Il canzoniere scanzonato

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ATTO PRIMO

IL CANZONIERE

scanzonato

Scorribanda nel medioevo

con madonne e cavalieri

scritto da

Mariano Burgada

Atto unico

   

Personaggi

Ser Gianni                      

Donna Ceccia                 

Fra Roberto                    

Pappuccio                       

Rosa                               

Poeta

Caterina                          

Pietro                              

Fra Bernardino               

Giullare 1                       

Giullare 2                                               

Luigi                             

Caterina

Bacco

Moglie Aldobrandino    

Aldobrandino

Signore

Notaro

Villano

Cavaliere

Pastorella

Musici

Danzatori

Popolani

Alcuni personaggi possono essere interpretati dagli stessi attori.

BR - 2 atti - 15m -  6f 

(C) Mariano Burgada

    SIAE  120850

ATTO UNICO

Scena 1

(Ser Gianni, donna Ceccia, Fra Roberto  da Bernardino da Siena)

Entra in scena il gruppo di popolani festanti e chiassosi, ballano accompagnati dai musici che suonano.

(Musica 1 da 4 Via apertura).                       (Danza 1)

Canto d'apertura

Siam venuti tutti qui

per poterti raccontar

le vicende di Giovanna

bella, bella, bella e sempre pronta

ad amare con ardor.

Siamo qui povera gente

cavalieri e possidenti

per narrare delle donne

grandi, grandi, grandi e miserelle

siano brutte o siano belle.

Ora andiamo a cominciar

questo nostro canzoniere

raccontando a voi signori

tutto, tutto, tutto del trecento

delle usanze della gente.

(Finito la musica escono tutti e resta solo ser Gianni.

Gia -  Nobili messeri e belle madonne, esultiamo in letizia: oggi è assisa sul trono del nostra cittade  una giovine, nobile, dolce e bella. Giovanna è nomata, nipote prediletta del nostro amato re Roberto d'Angiò, lo quale ave deciso di lasciar lo scettro nelle mani di questa pulzella. (In confidenza) Roberto, per diventare re si dice che abbia spedito un fratello in convento e uno all'altro mondo. Il nostro beneamato ex sovrano, un merito ce l'ha: ha portato nella nostra cittade  artisti e letterati, sentendosi così nobilitato da scrivere dei sermoni che i sudditi, per piaggeria, osannano tanto. Ma sono veramente mediocri. Adesso  lascia le sorti di un grande regno nelle mani di Giovanna, diciassette anni, giovane, bella e ignorantella. E' stata educata dalle suore.

           Quale sarà la sorte di questo grande regno sotto il governo di una diciassettenne?

Cec - (Entrando) Non conosci le donne, bello mio. Ne sanno una più del lo diavolo. La fanciullina, una volta regina, ricca e potente, penserà subito al modo di godere delle gioie della vita.

Gia - Ceccia, brutta linguaccia, sei donna e parli male di una donna? L'essere più desiato da noi homini.

Fra - (Entrando) Taci, ignobile peccatore, sempre desioso di bavose bramosie. Ti piacciono le donne e ne difendi l'operato. Ma la Santa Romana Chiesa ci dice: Apri gli occhi, rifuggi dalle tentazioni della carne che la donna con malizia ti offre.

Cec - Fra Roberto, lo fraticello povero.

Gia - Lo fraticello influente a corte, consigliere di Giovanna.

           (Popolani e musici entrano alla spicciolata e ascoltano le parole del frate).

Fra - La femmina, onta per sua natura, è facile preda del nero dimonio, lo quale porta ella con faciltade a fare sempre e solo male all'homo. Lor medesime usano diventar come gatte di modo di poter andare ne le case e succhiar anco lo sangue spezialmente a li fanciulli e guastarli e disertarli, cum magna soddisfazione, come tante femine malvagie han confessato sotto  tortura e sono state poscia purificate con il santo falò.

Gia - Fra Roberto, ma il santo rogo non purifica, uccide,

Fra - Uccide, si, lo diavolo che va a loro, perché non hanno anima, proprio come una pecora o un vitello e so' ingannate spezialmente per lo gran desiderio che hanno di apparire quello ch'esse non sono.

Gia - Ma la nostra regina Giovanna e una fanciulla timorata e ben educata appresso a le sante suore e si dice che fusse anche un poco bigotta.

Fra - Giovanna est femina bona et ubbidiente al divin comandamento, poiché bene ave fatto a mettersi sotto la protezione da parte della nostra Santa Romana Chiesa e della mia umìle persona, proprio come  lo fue lo saggio zio Roberto. Itene dunque e gioite e magnificate la dolce pulzella Giovanna, prima che lo dimonio di lei ne entra in possessione.

