Il caso è così… (da ridere)

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IL CASO E' COSI'......(da ridere)

Tutela S.I.A.E.

                                                                                Teatro Comico Napoletano

IL CASO È COSÌ… (da ridere)

Commedia in tre atti

di

Colomba Rosaria ANDOLFI

(1997)

Non sono consentiti rimaneggiamenti del testo e variazioni del titolo. Non è altresì consentita la traduzione in altre lingue o dialetti.

Questo lavoro nasce nel 1995 come commedia in due atti, quale libero adattamento teatrale della favola a ruoli invertiti “Cenerentolo” di Domenico Raio, proprio su richiesta dello stesso  autore, che mi contattò dopo aver assistito alla messa in scena di un mio lavoro. In realtà da quel minuscolo libro, edito da Vittorio Pironti nel 1994, trassi soltanto lo spunto per concepire con molta inventiva la commedia che, col titolo “Permesso?... Song’ ’a ciorta”, fu depositata alla SIAE per essere rappresentata l’anno successivo dalla Compagnia Il Guazzabuglio.

In seguito, il testo, riveduto e implementato, divenne la commedia in tre atti “IL CASO È COSÌ… (da ridere)” che la stessa Compagnia portò in scena nel 1997.   

                                                                         Colomba Rosaria Andolfi

Trama – La vicenda si svolge a Napoli nel 1995. Il primo atto della commedia è ambientato in un misero basso dei quartieri spagnoli, dove Gennarino, giovane squattrinato, vive con il fratello gay e con Don Vincenzo, l’ex compagno della loro madre defunta. Gennarino mal sopporta la presenza di Don Vincenzo, un estraneo che ha vissuto da parassita sulle spalle di quella povera donna e che ora sbarca il lunario con lavori saltuari. A complicare la già difficile convivenza c’è Lelluccio, il fratello gay di Gennarino, che non fa nulla per nascondere la sua natura e che cerca di rendersi utile provvedendo alle faccende domestiche. Gennarino si arrangia, vendendo sigarette di contrabbando a pochi affezionati clienti; il resto del tempo lo passa a sfogliare riviste porno che il suo amico Rafele gli procura, sognando ad occhi aperti le splendide e formose modelle che vi sono ritratte. A niente valgono i consigli di Donna Assunta, l’anziana vicina di basso, che lo esorta a trovarsi una ragazza in carne ed ossa. L’improvvisa partenza di Lelluccio rende necessaria la presenza in casa di una donna che possa provvedere almeno alle pulizie. La venuta di Annuccia, figlioccia di Donna Assunta, farà ringalluzzire Don Vincenzo. La sorte però tiene in serbo per Gennarino una bella sorpresa di nome Vittoria, la figlia di un produttore napoletano di latticini, che segnerà una svolta decisiva nella sua vita. La vicenda si arricchisce di altri personaggi, niente affatto minori, come il Professore di lettere (al quale Gennarino riserva sempre una stecca di sigarette freschissime), come Benny (il parrucchiere gay, amico di Lelluccio), come Salvatore (l’ex di Annuccia), come Evelina (la portiera impicciona del palazzo accanto) e di altri, come la Signora Starace, Titinella, il fattorino; personaggi, tutti, che contribuiranno a creare situazioni esilaranti prima del colpo di scena finale.  

Tutela S.I.A.E.

                                                                            Teatro Comico Napoletano

IL CASO È COSÌ… (da ridere)

Commedia in tre atti

di

Colomba Rosaria ANDOLFI

(1997)

Personaggi

Gennarino Esposito, venditore di sigarette di contrabbando

Lelluccio, fratello gay di Gennarino

Don Vincenzo, ex compagno della loro madre defunta

Donna Assunta, anziana vicina di basso

Rafele, amico di Gennarino

Benny, amico gay di Lelluccio

Annuccia, figlioccia di Donna Assunta

Il professore, affezionato cliente di Gennarino

Salvatore, ex spasimante di Annuccia

Vittoria, figlia dell’industriale Bufalino

Titinella, nipote di Donna Assunta

Evelina, portiera del palazzo accanto

Signora Starace, amica di Vittoria

Un fattorino

L’età scenica e le caratteristiche dei personaggi sono indicate a fine pagina 87.   

L’introduzione, riportata alla fine, è facoltativa.

I diritti d’autore per questa commedia,  così come per le altre, sono i minimi d’uso SIAE. 

Il regista, che intendesse realizzare questa commedia, può richiedere i due dettagliati  bozzetti di scena (utili già per le prove), scrivendo all’indirizzo di posta elettronica: corandolfi@libero.it . 

IL CASO È COSÌ… (da ridere)

ATTO PRIMO

La vicenda si svolge nel 1995, all’interno di un basso napoletano, sito al Vico Tre Re a Toledo. Le pareti sono logore e scrostate; l’arredamento è misero e essenziale. Sulla parete sinistra, guardando il palcoscenico: un  letto singolo coperto da un plaid (appesi sopra il letto: un gagliardetto del Napoli e un poster di Maradona; sotto il letto: uno sgabello pieghevole e una cassetta di legno, tipo valigetta, contentente varie stecche di sigarette di contrabbando); a seguire, una porta mal ridotta da cui si accede alla stanza di Don Vincenzo. Sulla parete destra: una vecchia cassapanca, una finestra a una sola anta che ha la grata esterna e il vetro opaco, lesionato e fermato da una striscia di scotch; a seguire,  la porta di ingresso che si apre verso l’interno da sinistra a destra e una sedia (appeso al muro, in direzione della sedia un piccolo specchio di plastica). Sul fondale, a sinistra, un vecchio cassettone; sul fondale, a destra, quasi nell’angolo, un attaccapanni. Il fondale è costituito da due pareti avanzate: quella a sinistra nasconde lo stanzino dove dorme Lelluccio, quella a destra nasconde il cucinino e il gabinetto. Un piccolo disimpegno divide al centro le due pareti avanzate, lasciando intravedere lateralmente due tende di cretonne che fungono da porte. Su entrambe le pareti avanzate, sono presenti in alto due aperture per dare un po’ di luce e di aria ai vani retrostanti. Quasi al centro della stanza: un vecchio tavolo quadrato da cucina con tre sedie malridotte.

Siamo a fine aprile - È un lunedì mattina.

.  In fondo al disimpegno, verso il cucinino, è poggiata una mazza

   lavapavimenti, completa di un lurido strofinaccio.

.  Sulla cassapanca sono ammucchiati tre maglioni di lana piegati.

.  Sull’ attaccapanni sono appesi disordinatamente molti indumenti

   maschili.

. Sul cassettone una sveglia, una brocca e cianfrusaglie varie.

. Sulla spalliera della sedia, che è vicino all’uscio, sono poggiate delle  lenzuola, piegate alla meglio; sulla seduta si intravedono altri panni (federe, canottiere, ecc.).

. Sul tavolo ci sono delle riviste porno, una Gazzetta dello Sport  e un bicchiere pieno d’acqua.

Gennarino, vestito con jeans e maglietta, sta dormendo beatamente sul suo letto, con addosso un plaid che lascia scoperti i piedi con i calzini, quando viene svegliato dal rombo di un motorino. Infastidito, si copre la testa con il cuscino, ma il rumore è troppo assordante.

Gennarino (assonnato, mette i piedi a terra, infila le scarpe e guardando verso l’uscio di ingresso) : All’anema ’e chi v’è mmuorto! (adirato, si alza).

Voce maschile (proveniente dalla strada): Curre, fa’ ampressa!... Jetta ’a serenga!

Gennarino (spalanca l’uscio) : Nèh, ma ’a vulite fernì?!... (Minaccioso) Jatevenne ca si no…

Altra giovane voce maschile (proveniente dalla strada - tono irridente): Ca si no che?... Tie’, fatte sta serenga!

Una siringa (priva di ago) entra come un proiettile all’interno del basso, sfiorando la spalla di Gennarino che, spaventato, ne segue la traiettoria. Frattanto si sente il rombo del motorino che si allontana (dissolvenza).

Gennarino (allarmato, accosta l’uscio): ’A serenga!... Chella pe’ poco nu m’ha cugliuto!... (Preoccupato) Ma addó è fernuta?... (Con le gambe tremanti si appoggia al tavolo) Ce mancasse sulo ca m’acchiappasse l’addiesse!... Accussì facesse tortano e senza ’nzogna... Na malatia comm’ a chella propio a me, a me ca pe’ tuccà a na femmena aggi’ ’a sulo apprufittà d’ ’a folla int’ ’o pulmanno… (Guarda il pavimento e la vede vicino alla porta socchiusa che dà nella stanza di Don Vincenzo) ’A vì llanno!… E chi ’a tocca!... Sarrà meglio ca piglio nu foglio ’e giurnale. (Apre La Gazzetta dello Sport che è sul tavolo e ne strappa il foglio centrale) Menumale ch’ èd’ ’a semmana passata! (Piega il foglio in più parti a mo’ di palettina e si abbassa a raccogliere la siringa da terra) Che schifo!... (Con cautela la porta verso il tavolo) Ce sta pure na goccia ’e sanghe. (Mentre l’avvolge nel giornale, sobbalza)  Ma l’ago  addó stà?!... Gesù Cristo mio, forse  ’o tengo ’ncuollo! (Preoccupato, si guarda il maglioncino, si scuote il pantalone) Mammà, aiuteme tu! (Va a osservare il punto, dove era caduta la siringa, e scorge l’ago nella fessura della porta socchiusa di Don Vincenzo) Menumale, sta ccà!... Mò m’aggi’ ’a stà accorto a nun me pógnere… (Ritorna verso il tavolo, con mano tremante strappa un’ altra pagina del giornale e va a raccogliere con cautela l’ago che avvolge nella carta) Ecco fatto! (Sul tavolo pone i due fogli accartocciati al centro del giornale che appollottola)  È meglio ca sta fetenzia ’a votto fore ’int’ ’o bidone d’ ’a munnezza (apre l’uscio del basso e, prendendo la mira, lancia la palla di carta fuori).

Donna (voce fuori campo): Nèh, strunzo!... All’età toja pazzìe ancora ô tirassegno... Menumale ca era na carta, si no me putive struppià.

Gennarino : Scusate, signó, io nun vulevo.

Donna (voce fuori campo, scimmiottandolo): Scusate, nun volevo.   

Gennarino (richiude la porta) : Che va truvanno chella scema!?... ’A colpa è ’a soja ch’è passata ’nnanze ’o bidone d’ ’a munnezza… (Prende il bicchiere pieno d’acqua che è sul tavolo) Famme pulezzà ’nterra, nun se sape mai… (Butta qualche goccia d’acqua nei punti dove sono caduti l’ago e la siringa, passa la mazza col lurido straccio sul pavimento e  soddisfatto)  Mò, sì… (Poggia di nuovo la mazza alla parete) P’ ’a paura m’è passato ’o suonno… (Si stiracchia, poi guarda l’orologio sul polso) E penzà che so’ appena ll’undice e meza… (Tira da sotto il letto uno sgabello pieghevole e una vecchia valigetta; si siede sul letto, apre lo sgabello e vi pone sopra la valigetta) Ccà dinto ce stà tutto ’o patrimonio mio… (Apre la valigetta,  guarda le varie stecche di sigarette americane che vi sono contenute e ne tira fuori due di Merit) Sti ddoje stecche ’e Merìtte ’e ttengo  già prenotate…. Una ce l’aggi’ ’a purtà ’o prufessore. 

Bussata di porta con mano.

Donna Assunta (apre l’uscio accostato e facendo capolino): Permesso?…

Gennarino (assorto nei suoi pensieri): Da sti ssigarette ce pozzo arricavà almeno trecientomila lire.   

Donna Assunta (entra in scena con indosso un vestito di lanetta e ai piedi delle pantofole chiuse) : Nèh, Gennarì, ma te sì’ ’nzurduto?... Ce vò tanto a risponnere?

Gennarino : Donna Assù, aggiate pacienza!... Sto ancora stunato... Me so’ scetato ’a poco.

Donna Assunta : E te si’ addurmuto vestuto?

Gennarino (rimette le stecche di sigarette nella valigetta): Se vede che m’ha pigliato na botta ’e suonno e nun aggio fatto a tiempo a me spuglià… Stanotte me songo arritirato tarde... Aggio giucato a Tressette fino ’e ddoje; pe’ chesto stammatina me l’aggio chiammata ’e festa.

Donna Assunta : Biato a te!... Io tengo na nuttata ’ncuollo e sto’ allerta da ’e ssette… Stammatina m’aggio fatto già ’a croce cu ’a mano â smerza... Stu lunnedì è schiarato propio malamente… (Guarda i maglioni e le maglie intime che sono sulla cassapanca) Che ce fanno sti maglie ccà?

Gennarino: Forse s’hann’ ’a mettere a posto.

Donna Assunta : E tanto ce vò?! (poggia i maglioni e le maglie intime sulla sedia che è  vicino al tavolo, solleva il coperchio della cassapanca e li ripone all’interno).  ’O ssaje, Gennarì,  poco fà duje scurnacchiate cu na serenga sporca ’e sanghe se so’ fatte cunzignà ’o portafoglio ’a don Michele ’o barbiere… Dinto ce steveno sittantamila lire (richiude la cassapanca).

Gennarino: Sittantamila lire! (richiude la valigetta).

Donna Assunta: Chillu povero Cristo, apprufittanno ca ’o salone ’o lunnedì sta chiuso, era sciso a pprimma matina pe’ s’abbuscà quacche sòrdo ’a fore mano.

Gennarino (interessato) : E comme se l’abbusca?

Donna Assunta : Jenno facenno ’a barba e ’e capille p’ ’e ccase… (Nervosa) Chilli fetiente ’e mariuole, senza nisciuna cuscienza, se vanno arrubbà ’o portafoglio propio ’a uno che fatica.

Gennarino (ironico) : E s’ ’o putevano maje arrubbà ’a nu disoccupato!?.... (Sorride) ’O portafoglio, ’o disoccupato nun ’o tene nemmanco (si alza e va a prendere lo specchio che è appeso alla parete).

Donna Assunta : Gennarì, tu tiene sempe ’a capa a pazzià... Chillo Don Michele, p’ ’a paura ca s’è pigliato, ce putevà arrumané sicco. ’O puveriello è malato ’e core… ’O bello è ca nisciuno ha visto e nisciuno ha ’ntiso niente.

Gennarino (si alza) : No, no… io aggio ’ntiso e ll’aggio pure viste a chilli dduje fetiente ’e guagliune (si sposta un po’ verso la finestra e, guardandosi allo specchio, si ravvia i capelli con l’altra mano).

Donna Assunta (interessata) : Overo!?

Gennarino (con gli occhi allo specchio, si accarezza le guance):’A barba m’ ’a pozzo pure fà dimane.

Donna Assunta (a parte): Vide si parla!

  Gennarino con molta flemma va a riappendere lo specchio e torna verso il tavolo.

Donna Assunta : Allora, Gennarì, vuo’ dicere comm’è ghiuto?

Gennarino  : È ghiuto ca erano appena ll’undice e mmeza… I’ stevo durmenno doce doce ’mbraccio a na femmena... E che femmena, Donna Assù!

Donna Assunta (meravigliata): Te l’hé purtata ccà?!

Gennarino (si siede sulla sedia più vicina al letto): Ma c’avite capito!... Io m’ ’a stevo sunnanno... Donna Assù, comm’era bella!… Si chiudo ll’uocche, me pare ancora d’ ’a vedé. (Chiude gli occhi) Che abbondanza! (con le mani ne disegna le curve).

Donna Assunta:  Gennarì, basta!... Vuó cuntà che è succieso!

Gennarino : Sì, sì…  Inzomma, io me stevo facenno chillu bellu suonno, quanno ’o mutore ’e na vespa... (Pensoso) No, no; mò che ce penzo, era forse nu motorino.

Donna Assunta : Gennarì, na vespa o nu motorino?...

Gennarino : Sì, sì… nu motorino.

Donna Assunta : Ah, finalmente!... E allora?…

Gennarino : E allora me songo scetato… Na voce for’ ’a via alluccava "curre, fà ampressa, spiccete!"… Allora, comm’a nu pazzo, aggio araputo ’a porta pe’ vedé che steva succedenno...  (Scuote la testa) Nun l’avesse mai fatto!... (Apre una delle riviste porno che è sul tavolo) ’Onna Assù, sapite che ve dico, ’a prossima vota me faccio ’e fatte mieje... Parola mia, nun me ’ntrico cchiù ’e niente.

Donna Assunta : Gennarì, e vvuò cuntà!?

Gennarino (sfogliando la rivista porno) : E ’o sto’ facenno.

Donna Assunta : Tu me staje facenno figlià.

Genarino (pensoso) : Addó stevo?... Ah, sì.... aggio araputo ’a porta e na serenga sporca ’e sanghe è trasuta ccà dinto comm’ a nu proiettile... Vuje capite!?…  Io aggio arrischiato brutto… ’A serenga me puteva cogliere e io m’arricettavo dint’ a pochi mise cu chella fetente ’e malatia (incantato, guarda una foto sulla rivista).

Donna Assunta : Ma vide che scurnacchiate!… E tu che hé fatto?… Chella serenga addó l’hé jettata?… Gué,Gennarì, dico a te!… E séh, séh, tu staje ’ncopp’ ’a luna! (Gli toglie la rivista di mano e osservando la foto di una modella) Guarda ccà, sulo cosce, cule e... famme sta zitta!… Accussì faje sulo uocchie chine e mmane vacante...  E chesto te fà male (chiude la rivista e la mette capovolta sul tavolo).  Nun ’o vvide ca te ne staje scennenno ’a dint’ ’e panne?... Ma pecché nun te truove a na guagliona pe’ fà quaccosa?.... (Con intenzione, incrociando lo sguardo di Gennarino) No, nun sulo chello... Io dico pe’ tené nu sciato, pe’ te fà n’appicceco... Almeno tenisse nu poco ’a cervella occupata! (va verso la branda e sposta lo sgabello con la valigetta).

  Gennarino scrolla le spalle e riapre per dispetto la rivista.

Donna Assunta (si volta a guardarlo):Séh, séh, parlo cu stu peretto, dicette Scarpetta… (Sistema il plaid sulla branda) ’A saccio io ’a causa ’e sti ffissazione toje!... ’A verità è ca mamma toja, chella santa femmena , è fernuta troppo ampressa… Comm’era bella!... ’A tengo ancora pe’ denanze all’uocchie ca se truculiava ’ncopp’ ’a chilli tacche,  c’ ’o pietto ’mpustato e  na minigonna assentata, quanno jeva a piglià servizio abbascio â ferrovia… Teneva ’e cliente accussì.

Gennarino: Chisà quantu friddo avrà pigliato?

Donna Assunta : Friddo e veleno… Don Vicienzo, primma facette ’o geluso, ma po’, vedenno ’e sorde ca essa se fidava ’e guadagnà, se rassignaje… E fuje pe’ ’e sorde ca ’a povera cristiana ce appezzaje ’a pelle... Nun saccio comme lle venette pe’ capo ’e fà fesso propeto ’o prutettore sujo... Se sape ca a isso ’a tangente l’attocca pe’ diritto!... E mò, ecco qua,  essa stà ’o campusanto, isso stà ’ngalera e ccà è rimasta na casa scumbinata cu duje guagliune e chillu povero Don Vicienzo ca p’ affezione è rimasto cu vvuje (si avvicina alla sedia sulla quale sono poggiate le lenzuola).

Gennarino (ironico): Séh, séh, p’ affezione!

Donna Assunta (guardando quei panni ammucchiati) : Che so’ sti panne?

Gennarino: Se vede ca Lelluccio ha fatto ’o bucato.  

Donna  Assunta: Almeno isso fa quaccosa… (Indicando l’attaccapanni) Tu nun t’ appienne nemmanco ’a rrobba toja… St’attaccapanne se ne cade  ’e panne, pure si Don Vicienzo v’ ha dato mmiezo armadio d’ ’o sujo.  (Prende un lenzuolo dalla sedia per piegarlo meglio e scoprendone un buco) Guarda ccà, comme ve site arredutte!... Tre ’e vuje nun sapite accucchià int’ a nu mese ’e sorde ca màmmeta se fidava ’e guadagnà ’int’ a na semmana!…Che femmena! (Commossa) E comm’era carnale!... Quant’attenzione me faceva sulamente pecché io ve devo n’uocchio.

Voce femminile (fuori campo): Carmilì, fatte dà pure ’o ppetrusino… E mmuovete! Fa’ ampressa!

Donna Assunta (si avvicina a Gennarino - tono confidenziale) : ’A siente?...  E comme allucca!... È venuta ’e casa ccà sulo ’a na semmana… ’O marito fa ’o sarto…  Pare ca essa è ’a siconda mugliera.

Gennarino (si alza) : E a me che me ne ’mporta?... ’A figlia è pure brutta (piega lo sgabello e lo ripone con la valigetta sotto il letto).

Donna Assunta: Gennarì, ogge, si arape ’o bancariello, statte accorto ’a Finanza!… Stammatima hanno acchiappato a Totóre… Chillu fesso, vedenno ’e passà a na bella figliola, s’ è mmiso a alluccà "’E ttengo toste e ’e ttengo mosce ’e Malbòro e ’e Merìtte.... Veneno fresce fresche ’a miez’ ’o mare!"... E mò ’o ffrisco è fernuto isso.

Gennarino (si siede di nuovo) : S’è ghiuto a arrepusà pe’ nu paro ’e juorne... Doppodimane ’o metteno fore...  Llà, a Poggioreale, ’e ccelle so’ chiene… Nun teneno spazio nemmanco pe’ chille c’accideno... In questo caso si tratta di proprio di un reato minore. Il sequestro d’ ’e ssigarette vale già come pena.

Donna Assunta : Gennarì, comme parle bello!... Se vede ca hé studiato...  (Sorride) Tengo ’e fasule  ’ncopp’ ’o fuoco… Quanno so’ cuotte, ce votto ’a pasta e te ne traso nu bellu piatto (fa per andarsene).

Rafele (entra in scena con in mano Bric a Brac e una rivista porno): Permesso?... Donna Assù, bongiorno!

Donna Assunta (vedendo quella rivista) : Rafè, tu sti rriviste nun ce l’aviss’ ’a purtà!.... Chillo na femmena se l’ ha da truvà ’e carne e ossa.

Rafele (avvicinandosi al tavolo) : Donna Assù, ce ’o ddico pur’io. (Indicando la bellissima fotomodella in copertina) Secondo vuje, una ’e chesta se mettesse cu Gennarino?

Gennarino: E pecché no?.... Io, quanno voglio, saccio figurà... Certamente nun se mettesse cu te.

Rafele : Gennarì, scinne cu ’e piede ’nterra!... Na femmena accussì nun se mettesse nè cu te nè cu me... Una ’e chesta cerca solo l’argià. (Compiaciuto) Aggio ditto buono ’a parola?

Gennarino (gli sorride, facendo un  cerchio con l’indice e il pollice): Okey, very well.

Donna Assunta : Nèh, ma che state accucchianno?... Argià, occhè, velli vell...

Rafele : Donna Assù, so’ parole straniere pe’ dicere ca na femmena comm’ a chesta (indica la foto sulla rivista) cerca ’e denare e  a nnuje ce schifasse propio.

