Il controbandiera

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Il controbandiera

Cronedia di Ignazio Maiorana

(quattro episodi, 1985)

§§§

La poesia

(Lu braccocu e la carruba)

Personaggi:

Romano (insegnante scuole elementari)

Mario (poeta)

Gervaso (poeta)

(Le tre persone passeggiano su e giù per la scena)

Romano: Ma pirchì ti pintisti d’aviri finanziatu l’antologia di li poeti?

Mario: Perché la poesia, così come l’abbiano presentata, non ha riscosso l’interesse dei lettori e nemmeno quello degli stessi poeti inclusi, i quali, almeno loro, avrebbero dovuto comprare un ragionevole numero di copie. Invece i libri stanno a muffire in magazzino con scarsissima diffusione. Non li regalo ancora perché spero un giorno poter raccogliere le spese. Attualmente, dunque, spesa inutile a carico di questo povero illuso e ingenuo. Ingenuo perché credevo di raccogliere se non tutto il costo almeno una buona parte del denaro speso. Ma, ripeto, nemmeno gli stessi interessati presenti nel libro con la loro biografia e le loro opere hanno dimostrato di avere care le proprie cose. Forse danno molto più valore ai soldi che alle opere da loro stessi scritte. Per non parlare, poi, del sommo poeta locale che, dall’alto del suo piedistallo, alla richiesta da me fattagli di scegliere e pubblicare le sue poesie, mi rispose che non accettava elemosina e pubblica i libri con il proprio denaro oppure con quello della Biblioteca comunale e di qualche altro ente.

Gervaso: A mia mi dissi ca tu lo hai escluso. Lui aveva intenzioni di aderire all’antologia.

Mario: Nun è veru! E nun sulu nun è veru, ma circau puru d’ostacolari la pubblicazioni di l’antologia assemu a dda speci di storicu locali ch’è compari sua.

Romano: Chi motivu avia di fari accussì?

Mario: Questo tipo di iniziative devono partire da loro, se no le snobbano. Sono profondamente deluso.

Gervaso: Nun ti la pigghiari, accussì appi di jiri… Ju e lu professuri cinque-dieci copie l’unu ni l’accattammu, anchi si a prezzu scuntatu.

Romano: Canciamu discursu. Perciò, Gervaso, com’è andato l’incontro tra poeti al teatro Biondo di Palermo? Le tue poesie sono piaciute?

Gervaso: Na jurnata china di sentiri poesii. Ma chi razza di poesii! Centu poeti a tri poesii l’unu, tricentu. Un diluviu! Una vera e propria inflazioni!

Mario: E tu recitasti puru?

Gervaso: No, mi li fici recitari di n’autru e ju supra lu parcu, pi farimi canusciri, stava a latu di lu recitaturi.

Mario: Bella cosa! Nun avisti mancu lu curaggiu di parrari direttamenti cu la genti…Chi mpurtanza havi si sai o no recitari. L’ascoltatore intelligente mostra più interesse al contenuto, al messaggio, che al modo con cui esso viene dato. Gente ce n’era?

Gervaso: Picca. Poeti e familiari putevanu arrivari a centocinquanta. D’altra parte l’iniziativa veniva chiamata così: “Palermo-Poesia, incontro tra poeti”.

Mario: Dunque si sono recitati addosso. Questo è il paradosso: il poeta parla al poeta anziché alla gente che ha bisogno della poesia. Invece gli organizzatori si sarebbero dovuti preoccupare di fare incontrare i poeti con i non poeti. A stu puntu, secondo me, è stata sprecata una manifestazione. È stata solo un’esibizione fine a se stessa. E poi come si può assimilari tuttu ssu materiali poetico? La genti stanca e stravìa lu significatu di tutti li versi e qualche poesia bona ca c’è, nta la miscagghia squagghia comu lu sali nta l’acqua!

Gervaso: Ma in ogni caso sono sempre iniziative positive…

Mario: Su’ dannifichenti, nveci, pirchì, appuntu, c’è l’inflazioni e la puisia calau di prezzu. È accussì pirnenti ca l’hai a nfutari pi regalalla. Nun discurremu di vìnnila pirchì nun si l’accatta nuddu.

Gervaso: E allura tu pirchì ci jisti all’incontru cu li poeti siciliani?

Mario: Ci sono andato ma non ho recitato. Se fossero stati pochi i partecipanti e abbondante il pubblico sarei salito anch’io sul palcoscenico. Invece ho preferito dare spazio agli altri e rimanere ascoltatore, malgrado più volte mi abbiano chiamato per intervenire. Ammetto che un messaggio vero il poeta deve darlo anche se in sala si trova un solo ascoltatore, ma quando sei sicuro che egli ti segue. Per questo a me piacciono la piazza per recitare e quei versi che raggiungono e scuotono l’animo della gente. Altrimenti a che serve la poesia?

