Il cigno

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IX CI C N O

IL CIGNO

COMMEDIA IN TRE ATTI DI FERENC MOLNAR

PERSONAGGI

PRINCIPESSA BEATRICE

SINFOROSA

GIACINTO

ALESSANDRA

GIORGIO

ARSENIO

DOTTOR GIANNI

AGI

PRINCIPE ALBERTO

PRINCIPESSA MARIA DOMENICA

COLONNELLO WUNDERLICH

CONTESSA SIBENSTEYN

CESARE

MAGGIORDOMO ALFREDO

CAMERIERA

UNA DAMA

ATTO PRIMO

Padiglione nel giardino che serve di stanza da studio per i giovani principi. A sinistra una porta aperta dalla quale si vede il giardino, soleggiato. A destra una porta vetrata che mette in altre stanze. Pomeriggio estivo. Il professore Agi siede al tavolino con Arsenio e Giorgio. Fa lezione. I giovanotti ascoltano attentamente.

AGI                                - ... dopo molte umiliazioni e lunghe sofferenze, egli morì nell'isola di Sant'Elena il 5 maggio 1821, in età di anni 52. Fu seppellito su di un'altura dalla quale, negli ultimi tempi di sua vita, si compiaceva di contemplare il mare. I suoi fedeli, che lo avevano assistito, volevano apporre il nome di «Napoleone» sulla di lui lapide, ma il carceriere Hudson Lowe, l'infame Hudson Lowe continuò la persecuzione oltre la morte. Egli protestò contro siffatta, iscrizione. Permise soltanto sulla lapide: «Le general Buonaparte». Le sue ceneri vennero più tardi trionfalmente trasportate in Francia e Parigi preparò all’Imperatore-martire splendide onoranze funebri. Da allora riposa sotto il Duomo degli Invalidi in una cripta aperta, artisticamente bella, quanto nobilmente semplice. (La lezione è finita. I giovanotti tacciono commossi. Agi guarda l'orologio e chiude il libro).

AGI                                - Per oggi la lezione è finita. Le Loro Altezze non hanno nessuna domanda da rivolgermi?

ARSENIO                     - Ieri sera abbiamo avuto una grande discussione con la mamma. La mamma parla di Napoleone con odio: dice ch'è stato un usurpatore.

AGI                                -  Dipende dal come lo si considera.

GIORGIO                     - Come, dunque?

AGI                                - Le Loro Altezze hanno il diritto di formarsi liberamente un'opinione personale. Per me, considero Napoleone come un genio agitatore di mondi. Il vortice della Rivoluzione lo fece emergere. Temprato al turbine di quei tempi, trovò in essi delle possibilità di esplicazione che non si concepiscono in condizioni normali come le nostre.

GIORGIO                     - Quest'è il suo modo di vedere, signor professore?

AGI                                - Sì.

GIORGIO                     - Allora è pure il mio. 

ARSENIO                     - Questa è quella ch'io chiamo una opinione indipendente.

GIORGIO                     - E lo è proprio. Intendo quella del signor professore, non già la mia.

ARSENIO                     - La mamma era molto in collera.

AGI                                - Contro Napoleone?

GIORGIO                     - E anche contro di lei.

AGI                                - Perché?

ARSENIO                     - Perché lei non lo detesta.

AGI                                - Io lo considero obiettivamente.

ARSENIO                     - E' quello che dicemmo alla mamma, ma, secondo lei, Napoleone dev'essere odiato.

GIORGIO                     - Particolarmente, dice, nella nostra famiglia, poiché se noi siamo spodestati, lo dobbiamo in gran parte a Napoleone.

AGI                                - Con tutto il rispetto dovuto a S. A. R. la Principessa, ritengo questo giudizio storico piuttosto esagerato. Napoleone non s'è mai occupato personalmente dei destini politici della Loro Augusta casa. Ciò si potrebbe sostenere invece per il re del Wurtemberg, il quale prestò mano all'intrigo.

GIORGIO                     - Ma il re del Wurtemberg era una creatura di Napoleone.

AGI                                - Appunto. Per cui questi pote indirettamente entrare nella faccenda. E' precisamente considerato ciò, che ho parlato di esagerazione. A parer mio, se mai v'è ambiente dove si debba avere il coraggio e l'iniziativa di discorrere della fortuna di Napoleone e di farne oggetto d'insegnamento, questo è proprio di una famiglia di sovrani spodestati. La sua vita ci insegna che i troni si conquistano. Ed egli non era che figlio di un avvocato. A maggior ragione quindi chi per nascita...

ARSENIO                     - La mamma...

GIORGIO                     - La mamma è ora tanto suscettibile per tutto ciò che riguarda il trono, perché il principe Alberto è qui tra noi.

ARSENIO                     - La mamma è sempre assai suscettibile su quell'argomento.

GIORGIO                     - Il principe Alberto è un principe ereditario autentico, e la mamma, quando vede un principe ereditario autentico, non può mangiare.

ARSENIO                     - Non c'è da farne meraviglia. Poverina! Pensate: la sua bisnonna ha regnato ancora. E non può abituarsi all'idea che ciò sia finito per sempre.

GIORGIO                     - Per sempre?

AGI                                - Sì, certamente oggi è assai difficile.

ARSENIO                     - E se l'erede della Corona sposa Alessandra ?

GIORGIO                     - Ma non la sposa.

ARSENIO                     - Come lo sai tu? Se l'erede della Corona sposa Alessandra, la corte ci è aperta, a noi, come sua famiglia, e lei diventa, regina. E poiché conosco la mamma, il principe sbaglia se crede che sarà lui che governerà.

GIORGIO                     - Se la sposa...

ARSENIO                     - La sposerà!

GIORGIO                     - Perché la dovrebbe sposare?

ARSENIO                     - Perché la mamma lo vuole. Tutti qui lo vogliono: la nostra zia Sinforosa, Alessandra stessa, io, tu, il signor professore.

GIORGIO                     - Io non tanto, poi. E lei, signor professore?

AGI                                - Dio mio... S. A. Alessandra è fatta per tutto ciò che v'ha di più alto, di più bello.

GIORGIO                     - Ma con ciò, lei, signor professore, non lo vuole poi veramente...

AGI                                - Io? Perché no?

GIORGIO                     - Perché l'ha detto così freddamente, convenzionalmente.

AGI                                - Dio mio... Non si tratta poi di una inezia. Lì per lì non so capacitarmi subito... Da. alcuni mesi ho la fortuna di vivere nella cerchia della Loro illustre famiglia, di vivere con Loro, se posso esprimermi così... e la Loro Augusta Sorella, per quanto sia una dama tanto seria, è così benevola verso di me... verso di noi tutti... Ho la fortuna d'addestrarla nella scherma, col fioretto, e quando improvvisamente mi viene fatto di pensare che la mia allieva indosserà l'ermellino... che sarà incoronata, che siederà sul trono... ecco, non è cosa da nulla...

GIORGIO                     - A me spiacerebbe che la nostra vita di campagna... è tanto bella! Gli ungheresi sono tanto buoni con noi: i nobili come i contadini! Qui si sta così bene! Ma... vero, lei verrebbe con noi anche laggiù?

AGI                                - Se mi venisse ordinato.

ARSENIO                     - Ah! Deve pur esser bello! La vita di corte per se stessa, no, dev'essere noiosa, ma la politica... dicono che è divertente. Fa o tremare o ridere (Beatrice ed Alessandra vengono dal giardino. Tutti s'alzano).

BEATRICE                   Come vedo, la lezione è finita.

AGI                                - Sì, Altezza (Alessandra rimane in fondo a sinistra, immobile e silenziosa).

AGI                                - Alle quattro meno dieci eravamo giunti alla morte di Napoleone. Un punto significativo, un finale, mi pare, dopo il quale non valeva la pena di principiare un nuovo capitolo pei dieci minuti che ci rimanevano ancora.

BEATRICE                   - (tagliente) Un punto significativo, un finale?

AGI                                - Come mi sono permesso di chiamarlo.

BEATRICE                   - Per colui che morì, senza dubbio. Per noi, solo una virgola dopo la quale il periodo proseguirà. Ma non sono venuta per questo. Arsenio! Giorgio! Il principe Alberto vi verrà a trovare qui, nel vostro padiglione. Egli s'interessa dei vostri studi ed ha espresso il desiderio d'intrattenersi di essi con voi. Dalle sue parole ho capito ch'egli si occuperà di storia: il conte Lutzen mi ha confermato poi questa supposizione. Ora andate, ravviatevi i capelli, lavatevi le mani e vestitevi di scuro.

ARSENIO                     - Quando viene?

BEATRICE                   - Appena si sarà svegliato.

GIORGIO                     - Donne?

BEATRICE                   - Ho detto: appena si sarà svegliato. Avresti potuto quindi supporre che dormiva.

GIORGIO                     - L'ho supposto e perciò l'ho domandato.

BEATRICE                   - La tua risposta è superflua. Arsenio, m'è stato detto che tu hai la tosse.

ARSENIO                     - No, no, mamma. Avrò tossito una o due volte.

BEATRICE                   - Sinforosa mi ha detto che tu tossisci. Perchè lei non lo fa sapere?

AGI                                - S. A. ha assaggiato questa mattina i peperoni forti, e nonostante il mio consiglio, ha trascurato di togliere prima i filamenti del frutto: ecco perché tossiva. Non ho mandato ad avvisare, perché non mi sembrava una tosse da impensierire.

BEATRICE                   - Lei non può sapere se lo sia o meno. Lei non è medico.

GIORGIO                     - (ad Arsenio) Questa gli tocca in grazia di Napoleone.

BEATRICE                   - Che stai dicendo?

GIORGIO                     - Nulla, mamma, ha tossito.

BEATRICE                   - Di te poi so che hai cavalcato come un selvaggio infuriato.

GIORGIO                     - E anche qui la spia è stata Sinforosa.

BEATRICE                   - Ragazzaccio screanzato! Ma non volevo parlare di questo. Sta il fatto che hai cavalcato così.

GIORGIO                     - II cavallo era infuriato, non io.

BEATRICE                   - E perché lei non me ne avvisa?

AGI                                - II cavallo era mansueto, prima che S. A. lo montasse.

BEATRICE                   - Lei non può saperlo. Non è cavallerizzo, lei.

GIORGIO                     - E allora che informazioni può dare?

BEATRICE                   - Non parlare, quando non t'interrogo. Arsenio farà stasera un cataplasma sul petto e tu, da domani in poi, non monterai che Pretty.

GIORGIO                     - Pretty? Oh, mamma, non ti prendere tanta cura di me!

BEATRICE                   - Non una parola di più! (silenzio perfetto) Ho una sorpresa per voi! Non ve la meritate però.

ARSENIO                     - Che cos'è?

GIORGIO                     - Che cos'è?

BEATRICE                   - Indovinate.

ARSENIO                     - Alessandra diventa regina (imbarazzo generale. Silenzio. Alessandra trasale).

BEATRICE                   - Screanzato! Che discorsi son questi? Ti proibisco persino di pensare a certe cose. Ma vedete dunque! Spero che non sia lei che induce i ragazzi in tali pensieri!

AGI                                - Dio me ne guardi. Altezza!

BEATRICE                   - Come t'è dunque venuta questa idea? Da chi?

GIORGIO                     - Da me; io gliel’ho detto.

BEATRICE                   - E a te?

GIORGIO                     - Nessuno: me stesso.

BEATRICE                   - Come?

GIORGIO                     - Non t'inquietare, mamma, perché anch'io vedo qualcosa: anch'io ho gli occhi, sai.

BEATRICE                   - Robespierre! Vattene; che non ti veda. (silenzio assoluto) Via, vi voglio dire qual'è la sorpresa. In onore del principe Alberto, anche mio fratello Carlo... cioè il Padre Giacinto, è venuto tra noi (gioia sfrenata).

GIORGIO                     - Benone! benone!

ARSENIO                     - Oh! come sono contento! (getta le braccio al collo di Agi).

BEATRICE                   - Selvaggi!

ALESSANDRA            - Gli vogliono molto bene, mamma. Fa piacere di constatarlo. Anch'io mi rallegro tanto ch'egli sia venuto.

ARSENIO                     - Ed io per primo, signor professore! E' la migliore pasta d'uomo, mio zio!

GIORGIO                     - Era principe ed ora è frate. Monaco. Porta il saio, il cappuccio, lo scapolare.

ARSENIO                     - Egli ha rinunziato al mondo ed è entrato in un ordine monastico.

AGI                                - Lo so. Altezza, ne udii parlare.

GIORGIO                     - Ma non l'ha mai veduto?

AGI                                - Non ebbi mai questa fortuna.Giorgio Ora l'avrà e noi tutti pure l'avremo. Mamma, non ci potevi davvero portare una notizia migliore! Anche se fossi venuta a dirci che Alessandra...

ALESSANDRA            - Giorgio!

BEATRICE                   - II castigo non inanellerà, aspettatevelo pure. (Voce di Giacinto dal giardino) Beatrice!

BEATRICE                   - Silenzio! Non avete udito una voce che lui chiamava?

GIACINTO                   (dal di fuori) Beatrice!

BEATRICE                   - Non mi sono sbagliata, no: è Giacinto che grida. Ha dei modi orribili!

ARSENIO                     - Caro, caro Giacinto!

GIORGIO                     - Giacinto! Giacinto! (fanno per corrergli incontro).

BEATRICE                   - Voialtri state qui! (silenzio improvviso) Selvaggi. Gli vado incontro io... altrimenti griderà .ancora più forte... proprio adesso che il principe Alberto dorme.. (Beatrice. esce).

ALESSANDRA            - (ad Agi) Mia madre voleva comunicarle pure che S. A. il principe desidera assistere anche agli esercizi di scherma.

AGI                                - Sempre agli ordini di V. A.

ALESSANDRA            - Ho già disposto ogni cosa nella sala di scherma. I ragazzi tireranno prima alla sciabola con lei, poi al fioretto tra di loro.

AGI                                - Se m'è permesso chiedere: V. A. non prenderà parte alla accademia?

ALESSANDRA            - Io no (Pausa).

GIORGIO                     - E perché?

ALESSANDRA            - (freddamente) Perché S. A. il principe s'è interessato unicamente dei vostri esercizi. Sono in ordine i costumi?

AGI                                - Certamente, Altezza.

ALESSANDRA            - Quanto tempo occorre per esser pronto, lei ed i ragazzi?

AGI                                - Dieci o dodici minuti basteranno. Sono assai spiacente che V. A. non possa mostrare i propri progressi al fioretto.

ALESSANDRA            - Prima si era stabilito che prendessi parte anch'io all'accademia. Ma se debbo accompagnare S. A. al roseto non mi rimane tempo per vestirmi. Dunque tireranno solo i ragazzi.

AGI                                - Posso chiedere a V. A. se nessun altro potrà accompagnare S. A. al roseto?

ALESSANDRA            - Perchè me lo domanda?

AGI                                - V. A. potrebbe nel frattempo indossare il costume e mostrare poi la sua bravura nella scherma, sarebbe meglio.

ALESSANDRA            - (freddamente) Perché meglio?

AGI                                - Mi pareva. Solo... V. A. maneggia il fioretto con una grazia così rara, così flessuosa... e...

ALESSANDRA            - E?

AGI                                - ... E per il roseto le spiegazioni può darle un altro.

ALESSANDRA            - Grazie. Questo lo so anch'io.

AGI                                - Mi voglia perdonare. Altezza. In me parla solo l’amor proprio del maestro.

ALESSANDRA            - II programma non s'è ispirato al suo amor proprio. E poi infine: vuol lasciar fare a me, o no? (leggermente offesa, con mossa impaziente del capo).

AGI                                - Sempre agli ordini di V. A. (piccola pausa).

GIORGIO                     - Per favore, posso dire una parola?

ALESSANDRA            - Ebbene?

GIORGIO                     - II signor professore ha ragione! (va alla porta, voci dal di fuori. Giacinto e Beatrice entrano).

ARSENIO E GIORGIO       - (precipitandosi incontro a Giacinto) Giacinto? Caro zio!

ARSENIO                     - Benvenuto!

GIORGIO                     - Quanto tempo ti trattieni?

GIACINTO                   - Ma state fermi, state fermi! Un po' di calma! (schermendosi con bonomia).

BEATRICE                   - Selvaggi!

GIORGIO                     - Quanto ti trattieni?

GIACINTO                   - Non sono per così dire, neppure arrivato, e tu già mi domandi quanto tempo rimarrò!

GIORGIO                     - Perché è la cosa più importante!

GIACINTO                   - E' un pezzo che non vi vedo (l'abbraccia). Lasciate che vi guardi. Che bel colorito! (prendendoli per le braccia) E solidi, siamo, eh?

GIORGIO                     - Quanto ti trattieni?

GIACINTO                   - Purtroppo non a lungo, (movendo verso Agi che s'inchina profondamente) vedete come sono furbo! Scommetto che questi è il vostro caro maestro, il signor Agi del quale ho sentito dire tante belle cose (gli stringe ìa mano). Beatrice mi scrisse molto bene di lei. So tutto. Lei non è solamente un buon maestro, ma anche uno sportman compito. Remare, tirare di scherma...

ARSENIO                     - Cavalcare...

GIACINTO                   - Bravo! questo mi piace! E, questo pure: che piace a voialtri, ragazzi.

GIORGIO                     - E quanto!

GIACINTO                   - E' contento dei suoi allievi?

AGI                                - Molto, Altezza.

GIACINTO                   - Non Altezza, professore. Solamente un povero servo di Dio.

AGI                                - Scusi, padre.

GIACINTO                   - Be'! non c'è da fare il viso rosso, altrimenti me ne rammaricherei. D'altra parte poi questo arrossire è cosa tanto simpatica in un dottore in filosofìa che già, credo, l'amicizia tra noi è bell'e stretta, (gli stringe nuovamente la mano). Mi congratulo per il suo metodo. Studio e sport alternati; ecco la vera scuola. Su, ragazzi, che cosa avete studiato oggi?

ARSENIO                     - Abbiamo finito il periodo napoleonico (guarda sua madre; imbarazzo generale),

GIACINTO                   - Alla mamma non va a genio Napoleone, vero?

BEATRICE                   - No.

GIORGIO                     - Ieri sera s'è discusso se...

ALESSANDRA            - Smettila, Giorgio, non ricominciare.

GIACINTO                   - Perché no? Fammi sentire. Su che cosa s'è discusso?

ARSENIO                     - Secondo la mamma. Napoleone dev'essere odiato.

GIORGIO                     - Soprattutto dalla nostra famiglia.

GIACINTO                   - (ad Agi) E secondo lei?

AGI                                - Io ho esposto la storia di Napoleone obiettivamente.

GIACINTO                   - Ha fatto benissimo. In questa famiglia, più che in ogni altra, i giovani debbono trarre profitto dalla storia della vita di lui. Ma perché arrossisce ancora, caro?

GIORGIO                     - Perché poco fa ha detto lo stesso, parola per parola.

GIACINTO                   - Eh! questo non vuol dire che abbia ragione, ma se siamo in errore, amico mio, almeno siamo in due ad esserlo.

BEATRICE                   - Andate, preparatevi, ravviatevi, vestitevi! (a Giacinto) Il principe Alberto viene a momenti qui da Loro.

GIACINTO                   - Allora andate subito. Arrivederla, professore. (Agi s'inchina, esce coi due giovinetti, da destra).

BEATRICE                   - Anche se cento volte i vostri pensieri s'incontrassero identici, ciò non toglie che l'uomo fu un usurpatore.

GIACINTO                   - Quale uomo?

ALESSANDRA            - La mamma non pronuncia mai il suo nome.

GIACINTO                   - Scusa, l'avevo dimenticato.

SINFOROSA                - (entrando) Egli dorme.

GIACINTO                   - Chi?

BEATRICE                   - L'erede della Corona, (a Sinforosa) Su che fianco s'è coricato?

SINFOROSA                - Aspetta un momento (riflette). Sul fianco destro.

BEATRICE                   - In una parola: non dorme dalla parte del cuore.

SINFOROSA                - No, da quella del fegato.

BEATRICE                   - Va, torna là, Sinforosa, sta attenta e riferiscimi ogni cosa.

SINFOROSA                - (uscendo) Sì, cara.

GIACINTO                   - Mia sorella Sinforosa veglia i sonni del principe?

BEATRICE                   - Sì. E' d'accordo con Paintante, il quale a sua volta guarda dalla toppa della serratura.

GIACINTO                   - E questa faccenda dura tutto il giorno?

BEATRICE                   - Io voglio essere informata esattamente. Egli è mio ospite. Non è una piccola responsabilità.

GIACINTO                   - E da quando dura così?

BEATRICE                   - Da quattro giorni.

GIACINTO                   - Quanto si trattiene?