Scena 2

(Francesca, Gruppo e detti,popolane. donne, ser Gianni, tutti)

(Musica 2 da  via)                         (Danza 2)                                                

(Evviva la riggina)

           Evviva la riggina

           c'a vocca curallina

           E' ancora piccerella

           comme 'na pupatella

           E mo s'adda st' accorta

           de la gente che st'a corte

           tutta faveza e ruffiana

           sempre lesta e pront'e mano.

           Evviva la riggina

           c'a vocca curallina

           è giovane e putente

           ma nun capisce niente

           di comme se guverna

           chesta città d' inferno

           comme s'usa 'a spada

           e se guida la contrada.

           E allora la riggina

           c'a vocca curallina

           se piglia nu consorte

           ch'è brutto comm'a morte.

           Giovanna la cortese

           se sposa st'ungherese

           senza sapere che

           vo' diventare re.

                 

Gia - E allora non pensiamo a niente, godiamoci queste nozze. In onore della bella, dolce, frivola e poco castigata Giovanna, festa sia.

Tutti - Siii.

Pop 1 - Chiediamo aiuto a Bacco e alla sua gaiezza.

Donna 1 - Farà scordare  i guai.

Donna 2 - E tutte le amarezze.

Gia - Omaggio alla bellezza della calda Giovanna.

Pop 2 - Sia ringraziata Venere che tanto le concede.

Tutti - E quest'è l'occasione per scordarci li guaje.

Pop 3 - La gente vole vivere

           e tiene sempre a mente:

           le belle donne, il vino

           e il dolce non far niente.

Tutti - Siii.

Gia - Guardiamo ad Epicuro,

           godiamoci la festa,

           e lieto sia il futuro,

           e il tempo che ci resta.

(Musica 2 siripete in sottofondo) 

                               

Scena 3

(Ser Gianni, Donna Ceccia, tutti)

Cec - Ser Gianni, ma chi è quest' Epiculo.

Gia - Epicuro, donna Ceccia è un filoso greco, che pensava alle cose concrete.

Cec - Un materiale?

Gia - Un materialista... che non credeva neppure negli dei.

Cec - Uh, mamma mia. Allora è un senza Dio?

           Ma è ancora vivo?

Gia - Nossignore, è morto da qualche anno.

Cec - Meno male. Se no, oggi, a uno come questo lo avrebbero subito messo allo spiedo.

Gia - E che cos'è, un cappone?

Tutti - (Gridano) Evviva la regina.

           Facciamo tutti festa.

           Brindiamo con il vino.

           Solo questo ci resta.

(Musica 3 sale volume con coro, da Carmina burana)

 

                  Questo vino, se buon vino,

           e vino generoso,

           rende l'homo nobile, onesto e animoso.

          

           Questo calice profondo

           sia sempre colmo di vino sincero

           e l'uomo che ne beve

           sarà certo inebriato.

                  

                   Questo vino.............................

           Da questa coppa bevono umili et padroni

           e senza distinzione uomini e lazzaroni.

                  

                   Questo vino...............................

           Bacco sa conquistare l'animo di tutti

           e spingere all'amore i buoni e i farabutti.

                  

                   Questo vino..............................

           Bacco è anche amato dal gentile genere,

           facendo delle donne sacerdotesse di Venere.

                  

                   Questo vino............................

           Bacco, mitiga gli affanni ed i dolori

           portando sempre seco risa, gioie e ardori.

                  

                   Questo vino............................

           Bacco, amici miei, rende l'uomo giocondo

           ma nello stesso tempo lo rende anche fecondo.

                  

                   Questo vino ...........................

           Perciò leviamo i calici, facciamoci un quartino

           e celebriamo i meriti di Bacco e del suo vino.

                  

                   Questo vino, se buon vino,

           e vino generoso,

           rende l'homo nobile, onesto e coraggioso.

           (Via tutti cantando)

Scena 4

(Jacobo e Rosa  da Cielo D'Alcamo)

Jac - Rosa fresca aulentissima

           c'appari inver l'estate

           per te non trovo pace notte e dia,

           pensando solo a voi, madonna mia.

Ros - Se di me v'innamorate e follie volete fare

           e un tesoro in gemme e oro mi volete arrigalare,

           giammai voi mi avrete su sta terra

           piuttosto io farommi monachella.

Jac - Se suora tu ti fai, mi faccio confratello

           e vengo a confessarti, o prezioso gioiello.

           Con teco voglio stare disteso su un triclinio

           e vederti mansueta sotto lo mio dominio.

Ros - Se il nostro amor si fonde diventa un accidente,

           se ti vede mio padre o qualche mio parente

           mentre intorno mi ronzi come un bel moscone

           nessuno allor ti salva da un grosso paliatone.

