?

Giorgio                          - (tranquillamente) Non lo so. Non ne ho più sentito parlare da molto tempo. Io sono stato in California, poi in India... E poi, a poco a poco, mi sono limitato all'Europa, e i miei viaggi sono stati sempre più pic­coli e circoscritti. (Traccia nell'aria una spi­rale) Ormai mi limito a fare passeggiate per i dintorni di Vienna. Ma non c'è nessuna dif­ferenza. Perchè per me una passeggiata di que. sto genere rappresenta più che per altri il giro del mondo. Ovunque ci sono uomini da vedere e destini da comprendere.

Edoardo                        - Peraltro ora vivi molto ritirato?

Giorgio                          - Secondo come s'intende. Trovo an­che compagnia quando ne ho voglia. Ho anche amici e amiche... per iin giorno... E un giorno vuol dire molto quando si sa stare al mondo. Io sono come Harun-al-Rascxd, lo sconosciuto che circola tra il popolo. La gente con cui parlo (ampio gesto) non sospetta nemmeno chi sia io... e chi si congeda da me non sa nemmeno se mi rivedrà. E' un destino interessantissimo.

Edoardo                        - E quando non vai a spasso che cosa fai? Di che cosa ti occupi? (Decisamente) Non scrivi più?

Giorgio                          - Scrivere... Nel senso che tu dai alla parola no. In un altro sì.

Edoardo                        - Lo sapevo.

Giorgio                          - Non sai niente. E' una cosa uni­versalmente nota che bisogna mangiare. Almeno una volta ogni tanto. Solo per questo scopo io faccio ogni tanto qualche lavoretto per ì gior­nali. Naturalmente non col mio nome. Allo stes­so modo io potrei portare carbone o tagliare flauti nelle cannucce. Con ciò intendo dire che questo lavoro non ha niente a che fare con me e che non mi sottrae niente della mìa anima. Ma basta! Basta! (Pausa. Sguardo tra Anna ed Edoardo) E' strano.

Edoardo                        - Che cos'è strano?

Giorgio                          - Che bella casetta avete. La lampa­da sul tavolino, un pupo che cresce intorno a voi, (entra la donna di servizio) una donna di servìzio; probabilmente siete assicurati contro gli infortuni e contro gli incendi...

Anna                             - (prende di mano alla donna la tovaglia e comincia ad apparecchiare. La donna esce).

Giorgio                          - Già, chi lo avrebbe mai detto dieci anni fa!

Edoardo                        - Già, chi lo avrebbe mai pensato undici anni fa, il ventotto di aprile!

Giorgio                          - (come ricordando improvvisamente) Io non riesco più a capire come sono andate le cose. Era tutto uno scherzo...

Edoardo                        - Ed è diventato una ''cosa seria. Non è vero, Anna? (Prende Anna per la vàa. Elle se ne libera lentamente) Meravigliosa realtà.

Giorgio                          - E com'è mai possìbile che voi?...

Edoardo                        - Ma ragiona un po', Giorgio... Questo era il meno che lei potesse fare per ri­sarcirmi...

Anna                             - Non dire questo, Edoardo! Il fatto di doverti risarcire veniva a cadere dal momen­to che tj ho confessato tutto.

Giorgio                          - (guarda ora uno ora l'altra) Ah, così... allora tutto è chiaro.

Edoardo                        - Invece ti sbagli moltissimo. La cosa più interessante tu forse ancora non la sai.

Giorgio                          - E sarebbe?

Edoardo                        - La cosa più interessante in tutta questa storia è che Anna aveva prima una certa inclinazione per te.

Giorgio                          - Per me?

Edoardo                        - (ad Anna) Egli deve saperlo. Dob­biamo dirglielo. Sotto diversi punti di vista è nostro dovere dirglielo. Sì, lei aveva una simpa. tia per te.

Giorgio                          - Anna?

Anna                             - (apparecchia tranquilla) Dev'essere più o meno vero. Altrimenti io non avrei accet­tato di fare quella commedia.

Giorgio                          - Non capisco. Non capisco proprio nemmeno una parola.

Anna -                           - Quella commedia era veramente la mia ultima speranza, per co»ì dire. Tu avresti dovuto ingelosirti.

Giorgio                          - Ah, io avrei dovuto... Hum... E-doardo, questo forse ti farà dispiacere sentirlo dire...

Edoardo                        - Dispiacere? Tutt'altro. Ma sai che sei buffo! Non ti accorgi che questo è il più bel trionfo della mia vita?

Giorgio                          - Allora va beine. Coraggio, Anna...

Anna                             - Non c'è più niente da raccontare. (Ridendo) La cosa non mi è riuscita, tu non ti sei ingelosito affa'tto. E così tutto è finito.