BEATRICE                   - Secondo il programma dovrebbe partire domani; perciò tu avresti dovuto venire prima. Alberto è giunto inaspettatamente e noi eravamo senza uomini qui.

GIACINTO                   - Sono venuto non appena ricevuto il telegramma. Alberto s'è cambiato assai. S'è fatto serio, molto simpatico.

BEATRICE                   - Sì, molto simpatico.

GIACINTO                   - Non ti so dire quanto è stato affettuoso con me. Ha quasi pianto nel rivedermi.

BEATRICE                   - Voleva molto bene anche lui al mio povero marito e tuttavia allora era ancora bambino.

GIACINTO                   - M'ha abbracciato con impeto e baciato più volte. Come m'è parso cordiale e spontaneo mentre mi diceva quanto gli siete tutti cari!

BEATRICE                   - Questo è il fatto.

GIACINTO                   - Che cosa intendi dire?

BEATRICE                   - (ad Alessandra) Va, bambina mia, va un poco in giardino. (Alessandra, esce. Beatrice s'asciuga gli occhi).

GIACINTO                   - Che cosa c'è, cara? Che cosa è successo, dunque?

BEATRICE                   - (guardando la figlia che s'allontana) Non voglio parlare davanti a lei. Il fatto è che non è successo nulla.

GIACINTO                   - Non capisco.

BEATRICE                   - Alberto ha detto anche a te che ha preso un grande affetto a tutti noi.

GIACINTO                   - Sì, che me lo ha detto.

BEATRICE                   - Ebbene, egli s'è innamorato di tutti, qui, fuorché d'Alessandra.

GIACINTO                   - Ma che cosa ti aspettavi da lui in tre giorni?

BEATRICE                   - Amore no, ma almeno un poco di interessamento per mia figlia, un piccolo avvicinamento. Nulla. Eppure abbiamo fatto tutto il possibile.

GIACINTO                   - Forse... ragioni politiche?

BEATRICE                   - E' quello che temo. Egli è un figlio obbedientissimo a sua madre. Maria Domenica lo domina. Ormai poi ha dato la stura al suo cuore. Prima a Dresda da Leopoldina Carlotta che però non gli piacque: tende all'obesità. Di lì portò il suo cuore nel Portogallo, a Lisbona, all'infante Silvina Gonzaga: giovinetta compitissima, ma d'una bruttezza indescrivibile. Dunque via, ancora col suo cuore, su, nel Belgio, da Maria Erminia... che è più alta di lui circa duo teste; e questa volta ha rifiutato con ragione. Non si può presentare al popolo così. Ora è qui da noi. E se lo lasceremo partire, andrà davvero al Montenegro. (s'asciuga gli occhi. Sinforosa viene dal giardino) Ebbene?

SINFOROSA                - Ha steso la mano fuori del letto.

BEATRICE                   - Verso che cosa l'ha stesa?

SINFOROSA                - Ha bevuto l'acqua zuccherata.

BEATRICE                   - Ce n'era?

SINFOROSA                - Se ti dico che l’ha bevuta!

BEATRICE                   - Temevo che non ce ne fosse. E poi?

SINFOROSA                - E poi s'è voltato dall'altra parte e s'è riaddormentato.

BEATRICE                   - Grazie, cara.

SINFOROSA                - Figurati, cara! (via in fretta).

BEATRICE                   - Tu sai che questo matrimonio era il progetto più caro anche al mio povero marito. Da ciò nacque la mia grande amicizia per il padre di Alberto.

GIACINTO                   - In lui nacque spontaneamente.

BEATRICE                   - Sì, ma egli pure l'alimentò con questo pensiero. E da quando entrambi morirono, nello stesso anno, questo pensiero visse in me e continuerà a vivere sinché vivrò. Pur di poter assicurare come lascito a mia figlia il trono, sarei pronta a morire oggi stesso.

GIACINTO                   - C'è poca umiltà in queste tue parole, cara Beatrice...

BEATRICE                   - (nervosa) Perdonami, Carlo, ma debbo confessare che da tre giorni a questa parte non sono più nello stato normale. So di certo ch'egli si trattiene qui per la ragazza. Viceversa poi Alessandra è come se non esistesse agli occhi suoi. Anche di sua madre, di Domenica, nessun segno di vita. Se egli avesse intenzioni serie, la madre sarebbe già arrivata.

GIACINTO                   - (vedendola piangere) Ma Beatrice!

BEATRICE                   - Te lo dico: non sono normale. Pensa: ci rimane un giorno solo... Il pomeriggio d'oggi, il ricevimento di questa sera e se non succede niente, proprio niente... tutto è finito, forse per sempre.

GIACINTO                   - E nessun segno?

BEATRICE                   - Nessunissimo. Figurati quello che provo.

GIACINTO                   - Forse Alessandra è...

BEATRICE                   - E' bella, intelligente, modesta al massimo grado. Il suo povero padre l'aveva caratterizzata assai bene: la chiamava sempre il suo cigno, a il mio bianco cigno altero! Anche ora è sempre dignitosa, seria, silenziosa, porta la testa eretta! Si comporta proprio alla perfezione. E quell'Alberto è così indifferente da far disperare.

GIACINTO                   - Beatrice, tu eccedi ancora.

BEATRICE                   - Lo so, ma non m'importa. Questa è la mia ultima grande battaglia e non solo la mia, ma quella di tutta la nostra famiglia. Oggi o mai più. Ne vedrai delle belle! perché io voglio condurre a compimento i miei di segni, dovessi pur morire. (Sinforosa attraversa la porta annuncia): Dorme tranquillamente.

BEATRICE                   - Grazie, cara.

GIACINTO                   - Non ti angustiare così. Sarà quel che sarà. Se non si conclude ora, si concluderà un'altra volta.

BEATRICE                   - Quando? Alberto ha già trentacinque anni e ti puoi immaginare se la sua famiglia lo tormenta perché si decida a prendere moglie. E poi, credi che gli anni non contino anche per Alessandra?

GIACINTO                   - Quanti ne ha adesso?

BEATRICE                   - Venti, e... seguenti.

GIACINTO                   - Quanti, seguenti?

BEATRICE                   - Così... seguenti... senz'altro.

GIACINTO                   - E' un nuovo numero.

BEATRICE                   - Sì, l'ho trovato io, come madre

GIACINTO                   - Dunque venti e seguenti.

BEATRICE                   - E così non si può andare avanti. Sfiorisce. In una famiglia regnante questo non conta, ma nelle nostre di spodestati le figlie debbono essere belle. La coscienza mi rimorde d'averla fatta attendere tanto a lungo povera ragazza! Oh! So d'essere colpevole.

GIACINTO                   - Tu non sei colpevole. Tu sei semplicemente una madre appassionata, mia cara. Sai che la nostra vita non ha per scopo la felicità individuale, bensì quella della famiglia. Ora purtroppo la più felice famiglia sovrana, si compone unicamente d'individui infelici. Sicuro, bisogna sopportare questa sorte o... mutare la storia mondiale dal suo inizio.

BEATRICE                   - Povera la mia Drina!

GIACINTO                   - Che dici!

BEATRICE                   - Alessandra!

GIACINTO                   - La chiamate così, adesso? Prima si chiamava, se non sbaglio, Sandrina.

BEATRICE                   - Sì, ma ora è Drina, e se si va innanzi così diventerà Duccia.

GIACINTO                   - O meglio e più semplicemente: Alessandra.

BEATRICE                   - Questo mai. Noi abbreviamo, mio caro, abbreviamo sino alla morte. (A Sinforosa che sopraggiunge) E dunque?

SINFOROSA                - (entrando) La situazione è invariata. (esce).

BEATRICE                   - Insomma, concludendo, ti prego caldamente di metterti anche tu al servizio della buona causa; per il poco tempo che li trattieni qui.

GIACINTO                   - Io! ma  angelo mio, che posso fare?

BEATRICE                   - Tu, lo chapeur!

GIACINTO                   - Ma, bimba mia, non deve sposar me!

BEATRICE                   - O che uomo! Non capisci dunque? Tutto ciò che v'è di piacevole e d'amabile nella cornice, da risalto e mette in luce la ragazza. Forse manca solo questo piccolo raggio perché egli finalmente s'avveda dei pregi di lei.

GIACINTO                   - Alessandra che pensa della faccenda ?

BEATRICE                   - Quello che penso io.

GIACINTO                   - Ne parla?

BEATRICE                   - Tace. Non ne ha mai parlato.

SINFOROSA                - (giunge di corsa).

BEATRICE                   - Ebbene?

SINFOROSA                - (ansimante, la mano sul cuore)  S'è, svegliato! (movimento ansioso di Beatrice) Il conte Luetzen ha tossito davanti alla sua porta.

BEATRICE                   - (rapida, eccitato) Per caso?

SINFOROSA                - No; apposta.

BEATRICE                   - Ma non era il colonnello che montava la guardia?

SINFOROSA                - Si, ma il conte Luetzen è venuto apposta per tossire.

GIACINTO                   - E perché non il colonnello?

SINFOROSA                - Perché non sa tossire che forte. Il conte Luetzen tossisce piano e delicatamente. S. A. è abituato a lui come sveglia.

BEATRICE                   - E?

SINFOROSA                - Ha chiesto dell'acqua di Colonia.

BEATRICE                   - E?

SINFOROSA                - Una tazza da tè vuota.

BEATRICE                   - E?

SINFOROSA                - Via, non sgomentarti così. Ha ricevuto tutto quello che desiderava.

BEATRICE                   - E quando viene dai ragazzi?

SINFOROSA                - Ho dimenticato di domandarlo.

BEATRICE                   - (eccitata) Che orrore! Corri! Vola! (Sinforosa via di precipizio).

BEATRICE                   - Proprio il più importante doveva dimenticare! Oh Dio! E i ragazzi forse non sono neanche vestiti! (fa per uscire).

GIACINTO                   - (trattenendola) Cara, così no. Non devi essere così nervosa. Calmati, non ti allarmare, tutto sarà in ordine, i ragazzi saranno già vestiti! Via, non ti riconosco più! La. tua bella calma...

BEATRICE                   - In tempo di pace, sì, ma in tempo di guerra... Gli vado incontro. Tu chiama i ragazzi. Oh, Dio!

GIACINTO                   - Calma, calma.

BEATRICE                   - Ma non mi rendere ancora più nervosa con le tue esortazioni! Questa è la febbre dell'ultima speranza, è come il finale! Adesso debbo chiamare a raccolta tutte le mie forze in un'ultima tensione... Allarmi, .allarmi, allarmi!

SINFOROSA                - (accorrendo) Viene!

BEATRICE                   - Quando?

SINFOROSA                - Adesso.

BEATRICE                   - Subito?

SINFOROSA                - Subito, subito. Era già diretto qui, quando sono corsa via.

BEATRICE                   - Andiamogli incontro, (s'affretta con Sinforosa; via dal giardino).

GIACINTO                   - (alla porta (di destra) Ebbene, a che punto siamo? (I ragazzi entrano con Agi).

GIORGIO                     - Siamo pronti. Aspettavamo.

ARSENIO                     - Viene?

GIACINTO                   - Sarà qui a momenti. (Ad Agi) Dica un po', caro amico, dopo quanto s'è detto poco fa come tratterà il tema di Napoleone nel suo corso?

AGI                                - Come sento di doverlo fare.

GIACINTO                   - E se mia sorella la pregasse invece di trattarlo secondo i princìpi suoi personali?

AGI                                - Cercherei di persuadere S. A.

GIACINTO                   - E se S. A. diventasse, come direi... categorica?

AGI                                - Allora me ne andrei col massimo rincrescimento.

GIACINTO                   - Riverisco! (gli stringe la mano) Adesso ne so sul conto suo più di una mezz'ora fa.

GIORGIO                     - (dalla porta che da nel giardino) Vengono!

GIACINTO                   - Rimanete. Io vado loro incontro (va in giardino). Agi (sedendo) Mettiamoci così, al tavolino, come al solito. Il principe Arsenio qui; il principe Giorgio là: io al mio posto. E senta V. A. Giorgio, se è vero quello che mi diceva poco fa, che mi vuole tanto bene...

GIORGIO                     - Non si preoccupi; mi comporterò a dovere.

AGI                                - Per questa volta. Se V. A. sarà buona, questa sera si va all'osservatorio.

ARSENIO                     - (rallegrandosi) All'osservatorio!

AGI                                - Vedremo la Capella e Vega ed io spiccherò tutto il firmamento d'estate.

GIORGIO                     - Sarò buono come un agnellino. (Piccola pausa. Dal giardino s'odono voci. Il principe Alberto compare: è un giovane ed elegante generale dal viso sorridente ed affabile. Entra per primo discorrendo con Giacinto. Dietro a lui Beatrice, Sinforosa, Alessandra, Luetzen, Wunderlich. Ognuno si dispone al posto che poi occuperà).

ALBERTO                    - (continuando con buon umore il discorso già avviato) ... Dopo tutto egli è soldato e come tale ha un modo di tossire ardito, aperto e virile e, sai, mi desta sempre di soprassalto. Lui, invece, Luetzen è diplomatico: un tossire leggero, melodioso, un tossire opportuno, sai, con arte, crescendo, insinuando: ci si sveglia a poco a poco e piacevolmente. Curioso che tutti l'osservino. Buona attitudine alla riflessione, no? E’ umano. C'est humain. (Guardandosi intorno) Eh bien! Salve, cari figliuoli! (ad Agi che s'è inchinato profondamente; Buon giorno! Questo è cert il brillante professore. Vero? (Pausa) Perdìo non vi sedete? (siede e con lui tutti gli altri).

BEATRICE                   - (melliflua) Hai riposato bene?

ALBERTO                    - E'' proprio stupefacente come dormo bene da voi. Non so se sia effetto dell'aria mite, o del letto delizioso, o di tutto questo ambiente che agisce come un ristoro dell'anima. Per i miei nervi è. come un bagno di latte... davvero mi sento felice qui. Non mi canzonate, ma non dimenticherò mai questi pochi giorni, tr.a voi. Questa buona Beatrice, previdente sin nelle più piccole cure; questa antica, cara dimora... questo leggiadro sfondo di colline che piace tanto a mia madre e che è pure il mio paesaggio ideale. E questa pace che si accorda e si fonde con la pura, armoniosa vita familiare; tutta buona, brava gente! Io... io posso dire solamente che sono innamorato di voi.

BEATRICE                   - (melliflua) Noi siamo felici, Alberto, che tu ti trovi bene da noi.

SINFOROSA                - (insinuante) Non abbiamo altro scopo.

ALBERTO                    - Così la sera, quando sono solo, penso al mio povero padre ed al tuo defunto marito, Enrico... e m'immagino i due vecchi che passeggiano sulla bianca ghiaia. E il profumo di rose che entra a ondate dalla finestra...

BEATRICE                   - (sempre più accosto ad Alberto) Sono le rose di Alessandra. (pausa).

ALBERTO                    - - (ad Alessandra) Come... le tue rose ?

ALESSANDRA            - Le mie, sicuro.

ALBERTO                    - Le hai piantate tu?

ALESSANDRA            - In parte, ma sono io che le curo. (pausa).

ALBERTO                    - E... ti ci diverti?

ALESSANDRA            - Oh sì! (pausa).

ALBERTO                    - E... non ti pungono?

ALESSANDRA            - Altro! (Pausa).

ALBERTO                    - O perché non fai uso dei guanti, allora?

ALESSANDRA            - Ne faccio uso, sì.

ALBERTO                    - E ti pungono lo stesso?

ALESSANDRA            - Sì, mi pungo attraverso i guanti. (pausa).

ALBERTO                    - Mettiti dei guanti più grossi.

ALESSANDRA            - Già. Mi proverò.

ALBERTO                    - C'est ca. Così è nella vita. Bisogna difendersi!

BEATRICE                   - Certo. Come s'interessa affabilmente, vedi? E come ha ragione! 

ALBERTO                    - (modesto) Via, no... solo così... E’ vero? Si ho un pochino di pratica... Ho imparato dalla mia buona mamma, a casa. Via! (alzandosi, dopo una piccola pausa., improvvisamente. Tutti si alzano). Dunque vediamo i ragazzi. State sempre tutti qui a studiare?

ARSENIO                     - Sì.

ALBERTO                    - Tu hai sedici anni adesso, non è vero ?

ARSENIO                     - Sì.

ALBERTO                    - (a Giorgio) E tu diciassette?

GIORGIO                     - Sì.

ALBERTO                    - Come passa il tempo! Ci mangiano la pappa sul capo!

BEATRICE                   - Proprio, Alberto, proprio!

ALBERTO                    - Voialtri credete che adesso vi esaminerò, come un ispettore scolastico, non è vero?

GIORGIO                     - Non lo crediamo affatto.

ALBERTO                    - Non abbiate timore. Io sono un buon zio. Interrogo solo il signor maestro, il simpatico, giovane signor professore.

BEATRICE                   - (a Sinforosa) Sta a vedere che si innamora anche di quello lì.

GIACINTO                   - Lo raccomando calorosamente alla tua attenzione. E' un dotto e uno sportman, astronomo e schermitore.

ALBERTO                    - (accorgendosi che tutti sono in piedi) Perché non vi sedete? (Giacinto, Alessandra, Beatrice, Sinforosa siedono; gli altri no) Bravo! Questo mi piace! Questo è moderno! E di che stava trattando, ora?

AGI                                - Storia, Altezza.

ALBERTO                    - Bene; è una materia interessante. Quale periodo?

AGI                                - L'inizio del secolo XIX.

ALBERTO                    - Napoleone!

AGI                                - Appunto, Altezza, (imbarazzo generale).

ALBERTO                    - T'occupi sempre di pedagogia, Carlo?

GIACINTO                   - Sì.

ALBERTO                    - Sai che Napoleone voleva fondare a Mendon una scuola per i re?

GIACINTO                   - Sarebbe stato opportuno.

ALBERTO                    - Sarebbe stata frequentata unicamente dai giovinetti destinati al trono. Il  programma degli studi è interessantissimo. Niente erudizione, solo orientazione, punta teoria, pratica pura. Si legge nelle memorie di La Casas. Trovo quest'idea proprio geniale.

GIACINTO                   - Nessun altro fuorché lui, avrebbe però potuto effettuarla.

ALBERTO                    - Già, ma lui sì. E' tuttavia una trovata: una scuola che vi rilascia un diploma da sovrano. No? (ride. Risa ossequiose degli altri).

ALBERTO                    - (guardandosi intorno) Bene... mi rallegro di vedervi robusti e belli. Ma che belli ocelli ha questo figliolo! Che sguardo profondo!

BEATRICE                   - (alzandosi) Lo sguardo di Alessandra. Hanno gli stessi occhi. Si rassomigliano moltissimo.

ALBERTO                    - (senza rilevare l'allusione) Bada però di non leggere troppo, ragazzo mio. La lettura eccessiva rende lo sguardo irrequieto e vacillante. I più begli occhi sono quelli dei marinai che contemplano sempre grandi spazi: cielo e mare.

GIACINTO                   - Questo gli fa piacere, perché vuole appunto fare il marinaio.

ALBERTO                    - E tu?

ARSENIO                     - Io? L'esploratore!

ALBERTO                    - Dove andrai?

ARSENIO                     - Al Polo.

ALBERTO                    - A quale?

ARSENIO                     - Al Polo Sud.

ALBERTO                    - T'inganni assai se credi di trovarci più caldo che al Polo Nord! (ride) E quando ti metterai in cammino?

BEATRICE                   - (abbracciandolo) Egli si mette subito in cammino con Giorgio per andarsi a vestire per il torneo di scherma. Lo zio Alberto vuol vedere come voi tirate.

ALBERTO                    - Certo, certo: sono molto impaziente di vedervi alla prova, (i ragazzi s'inchinano). Arrivederci! (ad Agi) La rivedo, nevvero?

AGI                                -  Ai comandi di V. A. Nella sala di scherma.  

ALBERTO                    - Lei impartisce anche lezione di scherma?

AGI                                -  Sì, Altezza.

ALBERTO                    - Bravo! Quanto è versatile! Arrivederla! (Agi ed i ragazzi escono da destra. Alberto siede) Una figura simpatica, ammodo, questo giovine maestro. Mi piace moltissimo.

GIACINTO                   - Anche a me è piaciuto sin dal primo momento.

ALBERTO                    - E' un bel giovane anche.

BEATRICE                   - (a Sinforosa) Te lo dicevo: si è innamorato anche di quello

SINFOROSA                - Ti prego: non essere nervosa.

ALBERTO                    - (alzandosi improvvisamente) Bene, Beatrice e adesso sinché non incomincia la grande accademia di scherma?

BEATRICE                   - Non abbiamo molte rarità da mostrarti, qui. Però se delle belle rose t'interessano, c'è il piccolo roseto particolare di Alessandra... (Alessandra, s'alza).