Gervaso: (rivolto a Romano) Lei che è un critico letterario è d’accordo?

Romano: Ecco la ragione per cui Mario scrive poesie di “piazza”. L’immediatezza e la spontaneità conquistano il pubblico.

Mario: Personalmente non suddivido le mie poesie in poesie di piazza e poesie d’elite. Do messaggi e basta, senza predeterminazione.

Romano: Sì, ma ci sono le poesie adatte alla recita e quelle adatte alla lettura. Le tue sono più adatte alla recita.

Mario: Invece io sono del parere che la poesia deve adattarsi ad ambedue le esigenze.

Romano: Hai ragione. Ma come te lo devo spiegare? L’hai prisenti lu braccocu e la carruba? Tutti dui frutti su’: ma lu braccocu è tunnu e la carruba è lungarina. Tu si’ lu braccocu!

Gervaso: Azzeccata la metafora!

Mario: Vi sbagghiati, secunnu mia. Quannu lu braccocu è maturu piaci ma scarfidisci si nun lu manci subitu. La carruba è chiù aspra, menu decenti pi la tavula cunsata, ma la poi sarvari anni e anni ca servi sempri e in tante occasioni. Vuliti la dimostrazioni? Quannu la genti comuni di n-menzu la strata oppuri li picciriddi di la scola ti ncontranu e ti ripetunu una, dui poesii a memoria, è signu c’arrivaru li to versi a distinazioni e puru li to sentimenti. Certu tipu di poesia, nveci, ca pi farici capiri lu significatu a la genti ci fai sudari setti cammisi, nun è facili ca la fa sua e si la ricorda. E allura, finu a quannu nun canciati sistema di comunicazione, con uno stile più accessibile e più incisivo, vuautri ristati braccocu e avariati subitu, tranni chi nun vi mittiti intra lu frigoriferu. Ju carruba mi sentu e carruba vogghiu ristari, chi matura, sicca, ma nun scarfidisci. E credetemi, non faccio discorsi di convenienza economica quando scrivo.

Gervaso: Lu zuccaru non guasta pietanza…

Mario: No, Gervaso caro. Che i versi non portano soldi a chi li scrive è risaputo. Tranne eccezioni come quelle di poeti giunti sulla cresta dell’onda tramite sponsorizzazioni partitiche o aiutati da particolari rapporti con gruppi editoriali. Difficilmente si sfonda se non hai qualcuno che ti solleva. Poi… sappiamo quanto limitato sia il numero dei lettori di poesie, forse inferiore a quelli che le scrivono.

Gervaso: Allora, secondo te, come devono essere i versi, come si vuole il poeta perché interessi veramente?

Romano: Non c’è uno standard in questo settore e non ci potrà mai essere.

Mario: D’accordo. Ma io mi permetto di dirvi cosa contesto a taluni poeti e cosa non mi piace nelle loro opere. Innanzitutto quelle forme di esibizionismo, protagonismo e vittimismo mal celate dalla falsa modestia. Condanno la poesia progettata e disegnata con le squadrette numerate. La poesia non si costruisce. Si partorisce e si ritocca dalle impurità del parto. Diventa creatura quando esce dalla placenta di chi l’ha concepita. Condanno il linguaggio esageratamente ricercato e specialistico, di difficile interpretazione: esso raggiunge solo la minima parte del pubblico.

Gervaso: Non dimenticare che la poesia può avere un valore didattico proprio per la raffinatezza dell’espressione e del linguaggio.

Mario: Le finalità didattiche sono previste nelle istituzioni scolastiche, è vero, con la grammatica, l’ortografia e la terminologia. Ma la poesia innanzitutto deve raffinare l’animo oltre che la lingua. La ricercatezza eccessiva cancella la spontaneità del messaggio. La poesia, se parte dal cuore, deve essere strettamente connessa alla personalità dell’autore e il termine “poeta” non va inteso come titolo onorifico. Anzi, spesso, è un appellativo scomodo per chi scrive bene e razzola male. La coerenza, dunque, è d’obbligo e il vero poeta deve sostanzialmente essere “uomo”.

Romano: Non è vero. La poesia è arte e come tale si può staccare dalla materialità comune. Sono momenti sublimi quelli della creatività. Anche un vigliacco, un ladro, un impostore possono avere i loro momenti artistici.