Jac - Che i tuoi parenti vedano che bramo e ti corteggio,

           voglio che loro sappiano che io non ti dileggio,

           e son pronto a pagare per te tanto danaro

           per poterti comprare come un oggetto raro.

Ros - Tu non mi puoi comprare come fossi un tacchino,

           neppure se mi copri tutta d'oro zecchino.

           Io non mi voglio dare al primo menestrello

           lo qual dopo che m'ave mi mette il chiavistello.

Jac - Le donne sono belle ma han dura la testa,

           ma l'uomo deve far calar loro la cresta,

           perciò deve mostrarsi sempre a muso duro

           anche se non è vero e si sente insicuro.

Ros - Se io cambiassi idea, meglio che fossi accisa,

           perciò gira pel mondo che trovi donne a iosa.

           Ma se il destino vole che tu mi devi avere

           allora io t'imploro di fare il tuo dovere.

Jac - Donne ne ho vedute, ma ora ho la certezza

           che niuna trovai con pari tua bellezza.

           Perciò basta ciarlare, tu devi essere mia

           e per te sono pronto a far ogni follia.

Ros - Allora se mi vuoi, ascolta una preghiera:

           addimandami in sposa nella giusta maniera,

           parla con la mia matre ed anche con il patre,

           se dare mi ti degnano, in chiesa voglio andare

           e davanti alla gente mi voglio maritare.

Jac - Questo te lo prometto senza tentennamento

Ros - E io ti esaudirò ogni comandamento. (Via)

Gia - (Entrando) Ma smettetela di corre sempre dietro alle donne. Lo sapete che è peccato?

Jac - Peccato?

Gia - Si, è peccato. Io perciò mi astengo, perché voglio andare in Paradiso. E chi commette atti impuri in Paradiso non viene ammesso.

Jac - Non ci credo.

Gia - Non ci credi? E poi vedi. Facciamo un patto. Chi di noi due muore prima, avverte l'altro se è peccato oppure no.

Jac - Sissignore, ci sto. (Via gridando) Rosa fresca, aulentissima, aspettami.

Gia - Tanto, con tutte le donne che tiene, sicuramente morirà prima di me. (Via).

Scena 5

(Donna Ceccia, poi Ser Gianni  da Cecco)

Cec - Ohimé, lo sposo ungherese della bella Giovanna, questa notte è stato assassinato, nella villa di Aversa. Con una scusa il principe Andrea, mentre dormiva con la sua regale moglie, è stato fatto uscire dalla stanza da letto ed è stato strangolato e poi buttato giù dalle mura, mentre Giovanna, a letto, fingeva di dormire. La sua colpa? Non voleva accettare di essere un semplice consorte, lasciando il comando nelle mani di una donna.

Gia - Chi fida in una donna è cieco e  sciocco.

           e l'omo che l'ascolta è certo stolto.

           La donna non fu mai virtù perfetta:

           ama poco tacere e parlar molto.

           Radice, ramo e frutto d'ogni male,

           la donna ha meno fede che una fiera,

           ha veleno che sprizza dal suo core

           ed è superba, sciocca, matta, austera.

           Iniqua strada alla porta infernale

           tossico dolce, putrida tellina

           gloria vana ed insaziabil piaga

           pronta nel male, perfida assassina,

           se si pinge per non sembrare cozza,

           conduce l'uomo a frusta ed a flagello

           e lussuriosa, maligna, molle e vaga,

           arma di Satanasso e suo martello.

           Ma perché le hanno fatte dunque queste donne?

           si chiede l'homo guercio, zoppo o cionco.

           Alla mia mente la ragion s'asconne.

           (Via)

Scena 6

(Caterina e Pietroda Cecco Angiolieri)

Cat - Chi si fida dell'omo è stolta e pazza. Chi si lascia ingannare dalle sue lusinghe deve sapere che hanno sempre un fine.

           Le sue parole mielate sono sempre menzognere. E se non volete credere a quello che vi dico allora sentite ciò che mi accadde un di che mi lasciai abbindolare da un uomo falso e traditore.

(Musica 4 in sottofondo)

          

Ero una ragazza giovane e carina e splendevo nella mia verginità. Tutti mi lodavano e a tutti piacevo. Un giorno, andai nel prato a cogliere fiori.

           (Entra Pietro e mima il racconto di Caterina).

           Un uomo, bello e sfacciato, mi si parò davanti. Mi guardò negli occhi con tanta intensità ed io rimasi ferma senza volontà.

           Lui mi prese dolcemente la mano e mi condusse in silenzio nel boschetto vicino. Quando giungemmo sotto ul alto tiglio sentii la voce calda di quell'uomo.

Pie - Siedi qui accanto a me, dolce fanciulla dalla bocca rossa.

