Il canto del cigno

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di Luigi Lunari

ATTO UNICO

Personaggi

L'ATTORE

LA DONNA

Copyright © 2005 Luigi Lunari • I 20047 Brugherio MI • Via Volturno, 80 / Cond. Cedri

Tel./Fax: +39 039 883177 • E-mail: luigi.lunari@libero.it


Un palcoscenico. È - o sembra - adattato ad ospitare una di quelle serate artistico-mondane nelle quali si distribuiscono premi ad attori, registi, pro­duttori e via dicendo: Oscar, Donatelli, Ambrogini, Grolle e via dicendo.

E in effetti una elegantissima presentatrice - una via di mezzo o un insieme di grande star e di velina - prende il centro del palcoscenico (o già vi si tro­va): attende con un sorriso che uno squillante alarum di ottoni concluda il proprio strombettamento, e poi - con lo stesso od altro sorriso - si porta il microfono a tiro di morso, e annuncia…

LA PRESENTATRICE  Ed ora, signore e signori, amici presenti in sala e voi, telespettatori che ci seguite dalle vostre case... ecco a voi, per il premio all'attore, il più ambito di questa serata... (Scherzosa, sbarazzina)

... ma c'è bisogno che ve ne dica il nome, dopo che le voci di corridoio han­no già detto tutto?... (Seria, compresa)

E d'altra parte, quando mai un "primo premio", un Sangenesio d'Oro, è ap­parso tanto scontato e atteso, come in questo caso?

E dunque...   ecco a voi...  LUI!...

(Lui, l'attore, entra in scena sorridente, come da copione in questi casi. Gli altoparlanti diffondono l'applauso oceanico di una standing ovation. L'atto­re entra salutando con calorosi gesti la folla plaudente, si avvicina alla Presentatrice, la bacia su ambe le gote, di nuovo si rivolge al pubblico. Un tavolinetto, invisibilmente mosso su rotaie, si avvicina: su di esso un trofeo splendente d'ori e di cristalli, che la Presentatrice prende e porge all'Attore. L'Attore lo prende, felice eppure leggermente imbarazzato come per troppo onore: lo solleva verso il pubblico, mentre nugoli di flash lo bersagliano, si svolge verso gli invisibili fotografi, con ovvio sorriso di circostanza… La Presentatrice si allontana, arretrando di qualche passo, come a lasciare l'Attore a gustarsi da solo il suo trionfo.

Le luci si restringono, durante le prime battute del testo che segue, a poco a poco riducendosi al cerchio di un seguipersone che inquadra l'Attore, sem­pre con il suo trofeo nelle mani. Di questo avanzare del buio approfitteran­no la Presentatrice e il tavolinetto per arretrare e sparire. È il momento dello speech. L'attore si inchina brevemente - a destra, a sini­stra e al centro - ed esordisce con ben recitato imbarazzo:)

L'ATTORE              Grazie.… grazie...  Vi ringrazio...  È banale dire che sono emozionato e commosso?… Ebbene, sono emozionato e commosso! Questo premio… è per me un grande onore, che spero meritato. La mia graziosa madrina ha detto che tutti sapevano, che era scontato...  Ebbene, io no! Ci speravo, cer­to, ma... fors'anche per scaramanzia...  evitavo di pensarci, mi dicevo... "Ma no, ma no! Tanti altri se lo meritano: come me, forse più di me... " E invece...  eccolo qui! L'ho meritato? Ai posteri l'ardua sentenza! Ora co­munque è mio: l'ho vinto io! Grazie a voi! Grazie! Grazie!

(Una pausa. Applausi.)

(L'Attore riprende, con qualche disagio)

Certo che...   alla mia età...  quando la strada davanti si accorcia...  quando si incomincia a intravedere la fine...  "the last curtain", come canta Sinatra... Beh, questi premi suonano un poco come una consacrazione: come il rico­noscimento di tutta una vita dedicata all'arte...  Tanto più graditi, dunque, perché assommano in se tutto quello che un povero attore ha cercato di fa­re...   in sessant'anni - pensate: sessant'anni! - sulle tavole del palcoscenico, davanti alla macchina da presa, negli studi della televisione...

Certo: questo premio mi è stato assegnato...  non forse per le cose più im­portanti che ho fatto...   peraltro in anni lontani...  in quel piccolo guscio di noce che è il teatro, oggi sballottato dalle ondate dei grandi mezzi di comu­nicazione di massa...   E questo premio si adegua all'oggi, e io...  orgogliosis­simo, certo... mi sento premiato forse per una cosuccia, che però raggiunge milioni di telespettatori. "Lo sketch pubblicitario più gradito dal pubblico". È più facile, o più difficile, che recitare bene "Essere o non essere"? La con­correnza è molto più forte, certo: di pubblicità vive il mondo, di sketch pub-blicitari vive la televisione: vincere in questa selva è arduo, eppure - come si suol dire - "molti nemici, molto onore"! Grazie!

(Il disagio non sembra dileguarsi. Riprende con un filo di fatica)

Certo: "à la guerre comme à la guerre"! A volte occorre andare incontro ai gusti del pubblico. Quando in teatro recitavo, agli ordini del Maestro: che mi limava addosso parola per parola, obbligandomi a scandagliare ogni sen­so più riposto delle intenzioni del poeta, e a mettere a profitto tutto il baga­glio tecnico acquisito in tanti anni di accademia, di studio, di professione...   . beh, era molto diverso! In questo caso si è trattato di affidarsi all'istinto: di inventare, di cercare - confidando anche e soprattutto nel caso - quel gesto, quel tono, quella parola che avrebbero sfondato! Che avrebbero fatto sì che alla sera, tutta la famiglia, a tavola, aspettasse quello sketch: il gesto, il laz­zo, che i ragazzini a scuola avrebbero ripetuto il giorno dopo...

(Improvvisamente mutando tono: ora complice, al pubblico:)

E che anche voi aspettate, vero? Siete qui per vedermelo fare: dite la verità!

(Gli altoparlanti: Sì sì)

Ebbene...   voilà!

(Gesto e battuta volgari. Avambraccio piegato a richiamare un' erezione, espressione vanesia da macho fatuo e italiota.)

Il viagra?!

Due ore di erezione!

Miiiii: un calmante![1]

(Applausi e risate. L'attore può, a richiesta, ripetere l'inverecondo lazzo.)

Grazie, grazie!

(Di nuovo riprende, di nuovo a disagio.)

Come è strana la vita! Mi ricordo alla prova d'ammissione dell'accademia, quando ho recitato...  "Voi che ascoltate in rime sparse il suono Di quei sospir ond'io nutriva il core...

E poi in teatro...  i "Sei personaggi": "Ma che finzione, signori! Realtà, signori, realtà!"

Oppure Shakespeare: "Parliamo di tombe, di vermi, d'epitaffi, e con le lacrime scriviamo sulla polvere le storie di morti re, e di come taluni morirono avvelenati, altri uccisi in battaglia... "

(Comincia ad agitarsi, sempre più nervoso ed agitato.) Ed ora eccomi qui, premiato...   per tutt'altro! Grazie...  Ma...  scusate, non vorrei fare il "sopracciò", o fare del moralismo fuori posto...  L'occasione è quella che è, certo: bisogna stare al gioco...  sorridere, e ringraziare. E io sorrido...   e ringrazio. Ma...  permettetemi d'esser sincero fino in fondo: è giusto? È giusto che io, dopo tante figure di re e di mendichi, di potenti e di poveracci, di tiranni, di vittime, di traditori, di santi...  che ho fatto rivivere di sulle assi del palcoscenico...  io, che ho visto davanti a me gente d'ogni genere commuoversi alle parole di Goethe, di Sofocle che "IO!" gli trasmettevo, o ridere per le invenzioni di Molière o del vecchio Aristofane che "IO!" gli ricreavo...   io, essere premiato...  per uno "sketch"! Per un gesto! Ma diciamo pure le cose come stanno: per la volgare scemenza di un gesto idiota!...   E voi, che qui mi chiedete di rifarlo!...  (E io lo rifaccio, e voi ridete, e vi divertite!) ...   a me che potrei dar eco qui alle parole con cui Socrate si è difeso...   o descrivere un naso con le rime di Cirano...  Ma non provate un po' di imbarazzo, forse un po' di rimorso?...  Come vi giustifichereste, domani, davanti ai vostri figli...  per aver privilegiato - in me - questa roba? Imbarazzo, ho detto? Macché imbarazzo: vergognarvi dovreste, voi, ben vestiti e lustri, che ogni sera depositate il cervello davanti alla tivvvù!, e vi bevete tutto, con l'aria beata di un bovino sazio!...

(A questo punto il suo furore è al massimo: ed egli getta via, lontano da sé, come lo rinnegasse, il trofeo splendente. Dall'altoparlante, si odono le reazioni crescenti del pubblico: buuuuu! e fischi. Tra l'attore e il pubblico ora è lotta piena.)

Imbecilli! Ecco che cosa siete: una massa di imbecilli! Fischiate, fischiate, non me ne importa un cazzo, dei vostri fischi! Anzi: riprendetevi questa merda! Tornate a casa, andate a cagare: non vi meritate altro: stronzi! Stronzi!

(I fischi e i boati si fanno assordanti.)

E spegnete quelle luci, accidenti a voi! Non voglio neanche vedervi in faccia! Non voglio veder più nessuno, stronzi maledetti! Via, via via!

(Con grandi gesti delle braccia sembra voler cancellare le luce che lo avvolge, e che ora in effetti si spegne.

Il palcoscenico piomba nel buio. Nel buio continuano a soggetto gli improperi e la ribellione dell'Attore.