Donna Assunta : E se sape!... Cu  duje sfasulate comm’ ’a vvuje, facesse sulo ’a famme…. (Indicando la rivista) Tu, Gennarì, a sti femmene che stanno ccà ’ncoppa te l’ hé ’a scurdà.    

Gennarino: Ma a me ll’ati ffemmene nun me diceno niente.

Donna Assunta (ironica):  Aggio capito, vuo’ a  Miss Universo.

Gennarino : Donna Assù, che ce pozzo fà si tengo gusto?

Donna Assunta : E allora spàssete tutt’ ’a vita cu sti bambole ’e carta... (Nervosa) Meglio ca me ne vaco (esce di scena, lasciando sempre l’uscio socchiuso).

Rafele (mostrando il giornale) : Gennarì, ’A Gazzetta d’ ’o Sport è fernuta , però  t’aggio purtato Bric a Brac… Ccà ’ncoppa ce stanno nu sacco ’e poste ’e fatica… Guardatillo ampressa pecché dimane l’amm’ ’a turnà arèto.

Gennarino (allettato soprattutto dalla rivista porno) : Grazie Rafè, si’ n’amico.

Rafele (indicando la rivista porno): Statte accorto, m’arraccumanno!…  Sta rivista è nova nova… Cirche ’e nun ’a sciupà, si no me faje passà nu guajo cu Don Mimì… Chillo l’ha da vennere.

Gennarino: Va’ tranquillo!

Rafele (timidamente) : Gennarì,  m’ ’o facisse nu piacere?

Gennarino : Te servono ’e ssigarette?

Rafele (sorride) : E che piacere fosse ?!  Tu ’e vvinne… Songh’ io ca te faccio nu piacere pecché me l’accatto addu te.

Gennarino : E allora?...

Rafele (timidamente) : Tu hé studiato cchiù ’e me, tiene ’a licenzia d’ ’e mmedie… Io vulesse ca tu me scrivisse quaccosa ’ncopp’ a nu foglio, quaccosa ca pozzo dicere, pe’ fà na bella figura, si me capita d’ascì cu na guagliona… Pò essere ca accussì ce scappa nu vasillo.

Gennarino (sorride): Nu vasillo sulamente!...  E va buo’... Però m’ hè ’a dà nu poco ’e tiempo.

Rafele : E certamente… Mò è lunnedì… Io vaco a abballà ’a dummeneca.

Voce maschile (fuori campo, proveniente dalla strada) : Gué, sciusciù, comme te chiamme?

Lelluccio (voce fuori campo, proveniente dalla strada): E a te che te ne ’mporta?

Gennarino (seccato) : È fernuta ’a pace!... Sta arrivanno fràteme.

Rafele : È meglio ca me ne vaco.

Voce maschile (fuori campo, proveniente dalla strada): Era sulo pe’ sapè.   

Lelluccio (voce fuori campo, proveniente dalla strada) : Io nun parlo cu ’a gente ca nun canosco!.... Però....

Voce maschile (fuori campo) : Però che!… Va te jette, ricchio’! (risata).

Lelluccio (voce fuori campo) : E tu va jette ’o sanghe!… (varca l’uscio, lo socchiude e entra in scena con indosso dei pantaloni attillatissimi e una blusa dai colori vivaci; una capiente borsa infilata in una spalla completa il suo look. Vedendo Raffaele, sorride) Era nu giovane ca nun me lassava ’e pere.

Rafele (con un risolino) : Sì, aggio ’ntiso.

Gennarino (a Lelluccio) : Tu ’e guaje t’ ’e vvaje cercanno già quanno te vieste… Pe’ ghionta po’, quanno cammine, te cernulìe.

Lelluccio (socchiude l’uscio e rivolto a Gennarino) : Tu nun capisce niente!...  (Avanzando con movenze da indossatrice, fa un mezzo giro della stanza) Io cammino comm’ a Naomi Campbèll.

Rafele (a parte) : Tale e quale.

Gennarino (ironizzando sul cognome della famosa indossatrice): Ma che camp bell e camp bell, tu campe na schifezza! (si siede).

Lelluccio (accostandosi a Rafele - voce mielosa): Hé visto, Rafè, int’ a sta casa nisciuno m’apprezza... (Voce rotta) Ajeressera me songo ’ntussecàto n’ata vota... Don Vicienzo m’ ha chiammato peso muorto… Peso muorto a me ca me guadagne ’o mmio, facenno ’e capille e ’o manicure p’ ’e ccase.

Gennarino (a Rafele) : Cu ’e sorde che s’ abbusca se n’accatte sulo petacce.

Lelluccio : Eh già, mò pavasse pure pe’ stà int’ a sta schifezza!... Nun abbasta che lavo e stiro.

Gennarino (ironizzando) : Na bellezza!

Lelluccio : Chesta è ’a gratitudine… Ma mò me songo deciso... (Indicando la porta di ingresso del basso) Ogge stesso arapo chella porta e nun torno cchiù..... Me ne vaco a Milano.

Gennarino (rivolto a Rafele) : Séh, séh, se ne va a Milano.

Lelluccio : Primma però me vaco a mangià ’a frittata ’e maccarune ch’è avanzata ajeressera (va verso il cucinino, sposta la tenda che funge da porta e esce di scena).

 

Gennarino (a Raffaele): ’O guajo è ca è pure scemo, si no cu ’e tiempe che corrono facesse sorde a palate!

Donna Assunta (voce fuori campo): Permesso?

Gennarino: Sì, avanti.

Donna Assunta: Don Vicienzo ce sta?

Gennarino: No, nun è turnato ancora. 

  

Rafele: Gennarì, mò me n’aggi’ ’a jì… Allora m’ ’o faje chillu piacere?

Donna Assunta (incuriosita) : E che piacere te pò fà Gennarino?... Chillo sta cchìù disperato ’e te.

Rafele: ’Onna Assù, ’o problema mio so’ ’e ffemmene.

Donna Assunta (ironica): Overo?... Nun l’avevo capito... E Gennarino che pò fà?.... (Guardando Gennarino che sfoglia la rivista) Chillo Dio ’o ssape e ’a Madonna ’o vvede...

Rafele : Sapite, ajeressera songo asciuto cu na guagliona..

Donna Assunta : Ah, me fa piacere!... E chi è?... Si è d’ ’a zona, ’a canosco certamente.

Rafele : È ’a figlia ’e Don Alfredo ’o salumiere... Chella cu ’e capille nire.

Donna Assunta : Ah, aggio capito, è Rusinella.... Nun c’è male...  Embè, Gennarino che piacere te pò fà?

Rafele : Donna Assù, e si nun me facite parlà... Ajeressera me so’ fatto ’mprestà ’a machina, nu bellu spaidèr, ’a n’amico mio pe’ purtà Rusinella a Marechiaro, a piglià nu gelato e pure pe’ puté fà nu poco ’e sentimento.... Ato che sentimento!... ’O diavolo s’è miso propio ’e casa e puteca pe fà ca ’e ccose jesseno malamente.

Donna Assunta : Pecché?...

Gennarino (solleva gli occhi dalla rivista): Già, pecché?

Rafele : Doppo nu poco m’accurgette ca ’a benzina steva fernenno …’Ncuorpo a me, già m’ accumminciaje  a ’ncazzà, ma avett’ ’a fà finta ’e niente pecché ce steva ’a guagliona… Pe’ nun me luvà tutt’ ’e sorde ’a sotto, mettette sulamente diecimila lire ’e benzina… Mentre stevo fermato vicino ’a pompa, passaje nu piccerillo cu ’e rrose… Era cchiù azzeccuso ’e na mosca “Accattàte na rosa â signurina… Cu na rosa ’a facite cuntenta… So’ dujemila lire sulamente ”… Allora me facette ’e cunte dint’ ’a sacca e pe fà na bella figura ce accattaje ’a rosa a Rusinella.

Donna Assunta : E faciste buono.

Rafele : E séh!... Arrivate a Marechiaro, parchiggiaje ’a machina e po’ facette ’a fessaria ’e spià a Rusinella si vuleva quaccosa ’o bar... Io penzavo a nu gelatino, a n’orzata... Chella invece, cu n’aria ’a gran signora, “Sì grazie, vulesse nu coctèlle”.... Vuje capite, propio ’o coctèlle che costa accussì assaje!

Gennarino (ridendo) : E tu?

Rafele : E io che putevo fà?... Pe’ me salvà ’a faccia, m’ammentaje llà pe’ llà nu male ’e panza cu ’e cunturcemiente e, siccomme stevo russo russo p’ ’o currivo, essa se preoccupaje e cu na vucella doce “Rafè, jammuncence subbeto; nun appena arrive ’a casa, pigliete na bella campumilla e miettete int’ ’o lietto”.  Nun appena trasettemo ’int’ ’a machina, na vocca ca feteva ’e vino s’accustaje ô fenestiello “’O parcheggio vene a fà ’o stesso tremila lire”.... Scavanno dint’ ’e  ssacche, apparaje a stiento dujemila lire… N’avette ’e  muorte quanno ce ’e dette!

Gennarino : Che figura ’e merda!

Rafele : Noo.... Io a Rusinella lle dicette ca dint’ ’o portafoglio tenevo na carta ’e cientomila lire e a chillu ’mbriacone nun ce ’a putevo dà… Mentre l’accumpagnavo â casa, essa me dicette ca lle piace ’o cinema, pecché se ’ncanta a sèntere chi sape parlà buono… (Guarda Donna Assunta) E allora aggio penzato…

Donna Assunta (continua) : Ca è meglio si Rusinella esce cu Gennarino.

Rafele (sorride) : No... Aggio penzato ca Gennarino, ca ha studiato cchiù ’e me, me pò dà quacche cunziglio.

Donna Assunta (ironica): E comme no!

Lelluccio (esce dal cucinino): Bongiorno, ’Onna Assù!  

Donna Assunta (si gira a guardarlo) : Gué, Lellù!

  Lelluccio sposta l’altra tenda e si infila nel piccolo vano di fronte al cucinino.

Donna Assunta (a Gennarino) : Ma sta nervuso?

Gennarino: Sì, ajeressera ha fatto storie n’ata vota cu Don Vicienzo.

Lelluccio (esce in scena, con la borsa a tracolla e una valigia colorata): E comme pesa! (Poggia la valigia sul pavimento e rivolto a Gennarino) Dint’ a sta valigia ce stà sulamente ’a robba mia… Io me ne parto.

Donna Assunta (preoccupata) : E addó vaje?!  

Lelluccio: Vaco a Milano.

Gennarino : Ma sì pazzo!... Pe’ partì ce vonno ’e sorde e tu nun tiene manco ll’ uocchie pe’chiagnere.

Lelluccio : E chi t’ha fatto st’ammasciata?... Io tengo cchiù ’e nu milione... So’ sorde faticate.

Gennarino: E nun hé ditto mai niente!?

Lelluccio: Eh già, accussì s’ ’e ppigliava Don Vicienzo e faceva ’a bella vita comm’ a quanno era viva mammà!

Donna Assunta : Lellù, tu si’ giovane;  pienzece buono, primma ’e te ne jì!... Ccà almeno tiene na casa.

Lelluccio: E stu mastrillo m’ ’o chiammate casa!... Ccà nun tenimmo nemmanco ’o bagno…Ce lavammo dint’ ’a bacinella comm’ ’e zinghere. (Indicando lo stanzino da dove è uscito) Vedite addó dormo…  Me pare ’e stà ’int’ ’a na nicchia.  

Donna Assunta:  Lellù, ma ’o munno fore è fetente e cu cierte è cchiù fetente assaje.

Rafele (a Lelluccio) : Donna Assunta dice buono... Saje chello che lasse e nun saje chello che truove.

Lelluccio: Oramai aggio deciso e nun torno arèto. (Si avvicina a Gennarino e poggiandogli una mano sulla spalla) Ciao, Gennarì… Nun te scurdà ’e me... (Rivolto a donna Assunta) Donna Assù, nun facite chella faccia!

Donna Assunta (commossa, asciugandosi una lacrima): Io ve canosco ’a piccerille... M’arraccumanno, statte accorto e fance avé nutizie!

Lelluccio (sorridendo a Raffaele) : Rafè m’accumpagne?... Me ne voglio ascì ’a sta casa sott’ ’o braccio ’e nu bellu masculone.

Don Vincenzo (tutto elegante in abito blu e cravatta, entra in scena sulla  battuta): Nèh, ma che stà succedenno?... Che significa sta valicia?... Aggio fatto na dumanda... Vulite risponnere, sì o no?!

Rafele : Don Vicié, Lelluccio ha deciso ’e partì... Se ne va a Milano.

Don Vincenzo (con aria stanca, sposta un po’ l’altra sedia che è lateralmente al tavolo e si siede) : E addó s’ avvia senza denare?

Gennarino (temendo che qualcuno faccia accenno ai soldi in banca) : Tene sulo ’e sorde pe’ fà ’o biglietto ’e siconda classe, po’ s’arrangia addù n’amico.

Don Vincenzo : E invece ’e fà sta fessaria, chilli sorde nun ’e pputesse mettere dint’ ’a casa?

Lelluccio (ironico): Eh già!... (Prende la chiave dal taschino anteriore del pantalone e poggiandola sul tavolo) Tenite!… Chesta è ’a chiave d’ ’a porta.  

Don Vincenzo (rivolto a Lelluccio): E va’, va’!... Nun voglio nemmanco sapé che morte faje.

Donna Assunta : Don Vicié, nun se dice accussì a nu giovane che sta partenno.

Don Vincenzo : E già, chillo sta partenno pe’ Lurdès!... Donna Assù, io parlo comme me pare. (Rivolto a Lelluccio) A chi aspiette?...  Và che pierde ’o treno! (prende la chiave dal tavolo e la infila in una tasca dei pantaloni).

Lelluccio: Certo ca me ne vaco... (Si avvicina a Donna Assunta e la bacia) Donna Assù, si ve vulite fà ’e capille p’ ’o stesso prezzo, ve putite mettere d’accordo cu n’amica mia... Se chiamma Benny; sta ’e casa porta a porta cu Totonno ’o ’mbrellaro.

Donna Assunta : Overo?... E comm’è ca nun ’a saccio?

Lelluccio : E chella è nova d’ ’o quartiere. E po’ nun ce sta mai... Esce ’a matina ampressa e torna ’a sera tarde...

Donna Assunta : Ah, mò se spiega.     

Lelluccio: Bèh, arrivederci.  (A Gennarino con voce rotta) Ciao, Gennarì, stamme buono.

Gennarino (commosso, lo guarda): Mànneme almeno na cartulina.

Lelluccio : Sì, m’ ’a faccio scrivere ’a quaccheduno, pecché ’o ssaje ca io saccio firmà sulamente... (Solleva la valigia e guarda Raffaele) Madonna, e comme pesa!... Rafè, m’accumpagne?

Rafele (mentendo): Lellù, me dispiace, ma stammatina me songo scetato cu nu dulore ’int’ a sta coscia (si tocca una gamba, facendo una smorfia di dolore).

Lelluccio (mascherando la delusione) : E va buó, nun ’mporta... (esce di scena e richiude la porta dietro di sè).

Don Vincenzo (soddisfatto) : Ah, finalmente se n’è ghiuto!... Lassa fà a Dio!... Chillo ce metteva ’o scuorno ’nfaccia (si sfila lentamente una scarpa).

Gennarino (risentito) :  Eh già, pecché nun è nu masculone comm’ a vvuje.

 

Don Vincenzo: Io nun te rispongo nemmeno... Nun tengo ’a forza 

Rafele (uscendo di scena) : Gennarì, io me ne vaco... Ce vedimmo.

Don Vincenzo (sfilandosi l’altra scarpa) : Donna Assù, aggiate pacienza, ma nun vedevo l’ora ’e me luvà sti scarpe… (Sospira) Ah. Finalmente!...  Sti scarpe me steveno accedenno ’a salute.

Donna Assunta (osserva con ammirazione l’abbigliamento di Don Vincenzo) : Don Vicié, ma comme state aligante!...  Site juto a nu matrimmonio?

Don Vincenzo: Qua’ matrimonio?... Songo juto a farme ddoje palle.

Donna Assunta (timidamente) : Overo! E pecché?

Don Vincenzo: Donna Assù, so’ sette juorne ca ’a Finanza ce sta ’ncuollo…

Donna Assunta: Se vede ca nun teneno che fà.

Don Vincenzo: Ma comme, dich’io, cu tutte ll’evasore ca ce stanno, cu tutto ’o traffico ’e droga ca se fa a Napule, ’a Finanza sta a guardà propio a nnuje, povere criste, ca ce arrangiammo  cu nu poco ’e contrabbando ’e sigarette!?… Ll’ata notte, pe’ scaricà ddoje casce ’e bionde, n’aggio pigliato ’e friddo ’mmiez’ ’o mare!

Gennarino (a parte): ’A fatica mò comme lle pesa!

Don Vicienzo: Po’ è arrivata ’a Finanza e ce n’avimm’ avut’ ’a fujì.

Donna Assunta : Io saccio ca ’e ssigarrette siquistrate s’ ’e fummano propeto lloro, chille d’ ’a Finanza.

Don Vincenzo : E nun è na nuvità.

Donna Assunta : Ma ce sta pure chi fa  peggio… Na notte... (Si siede sulla sedia centrale e dando una gomitata a Gennarino che sta con gli occhi fissi sulla rivista porno) Gennarì, siente pure tu… Na notte io stevo vicino ’a mamma d’ ’o prufessore Capuzzo... ’A vicchiarella tene nuvantasei anni e spisso ’a notte nun riesce a durmì… Io, pe’ nun piglià suonno, me mettette areto ’e llastre a guardà ’a via e fuje accussì che m’accurgette ca ’int’ ’o bar ’e rimpetto se steveno arrubbano ’e bbutteglie ’e liquore ’a ’int’ ’a vetrina.... Allora ’e  nascosto d’ ’a vicchiarella chiammaje subbeto ’o cientoettridece.

Don Vincenzo : E facisteve buono! (distende le gambe).

Gennarino (con un occhio alla rivista) : Sicuramente erano guagliune.

Donna Assunta : Pò essere. ’A machina d’ ’o cientoettridece arrivaje quanno lloro già se n’erano fujute.

 

Don Vincenzo : E chille arrivano sempe doppo (si allenta il nodo della cravatta).

Donna Assunta (incredula): ’A dint’ ’a machina scennetteno duje puliziotte e trasetteno subbeto dinto… (Esplicativa) ’A serranda d’ ’o bar era stata scassata d’ ’e mariuole… (Scuote la testa)  Io ancora nun ce pozzo credere... Dint’ a nu mumento svacantajeno ’o negozio, s’arrignetteno ’a machina  e, zitto zitto comme erano venute, se ne jetteno... Vuje capite?!

Gennarino (sarcastico): Se purtajeno ’e campione d’ ’a refurtiva.

Donna Assunta: Vedite ’mmano a chi stammo!

Don Vincenzo (sbottonandosi il collo della camicia): E che vulite fà?... Lloro cu chella divisa ’ncuollo pònno fà chello che vònno... Io invece stammatina m’aggi’ ’a avuto agghindà ’e sta manera pe ghì all’Università.

Gennarino (sorpreso, solleva gli occhi dalla rivista) : All’Università!?

Donna Assunta: Llà ce vanno ’e prufessure... Ce va pure ’o prufessore Capuzzo.

Don Vincenzo : E ogge ’mmiez’ a lloro ce stevo pur’ io.

Gennarino : E che ce faciveve?

Don Vincenzo : Avevo saputo ’a Pascalino ’o tipografo, che quanno ce sta na riunione ’mpurtante.... aspè, comm’ ha ditto?... ah, sì, nu cunvegno.... chillo ca l’organizza cerca a na decina ’e perzone che s’ hann’ ’a assettà ’int’ ’e pprimme file e hann’ ’a fà finta ’e capì tutte chello ca ’e prufessure diceno e  po’ hann’ ’a sbattere ’e mmane ogni vota ca uno ’e lloro fernesce ’e parlà.

Gennarino (sorride, divertito): Comm’ â clacca ’int’ ’o tiatro.

Don Vincenzo: Già… Cu ’a differenza ca llà uno ha da sbattere ’e mmane sulamente, mentre ccà uno ha da fà pure sempe ’e sì cu ’a capa… (Si massaggia dietro il collo) E mò tengo nu dulore aret’ ’o cuollo.

Donna Assunta (sorride): Ma vide che vanno a penzà!

Don Vincenzo: Chillo è addeventato propio nu mestiere.... (Pensoso) Se chiamma... fingitore di auditorio.

Donna Assunta : E che significa?

Gennarino : ’O ddice stesso ’a parola... Significa ca uno ha da fà finta ’e capì, pure si nun ha capito ’o riesto ’e niente.

Don Vincenzo (sorride):  Sta vota ce steva pure n’amico mio ca è surdo comm’ a na campana.

Gennarino : E ce putesse venì pur’ io?

Don Vincenzo : E pecché tiene ’a faccia d’ ’o prufessore, tu?

Donna Assunta (a Gennarino): Don Vicienzo ave ragione… Si’ troppo giovane....  Don Vicié, ma se guadagna buono?

Don Vincenzo : Ah, si è pe’ chesto, nun me pozzo allamentà… So’ comme minimo cinquantamila lire, ma si ’o cunvegno dura cchiù assaje se ponno guadagnà pure uttantamila lire.... Certo, ’e spese ce stanno... M’aggio avut’ ’a fà apparicchià stu vestito e ’a cravatta… (Indicando le scarpe sul pavimento) Pe’ furtuna, tenevo sti scarpe astipate, nove nove. (Solleva un piede coperto dal calzino) E mò capisco ’o ppecché... Sabato m’aggio avut’ ’a taglià finanche ’e capille, pure si putevo aspettà ancora.

Donna Assunta : E v’aggio visto mentre asciveve d’ ’o salone ’e ’On Michele... Nun v’annasconno ca me songo prioccupata nu poco… M’è parzo ca nun ve sentiveve buono.

 

Don Vincenzo : Overo!... E pecché?

Donna Assunta: Pecché aggio visto ca ’o guaglione ’e Don Michele v’ ha accumpagnato fino all’ angolo d’ ’o vico nuosto.

Don Vincenzo (sorride) : E chillo m’ ha accumpagnato p’ ’a Finanza.

Donna Assunta: P’ ’a Finanza!?

Don Vincenzo (tono confidenziale) : Sì, chillo Don Michele, ogne  matina, quanno arape ’o salone, appripara ddoje ricevute fiscale, una p’ ’a barba e n’ ata p’ ’e capille… Po’ dice a ogni cliente “Si vulite sparagnà, io ve mpresto sta ricevuta e ve faccio accumpagnà d’ ’o guaglione pe’ nu tratto ’e via, si no ve faccio na ricevuta nova e me pavate pure l’IVA”.... È chiaro ca accussì isso ce guadagna e ’o cliente sparagna.

Gennarino (sfogliando la rivista) : E ’o guaglione se rompe ’e palle.

Don Vincenzo : No, chillo è cuntento pecché accussì s’abbusca na mancia cchiù grossa... Comunque p’ ’e capille e p’ ’a barba se ne so’ ghiute vintemila lire.

Donna Assunta : E v’ è cunvenuto ’e spennere tanta sorde?