Cat - E mi toccò le labbra con tanta gentilezza, poi la sua mano scese in una lunga carezza e si fermo soltanto quando provò l'ebrezza, quando colse cioè, il mio fiore illibato.

Pie - (Con voce sgradevole) Ora il gioco è finito.

Cat  - E l'uomo mi lasciò il benservito.

           (Piange).

Pie - Avete visto, messeri, come è facile, con qualche lusinga, accalappiare una donna come un'aringa?

           Un invito a passeggiare, una frase per colpire, uno sguardo per ammaliare e la donna è pronta a fare tutto ciò che l'omo vole. Ma in fondo in fondo la donna è sempre la padrona del nostro cuore...

Cat - (Piange forte).

Pie - ... ed ora son tornato per farmi perdonare.

           Non piangere pulzella, il tuo uomo è tornato.

Cat - Tornato per fare cosa, falso traditore?

Pie - Per farmi perdonare da te che amo tanto.

Cat - Invece io non perdono colui che non è degno...

Pie - Basta, vieni meco, che sento un gran trasporto.

Cat - Trasporta la tua voglia su qualche altra putta.

Pie - Non lo farei giammai. Sei tu la mia fanciulla.

Cat - Va fanciullo e mori con un brutto accidente.

Pie - Vorresti che morisse lo padre del tuo figlio?

Cat - E quando feci un figlio?

Pie - Quando scappammo al tiglio.

Cat - Tu non mi dici il vero.

Pie - Invece io son sincero.

Cat - Allor meglio morire.

Pie - Tu non devi morire.

Cat - No. Voglio morire.

Pie - Non puoi perché ti amo.

Cat - (Addolcendosi) E' vero oppur m'inganni?

Pie - Se parli così sei senza cuore.

Cat - Non sono senza cuore, ohimé, ma innamorata.

Pie - Lo vedi che ti sei ormai a me legata?

           Per te il mio cuor ha scritto versi pieni d'amore

           e della tua venuta io ringrazio il Signore.

           (Porge alla donna i versi scritti).

Cat - (Leggendo).

                  Benedetto sia il giorno e il mese e l'anno,

           e la ragione e il tempo e l'ora e 'l punto,

           e 'l bel paese e 'l loco ov'io fui vinto

           dai tuoi begli occhi che legato m'hanno;

                  e benedetto il primo affanno

           quand'ebbi ad esser in amor congiunto

           e l'arco e le saette ond'io fui punto

           e le piaghe che infin al cor mi fanno.

                  Sia benedetto questo bene mio

           e benedetto siano i sospiri,

           le lagrime, i pensieri ed il desìo

           che ho per te, si ch' altra non vi ha parte.

Scena 7

(Giullare 1, Giullare 2)

Giullare 1 - Che bella cosa l'amore. L'amore è rispetto e cortesie. Cortesie in amore, cortesie con la gente, cortesie a tavola.

           Quanti di voi conoscono le norme di buona cortesia del saper stare a tavola?

           (Chiedendo a qualcuno del pubblico).

           Qual'è la prima cosa da tener presente?

           (Lo spettatore non risponde) Lo vedi che non lo sai? E allora ve lo dico io.

La prima cosa è questa,

che quando sedi a mensa,

ricorda il  bisognoso, 

qualcosa a lui dispensa:       

ché, quando aiuti un povero,

tu aiuti lo Signore,     

lo qual dopo la morte

sarà judicatore.

Non è, quando se magna,

certo cosa gradita,

vedere il tuo compagno

che si fa 'na pulita.

Fintanto che tu mangi

con homini e parenti,

non spalancar la bocca

non ti pulir li denti.

E chi si caccia in bocca

le dita impiastricciate,

leccando per pulirle,

le rende più sozzate.

Poi non pulir le recchie,

il naso non si nette.

E ancor per cortesia

a pranzo oppur a cena

se magni e vuoi parlare,

non farlo a bocca piena.

Tanfin che li altri mangiano,

non dir cose angosciose,

ma taci o di' parole

che sian confortose.

Se mangi con persone

che fan rumor di peto,

fingi di non sentire

non ti guardar a reto.

Se mentre stai al desco,

ti vien necessitade

puoi alleviar la pena,

facendole spezzetate.

Giullare 2 - E se vai a cavallo,

guardati d'ogni fallo;

quando vai per cittade,

consiglioti che vade

molto cortesemente:

cavalca bellamente,

un poco a capo chino,

ch' andare senza freno

è gran selvatichezza.

E non mostrar eccesso di fierezza

se in casa altrui ti trovi;

guarda che non ti movi

come zotico in villa;

non guizzar com' anguilla,

ma va' pacatamente

per la via, tra la gente.