Poi, quando il litigio è al massimo, la luce lentamente ritorna. E vediamo ora l'Attore ad un lato della scena, nel luogo deputato che rappresenta un camerino.

L'Attore è seduta in una poltrona. Si agita, impreca, ma presto si sveglia dall'incubo. Le grida e i rumori del pubblico non esistono più.

Ora tutto è silenzio.

L'Attore si guarda intorno, quasi faticando a liberarsi del sogno e a ritrovare la realtà. A poco a poco si acquieta. Si asciuga il sudore dalla fronte, con un sorriso di commiserazione, ancora incerto ed esitante.)

Un sogno! Dio, che incubo! E io che stupido, a lasciarmi prendere così! Sembrava tutto vero: il teatro, il premio, quel gesto!, quel lazzo terribile, osceno... 

(Lo accenna, ripetendolo, con schifo)

Pensa! Sarebbe stato il primo e unico premio di tutta la mia vita! Una vita dedicata all'arte...  e un premio per quella roba! Eh, i tempi sono davvero cambiati, se mi ritrovo a sognare questa assurda, ridicola beffa!

(Chiamando: forse il compagno del camerino contiguo al suo.) Antonio!....   Antonio!....  Questa te la devo proprio raccontare!...  Antonio!

(Ma nessuno risponde. L'Attore si guarda in giro... ora un po' esitante.) Ma....  Antonio...  Corrado...

(Un dubbio:)

Ma che ore sono?

(Guarda l'orologio)

Le una e mezza?! Mi sono addormentato!..

(Di nuovo chiamando)

Ehi, gente: non c'è nessuno?...   Andati!... 

Questa è proprio bella! Roba da matti! Addormentarsi in camerino. Lo spettacolo è finito, tutti se ne vanno...   e io tranquillo come una pasqua... vado in letargo![2]...   E adesso come esco? Posso uscire dal camerino, posso uscire dalla sala...  ma il cancello di fuori è chiuso!...  E io non me la sento certo di scavalcare la cancellata... Alla mia età! Potrei telefonare a mia moglie. Ma è a Cortina, con i nipotini...  O a qualcuno del teatro: mi hanno dimenticato qui: che vengano a liberarmi...

(Sta maneggiando il telefonino...  )

Non prende! Ecco, a che cosa servono, questi "miracoli tecnologici": funzionano per i messaggini, ma se uno rimane chiuso in teatro e ha bisogno davvero...   niente: non prendono. Oh, al diavolo!

(Getta quasi il telefonino lontano da sé)

E senti che cerchio, qui, alla testa!...  Come se avessi bevuto...

(Ridacchia.)

Certo che ho bevuto!

Ma certo che ho bevuto. Era l'ultima replica...  l'ultima replica dell'"Ultima ora"...  (pensa che bella situazione emblematica: l'ultima replica dell'ultima ora! Come a dire che dopo c'è il nulla!) L'ultima replica...  e si sono scatenate le solite burlette che si organizzano per le ultime repliche. Io dovevo bere non so quanti bicchieri d'acqua...  e qualcuno al posto dell'acqua ha messo del gin...  Così, ogni volta che Vassili dice a Natascia: "Ho sete, Natascia, perdio: dammi da bere!"...  giù un bel bicchiere di gin! Il realismo ha il suo prezzo: non potevo mica dire "Ohei, questo è gin: non fate scemenze!"

Tanto è l'ultima!... 

Ho un cerchio alla testa!...  Basta, passerò la notte qui. Non sarà poi la fine del mondo!... 

Mi metto in poltrona...  allungo le gambe sulla sedia...  mi copro bene con il plaid...

(Canticchia)

"O dolci baci, o languide carezze / mentr'io fremente / le belle membra disciogliea dai veli... "

Pensa che eleganza! "Le belle membra disciogliea dai veli". Per dire che la sbiottava, come dicono a Milano! Eh, altri tempi, altro stile...  I miei figli mi dicono che sono vecchio, che sono un vecchio brontolone, sempre lì a dire "ai miei tempi, ai miei tempi"! È vero: sono un vecchio brontolone! "Laudator temporis acti". Ma ho ragione o no? Questo è il problema! Era meglio una volta, o è meglio adesso? I miei figli mi dicono: "Papà, la storia la scrive chi vince! Verrà il giorno che dire "sciogliere dai veli le belle membra della donna amata" suonerà ridicolo. E invece sarà giusto e vero dire "L'ho sbiottata!" Semplicità, praticità, efficienza!"

Va bene, va bene. Può darsi. Però...  non è un peccato? E comunque, quel giorno io non ci sarò più. Parlate come vi pare, vestitevi come vi pare, bucatevi, girate senza casco, inchiodatevi al computer, dialogate con i messaggini... Allez! Tanto, il vecchio brontolone se ne sarà andato, e questo scempio non avrà il suo consenso!

Mi viene in mente un atto unico di Cechov: la storia di un vecchio attore, che rimaneva chiuso in teatro, dopo la recita, perché si era addormentato, o ubriacato, o non so cosa...  E lì, riviveva, ricordava...  la sua vita di attore... i suoi successi. Beh, può essere un'occasione, perché no? Non sono abbastanza vecchio da non avere un futuro...  ma lo sono abbastanza per avere un passato! Un grande futuro dietro le spalle...  e...  e un grande passato di fronte a me! Bello: devo ricordarmelo! Anche se non so bene se ha un senso, o se è solo un giochetto di parole...

(Ridacchia, compiaciuto per i propri calambours. Ma improvvisamente interrompe quel che sta facendo e dicendo, e balza in piedi, teso, in allarme.)

Ma...  ma che cosa succede?...  Qui c'è qualcuno!...

(Chiama, non senza inquietudine)

Antonio...   Corrado... 

(Un tendaggio si muove.)

Chi c'è lì dietro? C'è qualcuno?...  Un topo?...  Polonio?...

(L'agitazione si scioglie improvvisamente in una nota di realismo assolutamente banale: il tendaggio si apre, e compare una giovane donna. Si muove a parla in tutta naturalezza veristica, distruggendo completamente il clima inquieto che l'Attore aveva creato.)

LA DONNA            Ha chiamato?

(L'Attore la guarda. Ha un lungo attimo d'esitazione...)

L'ATTORE              Anche lei?...  Anche tu...  Rimasta qui dentro?

LA DONNA            (non capisce) Io che cosa?...

(L'Attore esita: è evidente che non riconosce quella donna, ma che non vuole darlo a vedere. Forse vuole prendere tempo)

L'ATTORE              Ma...   ma tu chi sei?

LA DONNA            Come, chi sono? Ma che cosa sta dicendo? Su, su, che hanno già dato il quarto d'ora. Le ho portato i calzoni, si erano un po' scuciti dietro, la sarta li ha rinforzati...  Ho fatto anche stirare il mantello... Appena stirato sembra un po' lucido...  ma è il calore del ferro da stiro. Poi va subito a posto. Però stia attento: se si agita un po' meno, soprattutto quando grida, è tanto di guadagnato!

Provi a provarli!

(L'attore esita)

Si tolga il calzoni. Vuol che l'aiuti?

L'ATTORE              No...   no. Faccio da solo.

(Si toglie i calzoni, lentamente, ancora esitando, come non sapesse bene dove si trova. La donna lo guarda: sorride, un po' ironica, reggendo i calzoni del costume.)

LA DONNA            Ma che cos'ha stasera?

L'ATTORE              Che cos'ho?

LA DONNA            Sembra che pensi ad altro. È successo qualcosa?

L'ATTORE              No, no...  È che...  mi ero addormentato...  e quando mi sono svegliato non riuscivo più a capire dov'ero. Sai, quelle cose che succedono in un attimo, che uno apre gli occhi e ci mette un po' a raccapezzarsi...  C'è gente?

LA DONNA            Si sta riempiendo.

(La donna gli porge i calzoni. L'attore li indosserà, poi si volterà affinchè la donna glieli allacci sul dietro.)

L'ATTORE              Mi stringono un po'... 

LA DONNA            Perché è un po' ingrassato...

L'ATTORE              Ma neanche per sogno! Dov'è che mi vedi ingrassato?

LA DONNA            Ma guarda come trattiene il fiato! Provi a respirare!

L'ATTORE              Sto respirando. Uno due tre quattro...

LA DONNA            Sì, e questa cos'è?

L'ATTORE              Un po' di stomaco dilatato.

(L'Attore si contempla, davanti ad uno specchio immaginario, faccia al pubblico. Si piace. A vestizione compiuta, indossa un paio di calzoni stretti sotto il ginocchio, e una camicia alla Cavaradossi.)

L'ATTORE              Il mantello?...

(La donna gli porge il mantello. L'attore lo prende, con amplissimo gesto teatrale, lo fa ruotare e se lo deposita sulle spalle. Al ruotare del mantello, come fosse il mantello di un mago, un faro di luce lo isola dalla donna e dal resto del palcoscenico. L'ATTORE giovane e splendente di forza - recita:)

"Ah! Datemi una musa di fuoco

per ascendere ai cieli sfavillanti della fantasia!

Un regno per palcoscenico, principi per attori,

una platea di monarchi. Allora sì i protagonisti

della storia che noi osiamo narrare

avrebbero una degna cornice.

Ma voi perdonate, con animo gentile,

ai rozzi e piatti ingegni nostri, l'ardire di esporre

su questo indegno assito un così alto argomento.

Come può questa pedana da combattimento di galli

contenere le pianure di Francia, o anche solo

comprendere in questo O di legno

gli elmi e le corazze che sbigottirono l'aria

ad Agincourt?