Giorgio                          - Finito.

Anna                             - (ridendo) Doveva esser finito per forza, dato che la mia ultima speranza era sva­nita... Non è vero? Naturalmene io dovevo ri. conciliarmi...

Giorgio                          - Comunque vien fatto di pensare che la tua simpatia per me non fosse troppo forte.

Edoardo                        - Per conto mio io l'ho sempre creduto. Era una specie di amicizia, una comu­nione di sentimenti, se si può dire così. E poi c'era la buona intenzione di metterti sulla buo­na strada...

Giorgio                          - Sulla buona strada?

Anna                             - Quella che io credevo una buona strada.

Edoardo                        - Anzitutto guarirti da una pas­sione infelice.

Giorgio                          - Da quale passione?

Anna                             - (guarda dinanzi a sé).

Giorgio                          - Da quale passione infelice?

Edoardo                        - (tace).

Giorgio                          - Bene?,

Anna                             - Ella era in qualche modo colpe, vole del fatto che tu dopo il primo successo hai abbandonato...

Edoardo                        - Che hai lasciato il posto dal quale ricavavi un sicuro guadagno.

Giorgio                          - Perchè credeva in me... Credeva in me. Non voleva che io dovessi consumare la mia libera anima in ufficio.

Anna                             - Io avrei, con tanto entusiasmo, cer­cato dì darti quella tranquillità e quella pace che ti occorrevano e che tu non potevi trovare accanto a Irene.

Giorgio                          - Tranquillità? Pace? Sono forse queste cose che hanno per me la minima im­portanza ?

Anna                             - Comunque io credevo, sotto molti riguardi, che Irene non fosse adatta per te.

Giorgio -                       - Non fosse adatta?

Edoardo                        - Se debbo adoperare una parola forte, dirò che ti trattava come uno stupido.

Giorgio                          - A me? Chi, Irene?

Anna                             - Per lo meno io ero convinta che sa­rebbe stato meglio per te non avere niente a die fare con lei. Credevo che tu stesso lo sen­tissi.

Giorgio                          - Che lo sentissi io stesso?

Anna                             - Che tu stesso sentissi che Irene... Perciò io ho recitato la parte che tu volevi... Quella sera mi sembrò perfino in qualche modo che il gioco fosse riuscito. Tu mi guardavi...

Giorgio                          - Come ti guardavo?

Anna                             - Come una volta eri solito guardare Irene... E il giorno dopo io mi sono confer­mata nella mia sciocca illusione. In certo qual modo io ti ho aspettato. Mi pareva che tu... (Pausa) Ma tu invece non sei venuto. E un paio di giorni dopo ho visto finalmente chiaro. E me ne sono molto vergognata. Non per te, ma per lui. Per Edoardo. Sì, nel più profondo della mia anima me ne sono vergognata per noi due. Mi è tanto dispiaciuto. Avrei preferito...

Edoardo                        - Non lo dire.

Anna                             - (sottovoce) Avrei preferito morire.

Edoardo                        - Sì, me lo hai detto. Me lo ha detto anche allora, Giorgio. Mi si è gettata ai piedi. E io, naturalmente, l'ho risollevata. Mi ha raccontato tutto. Sì, molto più di quanto non sapessi tu stesso. E ha pianto nelle mie braccia.

Anna                             - (ridendo) Sì. E lui è stato molto buono. La cosa non è stata difficile. E' stato molto bene che tu non sia venuto.

Edoardo                        - E mi ha scritto delle lettere quan­do io ero in America. E che lettere! Le ho con. servate tutte. Ogni tanto le leggiamo insieme. Stanno lì, nello scaffale. E, infine, dopo un po' di tempo ha preso un biglietto e mi ha rag­giunto a Boston. Sì, Giorgio, qui c'è innanzi ai tuoi occhi una creatura che è venuta in Ame­rica a raggiungermi, tanto mi amava...

Giorgio                          - (riflessivamente) E se io fossi ve. nuto quando tu mi aspettavi?

Anna                             - Probabilmente le cose sarebbero an­date diversamente.

Giorgio                          - E' possibile. Di quanti pericoli si è a volte minacciati senza saperlo.

Edoardo                        - Come?

Giorgio                          - Se io penso che mi sarebbe potuto capitare di diventare un buon padre di famiglia come te... Di sedere sotto una lampada a una tavola apparecchiata, di avere una donna di ser­vizio. No, rallegriamoci di non over venuto. No, io non sono nato per mangiare a una ta­vola apparecchiata!

Edoardo                        - Ma oggi, Giorgio, oggi, ecoezio. nalmente tu mangerai a una tavola apparec­chiata.

Giorgio                          - Che cosa?