E del tuo parlamento

abbi provedimento:

non esser gran parlante,

e pensaci molte volte

quel che dire vorrai,

perché quello ch'è detto

non ritorna mai.

Scena 8

(Ser Gianni, Fra Bernardinoda Agostino di Ippona)

Gia - La inconsolabile vedovella Giovanna, audite, audite, ha lasciato le gramaglie e adesso convola a nozze con una grandissima festa nella bella chiesa dell'Incoronata. Lo sposo è il cugino Luigi di Taranto, lo quale certamente spera di trovare la sua felicità accanto ad una donna bella e potente.

Fra - Tutti l'omini cercano la felicità. Ma beato sia chi la possiede dentro di se perché è in pace con li peccati e con la sua anima. La felicità alberga nel cuore di colui che si nutre di speranza, che è certo miglior condizione di quelli che non hanno niuna speranza.

           (Entrano in scena lentamente dei popolani e seguono impauriti le parole del frate).

           Tutti l'omini hanno grande desio de la felicità e tutti vorrebbero raggiungerla per la via più breve, perché la méta agognata è solo il godere.

           Oggi il desiderio della carne si oppone a quello dello spirito e il desiderio dello spirito si oppone a quello della carne, sicché l'omini non fanno ciò che vogliono, si ripiegano su quello che possono e ne stanno contenti, perché quello che non possono non lo vogliono con la intensità necessaria accioché diventi loro possibil cosa.

           Voi vi occupate di troppe faccende più atte a rendervi infelici che felici.

           Buttate alle ortiche ogni forma di falsa felicità, non fatevi rapire da false illusione che portano soltanto alla perdizione.

           In verità vi dico: la vera felicità consiste nella gioia che si trova nel Signore: questa sola, non altre.

          

           (Tutti restano in silenzio, in ginocchio, immobili, mentre in sottofondo parte una litania che però usa parole incomprensibili. Il frate gira tra loro, poggia il suo cordone sulla testa di alcuni a mo' di benedizione e lentamente benedicendo esce di scena. La litania si spegne con l'uscita del frate. Poi dal silenzio esplodono delle urla).

Scena 9

(Caterina, Bacco, popolani  e  musici)

Cat - E' morto. Lo sposo di Giovanna è morto.  Luigi di Taranto, è morto di peste, lasciando un grande vuoto nel letto della regina che ora è novellamente sola con la sua corona. Come farà a consolarsi la triste vedovella?

Bac - (Con maschera sul viso) Vedete gente che la vita è breve. E allora anneghiamo ogni dolore nel dolce nettare di quell' inebriator ch'è Bacco.

Tutti - (Urlo di gioia).Siii.

Bac -  Affoghiamo i piagnistei con l'aiuto del sommo Bacco. L'unico dio che scende  tra noi mortali per consolarci, scaldarci, ubriacarci.

           (Scendendo tra il pubblico) Tutti siete invitati alla sua mensa. Suonate dunque musici, l'inno consolatore.

 

(Musica 5 in sottofondo)

           Benvenuto Bacco.

           (Versa vino al pubblico aiutato da alcune popolane che offrono anche tarallini).

           Bevete il mio nettare, inebriatevi con il mio frutto e gustatevi la vita.

           Bacco accomuna tutti, grandi e piccoli, ricchi e poveri, perché tutti bevono dalla sua coppa.

           Beve la dama

           Beve il signore

           Beve il soldato

           Il carcerato.

           Beve questo, beve quello. Beve il bianco, beve il nero. Beve il saggio e l'ignorante. Beve il povero e il malato. Beve il giovane ed il vecchio. Bevono tutti senza ritegno e diffidiamo di chi beve acqua. E' vero, noi bevitori non saremo mai annoverati nel libro dei giusti, ma vivaddio, almeno ce la siamo spassata.

           E allora prosit.

           La prima bevuta la voglio dedicare a voi presenti.

           La seconda  a tutti i viventi.

           La terza ai nostri defunti.

           La quarta al nostro padrone.

Tutti - E chi è?

Bac - Il preside et similia presidentessa.

Tutti - Nooo!

Bac- Lascia fare. Vi conviene.

           La quinta bevuta è per le donne vanitose.

           La sesta per gli uomini imbecilli.

           La settima per i preti diversi.

           L'ottava per i politici perversi.

           La nona per gli evasori sommersi.

           La decima per noi paganti fessi, gabelle e balzelli e tassa sugli amplessi.

           Insomma, sia per il Papa o sia per il re,

           forza onorate Bacco,

           bevete insieme a me.

          

(Musica 5 sale il volume).

Scena 10

(Donna Ceccia, Giovanni e Luigi)

Gio - (Entra triste meditando su un foglio).