Don Vincenzo : E certamente !... Io ’e capille m’ ’e ttrovo fatte, ’o vestito m’ ’o trovo apparicchiato e me so’ rimaste cinquantamila lire dint’ ’a sacca... ’O guajo è ca è difficile assaje essere chiammato a sti cunvegne… Pascalino ’o tipografo m’ ha prummiso ca me tenarrà ’nfurmato, si ’o vvene a sapè... (Fa una smorfia di dolore) Pe’ primma cosa però m’aggi’ ’a fà allargà sti scarpe.

Donna Assunta : Si m’e date a me, ce penzo io.... Tengo ’e fforme c’ ausava papà.... Me l’aggio astipate p’ affezione.... Sti scarpe ve l’allargo fino a che nun ve vanno a sutisfazione.

Gennarino (a parte): E se schiatteno.

Don Vincenzo : Grazie, Donna Assù… Me facisseve overamente nu favore.

Donna Assunta : Pur’ io ve vulesse cercà nu favore a vvuje, ma… nun saccio si....

Don Vincenzo : E si nun parlate, comme ve rispongo?

Donna Assunta : Se tratta ’e chesto... Na cummarella mia, na brava giovane, è stata cacciata d’ ’a casa pecché s’era misa cu n’ ommo ’nzurato, nu fetente che l’ha lusingata sulamente ... E allora io avevo penzato ca vuje...

Don Vincenzo (sollecitandola) : Ca io?...

Donna Assunta : Inzomma… dint’ a sta casa, spicialmente mò ca Lelluccio se n’è ghiuto, ce vulesse propeto na femmena c’arricettasse, ca v’ appripasse nu piatto cucenato, ca ve lavasse e stirasse dduje panne...

Don Vincenzo : ’O ssaccio pur’io ca ce vulesse, ma comme ’a pavammo?  

Donna Assunta : Si è pe’ chesto, nun v’ avit’ ’a prioccupà… Annuccia s’accuntenta ’e nu piatto cucenato e de na fessaria ’o mese.

Gennarino (interessato) : Ah, se chiamma Annuccia?

Don Vincenzo : E quanto sarebbe sta fessaria?

Donna Assunta : Dicimmo dujecientomila lire... A vvuje ’o magnà d’ ’a tratturia certamente ve vene a custà cchiù assaje.

Don Vincenzo (rimane assorto per un attimo) : Se putesse pure fà, ma sta giovane addó durmesse?... Nuje simmo duje uommene.

Donna Assunta (prontamente) : E chella Annuccia se pò arrangià addu me, accussì fa pure cumpagnia a Titinella...  Io ’a notte nun ce stongo maje, pecché stongo vicino ’a vicchiarella. 

Gennarino : Donna Assù, comm’ è sta Annuccia?.... È bona?

Donna Assunta: Uffà, Gennarì, tiene sempe ’a stessa capa!… E comme si' scucciante!

Gennarino : Vuje dicite sempe che m’aggi’ ’a truvà a na femmena ’e carne e ossa… E pò essere ca mò…

Don Vincenzo (con tono severo a Gennarino): Gué, vide ’e nun fà ’o fesso!...  Chella è ’a cummarella ’e Donna Assunta.

Gennarino : Sempe na femmena è.

Don Vincenzo : Ma tu chesto te l’hè ’a scurdà… Susete! Vamme a piglià ’e scarpe ’a sotto ’o lietto mio! 

Gennarino (sfogliando la rivista): E pecché, vuje site ciunco? 

Donna Assunta (accomodante): Don Vicié, v’ ’e vvaco a piglià io (va nella stanza di Don Vincenzo).

Don Vincenzo: Grazie assaje… (nervosamente, tamburella sul tavolo).   

Donna Assunta (rientra in scena e porge con un  sorriso a Don Vincenzo un paio di mocassini vecchi): Ecco fatto.

Don Vincenzo (contento): Ah, finalmente!... Sti scarpe so’ vvecchie, ma pe’ me so’ belle assaje (inizia a calzarne una).

Gennarino (indicando la foto di una modella sulla rivista): Donna Assù, ’a guagliona c’ ha da venì assumiglia a sta bambulona?

Donna Assunta (ironica): È propeto tale e quale.

Don Vincenzo (calzando l’altra scarpa) : Ma quanno putesse venì?

Donna Assunta : ’O tiempo d’ ’a fà mangià quaccosa e v’ ’a manno... Chella è venuta ’e ssette stammatina... Puverella, steva morta ’e friddo!... Aveva passato tutt’ ’a notte mmiez’ ’a via, pecché nun sapeva addó jì.  Io ll’ aggio fatto ’o ccafè e po’ l’aggio fatto arrepusà nu poco... (Andando via) A chest’ora se sarrà pure lavata (fa per andarsene).

Don Vincenzo : Donna Assù, e sti scarpe nun v’ ’e ppurtate? (prende le scarpe nuove da terra e gliele porge).

              

Donna Assunta (torna indietro)  : Mò me scurdavo… Chisà addó tengo ’a capa?... (Prende le scarpe e esce di scena, lasciando l’uscio socchiuso) Ce vedimmo.

Don Vincenzo: Grazie ancora.

Gennarino (alzando gli occhi dalla rivista): Mannate ’a guagliona!

Don Vincenzo (si massaggia dietro il collo) : Sto acciso… (Rivolto a Gennarino) Gué!... Gué, dico a te!

Gennarino: E che me chiammo Gué?

Don Vincenzo:  Ce stà ancora ’a frittata ’e maccarune ch’ è avanzata ajeressera?

Gennarino : No, se l’è mangiata Lelluccio.

Don Vincenzo : S’è vuluto arregnere ’o stommaco primma ’e partì.

Gennarino : Ma pecché vuje a stu cunvegno nun ve site magnato niente?

Don Vincenzo : Nun me ce fà penzà!... Ce steva ’o bene ’e Dio... pezzelle, arancine, panzarotte, panine c’ ’o ppresutto e tanta fetticciolle ’e pane ca  tenevano ’ncoppa cierti ccusarelle nere ca pareveno cacatelle ’e mosca… Pe’ bere ce steveno zuche ’e frutta, cocacola, aranciate… Inzomma, na tavulata ca nun ferneva mai!

Gennarino : E allora?

Don Vincenzo : Allora che ?... Nuje che facimmo stu mestiere, tenimmo l’obbligo ’e nun assaggià niente.

Gennarino : E pecché?

Don Vincenzo : Pecché pare che s’ha da fà na scola pure pe’ mangià comm’ ’e signure.

Gennarino : Certo ha da essere na sufferenza a vedè tanta grazia ’e Dio senza puté assaggià niente.

Don Vincenzo : Ato che!... Ma tu nun tiene famme?

Gennarino : Sì, ma pozzo aspettà.

Don Vincenzo : Hé penzato ’e t’appriparà quaccosa?

Gennarino : No, nun m’appriparo niente... A me ce penza Donna Assunta... Ha ditto ca me trase nu bellu piatto ’e pasta e fasule.

Don Vincenzo : Nu piatto sulamente?

Gennarino : Accussì ha ditto.  

Don Vincenzo : E allora famme ’o piacere, va’ â tratturia ccà all’angolo e piglieme nu primmo e nu sicondo.  

Gennarino: E nun ce putiveve penzà venenno, venenno?

Don Vincenzo : Cu chelli scarpe ca me deveno ’a morte, tenevo propio ’a capa ’e me fermà ’a tratturia… Va’, fa signà ’ncopp’ ’o cunto… Dincello ca cchiù tarde  pass’io a pavà.

Gennarino (si alza a malincuore) : E va buó… Menumale ca mò vene ’a guagliona, accussì cumannate a essa.

Don Vincenzo : Chella vene pe’ pulezzà… A pruposito, nun te scurdà ca ’e sorde p’  ’a pavà ll’ hé ’a caccià pure tu.

Gennarino : Io?... E che ce azzecco io?… Donna Assunta ha parlato cu vvuje.

Don Vincenzo : E se capisce... Ha parlato cu me pe’ rispetto, pecché io songo n’ ommo…. Nun puteva parlà certamente cu te ca si’ nu guaglione.

Gennarino : Si so’ nu guaglione, da me nun putite pretennere sòrde… Io cu chelle quatto sigarette guadagno poco e niente .

Don Vincenzo : Fosse ora ca te ’mparasse nu mestiere… Putisse fà ’o fravecatore, ’o scarparo…

Gennarino : Belli mestiere!... Ve site scurdato c’aggio studiato?… Io m’aggio pigliato ’a licenza media.

Don Vincenzo : E t’ ’a schiaffe arèto!... Hé perzo n’anno cu ’a propaganda elettorale e ’o posto addó sta? (Tono ironico) Vulive ’o posto d’usciere ô Comune... È ovè?

Gennarino : Zì Pascale ’o posto l’ ha avuto e mò se schiaffa cchiù ’e nu milione ’o mese dint’ ’a sacca.

Don Vincenzo: Chillo è stato furtunato…’E pprumesse de’ politici so’ sulo chiacchiere… Serveno sulo p’acchiappà vute d’ ’e sciéme comm’ a te ca ce credono.

Gennarino : Nu posto buono m’ ’o trovo ’ncopp’ ’o giurnale, senza nisciuna raccomandazione.

Don Vincenzo: E te pare ca nu posto buono ’o scrivesseno ’ncopp’ ’o giurnale!?...

Gennarino : Nun se pò mai sapé!...  Mò certamente ’a cammarera nun m’ ’a pozzo permettere. 

Don Vincenzo : Però almeno cinquantamila lire ’e parta toja ll’hé ’a caccià… Ccà ce campe pure tu.

Gennarino : Sulo pe’ precisà, io ccà ce stongo poco e niente, pecché ogne ghiurno esco a vennere ’e ssigarette.  

Don Vincenzo : Ma  te ne tuorne sempe ampressa, pecché  ’a fatica nun te sona... E mò va’ che tengo famme!

Gennarino: Uffà, vaco.  (Andando via) Nu juorno ve faccio vedé io chi è Gennarino Esposito! (esce di scena, lasciando l’uscio accostato come al solito).

Don Vincenzo (rimasto solo, ironizza): E comme no! ’O vedimmo pure dint’ ’a televisione.

Benny (voce leziosa - fuori campo) : Permesso ?... Permesso?....

Don Vincenzo : Chi è ?

Benny (entra in scena con pantaloni attillati e borsetta a spalla) : Songo n’ amico ’e Lelly...  Buongiorno!

Don Vincenzo (a parte - con espressione di disgusto, toccandosi l’orecchio) : Stevemo scarze a.... Vuo’ dicere Lelluccio?

Benny : Sì… Io dico Lelly pecché saccio ca stu nomme lle piace cchiù assaje... Ma nun ce stà?

Don Vincenzo : No e nun turnarrà cchiù... È partuto pe sempe.

Benny : Io ero venuto propio p’ ’o salutà.... È ghiuto a Milano... È overo?

Don Vincenzo: Accussì ha ditto.

Benny: Biato a isso!

Don Vincenzo (massaggiandosi il collo) : E pecché nun si’ partuto pure tu?

Benny (non percepisce l'ironia) : Pe’ partì ce vonno ’e sorde…  ’O ssapite, chillu tesoro ’e Lelly m’ha passato tutt’ ’e cliente suoje a me.

Don Vincenzo: ’E cliente!

Benny : Ma c’ avite capito?!.. Io faccio ’e capille  (carezzandosi il viso) e ’o trucco... (Vedendo che Don Vincenzo si massaggia il collo) Saccio pure fà ’e massagge... E che massagge!... Si vulite?...

Don Vincenzo : Qua’ massagge! … Io nun tengo bisogno ’e niente!

Benny : Eh, che maniere!...  Io ve vulevo fà na gentilezza... Comunque, si me vulite, io me chiammo Benny… Int’ ’a zona me sanno tutte quante.

Don Vincenzo: Benny… Che razza ’e  nomme!

Benny : È certamente cchiù bello ’e Beniamino… Si Lelly (si corregge) Lelluccio ve telefona o ve scrive, dicitencello ca io…

Don Vincenzo (sbrigativo): Nuje ’o telefono nun ’o tenimmo e isso nun sape scrivere.

Benny (andando verso l’uscio) : Bèh, allora me ne vaco... Bongiorno!  Però si me trovo a passà... (esce di scena).

Don Vincenzo (a parte) : Nu guajo… (Guarda l’orologio) Vide si chillu fesso se spiccia a venì!... Manco si fosse juto add’ ’a Zi’ Teresa... P’ ’a famme, tengo nu buco int’ ’o stommaco.

Titinella (si affaccia alla porta con in mano un piatto coperto da un altro piatto capovolto) : Permesso?

Don Vincenzo (gentile) : Trase, trase, Titinè!... Che puorte ’e bello?

Titinella: Zì Assunta ha mannato nu bellu piatto ’e pasta e fasule pe’ Gennarino... (Si guarda intorno - delusa) Ma nun ce stà?

Don Vincenzo : Ha ditto proprio pe’ Gennarino?

Titinella : Sì, ha ditto propio accussì... Chillo è giovane; ha da mangià.

Don Vincenzo : E se capisce…’E giuvene hann’ ’a mangià... ’E gruosse pònno pure jettà ’o sanghe.

Titinella : A na certa età ’o mmangià fà male...... Gennarino invece s’ ha da mantené in forze.

Don Vincenzo: In forze pe’ fà che?.... Chillo fatica poco e niente… Certamente nun se stanca.... Si stà sciupato, ’o ssaccio io ’o ppecché....

Titinella : Che vulite dicere?

Don Vincenzo : Tu sì ancora na criatura; nun puó capì.

Titinella : Pecché tene a na femmena?

Don Vincenzo : E séh, una sola!... Chillo ne cagna una ’o juorno, ma sulamente int’ ’ a fantasia soja.

Titinella (seccata) : M’ addimanno quann’ è ca  fernesce ’e sunnà... Allora stu piatto ’o lasso ccà? (fa per poggiare il piatto sul tavolo).

Don Vincenzo : No, no;  portalo ’int’ ’a cucina.

Titinella (con tono acido, andando nel cucinino) : E va buó, comme vulite vuje.

Don Vincenzo: Sta guagliona nun ha pigliato nemmanco nu pilo d’ ’a zia!

Titinella (tornando in scena) : L’aggio miso ’ncopp’  ’o furnello pecché llà dinto nun se capisce niente.

Gennarino (entra nel basso con in mano un sacchetto di plastica) : Gué, Titinè, bongiorno! ... ’O ssaje che te staje facenno propio na signurinella?

Titinella (sorride) : E comme no!... (Per suscitare interesse) Tengo pure quacche spasimante.

Gennarino (indifferente) : E brava!

Titinella : Ncopp’ ’o furnello ce stà ’o piatto ’e pasta e fasule che t’ aggio trasuto... È cavero cavero… Mò vaco a mangià pur’io.

Gennarino (gentile) : E va’, va’… Grazie assaje (poggia sul tavolo il sacchetto con all’interno due contenitori di stagnola).

Titinella (uscendo di scena) : Don Vicie’, arrivederci.

Don Vincenzo : Statte bona.... Gennarì, finalmente si’ turnato!

Gennarino (aspro): E scusate tanto!... Aggio avut’ ’a aspettà ca asceva almeno nu primmo piatto.

Don Vincenzo (guardando il sacchetto) : Che m’hé purtato ’e buono?

Gennarino : Na bella purzione ’e pasta e cavulesciore e doje alice ’ndurate e fritte

Don Vincenzo : Ma comme, propio ’a pasta e cavulesciore ca nun me piace!

Gennarino : E sulo chella steve pronta.

Don Vincenzo (addolcendo il tono di voce) : A te ’a pasta e cavulesciore te piace; è overo?

Gennarino : Quanno ce stà m’ ’a mangio.  Nun tengo vizi, io!

Don Vincenzo (con tono persuasivo) : ’O ssaje che putessemo fà?... Tu me daje ’o piatto ’e pasta e fasule e io te dongo ’o piatto ’e pasta e cavulesciore.

Gennarino : E pecché?... A me ’a pasta e fasule me piace assaje.

Don Vincenzo : E tu nun ’a scagnasse nemmanco s’io te desse dujemila lire e quacche alice ’ndurata e fritta?

Gennarino : E comme se fà?... Si Donna Assunta ’o vvene a sapé, se dispiace.

Don Vincenzo : Aggio capito… Facimmo tremila lire e ddoje alice.

Gennarino : Eh già, doje alice sulamente!....Hann’ ’a essere almeno ’a mmità.

Don Vincenzo : E va buó.... (Si alza) Sti piede me fanno ancora male. (Si sfila la giacca e porgendogliela) Gennarì, mietteme sta giacca ’ncopp’ ’o lietto.

Gennarino (prende la giacca) : Uffà!...Vuje a cumannà site cchiù buono ca a fottere.

Don Vincenzo: E chi t’ ha fatto st’ ammasciata?

Gennarino : Don Vicié, vuje nun tenite cchiù vint’anne (va nella stanza di Don Vincenzo a riporre la giacca).

Don Vincenzo : Io nun me cagnasse cu nu giovane ’e mò. (Prende il sacchetto di plastica) Vaco a mangià ’int’a cucina.... Stu vascio è peggio ’e nu puorto ’e mare.

Gennarino (rientrando in scena) : Io magno doppo... M’arraccumanno, nun ’mbrugliate!... Ll’alice l’aggio cuntate.

Don Vincenzo (andando verso il cucinino) : Te l’hé cuntate.... Dicimmo ca già te l’hé magnate p’ ’a via (esce di scena).

Gennarino : Quanno mai! (A parte) N’aggio assaggiato sulo tre o quatto pe’ vedé si erano fritte bone.

Annuccia (affacciandosi alla porta del basso) : Permesso?…

Gennarino : E tu chi si’?

Annuccia (entrando) : So’ Annuccia... (Riaccosta l’uscio e con un sorriso)  Buongiorno… (Avvicinandosi a Gennarino) Me manna.... 

 

Gennarino (interrompendola) : Ah sì, aggio capito... Tu si’ venuta pe’ fà ’e servizie...  (La guarda) Te facevo ’e n’ ata manera… Nun si’ tanto giovane. (Le gira intorno, osservandone il seno e il fondo schiena - deluso) Si’  pure scarzulella a.....  e  a… E va buó, pacienza! Faticarraje meglio. (Spavaldo) Io songo uno de’ padrune ’e casa… Quanno te chiammo hé ’a correre... Arricuordatello! (si siede).

Annuccia (ironica, frenando l’ira) : E chi s’ ’o scorda!... E quanta padrune ’e casa ce stanno?

Gennarino : Duje, io e Don Vicienzo.

Annuccia: E io c’avess’ ’a fà?

Gennarino (si toglie una scarpa e porgendogliela):  Pe’ mò pulezzeme sti scarpe... A me me piaciono lucide assaje.

Annuccia (al limite della sopportazione) : Ma che t’ hé miso ’ncapo!? (si dirige verso la porta del basso e lancia la scarpa in strada).

Voce femminile giovane (fuori campo) : Ahi, che dolore!

Gennarino (a bassa voce) : Pazza!...  Ch’è fatto!

Annuccia (a bassa voce) : ’O pazzo si’ tu…  Che te cride ca so’ ’a schiava toja!

Voce maschile (fuori campo):  Chisà chi fesso ha vuttato sta scarpa.

Voce di donna (fuori campo) : Io aggio visto… L’hanno vuttata da ’o vascio ’e Don Vicienzo. 

Voce di donna anziana (fuori campo): Giesù, povera giovane!... L’ha cugliuta propio ’ncapo!

Gennarino (a bassa voce) : ’E ssiente?!...  Sperammo ca nun s’è fatta niente!

Voce di donna anziana (fuori campo) : È meglio che va ’o spitale!

Voce maschile (fuori campo) : Venite, signurì, v’accumpagno io.

Gennarino (ad Annuccia) : Essa ’o spitale e tu ’ngalera.

Annuccia (a Gennarino) : Io dico ca si’ stato tu.

Gennarino: E io t’accido. 

Don Vincenzo (entra in scena) : Ma se pò sapé che stà succedenno?

Annuccia (a Don Vincenzo) : Io vulesse sapé si dint’ a sta casa ve serve na giovane pe’ fà ’e servizi o pe’ fà n’ata cosa... (Indicando Gennarino) Chillo, nun appena so’ trasuta, m’ha guardata ’nnanze e arèto e po’ “'O ssaje ca sì nu poco scarzulella a... E va buó, pacienza, faticarraje meglio!... Fa’ na cosa,  pulezzeme sti scarpe… A me me piaceno lucide assaje...  Arricuordete ca io songo ’o padrone ’e casa”.

Don Vincenzo (adirato) : Chillo nun è manco ’o padrone d’ ’o cesso, pure si llà dinto ce passa ll’ ore sane!... Nun ’o penzà e parla cu mme!... So’ io l’ommo d’ ’a casa.

Annuccia (raddolcita): Io me chiammo Annuccia...Vuje site Don Vicienzo; è overo?

Don Vincenzo : Sì… (Alludendo al disordine che c’è) Comme può vedè, ccà nun se capisce niente, pecché ce manca na femmena... (Indicando la parete del cucinotto) Nun te dico che casino ce stà ce stà ’int’ a chillu muorzo ’e cucina! (Indicando la porta della sua stanza) Chella è ’a stanza mia… Ccà ce trattenimmo; dint’ ’a stu lietto ce dorme Gennarino (indica il letto e Gennarino)

Annuccia (sprezzante) : Ah, se chiamma Gennarino?

Gennarino (ironico) : Si ’o nomme mio nun te piace, m’ ’o pozzo cagnà.

Annuccia : Tu nun t’ aviss’ ’a cagnà ’o nomme, t’aviss’ ’a cagnà ’a capa!

Don Vincenzo (a parte - compiaciuto) : Ah, lassa fà a Dio!... Ha truvato ’o ppane p’ ’e diente suoje.

Annuccia (rivolta a Gennarino) : A me pe’ pulezzà me serve ’a scopa, ’o sicchio ’e ll’acqua, ’a mazza, ’a pezza, ’o panne p’ ’a povere, ’e detersive e nu paro ’e guante.... Addó ’a trovo sta robba?

Gennarino (indicando la mazza in fondo al disimpegno) : P’accummincià llà ce stà ’a mazza ’e terra e ’a pezza...

Annuccia (guardando lo strofinaccio che è vicino alla mazza): E io avess’ ’a pulezzà cu chella pezza fetente?!

Don Vincenzo: Annuccia ave ragione... (Prende il portafogli dalla tasca dei pantaloni e ne tira fuori due banconote da diecimila lire) Fa’ na cosa, Gennarì, ccà stanno vintemila lire, va ’a puteca ’e Donna Cuncetta e accatte  tutto chello che t’ ha ditto.

Gennarino : E pecché nun va essa?

Don Vincenzo: Pecché essa n’apprufitta pe’ vedè ’o riesto d’ ’a casa.

Gennarino : Nemmanco si fosse Palazzo Riale!... E già mò nun sulo ’a pavo, ma faccio io ’e servizi a essa!… Io nun me pozzo movere… Sto senza na scarpa...

Don Vicienzo: E pecché?

 

Gennarino: Pecché sta pazza me l’ha jettata for’ ’a via.

Don Vincenzo : E ha fatto buono! (per troncare quella conversazione si rivolge dolcemente ad Annuccia) Annù, agge pacienza, va tu!... Ccà stanno vintemila lire… Mò che ghiesce, famme ’o piacere, pigliece ’a scarpa... (Indicando Gennarino) Nun veco l’ora ca se ne va pur’ isso, accussì me godo sta casa i’ sulo!