ALBERTO                    - (senza entusiasmo) Straordinario! proprio! (Cerca con lo sguardo Wunderlich).

WUNDERLICH           - (avanzandosi) O, se interessa a V. A., ieri ho visto la nuova latteria, nella quale c'è una innovazione notevole. Un metodo assolutamente moderno. Il latte viene munto per mezzo di un aspiratore..

ALBERTO                    - Per mezzo di un aspiratore?

WUNDERLICH           -Precisamente, Altezza.

ALBERTO                    - Come per la polvere dei tappeti?

WUNDERLICH           -Proprio. E’ molto interessante.

ALBERTO                    - Ma fantastico addirittura! E' una cosa da vedersi davvero: non ho mai veduto nulla di simile. (Alessandra siede) E tutto questo l'organizzi tu, zia Beatrice?

BEATRICE                   - L'ho introdotto come esperimento.

ALBERTO                    - Via! Sei proprio una donna eccezionale!

BEATRICE                   - Se mi permetti un'osservazione, Alberto; la latteria è piuttosto lontana.

ALBERTO                    - Tanto meglio, così faremo un po' di moto.

BEATRICE                   - Come ti piace. Andiamo alla latteria.

ALBERTO                    - Questo poi no. Non ci mancherebbe altro che vi affaticaste per me! Ci andrò con Luetzen e col buon colonnello. Cammineremo in fretta.

GIACINTO                   - Se permetti, vengo anch'io.

ALBERTO                    - No, non lo permetto. Il mio turismo non deve scomodare nessuno.

GIACINTO                   - Ma...

ALBERTO                    - No, no... (mettendosi in moto) Ci mancherebbe ancora ch'io ti facessi correre qua e là come se fossi un forestiero. Avanti, Luetzen! Andiamo, colonnello! Mandate poi qualcuno dietro a noi (è alla porta di sinistra).

BEATRICE                   - Telefonerò.

ALBERTO                    - Ma noi si va dalle mucche!

BEATRICE                   - Già, già.

ALBERTO                    - C'è un telefono anche laggiù?

BEATRICE                   - In ogni stalla.

ALBERTO                    - Via! Sei proprio una donna straordinaria! Meraviglioso! (pausa. Improvvisamente) Addio! (si affretta nel giardino con Luetzen ed il colonnello. Pausa penosa ed imbarazzante. Beatrice siede disperata, Alessandra, profondamente offesa, esce a destra).

GIACINTO                   - Ebbene, dal roseto c'è bell'e districato!

BEATRICE                   - (alzandosi) Che cosa ti avevo detto, dunque? E mi esorterai ancora a non essere nervosa? E' stupefacente questa combinazione! Hai udito il colonnello? Appena ha accennato al roseto, ecco farsi avanti il colonnello colle mucche.

GIACINTO                   - Per caso.

BEATRICE                   - (eccitata) Ah sì? Ebbene, io voglio lottare contro questo caso.

GIACINTO                   - Ho assistito a qualche tuo attacco; non troppo fortunato, invero.

BEATRICE                   - Io non cedo sinché c'è un filo di speranza e un'ora di tempo. Adesso vedrete qualche cosa di nuovo.

SINFOROSA                - Che farai?

BEATRICE                   - (eccitata.) E’ terribile che ci sia una sola via.

SINFOROSA                - Quale?

BEATRICE                   - Una sola. Paurosa.

SINFOROSA                - Tu mi metti spavento. Beatrice.

BEATRICE                   - Sì, puoi averne, perché quello che succederà è così terribile che io disprezzerei per tutta la mia vita chi si valesse di un mezzo simile.

GIACINTO                   - Ma che ti proponi dunque, per I''amor di Dio!

BEATRICE                   - Dio perdonerà ad una madre ciò ch'ella fa per la propria creatura; ad una vedova ciò ch'ella fa per la propria famiglia. (colle lagrime agli occhi, a Giacinto) Tu me lo perdonerai.

GIACINTO                   - Io te l'ho già perdonato; ma ti scongiuro, dimmi almeno che intendi fare.

BEATRICE                   - La cosa più atroce che possa compiere una madre. Ma ora io non posso scindere in me la buona madre dalla donna sagace.

SINFOROSA                - Io ti conosco. Beatrice; se parli così, ti consiglio sin d'ora di non farlo.

BEATRICE                   - Tu, abbi la bontà di tacere. Tutta la disgrazia consiste in ciò: che l'attenzione di Alberto per la ragazza non è desta. La sua attenzione come uomo.

SINFOROSA                - Santo cielo!

BEATRICE                   - Perché? S'annuncia così spaventoso?

GIACINTO                   - Piuttosto preoccupante.

BEATRICE                   - Preparatevi a qualche cosa di più forte. Alessandra non può oltrepassare certi limiti; Alessandra non può flirtare con lui.

SINFOROSA                - Comincio a tranquillizzarmi.

BEATRICE                   - Alessandra non può... offrirsi.

SINFOROSA                - Grame a Dio. 

BEATRICE                   - Sarebbe, anche incapace e la mia fierezza non ne sopravviverebbe. 

GIACINTO                   - Dunque?

BEATRICE                   - L'interesse d'nn uomo per una donna... può solo essere risveglialo dall'interesse di un altro uomo per la stessa donna.

SINFOROSA                - Orribile!

GIACINTO                   - Non ancora! Si annuncia in modo curioso. Prosegui. Beatrice.

ALBERTO                    - deve finalmente scorgere in Alessandra la donna. Il resto è poi cosa nostra Non abbiamo tempo da perdere. Domani parte. Alessandra è intelligente e piena di tatto e Alberto  è entusiasta... del professore.  

GIACINTO                   - Oh! La cosa comincia  a farsi interessante!

SINFOROSA                - E che ne sarà del professore?

BEATRICE                   - Noi... l'inviteremo, stasera, alla serata d'addio.

SINFOROSA                - II mondo va a rotoli.

BEATRICE                   - E Alessandra gli dimostrerà particolare interesse.

SINFOROSA                - Questo... è degno della penna di Dante!

BEATRICE                   - Non mi sarei appigliata a questo estremo partito se Alberto stesso non mi ci avesse spinta; se non avesse anzi designato lui stesso il professore a ciò, col lodarlo tanto. Sono dunque costretta a valermi di questo vieto mezzuccio romantico, il precettore e la principessa. Credetemi: produce sempre il massimo degli effetti. Un rivale del suo rango è un conto, ma un dipendente... è pericoloso.

SINFOROSA                - Io non sopravviverò a una cosa simile.

BEATRICE                   - Ti ordino di sopravvivere. Alessandra guarderà il maestrino e... e Alessandra ballerà una quadriglia con lui.

SINFOROSA                - Carlo, Carlo, perché sti udendo queste orribili cose?

GIACINTO                   - Non sono orribili cose. Sono semplicemente stratagemmi femminili, dei quali voi sole fate così gran caso. E non taccio per questo. Taccio per altro motivo.

BEATRICE                   - Quale dunque?

GIACINTO                   - Taccio per il povero precettore.

BEATRICE                   - Che c'entra lui?

GIACINTO                   - Dimmi, cara: Alessandra ha forse altre volte concesso qualche sorriso al precettore?

BEATRICE                   - Come puoi farmi una simile domanda?  

GIACINTO                   - Dunque no. E non credi che s’ella improvvisamente gli sorriderà...

BEATRICE                   - Oh non temere che quel signore possa trarne, motivo di sperare mai. Ci sono io per questo.

GIACINTO                   - ... e lui. Il precettore è giovane e focoso. Io ormai non ho più l’occhio per queste cose, ma basta aver visto una volta come egli guarda la ragazza. Con reverenza, ma da uomo. Come il gatto guarda il canarino quando canta: lo ammira, ma lo divorerebbe anche, se potesse.

BEATRICE                   -  Non vorrai dire ch'è innamorato di lei?

GIACINTO                   - No, ma che il suo interesse sia eccitato è sicuro.

BEATRICE                   - E allora?

GIACINTO                   - E allora un povero, bravo giovane non è fatto perché gli si avveleni il sangue e poi lo si scacci.

BEATRICE                   - In poche parole: tu parteggi per lui.

GIACINTO                   - Io parteggio per l'umanità.

BEATRICE                   - Insemina: ti sta più a cuore un eventuale turbamento malinconico dei sentimenti del professore, che la felicità di tua sorella, di tua nipote e il destino storico della tua famiglia.

GIACINTO                   - Tu m'hai visto tante volte rivestito di questo abito che non vi poni più niente. A me preme la dignità del cuore uma mano; a me preme unicamente il sentire leale e sano; non i tuoi disegni, non il trono di Alberto, non la corona d'Alessandra; a me più a cuore l'uomo, che non è un istrumento vile ma una creatura di Dio. Al tempo in cui io solevo far correre dei cavalli, era pur necessario talvolta che uno corresse per allenare, per spronare l'altro e poi rallentasse dinanzi alla meta, per lasciar vincere la corsa al compagno. Ma era un cavallo, bimba mia. E colei che vuol valersi d'un cuore umano per... una simile manovra, che tiene in Così poco conto la pace di un'.anima, colei, sorella mia, ha bisogno al massimo grado dell’attenuante che ella è madre. Questa è la mia opinione, cara. E adesso me ne vado anch io a vedere un poco quell'aspiratore (esce frettoloso. Pausa). 

BEATRICE                   - (energico) Nulla e nessuno mi distoglierà dal mio cammino. Non piangere. Ti ordino di riporre quel fazzoletto. In questo momento sono pericolosissima. Non ti preoccupare per lui: è sempre stato d’un pezzo e non ha mai avuto garbo. Se fosse dipeso dai nostri uomini, saremmo stati spodestati sin dal secolo decimottavo. Va, e mandami Alessandra.  

 (Sinforosa esce a destra. Breve Pausa).

ALESSANDRA            - M'hai fatto chiamare, mamma?

BEATRICE                   - Tu sei atta a volere come me.

ALESSANDRA            - Oh, sì, mamma

BEATRICE                   - E se anche tu non lo fossi una volta. Così intensamente, Così saldamente come me. E’ per lo stesso fine.

ALESSANDRA            - Sì, mamma.

BEATRICE                   - Tu sai di che cosa parlo e che cosa voglio. Lo vuoi come me?

ALESSANDRA            - (fredda, seria) Lo voglio, mamma So di che si tratta, che cosa significa e  da che cosa dipende. So e capisco tutto.

BEATRICE                   - Tu capisci, piccina mia.

ALESSANDRA            - Ti capisco, ma non so che mi ordini.

BEATRICE                   - Inviteremo alla serata d’addio di quesla sera... il professore. Lo inviterai tu  stessa.

ALESSANDRA            - Io, mamma ?

BEATRICE                   - Sì. (con le lacrime agh occhi) Vedo bene, bimba mia cara, è spaventoso quello che ti dico ora... ma la disperazione dell’estrema necessità costringe la tua povera madre... Vogliami bene, vogliami bene, mia povera, povera figliuola... Vogliami bene, perchè io te ne voglio tanto.  

ALESSANDRA            - (tranquilla e padrona, di se) Mamma!

BEATRICE                   - (asciuga gli occhi) Debbo spiegarti altro? Tu sai ogni cosa, conosci e comprendi tutti i miei pensieri.

ALESSANDRA            - Li comprendo, mamma.

BEATRICE                   - Avrei voluto farti venire da Vienna il principe... Ma non siamo più in tempo. E poi non farebbe così bene al caso...

ALESSANDRA            - Come ordini. Inviterò il professore per questa sera.

BEATRICE                   - Ma non con quella cera.

ALESSANDRA            - Lo so, mamma. Con un altra

BEATRICE                   - E gli comunicherai che (scoppia in lacrime) che ballerai una quadriglia con lui (Alessandra tace) Ebbene? Perché taci?!

ALESSANDRA            - Mamma, non mi fraintendere,ma mi ci vuole un minuto per abituarmi a questo pensiero. il professore è figlio semplicemente di piccoli proprietari di campagna.  

BEATRICE                   - Purtroppo!

ALESSANDRA            - E quando penso che il mio braccio poserà sul suo...  ....

BEATRICE                   - Calzerai dei guanti lunghi, piccina mia.   

ALESSANDRA            - Non è il contatto, madre, ma il pensiero.

BEATRICE                   - Anche lui è una creatura di Dio, come noi, figlia mia, come noi.

ALESSANDRA            - Lo so.

BEATRICE                   - Chiedi tu ai fiori e alle care bestiole la loro origine?

ALESSANDRA            - No, mamma.

BEATRICE                   - (melliflua) Vedi, dunque! Tu sorridi pure ad un piccolo puledro o ad uno scoiattolo. Anche con lui saprai comportarti.

ALESSANDRA            - Sì, mamma, Così considerate le cose, vanno già meglio.

BEATRICE                   - Dunque, vedi, bambina mia...

ALESSANDRA            - Sì, ma c'è dell altro….

BEATRICE                   - Dì, liberamente: te lo concedo.

ALESSANDRA            - Anche lui è un essere come noi.

BEATRICE                   - (senza convinzione) Oh certo, certo.

ALESSANDRA            - Avrà un suo pensiero in merito a questa faccenda. E qui sta la differenza tra lui e lo scoiattolo. 

BEATRICE                   - Questo è affare che riguarda lui.

ALESSANDRA            - Ma può succedere eh egli mi fraintenda.  

BEATRICE                   - Ma tu farai in modo che ciò non avvenga. Sono tranquillissima su questo punto. 

ALESSANDRA            - Lo puoi credere, mamma. Ma questo mutamento repentino avrà tuttavia una influenza su di lui. 

BEATRICE                   - Non è cosa che ci debba preoccupare.

ALESSANDRA            - Però io debbo sapere come fare se... Dio me ne scampi, lo dico perchè bisogna pensare a tutto... se egli si sentisse attratto…

BEATRICE                   - (spaventata) Non hai osservato nulla di simile in lui!

ALESSANDRA            - lo potrei dire veramente, ma... non è calmo quando discorre con me. Non è calmo.

BEATRICE                   - Questo non è nulla, bimba mia. Questo non ti deve dar noia. Non c’è da vergognarsene. Non lascia macchia. Oh Dio… infine di questi casi ce ne sono stati tanti; Spesso degli ufficiali superiori, dei medicili. persino, si sono sentiti attratti...a.

ALESSANDRA            - Ma rilevarlo non si deve.

BEATRICE                   - Che Dio ce ne guardi! Debbono sapersi regolare da sé. Del resto in casi simili essi non sogliono mai parlare. Pongono fine da loro stessi a questo stato d'animo, spesso assai nobilmente.

ALFREDO                    - (entrando) Altezza! Il signor professore avvisa V. A. che LL.AA. i principi sono pronti per la scherma ed attendono gli ordini.

BEATRICE                   - I ragazzi vadano nella sala di scherma ed aspettino là. Il signor professore venga qui. (Alfredo esce).

BEATRICE                   - (colle lacrime agli occhi) Sii forte, mia povera figliuola! (L'abbraccia, le stringe forte la mano) Sii forte! (esce in fretta a sinistra dal giardino).

Alessandra rimane sola alcuni istanti. Durante questa breve pausa. Agi entra in costume da scherma: nella sinistra la maschera, nella destra la sciabola. Rimane, in attesa, sulla porta.

ALESSANDRA            - (ritta a sinistra, sènza guardarlo in viso) Questa notte... non c'è un avvenimento astronomico?

AGI                                - Sicuro Altezza.

ALESSANDRA            - E quale?

AGI                                - Questa notte la Vega e la Capella saranno nel loro massimo splendore.

ALESSANDRA            - Che stella è la Vega?

AGI                                - La stella principale della Lira. Una stella verde, mille volte più lucente del sole.

ALESSANDRA            - E l'altra?

AGI                                - Capella, la bella stella d'oro.

ALESSANDRA            - Lei vuol mostrarle ai ragazzi.

AGI                                - Sì Altezza; dalla torre.

ALESSANDRA            - Lei ama le stelle?

AGI                                - Assai, Altezza.

ALESSANDRA            - E lei sa ogni cosa di esse?

AGI                                - Ne so pochissimo. Altezza, ma quel poco è già in se stesso meravigliosamente bello.

ALESSANDRA            - Quest'osservazione astronomica non potrà aver luogo questa sera.

AGI                                - Come V. A. comanda.

ALESSANDRA            - Questa sera abbiamo al castello una serata d'addio in onore dell'erede della Corona. Egli parte domani.

AGI                                - Ne sono spiacente.

ALESSANDRA            - Alla serata prenderanno parte le personalità più distinte del seguito. Non saremo in molti. Ho espresso il desiderio che lei sia invitato.

AGI                                - (fa tanto d’occhi e s’avvicina di qualche passo).

ALESSANDRA            - Motivo per cui non può aver luogo l'osservazione astronomica.

AGI                                - (modestamente) Io sono felice. Altezza, e se v'è cosa che possa rendere maggiore la mia gioia, si è d'apprendere dalla bocca del FA. V. questa decisione.

ALESSANDRA            - Spero che non s'annoierà troppo, benché sarà una cerimonia di prammatica.

AGI                                -  Al seguito delle AA. VV. trascorrerò i migliori istanti.

ALESSANDRA            - Se si dovesse annoiare troppo in compagnia dei consiglieri segreti e delle Eccellenze, mi venga a cercare.

AGI                                - (stupito) Se l'A. V. consente...

ALESSANDRA            - Mi parlerà così di qualche cosa altro che degli assalti al fioretto. Poiché finora con me non ha quasi mai parlato d'altro.

AGO                              -  Non stava a me. Altezza.

ALESSANDRA            - Mi parlerà delle stelle... della stella verde e di quella d'oro.

AGI                                - Mi reputerò felicissimo. Altezza! (Pausa).

ALESSANDRA            - Curioso... ora ho paura di lei.

AGI                                - Perché, Altezza? 

ALESSANDRA            - Lei è un'apparizione aggressiva., vestito così e con la sciabola in pugno.

AGI                                -  L'A. V. mi ha visto generalmente così, nella sala di scherma.

ALESSANDRA            - Era ben diverso. Anch'io avevo una sciabola, allora. Strano, davvero! mi sento indifesa.

AGI                                - L'impressione è così cattiva?

ALESSANDRA            - Cattiva non si potrebbe dire.

AGI                                - Allora?

ALESSANDRA            - Piuttosto aggressiva.

AGI                                - (stupito) Sorprendente, Altezza. Io ho l'impressione di essere unicamente sulla difensiva, in questo momento...

ALESSANDRA            - Dunque, lei viene, vero?

AGI                                - Certo, Altezza!

ALESSANDRA            - Non le spiace per la stella verde?

AGI                                - No, Altezza!

ALESSANDRA            - Dunque, nuovamente.

AGI                                - Grazie, Altezza!

ALESSANDRA            - Prego, professore! (breve cenno del capo, poi via da sinistra dal giardino). (Agi la guarda allontanarsi con il capo eretto, lo sguardo acceso, stupito e smarrito nei suoi pensieri. Breve pausa).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Serata di gala. Sala sfarzosa, splendidamente illuminata. Porte a destra e a sinistra nella parete di fondo. In corrispondenza a queste, grandi porte di cristallo con cortine trasparenti, nel corridoio dietrostante. Musica lieve. A destra sulla scena una tavola apparecchiata per sette persone. Lunghezza della tavola: minimo m. 3.70. davanti alla tavola due sgabelli, sette sedie. È mezzanotte. Quando s’alza la tela alcuni minuti di silenzio. Cesare mesce il vino nei bicchieri, si dà attorno alle posate: po si mette davanti alla porta a destra, immobile come una statua. La porta vetrata in fondo a sinistra s’apre. Sinforosa entra. S’ode per poco, più distintamente la musica. Si balla. La porta si chiude. Sinforosa si ferma, guarda dietro a sé, se qualcuno la segue. Poco dopo la porta si riapre: appare Beatrice.

BEATRICE                   - Ho capito bene? Mi hai fatto cenno perché venga?

SINFOROSA                - Sì.

BEATRICE                   - Che cosa vuoi ? Perché tanto mistero?

SINFOROSA                - Non volevo che mi vedessero parlare in segreto con te, laggiù.

BEATRICE                   -  Perché sei così agitata? Che cosa succede dunque? Dimmi con calma quello che vuoi.

SINFOROSA                - Beatrice, mi sembra che Alessandra stia da troppo tempo seduta sotto lo specchio col professore.

BEATRICE                   - Sono felice, Sinforosa, d'essere quasi disposta, per la prima volta in vita mia, a darti ragione.

SINFOROSA                - Bisognerebbe farle capire che ormai è abbastanza, che deve lasciare il professore.

BEATRICE                   - Sta bene, Sinforosa, va e faglielo capire.