Mario: E infatti, osservate quanti impostori e speculatori vi sono tra gli artisti! E poi non condivido nemmeno chi chiede al lettore: “Ti è piaciuta la mia poesia”? Fate attenzione. La risposta è sempre positiva anche quando il contenuto del verso non è stato nemmeno analizzato e lontanamente assimilato. Viva l’ipocrisia! Chi scrive ha il dovere di dare messaggi validi, non di preoccuparsi di accaparrare lodi, plausi e simpatie. Comunque (guardando l’orologio) vi lascio, devo andare. E vaju a cogliri carrubi! (sorridendo)

Romano: E ju vaju a manciarimi li braccochi!

Mario: Stassi attentu, professuri, nun ci veni la diarrea!

Romano: Sono immunizzato. Faccio adeguata prevenzione…

Mario: A base di solidificanti…! E o latu n’havi un meraviglioso esemplare!

§§§

La religione

(Per quella dannata sepoltura)

Personaggi:

Presidente del circolo cattolico

Socio dello stesso circolo

(Un’insegna con la scritta CIRCOLO UOMINI CATTOLICI sul fondo. Un tavolo al centro, il presidente lo occupa per presiedere la riunione dell’assemblea dei soci. I soci sono rappresentati dal pubblico degli spettatori. Il presidente dà lettura dell’ordine del giorno)

Presidente: Apro la seduta dando lettura ai punti presenti nell’ordine del giorno: 1)approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre; 2)divieto di fumo dentro il circolo; 3) varie ed eventuali.

Prima vi leggo le voci attive del bilancio: incasso quote sociali annue £ 2.500.000, proventi per tassa del gioco a carte £ 4.000.000, interessi maturati nel deposito bancario £ 2.000.000, multe per assenze alle processioni £ 3.400.000, totale £ 11.900.000. Invece ora vi leggo, cari soci, le passività: retribuzione annua inserviente £ 3.000.000, spese di gestione £ 1.000.000, restauro sepoltura cimitero £ 6.000.000, totale £ 10.000.000. Esiste dunque un utile netto di £ 1.900.000. La visione di tutte le pezze di appoggio è aperta a tutti. Metto ai voti: chi approva resti seduto, chi è contrario si alzi. Approvato. (dal pubblico si leva una voce)

Socio: Signor presidente, chiedo la parola.

Presidente: Venga avanti.

Socio: Haio da fare una osservazioni. (intanto sale sul palco)

Presidente: La faccia pure.

Socio: Ha detto lei che le multe per l’assenza alle prucissioni è di lire tre milioni e quattrocentumila liri. Sbaglio?

Presidente: No.

Socio: Più o menu lu duppiu di l’utili nettu di lu bilanciu. Veru è?

Presidente: Esatto.

Socio: Praticamente si nun ci fussiru sti genti ca ci siddìa partecipari a li prucissioni, lu circulu, na vota p’un motivu, na vota pi nautru motivu, si ni jissi n-perdita.

Presidente: Certo.

Socio: Bravo! E nun si n’affrunta a fari lu presidente di stu circulu?!

Presidente: Cosa intende dire?

Socio: Vogghiu diri ca a lu postu so’ la facci di fari lu presidenti nun l’avissi!

Presidente: E invece io ce l’ho! (indispettito) Sappia che sono qui seduto per volontà di tutti i soci, anche sua!

Socio: No, io ci vutaiu contrariu…

Presidente: Non lo sapevo.

Socio: E ora lo sa e ci chiedo li dimissioni.

Presidente: Sono pronto a darle ma sappia? che la carica di presidente non l’ho pretesa, mi hanno pregato e strapregato ad accettarla!

Socio: Ma ci misiru la pistola nta lu pettu?

Presidente: Andiamo all’osservazione, per favore!

Socio: Ancora non l’ha capita?

Presidente: È lei che ancora non si è spiegato.

Socio: Allura vengo e mi spiego: (avvicinandosi ancora) nun ci pari una contraddizioni di lu circulu d’un cantu l’obbligu religioso di jiri a li prucissioni per fede e di n’autru cantu lu pagamentu di li multi? Ju li livassi propriu sti multi! Praticamente si nun ci fussiru l’assenti, lu bilanciu chiudissi n-perdita. E perciò è giustu ca si va a la prucissioni ma fannu comudu puru chiddi ca si la svignanu. Nsumma, unu scrivi e l’autru cancella. E chistu ci pari normali? Signor presidente, tanticchia di riflessioni!

Presidente: Se non si usassero certe misure, me solo farebbero andare alle processioni!

Socio: E chi fa si scanta a jirici sulu? La fiura nun la facissi lei, la facissi cu’ nun ci veni d’appressu. Tra parentesi, pi mia cu’ si sta a casa fa bonu.

Presidente: Senza multi chiudi lu circulu!

Socio: Megghiu chiudiri e no campari n-perenni cuntraddizioni! Pi stu motivu ci dicu ca ju nta li so robbi m’affruntassi a fari lu prisidenti, comu ju m’affruntu a essiri sociu di stu circulu.