Pure, se può talvolta un breve sgorbio

sopra un foglio di carta,

assumere il valore di un milione,

lasciateci almeno tentare, noi,

menti ottuse e volgari attori,

zeri di un immenso totale,

di smuovere le forze della vostra fantasia.

Di fantasia createvi gli eserciti!

Di un uomo solo, fatene mille!

Se diremo "cavalli", siate voi a vederli,

questi cavalli: veri,

stampare alteri con gli zoccoli

impronte sull'umido terreno.

Col pensiero, coprite voi di sfarzo

i nostri re. Trasportateli voi in qua e in là,

anche saltando intere pagine di storia

e chiudendo in un'ora il passaggio di anni!

Inventatevi voi, se occorre, mille navi!

Guardate il loro petto possente

come, a un vento invisibile,

rompe la distesa ruggente del mare!

(Ma ad un certo punto, e a poco a poco, l'enfasi si attenua, la voce si abbassa nei toni, la recitazione non è più recitazione, è un parlare a se stesso, come a ricordare le parole di una parte quasi dimenticata.)

Immaginate l'ora delle voci che salgono sommesse quando tenebre dense empiono il vaso dell'immenso universo! Seguite la notte... 

O ascoltate all'alba i galli

sparsi per la campagna che attaccano a cantare...

(L'attore borbotta incerto le ultime frasi del monologo...

Permettete a me, qui, in veste di prologo...

di integrare il racconto...

pregandovi di ascoltare...  

cortesi... 

e giudicare benevoli...

e indulgenti... 

il nostro...  dramma... 

(L'attore si passa una mano sugli occhi e sulla fronte, scuote la testa, quasi con commiserazione, come se non ricordasse più quello che cercava di ricordare.

Le luci mutano, si ritorna alla realtà del presente, nel camerino: anche la donna si è dileguata nel nulla.

L'Attore ha un sospiro profondo, che segna il ritorno alla realtà. Guarda l'orologio.)

Le una e mezza!....  Ma è fermo?

(Se lo porta all'orecchio.)

No: va. Ma erano l'una e mezza anche mezz'ora fa! O forse un attimo fa? Ecco che cosa vuol dire, abbandonarsi all'onda dei ricordi! Si perde la nozione del tempo. E infatti, per un attimo, è stato come se quarant'anni di vita si fossero dileguati: e io ancora là, a recitare le parole di Shakespeare, quarant'anni fa, appunto!

"Questo O di legno!" Queste assi, questi fondali, queste luci che ti accecano, ma che rendono tutto così vero a chi ti guarda dall'altra parte! La magia del teatro! I miei figli, i giovani attori che mi trovo attorno...  o i giornalisti che ti intervistano, per i giornali o per la tivù...  ridono (sotto i baffi), quando parlo della Magia del Teatro! Se sono stupidi ti guardano come a un vecchio pazzo parolaio e mitomane, se sono gentili portano pazienza. "Ma sì, poverino! È sempre vissuto lì dentro! Lascialo dire, lascialo dire!"

E invece è proprio così, perdio!, perlamadonna!, cazzo! Magia, magia: che cos'altro? Dovete fare una tempesta?...  Che cosa fa il cinema? Si imbarcano in cinquecento per i Caraibi o per Capo Horn, o cosa diavolo, sbarcano le loro attrezzature miliardarie, aspettano un ciclone...  e girano la manovella! Bello! Bravi! Sette più! E in teatro? Un telone azzurro o blu scuro, mosso da due servi di scena, e il modellino di legno e di cartone, di una nave, che qualcuno regge e muove da dietro, tra i lampi di un Duemila o di un Botafogo, e i rumori della macchina del vento (una tela di sacco contro un cilindro di legno), la macchina del tuono (grosse pietre che rotolano in un barile), quella della pioggia (una lastra di metallo smossa e fatta vibrare)... Per una tempesta più vera della stessa realtà! E non è magia, questa? E come si fa, a teatro, il rumoreggiare di una folla - là fuori - attorno al patibolo di Luigi XVI? Cinque persone in quinta che dicono "rabarbaro"!

(Esemplifica:) Rabarbarorabarbarorabarbaro...

(Pausa.)

I miei figli ridono: "Ma papà, quelle macchine sono robe da museo! Oggi ci sono i dischi, i nastri, le proiezioni...  Oggi c'è il sintetizzatore di suoni!" Sì, sì, è vero...   Però...  per duemilacinquecento anni si è fatto così: possibile che sia tutta roba da buttar via?

E poi: volete mettere la suggestione, il miracolo di un mimo che in mezzo alla scena agita le braccia, come un gabbiano, e dice, senza parole...  "Io volo"! E la gente lo vede volare! Volare!

(Agita lentamente le braccia: vola! Poi, come a chiedere conferma:) Eh?... 

(Con entusiasmo:)

Questo è il teatro! L'uovo di Colombo! L'O di Giotto! Il tutto che nasce dal niente! Come l'anello che si sfila dal dito di Archimede! O la mela che cade in testa a Newton! O Alessandro che trancia il nodo di Gordio!

E questo, secondo voi, è roba vecchia? Questo miracolo che si ripete ogni sera, dovunque c'è un sipario che si apre... e su quelle quattro assi Giulietta incontra Romeo, Arlecchino deruba Pantalone, Faust fa un patto col diavolo, Lopachin compra il giardino dei ciliegi... Questo miracolo per voi è roba vecchia, solo perché vi riempite la bocca col "sintetizzatore di suoni"?

Ecco una cosa che dovrei fare: scrivere un libro! E cominciare proprio qui, questa notte: che sono solo, senza telefono, senza rotture di palle...  La carta ce l'ho: dietro le pagine di questo copione, che stasera abbiamo recitato per l'ultima volta! Potrei scriverlo in forma di dialogo. Da una parte i miei figli che mi contestano, i giovani attori di nuova leva che pensano solo al cinema, i giornalisti che ti guardano come a una specie in via d'estinzione...  e dall'altra parte io. E la storia del teatro!

Eh, mi sembra di sentirli: "Papà, noi andiamo al cinema e sentiamo storie d'oggi, gente vestita come noi, problemi attuali...  Andiamo a teatro... sembra di entrare in un museo! Il malato immaginario, La locandiera, La bisbetica domata, l'Enrico IV di Pirandello...  Papà: è come il repertorio dell'opera lirica: è un obitorio!"

(Pausa: lunghetta. L'Attore riflette, ha qualche smorfia perplessa.) Sì, okay. Qui c'è del vero. Bisogna stare attenti, nel difendere il teatro, a non negare quel che è evidente. Quante attrici ci sono - primedonne del cazzo! - che lottano un vita per arrivare a sessant'anni a fare la Locandiera, solo perché c'è in giro una foto della Duse così carina...  così maliziosa...  e pitipì e pitipà! E quindi anche loro... pitipì e pitipà!...

Poi ci sono le sovvenzioni...  e i titoli sicuri...  Bisogna fare la Tempesta di Shakespeare, perché così i direttori la prendono, e la gente viene...  Però bisogna anche fare scandalo e notizia, per cui si prende la Tempesta ma dentro ci si fa quello che si vuole: ambientata in una discarica abusiva, con Prospero che è un omosessuale e che insidia Calibano, e la nave che fa naufragio è una portaerei americana che doveva andare in Iraq, ma si è accorta che in Iraq il mare non c'è... Eh, sì, purtroppo nel teatro c'è anche questo... 

Mah, forse è meglio lasciarla perdere, questa idea del libro! Anche perché io...  non sono uno scrittore...

Però le idee chiare ce l'ho, e stasera mi sembra di averle più chiare che mai. Per esempio: di fronte a questo fatto del teatro museo...  Intanto c'è da dire che con un patrimonio di duemilacinquecento anni di storia - da Eschilo, a Shakespeare, a Molière, a Cechov...  - cosa dovremmo farlo: buttarlo via? È facile essere "attuale" (diciamo) per il cinema, che è nato ieri! O per la televisione, che è nata stamattina, e che deve ancora crescere! Ma il teatro...   E poi: la carica di novità, di ri-vo-lu-zio-na-rie-tà del teatro...  ce l'hanno mai avuta il cinema, la tivù, i compattdisc, o divudì, o i dividù, o cosa cazzo?

Ma vogliamo ricordarcelo, una volta per tutte, cari figli, cari attori, che la prima volta che Tespi ha recitato in Atene...  Solone, il censore, il grande legislatore, gli si è avvicinato e gli ha chiesto se non si vergognasse a fingere a quel modo? Perché Solone, l'uomo che rappresentava la certezza del diritto, aveva sentito - lui sì - la grande, inaudita rivoluzione di un uomo che sale su un palcoscenico e dice...  "io non sono io: io sono un altro: sono Dioniso, sono Edipo, sono Agamennone, sono Prometeo!" In un attimo, il principio di identità - quello secondo cui A è eguale ad A, e diverso da B, fondamento di tutto il vivere civile - messo in crisi, negato, distrutto da un uomo, appunto, che sale su un palcoscenico e dice: "In questa città di Tebe, dove io ho sposato la regina, infuria ora la peste...  " E tutti lo guardano a bocca aperta e dicono: "È Edipo!"

E da quel momento, il mondo non è più quello di prima!

E duemilacinquecento anni dopo...  come finiscono i "Sei personaggi in cerca d'autore"? Con il Padre che tiene in braccio la figlioletta annegata, e grida: "Finzione?! Ma che finzione! Realtà, signori, realtà!"

(Pausa. Si è lasciato un po' trasportare: ora recupera, molto convinto:) Il libro posso scriverlo: eccome!