Annuccia (leziosa) : Pecché, Don Vicié, vuje nun ce penzate cchiù a ve spusa? Vuje site ancora... (si blocca per la presenza di Gennarino).

Don Vincenzo (lusingato, si aggiusta il collo della camicia): Mah! Chisà?... (Sorride) Va, Annù e torna ampressa!

Annuccia (guadandolo con occhi dolci) : Allora, io vaco... Ma addó stà ’a puteca ’e Donna Cuncetta?

Don Vincenzo: Aspe’, me piglio ’a giacca e t’accumpagno (si allontana dalla scena per andare nella sua stanza a prendere la giacca).

Annuccia (a voce alta): Grazie assaje. 

Gennarino (scimmiottandola): Grazie assaje!

 Annuccia gli lancia un’occhiataccia. 

Don Vincenzo (rientra in scena, infilandosi la giacca) : Eccomi qua. Jammo! (varca l’uscio del basso con Annuccia).

Gennarino (a voce alta, mentre escono di scena) : ’A scarpa!... (Guarda l'altra scarpa che ha al piede) Chelle so’ quase nove.

Don Vincenzo (voce fuori campo) : Ccà ffòra nun ce stà.

Annuccia (voce fuori campo con una risatina): Chisà addó è fernuta?

Gennarino : ’O ssapevo, aggio perzo ’a scarpa!... Vo’ dicere ca ’e sorde d’ ’e scarpe ce ’e ttrattengo ’a copp’ ’a mesata... Eh già, mò pe’ chella cosa secca ce arrimettesse pure nu paro ’e scarpe, quase nove!.... Menumale ca ’e  vvecchie nun l’aggio jettate!... (Apre Bric a Brac, coprendo col giornale le riviste, e inizia a scorrere gli annunci) Cercasi aiuto cuoco… Cercasi giardiniere… Cercasi commesso bella presenza… Stu posto me pare buono… M’ ’o voglio signà... Addó stà na penna?… (Cerca nella tasca dei pantaloni) A vì ccanno (fa un cerchio con la penna intorno all’inserzione).

Donna Assunta (voce fuori campo) : Sì sì, trasite; è ccà (entrando) Permesso?... Gennarì, ce stà stu signore ca te cerca.

Gennarino (alzandosi) : Prufessò, e comme mai?!.. Me dispiace ca ve site pigliato stu disturbo?.... ’A stecca ’e sigarette v’ ’a purtavo io cchiù tarde.

Professore : Ma questa volta non mi avresti trovato. (Sorride) Sono in partenza... Per fortuna ricordavo il tuo indirizzo, anche se in questa zona di Napoli non mi ci ero mai avventurato... Confesso che mi ero quasi perduto. Per fortuna ho incontrato la signora (sorride a Donna Assunta) che gentilmente mi ha indicato la tua dimora, facendomi strada.

Donna Assunta (frastornata da quel parlare forbito) : Sì l’aggio ’ncuntrato p’ ’a via.

Professore : Giusto appunto.

Gennarino: Ve dongo subbeto ’a stecca ’e Merìt… È fresca fresca (si abbassa a prendere la valigetta sotto il letto).

Donna Assunta (osservando i piedi di Gennarino): Gennarì, pecché tiene na sola scarpa?  

Gennarino (seccato): Pecché chell’ata l’aggio perza (apre la valigetta sul letto e tira fuori una stecca di Merit).

 

Donna Assunta (pensosa - a parte): Comme se fa a pedere na scarpa?!

Gennarino (pone la stecca di sigarette sul tavolo - imbarazzato) : Scusate, prufessó…  Songo mortificato, pecché sta casa,  comme putite vedé...

 

Professore (lo interrompe - tono enfatico) : Per Giove, intendi forse vergognarti della tua casa!?.... Vedi, Gennarì, la casa ci viene con la nascita e la nascita è come una lotteria… Se nasci in una famiglia agiata, godrai subito di benessere, rispetto, considerazione, senza dover far nulla per meritarteli... Se invece nasci in una famiglia modesta, dovrai prestarti a fare anche i lavori più umili per guadagnarti da vivere e resterai soltano una comparsa in questa società... Ricordati però che nessun essere vivente è dotato di una sua vera identità.... Prendi ad esempio me... Io non sono io, ma il figlio di mio padre (controscena di Gennarino che lo ascolta incantato e di Donna Assunta che appare sempre più frastornata). Pertanto, io non ho una mia identità morale, sociale, somatica, originaria, ma soltanto un’identità ereditaria (si siede sulla sedia centrale, imitato dagli altri due che gli siedono ai due lati).Come identità pura, io non esisto in quanto non esiste l'individualità, bensì l'ereditarietà… Ogni uomo è il prodotto dei suoi genitori che a loro volta sono il prodotto di chi li ha generati... (Si alza di scatto - tono di voce più alto)  Chi ha scelto il mio status?

  Donna Assunta e Gennarino sobbalzano.

Professore: Io, forse?...  Ho scelto io il mio aspetto fisico?

        Donna Assunta guarda Gennarino con aria interrogativa.

Professore (assorto nei suoi pensieri, si muove per la stanza gesticolando) : È forse dipesa da me l’educazione che ho ricevuto?... Cerco l’Io fuori di me, ma cos’è il mio Io? (si rivolge a Donna Assunta che lo guarda inebetita) È un prodotto storico-genealogico. (Si siede di nuovo) Io, figlio di mio padre, figlio di suo padre, eccetera eccetera... (Rivolto a Gennarino) Dov’è dunque l'origine del mio Io?... Dov’è?... Dov’è? (controscena di Donna Assunta che si guarda intorno come alla ricerca di qualcosa). Identificatomi prodotto del determinismo che regola l’universo, ne cerco la legge… Che cosa ha dunque determinato la mia nascita?... Il caso?... Ebbene sì…  Già, perché, se mio padre fosse morto prima di concepirmi, io non sarei mai nato… (Con gli occhi chiusi) La mia esistenza si riduce perciò ad una combinazione di eventi… Un altro padre, un altro io.

Donna Assunta (a Gennarino, sottovoce) : Comme parla bello, pure si parla difficile assaje!

Gennarino (a Donna Assunta) : ’O Prufessore è pure nu filosofo.

Professore (apre gli occhi) : Diciamo che mi diletto. 

Donna Assunta (a parte) : E mò che ce azzecca ’o lietto!

  

Gennarino (al professore) : Io nun me stancasse mai ’e ve sentì …  Però, prufessó, chello che è certo è ca si uno tene ’e sorde campa meglio.

Professore (si alza) : E no, Gennarì! Non bisogna mai valutare la gente dai soldi che ha, perché spesso chi ha i soldi è miserabile di spirito ed è sicuramente più infelice di te... Di conseguenza quelli che appaiono grandi, sono in realtà piccini se non hanno una ricchezza interiore.  (Prende la stecca di sigarette dal tavolo) Gennarì, segna sul conto, ti  pagherò a fine mese.

Gennarino (si alza per rispetto): Non c’è problema, prufessó.

Professore : Ora devo proprio andare (Guarda l'orologio sul polso) Ho il treno fra un’ora.

Gennarino : Divertiteve, prufessó!

Professore : Gennarì, purtroppo non vado fuori per svago… Vado a Salerno a fare visita a una vecchia zia che sta male… La mia è una missione umanitaria…  (Sospira) Bèh, ci vediamo… (Sorride a Donna Assunta) Buon pomeriggio a entrambi (si avvia verso l’uscita).

Donna Assunta (accompagnandolo): Io me chiammo Donna Assunta.

Gennarino : Arrivederci, prufessó!

Il professore esce di scena.

Donna Assunta: Arrivederci (socchiude l’uscio e rivolta a Gennarino) : ’O prufessore Capuzzo tene ’a puzza sott’ ’o naso… Chisto invece…  

Gennarino (si siede): Chisto è tutto n’ata cosa… È nu prufessore ’e lettere… Avite ’ntiso comme parla bello?

Donna Assunta : Pe’ sentì aggio ntiso, ma nun è c’aggio capito.

Gennarino : Io invece aggio capito tutte cose.

Donna Assunta : Biato a te!

Gennarino : Donna Assù, vuje ’o sapite a Dante Alighieri?...

Donna Assunta (mentendo): Sì, l’aggio ntiso ’e ’nnummenà (si siede).

Gennarino : Embè, si Dante Alighieri è addeventato quaccheduno è pecché ha avuto ’a furtuna ’e nun nascere a Napule... Mettimmo ca nasceva ccà, int’ a stu vicolo, cu na mamma dint’ ’e rrecchie ca lle diceva "Nèh, Dante, ma che cacchio staje facenno?... Nun perdere tiempo, va’ a faticà comm’ a ll’ate!", chillo nun scriveva ’o riesto ’e niente e rimaneva nu fesso qualunque.

Donna Assunta : Eh già!

Gennarino : ’O stesso vale pe’ l’Avvocato Agnelli, chillo d’ ’e  mmachine.  Si ’o nonno d’Agnelli nasceva a Napule e lle prureva ’a capa d’arapì’a Fiat ccà, fosse juto ampressa ampressa sottencoppa, pecché aveva sburzà continuamente sorde â camorra e ’o politico ’e turno.... E accussì pava a chisto, pava a chillo, ’o viecchio Agnelli se truvava c’ ’o mazzo ’nterra.

Donna Assunta : Dice propeto buono… Gué Gennarì, t’ è piaciuta ’a pasta e fasule?

Gennarino (mentendo) : Assaje!

Donna Assunta (guardandosi intorno) : ’E piatte addó stanno?

Gennarino : Stanno spuorche, pecché chella cosa secca d’ ’a cummarellla vosta nun l’ha lavate ancora (stende il piede senza la scarpa).

Donna Assunta : Aggio capito, Annuccia nun te piace... Nun è na bambulona comm’ ’a vulive tu... (Guardandogli il piede senza la scarpa) Nèh, Gennarì, ma se pò sapé comme hé perzo ’a scarpa?

Gennarino : Spiatancello a essa!

Donna Assunta : E comme sarebbe?

Gennarino : Sarebbe che me l’ha vuttata ’mmiez’ ’a via,  accussì luntano ca nun se trova cchiù.

Donna Assunta : Gesù, e pecché l’ha fatto?

Gennarino : Pecché è pazza... (Solleva l’altro piede con la scarpa) Guardate ccà, erano scarpe quase nove.

Voce maschile (fuori campo) :  Signurì, ’o vascio è chisto… Trasite.

Vittoria (voce giovanile, fuori campo) : Grazie, grazie ancora.

Donna Assunta (a bassa voce) : Gennarì, forse te cercano pe’ na fatica… Io me ne vaco.

Vittoria (giovane piacente e formosa, vestita in modo ricercato, varca l’uscio del basso) Permesso?

Donna Assunta : Avanti.

Vittoria (avanza verso il tavolo e tira fuori la scarpa dalla borsa a tracolla) : Vorrei sapere...

Donna Assunta (interrompendola) : Grazie, grazie assaje! (Rivolta a Gennarino) Gennarì, si’ cuntento?...  ’A signurina t’ ha truvato ’a scarpa.... (Uscendo di scena) Vaco a vedé che sta facenno Titinella… Bongiorno, signurì!

Vittoria (distrattamente): Buongiorno!  (Poggia nervosamente la scarpa sul tavolo e massaggiandosi dietro la testa) Nessuno s’ era mai permesso ’e me vuttà na scarpa!  

Gennarino : Ce stà sempe na primma vota... E po’ è stata ’a cammarera, io nun ce azzecco.

Vittoria (guardandosi intorno) : Pecché ccà tenite ’a cammarera?!... (Sorride, ironica) Allora pe’ pulezzà ’a casa mia ce vulesse na squadra ’e serviture…

Gennarino : Si site assaje spuorche, sì (prende la scarpa dal tavolo).

Vittoria (adirata) : Tu parli così perché non sai chi sono io!

Gennarino (infilandosi la scarpa) : Si è pe’ chesto, nun saccio nemmeno chi songh’ io...

Vittoria : Tu sei solo un miserabile, io sono la figlia di Bufalino.... I latticini nostri sono conosciuti da tutti.

Gennarino: E pe’ forza, cu chillu nomme!... Ma io qua ti volevo... Tu pe’ dicere chi si’, hai fatto il nome di  tuo padre. (Si alza e le gira intorno, osservandone le curve) Questa è la prova che tu, nemmeno tu, conosci il tuo io..... Chi sei tu?... L’hé ditto mò mò. Sei la figlia di tuo padre che, a sua volta, è il figlio di suo padre che è ancora il figlio di suo padre… Sarebbe bastato avere un padre diverso per non essere più tu, pur rimanendo sempre tu.

Vittoria (imbambolata) : Se vede ca hé studiato.

Gennarino : Sì, ma chiste so’ penziere mieje… È filosofia... Serve pe’ te fà capì ca tu e io simmo tale e quale, pecché nè tu nè io avimmo deciso ’e venì ’ncopp’ a terra, ’e nascere a Napule, ’e fà ’a vita che facimmo... Si io avesse tenuto n’atu pate...

Vittoria : Perché?…  Chi è tuo padre?

Gennarino : Nun ’o ssaccio, nun l’aggio cunusciuto... Ma che d’è st’interrogatorio?

Vittoria : Qua’ interrogatorio!… Era sulo na domanda.

Gennarino: Mò na domanda t’ ’a faccio io… Tu addó staje ’e casa?

Vittoria: A Via dei Mille.

Gennarino: Embè, che ce fà na signora comm’ a te ’int’ a stu vico?

Vittoria: Si dà il caso che una zia di mammà ci ha lasciato nu quartino ’o palazzo affianco… Si me trovo ccà è pecché so’ venuta a vedé comme vanno i lavori ’e ristrutturazione, accussì l’affittammo… Forse mammà ’a rendita m’ha dà a me… (Compiaciuta) Io so’ unica figlia.

Gennarino : Io invece tengo nu frato… Simmo figli â stessa mamma, ma a pate diverse (si siede, lasciando ben coperte da Bric a Brac le riviste porno).

Vittoria (meravigliata): Allora, tua mamma ha avuto dduje marite?

Gennarino: ’O vvì? Nun tiene fantasia... Tanto pe’ te fà capì, ’int’ a sta casa campa ancora ’o cumpagno ’e mammà e te pozzo giurà ca nun è pate a nisciuno ’e nuje.

Vittoria : Che donna emancipata, tua madre!... Mi piacerebbe conoscerla.

Gennarino: E nun è possibile; stà sotto terra!...  Comme te dicevo, il destino ci viene con la nascita e cu mammà ’a vita è stata crudele.

 

Vittoria : ’O ssaje che parle buono?...  (Sbircia la pagina aperta di Bric a Brac) dove Gennarino ha fatto un cerchio) Veco che staje cercanno lavoro… Papà mio tiene una televisione privata; si chiama Telesoccàvo... Io spisso dico ’e nnutizie ’e cronaca... Ajere aggio ’ntiso che stanno cercanno a nu giovane pe’ fà na pubblicità.... Si vuo’?…

Gennarino: Hanno miso l’annuncio ’ncopp’ ’o giurnale?

Vittoria : Noo, pe’ carità!… Na vota sulo l’ammo miso e avett’ ’a venì ’a celere pe’ tutt’ ’a gente che s’appresentaje.

Gennarino (per mascherare il suo interessamento) : Pozzo venì, giusto pe’ vedé ’e che se tratta... Ma chi te dice ca me pigliano?

Vittoria : Papà tene sulo a me e, pure si lle cerco ’a luna, nun me sape scuntentà.

_________

                                              ATTO SECONDO

Due anni dopo (inizi di giugno - mattina di un mercoledì).  La scena si ambienta nel soggiorno di una casa al primo piano di Vico Tre Re. Sulla parete destra, partendo dal sipario: un mobiletto basso (con sopra una radio e un telefono fisso a rotella), una sedia e, a seguire,  un varco da cui si accede in cucina; nell’angolo c’è un carrello col televisore (sul televisore è poggiata una piccola lampada).  Sulla parete sinistra, partendo dal sipario: una poltroncina, una finestra con la tenda lunga chiusa, un calendario appeso (foglio di giugno, anno non visibile). Sul fondale, a sinistra della comune, un mobiletto basso con sopra dei ninnoli e eventualmente un abat-jour. Dalla comune, andando a destra, c’è l’ingresso: andando a sinistra ci sono le camere da letto e il bagno. Un  tavolo tondo con tre sedie intorno è posto quasi al centro della scena. L’arredamento moderno, i quadri alle pareti, la colonnina (con sopra la pianta) che si vede fuori la comune,  dimostrano un certo benessere.

Sul tavolo due riviste porno.

Annuccia (con indosso un grembiule con tasca, mentre spolvera, guarda l'orologio) : Mò me scurdavo ’a trasmissione d’ ’a maga! (con circospezione si avvicina al telefono, legge un numero scritto sul palmo della mano sinistra e lo compone) Pò essere ca ogge songo furtunata.... Ah, lassa fà a Dio, sta chiammanno!...... Pronto, maga?.... Me chiammo Annuccia, tengo vintinove anne e songo d’ ’o Toro……..  Io tengo ’o penziero pe’ nu vetovo ch’è cchiù gruosso ’e me, ma isso nun se decide.......... Se chiamma Vincenzo, è d’ ’o Lione... Vulesse sapé si......  Maga, aspetta nu mumento!… Nun te sento buono, mò appiccio ’a radio. (Accende la radio e gira la rotellina che regola la sintonia) Maga, aggie pacienza! .... Sì, ecco qua.

Voce della maga (registrazione) : Cara Annuccia, mò vetimmo ’e ccarte che diceno ....... Stamme buono a sentì, io veco p’ ’o pprisente nu sacco ’e nuvità attuorno a te e sarranno propiamente chesti nnuvità ca smuvarrano quaccosa... Però, siccomme chist’ ommo nun se decite a parlà, tu hé ’a dà na mano ’o destino. Pirciò fà tutto chello ca mò te cunziglio: Miettete ferma cu ll’uocchie chiuse e pienze a isso, po’ sbattete ’o pugno ’mpietto e ripiete "Sulo a me!... Sulo a me!" Ma arricuordete buono… Si vuo’ ca sta cosa riesce, hé ’a fà ca’a primma perzona ca ’ncuntre t’ ha da dicere "Sulo a te!"… Te faccio vedé ca isso finalmente se decitarrà... Ciao, cara, tanti acuri.... e mò passammo a n’ata tilefonata...

Annuccia: Grazie, grazie assaje (spegne subito la radio, abbassa la cornetta e si concentra per ricordare le parole che deve dire; poi con gli occhi chiusi, battendosi il petto - tono enfatico) Sulo a me!… Sulo a me!

Gennarino (in pantaloni e canottiera, entra in scena dal lato sinistro della comune con l’asciugamano sul collo e la camicia sul braccio; perplesso, guarda Annuccia) : Nèh, Annù, ma che tiene!?

Annuccia (fingendo una tosse stizzosa, continua a battersi il petto): Sulo a me..... Sulo a me… (poi, fissando Gennarino) Sulo a me…

Gennarino (minimizzando, mentre indossa la camicia): Veramente, me capita pure a me.

Annuccia (con tono deciso) : Sulo a me!… Sulo a me!

Gennarino (assecondandola): Eh, va buó; sulo a te.

Annuccia (contenta) : Gennarì, te porto subbeto ’o ccafè… È frisco fatto (esce di scena verso la cucina).

Gennarino :Mah?… Valle a capì ’e ffemmene!

        Squillo del telefono

Gennarino (poggia l'asciugamano su una sedia e va a rispondere) : Pronto!... No, Gigì, nun stevo durmenno........ (Si siede sulla sedia che è accanto al telefono)  Sì ’o ssaccio c’ avimm’ ’a jì a Cercola!…… Ma quanno ’a facimmo chella trasmissione a Maiori?... …Ah, me fa piacere!.. A  Maiori ’o mare è bello; ce putimmo fà pure nu ricco bagno.

Annuccia (porta una tazzina di caffè con piattino e la poggia sul mobiletto dov’è il telefono; prende l'asciugamano dalla sedia e, borbottando, esce di scena dalla comune, verso sinistra): ’A fatica se spreca addó ce stanno ll’uommene!

Gennarino (continua la conversazione) : E vulenno nu poco ’e tiempo se trova..... Gigì, m’arraccumanno, puorte ’a telecamera nova... Allora ce vedimmo stasera ’e ssette e mmeza… Statte buono  (prende la tazzina di caffé e ne sorseggia un po’).

Annuccia (rientrando dalla comune) : Gennarì, aggio cagnato marca; hé visto stu ccafè comm’ è buono?

Gennarino (sorseggiandolo) : Overamente è buono… Ce vuleva propio! (poggia la tazzina vuota sul piattino,  si alza e si avvicina al tavolo).

Annuccia: ’O ssaje, ’a cummara mia, (chiarisce) Donna Assunta, s’è accattato nu servizio ’e tazze comm’ a chisto... Ha urdinato pure ’o servizio ’e bicchiere. (Sorride) Chella ha visto ’a pubblicità ca tu hé fatto pe’ televisione.

Gennarino (si siede) : Annù, anduvina chi ha pigliata ’a telefonata ’e Donna Assunta?

Annuccia : ’A signurina Vittoria?

Gennarino (sorride): Propio accussì.... Vicky se truvava llà, pecché ’a telefonista steva malata... Essa nemmanco aveva capito ca se trattava ’e Donna Assunta; l’ha capito sulo  doppo ’a trasmisssione, quanno m’ha spiato si cunuscevo a na certa Assunta Merolla che sta ’e casa ’o Vico Tre Re.

 

Annuccia : Overo? ...Vide che cumbinazione! (prende la tazzina vuota).

Gennarino (apre una rivista che è sul tavolo): Io m’ addimanno che se ne fà ’Onna Assunta d’ ’e bicchiere ’e cristallo?

Annuccia : Dice che ce l’ astipe a Titinella... Secondo me, se l’ è accattate cu ’a speranza ’e vencere ’o surteggio d’ ’o frigorifero... ’O sujo s’è scassato.

 

        Squilla il telefono

Annuccia : Chesta sarrà sicuramente ’a signurina Vittoria (va verso la cucina, uscendo di scena).

Gennarino (si alza e va a rispondere) : Pronto!..... Gué Vicky!... (Seccato) ’O cellulare ’o tengo ancora stutato… ’O telefono steva occupato, pecché m’ha chiammato Gigino p’ ’a trasmissione c’ avimm’ ’a fà a Cercola...... Ajeressera s'è fatto troppo tarde. Nun te putevo telefonà; avesse scetato a tutte quante........ No, stasera m’hanno invitato a na festa ’e piazza. Aggi’ ’a presentà a cierte che cantano… E ferniscela cu sta gelusia!.... Si ’e gguaglione se vonno fà na fotografia cu me, che ce stà ’e male?

 

Annuccia (frattanto rientra in scena, asciugando una pentola di acciaio brillante - a parte) : Ah ah, se mette malamente!

Gennarino (continuando a parlare a telefono) : So’ lloro ca me cercano ’a dedica e io p’ ’e ffà cuntente ce scrivo "con tutto il cuore",  "con simpatia"…… Nemmanco ’e gguardo…... Certo ca me fà piacere ’e te vedé!… Ce putessemo ’ncuntrà verso ’e ccinche, accussì stammo ’nzieme  nu paro d’ore… Che dice?...... Allora, ciao (chiude la conversazione, sbuffando va verso il tavolo; tira fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni, lo accende e lo rimette in tasca).