Cec - Messer Giovanni, che vi succede? Perchè siete così afflitto?

Gio - Perché or ora seppi che devo lasciare questa cara cittade per tornare a Firenze.

Cec - E vi dispiace?

Gio - Certamente.

Cec - Come mai?

Gio - Te lo dirò con questi pochi versi.

                  

                   Tu pensa al sentimento mio penoso

 che deve, con amaro core,

 questa cittade abbandonar forzoso.

Qui vi è beltà, cortesia e valore,

leggiadri motti, esempi di virtute,

somma piacevolezza e tanto amore;

quivi è il disio che move omo a salute,

qui vi è tanto bene ed allegrezza

quant'omo ci può aver, quivi compiute

le delizie mondane, e lor dolcezza

si vedeva e sentiva; dove io vado

vi è malinconia e sol gravezza.

Lì non si ride mai, se non di rado;

la casa è oscura e muta e molto

triste quando mi riceve, mio malgrado;

sì che l'aver veduto sta città

il ritornare a così triste ostello

mi pesa e mi fa dir: io resto ccà.

Cec- Bravo, ser Giovanni.

Lui - (Che è già entrato ed ha ascoltato parte della poesia).

           Io non sono d'accordo. Conosco bene questa gente e non mi sembrano persone di tal guisa.

Cec - Che significa, messer Luigi.

Lui - Significa, come dite voi mia donna Ceccia, che siete... siete... ve lo dico anch'io con i miei versi immortali.

Se levate li vruoccole ed il gioco

a questi minchiattar napoletani

che sono tutti un poco ciarlatani,

parebber salamandre fuor del fuoco.

"Appizza, Giova', lo 'ngegno al gioco,

ch' aggio visto juca'  meglio li cani".

Qua tutti i li mercanti son marrani,

e li signor son peggio ancor di un  cuoco.

"Si dice anco di Napoli gentile »

E i cantari che volan come uccelli

fanno di queste strade un gran porcile.

«Ma, chisti Fiorentini bricconcelli,

credon d'aver cervel 'si  sottile? ».

Cosi dicon di noi questi minchioni.

E se cerchi chi vende una tal cosa

rispondon tutti, come pecoroni

«Ma che ve serve, io vengo tutte cose?»

Cec - Messer Luigi, ma questi versi li avete scritti proprio voi?

Lui - Certamente.

Cec - Non ci posso credere.

Lui - Non cercate di farmi complimenti.

Cec - Ma allora siete veramnete un minchione? Questi versi sono una vera schifezza. Più che immortali, questi fanno murì a chi li sente. Messer Giovanni, voi si che siete un vero poeta immortale.

Gio - Grazie, nobile madonna.

Cec - Grazie, ma non sono nobile. I miei natali son molto umìli.

Gio - Ma siete nobil dentro.

Lui - Molto dentro. (Via).

Cec - Ne' poeta, guarda che t'ho capito, sai. Ma io che sono una madonna ti rispondo con le parole del poeta, quello vero: non ti curar di lui, ma guarda e passa... 'nu guaio. Andiamo Messere.

Gio - Andiamo Madonna.

           (Escono a braccetto)

Scena 11

(Ser Gianni, Popolanada Anonimo del 1200)

Gia - Finalmente, la nobile Giovanna ha trovato la forza di prendere un consorte capace di farle dimenticare il dolore per la perdita dei due poveri e sfortunati mariti. Dopo l'Ungheria e Taranto, ora la sua scelta si è spostata in occidente. Il nobile Giacomo III di Majorca, è il nuovo sposo di Giovanna.  La vita ricomincia.

(Musica 6)

Pop - La donna è  un giardino

           di fiori tutto pieno

           ma se li vuoi pigliare

           le spine puoi trovare.

           La donna è fraudolente

           e buona raramente;

           ma è pien de malvasia

           pronta ad ogni eresia.

           Non se ne salva alcuna

           la bionda oppur la bruna

           Eva adescò Adamo

           col serpe sopra il ramo,

           mentr' Elena da Troia

           scappò per troppa noia.

           La moglie di Sansone

           gli tagliò li capelli

           e Pasifea regina

           col toro fe' manfrina.

           Tutto questo è la donna

           che similmente è danno.

          

            

Scena 12

(Donna Ceccia, Donna e Maritoda Rustico Filippi Sonetto XI)

Cec - Ci risiamo. Anche il terzo marito di Giovanna , il principe Giacomo di Majorca, è morto in battaglia. Ma perché aveva lasciato la moglie e la corte per correre a combattere in Spagna? E' un mistero. Questi uomini sono veramente strani.

           (Entrano la donna e il marito).