SINFOROSA                - In che modo?

BEATRICE                   - Così! Cogli occhi: (mostro il  modo).

SINFOROSA                - Benissimo!  benissimo! (l'abbraccia affettuosamente).

BEATRICE                   - Va, va, cara.

SINFOROSA                - Sei la donna più furba del mondo!

BEATRICE                   - La più furba di questa stanza... (scorgendo un moto di Sinforosa)... perché nell'altra v'è una donna più furba di me: mia figlia.

SINFOROSA                - (sospira).

BEATRICE                   - Non sospirare. Ammira piuttosto il sottile senso di misura e di tatto della sua condotta. E che effetto ha sortito! Alberto m'ha già détto due vòlte che s'accorge solo ora della di lei bellezza. Vedrai: non parte domani... e dopo domani arriva sua madre: Maria Domenica, (osservando l’impazienza di Sinforosa) Bene, bene. Tu sei impaziente. Va, cara, e ammicca a dovere. (Sinforosa s'allontana rapidamente. Beatrice si guarda attorno con un risolino beato: scorge Cesare). Cesare!

CESARE                       - Altezza!

BEATRICE                   - E’ tutto pronto?

CESARE                       - Ai comandi di V. A.

BEATRICE                   - Questo è?

CESARE                       - (accennando alla tavola) Il buffet. Cinque coperti per l'erede della corona è l'Augusta famiglia: gli altri due per il signor aiutante ed il signor professore.

BEATRICE                   - Il servizio sarà certo perfetto.

CESARE                       - Altezza!

BEATRICE                   - E il menù?

CESARE                       - Secondo il gusto di S. A. R. l'erede della corona. S. E. il conte Luetzen ebbe la bontà di confidarmi quali sono le pietanze estive preferite dall'Augusto ospite.

BEATRICE                   - Cioè?  

CESARE                       - Brodo freddo.

BEATRICE                   - Bene.  

CESARE                       - Salmone freddo. 

BEATRICE                   - Bene.

CESARE                       - Roast-beef freddo.

BEATRICE                   - Bene.

CESARE                       - Con la propria mostarda.

BEATRICE                   - Con la propria mostarda?

CESARE                       - Con la propria mostarda di S. A. R., l'erede della corona.

BEATRICE                   - Ma che cosa significa questo?

CESARE                       - S. A. R. porta sempre la sua mostarda con sé.

BEATRICE                   - Ecco una cosa nuova?

CESARE                       - II capo-cuoco sostiene che ciò fu già in uso presso gli antichi greci. I grandi personaggi portavano con sé, nei banchetti a cui erano invitati, le loro droghe speciali.

BEATRICE                   - E' tanto erudito il capo-cuoco?

CESARE                       - Sì, Altezza. Egli mi ha detto pure che i buongustai greci portavano una specie di custodia sulla lingua e che se la toglievano solamente per mangiare.

BEATRICE                   - (guardandolo severamente) Chi vi ha interrogato?

CESARE                       - Mi sono permesso, semplicemente a titolo di curiosità...

BEATRICE                   - Permettetevi solamente di rispondere alle mie domande.

CESARE                       - Sì, Altezza... E pollo freddo.

BEATRICE                   - Come? 

CESARE                       - Sarà servito del pollo freddo, dopo il manzo.

BEATRICE                   - In quanto tempo sarà servita la cena?

CESARE                       - In ventiquattro minuti. Altezza.

BEATRICE                   - Questo menù è troppo freddo per me. Fatemi il piacere di servire nella mia tazza del te caldo, senza zucchero.

CESARE                       - Temo, Altezza, che il te si riconosca dal fumo, tra le altre tazze di brodo freddo.

BEATRICE                   - Non deve far fumo, dunque. Caldo, ma non fumante.

CESARE                       - Non so ancora come potrò fare, ma eseguirò. Tutto riuscirà a puntino.

BEATRICE                   - Come me lo aspetto. (Cesare torna al suo posto).

SINFOROSA                - (entra).

BEATRICE                   - Ebbene?

SINFOROSA                - Le ho fatto cenno.

BEATRICE                   - E?

SINFOROSA                - Ella si è alzata subito.

BEATRICE                   - Bene. Mi piace che le cose vadano lisce. Adesso vedi un po' se Arsenio s'è fatto il suo impacco.

SINFOROSA                - Che madre sei!

BEATRICE                   - Credimi: non c'è altra gioia al mondo. (Sinforosa esce da sinistra. A Cesare: Com'è distribuito il servizio?

CESARE                       - Così, Altezza (Batte due volte le mani…. Al segnale compare da destra in fondo il personale in lenta, fila indiana. Davanti Alfredo col suo piatto, dietro a lui due lacchè recanti ognuno un piatto, poi due ussari della guardia del corpo coi secchi da champagne. Alfredo e i due lacchè vanno alla tavola e, volgendo le spalle al pubblico, pongono ai rispettivi posti i piatti. Contemporaneamente gli ussari mettono i due recipienti da champagne sul buffet. Poi gli ussari si pongono in parata a sinistra della porta destra di fondo, due lacchè tra la porta a destra e la porta a tergo: Alfredo in mezzo si inchina). Voilà!

BEATRICE                   - Bravo, Cesare! (Torna in fretta al la. sala da ballo. Cesare s'inchina).

CESARE                       - Ussari! (I due ussari avanzano. Li squadra da capo a piedi) Voltatevi! (gli ussari eseguiscono) Sta bene! Avanti! Dietro front! (gli ussari eseguiscono) Alfredo! (Al fredo s'avanza ossequioso).

CESARE                       - Son Allesse Royale Madame la Du chesse prendra au lieu du consommé froid, dn thè chaud. Mais du thè chaud non fumant. Le thè doit taire absolument comine couleur rimpression du consommé froid.

ALFREDO                    Yes, Sir. You may rely upon me. I shall do my best. I am righ man in thè right piace.

CESARE                       - Va bene, mio caro, va bene; grazie, grazie. (Alfredo va coi due lacchè. Gli ussari si occupano delle bottiglie e dei recipienti da champagne. Cesare li sorveglia dando ordini sommessi. Frattanto sarà entrata nel corridoio, da sinistra, Alessandra. Dietro a lei, quasi al suo fianco Agi rispettoso, ma eccitato).

ALESSANDRA            - Cesare!

CESARE                       - Comandi, Altezza!

ALESSANDRA            - Si cena qui?

CESARE                       - Per servirla. Altezza. Gli invitati cenano nella sala gialla, a tavolini separati. L'augusto ospite qui, con la famiglia in stretta intimità. S. A. R. la principessa Beatrice ha lasciato ora questa sala.

ALESSANDRA            - Se la mamma è stata qui, tutto è a posto. Non occorre che me ne occupi io. E quando si va a tavola?

CESARE                       - Tra un quarto d'ora. Altezza. Che cosa comanda. Altezza?

ALESSANDRA            - Nulla, grazie.

CESARE                       - (torna al buffet. Gli ussari escane a un suo cenno. Durante il dialogo seguente Cesare si occupa del servizio di tavola pur ascoltando).

AGI                                - Debbo riaccompagnarla al ballo?

ALESSANDRA            - No, grazie. Qui mi pare che ci sia un piccolo malinteso tra noi. Veramente quando io ho detto che andavo a dare un'occhiata alla tavola... non intendevo dire... che lei mi accompagnasse.

AGI                                - Scusi, Altezza... (fa un movimento).

ALESSANDRA            - Non importa... rimanga... (impacciata) Adesso non so... Forse sono stata un po' troppo recisa... Non volevo dire così...

AGI                                - Ma, prego. Altezza (Cesare si ritira discretamente uscendo da destra in fondo).

ALESSANDRA            - Mi scusi: sono inesperta in queste cose. Non volevo dire nulla di offensivo.

AGI                                - Lo so. Altezza. Il malinteso è derivato dal fatto che V. A. s'è alzata mentre io stavo spiegando la costellazione dell'Aquila e proprio a mezzo del periodo... ho creduto che fosse mio dovere alzarmi anch'io e ultimare il periodo camminando. Volevo dirle che quelle sette stelle formano la figura di una aquila volante, e la testa dell'aquila...

ALESSANDRA            - Mi sono alzata a questo punto.

AGI                                - Ed io non mi sono accorto che fuggiva.

ALESSANDRA            - Può darsi. Non ha parlato bene delle stelle.

AGI                                - Me ne vergogno. Altezza.

ALESSANDRA            - M'aspettavo che lei parlasse di miracoli e di misteri e invece non ha fatto che parlare di milioni di chilometri e spiegare sistemi. Non credevo che l'argomento fosse così arido.

AGI                                -  Non ho osato parlare dei sentimenti che desta in me la vista delle stelle.

ALESSANDRA            - Sarebbe... sarebbe stato più interessante.

AGI                                - Dietro alle cifre dei milioni di chilometri stanno le mie idee sulla divinità, sull'mfinito, sull'essere e divenire, sulla vita e (piano) sull'amore.

ALESSANDRA            - (con freddezza) Lei può immaginarsi così grandi distanze?

AGI                                - Sì, quando guardo V. A. (pausa).

ALESSANDRA            - (con freddezza ancora più accentuata) E l'infinito?

AGI                                - Guardando in me, stesso, (pausa).

ALESSANDRA            - E lei crede a questi miracoli?

AGI                                - Credo a tutti i miracoli. Altezza. E' ciò che mi da coraggio. Se non credessi ai miracoli, come potrei sopportare la mia vita?

ALESSANDRA            - E' così insopportabile?

AGI                                - Lo sarebbe se...

ALESSANDRA            - Se?

AGI                                - Se non avessi due vite; una esteriore, una inferiore: una vita intensa, dolorosa.

ALESSANDRA            - Strano! Non me ne sono mai accorta.

AGI                                - Perché anche V. A. crede ai miracoli... crede al mio viso freddo ed impassibile... freddo ed impassibile anche... anche quando lo si percuote...

ALESSANDRA            - (inorridita) La si percuote in viso?

AGI                                - Quotidianamente (pausa).

ALESSANDRA            - Chi la percuote? (Agi non risponde) Chi? Noi? Forse io stessa?

AGI                                - (fa cenno di sì).

ALESSANDRA            - Senza accorgermene?

AGI                                - Questi sono i colpi peggiori. Altezza.

ALESSANDRA            - Dio mio! Ma questo è ben più misterioso delle stelle!

AGI                                - V. A. assiste ogni giorno, qui, ad un miracolo: il viso, la voce d'un uomo, tutta la sua vita esteriore, sembrano lo specchio della tranquillità e dell'indifferenza, mentre... mentre l'interno è preda della fiamma. E non indaga qual'è l'origine di questo miracolo?

ALESSANDRA            - L'origine del miracolo?

AGI                                - (con crescente passione) Sa V. A. perché sopporto tutto questo? Perché insegno umile e sottomesso e taccio umile e sottomesso sempre? Perché crede. Altezza, ch'io strozzi il sentimento della, mia propria dignità? Perché sono qui dove sono; perché, perché vivo qui dove vivo e come vivo?

ALBERTO                    - (viene da sinistra con due signore).

ALESSANDRA            - Lei richiama la mia attenzione su cose...

ALBERTO                    - (di buon umore, interrompendo) Questo, dico io, è l'ideale delle figlie di famiglia. Prima del concerto, dai musicisti; prima della cena, in sala da pranzo. Da per tutto si posa il suo bello sguardo attento.

LA 1° DAMA                - Dai poveri all'ospedale, doveva vedere S. A. Alessandra, dai poveri malati!

ALESSANDRA            - Non mi lodi, contessa. Il merito spetta a lei ed alle altre signore. Io non avevo che gli onori.

SECONDA DAMA      - Oh! oh! Altezza!

PRIMA DAMA             - Oh! oh!

ALBERTO                    - Vero? Lo dice unicamente per modestia! Ti conosco! Hai lo stesso carattere magnanimo di tua madre! Buona sera, professore!

AGI                                - (s'inchina profondamente).

ALBERTO                    - (alle dame) Un brillante giovinetto, questo professore!?(passeggiando) E non solo un dotto aatrononto e un colto pedagogo, ma anche uno schermitore di prima, forza. L'ho visto tirare coi ragazzi nel pomeriggio. Posso proprio dire: c'était parfait! Absoinment parfait (sic) (s'allontana da destra con le dame chiacchierando).

ALESSANDRA            - Eccolo tutt'a un tratto più triste... per quale ragione?

AGI                                - Debbo dirlo. Altezza?

ALESSANDRA            - E' qualche cosa di spaventoso? Qualche cosa che non debbo udire?

AGI                                - (guardando Alberto che si allontana) Sono geloso. Altezza! (pausa).

ALESSANDRA            - Ora sono io a esser triste, professore. Mi vedo improvvisamente di fronte a qualche cosa d'ignoto... Credo che sia quell'infinito del quale lei parlava.

AGI                                - Questa serata... mi ha sviato.

ALESSANDRA            - Sì... questa serata...

AGI                                - Per mesi e mesi tutte le parole di V. A. furono per me brevi, taglienti... l'affabilità era falsa: solo l'indifferenza era sincera... Ed ora finalmente m'ha guardato come un essere umano, come un uomo... m'ha guardato così... e m'ha detto qualche parola calda d'interessamento...

ALESSANDRA            - Non ho detto nulla.

AGI                                - (con ardire crescente) Ma tutte le sue parole, i suoi atti, i suoi sguardi, tutto ciò m'ha sconvolto, attanagliato... ha distrutto quella disciplina interiore che m'aveva sin qui sostenuto. E' svanita in me la poesia della disperazione. Questa sera è svanita per sempre. Peccato! era qualche cosa di bello che aleggiava intorno! Sì, è successo proprio questa sera... Io non avrei mai parlato.

ALESSANDRA            - Non so... non so... che cosa debbo dirle ora... Non voglio che sia così.

AGI                                - Onesto, eccede il suo potere, piccola principessa.

ALESSANDRA            - Non mi chiami così. Che modi son questi? Non li sopporto!

AGI                                - Non mi vedrà mai più. Me ne vado, se, lo comanda. E anche se comanda ch'io rimanga... me ne vado lo stesso. La mia ragione è stata un po' sconvolta. Altezza. Domani... domani però...

ALESSANDRA            - No, no, subito, immediatamente, bisogna parlare. Non voglio malintesi. Le dirò ogni cosa.

AGI                                - Che cosa  Altezza?

ALESSANDRA            - No, no... questo non si può….

AGI                                - La scongiuro... non pregherei se non vedessi Vostra Altezza reprimere qualche cosa in sé, che lotta contro se stessa, (accesa da una speranza) Scorgo la sua titubanza... forse basterà la mia preghiera... la mia supplichevole preghiera... a farla parlare... a farle avere il coraggio di aprire il suo cuore…. a dire...

ALESSANDRA            - No, no. Lei mi fraintende di nuovo. Ma anche questo è colpa mia. Qui si tratta di qualche cosa di spaventoso.

AGI                                - Quale cosa Altezza?

ALESSANDRA            - Un tradimento, (pausa) Lei è è un uomo e ha della devozione per me.

AGI                                - Altezza!

ALESSANDRA            - E tacerà.

AGI                                - Tacerò.

ALESSANDRA            - Per sempre.

AGI                                - Per sempre.

ALESSANDRA            - Io voglio che lei mantenga alterata la sua devozione anche dopo; e voglio ritornare tranquilla, così com'ero oggi, nella mattinata. Lei è uomo d'onore e, credo, ci è amico. Ascolti dunque. La mia famiglia, mia madre, ha uno scopo solo nella vita: ch'io sposi l'erede della Corona, che io restituisca il trono ai miei... Professore, consideri il mio sacrificio per ogni parola che le dico, poiché mi pare che ad ogni parola acorra sangue... L'erede della Corona non si cura di me. Allora mia madre ha avuto l'idea... di trovare un altr'uomo allo scopo di suscitare in Alberto una certa rivalità o del semplice interessamento per me. Ora, professore, io stimo il suo dolore. Non ho mai fatto male a nessuno, al mondo. Lei è l'unico uomo quaggiù al quale io sono causa di dolore. E anche lei io non l'avrei mai colpita. Perciò son spesso con lei così aspra e fredda, perchè intuivo che lei in mia presenza era sempre turbato. Ma questa volta sono stata debole..e poi mia madre sa così bene farmi ubbidire e  sin dall'infanzia non le ho mai detto a no. Ha avuto l'idea ch'io la invitassi per questa Mira. Se avessi saputo, professore, se avessi potuto misurare subito ciò che non si può misurare, se avessi avuto l'intuizione di come risplende l'occhio di un uomo quando il suo cuore arde... e che un uomo potesse aver l'ardire di fissarmi con uno sguardo simile... (breve pausa. Va alla tavola. Siede) Professore, ho detto ogni cosa. Ora lei sa tutto.

AGI                                - (abbassa il capo).

ALESSANDRA            - Non ha nulla da replicare?

AGI                                - (a capo basso) Ha eseguito solamente un ordine? 

ALESSANDRA            - Voglio essere regina! (abbassa il capo sul braccio. Pausa).

AGI                                - Io sono annientato. Altezza! (La musica finisce) Qualche cosa s'è spezzato in me. Perché m'ha detto questo?

ALESSANDRA            - Ho fatto male?

AGI                                - Perché l'ha detto?

ALESSANDRA            - Perché la stimo. Volevo che diventasse mio amico.

AGI                                - Questo voleva? Commovente davvero! La fiaba della principessa benefica! Ma io non sono più il « mimmo » che crede alle fiabe!

ALESSANDRA            - Mi punirà?

AGI                                - Non c'è da temere. Sarò obbediente; sarò ancora servo! No, no, non abbia timore. Io taccio e servo. Non mi guardi così sospettosa. Sorridiamo e facciamo come se non fosse accaduto nulla. (Alberto entra) Non può sorridere? Vede? Io sì. Eravamo rimasti nell'Aquila. (più forte) E la testa dell'Aquila... (Giacinto entra con Beatrice e le due dame).

ALBERTO                    - Ancora qui!

ALESSANDRA            - II professore racconta delle cose tanto interessanti! Questa sera si verifica un fatto astronomico degno di osservazione.

ALBERTO                    - Dove?

AGI                                - (nervoso) In cielo. Altezza.

ALBERTO                    - Questo lo so. Ma per quali stelle?

AGI                                - Veramente non è proprio un avvenimento.

BEATRICE                   - Questa sera abbiamo distolto il nostro dottore dalle sue consuetudini privandolo delle sue care stelle. E così anche i poveri ragazzi.

SINFOROSA                - Sono così felici quando possono andare a letto più tardi del consueto, (le due dame escono in fondo a sinistra).

ALBERTO                    - Non sapevo che avevate qui una specola.

GIACINTO                   - Il mio povero cognato Enrico comprò al tempo suo un grande canocchiale. Il colonnello l'ha visto sovente.

WUNDERLICH           - Oh sì. Mi ci bruciai una volta anche la lingua.

ALBERTO                    - Col canocchiale?

WUNDERLICH           - No, Altezza. In una tazza lì vicino c'era dell'acido muriatico ed io ne assaggiai per isbaglio.

SINFOROSA                - Immagino che effetto le avrà fatto.

WUNDERLICH           - Un grande effetto. Altezza!

BEATRICE                   - Alberto, credo che sia l'ora di mangiare un poco.

ALBERTO                    - Benissimo. Di notte ho sempre un appetito straordinario, vero, Wunderlich?

WUNDERLICH           - Ringraziando Iddio, Altezza

ALESSANDRA            - (piano ad Agi) Mi spiacerebbe che si capisse dal suo viso di che cosa abbiamo discorso. (Alessandra ed Agi stanno a sinistra davanti, sulla scena; Giacinto ed Alberto nel mezzo un poco addietro; Beatrice e Sinforosa sul proscenio a destra, verso la tavola).

ALBERTO                    - Drina è immersa nell'astronomia.

AGI                                - (ad Alessandra) Mi sforzerò che non appaia, Altezza, ma temo che sia troppo tardi

BEATRICE                   - (ad Alberto) S'interessa vivamente all'istruzione dei ragazzi. Sorveglia i loro studi.   

ALESSANDRA            - Non vorrà mica ch'io debba temere di lei. Mi perdona?

AGI                                - No, Altezza. (Alberto va lentamente verso Alessandra).

SINFOROSA                - (spaventata sussurrando a Beatrice) Beatrice, tra quei due lì è successo qualche cosa.

BEATRICE                   - Non mi spaventare, se no svengo qui, in mezzo alla sala. (va verso Agi).

ALBERTO                    - (avvicinandosi ad Alessandra) Drina, abbandona ora il cielo stellato e scendi giù tra noi, sulla terra. Posso offrirti il braccio?

ALESSANDRA            - (prendendo il braccio d'Alberto, nervosa) Quale inatteso favore. Altezza!