I miei figli: "Ma papà, è tutta un'invenzione! Guarda qui l'enciclopedia: Solone è morto cinquant'anni prima che Tespi recitasse in Atene... !" Tutto quello che sanno obbiettare è questo: un dettaglio, una mancata coincidenza, neanche fossero dei giudici per le indagini preliminari! Come se questa "invenzione" non fosse significativa, non volesse proprio dire quello che dice! "Se non fosse vero bisognerebbe inventarlo", si dice a volte. E questo è il caso: l'umanità che inventa un aneddoto, perché la storia si è dimenticata di farlo, o non le è capitato, o cosa diavolo. E così, ecco la legge, la scienza, la realtà, che si scontrano con questo dionisiaco monello che è il teatro: con la sua libertà, la sua fantasia, la sua forza dirompente...  E quell'altro, quel pazzo della Magna Grecia - come dire: un siciliano - che racconta di quel tizio che incontra un creditore, e gli dice "No, io non sono io, io sono un altro...  Forse quell'altro "io" ti doveva dei soldi, ma io no!" Forse perché era stato a teatro e aveva imparato la lezione. "Io sono colui che mi si crede!"

Più avanti di Sofocle, più avanti di Pirandello! Che beffa, signori: che rivoluzione! Tutto qui, il teatro: la grande affermazione che tutto capovolge... e lo sberleffo che la irride!

E i miei figli: "Ma papà!...  "

(Da fuori, una voce di donna)

UNA VOCE DI DONNA Papà!... 

L'ATTORE              (continua senza avere avvertito)

Papà...

LA VOCE DI DONNA

Papà!... 

L'ATTORE              (c.s.)

Ma papà... 

(Entra in scena una giovane donna. L'atmosfera si dissolve, tornando alla realtà: ammesso, naturalmente, che la realtà sia quella. L'Attore ancora una volta ha bisogno di un certo tempo per adeguarsi.)

Chi sei?... 

LA DONNA            Ah, ma allora sei qui! Ci hai fatto stare in pensiero. Abbiamo anche provato a telefonarti, ma evidentemente il tuo telefonino non prende... Cosa ti è successo?

L'ATTORE              Niente. Sono rimasto qui un momento...

LA DONNA            Un momento? Ma lo sai che ore sono?

L'ATTORE              (un po' nervoso, risponde con qualche irritazione) Le una e mezza, lo so.

LA DONNA            Eh, altro che le una e mezza!

L'ATTORE              Mi sono...  addormentato in camerino...  e tutti se ne sono andati.

LA DONNA            E adesso cosa facevi? Anche la mamma è preoccupata. Io ho preso la macchina, ho fatto la strada che fai di solito...  poi ho visto la luce accesa e ho immaginato. Ma perché non sei venuto via?

L'ATTORE              Perché...  c'era il cancello chiuso. Io non me la sono sentita di scavalcarlo...

LA DONNA            Ma cosa dici? Il cancello è aperto.

L'ATTORE              Aperto? E come mai? Ah, già: stasera hanno smontato la scena, sono entrati col camion...   l'avranno dimenticato aperto. Bene! Allora possiamo andare! Io...  evidentemente ho perso la nozione del tempo. Credo di avere anche dormicchiato. Dev'essersi fatto tardi.

LA DONNA            Ormai è presto!

L'ATTORE              Mi si dev'essere anche fermato l'orologio. È tutta sera che segna le una e mezza.

(Lo porta all'orecchio)

Eppure ticchetta, sembra che vada...  Bah, si saranno rotte le lancette. Il meccanismo va, ma non trasmette alle lancette...

LA DONNA            Dài, papà: cambiati e andiamo.

(L'attore inizia a cambiarsi)

L'ATTORE              Voltati, o aspettami fuori.

(La donna si volta dall'altra parte. Forse siede.)

LA DONNA            Perché non ti prendi anche tu un bello swatch, come tutti al mondo, invece di andare avanti con quel cipollone?...  Un ultrapiatto, che funziona sempre: quando si guasta si butta via...

L'ATTORE              Questo lo portava mio nonno...

LA DONNA            Beh, un motivo in più.

L'ATTORE              Non mi piace l'idea "quando si guasta si butta via".

LA DONNA            Papà, oggi conviene.

L'ATTORE              E si applica anche agli esseri umani?

LA DONNA            Eh?... 

L'ATTORE              Niente, niente...

LA DONNA            Dài, papà, muoviti! Pensa che io stavo dormendo. Mi ha svegliata la mamma, che non riusciva a parlare con te e si è preoccupata...  Ho dovuto alzarmi, prendere la macchina, correre fin qui...   .

L'ATTORE              Mi dispiace. (Si contempla) Ti sembro ingrassato?

LA DONNA            Non lo so, non mi pare, può darsi, pésati.

L'ATTORE              Perché la sarta dice che sono ingrassato...

LA DONNA            Papà, tu sei un fenomeno! Ti dico che stavo dormendo, che la mamma mi ha svegliato, che ho dovuto venire a cercarti...  e tu di cosa ti preoccupi? Se sei ingrassato!

L'ATTORE              T'ho detto che mi dispiace. La colpa è di tua madre, che si preoccupa per niente. Appena usciamo le telefoni e la metti tranquilla. Qui non prende.

(Pausa. L'attore si riveste.)

Però sai, il non ingrassare - per un attore - non è una questione di civetteria o di frivolezza, come per tante donne che si fanno rifare il naso o fan la liposuzione. È un elemento professionale, che ha sua importanza, anche sul piano economico. Io...  nel teatro ho una mia presenza, un mio cliché: non sono più un attor giovane, ma anche alla mia età... il pubblico mi vede in un certo modo. Diciamo pure un ex bello, se vuoi...

LA DONNA            Lo so, papà: ce l'hai detto tante volte. Compresa l'ultima, quando hai tirato fuori l'idea del lifting.

L'ATTORE              Beh, non c'è niente da ridere. Potrebbe diventare, domani, una necessità. Strano che mi faccia tu queste obbiezioni, tu che all'Accademia queste cose dovresti...  respirarle, proprio come parte del mestiere d'attrice.

LA DONNA            Papà, io ho lasciato l'Accademia due anni fa. Adesso faccio economia e commercio.

L'ATTORE              Lo so, lo so. Mi confondevo con tuo fratello. Scusa.

(Meglio esser sicuri.)

Tuo fratello fa l'Accademia, vero?

LA DONNA            (paziente, ma senza nascondere di doverlo essere) Sì, papà. Lui fa l'Accademia.

L'ATTORE              Già.

(Pausa, abbastanza lunga)

Sento un tono di rimprovero, in quel che dici. Ma hai ragione: non sono stato un buon papà. Me ne rendo conto. Sono stato un papà...  non molto presente, ecco. Proprio a questo - o "anche" a questo - pensavo, prima che tu arrivassi, quando mi sono trovato qui, solo, in teatro, in una situazione che mi è sembrata emblematica: solo, in teatro, al buio, "dopo l'ultima replica dell'Ultima Ora". Un'occasione - mi è sembrata - per un bilancio. E tra le cose che ho pensato, anche questa: non sono stato un buon padre! Sì, ho anche le mie giustificazioni, certo: il mestiere che ti porta un giorno qui e un giorno là, per mesi e mesi lontano da casa, come un capitano di lungo corso...  E a pagare sono i figli, purtroppo. E io, qui, che bisogna che mi si ricordi che hai lasciato l'Accademia, che adesso fai giurisprudenza...

LA DONNA            Economia e commercio...

16

L'ATTORE              ... e che ti confondo con tuo fratello!...  Anche egoismo, sì, lo riconosco. Anche questo è un portato del mestiere: sempre pensare ad esibirsi agli altri, mettere se stesso al centro dell'universo, pavoneggiarsi, compiacersi, "apparire"...  difendere il proprio ruolo di bell'uomo (perché io ero un bell'uomo...  e anche adesso, se tieni conto... !) tutte cose che a un certo punto ti portano a distorcere i rapporti con gli altri: prima con i genitori, poi con la moglie, con i figli...  Io, io, io!...  come se al mondo non ci fosse altro!

LA DONNA            Va bene, papà. Ma adesso lascia perdere: è tardi. A noi sei andato bene così. Abbiamo trovato la nostra strada, ci stiamo avviando, tutto va bene...

L'ATTORE         Non potrò mai perdonarmelo! E neanche i dispiaceri che ho dato a tua madre. Eh sì, non sono stato un marito fedele. Anche qui...  ho le mie attenuanti, certo: sempre in tournée, circondato da giovani attrici, in ogni città qualche ammiratrice scalmanata...  Perché io piacevo, sai? Ero bello, aitante, facevo parti d'eroe...

LA DONNA            Lo so, papà. Le tentazioni erano tante e tu non eri un santo! Okay?

L'ATTORE              Neanche un mostro, però. Perché tua madre io l'ho sempre rispettata, e alla fine di ogni tournèe le raccontavo tutto, o quasi tutto, e le chiedevo perdono. E oggi siamo una coppia di anziani sposi, uniti e felici...

LA DONNA            Okay, papà.

L'ATTORE              Con voi figli è diverso. Lì ho mancato, lo so. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa! Ti chiedo perdono, figlia mia!

LA DONNA       Oddio, papà, che personaggio stai recitando, adesso? Dài, su, andiamo! Telefoniamo subito alla mamma, poi t'accompagno a casa...

L'ATTORE              (è pronto per uscire, ma ad un tratto sembra esitare) Un momento... 

LA DONNA            Che cosa c'è, ancora?

L'ATTORE              (turbato)

Dobbiamo uscire? No, no, uscire perché? Non...  non me la sento, scusa. Non mi piace: andare via così...