           Ecco, vedete quest'uomo? Si chiama Aldobrandino e la moglie lo ha cornificato con il giovane Pilletto e lui, se l'è presa un po'. Ma la moglie non se l'è preso per niente.

Don - Oi dolce mio marito Aldobrandino

           rimanda il suo mantello al buon Pilletto

           Ch'egli è un giovine tanto cortese e fino

           e credere non devi a ciò che viene detto.

           E non stare tra la gente a capo chino.

           Quando con noi venne a dormir nel letto

           quel giovane simpatico vicino

           le corna non t'ho fatto e  te l'ho detto.

           Ridagli allora il manto, facciamogli vedere

           che tu sei superiore e non ti brucia il sedere

           Che sia venuto a letto me ne doglio

           perciò basta parlare per piacere

           lasciam da parte tutto quanto è orgoglio

           ché a me il ragazzo fece da braciere

           e non fece cosa ond'io mi doglia.

Mar - Vado anch'io a combattere in Spagna. E' meglio.

(Via)

Scena 13

(Fanciulla,  da Manoscritto Palatino )

Fan - La franca gente tutta s'innamora

           e ciascun si offre all'amata.

           Ogni damigella vive la sua gioia

           invece in me abbondan solo pianti

           perchè mio padre mi fa vivere in dolore:

           donare mi vuol marito contro mia volontà

           ed io di ciò non ho desir, né voglia.

           Ecco cosa mi scrive  il caro padre.

           (Apre uno scritto e legge).

           Carissima mia figliola molto ti prego e ancor comando che tu non ti dispiaccia ch'io t'ebbi a dare un marito.

           Uscendo fori dalla signoria del tuo padre, tu andrai al tuo marito e signore al quale non solamente gli sarai compagna ma serva ubbidiente.

Il primo comandamento che tu devi seguire è che ti guardi da tutte quelle cose per le quali tuo marito si possa crucciare. Non stare allegra quand'egli è turbato, ma  anche quando lui è allegro. Non far pensare che sei una donna superficiale che ama il divertimento. E non stargli troppo addosso, ma istatti sempre in disparte alla giusta distanza che non gli faccia sentire il peso della tua presenza.

Il secondo: devi sapere quel cibo che più gli piace e fa che diligentemente gli sia servito e, se a te non piacesse quella tale vivanda, voglio che tu mostri ch'ella ti piaccia, perché la donna sappia condiscendere al piacere del suo marito.

Il terzo: quando tuo marito si dormisse, guarda di non destarlo mai subitamente, ma piana­mente, con suavitade acciocché non s'adiri.

Il quarto: che tu sii fedele guardiana del suo avere. Non toccar la sua borsa, acciocché non pren­desse sospetto di te.

Il quinto: non di­mostrarti troppo volonterosa di sapere le cose del tuo marito e, se avviene che lui istesso te le riveli, guarda che tu non le ridica a niuna persona.

Il sesto: che tu ami coloro li quali sono benvoluti da tuo marito; non chiedere cagioni, imperciocché ne saresti odiata da tuo marito.

Il settimo: che tu non faccia alcuna cosa senza il consenso del tuo marito, quantunque quel­la cosa ti piacesse e guarda che tu non gli dica per alcun modo: "io penso che..." Non è tuo compito pensare. E' solo l'uomo che lo pote fare.

(Esce piagnucolando).

Scena 14

(Ser Gianni, Notaro, Villano che non parla)

Gia - La nostra sovrana Giovanna è veramente una donna senza frontiere. Ora ha trovato un nuovo sposo: Ottone di Brunswick, che viene dalla Germania. E' un valente capitano di ventura. Così Giovanna si sente protetta. Ma la vita nel regno non è più quella di una volta. La gente vive di stenti. Il vino è merce rara. Il pane è solo di ségala.

           Non si mangia mai carne se non qualche pezzo di interiora quando macella per dei nobili signori. Tutti camminano scalzi e i loro abiti sono poco più di stracci. Per coltivare un po' di terra bisogna pagare un fitto altissimo ai padroni che pretendono gran parte del raccolto e  poi la tassa al re. Il mezzadro, deve lavorare la terra, dissodare, seminare, curare, raccogliere e consegnare i due terzi al proprietario.  E' strano: noi viviamo in una condizione di miseria sebbene abitiamo nel più fertile regno del mondo.

(Entra un notaro con pergamena e legge mentre un villano ascolta.)