SINFOROSA                - (a Beatrice) Vedi com'è agitato! Le sue orecchie sono rosse! Mandiamolo via subito!  ..

BEATRICE                   - Non mi far venire i nervi! Lo manderò via, sì; lascia che ci pensi 

ALBERTO                    - (conducendo lentamente Alessandra alla tavola) Mi trascuri...

ALESSANDRA            - Io? Come puoi dire eh io ti trascuri?(Agi avrà frattanto seguito lentamente Alessandra).

BEATRICE                   - (sbarrando la strada ad Agi) II professore sembra di cattivo umore.

AGI                                - No, Altezza. Con licenza di V. A., questa è la più bella notte della mia vita.

BEATRICE                   - Mi sembra nervoso, però; eccitato.

AGI                                - E' l'ambiente insolito. Altezza.

BEATRICE                   -  (sbarrando ancora la via ad Agi) il professore non sta bene. Senta, le manderemo la cena in camera sua.

AGI                                - Non me la manderà. Cenerò qui. (Beatrice si spaventa).

ALBERTO                    - Ma che cosa succede, zia Beatrice? Sei diventata anche tu un'astronoma ? Ci vuoi far morire di fame?

BEATRICE                   - (affrettandosi alla tavola) Dio me ne guardi, caro Alberto.

SINFOROSA                - (va alla tavola. Passando, dice disperata) Siamo perduti!

ALBERTO                    - Ho osservato che di notte ho sempre l'appetito più robusto.

GIACINTO                   - Sei come Luigi XIV.

BEATRICE                   - Sediamo. (Alberto ed Alessandra siedono. Ad Agi) Professore, qui. (accenna ad un posto tra lei e Sinforosa. Agi siede invece dall'altro lato di Alessandra).

AGI                                - Grazie.

BEATRICE                   - Non lì, professore... qui.

AGI                                - (seduto) Grazie, sto benissimo anche qui. (silenzio penoso. Giacinto siede scuotendo il capo).

SINFOROSA                - (bisbigliando a. Beatrice) Siamo perduti. Qui succede uno scandalo!

BEATRICE                   - (melliflua) Non so, Alberto, se ti piace il brodo raffreddato nel ghiaccio!

ALBERTO                    - Non solo mi piace, ma è proprio la mia bevanda estiva favorita.

BEATRICE                   - Oh! questo mi fa davvero piacere.

GIACINTO                   - E quanto ci vuole prima che lo portino in tavola?

SINFOROSA                - (tenera) Che caso provvidenziale!

BEATRICE                   - Lo portano, mio caro. (Cesare, i due ussari e Alfredo portano la minestra) Non si lascia in tavola appositamente perché non si riscaldi. (Ognuno ha la sua tazza. Comincia la cena. Silenzio religioso).

AGI                                - (interrompe il silenzio, rivolgendosi ad Alessandra, tuttavia senza alzare troppo la voce) E la testa d'Aquila, se infine mi riesce a concludere questa volta il periodo, è la stella detta Altair, l'Alfa Aquilae, la stella che con meravigliosa luce verde illumina questa notte. Ecco quello che volevo dire.

ALESSANDRA            - Le è costato non poca fatica a finire il periodo.

ALBERTO                    - II professore parla sicuramente molto bene, se Drina l'ascolta volentieri.

AGI                                - Io non so parlare bene. Proprio dianzi S. A. me lo rimproverava.

ALBERTO                    - Tu glielo rimproveravi?

ALESSANDRA            - Sì.

BEATRICE                   - (per cambiare argomento) Non è troppo freddo il brodo, Alberto? (comincia la musica).

ALBERTO                    - No, ha proprio la temperatura giusta.

WUNDERLICH           -La minestra di S. A. deve avere otto gradi, scala Celsio.

GIACINTO                   - L'essenziale non è il discorso ben tornito. L'essenziale è ch'egli abbia imparato e che sappia qualche cosa.

AGI                                - Per questo non so parlare bene, perché non ho fatto altro che imparare.

GIACINTO                   - Questo non nuoce mai.

ALBERTO                    - Quante ore studiava il giorno?

AGI                                - Per lo più dieci. E altrettante la notte.

ALBERTO                    - Dieci e dieci fanno venti (s'alza).

BEATRICE                   - Che cerchi, caro?

ALBERTO                    - II sale.

WUNDERLICH           -Ecco per servirla. Altezza.

ALBERTO                    - Grazie (siede, prende il sale) Rimangono quattro ore per dormire.

AGI                                - Talvolta neppure.

ALBERTO                    - E' spaventoso. Io ho bisogno di quindici ore di sonno. (Pausa).

SINFOROSA                - Io otto. (Pausa).

GIACINTO                   - Io sei. (Pausa).

SINFOROSA                - (o Wunderlich) E lei? (Lunga pausa).

WUNDERLICH           - Due.

AGI                                - Ciò varia secondo gli individui. Per esempio. Napoleone... (S'interrompe improvvisamente. Silenzio penoso. Ognuno sorbisce il brodo. Depongono contemporaneamente le tazze).

BEATRICE                   - E non può parlare bene perché ha studiato tanto?

AGI                                - La materia copiosa deve prima mutarsi, in sangue. Altezza. Deve ribollire come vino; solo allora si sprigiona da essa quel profumo di moscatella, quell'armonia di fiori che si chiama poesia. Quel po' di poeta che si nasconde in ogni uomo, aspetta sino a quel momento e tace, ed anche dopo occorrono molte cose prima ch'egli trovi il tono giusto;

ALBERTO                    - Una bella signora, no? 

AGI                                - Forse sì.

BEATRICE                   - Ma... Alberto!

GIACINTO                   - Dipende dal come è la signora. Perché ne ho viste di quelle che facevano ammutolire i poeti.

BEATRICE                   - Avevano ragione. Io non amo i poeti.

AGI                                - Dipende dall'uomo. Vi sono degli uomini ai quali le donne non hanno il potere di causare dolore. Io li invidio.

ALESSANDRA            - Perché? (Le tazze vengono portate via).

AGI                                - Perché sono l'opposto di loro. Io invece ho sempre temuto.

ALBERTO                    - Temuto? Le belle signore? Le impressioni troppo forti?

AGI                                - Unicamente quelle. Sono eccessivamente sensibile e dove un altro sorvolerebbe ridendo, io sarei forse capace di naufragare.

ALBERTO                    - Ma lei si sarà pure interessato di già a qualche bella signora!

AGI                                - Mai, Altezza, è così. Ho lasciato ora i miei libri per entrare nella vita. Sarebbe quindi un danno se m'incogliesse!

GIACINTO                   - E quale danno!

AGI                                - La prego di non fraintendermi. Non è già ch'io tema per me. Ma ho una madre. Io sono il suo unico figlio maschio. Sono il suo tutto. E poi ho anche una sorella. Non è bella, povera piccina, ma me la sono educata io. E' una brava figliola, è intelligente ed io ho lavorato molto per lei. Vorrei poterla maritare bene! (Si guarda attorno) Prego di scusarmi: m'accorgo appena ora di parlare continuamente io solo.

ALESSANDRA            - Dica, dica. M'interessa moltissimo tutto quello che lei dice.

AGI                                - E poi ho un vecchio maestro: Waldbrott.

GIACINTO                   - Dell'Università di Heidelberg?

AGI                                - II vecchio Waldbrott soleva dirmi ch'egli morirà tranquillo perché io proseguirò l'opera sua. Mi ha affidato, per così dire, le sue due grandi teorie.

ALBERTO                    - Scusi, quante ne ha in tutto?

AGI                                - Queste due.

ALBERTO                    - E gliele ha confidate entrambe?

AGI                                - Sì.

ALBERTO                    - Benissimo.

AGI                                - Sì, ed è un assunto molto onorifico, ma molto grave. Altezza.

ALBERTO                    - Certo, certo.

AGI                                - E' un assunto che implica responsabilità. Il mio maestro, mia madre, mia sorella... invece per loro soli mi preoccupo della mia misera vita... (guardando Alessandra) quando essa è in pericolo. (Silenzio. Alzando il bicchiere) Bevo alla salute della bella figlia di questa Casa. (Vuota il bicchiere distratto). (Sinforosa tocca ripetutamente Beatrice sul braccio).

ALBERTO                    - Salve! una bevuta al maestro! (tocca sorridendo il calice dei suoi vicini).

GIACINTO                   - Da dilettante, invece. Questo vino forte non va bevuto d'un fiato.

AGI                                - Non lo sapevo, padre. Confesso, che questo è il primo bicchiere di vino che bevo in vita mia.

GIACINTO                   - Che cosa dici mai!

AGI                                - In verità, padre. Anche questo doveva succedere questa notte.

ALESSANDRA            - (svuota anch'essa il bicchiere fino in fondo).

BEATRICE                   - Alessandra!

GIACINTO                   - (afferrando il bicchiere d'Alessandra) Oh! oh! proprio, stavo dicendo che questo vino non va mandato giù d'un fiato.

ALBERTO                    - So perchè Drina l'ha fatto così coraggiosamente.

GIACINTO                   - Perché?

ALBERTO                    - Ha voluto riabilitare la bevuta del professore.

BEATRICE                   - Era proprio superfluo. Di solito, tu, Drina, non bevi vino.

ALESSANDRA            - Anche questo doveva succedere questa notte.

 (Una pausa).

ALESSANDRA            - Mi piacerebbe conoscere sua sorella.

AGI                                - Sta a Dresda, Altezza.

ALESSANDRA            - La mia domanda è stupida, non è vero?

BEATRICE                   - Si, proprio.

AGI                                - No, Altezza: è una domanda accorta, perché è dolce il rispondervi. Amo mia sorella, l’amo con tutto il cuore. In tutte le ore tristi della mia vita penso a lei. In lei è viva la fede ch'io non esisto per essere calpestato, che sarebbe male il tarlo, perché anch'io sono un piccolo mondo completo.

ALBERTO                    - (ironico) Un mondo completo?

AGI                                - Sì, Altezza.

ALBERTO                    - Non sarebbe un po' troppo?

AGI                                - (ardito) No, Altezza. Io sono astronomo e l'astronomia insegna all'uomo che non si devono trascurare i più piccoli punti. (Con intenzione) I piccoli punti del cielo sono, ognuno considerato a sé, un grande mondo.

ALBERTO                    - Ognuno?

AGI                                - (più ardito) Ognuno!

ALBERTO                    - (con una certa asprezza) Forse questo lo credono solo i piccoli punti, loro soli!

AGI                                - (sempre più ardito, ma senza alzar la. voce) Oh! so benissimo che i grandi possono difficilmente immaginarselo. Essi parlano così. Dieci milioni di abitanti; un esercito di due milioni... Eppure questi sono milioni di mondi sovrani, dei quali non uno deve essere calpestato.

BEATRICE                   - (nervosa) Ma scusi, professore, chi vuole qui calpestare dei mondi?

AGI                                - Per esempio: le donne sono solite a fare ciò ridendo.

BEATRICE                   - (freddamente) Il tono è insolito, professore.

AGI                                - (amaramente) Sono molto in vena oggi, Altezza.

ALBERTO                    - L'ho detto io che parla bene. E' questo che piace a Drina. Che, il salmone? (a Sinforosa) Che cosa hai detto del salmone?

SINFOROSA                - Ch'esso è il vanto del nostro capocuoco.

ALBERTO                    - Sì? Bene. Ma che c'entra?

SINFOROSA                - Per niente. L'ho detto così...

ALBERTO                    - Già, così. Dunque i punti del cielo. Astronomia. Romanticheria. Frasi, non altro.

AGI                                - (con fuoco) Non frasi, Altezza.

ALBERTO                    - Sicuro. E frasi per signore, per fare effetto. Ogni stella è un mondo sovrano.

AGI                                - (aggressivo) Non ognuna, AItezza, invero.

ALBERTO                    - No?

AGI                                - No. Per esempio, la bianca, risplendente luna, lassù, con quel suo faccione, da personaggio importante, non ha luce propria. Riflette unicamente la luce che riceve dal sole. Invece la piccola Vega di questa sera, a cui V. A. accorda così poca stima, questa piccola, lontanissima stella modesta, appena splendente, quella, nella sua umiltà, ha una luce mille volte maggiore di quella del sole! (Sinforosa da una gomitata a Beatrice).

ALBERTO                    - Com'è bella nondimeno che sia modesta!

AGI                                - (tagliente) Non è modesta. Altezza, è solamente molto lontana.

ALBERTO                    - Per cui deve luccicare così modestamente.

AGI                                - (apertamente aggressivo) Per l'A. V. luccica così. Ma per me che so chi è, splende di una misteriosa e intensa luce tutta sua, poiché l'ha ricevuta direttamente da Dio. (Mettendosi la mano sul petto) Direttamente.

ALBERTO                    - (sorridendo) E' possibile, professore. Pare ch'io non m'intenda di queste cose

AGI                                - (risoluto) No. Altezza.

ALBERTO                    - Questo mi fa piacere! A meraviglia! Ecco finalmente una persona che mi dice esservi qualche cosa di cui non capisco nulla.

AGI                                - (caparbio) Precisamente di ciò l'A.V. non capisce nulla.

BEATRICE                   - (venendo meno) Ah! (s'alza di scatto da sedere. Spavento generale).

ALBERTO                    - (deponendo il bicchiere) Che cosa hai, zia? (s'alza) Zia Beatrice! Tu te trouves mal? (Tutti s'alzano).

BEATRICE                   - (con voce debole) La testa... Tutt'a un tratto... Laissez moi... je vous en prie. Perdonatemi. (A Wunderlich che s'è avvicinato e la sorregge) Merci, mon colonel. Lasci... (I due ussari corrono fuori e schiudono le portiere delle aperture di fondo. Wunderlich si scansa, a sinistra).

ALBERTO                    - Tu te trouves mal, tante Beatrice?

BEATRICE                   - Scusatemi... Una leggera debolezza... Mi raccomando: non se ne parli. Io mi ritiro...

WUNDERLICH           - (a Cesare) Fate cessare la musica (Cesare parla sommesso ad Alfredo, questi via. La musica s'interrompe).

ALBERTO                    - (prendendo Beatrice pel braccio) Certo, tu ti sei stancata troppo, oggi. T’accompagno in camera tua. Perché è cessata. La musica.

WUNDERLICH           - (rispondendo per Cesare) Ho pensato che V. A. per l'incidente...

ALBERTO                    - (conducendo Beatrice lentamente da sinistra) La musica deve continuare. Tanto più suonerà, e meglio sarà. (Cesare fa cenno ad Alfredo che s'allontana correndo).

BEATRICE                   - Pardonnez-moi... Merci, mon cheir. (Alberto via con Beatrice).

WUNDERLICH           - (prima d'andarsene) Musica? (Guarda Cesare. La musica riprende. Wunderlich s'allontana soddisfatto. Gli altri escono eccetto Sinforosa).

AGI                                - Anche V. A. sta male?

SINFOROSA                - No

AGI                                - E allora?

SINFOROSA                - Non so che cosa fare.

AGI                                - Io lo so. La prego di seguire le LL.. AA. E la musica prosegua. Più suonerà e meglio sarà.

SINFOROSA                - (allontanandosi a sinistra, ad Alessandra) E tu? (Alessandra rimane perplessa).

GIACINTO                   - Rimani qui. Tua madre ha proibito che tu esca di qui.

SINFOROSA                - (a Giacinto) E tu?

GIACINTO                   - Senti, Cara, voglio molto bene a Beatrice. Ma questo espediente lo conosciamo tutt'e due da trent'anni. Non spaventiamoci. Abbiamo visto tante volte questo eccellente malessere. Se vien meno quando è in piedi, allora siede, e se vien meno quando è seduta allora s'alza...

SINFOROSA                - Carlo!

GIACINTO                   - Le cose stanno peggio questa volta. Io l'avevo detto prima, oggi alle cinque

SINFOROSA                - Che disgrazia! (via a sinistra).

CESARE (si ritira).

Alessandra (siede su di un. sedile a destra).

GIACINTO                   - (serio, severo) Ebbene, figlio mio, tu hai combinato un bel pasticcio...

ALESSANDRA            - (molto eccitata) La colpevole sono io. Giacinto. Sono responsabile di tutto e sono rimasta qui apposta, affinchè...

GIACINTO                   - Tranquillizzati, bimba: so già di che si tratta. Comprendo bene come le cose siano giunte a questo punto.

AGI                                - (alzandosi impetuosamente) Non potevo sopportare più a lungo, padre. Non potevo... Pure Dio m'è testimonio che sino a questa mattina ho voluto vincermi! Ma sono uomo, padre, e sono innamorato e non sapevo ciò che dicevo. Ancora adesso non so quello che ho fatto; so unicamente ch'è spaventoso. Quando mi sono accorto che la mia povera vita silenziosa era tra le loro mani uno straccio per pulire il pavimento sul quale doveva a suo agio passeggiare un altro... allora m'è parso che qualche cosa mi si spezzasse nel cuore, e quando egli ha cominciato a deridere il mio dolore, non ho più potuto trattenere l'amarezza. Questa mi punge ancora.

GIACINTO                   - Dimmi, o figliolo: sei in collera anche con me?

AGI                                - Come dovrei esserlo, padre?

GIACINTO                   - Allora non urlare così. Io non solo ti odo, ma ti capisco anche.

AGI                                - Mi rovino, ma non do più la mia vita a così poco prezzo. Neanche a questa bella reginetta. Ieri, oggi, ancora nel pomeriggio, l'avrei data per un suo fazzoletto. Adesso m'è più cara, perché sanguina.

GIACINTO                   - Quanto hai fatto...

AGI                                - Non rinnego la mia azione.

GIACINTO                   - Non lo suppongo nemmeno.

ALESSANDRA            - Zio!...

GIACINTO                   - (accostandosi) Ebbene?

ALESSANDRA            - Siedi qui. Lo fa sedere accanto.

GIACINTO                   - (seduto sull'altro sedile) Ebbene?

ALESSANDRA            - (lo fissa con uno sguardo misterioso, poi abbassa la testa).

GIACINTO                   - (sollevandole il mento) Lo. .ami ?

ALESSANDRA            - (lasciandosi andare sulla sua spalla,, piano, ma con aria beata) Giacinto, non so... non ritrovo più la mìa anima. Ho perduto me stessa.

GIACINTO                   - (sorpreso) Caspita! Le cose stanno peggio di quello che credevo. Lasciami avvicinare ancora di più.

ALESSANDRA            - Giacinto, caro Giacinto... io, io...

GIACINTO                   - Sì, bimba; che c'è... Spiega.!, via.

ALESSANDRA            - Quel bicchiere di vino è stato anche per me il primo bicchiere della mia vita.

GIACINTO                   - Per essere la prima volta, hai tracannato a dovere.

ALESSANDRA            - (guardando Agi) Per lui. Giacinto. Perché non lo canzonassero.

GIACINTO                   - Ma guardate un po'! Che cose straordinarie mi tocca vedere questa sera! Uhm? Uhm Era buono, almeno?

ALESSANDRA            - Stordita, inebbriata... potessi morire cosi! Ma prima lui mi deve perdonare.

AGI                                - Come posso perdonarle?

GIACINTO                   - Silenzio! Io ti perdono per lui, bambina mia! (Alessandra s'asciuga le lacrime) Sfogati a piangere e non aver paura.

ALESSANDRA            - Non piango per questo  Giacinto.

GIACINTO                   - Oh, perché dunque?

ALESSANDRA            - Perché io... (accennando Agi) lo compiango assai!

AGI                                - Non mi deve compiangere.

GIACINTO                   - (dolcemente) Ti tolgo la parola, figliolo mio.

ALESSANDRA            - Non ho mai compianto neesuno così... eppure ho curato all'ospedale degli ammalati gravi.

GIACINTO                   - Ebbene, e poi?

ALESSANDRA            - (puerile, stupita) E poi... poi quando parla, dopo che gli ho fatto del male, la sua voce risuona nella mia coscienza come una campana. E questo duole. Ecco: sento di compiangerlo così.

GIACINTO                   - (preoccupato) Giusto, piccina. Temo solamente che non sia ne compatimento, ne rimorso.

ALESSANDRA            - E che cosa dunque?

GIACINTO                   - Una leggera malattia di petto! Affezione polmonare... cardiaca! (avvicina il suo capo al petto di lei. Trattieni bene il respiro. Respira! (Alessandra, respiro) Adesso di: professore!

ALESSANDRA            - (guardando Agi) Professore!

GIACINTO                   - (asciutto) Affezione cardiaca.

ALESSANDRA            - (triste e in tono di rimprovero) Ti diverti alle mie spalle. Giacinto.

GIACINTO                   - Nemmeno per sogno. La cosa è veramente seria. Quando hai cominciato a... compiangerlo tanto?