LA DONNA            (banale)

E come vuoi andare?

L'ATTORE              È l'ultima recita...  devo disfare il camerino...

LA DONNA            Adesso?!

L'ATTORE              E quando, se no?

LA DONNA            Ah, no, senti! Verrai domani con calma! Adesso andiamo.

L'ATTORE                No, no. Il camerino... tu non sai, tu non puoi capire: è un luogo sacro, un sancta santorum...   Dopo l'ultima recita lo si smonta: è un rito!...  No, no, il camerino io lo disfo stasera!

LA DONNA            Cià, allora, ti do un mano. Basta che facciamo in fretta.

(Apre una valigia, comincia a buttare dentro alla rinfusa capi di vestiario, quadretti o locandine o fotografie che stacca dalle pareti... )

L'ATTORE              Ma no, ma no: non così! Che cosa fai? Non stai sgomberando uno sgabuzzino: la vuoi capire?

(Raccoglie una fotografia incorniciata)

Questo, lo sai chi è?

LA DONNA            (spazientita)

Papà, io domani mattina ho una lezione - anzi: stamattina, ormai! - ho bisogno di dormire! Ho già perso anche troppo tempo!...  Se vuoi che ti aiuti, bene. Altrimenti io me ne vado!

L'ATTORE              (con forza, ma quasi distrattamente, come se in realtà pensasse ad altro) E allora vattene! Io...  non ho voglia di muovermi! Mi ero quasi addormentato, stavo benissimo. Qui, da solo, di notte, nel teatro vuoto...  col cervello lucido...   a pensare...  A pensare, capisci? Prima che venissi tu. Voglio fare le cose con calma: disfare il camerino, raccogliere tutta la mia roba...  Tu vai, vai!...   Grazie per essere venuta! Telefona alla mamma!

(La Donna scrolla le spalle e si allontana.

L'Attore è di nuovo solo. Si attarda nel camerino, a prendere qualche oggetto, e a metterlo nella valigia... )

Vai, vai! Cosa puoi capire, tu - che domani faran due giorni da che sei nata - di quel che è, di quel che è stato, un camerino per un attore! Tu che il giorno che uscirai dall'Accademia ti ritroverai in quegli stanzini asettici, disinfettati, senz'arte né parte, con le sedie pieghevoli, le lampade alogene... Dove lo sentirai mai, tu, l'odore di muffa, di umido, dei camerini di una volta: di quegli stanzini grigi, negli scantinati, nel sottopalco, sui ballatoi dietro la scena, con i soffitti con le ragnatele, le pareti grigie, sporche, piene di autografi, di disegni osceni e di frasi d'amore, male illuminati, con una poltroncina sfondata, ma di legno dorato e di velluto, e i topi e le pulci, e la cassetta di frutta rovesciata, per giocare a carte prima del "chi è di scena"...  ? Questi buchi di fogna, queste tane da trogloditi...  erano una "casa" per l'attore (a volte l'unica casa!), che in tournée non sapeva mai dove andare, e dunque andava lì: in teatro, a "metter su" il camerino - perché così si diceva - appunto, come il metter su casa: quattro teli di cotonina alle pareti, a nascondere le magagne più grosse, la tovaglietta con l'orlo à jour sul tavolino, con tutto l'armamentario di prammatica: prima fra tutti la "chatouille" - quella che adesso si chiama "la scatola del trucco" (pensa che fantasia!) - e il ferro da ricci, e la zampetta di lepre per il rossetto, e il turacciolo bruciato per il nerofumo...  e sopra il tavolino l'altarino delle foto di famiglia, dei colleghi che avevano fatto carriera, con tanto di dedica e di firma...  E il baule, con i costumi: che allora non erano quei prodotti di sartoria, disegnati dal costumista, fatti su misura, con cui l'attore sfila in scena per farsi vedere e approvare dal regista, ma erano il patrimonio che ogni attore doveva avere: con il frac per il second'atto, l'abito da campagna, la corazza e la toga per i classici...

E la quaresima? Quando da un giorno all'altro - ogni tre anni - si scioglievano e si formavano le compagnie. Altro che il calciomercato dei vostri tempi: nelle hall dei grandi alberghi, sulle poltrone di cuoio e i tappeti spessi tre dita, a parlar di miliardi! Martedì grasso l'ultima recita; mercoledì delle ceneri...  teatri chiusi, le compagnie che si disfano, e tutti gli attori via, come lo sciamare delle api: in tutti i teatri, in tutte le città d'Italia; a raggiungere i nuovi compagni per i prossimi tre anni. Giovedì mattina in teatro, per l'inizio delle prove...  e alla sera, debutto! Allez! Questa era vita, questa è l'epopea! Ah, se mai scriverò quel libro, un capitolo sarà per questo teatro: per le quaresime, per i bauli, per i camerini di allora!

(Altro tono.)

Io...  non che quel teatro, quei camerini li abbia mai visti, è vero. Io sono arrivato dopo...  e diciamo pure "grazie a Dio": quando si stava un po' meglio. Così, ho avuto la mia vita tranquilla, ben pagato, protetto, con l'INPS, e l'ENPALS e le norme sindacali...  Ma qualche vecchio attore che quel teatro lo aveva vissuto l'ho conosciuto, e mi ricordo quel che raccontavano! Ed è come se quei camerini li avessi visti anch'io. Ci andavano due ore prima - mi dicevano - a ripassare la parte, dicevano: ma in realtà perché quella era la casa. E alla fine si restava lì, il più possibile: a rilassarsi, a chiacchierare, a spettegolare... E soprattutto perché fuori di lì era l'ignoto, il pericolo, la fine...

(Un brivido)

E così mi pare oggi, per me! Che strana sensazione! Tutto ad un tratto... come se avessi paura ad uscire di qui: uscire dal teatro, dal mio camerino! Neanche fossi un re che ha paura di perdere il suo regno! Qui sto bene, stanotte: con i miei ricordi, come quel vecchio attore di Cechov, in questo magico strano momento...  perfetto: simile all'attimo fuggente di Faust. Pensa: star qui...  e recitare! Per nessuno! Per me! E riuscire...  nella perfezione! Quello che un attore insegue per tutta la vita! No, no, non voglio riaprir polemiche con il cinema! Solo sottolineare una piccola differenza. Nel cinema uno recita la sua scena...  il regista dice va bene, non va bene, rifacciamo, buona la terza (o la quinta o la decima)...  e tu sei lì, catturato per sempre, buona o non buona che sia! In teatro, invece...  ogni sera è una sfida che si rinnova. Stasera l'ho fatta così...  ma domani...  domani sposto quel braccio, rallento un pochino la frase, un filino di più di voce, più intenso quel verso... E domani qualcosa vien meglio, ma qualcos'altro scricchiola ancora, e la sfida si rilancia al giorno dopo...  Qui potrei, forse, da solo, di notte, nel silenzio...  per un pubblico non di sovrani, ma solo per me, il critico più esigente di tutti, quello a cui non si sfugge, quello che è inutile cercar di ingannare, perché sta qui dentro, e lui lo sa!, che quel tono non era esatto, quel gesto è stato troppo affrettato, quella parola è suonata debole e incerta...  E il teatro sarebbe morto, sarebbe un museo?...  Questa sfida infinita, questa guerra che mai si riesce a vincere, ma che mai ti scoraggia, non è l'immagine stessa della vita?

(Gli è capitata tra le mani una corona di cartone dorato. Recita:) Di conforto nessuno osi parlare. Parliamo invece di tombe, di vermi e di epitaffi. Facciamo della polvere la nostra carta, e con occhi piovosi scriviamo il nostro dolore sul ventre della terra.

Pensiamo a far testamento, e a nominare gli esecutori. Ma poi a che scopo, dato che di nulla noi disponiamo salvo il nostro corpo disteso sul pavimento? Le nostre terre, le nostre vite stesse, tutto è nelle mani dell'usurpatore... e nulla ormai possiamo chiamar nostro se non la morte. Sediamoci sulla terra e raccontiamo le tristi storie della morte dei re.

Alcuni deposti, altri trucidati in guerra, altri ancora avvelenati dalle loro spose, uccisi nel sonno, ossessionati dagli spettri di coloro che avevano deposto e ucciso. Perché entro il chiuso cerchio della corona che circonda le tempie mortali del re siede e tiene corte la Morte, irridendo e schernendo con la sua terribile smorfia l'autorità e la pompa di lui, concedendogli di tanto in tanto di recitare come in uno spettacolo la sua parte di monarca, illudendolo che quella carne che circonda la nostra vita, sia fatta in lui d'inespugnabile bronzo, poi con un piccolo spillo buca il muro del suo castello, e addio re!

Smettete ogni ossequio, lasciate le cerimonie della tradizione, perché sul mio conto vi siete solo ingannati: vivo di pane come voi, ho i vostri stessi bisogni, come voi sento il dolore ed ho bisogno di amici. Schiavo anch'io di tutto questo, come potete dirmi che sono un re?

(Alla fine del brano, che l'Attore ha recitato a poco a poco isolandosi in un cono di luce, un piccolo applauso dal buio della scena che lo attornia. La luce ritorna alla normalità: a un lato della scena, seduta su una sedia, una giovane donna applaude compostamente sorridendo. Indossa qualcosa di un po' vistoso e appariscente: un impermeabile di ciré nero, lucido, provocante. L'Attore le si rivolge, compiaciuto di sé.)

Beh? Che te ne pare?

LA DONNA            Bene. Lei è molto bravo!

L'ATTORE              Eh sì! Le unghie ce le ho ancora! E ogni tanto... so lasciare il segno. Ma mi dài del "lei"?