Annuccia :Si ’a signurina Vittoria è gelosa, ave pure ragione... Oramai so’ duje anne ca ve canuscite e tu ancora nun te decide a parlà c’ ’o pate.

Gennarino (si siede vicino al tavolo, sulla sedia che è a sinistra, e inizia a sfogliare una rivista porno che è aperta sul tavolo): Annù, quanno voglio nu cunziglio t’ ’o cerco io a te.... ’O matrimonio è na cosa seria... Uno ce ha da penzà buono. (Indicando ad Annuccia la foto di una modella) Certo si se trattasse ’e chesta ccà, nun ce stesse a penzà ’a coppa.

Annuccia : Si tu nun ’a fernisce ’e guardà ’e ffemmene che stanno ’ncopp’ a sti  rriviste, nun te decidarraje mai e ’a signurina Vittoria faciarrà ’e capille bianche appriesso a te.

Gennarino : Annù, ma nun tiene niente che fà?... Sta pentola ’a staje danno a pulitura.

Annuccia (ammirando la pentola): Comme so’ belle sti pentole!... È cchiù ’e n’anno ca ’e ttenimmo e pàreno sempe nove... Se l’accattaje tutt’ ’o quartiere, quanno asciste pe’ televisione e diciste ca se putevano pavà pure a rate... (Sorride) ’A cummara  l’ha da ancora fernì ’e scuntà… ’E ttene astipate tantu bello dint’ ’a scatola.

Gennarino : E chelle servono, si vò fà ’o curredo a Titinella.

Annuccia (infila una mano nella tasca del grembiule e tira fuori una busta) : Gennarì, mò me scurdavo, è arrivata sta lettera... (Legge sulla busta) Gennarino Esposito, Vico Tre Re (Sorride) ’O nummero è chillo d’ ’o vascio…  Menumale ca ’o pustino te sape!.... (Porgendogli la busta) Comme so’ belle sti francobolle!

Gennarino (osserva il timbro sulla busta) : Vene d’ ’a Germania.... Sarrà ’e Salvatore, n’amico mio ca se n’è ghiuto a faticà llà... (Mentre la apre) Chisà si s’è truvato buono?...

Annuccia : Uh, mannaggia!... M’aggio scurdato ’a salza ’ncopp’ ’o ffuoco! (esce in fretta di scena, diretta in cucina).

        Squilla il telefono fisso

Gennarino (tira fuori la lettera, lasciando la busta sul tavolo, e si alza per rispondere - dalla busta dovrebbe scivolare una foto che può essere collocata in precedenza dietro il piede del tavolo) : Pronto!......... Sì, ma si vaje add’ ’o parrucchiere, sì’ sicura ca te spicce p’ ’e ccinche?.......  Vichy, facimmo accussì, fatte ’e capille e chiammeme quanno sì’  pronta......... Ciao, ce sentimmo doppo..... (Spiega il foglio e inizia a leggere la lettera) “Caro fratello” (Si affaccia al corridoio che dà in cucina) Annù!... Annù, viene!...

Annuccia (accorre dalla cucina): Ch’è stato?!

Gennarino: M’ ha scritto fratemo Lelluccio… ’A lettera vene d’ ’a Germania (va verso il tavolo).

Annuccia (meravigliata) : Overo!?

Gennarino (si siede di nuovo sulla stessa sedia) : Tu nun l’hé cunusciuto, pecché chillo se n’era già partuto, quanno veniste addu nuje.

        Bussata di porta (campanello)

        

  Annuccia va ad aprire mentre Gennarino legge mentalmente la lettera e  cambia espressione.

Donna Assunta (voce fuori campo) : Bongiorno, Annù!

Annuccia (voce fuori campo) : Bongiorno, cummà!...Trasite (rientra in scena, seguita da Donna Assunta)…  Me fà proprio piacere ca site venuta, accussì me date na mano. Pe’ cena vulesse fà nu bellu gattò ’e patane, ma nun vulesse ca vene muollo comm’ a ll’ata vota.

Donna Assunta  : E facimmo ampressa, piglia ’e ppatane!

Annuccia : ’E ppatane stanno già ’ncopp’ ’o fuoco, ’a provola ’a tengo pecché m’è avanzata d’ajere. (Sorride) ’Int’ a sta casa, grazie â signurina Vittoria, provola e muzzarella nun mancano mai... Mò che scengo, accatto ll’ove e nu poco ’e murtadella.... Ma comme mai ajere nun site sagliuta?

Donna Assunta : E tu ’o ssaje, sti scalini me pesano.

Annuccia : Ma è sulamente na tesa ’e scale!

Donna Assunta : Séh, ma ogni scalino è alto miezu metro! (Si avvicina al tavolo e rivolta a Gennarino) Gué, Gennarì, bongiorno!

Gennarino (distratto, continuando a leggere) : Bongiorno, ’Onna Assù...

Annuccia (tono confidenziale) : Cummà, ’o ssapite, ha scritto ’o frato ’e Gennarino.

Donna Assunta: Chi?... Lelluccio?…  

Annuccia: ’A lettera vène d’ ’a Germania.

Donna Assunta : Gennarì, e dimme! Comme stà Lelluccio? (si siede vicino al tavolo sull’altra sedia laterale).

Gennarino (senza staccare gli occhi dalla lettera) : Dice che stà buono e ca è felice.

Donna Assunta (commossa): Me fa propeto piacere.

Gennarino (con gli occhi fissi alla lettera):  Dice ca nisciuno ’o chiamma cchiù Lelluccio; s’è cagnato ’o nomme… Dice pure ca s’ è fatto na villa e… (incredulo) ca fra quacche mese se sposa.

Annuccia (a Gennarino) : E se vede ca nun è comm’ a te ca nun te decide ancora.

Donna Assunta (perplessa) : Giesù, se sposa!

        Bussata di porta (campanello)  

           

Annuccia (va ad aprire) : Uffà!... (Voce fuori campo - tono seccato) Ah, Rafè, si’ tu?

Rafele (voce fuori campo) : E scusa tanto!.... Gennarino ce stà?

Annuccia (voce fuori campo) : Sì, trase! (Ferma sotto la comune) No, ’a porta lassala appannata, accussì nun vaco ’nnanze e arèto (ritorna verso il tavolo).

Rafele (entra in scena con una rivista porno sotto il braccio): Permesso?... Bongiorno, ’Onna Assù!.... (Porgendo con un sorriso la rivista a Gennarino) Gennarì, t’aggio purtato sta rivista; è arrivata stammatina...E che ffemmene!... Ce sta pure chella modella ca a te te piace assaje.

Gennarino: Grazie, Rafè, m’ ’a guardo doppo (continua a scorrere la lettera, scuotendo il capo).

Rafele (preoccupato, rivolto a Donna Assunta e ad Annuccia) : Ma è succieso quaccosa?

Donna Assunta (incredula, con le mani giunte) : Gesù, chillo se sposa!

Rafele : Chi se sposa?

Annuccia : Lelluccio...  Ha mannato na lettera (indica la lettera che Gennarino sta leggendo).

Rafele (sorride) : Eh séh, se sposa… Ma nun me fa ridere! (si sposta dal tavolo).  

Donna Assunta: Accussì ha scritto.

Gennarino  (poggia la lettera sul tavolo e guarda all'interno della busta e sotto le riviste) : Mah?

Rafele (si abbassa a raccogliere una foto che vede sul pavimento e, osservandola con ammirazione e stupore) : Oh, oh!.... Gennarì, sta fotografia steva ccà ’nterra… E chi te l’ha data?

Gennarino (gli strappa la fotografia di mano) : Damme ccà! (La guarda, sbalordito)  No, nun è possibile!... (Sfoglia freneticamente la rivista porno che è aperta sul tavolo) Addó stà?…  (Confronta una foto sulla rivista con quella che ha in mano - Sconvolto) No!!... (Avvilito, guarda Rafele) È propio essa... Luana, chella  ca i’ me sunnavo pure ’a notte...  Gesù mio, chella era frateme!... Che schifo!  

Annuccia (abbassandosi verso Donna Assunta ) : Ma che stà dicenno ?.... Io nun ce capisco niente.

Donna Assunta (a bassa voce) : Zitta, zitta, t’ ’o spiego doppo.

Rafele : Gennarì, vuó dicere ca ’e mmodelle ca stanno ccà ’ncoppa so’ comm’ a chille ca ’a sera se mettono ’o Corso Umberto?!

Gennarino (adirato, battendo la mano sulla rivista): Peggio!.... Cheste so’ femmene finte da capo ’o pere!... Giesù, Giesù!

 

  Don Vincenzo entra dalla comune (lato ingresso) con un completo estivo.

Gennarino (accasciato sulla sedia): Rafè, tu hé capito?... Mò se sposa!

Don Vincenzo (fraintende e, adirato, avvicinandosi a Gennarino) : E che te penzave ca Vittoria rummaneva a aspettà ’e commode tuoje ?!... Tu, Gennarì, aviss’ ’a vasà ’a terra addó chella cammina..... T’ ’o sunnavo ’o posto ca tiene!... Grazie a essa, simmo sagliute ’o primmo piano, dint’ a sta casa ’e tre stanze. (Chiude la rivista porno che è sul tavolo) E tu chella brava guagliona te l’ hé perza pe’ penzà a sti femmene ’e carta!... Saje che te dico, me fà piacere ca Vittoria se sposa.... Che se ne faceva ’e nu fesso comm’ a te?

Donna Assunta (gli si avvicina) : Don Vicié, nun è ’a signurina Vittoria ca se sposa.

Don Vincenzo : E allora, chi se sposa?

Donna Assunta (tentenna e fissa involontariamente Annuccia) : Vuje nun v’ ’o pputite nemmanco immaginà!

Don Vincenzo (dispiaciuto, guarda Annuccia): Tu!... Te spuse tu?!!.... Eh già, tu si’ figliola... Vicino a te ce vò uno ’e ll’età toja, no uno....

Annuccia (lusingata, lo interrompe) : Don Vicié, che dicite!... Io da ccà me ne vaco sulamente si vuje nun me vulite cchiù.

Don Vincenzo (rassicurato si siede e rivolto a Raffaele) : Allora se pò sapé chi se sposa?....

Rafele: Lelluccio.... È arrivata na lettera d’ ’a Germania.

Don Vincenzo (prende la foto dal tavolo e osservandola) : E stu gioiello ’e femmena se sposa a isso ca è pure....

  Gennarino, Donna Assunta e Rafele fanno cenno di no col capo.

Don Vincenzo : E allora chesta chi è ?...  Sta fotografia l’ha mannata Lelluccio… È  overo?

Rafele : Sì, ma nun è comme penzate vuje.

Don Vincenzo: Annù, parle tu, si no io fernesco ’o manicomio.

Annuccia (tentenna): Io… veramente aggio capito poco e niente... Aggio sulo ’ntiso ca Gennarino se sunnava ’o frate pure ’a notte; che schifo.

Don Vincenzo (guarda con sospetto Gennarino) : Gennarì, è overo?!

Gennarino (risentito) : Don Vicié, ma che ghiate penzanno!... Chesta è ’a fotografia ’e Lelluccio!... Mò fà ’a fotomodella… (Secccato) Stà pure ’ncopp’ a sti rriviste.

Don Vincenzo : E comme ha fatto p’ addeventà accussì?

Rafele : Se sarrà fatto ’a plastica.

Gennarino (continua) : E na cura d’ormone.

Annuccia: Ogge cu ’a plastica se fanno miracule. 

  Don Vincenzo prende la lettera di Lelluccio dal tavolo e inizia a leggerla mentalmente.

Donna Assunta: Ma se fanno pure ’e guaje…. ’A figlia d’ ’o farmacista era na bella guagliona; teneva sulamente ’o naso nu poco luongo… Mò, si ’a vedite, è addeventata nu sturcio. ’O pate ’o vuleva accidere a chillu strunzo ’e miedeco.

Annuccia: Povera guagliona!

Don Vincenzo (esclama, scorrendo la lettera): Gesù, chillo, chella ha fatto pure furtuna!... Dice ca s’è fatto na villa e ca… fra quacche mese se sposa cu nu regista d’ ’o cinema.

Annuccia: Overo!... E chi è?

Don Vincenzo (si sforza di leggere il nome): Se chiamma… E chi capisce!  

Gennarino:  Se chiamma Helmut.

Donna Assunta : E addó se sposa?

Gennarino: E chi ’o ssape?

Don Vincenzo (guarda Annuccia) : Staje propio bona cu sti capille…

Annuccia (lusingata) : Me l’ha fatto Benny; è venuto stammatina doppo ca ireve asciuto.

Donna Assunta: Benny  dint’ ’a zona nosta sta facenno affare… Da quanno don Michele ’o barbiere è muorto, ’o chiammano pure ll’uommene.

 

Annuccia: Chillo è bravo… È isso ca mò ce sta taglianno ’e capille a Don Vicienzo… (Guarda l’orologio sul polso) Madò, comm’ è tarde!... Gennarì, me puo’ accumpagnà cu ’a machina?... Aggi’ ’a accattà ’a frutta, l’uoglio e  ’o vino… So’ ccose che pesano.

Donna Assunta: Nun te scurdà ll’ove e ’a murtadella. 

Gennarino (alzandosi): Ma ’e sòrde d’ ’a spesa ’e ttiene?

Annuccia : Sì, me l’ha date don Vicienzo ajeressera.

Gennarino : E allora jammo, fa’ ampressa!

Annuccia (sfilandosi il grembiule): E che ce vò ?…Vaco a  piglià ’o burzellino (esce di scena dalla comune e va a sinistra).

Gennarino (prende le riviste dal tavolo e porgendole a Raffaele):  Rafè, tie’! Sti rriviste pigliatelle!  

Donna Assunta (a Raffaele): E nun ne purtà cchiù!

Gennarino (avviandosi verso la comune): Donna Assù, a vvuje ve trovo ccà; è ovè?

Donna Assunta: Sì.  

  Gennarino esce dalla comune e va a destra, seguito da Annuccia che  sopraggiunge da sinistra.

Donna Assunta (rivolta a Don Vincenzo) : Chella, Annuccia, ha da fà ’o gattò ’e patane… Lle voglio dà na mano.

Don Vincenzo  : E allora rummanite a mangià cu nnuje (ripiega la lettera e la rimette nella busta insieme alla fotografia).

Donna Assunta : Ma io nun vulesse dà fastidio.

Don Vincenzo : Ma che dicite!... Nun ’o ppenzate nemmanco!.

Rafele (con le riviste in mano, fissando una copertina) : Io nun ce pozzo ancora credere!

Don Vincenzo (poggiando la busta sul tavolo) : Ogge nun se capisce cchiù niente.

 

        Bussata di porta (campanello)

Donna Assunta (a Don Vincenzo che si sta alzando) : State commodo, vach’ io... (esce di scena dalla comune e va a destra).

Don Vincenzo (rivolto a Rafele) : Sarrà sicuramente chillu stunato ’e Gennarino ca s’è scurdato quaccosa.

Signora Starace (voce fuori campo): Buongiorno… Vorrei parlare con Don Vincenzo… C’è?...  

Donna Assunta (voce fuori campo) : Sì. Trasite (Introducendola) Don Vicié, sta signora vò parlà cu vvuje.

Signora Starace (in abbigliamento sportivo, entrando in scena) : Buongiorno. Sono la signora Starace. Mi manda la Signorina Vittoria.

Don Vincenzo (scatta in piedi): Prego, accomodatevi! (le porge una sedia)

Signora Starace : No, grazie, mi trattengo pochissimo....Vedete, Don Vincenzo, per una serie di impegni che mi assorbono moltissimo, avrei pensato di affidarvi un lavoro molto delicato.

Don Vincenzo : Se posso…

Signora Starace : Ah, certamente!... Da quello che mi ha riferito la signorina Vittoria, credo che voi siate proprio la persona giusta.  Ora, conoscendovi di persona, ritengo che questo lavoro potrebbe anche giovarvi alla salute... (Sorride) Un  po’ di moto fa bene, quando non si hanno piu vent’anni... Non sembra anche a voi?

Don Vincenzo : Sì, ma…

Signora Starace: Guardate me... Io per mantenermi in forma pratico l’aerobica.

  Donna Assunta la guarda con aria stolida.

Don Vincenzo (fingendo di capire) : Veramente?

Signora Starace:  E anche il futing ogni giorno.

Donna Assunta (sconcertata - a parte) : E ’o ddice pure!

Signora Starace: Con i miei impegni non mi resta nemmeno un briciolo di tempo… Perciò, su suggerimento della signorina Vittoria, sono venuta a proporvi un lavoro di responsabilità e di fiducia.

Don Vincenzo : Io vi ringrazio, ma spiegateme ’e che se tratta.

Signora Starace: È un lavoro facile che richiederebbe complessivamente  tre ore al giorno... Vi interessa?

Don Vincenzo : E comme no!… Io me so’ raccumandato tanto â signurina Vittoria pe’ truvà quaccosa ’a fà.

Signora Starace (interrompendolo) : Chiariamo subito che sono disposta a pagarvi trecentomila lire al mese; non una lira di più.... Capirete, sono soltanto tre ore al giorno e fare il dog-sitter è più un divertimento che un lavoro... (Rivolta a Donna Assunta) Non trovate che sia così?

Donna Assunta (fingendo di aver capito): Sì…comme no! 

Don Vincenzo (per nascondere che non ha capito il significato di dog sitter) : Io vulesse però quacche spiegazione ’e cchiù.

Signora Starace: Tanto per cominciare, Leo è adorabile… Anche se è avanti negli anni, ha ancora un fisico prestante.

Don Vincenzo : E chesto me fa piacere pe’ vvuje.

Signora Starace: A me invece dispiace, perché, quando il birbante incontra una femmina che lo provoca, non si sa mai come andrà a finire..... Sapete, temo sempre che possa prendere qualche malattia.

Donna Assunta (a parte): Eh, già.

Signora Starace (a Don Vincenzo): Vorrei perciò che voi lo teneste d'occhio.

Don Vincenzo : Scusate, signó, ma io comme pozzo evità?.. Si chillo tene ’o vizio...

Signora Starace : Io vi autorizzo a trattenerlo, se necessario, anche con le maniere forti.

Don Vincenzo : Io?...

Signora Starace: Certamente!... Ah, sarà bene avvertirvi che Leo preferisce passeggiare nelle zone alberate perché urina poco e spesso, perciò non dategli fretta.....Vi consiglio anche di portare sempre con voi un sacchetto di plastica e una palettina nel caso, capite, dovesse scappargli un bisogno più grande...  Non vorrei che la gente trovasse da ridire.  Io abito poco distante da qui, a Via Santa Brigida e lì mi conoscono tutti.

Don Vincenzo : E ce credo!... Ma, signora mia, ogge ce stanno i pannoloni pe’ risolvere sti probleme!

Donna Assunta: Propeto accussì.

Signora Starace (divertita) : Non mi fate ridere!... Ve lo immaginate un cane con il pannolone?!

Donna Assunta, che finalmente ha capito, guarda con aria divertita Don Vincenzo.

Don Vincenzo (recupera subito) : Già, è veramente un peccato che per i cani nun l’hanno fatte ancora!... Sapite quanta sciuliate ’a gente se sparagnasse!.....Signó, ma quanta vote ’o giorno avess’ ’a ascì ’o cane?

Signora Starace: Diciamo tre volte al giorno.... Però, di tanto in tanto, dovreste portarlo dal veterinario per una visita di controllo o dall’acconciatore per uno sciampo... Io tengo moltissimo all’igiene.

Don Vincenzo : Se tratta ’e nu cane piccerillo?

Signora Starace (con orgoglio) : No, è un alano!… Il mio Leo è un gigante e ha la forza di un toro.

Don Vincenzo (carezzandosi  il mento ): Signó, me dispiace, ma pe’ stu cane ce vò uno giovane ca tene ’a forza p’ ’o tirà e p’ ’o correre  appriesso.... Si se trattava ’e nu cane piccerillo, forse io....

Signora Starace: E me lo potevate dire subito che non eravate interessato! (Guarda l'orologio da polso) Accidenti, per venire qui mi è saltata l’aerobica.

Don Vincenzo : E chesto me dispiace.

Donna Assunta (a parte) : Mò lle zompa pure ’a nervatura.

Rafele (interviene prontamente) : A me ’e cane me piaceno assaje… Signó, ’o cane vuosto io m’ ’o putesse purtà cu mme ’a  matina, quanno vaco a cunzignà ’e giurnale,  po’ ’e ddoje, quanno vaco a mangià  e ’a sera quanno esco cu ’a guagliona mia. (Pensoso) Nun me pare ca Titinella se mette paura d’ ’e cane...

Donna Assunta : E che ce azzecca Titinella?

Rafele (balbetta) : Donna Assù, sapite... nuje...

Donna Assunta : Mò aggio capito.... Si’ tu l’amica addó essa va sempe... E ’a quanno tiempo dura sta storia?

Rafele (timidamente) : So’ appena quatto mise.

Donna Assunta : Ha ditto appena!.... Cu Titinella nun può pazzià; chella è na brava guagliona… Gué, Rafè, tu m’hé capito?!

Rafele : Donna Assù, io ’a voglio bene.

Signora (ansiosa): Io avrei fretta (avviandosi all'uscita).

Donna Assunta : Signó, quanno pò accummincià stu giovane?

Signora Starace : Ma io volevo una persona di fiducia.

Don Vincenzo : E l’avite truvata… A Rafele ’o cunuscimmo ’a piccerillo... S’è cresciuto int’ a stu vico.

Donna Assunta : Propeto accussì. (Rivolta a Rafele) Sti sorde che guadagne te l’astipo io... Servarranno p’ ’a mubilia quanno tu e Titinella ve spusate.

Signora Starace (poco convinta a Rafele) : E quando potresti venire?  

Rafele : Si vulite, pozzo venì pure mò.

Signora Starace : E allora, andiamo.  (Avviandosi verso la comune) Buongiorno a tutti (esce di scena, andando a destra).

Rafele (contento, seguendola) : Signó, io me chiammo Rafele.

Gennarino (voce fuori campo) : Rafè addó vaje?

Rafele (voce fuori campo) : Don Vicienzo m’ha passato na fatica.

  Don Vincenzo si siede.

Annuccia (entra in scena, reggendo un sacchetto della frutta e un altro della salumeria) : Donna Assù, aggio accattato tuttecose... Doppo, si me date na mano, facimmo ’o gattò.

Gennarino (la segue in scena con un sacchetto pieno di bottiglie): E comme pesa!  (poggia subito il sacchetto con le bottiglie a terra vicino al televisore).Ha ditto pure che teneva ’e sorde p’ ’a spesa! (Guarda Don Vincenzo)  Diecimila lire fetente che so’ abbastate sulo p’accattà ’a frutta!  (Rivolto ad Annuccia) Sta vota m’hé fatto fesso, ma ’a prossima vota chi t’accumpagna cchiù.

Annuccia (poggia a terra gli altri due sacchetti della spesa): E quanta storie che staje facenno!…  Pecché ccà nun magne pure tu?

Gennarino : È meglio ca nun te rispongo (esce di scena dalla comune e va a sinistra).