ALESSANDRA            - Poco fa. Qui in questa sala. Improvvisamente... Egli disse qualche cosa...

GIACINTO                   - Che cosa disse?

ALESSANDRA            - (guardando Agi) Egli si ricorda certo quella parola.

GIACINTO                   - Qual'era, figlio mio?

AGI                                - E' stato quando ho detto che anch'io sono un mondo compiuto.

ALESSANDRA            - No.

AGI                                - No? Allora prima, quando parlavo della poesia della disperazione.

ALESSANDRA            - Neanche.

GIACINTO                   - Insomma, quando t'ha tanto commossa?

ALESSANDRA            - Quando egli disse « mimmo ».

GIACINTO                   - Perché disse « mimmo »?

ALESSANDRA            -Disse che non era più un « mimmo » che crede alle fiabe.

GIACINTO                   - Ah! questo è stato.

ALESSANDRA            - (estasiata, sorridendo come in un sogno) Sai, io avevo sempre sentito dire ragazzo o giovinetto o bebé. Anche nella nostra famiglia si dice sempre così dei miei fratelli. E lui, poverino, diceva mimmo, coll'o trascinato, così. M'è piaciuto tanto! Ho avuto l'impressione immediata che a casa lo chiamassero così, i suoi... m'è parso d'essermi familiarizzata col suo villaggio, laggiù, dove dicono mimmo... Lo vedo: piccole acacie tónde, casucce basse, linde: e ho visto sua madre, sua sorella... che dicono a lui ancora mimmo... lo amano, si crucciano per lui! E quando l'ho guardato... i miei occhi bruciavano. (Breve pausa) Zio, non m'abbandonare!

GIACINTO                   - No, piccina mia, piccola anima spaurita! Non si abbandona chi pecca (riprendendosi., forte, convinto) ...e tu non hai peccato! Solo un'onda di tenerezza ti ha investita!

ALESSANDRA            -Come sei buono! E coraggioso anche! Come può essere che tu comprenda così bene le persone?

GIACINTO                   - Curiosa faccenda la vostra, mie care creature! Io debbo essere severo e sarò severo. Quando i puledri hanno preso la mano, la tua mamma è saltata bel bello giù dalla carrozza. Adesso tocca a me di prendere le redini. (S'alza. Molto serio) Questa è una cosa che va finita, miei cari figlioli. Non se ne può far nulla: lo sapete bene anche voi, non è vero? Già. Siete troppo avveduti per non capirlo. Me ne rammarico assai. Anche per te, figlio mio. Ciò che hai fatto qui, oggi, è... Oh Santissimo Iddio! non ti lasciar così miseramente abbattere, ragazzo mio, altrimenti non posso essere energico. Dunque, vedi un po'... (ricominciando daccapo) Quello che hai fatto qui oggi, scusa sai, ma... (in tono mutato). Te ne prego, non mi ascoltare adesso con quell'aria prevenuta: mi confonde. In verità tu, come lei, hai... (ad Alessandra) e tu non mi guardare con quell'aria raggiante, non ne hai proprio motivo. E' però inaudito! (fa alcuni passi) Inaudito come si rimane interdetti, qui! Proprio! (Si ferma protestando) Stanno lì, seduti, tacciono, guardano: non si può spiccicar parola. (Ad Agi ricominciando) Quello che tu hai fatto qui oggi, concedimelo... è invero assai incomprensibile. Bene. Adesso l'ho detto. (Ad Alessandra con collera) Perché mi guardi con tanto affetto?

ALESSANDRA            - (beata) Sei tu che mi guardi con affetto Giacinto!

GIACINTO                   - (con collera) E' questo l'imperdonabile. Sì, è proprio imperdonabile che io vi guardi così, inaudito! Sicuro, io vi guardo... e mi si stringe il cuore... ma voi... cari figlioli... voi siete giovani... puri... ed io... no, non sono nato per fare il giudice. Mi ci provo, ma mi ci provo invano. Io non posso... sentenziare... Voi siete qui, in questa bell’ora in cui l'uomo è ardito, ed ingenuo... e la fanciulla è innocente ed ingenua, ed al mio capo grigio tocca vedere ciò. Due brave, giovani creature in così dura pena, e in così grande felicità... Mai più sarete così felici... Forse non lo siete già più... è cosa che fugge come il vento. Appena la si avverte e già è via, lontana. E poi viene la realtà... ed essa vi separa. E sarà proprio così, e vi farà un po' male, miei poveri figlioli. Così fu già una volta in vita mia, molto tempo addietro, quando anch'io portavo ancora il frac e la divisa. Molto, molto tempo addietro. (Si volta. Pausa. Va, alla tavola, prende il bicchiere, piano) A. voi! (alza il bicchiere, beve un sorso, siede al posto dove Agi sedeva durante il pranzo.  Pausa. Agi ed Alessandra siedono immobili. Cesare entra piano).

GIACINTO                   - Che c'è, amico?

CESARE                       - (piano) S. A. desidera il reverendo padre e lo prega di volersi incomodare.

GIACINTO                   - Adesso? Subito?

CESARE                       - S. A. disse precisamente: subito!

GIACINTO                   - Proprio adesso che la cena cominciava a piacermi?

CESARE                       - (spaventato) II reverendo padre non è stato contento della minestra?

GIACINTO                   - Della minestra? (s'alza) Se m'avete dato del te freddo, .amaro! Non volevo neanche parlarne!

CESARE                       - Santissimo cielo! E" stato un errore! Io m'ammazzo, reverendo padre!

GIACINTO                   - Te lo proibisco, figlio. Torno subito, ragazzi. Adesso debbo andare a parlare a tua madre. Non mi compiangere! Dopo ti vengo a prendere, (Via, a sinistra. Via Alfredo. Pausa).

ALESSANDRA            - (dopo aver più volte guardato Agi) Scusi... non conosco il suo nome di battesimo.

AGI                                - Giovanni.

ALESSANDRA            - Quanti anni ha?

AGI                                - Ventinove.

ALESSANDRA            -Dove è nato?

AGI                                - A Siebenburgen.

ALESSANDRA            - In quale contea?

AGI                                - (stupito) Altezza, finalmente siamo rimasti soli... e mi chiede i connotati?

ALESSANDRA            - (sperduta, impacciata) Non so come si deve fare. Voglio conoscerla. Voglio sapere tutto di lei. (Quasi piangendo) Non so come si fa.

AGI                                - E domattina?

ALESSANDRA            - Non ci voglio pensare ancora. Ma questi pochi minuti devono essere belli. Per lei ed anche per me. (Scorgendo Cesare) Che aspettate?

CESARE                       - I comandi di V. A.

ALESSANDRA            - Ordino che la musica suoni qualche cosa; qualche cosa di proibito.

CESARE                       - V. A. mi voglia scusare, ma io non ho il diritto d'ingerirmi nella direzione artistica dell'orchestra.

ALESSANDRA            - Siete scusato. Scuso anche il povero disgraziato che ha dato il te freddo per errore.

CESARE                       - Altezza, è provato che sono stato io a dare il te freddo invece della minestra al padre Giacinto. Nessuna meraviglia in tanta confusione, questa sera.

ALESSANDRA            - Va bene. Potete andare!

CESARE                       - Sempre agli ordini di V. A. (non si muove).

ALESSANDRA            - Potete andare.

CESARE                       - Via di qui?

ALESSANDRA            - Si capisce. Di qui.

CESARE                       - Me ne debbo andare di qui?

ALESSANDRA            -Mi pare d'aver detto così.

CESARE                       - Altezza, permette una parola?

ALESSANDRA            - Ebbene?

CESARE                       - II mondo precipita. Altezza. (Singhiozza, esce piangendo da sinistra in fondo. Agi va sino all'apertura dalla quale è uscito Cesare. Rimane fermo, guardando Alessandra. Pausa).

AGI                                - (dopo aver guardato fuori) Non c'è più nessuno. Adesso gl'invitati se ne vanno. (parla piano, con calore) Finalmente siamo noi due soli, bella principessa. Solo forse per pochi minuti, saremo... e poi ciò ch'era di bello nella mia vita sarà finito!

ALESSANDRA            - (tremante) Oh Dio! se ne vada....

AGI                                - (avvicinandosi) Ha paura di me?

ALESSANDRA            - Non so, no, non credo...

AGI                                - L'ultima ora, forse l'ultimo minuto in cui posso vederla. Mi vuoi bene?

ALESSANDRA            - (quasi balbettando, come un bimbo) Se questo è amore, così, è come una volta, quand'ero piccola, con lo zar...

AGI                                - (La guarda stupito).

ALESSANDRA            - Sì, avevo visto molti ritratti dello zar, con la corona in capo, in tutto il fulgore della maestà... e poi quando venne da noi, in borghese... (triste) non lo riconobbi...

AGI                                - Bella, saggia reginetta! (s'avvicina ancora più).

ALESSANDRA            - (tremando) Non s'avvicini troppo, Giovanni. È' la prima volta che vedo un uomo innamorato! E per giunta lo è di me.

AGI                                - Ma ha propria tanta paura di me? (le prende la mano).

ALESSANDRA            - Non parli, non parli, non stia vicino! Il pensiero che lei mi tocca... Com'è fredda la sua mano!

AGI                                - E' la sua che brucia. Che cosa sente dunque, che la sua mano trema nella mia?

ALESSANDRA            - Sento come qualche cosa di scottante.

AGI                                - E'...

ALESSANDRA            - E' il mio rango, Giovanni. Sempre sento il mio rango, il titolo della nostra famiglia. Strano vero ch'io lo dica... (Pausa) Adesso, adesso vorrei offrirle da mangiare. Vorrei farle cosa gradita. Sa che anch'io adoro Napoleone?

AGI                                - Adorarlo? E' troppo.

ALESSANDRA            - Allora come? Mi dica, prego, cosa debbo fare e lo farò sinché io vivo. Adesso lei mi canzona, ride?

AGI                                - E' un riso triste. Altezza!

ALESSANDRA            -Non so. Per certo adesso dovrei dire qualche cosa di male, di proibito... Per esempio, adesso le voglio confidare ogni cosa. Sa che nella nostra famiglia abbiamo anche una commediante? Non le basta! Devo essere ancora peggiore. Sa perché non amo l'erede della Corona?

AGI                                - Perché deve diventarne la moglie.

ALESSANDRA            - No, per altro motivo. A Monaco si fecero una volta i quadri viventi, e lui interpretava una. parte da donna. Da quel tempo egli, ai miei occhi, è...

AGI                                - Albeggia, Altezza. Il tempo passe.

ALESSANDRA            - (sempre più nervosa) E' vero. Ma che cosa vuole da me? Dio mio, concedimi tu la graria di potergli piacere.. (Pausa. Improvvisa) Dica, mi vuole dare del tu?

AGI                                - (sorridendo tristemente) Altezza!

ALESSANDRA            - Rifiuta! Sa che scorre in me anche del sangue borbonico?

AGI                                - Lo so. Altezza.

ALESSANDRA            - E malgrado questo? (guardando la tavola) Su, mangia qualche cosa..

AGI                                - No.

ALESSANDRA            - Perché non vuoi mangiare?

AGI                                - Perché non ho fame.

ALESSANDRA            - (tremante) Vuoi bere?

AGI                                - No. (Con passione tremula) Ho sete di te, della tua voce!

ALESSANDRA            - (spaventata) Come mi guarda? Mentre io con tutta l'anima vorrei essere sua madre...

AGI                                - (appassionato) No. Ardere entrambi nella fiamma, e guardarti negli occhi, in fondo! guardarti... e poi vedere come i tuoi occhi si chiudono...

ALESSANDRA            -Ma che dice mai?

AGI                                - Non fermarsi. Andare avanti, sempre più lontano, nel cammino...

ALESSANDRA            - (puerile) Quale cammino?

AGI                                - (avvicinandosele) Quello che V. A. mi ha additato! Nella mia viltà io, questa sera, osavo appena sentire che sono il rivale di un re. Ma ora Io so. E so anche, ora, d'averlo vinto. Dianzi balbettavo, ma adesso, adesso vorrei cantare, perché sono giovane. Altezza, sono uomo ed ho vinto... contro ogni programma, ho vinto. Altezza! Ed ora...: ..

ALESSANDRA            - (spaurita e fissandolo negli occhi) Ed ora?

AGI                                - Domani tutto è finito. (Afferra le sue mani) Vediamo, Altezza, chi è re qui, oggi: lui od io!

ALESSANDRA            - (sentendosi mancare) Mi fa morire, abbia pietà!

AGI                                - Avrebbe dovuto apaventarsi quando tacevo.

ALESSANDRA            - (con angoscia) Ora... vuole vendicarsi di me!

AGI                                - Amo, Altezza, ed ho una vita sola!

ALESSANDRA            - (guardandolo negli occhi spaventata) Come mi odia, ora...

AGI                                - Ora non sopporto che lei mi commiseri? Gli altri saranno qui a momenti. Un istante ancora e poi sarò un servo scacciato. E deve tutto finire così! Non potrò dunque nella mia collera, afferrarla per la vita e portarla via, via sotto le sue rose, in questa notte d'estate e che questa sdegnosa bocca nell'amore..... (vuole abbracciarla).

ALESSANDRA            - (spaventata ed innamorata, schermendosi) Giovanni! (rumore a sinistra, si separano lentamente. Pausa).

CESARE                       - (entra da sinistra; dietro a lui la porta rimane aperta).

ALESSANDRA            - (andando lentamente verso di loro) Che cosa volete?

CESARE                       - S.A.R. l'Erede della Corona si dispone al riposo. Ha ricevuto un dispaccio. Do mattina arriva S. A. R. la Principessa Maria Domenica.

ALESSANDRA            - Sua madre? Qui, da noi?

CESARE                       - Sì, Altezza! (Lunga pausa) Mi permetto umilmente annunciare che S. A. R. l'erede della Corona passerà da questa sala.

ALESSANDRA            - (nervosa) Giacinto non è ancora ritornato, e noi siamo qui, così noi due...

CESARE                       - Se V. A. si degna di passate di qua, per la stanza gialla... C'è giusto il tempo.

ALESSANDRA            - (con. alterigia) Che proposta è questa? Avete forse bevuto del vino?

CESARE                       - No, Altezza. Ho perduto solamente l'equilibrio dell'anima.

ALESSANDRA            - (con orgoglio) Io non fuggo dinanzi a nessuno! (Cesare s'inchina e va a sinistra, indietro. Pausa. Dalla porta di sinistra vengono due lacchè con candelabri accesi. Dietro a loro Alberto col Colonnello e con Luetzen. Al loro seguito Cesare ed Alfredo. I due lacchè coi candelabri vanno alla porta di destra l’aprono e rimangono immobili davanti agli stipici, il colonello e Luetzen. sulla soglia). . 

ALBERTO                    - (con fare spigliato, affabile) Cara Drina, che incontro fortunato! Posso darti la buona notte? (le porge la mano) Avrei dovuto partire domani. Ma posso ora annunciarti con mia grande contentezza, che domattina la mia cara mamma mi raggiunge qui. Lo sai già?

ALESSANDRA            - Lo so, Alberto, e me ne rallegro moltissimo.

ALBERTO                    - Ella ti vuole molto, molto bene.

ALESSANDRA            - Anch'io gliene voglio assai.

ALBERTO                    - Tua madre s'è coricata, ma sta assai meglio. S'è strapazzata un po' troppo, oggi. (Giacinto entra da sinistra. Un poco dopo Sinforosa. Giacinto si avanza lentamente. Sinforosa rimane sulla soglia della porta sinistra).

ALESSANDRA            -Per la mamma è il più gran piacere quando può fare cosa gradita ai suoi ospiti.

ALBERTO                    - Ma non si deve eccedere. Mi son fatto tra me dei rimproveri, ne riceverò anche da mia madre. Fortunatamente la cosa non è grave. Buona notte, Drina! (le porge la mano. Alessandra s'inchina profondamente. Pausa. Come se scorgesse Agi solamente ora) Ah! il professore! Buona notte, professore! Ciò che ha detto era proprio interessante! E sopra tutto il modo e la maniera originalissimi. Un po' sovversivo, ma originale. Quando S. A. venne meno non potei farle le mie modeste critiche. Non mi sarei mai immaginato che lei fosse un giovine ribelle.

ALESSANDRA            - (nervosa, con un sorriso sforzato) Alberto, ti inganni...

ALBERTO                    - No, no. Erano interessantissime quelle villanie astronomiche. E il tutto in particolar modo. Questo, dico, è un temperamento. (a Giacinto) S'era messo a sedere tutto modesto tra noi e poi, con un crescendo ci ha innalzati sino al cielo... vi è rimasto e... mi ha fatto capitombolare giù! (ad Agi) Ma ha parlato con slancio. Molto chic... sempre più alto, più alto.

ALESSANDRA            -Scusa, ma questa critica Barcaetica è ingiusta, Alberto. Egli è diverso da noi.

ALBERTO                    - Me ne sono accorto.

ALESSANDRA            - (eccitandosi) E' uno scienziato e uno spìrito libero... ha diritto di parlare in modo più libero di noi?

ALBERTO                    - Tu giustifichi i suoi modi con la stessa nobiltà con la quale prima li hai sopportati. Tu sei una valorosa fanciulla, una piccola martire. Ho appreso solamente ora dalla tua mamma che tu... ah! ah! (ride ironicamente) Bei stata l'innocente bersaglio di certi sentimenti, e che hai tollerato ciò con tale pazienza, con tale bontà...

ALESSANDRA            - (eccitatissima, dopo aver guardato ora Agi, ora Alberto, nel timore di un urto) - Mamma s'inganna, Alberto. E tu pure giudichi ingiustamente. Tu non lo capisci.

ALBERTO                    - (ironico) Non è tanto facile capirlo.

ALESSANDRA            -Ma ora non lo puoi capire. Non deriderlo, Alberto! E’ uno scienziato e un poeta...

ALBERTO                    - (tranquillo) Un misero astronomo, maleducato!

AGI                                - (con una mossa) Altezza!

ALESSANDRA            - (tremante per l'eccitazione, con calore) Alberto, vai troppo oltre! Questo non lo devi dire...

ALBERTO                    - Invece sì.

ALESSANDRA            - Non sopporto che, per causa mia, qui...

AGI                                - (ad Alberto) Altezza, io...

ALBERTO                    - (calmo) Lei, lei è un vile insetto fastidioso, un piccolo verme...

ALESSANDRA            - (al colmo dell'eccitazione, camminando leggera si mette davanti ad Agi) Non una parola, Giovanni! (guardandolo) Lo proibisco! (con voce tremante) Dio mio! Giovanni... (vacilla un momento, guarda Alberto, si getta su Agi, l'abbraccia appassionatamente, lo bacia e rimane un istante sul petto di lui. Pausa. Sta un momento rigida, poi si appoggia, quasi stesse per svenire, allo spigolo della tavola. Pausa).

ALBERTO                    - (con finezza, ironico, sommesso) Pardon. La cosa è un poco diversa... Un poco, molto diversa... Allora, le chiedo scusa, professore! (s'inchina militarmente di fronte ad Alessandra ed Agi) Buona notte, (via da destra). (Sinforosa entra e, sorreggendo Alessandra semisvenuta, l'accompagna teneramente via da sinistra. Quando entrambe sono uscite Giacinto si avvicina ad Agi, quasi minaccioso, lo guarda severo, poi improvvisamente lo bacia. Indi, con sorriso affabile, s'affretta dietro Alessandra. Agi lo segue con lo sguardo)

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

Mattina. Prime ore del giorno successivo. Salone nell'appartamento riservato a Maria Domenica. A destra e sinistra porte. A sinistra nella parete di fondo, porta d'ingresso. Quando si alza. la tela, Sinforosa sta parlando con la cameriera.

SINFOROSA                - Non si sa a che ora giungerà S. A. Maria Domenica. Il telegramma dice solamente: «Questa mattina» e poiché nella mattinata non ci sono treni, non può venire che in automobile. Insomma, noi dobbiamo essere pronti al suo arrivo, in qualsiasi momento.

CAMERIERA               - Sta bene. Altezza.

BEATRICE                   - (viene da sinistra).

SINFOROSA                - (correndole incontro ed abbracciandola) Cara... carissima! Perché ti sei alzata così presto! Non sono ancora le sette. Di', di', ti senti un po' meglio?

BEATRICE                   - (con aria infelice) Non potevo dormire. Non ho mai chiuso occhio, questa notte. Sono agitata. E' in ordine l'appartamento dell'ospite?

CAMERIERA               - Tutto in perfetto ordine.

BEATRICE                   - II bagno?

CAMERIERA               - Abbiamo acceso lo scaldabagno adesso: tra mezz'ora sarà caldo, (ad un cenno di Beatrice s'allontana).