Not - Contratto mezzadrile: Io Vanni del fu Cecco da Melito, dichiaro di aver  ricevuto in conduzione mezzadrile da Maso del fu Giovanni Ruberto,  il podere posto a Croce del Lagno, con le vigne, i pascoli,  per lavorarlo, per interi anni cinque, promettendo di stare in esso con tutta la mia famiglia et un garzone perché detto podere fusse bonificato e si rendesse grandemente produttivo. Prometto di comprare con i miei soldi due buoi per lavorare proficuamente, seminare orzo, spelta, fave, frumento, spargere il letame, raccogliere e consegnare al legittimo proprietario, senza diminuzione per alcun motivo, per ogni anno, due terzi della quantità che il Signore ci manderà, recando tutto nella sua magione. Prometto di tenere 24 pecore e renderò a detto padrone  i due terzi, con tutto quanto queste pecore mi faranno ricavare in lana e formaggio.  Prometto inoltre che darò ogni anno, recandole nella sua casa, 400 uova, 5 paia di capponi per la festa di Ognissanti, due maiali che avrò provveduto con cura a governare e ingrassare a mie spese, per la Pasqua di Resurrezione. Prometto di non fare alcun altro operato senza il suo speciale permesso e di rispettare con devozione tutto quanto scritto in questo contratto mezzadrile.

Vil - (Sviene)

Gia - Ancora l'uomo si trova in una forma di schiavitù, anche se molti comuni ne hanno proclamato solennemente l'abolizione. Ma per fortuna c'è l'amore che solleva lo spirito e altro.

Scena 15

(Cavaliere, Pastorella  di Marcabru)

(Musica 7 dolce che sfuma e passa in sottofondo e poi via)

Cav - L'altr'ieri accanto a una siepe

           trovai un paffuta pastorella,

           dotata di bellezza e pur di senno.

           Ragazza, diss'io, creatura bella

           perché sei tutta sola e intirizzita.

Pas - Signore, grazie a Dio,

           e a chi mi ha allevato

           poco m'importa se il vento mi scarmiglia,

           perché sto bene e sono anche contenta.

Cav - Bella creatura dolce,

           una ragazza come te

           non deve pasturare tante bestie,

           in codesta campagna solitaria.

           Così da cavaliere vo farti compagnia.

Pas - La vostra compagnia

           signor, non mi dispiace.

           Ma sono di famiglia

           che attende solo al gregge ed alla falce.

Cav - Una fata gentile

           ti dié quando nascesti,

           una bellezza splendida

           sopr'ogni villania.

           E ti confesso, o cara,

           che con te ci starei

           fortemente abbracciato

           per darti il mio calore.

Pas - Signore, i vostri complimenti

           sono un'illusione di Morgana

           Perciò or mi congedo

           lasciandovi da solo col calore.

Cav - Oh, cuore ritroso e selvaggio,

           io capisco subito il messaggio,

           ché quando donna vuole dire si,

           si mostra infastidita e dice no.

Pas - Orbene, se tanto tu capisti,

           e capriccio d'amor vole appagare,

           allora certo mi farete omaggio

           prezioso come la mia verginità.

Cav - Ragazza, di vostra bellezza

           non ho mai visto donna si sfacciata

           che baratta la sua verginità

           per ricavare un meschin guadagno.

Pas - Signor mio, secondo la ragione

           ognuno deve aver ciò che gli spetta:

           al cortese la cortese avventura;

           allo sciocco una sciocchezza

           al villano una villana;

           al capriccio  una borsa di oro.

           E adesso va che tempo non ne perdo.

Scena 16

(Ser Gianni poi tuttidaGiovanni Boccacio)

Gia - Ohimé! Napoli è caduta nelle mani di Carlo di Durazzo, venuto dall' Ungheria per volere del papa Urbano VI.   Invano il marito di Giovanna si è opposto agli invasori. Ottone è stato fatto prigioniero e così a Giovanna non è rimasto che arrendersi al nipote ungherese. L'aspetta una prigione a Muro Lucano e la morte, dopo pochi mesi, in circostanze sospette.  

           Ecco, è venuto il momento del finale,  

           sperando d'aver detto utili cose

           massimamente a tutti quelli giovani,

           che si mettono in cammino

           tra strade perigliose

           della nostra civiltade.

           Ma sopra ogni cosa

           l'homo ricordi sempre

           che non tutte le donne

           son certo da pugna­re,

           anzi ci son talune

           che guidano la via

           di tanti uomini grulli

           e per questo

           novella strategìa,

           più che pugnare,

           tosto  le amerai.

(Musica 8 tutti in scena lentamente)

           Siamo stati tutti quà

           per potervi raccontà

           le vicende di Giovanna

           bella, bella, bella e tormentata,

           dal potere e dall'amor.

           Mo il potere è dei Durazzo,

           ma non è cambiato un casso.

           Quanta gente vive sempre

           male, male, male o sempre peggio

           e tutt'oggi, amici miei,

           siamo ancor nel medioevo.

           e tutt'oggi, amici miei,

           siamo ancor nel medioevo.

(C) Mariano Burgada