LA DONNA            Beh... 

L'ATTORE              Eppure lo sai come mi chiamo.

LA DONNA            Sì, ma...  lei mi ha intimidito...  con quelle parole!...  Davvero mi sembrava che davvero lei fosse un re che stesse davvero morendo...

L'ATTORE              Vedi? La potenza del teatro? Ma io non sono soltanto un attore tragico, sai? So anche essere comico, so anche far ridere! Vuoi che te lo faccia vedere?

LA DONNA            Ma...  mi ha portato qui per questo?

L'ATTORE              No, certo!

LA DONNA            (sorridendo, non volgare)

Le puttane costano, sa? Il tempo è danaro anche per noi.

L'ATTORE              Vieni qui: dammi un bacio.

(La donna gli si avvicina. L'attore la bacia sulle labbra, ma senza troppa passione: più per dovere - si direbbe - che per altro. Infatti dopo qualche istante si stacca da lei.)

No! Un momento! Abbiamo tempo per tutto! Pago, pago, non preoccuparti. Quanto avevamo detto?...

LA DONNA            Cento.

L'ATTORE              Duecento, okay? Stasera gira così. Prima voglio farti vedere che io so anche far ridere. Anche gli attori, sai, sono un po' puttane! Vestono la giubba, infarinano la faccia...  Il pubblico vuole ridere, e noi lo facciamo ridere. Sebbene...  anche il riso ha un fondo di tragedia. In fondo, "di che cosa" ridiamo? Diceva uno che di queste cose s'intendeva...  che si può ridere degnamente solo delle cose serie. Un personaggio comico è un personaggio che vive una tragedia ridicola: una cosa ridicola in sé, ma che per lui è tragica.

Perché ridi?

LA DONNA            Perché non capisco.

L'ATTORE              Te lo faccio vedere! È l'inizio di una vecchia farsa...  Sta attenta. Un uomo entra in scena letteralmente sconvolto, imprecando contro la moglie. Chi è? Che cos'è successo? È Otello, che crede che Desdemona lo tradisca con Cassio?...  O Macbeth, che ha capito che sua moglie lo spinge alla rovina?... No! Ma quel che è successo per lui è altrettanto tragico. Sta attenta.

Entro in scena. Questo è il mio appartamento: apro la porta, accendo la luce. Dietro di me mia moglie: in atteggiamento colpevole, che si ferma sulla soglia.

Mettiti lì.

LA DONNA            Dove?

L'ATTORE              Lì, sulla soglia. Questa è la soglia. Io entro: sono disperato...

(Recita)

"Maledetta! Maledetta! Maledetta!...  Maledetta te! Maledetto il giorno che t'ho conosciuta! Maledetto il giorno che t'ho sposata! Maledetto il giorno che siamo venuti in questa casa!

Dove sei?...

Vieni dentro, maledetta! Dai! E chiudi la porta! Maledetta! Saranno tutti lì sulle scale a sentire!... "

(Parla:)

Su, vieni dentro!

(Riprende il personaggio:)

"Maledetta!...  Ma che cosa ti è saltato in mente?! Che cosa ti è passato per quella testa di legno? Mi hai rovinato! Rovinato, mi hai! Rovinato! Maledet­ta!...

Sta zitta! Non dir niente! Fammi il piacere, in nome di Dio, non dire niente! Abbi almeno il pudore di non dire niente! Sta zitta! Zit-ta!

(Pausa. Sconforto. Rievocazione.)

Perdere le mutande in pubblico!"

(Parla, alla donna:)

Visto? Il fatto è ridicolo. Sua moglie ha perso le mutande, in pubblico: ma per lui è una tragedia! Neanche avesse perso un regno!

(Riprende la recita)

"Perdere le mutande in pubblico! Durante l'inaugurazione della nuova se­de...  Con tutte le autorità: il presidente, il vescovo...  Col direttore lì, in prima fila!... "

(Parla, alla donna:)

Tu! di': "Non è stata colpa mia...

LA DONNA            Non è stata colpa mia.

L'ATTORE              Timida, timida!

LA DONNA            (ripete, col tono richiesto) .. non è stata colpa mia.

L'ATTORE              (recita)

"Mia!, colpa mia è stata! Colpa mia l'averti sposata, maledetta!"

(Suggerisce, in fretta, a bassa voce.) Si è rotto l'elastico... 

LA DONNA            Come?... 

L'ATTORE              (c.s.)

Si è rotto l'elastico... 

LA DONNA            Si è rotto l'elastico.

L'ATTORE              (di nuovo in parte)

"Taci! Non dare la colpa all'elastico! Noi, noi! Noi siamo responsabili dei nostri elastici, maledetta! Mi son mai cadute, a me, le mutande? E al diretto­re? Noi abbiamo i calzoni, stai per dire! E alla moglie del direttore? E al ve­scovo? No! A nessuno cadono mai le mutande! Mai! Ma a te sì, maledetta! E "quando" ti cadono le mutande? E dove? In un giorno qualsiasi? Qui, mentre stai preparando da mangiare?...  Eh, no! Magari! Troppo bello! Ti cadono oggi!, all'inaugurazione della nuova sede!, mentre il sindaco Biedermann scopre il busto del fondatore, e con tutte le autorità civili e religio­se in prima fila! Ah, maledetta!"

(Suggerendo:)

"Non ha visto quasi nessuno... " Timida, sempre timida.

LA DONNA             ... non ha visto quasi nessuno...

L'ATTORE              (recitando)

"Quasi" nessuno! Come se le voci non girassero, in questo mondo di pette­goli!

Finito! Tutto finito! Mi hai rovinato! Ci sei riuscita! Inutile prendersela: il direttore non me lo perdonerà mai! Alla presenza del presidente, poi! Car­riera chiusa! Uno scandalo: carriera chiusa!

(È affranto. Pausa.)

E non star lì impalata! Fa' da mangiare...  Che ore sono? Che si mangi, alme­no, in questa casa!

(Pausa.)

Maledetta!...  Maledetta!..."

(Parlato:)

E tu: "Che cosa vuoi da mangiare?"

LA DONNA            Che cosa vuoi da mangiare?

L'ATTORE              "Non ci sono dei wurstel avanzati? Fammeli alla griglia! Maledetta! Sta at­tenta a non bruciarli mezzi, come ieri!

(Pausa)

Perdere le mutande in pubblico! Col direttore in prima fila, e i colleghi a due passi!...

Con i sacrifici che hanno fatto i miei genitori per darmi un'istruzione, per farmi prendere il diploma di ragioniere Mia madre me lo diceva: "Lasciala perdere, dà troppo nell'occhio, non è la moglie di un ragioniere! Troppe cur­ve, per tener bene una casa!" Aveva ragione, oh, se aveva ragione! Ma io... testone, innamorato, cretino! E adesso pago; e mi sta bene! Per un fallo di gioventù, per averti sposata, ecco rovinato tutto quello che ho costruito giorno per giorno, con la pazienza di un santo e la precisione di un orolo­giaio!

In banca a ventiquattr'anni, apprendista, con gli scatti e l'anzianità divento impiegato di ruolo B. Venti anni di carriera, la simpatia del direttore arrivato sei mesi fa, l'invidia dei colleghi perché la scrivania più bella e meglio in lu­ce - dopo quella del direttore - è la mia! Capito? La mia! Un appartamento di proprietà, tutto pagato, nel condominio dei bancari, nella stessa casa dove abita il direttore, capito? Altra scala, scala C invece di A, ma lo stesso nu­mero civico! E tutto questo costruito da me! Con queste... (Le braccia..)...  e con questa! (... la testa.)

Mattone per mattone, giorno per giorno! Cortese con i clienti, sorridente con il direttore, anche nei giorni di mal di testa. Il primo ad arrivare, l'ultimo ad andar via: il più servizievole! Sempre il più svelto a scattare, per aprire la porta quando il direttore va a bere la sua birra!.. Mai uno sciopero!..

Ma tu!, che cosa credi che me l'abbia data la scrivania vicino alla finestra? Lo sai che andando per anzianità dovrebbe averla il Buxtehude, che ha due mesi più di me? Lo sai perché ce l'ho io?, eh?, tu che non pensi mai a niente, e che vai in giro a seminare mutande?

(Pausa. Risposta e spiegazione:)

Perché sono il più bravo, il più paziente, il più furbo! Perché alle barzellette del direttore io rido prima, e meglio degli altri: più di gusto, più rotondo, più convinto! Perché le ho pensate tutte, perché niente ho lasciato al caso! Per­ché mi sono imposto - sissignora: imposto! - di essere sempre come bisogna essere, se si vuole far strada nella vita e nella banca! Mai, ho fatto sapere a nessuno che i miei sono dei fruttivendoli! Mai, ho fatto sapere che tu, male­detta, hai un cugino impiegato ai sindacati! Le mie idee politiche, in banca, non le sa nessuno! Nessuno sa neanche che idee politiche non ne ho! Tene­vo al Bayern: via anche questo! Perché domani può capitare un direttore che "non" tiene al Bayern, e allora è meglio non aver motivi di attrito! Non ho trascurato niente, sono stato perfetto!...

Ma ci hai pensato tu, maledetta! Rovinato, sono rovinato!"

(Soddisfatto, si rivolge alla Donna)

Eh?

LA DONNA            Sì, bene, bravo... Ma...  e adesso?.

L'ATTORE              E adesso cosa?..

LA DONNA            Se dobbiamo far qualcosa...  Non è per questo che mi hai tirata sù?

L'ATTORE              Eh?