BEATRICE                   - Questa bella giornata d'estate è il giorno più arduo della mia vita; forse anche il più disgraziato! Chi me l'avrebbe detto che Maria Domenica sarebbe venuta qui per chiedere la mano di mia figlia per il figlio suo… e che io la avrei aspettata piangendo (piange)

SINFOROSA                - (l’abbraccia) Cara!

BEATRICE                   - Che cosa fa Alberto?

SINFOROSA                - Dorme.

BEATRICE                   - Uomo beato! E Alessandra?

SINFOROSA                - E' uscita a cavallo sino dalle sei. Sola.  Ho sentito ch'è stata da te,  di sopra.

BEATRICE                   - Quell'uomo... è ancora qui?

SINFOROSA                - Sì, ma...

BEATRICE                   - (nervosa) E' qui?

SINFOROSA                - Sì, ma...

BEATRICE                   - (scattando) Non c'è « ma » che possa giustificare la sua presenza qui.

SINFOROSA                - Ma sta facendo appunto i suoi bauli.

CAMERIERA               - (Entrando) Un'automobile! E' entrata in questo momento nel parco! Ci sono due signore dentro.

BEATRICE                   - (eccitata) Ora comincia il mio calvario. Sinforosa, rimani accanto a me! Dove è Giacinto?

SINFOROSA                - E' andato a passeggio.

BEATRICE                   - Non lo voglio vedere. Questa notte l'ho mandato a chiamare per dargli una lavata di capo. E lui l'ha data a me. Che non mi venga più davanti!

SINFOROSA                - Ma perché dunque sei tanto in collera con lui?

BEATRICE                   - Perché ha ragione.

CESARE                       - (entrando da sinistra) Altezza, l'automobile è arrivata.

BEATRICE                   - Veniamo! Veniamo! (va. in fretta con Sinforosa. Cesare esce dalla porta in fondo. La porta rimane aperta. Si odono, le voci: saluti, d'arrivo).

DOMENICA                 -  (entra con Beatrice e Sinforosa. Indossa un mantello da auto. Dietro a lei la contessa che l'aiuta a spogliarsi e passa alla cameriera il velo, il cappello. La cameriera porta via ogni cosa) ... semplicemente così, mia cara; questa mattina all’ alba, alle quattro, mi sono messa in cammino. D’estate non viaggio volontieri di giorno. Non sopporto il caldo. La vettura ha filato meravigliosamente: neppure tre ore per più di duecento chilometri.

BEATRICE                   - Ma a che ora ti sei alzata allora?

DOMENICA                 - Alle due e mezzo. Voi ballavate ancora allegramente, non è vero .

BEATRICE                   - (sospira).

SINFOROSA                - Che donna straordinaria sei! Come sei giovane, tu!   

DOMENICA                 - (animata) Per mio figlio qualsiasi cosa!

(BEATRICE sospira).  

DOMENICA                 - E' la seconda volta che sospira.

BEATRICE                   - Pensavo al mio povero caro marito. Quanto ti voleva bene!

DOMENICA                 - Anch'io gliene volevo molto!

BEATRICE                   - Va, vedi se tutto è pronto. Non ti aspettavamo così presto.

SINFOROSA                - Vado a vedere un momento che nulla ti manchi, cara!  

BEATRICE                   - Vuoi fare subito colazione!

DOMENICA                 - Grazie, più tardi. Prima di partire s'è preso il te. Contessa, dica a Luetzen che non stia a svegliare mio figlio, per me. Che non tossisca prima dell'ora stabilita! (la contessa esce da destra) Dunque sento che avete vegliato tardi. Vi sarete divertiti insieme ad Alberto, eh? Lui se la gode. M immagino come si trova bene qui.

BEATRICE                   - Oh! è Così alla mano!

DOMENICA                 - Non essere così modesta. Chi sa che cosa non avete fatto per distrarlo e fargli piacere!  

BEATRICE                   - (amara) Oh Dio, quello che se potuto!  

DOMENICA                 - E adesso, tesoro, veniamo subito al fatto. Io sono una donna semplice e pratica lo sai. Non per nulla a Vienna mi chiamano « la cuoca ».

BEATRICE                   - Oh!

DOMENICA                 - Non protestare: lo so e me ne vanto. Prima di tutto dammi un bacio speciale. Così. Dunque al fatto. Spero che ti immaginerai perché sono qui.

BEATRICE                   - Oh, Domenica.

DOMENICA                 - Sono volata qui, felice come una innamorata. Non ho accolto il mio fidanzamento stesso con una così gioconda impazienza... il mio povero marito, il povero Vittorio! Via con altrettanta, per lo meno. Ma al fatto dunque! Mio figlio vuole sposare tua figlia, (s'alzano. Si baciano. Risiedono. Beatrice piange). Non piangere. Beatrice! Non è il caso, no.

BEATRICE                   - No, proprio... ma sono tanto agitata...  

DOMENICA                 - Calmati, cara! E' un momento che dobbiamo passare tutti. Sua Maestà da ben volentieri il suo consenso a queste nozze. E mio figlio m'ha mandato ieri un lungo dispaccio. M'ha telegrafato che per quanto gli piaccia Alessandra, senza di me non sa dichiararsi. Senza, di me, lo sai, non fa un passo.

BEATRICE                   - Che bravo figliuolo!

DOMENICA                 - Sì, lo è proprio! (solenne) Felice il popolo che avrà un tale re! Ma non allontaniamoci dal fatto. Scrive dunque, che gli pesa di continuare a reprimere i propri sentimenti, che desidera la mia venuta per potervi dire quanto è entusiasta di voi e come potrebbe essere felice tra voi. (si alzano, si abbracciano. Si baciano. Risiedono).

BEATRICE                   - Oh Domenica mia!

DOMENICA                 - Non c'è da farne meraviglia. Tua figlia è una creatura perfetta. Bella, buona, intelligente, riservata. Questo è soprattutto quanto mi piace in lei: quei suoi modi distinti, castigati.;

BEATRICE                   - Come sei buona!

DOMENICA                 - Non ho forse ragione? Quel fare troppo lìbero che in questi ultimi dieci anni c'è stato importato dall'estero, è divenuto troppo comune anche nelle nostre figliole. Ma la tua è seria, altera, dignitosa, persino un po' troppo riservata, forse... con gli inferiori e anche forse un poco esageratamente fredda. 

BEATRICE                   - Oh! fredda? Non lo si può dire!

DOMENICA                 - Già, ma è quello appunto che mi piace in lei.  

BEATRICE                   - Negli ultimi tempi ha mutato. Adesso è espansiva verso gl'inferiori.

DOMENICA                 - Così s'esaudisce anche il voto dele mio povera marito. Questo matrimonio… lo sai... 

BEATRICE                   - Era il più caro dei suoi pensieri.

DOMENICA                 Io mi rallegro molto. Beatrice ostacoli che s'opponevano a queste nozze sono scomparsi, (sospira profondamente)

BEATRICE                   - Adesso sei tu che sospiri.

DOMENICA                 - Perché nasconderlo Beatrice? Non è un gran vanto per i nostri diplomatici che mio figlio sposi per amore. Mi spiace che dei diplomatici lo costringa a seguire la voce del suo cuore.

BEATRICE                   - Per lui è forse meglio così.

DOMENICA                 - Se avessimo un Metternich, Alberto sarebbe molto infelice, ma chi sa che matrimonio farebbe! Non avertene a male della mia sincerità. Ma la dinastia... Non siamo al mondo per la nostra felicità personale.

BEATRICE                   - Oh no!  

GIACINTO                   - (venendo dalla porta dal fondo) Ti bacio la mano! (abbraccia Domenica).

DOMENICA                 - Carlo!

GIACINTO                   - (baciando Beatrice sulla fronte) Buon giorno. Beatrice. Stai benone. Domenica.

DOMENICA                 - E tu per primo! Sei qui per le vacanze estive?

GIACINTO                   - Sono venuto per pochi giorni. Ma forse disturbo i vostri discorsi...

DOMENICA                 - Al contrario. Spero che non occorra ti dica nulla. Mi vedi qui e sai tutto.

GIACINTO                   - E ne sono felice! (afferra la sua mano e la bacia). In poche parole: voialtri vi portate via la nostra piccina, eh Domenica?

DOMENICA                 - Appunto, Carlo. Ve la rubiamo senza pietà. Dorme ancora?

BEATRICE                   - No. E' uscita per tempo a cavallo.

DOMENICA                 - Quando la posso vedere?

BEATRICE                   - (spaventata) Quando tu la puoi vedere? Ah! Dio mio! (è in imbarazzo crudele. Si preme la mano sulla fronte) La mia testa... oh Dio! (vacilla, accenna a sentirsi mancare).

GIACINTO                   - (ad alta voce) Te ne prego, carissima, ti esorto anzitutto a non sentirti male. Tu non devi assolutamente svenire, ora!

DOMENICA                 - Ma che cosa succede, cara?

BEATRICE                   - Già, questa notte, a cena, mi sentii improvvisamente mancare...

GIACINTO                   - E questo fu male assai da parte tua.

BEATRICE                   - Ma Carlo...

DOMENICA                 - Se proprio ti senti male...

GIACINTO                   - Allora si sente male davvero. Anch'io in questo momento non sto bene. Ma ti prego, non svenire ora, siediti! (Beatrice siede impaurita).

DOMENICA                 - (andando spaventata verso di lei) Ma che c'è dunque mai?

GIACINTO                   - (trattenendola) Te lo dirò. Domenica.

BEATRICE                   - (inorridita, con voce supplichevole) Carlo! Carlo!

GIACINTO                   - Calma! Adesso parlo! Domenica, non si pretende a torto che tu sia la donna, più intelligente della Mitteleuropa.

DOMENICA                 - Ma Carlo!

GIACINTO                   - Lasciamo la modestia. Di onesta tua grande sagacia puoi dare subito prova tra noi ora. Qui c'è una piccola difficoltà, Non lo dico io, questo, ma la timorosa. Beatrice! Qui è successo un piccolo guaio...

DOMENICA                 - Gesummaria! Non ad Alessandra 

GIACINTO                   - Eh? non lo dicevo io, che è la donna più intelligente...

DOMENICA                 - Ad Alessandra... è successo?

GIACINTO                   - No, ma quasi.

DOMENICA                 - Ma che cosa è successo dunque benedetto Iddio?

GIACINTO                   - Semplicemente questo: che Alberto è qui da alcuni giorni e s'è comportato come... un pesce.

DOMENICA                 - Come un pesce? (Domenica siede a sinistra. Beatrice a destra. Giacinto sta nel mezzo).

BEATRICE                   - Come puoi dire una cosa simile?

GIACINTO                   - Sì. Freddo e muto come un pesce.

DOMENICA                 - Povero Alberto! fu per me Senza di me non voleva...

GIACINTO                   - Questo nessuno al mondo lo poteva sapere! E meno di tutti Alessandra che aveva ed ha tanta simpatia per lui, e che si sentiva profondamente colpita da siffatta in differenza.

DOMENICA                 - Fu davvero tanto strano?

GIACINTO                   - Al massimo grado. Egli è un figlio esemplare, ma è un pessimo pretendente. Così è. Tuo figlio qui è adorato da tutti: anche dalla ragazza e da questa buona madre.

DOMENICA                 - Cara, carissima.

GIACINTO                   - Peggio ancora. La ragazza non dormiva più, piangeva tutta la notte.

DOMENICA                 - Ma è atroce!

GIACINTO                   - Tutti quelli che la vedevano ne soffrivano: sua madre, io, i ragazzi, il professore.

DOMENICA                 - (sospettosa) Che professore?

GIACINTO                   - (sudando) Eccoci al fatto, (guardo Beatrice) Abbiamo un precettore per i ragazzi. Un giovane colto, piacevole, carissimo. E qui è successa una cosa stupefacente che  solo l'adorazione per tuo figlio...

BEATRICE                   - (terrorizzata, supplichevole) Carlo?

DOMENICA                 - Dunque?

GIACINTO                   - Con un pensiero tutto femminile si ritenne che questo professore fosse adatto a stuzzicare l'interesse di Alberto nella serata, di ricevimento di ieri. Fu una sciocchezza! Ma anche in questa riconoscerai l'affetto sviscerato per il tuo figliolo.

DOMENICA                 - Che trovata graziosa ed ingenua!

GIACINTO                   - Non é vero? (guarda Beatrice trionfante) Ma qui avvenne l'impreveduto. Si è trovato che... che questo professore, persona seria, distinta, correttissima, era, figurati un po', era nientemeno che segretamente innamorato di Alessandra!

BEATRICE                   - (s'alza. Piccola pausa).

DOMENICA                 - (energica) Sono casi che capitano. (Beatrice siede rassicurata).

GIACINTO                   - (guarda trionfalmente Beatrice) Non c'è poi da farne meraviglia! La vede ogni giorno. E' bella, cortese, un poco altera! in fin dei conti è il vecchio motivo romantico! Pensa a tutti i romanzi: precettore e principessa.

DOMENICA                 - Dunque?

GIACINTO                   - Dunque, immaginati, questo povero giovane, perdutamente innamorato! Immaginatelo in questa commedia innocente! Figurati come e quanto egli abbia sofferto, indicibilmente sofferto quando s'è accorto di essere un mezzo, un puro mezzo per raggiungere lo scopo...

DOMENICA                 - La colpa è di Alberto. Perché non ardì parlare? Trovo esagerato da parte sua.

GIACINTO                   - Lo fece per te. E' incredibile, che figlio obbedientissimo hai in lui!

DOMENICA                 - E' però un conforto pensarlo... (con le lagrime agli occhi) Dunque, e poi?

GIACINTO                   - (sudando) Dunque, questo giovane cenò con noi, ieri sera. Il martire (debbo pur chiamarlo così), questo povero essere sacrificato, soffrì nella parte assegnatagli, tali tormenti che le lagrime mi spuntano sul ciglio al solo ripensarvi...

DOMENICA                 - Non mi meraviglio. E' davvero commovente.

GIACINTO                   - E quella povera ragazza, ch'è la bontà stessa, non ne poteva più di vederlo patire e l'avrebbe volentieri mandato via; ma il professore solo per volontà della famiglia, solo per il bene d'Alessandra, per la felicità di tuo figlio, il professore continuò la sua parte, col cuore sanguinante...

DOMENICA                 - Poverino!

GIACINTO                   - Sinché... sinché Alberto, che non poteva saper nulla di nulla, l'offese.

DOMENICA                 - (sdegnata) Offese il professore?

GIACINTO                   - Sicuro.

DOMENICA                 - Quel povero giovine?

GIACINTO                   - Qoel povero giovine, proprio.

DOMENICA                 - Ma che fece dunque, Alberto?

GIACINTO                   - Gli diede del vile insetto, del verme e che so io.

DOMENICA                 - Ma è orribile! e tu non ti sei interposto ?

GIACINTO                   - Come potevo?

DOMENICA                 - E il povero giovine?

GIACINTO                   - Che poteva mai fare? Chinò il capo. Il cuore mi si spezzava a quella vista.

DOMENICA                 - Povero disgraziato! E Alessandra?

GIACINTO                   - (sudando) Mi fa piacere che tu commiseri quel giovinetto.

DOMENICA                 - E Alessandra?

GIACINTO                   - Tu non solo sei la sagacia, ma. anche la bontà personificata.

DOMENICA                 - E Alessandra?

GIACINTO                   - Se tu l'avessi visto lì, quell'infelice, laborioso, scienziato, sai: un astronomo! col suo amore sconfitto, disperato, muto, col suo sogno distrutto, col cuore dilaniato, e come Alberto gli menava stoccate penetranti ed agili, e lui lì, a capo basso, vergognoso, annientato, dopo essersi sacrificato così per la nostra causa... sai, una fedeltà simile, un martirio così, via, dimmi tu come donna se un uomo così non ha un nobile cuore.

DOMENICA                 - (sincera) E come!

GIACINTO                   - E' un uomo da scacciarsi e da disprezzarsi?

DOMENICA                 - Mai più!

GIACINTO                   - (con fuoco crescente) E' un uomo da offendersi? Un uomo da maltrattare? Da punire?

DOMENICA                 - Dio ce ne scampi!

GIACINTO                   - (sempre più infervorato) Sì, io tì domando: è un uomo da licenziare? da schernire? da maltrattare? o non è invece un uomo da... come debbo dire, da... non so io stesso! un uomo, un uomo da...

DOMENICA                 - Da abbracciare!

GIACINTO                   - Ecco: proprio quello che gli è successo! (si lascia cadere stanco in una poltrona, s'asciuga la fronte).

DOMENICA                 - (trasalendo) Come? Che cosa gli è successo?

GIACINTO                   - Quello che hai detto tu stessa. Aleesandra l'ha baciato.

DOMENICA                 - Alessandra?

GIACINTO                   - L'hai detto tu.

DOMENICA                 - Io? Sì. Ebbene sì.

GIACINTO                   - Non potendo più assistere al suo tormento, quando Alberto l'ha offeso, Alessandra l'ha baciato in presenza d' Alberto e mia... dobbiamo inchinarci davanti a lei!»

DOMENICA                 - Brava! Coraggiosa! (solenne) Felice il popolo che avrà una regina simile!

GIACINTO                   - E se lo vuoi sapere, anch'io l'ho baciato, quel povero diavolo!

DOMENICA                 - Hai fatto bene! Luigi XVI dopo il parto difficoltoso della regina, baciò un'ancella. (energica) Sono casi che capitano! (piccola pausa) Dunque, dunque questa è la cosa così spaventosa.?

GIACINTO                   - Sì. (accennando a Beatrice) E' tutta sconvolta. Ma, anche indipendentemente da ciò, ella è in collera col professore.

BEATRICE                   - (già rassicurata) Io? io la penso come Domenica. Non sapevo che lei giudicava come me,

GIACINTO                   - Tu sei in collera contro il maestro per via di Napoleone. Egli, sai, sta insegnando ai ragazzi...

DOMENICA                 - Anche a te non piace questo Napoleone ?

GIACINTO                   - Come no?

DOMENICA                 - Sai, nella biblioteca del mio povero marito, c'è una rarità: un libriccino francese in cui è dimostrato per filo e per segno che Napoleone non è esistito mai. Te lo manderò. Leggilo. E' molto rassicurante. Bene, carissima, questo era dunque il grande affare?

BEATRICE                   - Sì.

DOMENICA                 - Povero maestrino! Adesso comincia ad interessarmi. Che ne sarà di lui?

BEATRICE                   - Sta facendo i suoi bagagli. Capisce che dopo simili fatti egli non può rimanere qui neppure un minuto.

DOMENICA                 - Sta bene. Ma lo licenziate così!

BEATRICE                   - Sai, cara, il disgraziato è ora come un domestico congedato.

DOMENICA                 - Coi domestici bisogna essere cauti. Le cose debbono essere messe a posto prima che egli se ne vada per il mondo. Da quella gente lì vengono poi gli scritti di memorie, i conferenzieri d'America o i pubblicisti dell'Opposizione. Ho purtroppo un'esperienza dolorosa di simili cose. Precettori, aiutanti, sono fonti di calamità. Gli parlerò io.

BEATRICE                   - Ti ringrazio, o saggia consigliera.

DOMENICA                 - Se fossi stata qui, t'avrei detto subito che bisogna lasciare in disparte i precettori: un precettore va tenuto lontano da una principessa come un fiammifero da una bottiglia di benzina. E ancora una massima: non bisogna precipitare mai le cose. Se aveste aspettato un giorno di più, sarei stata qui io. C'è un vecchio proverbio inglese che dice: « chi vuole arricchirai in quattro settimane, è già impiccato nella prima settimana.

GIACINTO                   - (con intenzione) In Inghilterra!

DOMENICA                 - Dunque... quando potrò vedere il maestro? (la cameriera entra da destra).

BEATRICE                   - Subito. E' tutto pronto?

LA CAMERIERA        - Sì, Altezza.

BEATRICE                   - Andate a chiamare subito Cesare. (la contessa e Sinforosa vengono da destra).

SINFOROSA                - Cara Domenica, tutto è in ordine e per di più una sorpresa t'aspetta nel tuo salone.

DOMENICA                 - Alberto? S'è alzato così per tempo? Per amor mio? Hai ragione: è una sorpresa ed un piacere. Vado! (si muove) Frattanto fammi venir qui questo professore.

BEATRICE                   - Te lo farò mandare subito. Ma temo che non te la caverai facilmente con lui.

GIACINTO                   - Vogliamo scommettere che anche tu in cinque minuti lo sbrighi?

BEATRICE                   - Non scommetto più, Carlo, dal 1886 in cui scommisi col mio povero marito che avrei avuto un maschio.

GIACINTO                   - Ed avesti invece una bambina?

BEATRICE                   - Due. Carlo, due alla volta. Venga, contessa.