Annuccia  (si accerta che Gennarino si sia allontanato - tono confidenziale): Ce stanno nuvità grosse comm’a sta casa.

Donna Assunta : Overo!....  ’E che se tratta?

Don Vincenzo : Riguardano a me?

Annuccia (sorride) : A vvuje, a me, a tutte quante.

Donna Assunta: E ccunte, fa ampressa! (si siede).

Annuccia: Io m’ero fermata a accattà ’a frutta, quanno me giro e nun trovo cchiù a Gennarino… Me guardo attuorno e ’o veco che steva parlanno fore ’a vetrina ’e ll’orefice.

Don Vincenzo: E addó sta st’ orefice?

Donna Assunta (a Don Vincenzo) : Sarrà chillo ca s’è miso abbascio ’o vico, all’angolo cu ’a Speranzella.

Annuccia : Sì, propio chillo... Allora me songo avvicinata chiano chiano e aggio ’ntiso ’o gioielliere che diceva "Ma certo che putite pavà cu n’assegno… Vuje site cunusciuto, io ve veco sempe ’a dint’ a televisione e l’aniello c’ avite urdinato è ’o cchiù bello".

Don Vincenzo : Finalmente s’è deciso!

Donna Assunta : E c’ ha ditto quanno t’ha visto?

Annuccia : M’ha ditto "Mò m’arraccumanno, nun spannere ’a voce; chiste so’ fatte private"... Zitte, zitte, me pare che stà venenno.

Gennarino (rientrando in scena dalla comune): Annù, vulesse mangià ampressa, pecché aggi’ ’a ascì.

Annuccia : Tengo ’a salza già pronta... Mò t’appriparo subbeto duje spaghette... ’O gattò t’ ’o magne stasera... (Sobbalza) Uh, ’o gattò! Stanno ancora ’e ppatane ’ncopp’ ’o ffuoco (prende il pesante sacchetto con le bottiglie e quello della salumeria e si precipita in cucina, uscendo di scena)

Donna Assunta (si alza):Mò vengo cu te, accussì sistemammo pure ’a spesa (prende l’altro sacchetto con la frutta e, seguendola, esce di scena).

Gennarino (a Don Vincenzo) : Accussì avite rifiutato na fatica e ce l’avite passata a Rafele.... Eh già! Si dint’ a sta casa fatico io, ll’ate pecché avessen’ ’a faticà?...

Don Vincenzo : Bella fatica che m’avevano  pruposto!...  Tu me vide a me che porto a piscià a nu cane, nu piezzo ’e bestione?...  Accussì me tirava e me faceva cadé.

Gennarino : Però ccà ’e sorde servono.

Don Vincenzo : E io voglio faticà, ma ce stà fatica e fatica.

        Squilla il telefono fisso

Gennarino (si avvicina al mobile e alza la cornetta) : Pronto!....... Vicky, e pecché ce vò tantu tiempo?......  Ma comm’ è stu parrucchiere?  È giovane ? ......Sì, songo nu poco geluso..... Che ride a fà?......  Dincello ca si’ fidanzata...... E pecché io e te nun simmo fidanzate?....... E mò ’o ssaje...... Niente, nun m’ è succieso niente.... È c’ aggio penzato ’e venì a parlà cu papà tujo...... Oramai ce cunuscimmo ’a duje anne… Fosse pure ora e ce spusà!......... Sì, sciusciù, aggio ditto spusà....  Pecché nun te fa piacere?...... Ma papà tujo me diciarrà ’e sì?...... (Contento) E allora, pe’ me ce putimmo spusà pure dimane.

Don Vincenzo (si alza e si avvicina alla cornetta) : Auguri!

  Gennarino si sposta.

 

Don Vincenzo  :  Dincello ca ’a  ringrazio, ma chillu lavoro nun faceva pe’ me.

Gennarino : Ah, primma ca me scordo, Don Vincenzo te ringrazia, ma chillu lavoro ca ll’avive truvato nun faceva pe’ isso… ’O cane era nu piezzo bestione e isso nun è cchiù giovane... Pe’ furtuna, Rafele, ca steva ccà, s’è offerto isso d’ ’o purtà fore ........... Ah, Rafilina se ne va?... E comme facite cu ’a nonna?...... . Sì, ’o ssaccio pur’io ca Donna Assunta jesse buono, ma chella stà ’a tant’anne vicino a na vicchiarella… Nun ’a pò lassà…  Comme?..... Ce stesse nu posto buono pe’ Don Vicienzo?… (Sorride) Ma che tiene ’o collocamento!.... Na pubblicità pe’ televisione!

  Don Vincenzo, entusiasta, si avvicina al telefono per sentire.

Gennarino (infastidito, si sposta) : E tu, Vicky, ’o faciarraje felice……. Aggio capito, avess’ ’a tenè ’e llenzole aperte pe’ fà vedé ’o ricamo.

 

Don Vincenzo (contento, a voce alta, avvicinandosi alla cornetta) : E quanno pozzo piglià servizio?

Gennarino (gli fa cenno di allontarsi) : Dimane….. Sì, va buo’, però sarrà meglio ca ’e sti ccose ne parlate ’a vicino.... Sì, aggio ’ntiso ca ’o parrucchiere te stà chiammanno.... M’arraccumanno, ’e capille nun t’ ’e ffà accurcià troppo!… Ciao, sciuscù (abbassa la cornetta e va verso l’altro mobiletto).

Don Vincenzo (euforico, si affaccia al corridoio che dà in cucina) : Annù, Donna Assù, venite!… Facìte ampressa!

  Gennarino sorride e, per non perdersi la scena, finge di guardare il calendario che è appeso alla parete.

Annuccia (si precipita, seguita da Donna Assunta) : Madó, ch’è stato?

Donna Assunta: Ch’è succieso?

Don Vincenzo (riprendendo il controllo) : Niente. Che ha da essere?... È sulo ca da dimane vaco a faticà pe’ televisione pur’io.

  Annuccia resta muta.

Donna Assunta : Gesù, comme so’ cuntenta!... Aveva ragione ’a zengarella… Tre matine fà me vulette leggere pe’ forza ’a mano e me dicette "’Int’ a sta semmana pe’ te ce starranno belli nnuvità!"  E ha propeto ’nduvinato.

Don Vincenzo : Ma cheste so’ nnuvità ca riguardano sta casa.

Donna Assunta : È overo, ma si vulimmo ce trase pur’io.

Don Vincenzo : E pecché?

Donna Assunta : Nun ce l’avite passata vuje na fatica a Rafele?

Gennarino (avvicinandosi) : Donna Assù, e che ce azzeccate vuje cu Rafele?

Donna Assunta (sorride) : E già, tu nun saje niente.... Chillo Rafele e Titinella… (avvicina gli indici delle mani) Hé capito?…

Gennarino (sorride) : E bravo a Rafele! Se l’ha fatto zitto zitto... Donna Assù, ’o ssapite, Vittoria aveva penzato a vvuje pecché ’a badante d’ ’a nonna mò se ne va. 

Donna Assunta (sorride) : Overo?… E comme faccio a lassà ’a mamma d’ ’o prufessore Capuzzo!

Gennarino: Ce l’aggio ditto. (Andando verso la cucina) Annù, ce stà nu poco ’e coca-cola int’ ’o frigorifero?

Annuccia (dando volutamente le spalle a Don Vincenzo): Sì, sì.

  Gennarino esce di scena.

Don Vincenzo : E tu, Annù, nun parle?… Nun si’ cuntenta d’ ’o lavoro c’aggio truvato?

Annuccia (senza entusiasmo) : Sì, comme no!.... Sò cuntenta… So’ cuntenta pe’  vvuje… Chisà llà quanta belli ffemmene putite ’ncuntrà.

Don Vincenzo : Vuò dicere quanta pupate ’e ficu secche!.... Chelle so’ tutte appriparate;  ’nfaccia teneno nu dito ’e trucco!.... E po’ so’ pure sprucite…. A me me piace ’a femmena bella e semplice, na femmena ’e casa doce e aggraziata... E ll’avesse pure truvata.... Ah, si sulo tenesse diece anne mancante!

Annuccia : E che ce azzecca l’età?... Si duje se vonno bene...

Donna Assunta : Annuccia ave ragione... Si ce stà na giovane ca ve piace, pecché nun ve dichiarate?

Don Vincenzo : Eh già! Donna Assù, vuje parlate buono, ma ce penzate che figura ’e niente facesse si sta femmena me redesse ’nfaccia!

Donna Assunta : ’On Vicié, ma quanta prubleme ve facite!

Annuccia : Overamente!… Va a fernì che sta giovane se faciarrà vecchia, aspettanno ca vuje truvate ’o curaggio ’e parlà.

Don Vincenzo (risentito): Ccà nun se tratta ’e curaggio. Se tratta ’e....

Annuccia : ’E che ccosa?!

Don Vincenzo (per restare da solo con Annuccia) : Donna Assù, m’ ’o pigliate, pe’ piacere, nu bicchiere d’ acqua?

Donna Assunta (uscendo di scena) : Sì, subbeto.

Annuccia : E allora?…

Don Vincenzo : Annù, tu hé capito tuttecose... A che serve parlà?

Annuccia (esplode) : Serve, serve!… Na femmena s’ ’o vvò sentì ’e dicere si n’ommo ’a vò bene.

Don Vincenzo: Pure si st’ommo è viecchio vicino a essa?

Annuccia : Ma qua’ viecchio!

Don Vincenzo (imbarazzato, senza guardarla): Inzomma, io … io sto penzanno che, quanno Gennarino se sarrà spusato, sta casa sarrà troppo grossa pe’ me sulo e vulesse ca tu...

Annuccia : Ca io?...

        Donna Assunta, che sta per entrare in scena col bicchiere d'acqua in mano, si ferma per non interrompere.

Don Vincenzo: Ca tu nun me lassasse, pecché...

Annuccia : E dillo!!!

Don Vincenzo: Annù, m’hé dato ’o tu... Allora hé capito!

Annuccia : Sì, ma t’ ’o vvoglio sentì ’e dicere... Stu mumento l’aggio aspettato troppo... (Accorgendosi della presenza di Donna Assunta) È arrivata l’acqua!

Donna Assunta (contenta): Tie’, tie’, quanta nuvità!... Aveva ragione ’a zengarella.

Annuccia (sorride) : Ma so’ sempe nuvità che riguardano sta casa, nun riguardano a vvuje.

Don Vincenzo (imbarazzato) : Già!

Donna Assunta (ad Annuccia) : E pecché io nun songo  ’a cummara toja?... Te si’ scurdata ca è propeto pe’ me ca hé canusciuto a Don Vicienzo?

Annuccia : Eh già! Avite ragione.

Donna Assunta : Chisà che faccia faciarrà Gennarino quanno vene a sapè ’e te e Don Vicienzo!

Gennarino (rientrando dalla cucina con in mano il cellulare) : E che faccia avess’ ’a fà?  (Guardando Don Vincenzo) Finalmente, ’On Vicié, ve site deciso!

Donna Assunta : Ma pecché, tu ’o ssapive?

Gennarino (si siede e poggia il cellulare sul tavolo) : Chillo, Don Vicienzo ha perzo ’a capa, ’a quanno Annuccia ha miso père ’int’ a sta casa!... Ma pecché, ’Onna Assù, me vulisseve fà credere ca vuje nun l’aviveve capito!

Donna Assunta : Sì e no... Na meza cosa.

Don Vincenzo (andando verso la cucina) : Viene, Annù, appripareme nu bellu cafè! (esce di scena).

        Bussata di porta (campanello)

Donna Assunta (ad Annuccia, ammiccando) : ’A porta l’arap’ io… Tu va’ a appriparà ’o ccafè!

Annuccia esce di scena, diretta in cucina, mentre Donna Assunta esce di scena dalla comune.

 

Donna Assunta (voce fuori campo): Prufessó, trasite!... Gennarino stà dinto.

Professore (voce fuori campo) : Grazie, molto gentile... (Entrando in scena) Mi sono trovato a passare da queste parti e ho pensato di salire.

Gennarino  (si alza) : Buongiorno, prufessó… (Gli va incontro, tendendogli la mano) Che piacere!

Professore (guardandosi intorno) : Per Giove, che bella casa!... Vedo che il nuovo lavoro ti va bene.

Gennarino : Bèh, nun me pozzo allamentà… Sicuramente jesse ancora meglio si avesse studiato cchiù assaje.

Professore: Chi può dirlo?... Vedi, Gennarì, ci sono dei titolo accademici che riempiono molto la bocca, ma poco la tasca.

Gennarino (porgendogli la sedia centrale): Prego, prufessó, accomodatevi.

Professore (sedendosi) : Grazie.

  Gennarino si siede alla destra del professore.

Donna Assunta: Quase quase, m’assetto pur’io (si siede alla sinistra del professore).  

Professore (prende il cellulare di Gennarino dal tavolo e comincia ad osservarlo) : È utile, vero?... Però so che le telefonate costano molto.

Gennarino: Io nun ne sapesse fà cchiù a meno.

Professore : Perché al meglio ci si abitua subito e poi tu sei stato sempre un giovane sveglio e intraprendente.

Donna Assunta (compiaciuta): Propeto accussì.

Gennarino: Nun me dicite ca vuje, nu prufessore ’e scola, ’o cellulare nun v’ ’o putite permettere!

Professore: Certamente potrei, se non dovessi provvedere al mantenimento della mia ex consorte e delle mie figlie… Tre sanguisughe!... Vedi, Gennarì, il matrimonio può diventare anche una trappola a vita, dove per compagnia ti resta soltanto la solitudine.

Gennarino: Però pò essere pure che va buono. 

  Bussata di porta (campanello).

Annuccia (rientrando in scena dalla cucina): Vach’io!...  Buongiono, prufessó!

Professore: Buongiorno, carissima.

  

Annuccia (Voce fuori campo):Gué,  Evelì!

Evelina (voce concitata - fuori campo) : Donna Assunta sta ccà?

Annuccia (voce fuori campo) : Sì trasite! (le fa strada fino alla comune e poi si dirige verso l’interno della casa)

Evelina (entra e vedendo il professore e Gennarino) : Buongiorno!

Donna Assunta (al professore) : È  ’a purtiera d’ ’o palazzo addó io fatico.... (Si alza e rivolta a Evelina) Evelì, comme mai?... È succieso quaccosa?

Evelina : Donna Assù, v’ aggio dà nu dispiacere.

Donna Assunta  : Uh, Madonna!..... Ch’è stato?... Titinella s’è fatta male?

Evelina: Noo!...  Donna Assù,  io so’ venuta a ve dicere ca è morta ’a mamma d’ ’o Prufessore Capuzzo.

Donna Assunta (calmandosi subito) : Uh, comme me dispiace!... Gennarì, dince â Signurina Vittoria ca mò nun tengo cchiù nisciuno impedimento.... (Rivolta a Evelina) Ma quanno è succieso?

Evelina : Nemmanco n’ora fà.

Donna Assunta : Chi l’avesse ditto!... Chella steva propeto bona quanno l’aggio lassata stammatina.

Evelina : Séh, bona ! (Rivolta al Professore) ’A mamma d’ ’o Prufessore Capuzzo teneva nuvantasei anni. ’A puverella steva paralizzata ’a quase tredice anne.... Era addeventata pure sorda comme a na campana.... A stiento riusceva a se mangià nu poco ’e pastenella int’ ’o brodo…Urdemamente nun parlava nemmanco cchiù.

Gennarino (con ironia) : Inzomma, Donna Assù, ’a vicchiarella steva propio bona, quanno l’avite lassata, eh?                      

Donna Assunta : Io vulevo dicere che steva comm’ a sempe.

Professore : L’unico peggioramento possibile in quelle condizioni poteva essere soltanto la fine... Povera donna!

Gennarino : Prufessó, vuje dicite povera donna, ma chella ha campato nuvantasei anne... Io ce mettesse ’a firma.

Donna Assunta : E chi nu ce ’a mettesse!

Evelina : È overo!

Professore : Vedi, Gennarì, quando ho detto povera donna non intendevo riferirmi al suo stato di salute o alla sua veneranda… età.

Evelina (sottovoce a Donna Assunta): Teneva ’a veranda?  

Professore (continua): No!… Io intendevo riferirmi alla sua mancanza di identità.... Già, perché questa donna, pur avendo vissuto tanti anni, sembra non aver lasciato nessuna traccia di sè come persona... Lei, infatti, non viene chiamata col suo nome, come sarebbe giusto che fosse.... No… Lei viene identificata attraverso il figlio.... Le signore qui presenti, ed immagino anche il vicinato, si sono sicuramente limitate a dire "la mamma del Professore Capuzzo", come a cancellarne l’identità, relegandola a un ruolo di secondo piano.

Evelina (a parte) : Veramente, steva ’e casa ’o terzo piano.

Professore (rivolto alla due donne): Ditemi… Voi conoscete il nome della defunta?

Donna Assunta : Propeto no..... ’O figlio e ’a nora ’a chiammavano mammà e io e ’a cammarera ’a chiammavemo signora... Pirciò....

Evelina: Io che songo la guardaportiera del palazzo, nemmanco io lo saccio… Sarrà pecché, ’a quanno faccio la guardaportiera, nun è mai arrivata na lettera e  nemmanco na cartulina  p’ ’a vicchiarella... Però mò mettarranno ’e manifeste p’ ’a via e v’ ’o pputimmo fà sapé...

Professore (sorride) : A me non serve saperlo.... (Rivolto a Gennarino) La mia era soltanto una semplice considerazione... Già perché capita sovente che delle persone, anche validissime, vengano relegate a ricoprire ruoli secondari, ruoli nei quali rimarranno imprigionate per sempre.... E così si dirà "Chi?... La sorella dell’ ingegnere" oppure "Chi?... Il figlio del direttore?" o, come nel caso specifico, "Chi?.... La mamma del Professore Capuzzo?"

Donna Assunta (ad Evelina) : ’O sentite?... Comme parla bello!... ’O Prufessore Capuzzo invece...

Evelina : Addò ’o mettite a chillo?!... Quanno lle dongo ’a posta nun me dice nemmanco grazie... (Sobbalza) Uh, Gesù, ’o prufessore Capuzzo!... Donna Assù, io ve so’ venuta a chiammà pe’ vestì ’a vicchiarella.

 

Donna Assunta : E mò v’ ’o ffacite ascì!?

  Bussata di porta (campanello)

Evelina : Chillo ’o prufessore steva parlanno.

       

  Annuccia attraversa la comune e va ad aprire.  

Donna Assunta: E vuje ’a vocca pe’ parlà nun ’a teniveve!?

   

Fattorino (voce fuori campo): Ce stà nu frigorifero a cunzignà… Abbascio m’hanno ditto ’e saglì ccà.

   

Annuccia (entra in scena seguita da un giovane robusto che ha in mano una bolla di accompagnamento) : ’Onna Assù, stu giovane tene abbascio nu frigorifero a cunzignà... Forze è ’a vincita ’e chillu cuncorso.

Donna Assunta : E comme se fà?....  Chella ’a vicchiarella è morta.

Annuccia: Uh, me dispiace!... Quanno?

Evelina: Propeto poco fa.

Fattorino : Allora ’o frigorifero ce ’o purtammo arèto.

Donna Assunta : No! no!

Evelina (al fattorino) : Facite na cosa, datemmillo a me.

 

Annuccia: E vvuje che ce azzeccate?... Nun l’avite vinciuto vuje.

Fattorino : Ma se pò sapè ’o nomme d’ ’a morta?

Evelina : Mò no, ma dimane mettono ’e manifeste p’ ’a via.

Fattorino : E io avess’ ’a aspettà ccà fino a dimane?!

Evelina : E chella, ’a vicchiarella è morta ogge.

Fattorino (fa per andarsene) : Si ’a vecchia che ll’ha vinciuto è morta, embè, pace a ll’anema soja!

Donna Assunta (al fattorino) : Qua’ morta!... ’O frigorifero l’aggio vinciuto io… Songh’io Assunta Merolla e so’ viva e vegeta .  

  Il fattorino controlla il nome sulla bolla, sbuffando.

Professore (si alza - rivolto a Donna Assunta) : E allora, cara donna, perché non godervi questo momento di felicità?! (Rivolto a Evelina) Vorrà dire che questa gentile signora  si farà carico lei dell’ultima vestizione della defunta... È vero?

Evelina: È  overo che ccosa?

Professore: Che provvederete cortesemente voi a vestire la cara estinta, così  consentirete alla signora Assunta di ritirare il suo premio.

Donna Assunta (prontamente) : Grazie, Evelì!... Va!.. Dice ô prufessore Capuzzo ca io nun sto’ bona.

Evelina (ribatte) : Eh, séh nun state bona.

Donna Assunta : Evelì, ’a cammisa nova d’ ’a vicchiarella stà int’ ’o primmo tiretto d’ ’o cummò… Llà ce stanno pure ’e cazettielle bianche.

Evelina : Ma a me me fa ’mpressione d’ ’a vestì!

Professore (a Evelina) : E perché?... La morte è un evento naturale … Fa forse paura la nascita?

Evelina (con voce lamentosa) : Séh, séh, va buó... (Uscendo di scena dalla comune verso destra) Si sapevo, nun ce venevo.

Donna Assunta: Evelì, ce vedimmo cchiù tarde.  (Tira fuori una chiave dalla tasca) Annù, famme ’o piacere, ccà sta ’a chiave… Scinne abbascio e accummience a arapì ’a porta. (Rivolta al fattorino) Giuvinó, avviateve, accussì spustate pe’ ttramente ’o frigorifero viecchio.

Fattorino : Però, primma ’e ve cunzignà ’o frigorifero, voglio vedé nu documento  d’ ’o vuosto.    

Donna Assunta : E certamente… Io mò vengo.

Annuccia (con la chiave in mano, rivolta al fattorino) : Jammo, scennite cu me.  

  Annuccia e il fattorino escono anch’essi di scena dalla comune.

Donna Assunta (sorride) : Prufessò, comme so’ cuntenta!... Io tenevo nu frigorifero ca perdeva sempe acqua…. ’A rroba cucenata che ce astipavo ’a dinto, nun se manteneva propeto… Sapite, io cucino sapurito… È ové, Gennarì?

Gennarino: Sapurito assaje.

Donna Assunta : Stammatina ampressa aggio fatto cierti friarielle cu ’e ssasicce che vanno annanze ’o rre.... Siccomme ’e friarielle erano troppo belle, ne so’ riuscite assaje… (Contenta) Mò che tengo ’o frigorifero nuovo, m’ ’e ppozzo astipà pure pe’ dimane.

Professore (con aria assorta) : Ah, da quando la mia povera genitrice (chiarisce) mammà… mi ha lasciato, non ho avuto più occasioni di gustare dei friarielli preparati ad arte.

Donna Assunta: Io ce metto pure ’o puparunciello... ’A mamma vosta ce ’o metteva?

Professore: Sì, il peperoncino!… Me ne rammento benissimo... Dio, quanta nostalgia di quei sapori!... Come deve essere appagante sia per l’olfatto sia per le papille gustative entrare in una casa, anche  modesta, con i fornelli accesi.... Per  Giove, come vorrei!...

Donna Assunta : Prufessó, si pozzo avé l’onore, v’ appriparo nu miezu sfilatino cu ’e friarielle, giusto pe’  v’ ’e ffà assaggià.