Edoardo                        - Rimani a pranzo con noi.

Giorgio                          - Impossibile.

Edoardo                        - Ma guarda, Anna ha già appa­recchiato per tre.

Giorgio                          - No, ti prego. Lasciate stare. Io desidero condurre la mia vita senza noie. Io non sono abbastanza giovane per togliermi le mie abitudini di anni.

Edoardo                        - Di quale abitudine si tratta?

Giorgio                          - Io sono abituato - potete riderne . a fare i miei pasti in libertà durante le mie pas­seggiate, e per questo mi porto quello che mi occorre in tasca.

Il piccolo                       - (entra) Non è ancora pronto?

Giorgio                          - Pazienza, piccolo. Ora viene la minestra. E neanche voglio disturbare le vostre abitudini.

Edoardo                        - Ma Giorgio...

Giorgio                          - (deciso) Lasciatemi.

Edoardo                        - Va bene. Ma ci rivedremo.

Giorgio                          - E' possibile ma non è certo. Io vivo sempre senza programmi. E se voi per caso venite a sapere il mio indirizzo, vi prego di non formalizzarvi, io non mi attendo che voi ricam­biate la mia visita...

Edoardo                        - Ma se anche tu non vuoi che ti sj venga a provare, caro amico, permettimi al. meno che mi interessi... io ho molte relazioni... potrei forse esserti utile in qualche modo...

Giorgio                          - Utile ? A quanto pare tu vor­resti trovarmi un posto?

Edoardo                        - Non sarebbe male per ite.

Giorgio                          - Dunque tu non puoi sopportare di vedermi così libero? Io dovrei dunque ri­diventare uno stupido come quando gli stupidi si aspettavano qualche cosa di buono da me? Ma i tempi sono cambiati. Quando io ero povero potevo darvi tutto quello che possedevo. Oggi son troppo ricco per essere sprecone.

Edoardo                        - Ma io non penso a un impiego nel senso corrente della parola. Ma potrebbe be. nissìmo darsi che tranquillamente e con un po' di attività tu potessi arrivare alle ricchezze e alla gloria.

Giorgio                          - Gloria? Dieci anni? Mille anni? Centomila anni? Dimmi in quale anno comin-ca l'immortalità e io mi occuperò della gloria. Ricchezza? Dieci soldi, mille, mi milione? Dim­mi quanto ci vuole per comperare il mondo e io mi occuperò di ricchezza. Per ora per me la differenza tra la ricchezza e la povertà, tra l'oscurità e la gloria è troppo piccola perchè sia disposto a muovere un solo dito per queste cose. Lasciami andare a spasso, lasciami giocare con gli uomini, caro amico. Questa è l'unica cosa i che possa fare un uomo come me. Arrivederci, i cari, sono molto contento di avervi rivisto. (Al piccolo) Addio, Giorgio, addio! (Agli altri) Chi sa a che cosa è destinato questo ragazzo! E pensare che forse non sarebbe nato se io quella sera avessi avuto l'idea di venirti a tro. vare... Dovete raccontarglielo un giorno, quan­do sarà abbastanza grande per capire.

Edoardo                        - Ci penseremo.

Giorgio                          - Veramente... Figlio del mio ca­priccio! (La donna porta la minestra) Addio.

Edoardo                        - Neanche un cucchiaio di minestra? C'è da offendersi! Vuoi andar via senza nem. meno...

Giorgio                          - Voglio dare un bacio sulla fronte del mio piccolo omonimo. (Solleva il ragazzo e lo bacia). Forse anche questo gesto commovente ha bisogno di una spiegazione. Non esito quindi a raccontarvi che anch'io ho avuto moglie...

Edoardo                        - Hai avuto moglie?

Anna                             - Irene.

Giorgio                          - Sì. E un bambino.

Anna                             - Un bambino?

Giorgio                          - - Sì.

Anna                             - E dove sono?

Giorgio                          - Mia moglie è andata via da tempo. Il bambino che mi ha lasciato (con ostentata freddezza) è morto. Vedete bene, cari miei, che ] il destino non vuole che io sia legato alle cure quotidiane. Uomini come me debbono essere liberi se vogliono vivere. Salute! (Esce),

Edoardo                        - (fa per seguirlo) Giorgio!

Il piccolo                       - (ha cominciato a mangiare la mi­nestra).

Anna                             - Lascialo andare! Lascialo andare! non togliamogli l'unica cosa che gli sia riinasta.

Edoardo                        - Che cosa?

Anna                             - (lega la salvietta al collo del bambino).

Edoardo                        - (le accarezza dolcemente i capelli).

Anna                             - (non. lo guarda).

Edoardo                        - (annuisce) Sì...

(Seggono e cominciano a mangiare).

Fine