DOMENICA                 - Andiamo, contessa, (la contessa e Sinforosa seguono Domenica.

Pausa.

Giacinto e Beatrice si guardano a lungo. Giacinto sorride trionfante).

BEATRICE                   - Tu sei un cuore d'oro, Carlo, e un cervello fino.

GIACINTO                   - (fa per uscire).

BEATRICE                   - (rincorrendolo) Caro, senti: sono stata molto ingiusta verso di te. Che cosa debbo fare perché tu mi perdoni?

GIACINTO                   - (davanti alla porta a destra) Anzitutto ti prego di non cadermi più addosso. Domani poi scriverai cento volte in un quaderno da scuola queste parole: «Talvolta anche le vecchie scope spazzano bene». (Esce da destra).

BEATRICE                   - Garbo non ne ha assolutamente. (Cesare entra).

BEATRICE                   - Scendete e dite al signor dottor Agi che salga subito e che aspetti qui. S.A. la principessa Domenica desidera parlargli.

CESARE                       - Sarà fatto. Altezza.

BEATRICE                   - Che colazione servite a S. A.?

CESARE                       - Te con salmone freddo, roast-beef freddo, pollo freddo.

BEATRICE                   - Ma Cesare, questa è la cena si ieri sera!

CESARE                       - Scusi, Altezza. E' la colazione di stamane. L'ho servita in tavola all'una dopo mezzanotte e sinora nessuno l'ha assaggiata.

BEATRICE                   - Ma vaneggiate!

CESARE                       - Come dice V. A. Servirò un'altra colazione.

BEATRICE                   - E perché siete così pallido?

CESARE                       - Non ho dormito. Altezza. Ho sofferto. Soprattutto per il te. Per il formidabile errore. Al Padre Giacinto venne servito il te caldo ed a V.A. il brodo freddo.

BEATRICE                   - Fu un bene. Se in quel momento terribile non ci fosse stato quel sorso di brodo diaccio, forse sarei caduta in deliquio. M'ha, fatto riavere.

CESARE                       - Questa notte m'è caduta una tegola sul capo, ed ora mi si leva una pietra dal cuore.

BEATRICE                   - Non punite il colpevole dello sbaglio.

CESARE                       - Come dice V. A. Dobbiamo forse accordargli una piccola gratificazione?

BEATRICE                   - Non passiamo da un estremo all'altro. Che il professore aspetti qui! (esce da destra. Cesare va verso la porta a sinistra. ma questa s'apre: entra Alessandra).

ALESSANDRA            - E' arrivata la principessa?

CESARE                       - Sì, Altezza.

ALESSANDRA            - Dov'è?

CESARE                       - Qui, Altezza, (accenna la destra) Credo che si stia vestendo, dopo la lunga gita in automobile.

ALESSANDRA            - E che cosa fate qui?

CESARE                       - Vado dove m'hanno mandato.

ALESSANDRA            - E dove v'hanno mandato?

CESARE                       - Dal signor professore Agi.

ALESSANDRA            - (nervosa) Che cosa si chiede al professore Agi?

CESARE                       - Che venga ed aspetti qui.

ALESSANDRA            - Sta bene. Andate e fatelo venir qui. (siede).

CESARE                       - Ma... se V. A. permette, debbo far venire qui il professore...

ALESSANDRA            - II signor professore...

CESARE                       - II signor professore perché parli a S. A. Maria Domenica.

ALESSANDRA            - Voi non vi dovete curare del motivo: dovete fare quello che vi è stato ordinato. Fate venir qui il signor professore.

CESARE                       - Sì, Altezza, (via. Breve pausa. Entra Agi in costume da viaggio).

AGI                                -  V. A. m'ha fatto chiamare?

ALESSANDRA            - No. Ma sono qui perché so che l'hanno mandata a chiamare.

AGI                                - V. A. desidera?

ALESSANDRA            - Che vestito è quello?

AGI                                - Da viaggio.

ALESSANDRA            - Tenuta di partenza?

AGI                                - Anche. Sono venuto qui da un luogo qualsiasi; me ne vado in un altro luogo qualsiasi. (pausa) Che cosa desidera V. A.?

ALESSANDRA            - E che ne sarà dei ragazzi?

AGI                                - Non lo so.

ALESSANDRA            - Non le dispiace di lasciarli?

AGI                                - Certo, moltissimo! V. A. desidera?

ALESSANDRA            - La principessa Maria Domenica, madre dell'erede della Corona, è arrivata.

AGI                                - Lo so.

ALESSANDRA            - E sa anche perché è venuta?

AGI                                - Anche questo so.

ALESSANDRA            - E... (pausa) Sieda, prego.

AGI                                - Grazie, (rimane in piedi).

ALESSANDRA            - (alzandosi) Non ho ancora parlato con la principessa. Non l'ho neppure veduta, ma, tra un minuto, forse, l'incontrerò. E allora mi dirà perché è venuta, (pausa).

AGI                                - Sì.

ALESSANDRA            - E' questo quanto lei pensa intorno a questi avvenimenti?

AGI                                - Press'a poco.

ALESSANDRA            - Non capisco perché sia sarcastico, ora.

AGI                                - Non sarcastico, ma diffidente. Io non sono più un ragazzo che creda alle fiabe.... « ragazzo ».

ALESSANDRA            - (con intenzione) -.. « ragazzo »?

AGI                                - Sì, Altezza: ragazzo.

ALESSANDRA            - (severamente) Come si comporta con me, ora?

AGI                                - Col maggior ossequio. Altezza.

ALESSANDRA            - Che significa questa commedia? Ha dimenticato ciò che è successo questa notte?

AGI                                - L'ho dimenticato. Altezza.

ALESSANDRA            - Ali sì? Anche il momento in cui io...

AGI                                - Anche quello. Altezza!

ALESSANDRA            - E' tanto facile da dimenticare?

AGI                                - Questo non l'ho detto.

ALESSANDRA            - Se l'avessi saputo...

AGI                                - Doveva saperlo.

ALESSANDRA            - Che lei lo avrebbe dimenticato...

AGI                                - Io, debbo dimenticarlo; V. A. deve smentirlo... e, il terzo non deve neppure averlo visto.

ALESSANDRA            - Io non lo smentisco ed egli ha visto. M'accorgo che lei ha ricevuto da me un regalo troppo prezioso, molto più prezioso di quanto meritava. Forse... un regno.

AGI                                - Questo non è niente di grande. E' già avvenuto che lo si volesse dare per un cavallo.

ALESSANDRA            - Per di più m'offende? Lei parla come un fanciullo caparbio.

AGI                                - No, Altezza... il modo col quale parlo oggi, agisco e scompaio di qui è la risposta  al bacio di Vostra Altezza.

ALESSANDRA            - Non le ho chiesto di pronunciare questa parola.  

AGI                                - II pronunciarla non nuoce; più doloroso assai fu il ricevere l'atto che la parola implica.    

ALESSANDRA            - (offensiva) Più doloroso del dare?   

AGI                                - Oh sì! Io vi sentii tutta la pietà, ma anche tutto il disprezzo. Fu un gesto d'orgoglio. Significava ch'io non sono un essere umano, o un essere che non conta, come un bimbo, o una bestia.

ALESSANDRA            - Così l'ha considerato?

AGI                                - Se non l'avessi considerato così...

ALESSANDRA            - Allora?

AGI                                - Lo avrei ricambiato così che non avrebbe avuto fine.

ALESSANDRA            - Insomma: è stata una sciocchez za da parte mia.

AGI                                - E' stato troppo. Altezza... Troppo in una volta sola. Perciò era da diffidarne.

ALESSANDRA            - Diffidarne?

AGI                                - Sì. Perché a tanto non eravamo giunti ed io, l'ebbi così... tutt'a un tratto. Poi venne l'alba, e l'aria si rinfrescò. Dopo il bacio, uscii nel parco, per ritemprarmi alla brezza mattutina. Girai a lungo... non tra le rose, sotto le querce, dove l'aria è tagliente e senza profumo. Là si placa il cuore e pesa e giudica. Là mi sentii come il mendicante al quale s'è gettato un biglietto da mille nel cappello... e che vorrebbe rincorrere il donatore perché teme che sia stato uno sbaglio e che gli sia stato dato troppo...

ALESSANDRA            - (superba, nervosa) Veda: mi fa piacere assai di sentirla ragionare con tanta logica.

AGI                                - E' mattina. Altezza. Splende il sole.

ALESSANDRA            - E non le stelle.

AGI                                - Non le stelle, no.

ALESSANDRA            - (nervosa) Me ne rallegro assai.

AGI                                - Anch'io. Perché se ne rallegra lei.

ALESSANDRA            - Proprio moltissimo. Così è bene; così è bello.

AGI                                - Non può essere meglio. (Breve pausa. Giacinto viene da destra. Agi s'inchina).

GIACINTO                   - Oh finalmente ti vedo, figlio mio. La principessa, ti vuoi parlare. Anche il prìncipe Alberto.

AGI                                - II principe Alberto?

GIACINTO                   - Si reputerebbe felice se, se potesse chiarire l'equivoco di ieri...

AGI                                - Mi perdoni, padre: mi sia concesso di evitare quest'incontro. Parto. Il mio baule è già sulla carrozza.

GIACINTO                   - Ci vuoi lasciare senza prendere commiato ?

AGI                                - Ho preso commiato ora da S.A.

ALESSANDRA            - E in un modo assai stravagante, in verità.

GIACINTO                   - E come?

ALESSANDRA            - Freddo, sdegnoso, quaai lo avessi offeso.

GIACINTO                   - Oh, ma è un caso interessante, sai! Per la seconda volta egli indovina i miei pensieri. Sì, tu l'hai ferito, bimba mia nella sua vanità, forse anche nella sua dignità, con quell'obolo espiatorio. Di questo parlavate, figlio mio, è vero?

AGI                                - Sì, padre.  

ALESSANDRA            - E tutto quello che disse ieri della sua vita, della sua morte, della sua immor talità... Tutto ciò non era dunque vero?

GIACINTO                   - E come no? Il dolore repentino cerca le parole forti. Da ciò, per esempio, deriva nel popolo la bestemmia.

ALESSANDRA            - Questo solo era?

GIACINTO                   - Solo? ma è molto, ragazza mia, perché significa un grande dolore. Un grido, in cui la parola non conta.

ALESSANDRA            - Quali sue parole debbono anche prendersi in considerazione?

GIACINTO                   - Quelle ch'egli ora tace (breve pau sa). Dunque figliola! Su, sii sincera!

ALESSANDRA            - Io, Giacinto... se debbo essere sincera, credo d'amarloun poco... (abbassa il capo sulla spalla di lui).

GIACINTO                   - Anch'io l'ho creduto sino al bacio.

ALESSANDRA            - Anche tu lo dici? Come parlano qui tutti? Che cosa è mai? Non è dunque questa notte caduto il mondo?

GIACINTO                   - No, bimba.

ALESSANDRA            - Anche lei pensa così?

AGI                                - Sì, Altezza.

ALESSANDRA            - Tuttavia...

GIACINTO                   - Tu non sai di nuovo quello che succede in te... Era la pietà che cercavi in te, questa notte. Finalmente alle due e mezzo:.  l'hai trovata in quel bacio amaro...

ALESSANDRA            - Amaro?...

GIACINTO                   - Io non l'ho ricevuto, ma lo immagino così...     

ALESSANDRA            - Sono triste.

GIACINTO                   - Ma se mi parli così, se tu rimani qui ancora uno, due giorni, e mi parli sempre così... allora mi  calmerò.

GIACINTO                   - Rimango, bimba. Rimango tre, quattro giorni (breve pausa).

AGI                                - Permetta l'A. V. che mi accomiati (si inchina. Lascia Giacinto nervosamente).

ALESSANDRA            - (non potendo trattenersi) Ammira la sua calma, il suo dominio di se stesso. So che ciò è falso. Vorrebbe poter agire diversamente (sbarra il cammino ad Agi).

AGI                                - E' possibile. Altezza.

ALESSANDRA            - Vorrebbe parlare diversamente.

AGI                                - Anche questo è possibile.

ALESSANDRA            - (ostinata, nervosa) Ma... se sa dominarsi tanto bene, perché non l'ha dimostrato ieri sera? (eccitata) Vorrei saperlo!

GIACINTO                   - Rimango otto giorni.

ALESSANDRA            - Se adesso può essere così tranquillo, perché ha agito così ieri sera? Che cosa voleva? Io non lo so!

AGI                                - Si calmi. Altezza. Anch'io non lo so. Ciò che costituisce appunto la bellezza di ciò che è accaduto questa notte, si è che non sapevo quello che volevo.

ALESSANDRA            - Non lo sapeva?

AGI                                - No.

ALESSANDRA            - Non Io sapeva e...

GIACINTO                   - Chetati, bimba, chetati... Rimango quindici giorni.

ALESSANDRA            - (senza dargli ascolto, con crescente eccitazione) Non sapeva quel che voleva, e mi trascinò con lui, mi prese nella mia bontà, nella mia inconsapevolezza, mi strappò via, ed io mi aggrappai a lui, ero pronta a tutto, persino alla rivolta, volevo resistere con lui, anche se il mondo rovinasse, e lui, lui... (Alberto entra lentamente).

ALESSANDRA            - (lo guarda, ma senza curarsene, prosegue sempre più eccitata) Lui  non sapeva quel che voleva »... solo abbattere voleva, solo cedere un istante al turbine, mentre prima era stato avveduto, circospetto. Fu un bambino pazzo, ma quando sedeva vicino a me, a tavola, fu... fu un ribelle, sì.

ALBERTO                    - (con tono modesto, con fine ironia) Drina, tu lo giudichi male. E' uno spirito libero, è diverso da noi.

ALESSANDRA            - (senza curarsene) Egli, voleva solo la ribellione, solo lo scandalo, sì; fu senza tatto e senza coscienza e...

ALBERTO                    - Sei ingiusta. Egli è astronomo.

ALESSANDRA            - E lo dico ora: la sua condotta fu quella di un essere vile!

AGI                                - Altezza!

ALBERTO                    - Non una parola, Giovanni! Lo proibisco, Giovanni! E se me lo permette... l'abbraccio, Giovanni! (abbraccia e bacia Agi).

GIACINTO                   - Benone! Parto domani!

AGI                                - Grazie tanto. Altezza! Questo proprio non me lo aspettavo!

ALBERTO                    - E' stato gradevole?

AGI                                - Questo sì. Altezza!

ALBERTO                    - Ne vuole un altro?

AGI                                - Grazie, Altezza, sarebbe troppo. Così basta proprio. (Dalla porta di fronte entrano Giorgio ed Arsenio, recando ognuno un mazzo di fiori. Rimangono un momento immobili sulla soglia, poi vengono avanti, fermandosi a metà della scena; imbarazzati. Alberto passa a sinistra).

GIORGIO                     - Signor Professore... (l'emozione impedisce loro di parlare. Entrambi porgono i mazzi).

AGI                                - (prendendoli) Per me?

GIORGIO                     - Sì. (si voltano entrambi asciugandosi le lagrime. Arsenio s'appoggia alla spalla di Giorgio).

AGI                                - Evviva! Evviva! Ma vedeteli, i selvaggi, i famosi selvaggi! (i ragazzi si volgono ad Agi, lo abbracciano teneramente).

AGI                                - Salutiamoci di buon animo, lietamente. Non così. Adesso non avrete più lezioni di storia: adesso comincia la storia stessa, (s'inchina. Esce quindi coi ragazzi dalla porta di fondo. Pausa).

ALBERTO                    - Non avertene a male, Alessandra. Glielo dovevo.

ALESSANDRA            - A lui?

ALBERTO                    - Dovevo consolarlo del bacio che egli ricevette ieri da te (Alessandra guarda sospettosamente Giacinto).

GIACINTO                   - Sicuro, sicuro. E' proprio così.

ALESSANDRA            - Dunque... non fui colpevole?

GIACINTO                   - No, figliuola mia.

ALESSANDRA            - Non ho commesso un errore fatale?

GIACINTO                   - Questo è difficile... nella tua posizione sociale.

ALESSANDRA            - (triste) Non sono stata nemmeno un'eroina!

GIACINTO                   - No, figliuola mia.

ALESSANDRA            - E che cosa sono stata allora?

GIACINTO                   - Non domandarlo, figliola mia (piccola pausa).

ALBERTO                    - (festoso, elegante) Alessandra... Questa notte tu hai riparato un errore di cui la mia debolezza umana mi aveva reso colpevole. Ora desidero pregarti di rimanere al mio fianco per tutta la vita e, quando sbaglierò, sii sempre così... coraggiosa, come lo fosti questa volta, (le stende la mano).

ALESSANDRA            - (gli da la sua Breve pausa) Alberto, ho il dovere di dire la verità. Ora, se ti dichiarassi che, in questo momento, non sento altro per te che stima e... amicizia.

ALBERTO                    - Ti risponderei, Drina, che questo per ora mi basta.

ALESSANDRA            - (con amabile malinconia) E’ matrimonio d'amore non è un nostro privilegio.

ALBERTO                    - No, no. Per certo no (scuotendole la mano ad ogni «no»).

ALESSANDRA            - No.

GIACINTO                   - No.

ALBERTO                    - Abbiamo trovato però qualche cosa di più bello. L'amore che viene dopo il matrimonio. Quella felicità classica e forte che, che...

GIACINTO                   - ... che viene più tardi e dura più a lungo.

ALBERTO                    - E' straordinario: tu sai sempre esprimere ciò che precisamente si pensa! Pensa del resto: Caterina del Wurtemberg fu la moglie più felice del mondo. E tuttavia fu una unione forzata, imposta da Napoleone... (si guarda intorno) Napoleone. E vedi tuttavia...

ALESSANDRA            - (sospirando) E tuttavia... (Pausa. Entra Domenica).

DOMENICA                 - Alessandra mia! (l'abbraccia).

ALESSANDRA            - Benvenuta, zia Domenica (le bacia la mano con un profondo inchino).

DOMENICA                 - Ditemi, miei cari, il professore non s'è ancora presentato?

GIACINTO                   - Sì, è stato qui.

DOMENICA                 - E ?

GIACINTO                   - Se n'è andato (silenzio. Lunga pausa).

DOMENICA                 - Che cosa significa questo silenzio? Perché tacete? (nuova pausa, durante la quale entra Beatrice).

BEATRICE                   - (guarda il gruppo silenzioso, è presa dallo sgomento e prorompe in un grido) Santo cielo! Che cosa è successo ancora?

GIACINTO                   - Il professore ha ricevuto un bacio.

BEATRICE                   - (spaventata) Da chi?

GIACINTO                   - Da Alberto.

BEATRICE                   - (respirando) Ah!

DOMENICA                 - Ma che cosa significa questo? Voi baciate quest'uomo tutti, l’uno dopo l'altro? Dev'essere una persona eccezionale.

GIACINTO                   - Lo è davvero!

DOMENICA                 - Allora non serve più che io gli parli. Il povero giovine ha avuto piena soddisfazione (guardandosi attorno, per dissipare una certa atmosfera d'imbarazzo che pesa su tutti) Ed ora... in attesa della colazione vogliamo andare in giardino? Passando ho visto tante piante nuove, non lo riconosco più...

BEATRICE                   - Sei una donna meravigliosa: non conosci stanchezza...

DOMENICA                 - Mai!... Andiamo (esce e tutti la seguono. Alessandra, assente a quanto avviene, rimane fredda, impassibile, accanto alla sedia. Giacinto sulla porta si accorge dell'attitudine di Alessandra e si ferma).

BEATRICE                   - (ad Alessandra) Drina! (Alessandra ha un sussulto e fa per andare verso la madre).

GIACINTO                   - (trattenendo Alessandra) Verrà subito con me...

(Tutti escono. Alessandra cade a sedere.)

GIACINTO                   - da dietro le accarezza e le rovescia il capo. Pausa lunga. Poi dolcemente): Ricordati, bimba mia, che il tuo povero padre ti soleva chiamare il suo cigno. Pensaci: essere un cigno, passare sullo specchio di un lago, quando splende la luna, altero e dignitoso, passare solamente; nella luce azzurra, figlia mia... e non toccare la riva. Quando il cigno cammina sulla terra, quando se ne va arrancando, allora somiglia moltissimo ad un altro uccello...

ALESSANDRA            - (piano, con consapevole ironia) ... all'oca?

GIACINTO                   - Quasi, fanciulla mia. La storia naturale insegna che il cigno non è che una varietà superiore all'anitra. Perciò deve rimanere sempre sullo specchio dell'acqua... Essere un uccello, ma non volare; sapere una canzone, ma non cantarla che alla morte. Sì, figlia mia, lago azzurro, testa eretta, mutismo contemplativo... e il canto, mai……

FINE