Professore: Il piacere sarà per me incommensurabile (Per essere certo che Donna Assunta abbia capito) Sarò ben contento di accettare il vostro invito.

Donna Assunta : Overo!?... (Compiaciuta) Gennarì, io me ne scengo abbascio c’ ’o prufessore.

Gennarino (distratto, mentre compone un numero sul telefonino) : Sì, sì.

Professore : Gennarì, allora io vado.

Gennarino: Arrivederci, prufessó!

Professore (seguendo Donna Assunta verso la comune) : E ditemi, voi nei friarielli mettete anche l’ aglio?

Donna Assunta (ridendo) : E certamente, prufessó. (Dissolvenza) L’ aglio è ’a primma cosa (esce di scena seguita dal professore).

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                                                     ATTO TERZO

  Un anno dopo (metà maggio – mercoledì, tarda mattinata). Stessa ambientazione scenica con un calendario diverso alla parete (foglio del mese di maggio - anno non visibile); sul tavolo c’è un centro ricamato con una coppa di ceramica.

 Trillo del telefono    

Annuccia (entra in scena dalla cucina e solleva la cornetta): Pronto?... Chi?........ No, Vincenzo nun ce stà........ Sì, nun appena torna, ce dico c’avite chiammato, ma nun aggio capito ’o nomme..... Fofò?... Va buó ce dico c’ha chiammato Fofò e isso capisce....... No, nun me scordo... Buongiorno. (Abbassa la cornetta).

  Bussata di porta (campanello)

Annuccia (uscendo di scena, si ravvia i capelli con le mani) : Vengo!.. Vengo! (Voce fuori campo) Tu!?...

Salvatore (voce fuori campo) : Famme trasì!

Annuccia (voce fuori campo) : No, vattenne!

Salvatore (con in mano una ventiquattrore, entra in scena, spingendo Annuccia): E calmete! 

Annuccia (nervosa) : Comm’è fatto a me truvà?

Salvatore: Na matina, mentre ascevo d’ ’o Banco ’e Napule, t’aggio visto sotto ’o vraccio ’e uno e te so’ venuto arèto… (Sorride) E eccomi qua (poggia la valigetta sul tavolo).

Annuccia (trepidante) : Tu vuo’ ’a arruìna mia!

Salvatore (guardandosi intorno): Te si’ piazzata bona... Però che te ne faje?… Tu si’ ancora giovane mentr’ isso…

Annuccia : Isso è n’ommo fatto; nun è nu chiachiello comm’ a te.

Salvatore : Na vota nun ’a penzave accussì... Annù, t’arricuorde?... Già cu nu vaso te mannavo ’mparaviso.

Annuccia : Ato che Paraviso, tu me mettive ’ncroce!... E mò vulisse accummincià n’ata vota?... Ma te sbaglie... ’O vì st’aniello?... Mò songo na femmena  spusata… So’ la signora Russo e tengo nu marito ca se fide ’e dicere.

Salvatore: Sulo ’e dicere… Ll’aggio visto. Me pare nu viecchio vicino a te... Io, invece… (L’abbraccia) Siente che muscole!

Annuccia (divincolandosi): Làsseme! Lasseme!... Sti muscole fancille sentì a mugliereta!  

Salvatore (lasciandola) : Si’ ancora cchiù bella quanno t’arragge.

 

  Bussata di porta (con mano)

Benny (voce fuori campo) : Permesso?...

Annuccia (va nell’ingresso - voce fuori campo): Ah, Benny, si tu?... Trase!

Benny (voce fuori campo) : ’A porta steva aperta. (Entra in scena dalla comune con pantaloni attillati, camicia vistosa,  borsa a tracolla e un diverso beauty-case).Io so’.... (si blocca, vedendo Salvatore)

Salvatore (a bassa voce - tono imperativo): Zitto, tu nun me cunusce!

Annuccia (rientra in scena e indicando Salvatore) : È nu rappresentante ’e lavatrice... Se ne steva jenno.... Ce l’aggio ditto ca nuje ’a lavatrice ’a tenimmo già.

Benny: Ah, fa ’o rappresentante?... Chi l’avesse ditto!

Salvatore (cerca di zittirlo) : E pecché uno ’o mestiere che fà l’ha da purtà scritto ’nfronte?

Benny (fissando Salvatore) : Sarrìa meglio...  Ma comm’ è strano ’o destino!… Ê vvote te fà ’ncuntrà propio a chi nun t’ aspiette.

Annuccia (a Benny): ’E chi staje parlanno?

Benny (guardando Salvatore) : ’E uno ca na vota asceva cu me.

Salvatore (prende la ventiquattrore dal tavolo) : È meglio ca me ne vaco… Ccà perdo sulo tiempo!

Annuccia : È chello che v’aggio ditto.

Salvatore (nervoso, andando verso la comune) : Bongiorno!

Benny : Salvató, aspè!... Me ne scengo cu te.

Salvatore : No, statte lloco! (esce di scena verso destra).

  Annuccia ride, seguendolo con lo sguardo.

Benny : Chi l’avesse ditto d’ ’o truvà ccà ’ncoppa!

Annuccia : Ma comme ’o cunusce?

Benny : Na vota asceva cu mme…. Ce n’aggio appezzato ’e sòrde pe’ isso!... Steva sempe chino ’e diébbete.

Annuccia : E po’?

Benny : E po’ chillu fetente s’è mmiso cu na bambulona nera... Saccio ca se chiamma Tatiana.

Annuccia : E bravo ’o pappone!... (Sorride) Penzo ca ’a sti pparte nun se faciarrà cchiù vedé... Ma tu pecché si’ venuto?

Benny : Annù, me so’ scurdato si ’e capille a Don Vicienzo ce l’aggi’ ’a fà dimane o venerdì.

Annuccia : Hé ’a venì dimane mmatina ê nnove...  (Avvicinandosi  alla parete dove è appeso il calendario) ’O vvì, l’ha signato pure vicino ’o calendario. Ha miso na croce e nu nove.

Benny (risentito) : Giesù, Don Vicienzo a me me segna cu na croce!

Annuccia (sorride): ’A prossima vota lle dico ’e fà nu sciore.... Benny, m’ arraccumanno, viene ê nnove precise.

Benny : Sì, sì… ’O ssaje, Annù, quann’io ’o veco  pe’ televisione che sgravoglia ’e llenzole, me sento tutto accalurato.

Annuccia (sorride) : Si è pe’ chesto tu ’ncalore ce staje sempe.

Benny (ride) : Ma che hé capito?... I’ vulevo dicere che m’accaloro pecché penzo ca ’e capille ce l’aggio fatte io.... ’O ssape tutt’ ’o quartiere che fatico pe’ uno d’ ’a televisione.

Annuccia : E séh, nemmanco si fosse Proietti!

Benny: Proietti o non Proietti, io aggio aumentato ’e dujemila lire ’o prezzo d’ ’o taglio e ’a messa in piega e nisciuno s’ è allamentato.

Annuccia : Overo?... Vide che fa ’a pubblicità!

Benny : Sì, però da Don Vicienzo e da te me piglio sempe diecimila lire.

Annuccia : E vvulesse vedé!

  Bussata di porta (campanello)

Annuccia (andando ad aprire): Scusa nu mumento. (Voce fuori campo) Cummà, trasite!

Donna Assunta (entra in scena con un vestito estivo a mezze maniche, seguita da Annuccia e rivolta a Benny) : Ah, ce staje pure tu!?… Io te vulevo chiammà pe’ me fà ’e capille.

Benny: Ogge nun è cosa… Dimane mmatina vengo primma da Don Vicienzo e po’ passo addu vuje. 

Annuccia : Cummà, comme stà Rafele cu ’a mano?...

Donna Assunta : Ha avuto tre punte… Chillo ’o cane è viecchio; nun vò essere dato pressa... Se vede ca isso  ’o tirava e ’o cane s’è sfasteriato e l’ha muzzecato. 

Annuccia (a Benny) : Chillo è nu piezzo ’e bestione… A Rafele ll’è ghiuta bona.

Donna Assunta : Mò tene ’a mano tutta mmedecata… Ce hanno fatto pure na serenga pe’ l’infezione.

Annuccia : E pe’ forza!

Donna Assunta: ’O ssaje, Annù, hanno arrubbato â casa d’ ’a signora Capece… So’ scise p’ ’o terrazzo…  Ma comme, cu ’e tiempe che corrono, chella se ne jesce e lassa ’a fenesta aperta!… Ma nun ’a sente ’a televisione?... (Rivolta a Benny) Io, vicino â fenesta d’ ’o vascio mio, m’aggio miso ’o canciello.

Annuccia (indicandole una sedia vicino al tavolo) : Cummà, assettateve!

Benny : Io m’aggio miso pure ’a sirena cu l’allarme (Portandosi la mano sul petto ne imita il suono) Ahaahaa ahaaahaa ahaahaaa.

Donna Assunta (sedendosi) : Eh eh, statte zitto!...  (Seccata) Io, propeto pe’ mezzo d’ ’a sirena ’e n’ avutomobile, tengo na nuttata ’ncuollo… Va trova chi scrianzato ha parchiggiato ’a machina propeto sott’ ’a fenesta d’ ’a nonna ’e Vittoria… ’A sirena ha fatto scetà pure ’a vicchiarella......  Ma tu che ce faje ccà?

Benny : Songo venuto a addimannà na cosa a Annuccia.  (Rivolto ad Annuccia) ’O ssaje, Annù, ’o maestro ’e viulino, chillu viecchio vavuso, vuleva essere fatte ’e capille ’a me… Pe’ m’ ’o luvà ’a tuorno ce aggio ditto che faccio ’e capille sulamente ’e ffemmene e ca Don Vicienzo è nu caso particolare.

Donna Assunta (sorride) : Chi l’avesse ditto!

Benny : Mò è meglio che m’avvio; tengo ’a fà ’e capille pe’ nu matrimmonio.

Annuccia (distratta, sistemando il centro sul tavolo) : Pecché, chi se sposa?

Benny: ’O figlio ’e una che stà  ’e casa ’o vico Tofa.

Donna Assunta : Chisà tu, giranno p’ ’e ccase, quanta cose vide.

Benny : Sì, ma chello c’aggio visto l’autriere nun m’ ’o scordo cchiù.

Donna Assunta (incuriosita): Pecché, che hé visto?

Benny : Erano ’e ssei ’a matina, quanno sunaje ’o telefono... Io rispunnette durmenno durmenno… Era na cliente mia d’ ’o Vommero, una ca tene quase uttant’anne…  Me dicette ’e correre subbeto ’a casa soja pe’ lle fà ’e capille… Nun me dette nemmanco ’o canzo ’e parlà e chiudette… Che putevo fà?... Me susette e me spicciaje ’e corza… Nun me pigliaje nemmanco ’o ccafè.

Annuccia : E allora?...

Benny : Arrivaje ca nun erano nemmanco ’e ssette… ’A signora steva tutta vestuta nera. ’Nzieme cu essa ce steveno e ddoje sore ca stanno ’e casa’o palazzo affianco,  propio vicino ’a funiculare, pure lloro vestute nere da capo ’o pere… Una teneva finanche ’a spilla ’mpietto nera.

Donna Assunta : E va buó, ammo capito… Ma cunte ampressa.

Annuccia (a Benny per spronarlo) : Si no faje tarde.

Benny (tono confidenziale e gestualità femminile): ’A signora, appena me vedette, me facette trasì int’ ’o bagno, addó steva già appriparato ’o sciampo, e dicette vicino ’a sora "Margherita, i capelli fatteli primma tu; io nel frattempio  telefono ai parenti… Tu, Gertrude, trova i nummeri di telefono... Quando Benny avarrà finito, avvertirò Attilio per mettere il bigliettino di lutto vicino al portone".... Intanto ’a sora d’ ’a signora me spiegava comme vuleva  ’a messa in piega.

Donna Assunta: Ma chi era muorto?

Benny : Era chello ca vulevo capì…  Ogni tanto ’a signora s’affacciava ’int’ ’o bagno pe’ dicere ca aveva chiammato a Tizio e a Caio pe’ lle dà ’a brutta nutizia.

Annuccia (ipotizza) : Forse era muorto ’o marito.

Benny :  No, ’a signora era vedova. Campava essa sola ’nziem’ ’o gatto…. Ma si more na bestia, pure ca uno ce tene assaje, nun fa ’nzerra ’o purtone e nun fa ’o funerale.

Donna Assunta (sorride) : Eh, già!

Benny : Quanno fernette e fà ’e capille a tutte quante, essa me pavaje ampressa ampressa e me salutaje….  Mentre ascevo, chiammaje ’o purtiere pe’ citofono e cu na voce lagnosa "Attilio, Attilio, che disgrazia! Mammà è finita pochi minuti fa...  Che dolore! Che dolore!"... E  chiudette ’a porta.

Annuccia : E ccà se ponno fà ’e nummere!

Donna Assunta : ’A morta, ’e pariente e ’o ri...  

Annuccia(interrompendola, continua prontamente):E ’o riesto ce  ’o spiate ’o pustiere.

Donna Assunta (recupera): Sì, sì, ce conto ’o fatto e me faccio cunziglià ’e nummere.

Benny (guarda nella borsa per cercare qualcosa) : Ma addó è fernuto?... ’O vì ccanno! (tira fuori uno specchietto, si rimira e si liscia con un dito le sopraciglia) Mò me n’aggi’ ’a propio jì.... (Rimette lo specchietto in borsa) Allora, Annù, ce vedimmo dimane.

Annuccia : M’arraccumanno, ê nnove precise… Vicienzo nun pò fà tarde.

Benny: ’O ssaccio, ’o ssaccio...  Tene chella  pubblicità nova c’hann’a registrà. (Uscendo di scena) Arrivederci, ’Onna Assù.

Donna Assunta : Statte bbuono.

Benny (uscendo) : Ciao, Annù, statte commoda.

Annuccia : Cummà, ve pozzo appriparà ’o ccafè?

Donna Assunta : No grazie... Me l’aggio pigliato poco fà....Aggio ’ncuntrato ’o prufessore p’ ’a via e m’ha vuluto pe’ forza purtà ’o bar....Che signore! Ajeressera ll’ aggio appriparato na frittata ’e cepolle che ghieve annanze ’o rre.... S’ è cunsulato… Io pure me cunsolo quanno ’o sento ’e parlà, pure si ê vvote nun ’o capisco... Isso però m’ ha spiegato ca l’intelligenza nun me manca e chesto è cchiù mpurtante ’e sapè leggere e scrivere, pecchè sti ccose se ponno sempe ’mparà.

Annuccia : Eh brava ’a cummara!... Comme parlate bello!

Donna Assunta : E che vuò fà?!...Vicino a isso me stongo ’mparanno nu sacco ’e cose... Si nun so’ ghiuta ’a scola, nun è stato colpa mia, per Giove!

Annuccia : Cummà, ma chi è stu Giove?

Donna Assunta : Nun ’o ssaccio…Sento ca ’o prufessore l’annommena sempe, quanno fa lezione a Rafele… Sarrà uno ’mpurtante,  forse n’amico d’ ’o sujo.

Annuccia : Io ’o posto vuosto ce ’o spiasse.

Donna Assunta : No, pare brutto.

         Bussata di porta (campanello)

Annuccia (guarda l'orologio) : E chi sarrà?

Donna Assunta : Forse sarrà Titinella.

Altra bussata di porta (campanello)

Annuccia (precipitandosi) : Vengo! (Voce fuori campo) Vicenzì, già si’ turnato?

Don Vincenzo (voce fuori campo): Sì  (con indosso un jeans e una vistosa camiciola, stile Positano, passa velocemente fuori dalla comune, senza entrare in scena).  

Donna Assunta: Bongiorno, ’On Vicié!

Don Vincenzo (voce fuori campo) : Bongiorno, ’Onna Assù!

Annuccia (rientra in scena):Chi ’o capisce!… Ha ditto che scenneva pe’ se distraere nu poco e già sta ccà….  Sta preoccupato assaje pe’ na pubblicità c’ha da fà dimane.   

Donna Assunta : Sempe pe’ Telesoccavo?

Annuccia: Sì. Sta vota se tratta d’asciugamane e strufinacce.

Donna Assunta : Ah, sì?... Mò va a fernì che spengo ati sorde… Propio ’a poco ce aggio accattato a Titinella na bella cuperta.

Annuccia : Ce state facenno overo nu bellu corredo.

Donna Assunta: Io me l’aggio crisciuta… Chella povera sora mia, quanno avette a Titinella, teneva già sette figli!

Annuccia: E che dice ’e Rafele?

Donna Assunta: Dice ch’è nu bravo giovane, ma che s’avess’ ’a truvà nu posto.

Don Vincenzo (entra in scena dalla comune, massaggiandosi la pancia) : Aah!

Donna Assunta : ’On Vicié, comme se va?

Don Vincenzo (scappa verso il bagno a gambe strette) : Se va, se va... (Uscendo di scena) Con permesso nu mumento.

Donna Assunta  : Prego, prego...

Annuccia: Cummà, c’avite cucenato?

Donna Assunta: Aggio fatto pasta e cucozza... A Titinella lle piace assaje… Pe’ stasera, Dio penza.

Annuccia: Io tengo ’e fasule ca me songo avanzate d’ajere… Quase ce votto nu poco ’e riso.    

Don Vincenzo (rientrando dalla comune) : Scusate, me credevo ca... Permesso ancora…(si precipita nuovamente fuori dalla comune, diretto verso il bagno).

Donna Assunta : Prego, prego… Annù, ’e ttiene duje limone?

Annuccia (distratta) : Sì, sì, quanno ve ne jate v’ ’e ddongo.

Donna Assunta : No, nun me servono a me... Spriemmele, accussì mò che torna se beve ’o zuco.

Annuccia : Vuje dicite?

Donna Assunta : E pe’ forza! ’O ssanno tutte quante ca ’o  limone fà bene p’ ’a panza... Fà ampressa, spiccete!

Annuccia : Sì, sì, facitelo aspettà ca vengo subbeto...(esce di scena)

Don Vincenzo (torna in scena): Scusate, Donna Assù, ma io... (fa per scappare di nuovo in bagno).

Donna Assunta (prendendolo per un braccio) : No, aspettate!

Don Vincenzo : Donna Assù, nun pozzo aspettà.

Donna Assunta : No, nun ve ne jate!… Mò arriva Annuccia.

Don Vincenzo (liberandosi dalla stretta) : E ’a veco doppo (uscendo in fretta dalla comune, diretto in bagno) Mò me facevo sotto.

Donna Assunta (agitando la mano sotto il naso) : Che fieto!

 

Annuccia (entra in scena con un bicchiere in mano) : Aggio spremmuto tre limone pecché erano piccerille... Ma addó stà?...

Donna Assunta :E addó pò stà?... È scappato n’ata vota llà.

Annuccia (guardando il bicchiere) : E chesta mò addeventa amara... Va a fernì ca nun s’ ’a beve.

Donna Assunta : Â nonna ’e Vittoria ce ’o dongo spisso ’o limone spremmuto… Chella puverella soffre c’ ’a panza.  

Annuccia: Ma ’a notte dorme?

Donna Assunta: Si, è na santa. ’A notte fa unu suonno e me fa durmì pure a me..’A mamma d’ ’o prufessore Capuzzo, pace all’anema soja, nun me faceva chiudere uocchio… Mò â matina, quanno smonto, me sento fresca e tosta. 

Don Vincenzo (ritorna con aria stanca e si appoggia allo schienale della sedia) : È meglio ca nun m’ assetto... Che giurnata è schiarata pe’ me!

Annuccia: Ogge te faccio nu poco ’e riso in bianco (Porgendogli il bicchiere)  Vicenzì, mò bivete stu limone spremmuto... Te fa bene.

Don Vincenzo (prendendo il bicchiere) : E sperammo!... (Ne sorseggia un poco e con una smorfia) Nun ce putive mettere nu poco ’e zucchero!

Donna Assunta : Accussì però fa effetto primma.

Don Vincenzo (beve tutto d'un fiato e toccandosi la pancia) : Ha da essere na cosa nervosa (poggia il bicchiere sul tavolo).

Annuccia : ’O penziero ’e dimane

Don Vincenzo : Pò essere...  Ha chiammato nisciuno pe’ me?

 

Annuccia : Sì, ha chiammato uno ca te cercava.

Don Vincenzo (massaggiandosi nuovamente la pancia) : E chi era?

Annuccia : Ha ditto ca era pe’ na cosa importante.

Don Vincenzo (con il viso contratto, sempre massaggiandosi la pancia) : Ma ’o nomme te l’ha ditto?

Annuccia : Sì… 

Don Vincenzo : E allora?

Annuccia: E aspè!… Mò sicuramente me vène a mmente.

Donna Assunta  : Don Viciè, si avit’ ’a jì, jate.... Si vuje jate, a Annuccia lle torna  a mmente.

Annuccia (pensosa) : ’O tengo propio ’ncopp’ ’a ponta d’ ’a lengua... Era nu nomme strano.

Don Vincenzo (impaziente, tenendosi la pancia ) : E allora?!...

Donna Assunta : Sentite a me, jate.... (Tono deciso) Don Vicie’, ritiratevi!

Don Vincenzo (a gambe strette, va precitosamente verso la comune): Sì, è meglio (esce di scena, andando a sinistra) .

Annuccia (alzando il tono di voce) : Me so’ arricurdata… Se chiamma Fofò.

Donna Assunta : Annù, ma pecché Don Vicienzo s’ è mmiso chella cammisa?

Annuccia : Chella camisa se l’é pruvata pe’ dimane…. ’O regista ha ditto ca, si vò faticà cu isso, ha da purtà culure ca pe’ televisione spiccano e s’ha da pure truccà nu poco.

Donna Assunta : Giesù, Giesù, chi l’avesse ditto ca mò ll’uommene, pe’ faticà, hann’ ’a paré femmene!

Annuccia : N’amico ’e Gennarino, pe’ fà na pubblicità, s’ha avut’ ’a fà ’a lampada abbronzante.

Donna Assunta : Per Giove!... Stu munno sta jenno sottencoppa.

Annuccia (sorride) : ’O ddice pure Gennarino. 

Donna Assunta : A proposito, comme stà?...

Annuccia : Stà fore d’ ’e panne p’ ’a felicità... (Mimando un pancione) Vittoria è  incinta.

Donna Assunta (contenta) : Overo?... ’E quanta mise?... 

Annuccia : Chella mò se n’ è accorta… Sarrà incinta ’e nu mese e quaccosa.

Donna Assunta: Propeto ’e poco. 

Don Vincenzo (entra in scena e accasciandosi sulla sedia centrale) : Aah!... Sta vota me songo  liberato pure d’ ’e ’ntestine.... Mamma mia, che stanchezza!

Annuccia (contenta): Vicenzì, me so’ arricurdata chi ha chiammato… Se chiamma Fofò… Ha ditto ca si te dicevo Fofò tu capive subbeto ’e che se trattava… Vò essere chiammato.

Don Vincenzo: Mò nun tengo propio ’a capa. 

Donna Assunta : Ma vuje nun avit’ ’a stà accussì prioccupato.... Dimane jarrà tutto buono.

Don Vincenzo : Io me sento ca dimane moro d’ ’o scuorno.

Donna Assunta: Ma ’e che pubblicità se tratta?

Don Vincenzo : So’ asciugamane, strufinacce e ati ppezze.

Donna Assunta  : Embè?