LA DONNA            Chi è che mi si è accostato, in macchina, sul marciapiede...  e mi ha detto: "Sei libera?"

L'ATTORE              Io?

LA DONNA            E io ho detto sì, e tu hai detto "andiamo"!

L'ATTORE              (un po ' trasognato)

E io ho detto...  "quanto"...

LA DONNA            ...  E io ho detto "cento", ma poi qui tu hai detto "duecento"...

L'ATTORE              Certo.

(Ma dopo una pausa, cercando di vincere la propria perplessità, non senza imbarazzo...  )

Ma lo sai che...  faccio quasi fatica a ricordarmelo? Io ti ho avvicinata...

LA DONNA            Eri in macchina...  hai aperto il finestrino sulla destra....

L'ATTORE              E ti ho detto?...

LA DONNA            "Sei libera?" E poi mi ha fatto salire.

L'ATTORE              E tu sei salita. Così...  senza obbiezioni....

LA DONNA            Beh...   una macchina di lusso...  uno che non chiede neanche "quanto" prima di dire "andiamo"...   E poi...  credevo che tu mi avessi riconosciuta.

L'ATTORE              Riconosciuta? Perché: ci conosciamo?

LA DONNA            Allora davvero non mi riconosci? E io che ti davo del lei!...   Guardami.

(Gli si offre col viso, come per essere guardata. Lui la guarda, la scruta...  ) O forse sono cambiata. La vita che faccio non è di quelle che conservano giovani e fresche...  Guardami, ti prego... Cerca di vedermi come forse mi hai visto una volta.... (Dopo alcune esitazioni, l'Attore sembra ora sovvenirsi... )

L'ATTORE              Giulietta!

LA DONNA            Sì... 

L'ATTORE              (ora è sicuro, contento)

Giulietta! Ma certo. Giulietta al saggio finale della scuola! Ti chiami... No, no: lascia perdere i nomi e i cognomi! Giulietta: e avevi sedici anni, me lo ricordo. Mi ricordo che ho pensato - e forse te l'ho detto - più o meno l'età vera di Giulietta! Certo che me lo ricordo! Eri brava! La più brava del mio corso!

LA DONNA            Me lo diceva sempre!

L'ATTORE              (correggendola)

Me lo "dicevi" sempre.

LA DONNA            Farai molta strada, mi dicevi. E invece... Strada ne ho fatta, ma un'altra.

L'ATTORE              (con amarezza, considerandola) Già!... 

(Una pausa. L'attore riprende, un po' esitante:)

E...   come mai?

LA DONNA            "Come mai" cosa?

L'ATTORE              Come mai...

LA DONNA            ... ho finito col fare la puttana?... Oh, io non ho paura delle parole! Diciamo che è andata così! Forse...  se lei davvero m'avesse preso in compagnia...  Mi aveva promesso una piccola parte, non se lo ricorda?..

L'ATTORE                Nnn...no, non mi ricordo. E invece?

LA DONNA            Io le ho detto di no...   Io...  non ci sono stata. E la parte non l'ho avuta.

(Lunga pausa. L'Attore è imbarazzato.)

L'ATTORE              (piano)

Mi dispiace. Se è così...  ti chiedo scusa!

(La Donna ride, come a dissipare completamente l'imbarazzo.)

LA DONNA            Ma non è stato certo per questo. Probabilmente non ero neanche giusta per quella parte. E poi non è che lei mi abbia mai detto, nudo e crudo: o ci stai...  o niente. Ripeto: è andata così. Comunque...  so delle mie compagne di corso: quelle che hanno continuato - e poco importa se hanno dovuto starci o no - sono tutte disoccupate. Io, se non altro, sono sfuggita alla disoccupazione. Ma...  non è la fine del mondo, sai? Ancora qualche anno, metto via un po' di soldi...  e poi basta! Mi ricordo una volta, quando ci hai fatto leggere il Misantropo: "Bisogna avere degli ideali, nella vita"!

L'ATTORE               ...  Mi dispiace...

LA DONNA            C'è gente che per i soldi si sputtana molto più di me: non credere! Anche se quelli non li incontri sul marciapiede!

L'ATTORE              (imbarazzato)

Ecco...  Io.. volevo dire... Non è mia abitudine, rimorchiare una donna...  Io non sono mai...  come dire?

LA DONNA            ...  andato a puttane.

L'ATTORE              Non volevo dir questo..

LA DONNA            Dillo pure: ripeto: non sono le parole che mi spaventano.

L'ATTORE              Beh, ecco...  sì: queste cose non le ho mai fatte. Accostarmi con la macchina al marciapiede, aprire il finestrino...  finire in un albergo a ore...  Non è proprio nelle mie abitudini, non è nel mio stile... Se ti dico che è la prima volta in vita mia, mi credi? Non so cosa m'ha preso stasera! E poi, questo strano incontro...  con te, una mia ex-allieva...

LA DONNA            Beh? Un caso.

L'ATTORE              Non lo so. Ho le idee confuse. Come se in testa mi si accavallassero situazioni, idee diverse, sentimenti...   Che cos'è questa stanza? Dove sono? Se chiudo gli occhi mi sembra d'essere ancora nel mio camerino...  Lo spettacolo è finito... Oppure no: sta per cominciare...  E tutto ad un tratto tu...

LA DONNA            Io che cosa?

L'ATTORE              (come colto da un'idea)

Nell'ultimo atto del Don Giovanni di Molière... mentre don Giovanni è a cena, gli si presentano tutti i creditori: ciascuno a presentare il suo conto. Stasera ho sognato - o forse è successo davvero - che veniva qui mia figlia...  No, non qui, naturalmente: in camerino, a teatro. Veniva...  a presentare il suo conto!...   Anche a nome di sua madre...  di suo fratello, certo!...  Adesso sei qui tu! Ed ecco che mi viene in mente quella scena del Don Giovanni. Anche tu sei qui per questo? A nome di chi, mi presenti il conto? A nome tuo? O di Giulietta? O della ragazzina che vent'anni fa ho tradito e illuso? O di tutte le donne? Eh?

LA DONNA            Che fantasia! No, io non ho nessun conto con da presentare. Non è che per caso sia tu che vuoi fare i conti con te stesso?

L'ATTORE              Forse. Perché no? Mi ricordo d'aver sentito, una volta, una leggenda: a don Giovanni, giunto all'ultima notte della sua vita, si presenta non so se Dio o il Diavolo, a proporgli una sfida. Se troverà anche una sola persona a cui egli avrà fatto del bene, tutto gli sarà perdonato. Altrimenti per lui sarà l'inferno.

LA DONNA            E come va a finire?

L'ATTORE              Non lo so. Non me lo ricordo.

LA DONNA            Ha trovato qualcuno?

L'ATTORE              Te l'ho detto: non lo so.

LA DONNA            E tu?

L'ATTORE              Io?

LA DONNA            Se fosse questa la tua ultima notte?...

(Una lunga pausa di silenzio e di immobilità. L'attore la guarda, intensamente)

L'ATTORE              (attonito, come se faticasse a rendersi conto di ciò che accade) Ma tu non sei... Ma chi sei? Tu sei...

(La Donna sorride, con una strana civetteria. Gli si avvicina, gli tende le mani come a prendere le sue. Come un automa, l'Attore le porge le mani.)

LA DONNA            (parla con calma, ferma e dolce al tempo stesso) Vieni...   Andiamo... È tardi...

L'ATTORE              (sempre le mani abbandonate tra quelle di lei: debolmente)

Andiamo dove? È tardi per che cosa?...  Non guardarmi così: mi fai paura!

LA DONNA            Paura?! Paura perché?

(L'Attore ha un gesto di ribellione. Strappa le mani da quelle di lei, si allontana, scuote la testa, fa con le mani un gesto come per dissolvere la nebbia di un incubo. Parla con forza, come a convincere se stesso, scoppia a ridere, ma di un riso forzato, falso... E parla con sovreccitazione, come a dare la maggior naturalezza possibile alle proprie parole... )

L'ATTORE              No, no, non paura! Ovvio: perché dovresti farmi paura? Scusami, sai, ma stanotte è veramente la notte degli eventi strani! Sai una cosa? Pensa cosa vuol dire una fantasia malata: forse...  sono troppo pieno di teatro. La testa troppo ingombra di personaggi, di citazioni letterarie, di riferimenti culturali...  E ecco che ogni cosa apparentemente un po' strana - che per un altro sarebbe soltanto "un po' strana", appunto - in me si carica di significati! I creditori di don Giovanni, l'ultima notte di don Giovanni, tu che vieni qui a presentarmi il conto...  Solo perché mi sono addormentato in camerino e perché una volta nella vita sono finito in questa camera, in un albergo a ore...  E così, a un tratto - sempre per via di quella fantasia malata, troppo piena di ricordi che mi dominano, invece di essere io a dominarli...  -chi ho pensato che tu fossi, a un certo punto - non ridere! - ... la Morte! Hai capito? Non è ridicolo? Tu, la Morte: con la emme maiuscola! È stato un attimo, naturalmente! Ma per un attimo mi è girata la testa: e ho visto Giulietta - la mia Giulietta di venti anni fa - destarsi dal sonno e tendere le mani a Romeo, per l'ultimo bacio...  prima di portarlo via con sé per sempre...  Non è comica, eh? Non è da raccontare?

(La donna, lentamente, si toglie l'impermeabile o il mantello, cambiando totalmente aspetto. Ora indossa una leggera tunica colore pastello, semplice come quelle degli angeli nella pittura del Perugino o di Piero della Francesca...  )

(Una lunga pausa: il riso si spegne presto, in una sorta di attonito sgomento, di fronte al sorriso sereno della donna.)

LA DONNA            (serenamente, scuotendo la testa come di fronte a una innocua testardaggine infantile) Poveri uomini!

L'ATTORE              Ma allora...  è vero!...

LA DONNA            (sempre sorridente, serena, con dolcezza)

Eppure lo sapevi...  Non lo dicono tutti? Io sono l'unica cosa certa della vita!

L'ATTORE              Non t'aspettavo. Non...  non per stanotte.

(In un altro, improvviso tentativo di ribellione)

Ma poi: io sto bene! Non ho mai avuto niente! Mi sono addormentato dopo lo spettacolo, okay. Tutto qui. Cose che succedono. Avrei anche già disfatto il camerino, non fosse che è venuta mia figlia, poi mi sono messo a pensare...  M'era addirittura venuta l'idea di scrivere un libro, pensa te! E non è detto che non lo scriva. E poi: dove sta scritto "stanotte"? Se apro quella porta, se me ne vado, cosa succede? Mia figlia mi ha detto che c'è il cancello aperto, perché i macchinisti stanno caricando la scena. Non ho neanche bisogno di scavalcare la cancellata, cosa che comunque sarei perfettamente in grado di fare. Se esco cosa succede? Tu cosa fai? Puoi impedirmelo? Mi corri dietro, eh? Mi placchi?

(L'attore sembra ora colto dal panico)

Dov'è la porta? Era qui, un attimo fa, quando siamo entrati! Era qui stasera, quando sono venuto in teatro...  Aiutami, non stare lì impalata!...

LA DONNA            (come sopra) Poveri uomini!

(L'Attore tenta ora un'altra strada. Cerca di parlare con calma, con ragionevolezza, come a persuadere "l'avversario")

L'ATTORE              Senti! Va bene! Solo - per piacere - una cosa: non subito, non questa notte! No, stanotte no! Ho troppe cose da fare! Non potrei! Non posso! Non si può, così, all'improvviso, strappare un uomo alla vita! Lo so, lo so: viviamo tutti come in un nugolo di moscerini, attaccati su con lo sputo...  basta un niente e addio Tomaso!, basta una puntura di spillo, e addio re! Eppure un attimo bisogna pure lasciarlo, il tempo di pensare, l'ultima grazia al condannato... Io...  devo salutare mia moglie...  devo dire alcune cose a mia figlia: l'ultima volta che l'ho vista ci siamo lasciati un po' male...  Anche a mio figlio: tante piccole cose che ho sempre pensato di dirgli, e che non ho mai trovato il tempo di dirgli, a lui, che farà il mio mestiere...  Avrei voluto anche scrivere un libro! E poi ho cose da sistemare: avanzo dei soldi dalla televisione, devo andare in banca, ho la rata della macchina in scadenza...  ci sono anche, in un cassetto, delle lettere che vorrei fare sparire, che ho sempre pensato di bruciarle, un giorno o l'altro...  Tutta una serie di piccole cose...  tu forse non le puoi capire, ma per noi sono importanti!.. Per piacere! Per piacere!

(La Donna lo ha ascoltato con pazienza, come per lasciarlo sfogare. L'attore si ferma, la sua resistenza si è a poco a poco indebolita. Ora appare stanco, spossato...   Ogni forza sembra lasciarlo, di fronte alla calma serena e sorridente della donna...   Con altro tono:) Sono ridicolo, vero?

LA DONNA            (con calma)

No. Ribellarsi è umano. Devi soltanto capire. Capire...  rassegnarsi...  finire.

L'ATTORE              E...  non c'è proprio niente da fare?...

LA DONNA            Lo sai: io vengo come un ladro di notte...  e non busso due volte.

L'ATTORE              Non è facile.

LA DONNA            È necessario.

L'ATTORE              E allora, se così dev'essere, così sia. Hai vinto. Lasciami soltanto - ti prego -il tempo di aprire gli occhi, e di imparare questa nuova parte. Ti prego. Sento a poco a poco una grande calma salire dentro di me. Come la morte di Falstaff: prima il gelo nei piedi, poi sù lungo le gambe, finchè tutto il corpo non fu che di sasso. Dunque davvero la morte è la pace e riposo, ed è lieve la terra destinata a coprirci?

LA DONNA            Vieni!...

L'ATTORE              (dopo una pausa, si guarda intorno: con calma)

Quindi... mi troveranno qui, nel mio camerino, seduto davanti al tavolo del trucco, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la testa rovesciata all'indietro...   I giornali ne parleranno...  Ne parleranno, vero?

LA DONNA            T'importa tanto?

L'ATTORE              No, è vero, hai ragione. È una delle tante cose che devo lasciarmi indietro.

LA DONNA            C'è qualcosa che vorresti portare con te?

L'ATTORE              Tutto. Niente. Ma ha un senso? La vita continua...  da sola.

LA DONNA            Dammi la mano.

L'ATTORE              Aspetta...  Ti devo dire una cosa. Da bambino, quando mi svegliavo di notte, e mi prendeva la paura - "gli assidui terrori" del Leopardi - "e vigilavo, aspettando il mattino" - e pensavo alla morte... Sai con quale pensiero mi consolavo? Un pensiero strano per un bambino!, ma non solo per un bambino. Pensavo, e mi dicevo...  "Beh, sono sempre morti tutti...  e non è mai successo niente!"

LA DONNA            È vero! Come hai detto tu: La vita continua...  anche da sola. Dammi la mano.

L'ATTORE              Perché gli uomini ti dipingono come uno scheletro, ammantato di nero, con in mano una falce...?

LA DONNA            Perché non capiscono. Tu come mi vedi?

L'ATTORE              Bella, giovane, fresca, seducente...

LA DONNA            ... e così sia. Vuol dire che hai capito. Dammi la mano. Siediti.

(A poco a poco lo guida alla sedia, nel camerino)

L'ATTORE              Strana, ancora, questa pace improvvisa! E come tutto mi si fa chiaro, qui, nella "calotta del mio pensiero", come dice Montale. Tutto è lontano, tutto visto dall'alto, come il mondo appare al Principe di Homburg, una volta rassegnato alla morte...  Grazie, o Dio! "Grazie o Zeus" - come implora Sofocle - "quale che che sia il nome con cui preferisci essere chiamato". Grazie per il lavoro che mi hai fatto fare in vita, e che ora mi porta alle labbra le parole dei grandi poeti, per esprimere cose che altrimenti non potrei. "Laudato sii, mi' signore, per nostra sora morte...  " Tutto vedo lontano, rimpicciolito, ridimensionato...  Non risibile, no! Poiché davvero è bella, la vita. E io dalla vita ho avuto molto, anche se - forse - quel molto l'ho vissuto distrattamente, senza capirlo fino in fondo, senza godere di ogni ora come se fosse l'ultima che mi fosse data. Ho attraversato la vita con impazienza, troppo spesso ho guardato le persone a me care senza vederle, ancora più spesso - forse - le ho viste senza guardarle, per leggerezza ho sprecato occasioni di gioia...  Ma in fondo, non ho né grandi rimorsi né grandi rimpianti: ero stato fatto a mia immagine e somiglianza, e così sono vissuto: un uomo come tanti altri, che però ha navigato nel mare della vita a bordo di quel veliero di sogni che è il teatro...  Grazie anche di questo, Signore.

Forse è già molto che qualcosa io sia giunto ora a capire. Che tutto ora mi appaia chiaro e convincente. E che proprio perché ho amato la vita, sia pure al mio umile livello, ora vedo te - o Morte - così giovane e bella. Baciami! Gettami le tue braccia attorno al collo, con le mani sfiorami le tempie...

"Ora, immortalità, sei mia davvero! Sento spuntare sul mio corpo le ali che il pacato spirito librano nello spazio etereo: come nave che sospinta dall'alito del vento vede sparire all'orizzonte il porto brulicante, così ogni vita per me si smorza in un crepuscolo. Ora distinguo ancora forme e colori, presto sarà per me soltanto nebbia..."

(La Donna lo ha guidato al suo posto. Ora gli sorride, gli fa cenno di tacere. L'Attore chiude gli occhi. La testa gli si rovescia all'indietro, le braccia si abbandonano oltre i braccioli.

La Donna lo lascia. Si guarda attorno. Fa sparire le cose che non c'entrano, come ad esempio il suo trench di ciré. Spegne qualche luce, lasciando accese solo quelle del tavolino come a ricreare le connotazioni realistiche del camerino.

Poi, leggera, si allontana.

La scena è ora quella che troveranno gli altri, il giorno dopo.

Lentamente, buio.

F  i  n  e

Nota. A proposito di citazioni.

"Voi che ascoltate...   ", a pag. 5 è tratto dal primo sonetto del Canzoniere di Petrarca. Subito dopo si accenna all'ultima battuta dei "Sei personaggi in cerca d'autore" di Pirandello, all'inizio di un monologo dal "Riccardo II" di Shakespeare, all'aria di Cavaradossi dal terz'atto della "Tosca" di Puccini. I tre lunghi brani recitati sono tratti ovviamente dall'"Enrico V" e dal "Riccardo II", e - molto meno ovviamente - da una riscrittura farsesca della prima scena di "Le mutande" di Carl Sternheim. L'ultima battuta riporta i versi conclusivi del "Principe di Homburg" di Heinrich von Kleist.


[1]   Il "miiii" per chi non lo sapesse, è un "topos" di Giacomo, del trio Aldo-Giacomo-Giovanni. Siciliano, sta per "minchia"; ed è popolarissimo tra i ragazzini.

[2] Queste tre righe sono l'inizio de "Il canto del cigno" di Cechov.