Don Vincenzo (seccato) : Però ’o regista va truvanno ca me vesto accussi, ca m’acconcio ’e capille, ca me trucco e ca me metto pure ’o llucido ’ncopp’ a ll’ogne.

  

Donna Assunta : E va buo’… ’A fatica è fatica.  

Annuccia (per rincuorarlo): Vicenzì, a me sta cammisa me piace.

Don Vincenzo: Annù, nun sfottere!… (Rivolto a Donna Assunta) Ma vuje ce penzate, propio io ca... (S’interrompe e guardandosi la vistosa camicia) Chi l’avesse ditto!

Donna Assunta (con una punta di veleno) : Uno dint’ ’a vita nun s’ha da fà mai maesto!

Don Vincenzo (si alza, mantenendosi la pancia) : Permesso!!… (Mentre esce di corsa dalla comune, diretto di nuovo in bagno) Scusate!

Annuccia: Sperammo ca pe’ dimane sta buono! 

Donna Assunta : Io te cunziglio ’e spià ’o farmacista che se pò piglià.  

 

        Bussata di porta (campanello) 

Annuccia (andando ad aprire): Cumma, permettete! (Voce fuori campo) Gué, Benny, t’hé scurdato quaccosa?

Benny (voce fuori campo) :  No… Donna Assunta sta ancora ccà?

Annuccia (introducendolo in scena dalla comune): Sì, trase!   

 

Benny : Donna Assù, si ve vulite fà ’e capille, io mò sto libero…. Chillu matrimonio nun se fa cchiù.

Annuccia (sorpresa) : Overo!

Donna Assunta: E pecché?

Benny: ’A mamma d’ ’o sposo nun me l’ha ditto, ma teneva ll’uocchie tutte abbuffate.

Donna Assunta: Se vede ca ’a sposa ce ha penzato ’a coppa… Però mò nun tengo genio ’e me fà ’e capille.

Annuccia: Benny, visto ca te truove ccà, mio marito te vò parlà… Stà dinto.

Donna Assunta (a parte) : Mò siente!

  Don Vincenzo entra in scena dalla comune con aria stanca.

Benny : Don Vicié, Annuccia m’ha ditto ca me vuliveve parlà.... Dicite!

Don Vincenzo (un po’ reticente) : Ecco se tratta ’e chesto.... Dimane tengo...

Benny (interrompendolo) : ’A registrazione’e n’ata pubblicità… ’O ssaccio.

Annuccia (a Benny) : Sta vota so’ asciugamani e strufinacce.

Don Vincenzo : Sì, ma è ca io... insomma tu...

Benny : E si nun parlate?....

Annuccia: Inzomma tu l’aviss’ ’a accuncià ’e capille e po’ ll’ aviss’ ’a mettere nu filo ’e trucco e pure nu poco ’e lucido ’ncopp’ a ll’ogne.

Benny (entusiasta) : Overo!?... Pecché nun facimmo già ’a prova?  (Indicando il beauty-case) Io ’a borza d’ ’o trucco m’ ’a porto sempe appriesso.

 

Don Vincenzo : Ma tu hé capito!?...Nu filo ’e trucco sulamente.

Benny (lezioso) : Sì, sì… Lasciate fà a me!... Jà, jammuncenne dint’ ’o bagno.

Don Vincenzo : No, no; ’o bagno è meglio ca ’o lasciammo libero… Jammo ’int’ ’a cucina  (va verso la cucina, uscendo di scena).

Benny (seguendolo, si gira  verso Annuccia e Donna Assunta - contento): Che suddisfazione!

  Bussata di porta (campanello)

Annuccia : Cummà, permettete.

Donna Assunta (distratta) : Sì.

Annuccia (voce fuori campo) : Pulezzateve ’e piede ca mò aggio lavato.

Gennarino (voce fuori campo) : Agge pacienza, Rafè!

Annuccia (rientra subito in scena - a bassa voce) : Cummà, mò ca vedite a Gennarino, facite finta ca nun sapite niente

Donna Assunta (mimando il pancione) : Ah vuo’ dicere?...

 

Rafele (seguito da Gennarino, entra, con la mano destra fasciata, proprio in quel momento; vedendo quel gesto di Donna Assunta, le si avvicina timoroso) : Ah, allora Titinella ve l’ha ditto.... (Solleva la mano destra fasciata) Ma io ve giuro che m’ ’a sposo primma ca se vede ’a panza.

Donna Assunta (incredula): Staje dicenno ca Titinella è incinta!… (Adirata) Disgrazia’, comm’ è pututo!... Chillo ’o cane nun t’ avev’ ’a muzzecà mò, t’avev’ ’a muzzecà primma…Ma no ’a mano, n’ata cosa.

  Rafele fa una smorfia di dolore, coprendosi il basso ventre.

 

  Gennarino e Annuccia lo guardano divertiti.

Annuccia (sorridendo) : Cummà, ma che dicite!

Donna Assunta (furiosa) : Dico chello che penzo… (A Rafele - tono deciso) Quann’ è stato?... Addó è succieso?... Voglio sapé....

Gennarino (ironizzando) : ’O juorno, l’ora e ’o posto... Donna Assù, nun esagerate!... Sti ccose succedono e basta.

Donna Assunta (asciugandosi una lacrima): Chesto nun ce vuleva propeto.

Annuccia : Cummà, Rafele è nu bravo giovane e a Titinella ’a vò bene.

Donna Assunta : Ma comme se fà cu ’e spese d’ ’o  matrimmonio?

Annuccia : E va buó...Vuje ’o curredo pe’ Titinella ’o tenite già pronto.

Gennarino (pensoso) : ’O ricevimento se pò fà ’o locale ’e n’amico mio... Chillo ve faciarrà sicuramente nu prezzo buono.

Annuccia: P’ ’o vestito spiammo ’o parroco d’ ’a Chiesa.... Ce stà gente ca ’o vestito ’o regala nuovo nuovo.

Rafele (timidamente) : P’ ’e  primme tiempe ce putimme arrangià cu vvuje...

Donna Assunta: Eh già, io tengo palazzo riale!  (Severa a Rafele)  Ma tu saje che significa addeventà pate!?

Rafele : E comme no!... Io sto fore d’ ’e panne ’a quanno Titinella me l’ha ditto.

Donna Assunta : E ’o ssaje ca nu pate nun ha da fà mancà niente ’e figli?!

Rafele: E comme no!...  Sto già penzanno ’e me truvà na terza fatica.

Donna Assunta : ’E fatica te n’ aviss’ ’a truvà una e bona.

Gennarino : Ma nu figlio è sempe na gioia... Ve l’ hanno ditto, ’Onna Assù, ca pur’ io e Vittoria?...

Donna Assunta (senza grande enfasi) : Overo?....Me fà piacere.

Gennarino (a Annuccia) : Vittoria stà tutta ammuinata… Sta già penzanno ’e mobile p’ ’a stanza d’ ’o criaturo.

Annuccia: Saje comme l’acconcia bella!… Chella tene gusto… Pure ’a mubilia ’e sta casa ’a cunzigliaje essa.

Rafele (a Gennarino) : E fra quanno nasce ’o criaturo tujo?

Gennarino : Penzo fra sette, otto mise.

Rafele : A me nasce sicuro fra sei mise.

Donna Assunta : Ma tu ’o siente, Annù?... ’O ddice pure!.... Si facevano passà n’atu ppoco ’e tiempo se spusavano c’ ’o criaturo ’mbraccio.

Annuccia (apre un cassetto e tira fuori una busta): Gennarì, primma ca me scordo, chiste  so ’e sòrde ’e ll’affitto.  Famme ’o piacere dancille tu â mamma ’e Vittoria.

Gennarino: Sti sorde lle servarranno sicuramente pe’ pavà ’a tassa d’ ’a munnezza.  

Donna Assunta: Pecché p’ ’a munnezza se pava?

Gennarino: Accussì pare.

Don Vincenzo (entra in scena dalla cucina e si precipita fuori dalla comune a sinistra) : Permettete!

Benny ( si affaccia dal corridoio della cucina): Ll’è venuto male ’e panza.. M’ ha ditto d’ aspettà.  

Gennarino : Rafé jammuncenne...Te voglio fà vedé nu cazone ca me voglio accattà… Annù ce vedimmo… (Rivolto a Donna Assunta e a Benny) Arrivederci (si avvia verso la comune).

Benny: Ciao, bellu gió!                                          

Rafele (sorride): Arrivederci (esce con Gennarino dalla comune verso destra).

Annuccia risponde al saluto, mentre Donna Assunta rimane assorta nei suoi pensieri.

Annuccia (a Donna Assunta) : Cummà, nun state accussì… Titinella e Rafele se vonno bene… Ve faccio vedé ca isso truvarrà quanno primma na sistemazione… Sapite chi ha truvato nu buono posto?

Donnna Assunta : Chi?

Annuccia : Faustino, ’o figlio d’ ’o sapunaro.

Donna Assunta : Ma chillo stà in galera... Tene ’a scuntà ancora n’anno.

Annuccia : L’hanno fatto ascì primma p’ ’a bona cundotta e ll’hanno dato pure ’o posto… Fatica all’USL.

Donna Assunta : Giesù Giesù, mò ’o carcere serve comme referenzia!

Annuccia (sorride): Propio accussì.

Don Vincenzo (rientra in scena dalla comune): ’O ssaje, Annù, pare che va nu poco meglio.

Annuccia: Me fa piacere.

Benny (impaziente a Don Vincenzo): E allora jammo.

Don Vincenzo (rassegnato): E ghiammo (va in cucina, uscendo di scena).   

Benny (euforico, seguendolo) : Nun veco l’ora! (esce di scena).

Annuccia (a voce alta) : Benny, t’arraccumanno!

  Bussata di porta

Annuccia (andando ad aprire) : Ogge sta porta va a vviento... (Voce fuori campo) Evelì, trasite!... È succieso quaccosa?

Evelina (voce fuori campo) : Nun ’o ssaccio, ma aggio penzato ’e v’ avvertì. (Entra in scena, preceduta da Annuccia) Ah, Donna Assù, vuje state ccà?.

Donna Assunta : E ’o Papa stà a Roma... Tu invece aviss’ ’a stà int’ ’a guardiola.

Angelina (risentita) : ’Int’ ’a guardiola io ce stongo sempe… Si so’ asciuta è pecché aggio lassato a Carmeniello che sta luvanno ’o cartiello ’a fore ’o palazzo.

Annuccia : Ah, finalmente, chella casa s’è vennuta!

Evelina : Sì, se l’è accattata chella scescè d’ ’o terzo piano… Ha ditto ca ce l’astipa ’a criatura pe’ quanno se fà grossa... Se vede ca tene ’e sorde ’a fore ’a sacca… S’è fatta pure ’a machina nova. (Sobbalza, ricordando il motivo della sua venuta) Giesù, ’a machina!!

Annuccia : Qua’ machina?

Evelina : Na piezza ’e machina... Mamma mia, quant’ è bella!... Però ’a giovane ve canosce.

Donna Assunta : Evelì, sì scumbinata pure quanno parle.

Annuccia (a Evelina) : Facitece capì.

Evelina (ad Annuccia, scandendo le parole): Allora... io stevo  ascenno d’ ’o panettiere, chillo  che stà ’o vico appriesso, quanno aggio ’ntiso a Carmela ’a zoppa c’alluccava “Nun vedite ca tengo ’e panne stise!?... Addó jate cu sta piezza ’e machina?!”  Chella bella figliola ca steva dint’ ’a machina subbeto ha risposto “Vato ’o vico Tre Re, da Gennarino Esposito che abita nel bascio vicino a Donna Assunta”…Nun appena ha fatto ’o nomme ’e Gennarino e chillo ’e Donna Assunta, Carmela ’a zoppa  ha scustato ampressa ampressa ’e panne mentre ’o figlio spiegava a chillu chiochiaro ca purtava ’a machina addó puteva parchiggià… Allora io me songo avvicinata a chella bella femmena e ce aggio ditto ca Gennarino nun steva ’e casa cchiù dint’ ’o vascio, ma ’o primmo piano d’ ’o palazzo affianco… Po’ aggio penzato subbeto ’e v’avvertì e so’ curruta ’e pressa ccà.

Annuccia : Grazie assaje.

Evelina : Io chello c’ aggio ’ntiso, v’ aggio ditto... Ma chi pò essere?

Donna Assunta : E che ne sapimmo!

Evelina (ad Annuccia e a Donna Assunta) : Si nun ve dispiace, me trattengo… Sapite, io ’e caratttere songo nu poco curiosa.

 

Donna Assunta (ironica - a parte) : Sulo nu poco.

Benny (entra in scena dalla cucina a passi indietro dando gli ultimi consigli a Don Vincenzo che lo segue): Don Vicie’, facìte asciuttà buono ll’ógne!... Facite accussì cu’e mmane (muove le mani come le ali di una farfalla).

  Don Vincenzo entra in scena, leggermente truccato, con qualche bigodino in testa, agitando le mani.

Evelina (lo guarda incredula) : Ma è Don Vicienzo?!

Benny (a Evelina): Avite visto comme stà bello?

Annuccia (sbrigativa) : Sì sì… (A Evelina - tono confidenziale) È p’ ’a televisione.  

Evelina: Pecché, che parte ha da fà?

Benny (compiaciuto a Evelina e ad Annuccia) : Ce aggio miso pure nu poco ’e lucido ’ncopp’ a ll’ógne. 

Don Vincenzo (abbassa le mani): Penzo ca mò se sarrà asciuttato.

Benny : No, no; muvite ancora ’e mmane! (agita di nuovo le mani come le ali di una farfalla).

          

  Don Vincenzo imita il movimento suggerito da Benny.  

  Evelina continua a guardarlo perplessa.

  Annuccia si trattiene dal ridere.

  

Benny:  Don Vicié, mò facite accussì cu’ ’a vocca, comme si dicisseve MAMMÁ.

Don Vincenzo (prova a stringere le labbra come Benny - disgustato) : Ma che m’hé miso ’a ’nzogna vicino ’o musso?.... Che schifo!

Benny : È sulamente nu velo ’e rosa… ’Ncopp’ a ll’uocchie nun v’aggio miso   niente. Site cuntento?

Don Vincenzo: E ce mancava ca me truccave pure ll’uocchie!

Benny (entusiasta, lo guarda): Comme state bello! (Rivolto a Donna Assunta) È ovè?

Donna Assunta (ironica): Bello assaje!

  Bussata di porta delicata (campanello).

Evelina (a bassa voce ad Annuccia): Sarrà chella bella femmena d’ ’a machina.

Don Vincenzo (toccando i bigodini che ha in testa, urla a Benny ): Ma che m’ è cumbinato?!

 Annuccia va ad aprire mentre Don Vincenzo litiga con Benny.

Benny (nervoso): Don Vicié, nun ve tuccate!            

Don Vincenzo: E chi se tocca!

Donna Assunta : Don Vicié, doppo guardateve ’int’ ’o specchio.

 

Annuccia (entra in scena, seguita da Lelluccio che, trasformatosi in una bellissima donna, indossa un vestito che ne mette in risalto le forme femminili): No, Gennarino nun ce stà… Avite ditto Luana?

Lelluccio: Sì, mi chiamo Luana… (Con fare cordiale si avvicina a Donna Assunta) Bongiorno, ’Onna Assù (si china a baciarla).

Donna Assunta (sorride): Per Giove, comme te si’ fatto bella! 

Lelluccio (perplesso, guarda Don Vincenzo che è rimasto impalato; poi con un sorriso, andandogli incontro) : Don Vicié, pure vuje!?...

Don Vincenzo (risentito, indietreggia): A chi!!!

Cala immediatamente il sipario

F I  N  E

Età scenica e caratteristiche dei personaggi

Gennarino: 25 anni (belloccio e simpatico), Don Vincenzo: 55 anni (prestante con capelli non radi, senza barba nè baffi), Donna Assunta: 65 anni (donna semplice); Rafele: 25 anni (di media statura), Lelluccio: 22 anni (slanciato, lineamenti delicati e viso sbarbato), Benny: 30 anni (capelli corti e viso sbarbato), Annuccia: 40 anni (gradevole, ma magrolina), Salvatore: 40 anni (alto e energico), Professore: 60 anni (preferibilmente magro con barbetta e occhiali), Vittoria: 23- 25 anni (carina, prosperosa e ricercata nel vestire), Signora: 50 anni (abbigliamento sportivo), Titinella: 20- 22 anni (piccola di statura), Fattorino: 30- 35 anni (piuttosto robusto).

Nelle pagine seguenti sono indicati dei suggerimeti, nonché l’elenco del materiale supplementare di scena (suddiviso per i tre atti) e l’introduzione facoltativa.

IL CASO È COSÌ… (da ridere)       ATTO PRIMO

(Ambientazione: misero basso napoletano)                Periodo: fine aprile

MATERIALE DI SCENA SUPPLEMENTARE E SUPPELLETTILI (a cura del regista e del direttore di scena)  

· È consigliabile una scena a scatola per facilitare il cambio di scena (per  scenografo)

* eventuale “Introduzione” e rombo di un motorino (registrati per fonico)

- gagliardetto del Napoli e un poster di Maradona (appesi sopra il letto di Gennarino)

- misero specchio di plastica appeso alla parete per il gancio che fa da base  

- lenzuola vecchie, federa, cuscino e plaid  (già sistemati sul letto singolo)

- sgabello pieghevole che vada sotto il letto

- cassetta di legno a valigetta con varie stecche di sigarette americane (sotto il letto)

- maglie e maglioni da uomo (poggiati sulla cassapanca)

- pantaloni vecchi, giacche e camicie (appesi all’attaccapanni)

- lenzuola vecchie (singole) con federe e altri panni (poggiati sulla sedia)

- bicchiere pieno d’acqua (sul tavolo)

- sveglia, brocca e cianfrusaglie varie (poggiate sul comò)

- mazza per lavare pavimenti (con pezza logora e sporca)

- siringa piccola con ago (l’ago sarà già sistemato sul pavimento)

- giornale La Gazzetta dello Sport,  alcune vecchie riviste porno  (già in scena) più una rivista nuova porno e il giornale  Bric a Brac (che porterà Rafele)

- portafoglio con due banconote da diecimila lire (nella tasca di Don Vincenzo)

- penna biro a scatto (nella tasca dei jeans di Gennarino)

- valigia, preferibilmente colorata, più la chiave della porta del basso (per Lelluccio)

- un paio di scarpe vecchie e uno nuovo (calzato da Don Vincenzo)

- sacchetto di plastica contenente contenitori di alluminio per cibo (per Gennarino)

- n. 2 piatti fondi (per Titinella)

N.B. : I personaggi saranno vestiti, tenendo conto che il periodo è fine aprile.

IL CASO È COSÌ… (da ridere)           ATTO  SECONDO

                                                                                    (due anni dopo)

(Ambientazione: soggiorno con arredamento moderno) Periodo: inizi giugno 

NOTE E MATERIALE DI SCENA SUPPLEMENTARE (a cura del regista e del direttore di scena)  

· il televisore a colori (con telecomando) è dei primi anni ’90

· il telefono fisso è a disco, perché dei primi anni ’90 

· la radio è un modello dei  primi anni ’90

* trillo del telefono (per fonico)

* suono campanello porta (per fonico)

* voce registrata della maga (per fonico)

- altra rivista porno

- piccola lampada da poggiare sul televisore

- beauty-case (per Benny)

- calendario alla parete (mese di giugno - anno non visibile)

- grembiule da cucina con tasca.

- tazzina con piattino

- strofinaccio nuovo e pentola di acciaio brillante

- busta con francobolli stranieri

- foto di giovane donna

- lettera scritta a mano  o a computer (carattere lucida handwriting )     

- bicchiere con piattino

- bolla di accompagnamento.

N.B. - I personaggi saranno vestiti in modo più leggero, in quanto si è agli inzi di    giugno e sono trascorsi due anni.

IL CASO È COSÌ… (da ridere)

ATTO  TERZO

           (ancora un anno dopo)

                                                                                

(Stessa scena del secondo atto)                                 Periodo: metà maggio

MATERIALE DI SCENA SUPPLEMENTARE E SUPPELLETTILI (a cura del regista e del direttore di scena)  

- coppa di ceramica e centro ricamato sul tavolo

- valigetta ventiquattrore (per Salvatore)

- beauty-case, possibilmente diverso (per Benny)

 

- calendario diverso alla parete (mese di maggio - anno non visibile)

- bicchiere colorato per spremuta di limone a Don Vincenzo

- fasciatura mano (per Rafele)

N.B. -  I personaggi saranno vestiti in modo diverso, soprattutto perché è passato un    altro anno. Il periodo è metà maggio.

Don Vincenzo indosserà sui jeans una vistosa camicia, stile Positano.

Lelluccio (ora Luana), adeguatamente truccato, indosserà abiti femminili che ne metterenno in risalto le forme.

Introduzione facoltativa               (a sipario chiuso - preferibilmente  non dal vivo) 

    Napule primma e doppo

di Colomba Rosaria Andolfi

Napule primma e doppo,

Napule sottencoppa.

Napule cu ’e pprumesse

te fanno ancora fessa.

’A legge che cundanna

s’ ’a scanza chi cumanna.

Napule ca nun parle,

Napule senza palle.

                                                                  Napule d’ ’e ttammorre,

                                                                  chitarre e manduline;

                                                                  Napule d’ ’e ccanzone,

                                                                  d’ ’e fuoche a Margellina;      

                                                                  Napule d’ ’e culure,

                                                                  d’ ’e ffeste, d’allerìa…          

tu te l’hé perzo ’o core

                                                                  mò mmiez’ a st’ammuina.

Pe’ sgravuglià ’a matassa

nce pave ll’ati ttasse.

Pure si faje ’o biglietto

ddoje ore sempe aspiette.

Munnezza, droga e scippe

t’ ’a faje cu ll’ove ’a trippa.

Napule d’ ’e rummure,

sirene e mariuole.

                                                                  Napule d’ ’e ttammorre,

                                                                  chitarre e manduline;    

                                                                  Napule d’ ’e ccanzone,

                                                                  d’ ’e fuoche a Margellina;

                                                        Napule d’ ’e culure,

                                                                  d’ ’e ffeste, d’allerìa…

tu te l’hé perzo ’o core

                                                                  mò mmiez’ a st’ammuina.

                           

Mutore e muturine

ccà è tutto nu casino.

Pe’ ll’aria ca respire

tu ogge t’avveline.

Cu ll’acqua d’ ’a funtana

te sciacque sulo ’e mmane.

’O mare è na latrina

si ’o guarde da vicino.

                                                                  Napule d’ ’e ttammorre,

                                                                  chitarre e manduline;

                                                                  Napule d’ ’e ccanzone,

                                                                  d’ ’e fuoche a Margellina;

                                                                  Napule d’ ’e culure,

                                                                  d’ ’e ffeste, d’allerìa…          

tu te l’hé perzo ’o core

                                                                  mò mmiez’ a st’ammuina.

Napule primma e doppo,

Napule ’e chi t’è mmuorto.

Napule cu ’e pprumesse

te fanno ancora fessa.

’A legge che cundanna

s’ ’a scanza chi cumanna.

Napule ca nun parle,

Napule senza palle.

Di questo testo, originariamente privo del ritornello, fu realizzato amatorialmente nel 1995 un arrangiamento musicale a cura della Compagnia Il Guazzabuglio di Maria Teresa Sisto.