Presidente: Le ricordo ancora una volta che è stata la volontà dell’assemblea che mi ha obbligato moralmente ad accettare la carica.

Socio: Però si po’ dimettiri quannu voli!

Presidente: Questa carica mi fa onore! E anche se non mi porta alcuna utilità non mi dimetto!

Socio: Nudda utilità non direi: qualche centinaiu di voti in più quannu lei si purtau all’elezioni pi consiglieri comunali ci parinu nenti?

Presidente: La prego di evitare queste insinuazioni!

Socio: E ju la pregu di livari tutti sti cuntraddizioni!

Presidente: La discussione su questi argomenti verrà messa la prossima volta all’ordine del giorno. Oggi non era prevista! Passiamo all’altro punto: divieto di fumo nel Circolo. Metto a votazione: chi è per il divieto si alzi, chi è per il fumo resti seduto.(lo stesso socio, sceso giù dal palcoscenico, richiede la parola e sale nuovamente)

Socio: Signor presidente, ci devo fari una osservazioni. Mi consente?

Presidente: Arria cà è (con un moto di stizza), parli pure ma sia breve.

Socio: Pi mia è tempu sprecatu mettiri a votazioni questo punto.

Presidente: Ma se l’ha chiesto lei di inserirlo all’ordine del giorno! (arrabbiato)

Socio: L’ho chiesto io, signor presidente, ma sappia già ca a maggioranza nun s’approva lu divietu di fumari. Accussì comu nun ha passatu l’autri voti. Ma è l’unica possibilità, per diritto, di putiri cuntrastari stu problema. Ju nun fumu. E siccome vogghiu continuari a non fumari, si trasi dintra stu Circulu m’aju assuppari tutta sta neglia di pipi, sicarri e muzzuna di sigaretti. Sinnò nun ci aju a mettiri pedi cà intra, ci pari giustu?

Presidente: Abbiamo fatto collocare appositamente un aspiratore, un ventilatore per risolvere il problema. Cosa vuole di più?

Socio: Ju l’addumu l’aspiraturi, e i signori soci l’astutanu pirchì ci trasi friddu. E siccome sunnu tanti, o mi mettu di banna e cedu, sinnò mi tocca purtari un pezzu di marruggiu e mi mettu a cafuddari a tutti comu a don Chisciotte cu li mulini a ventu!

Presidente: A lei nessuno lo costringe a frequentare il Circolo. I suoi diritti alla sepoltura non li perde ugualmente, non si preoccupi!

Socio: Ah, certu! Bella soluzioni, chista! E nveci ju vegnu apposta d’ora n-pua, e mi mettu a cantari, mi lavu li pedi, fazzu tutti li cosi chiù strani senza disturbari a nuddu. Anzi, pi nun sentiri la puzza di fumu, sapiti chi fazzu? A spisi mia portu ognu jornu na bomboletta di deodoranti e la spruzzu tutta sana di lu tettu a lu pavimentu. Aviti a nesciri accussì profumati di lu Circulu ca quannu nisciti fora pi jirivinni a casa nta l’aria havi a veniri la primavera, puru ch’è nvernu chinu! C’è qualcuno contrario? Chi è favorevole resti seduto. Approvato, signor presidente! (il socio riscende. Poi risale)

Presidente: Ha dimenticato qualcosa?

Socio: Signor presidente, pinsaiu na cosa e sugnu custrittu a riturnari, nun si la pigghia a mali. (pausa) Ritornu a dumannarici la parola pirchì devo pubblicamente rivedere la mia posizione dintra stu Circulu. Me patri mi lassau in eredità lu dirittu di la sipurtura a lu cimiteru tramiti la cungregazioni di l’omini cattolici. Nun è ddu miserabili loculu, la sipurtura, criditimi, ca mi interessa però. Intra lu marmu o vurricatu sutta terra, quann’unu mori sempri scuru c’è. Nun aju statu cà cu vuautri pirchì cu sapi quali scaluni di prestigiu e quali granni livellu mi tocca nta la società, ma pirchì mi piaci stari cu la genti anziché stari sulu, isolatu.

Presidente: Venga al sodo…

Socio: Sacciu chi tipu di pirsuna mi considerati e tutti li muntati chi mi putiti dari mi dati. Na vota mi prisintaiu a la prucissioni di la festa patronali cu lu sulu vistitu, senza cravatta, e mi facistivi un saccu di storii. Secunnu mia l’abitu chiù nobili è la pulizia morali e l’educazioni. La vera cravatta di l’omu è l’umiltà. Pi stu motivu nun mi parsi scannalu veniri senza cravatta.

Presidente: Li riunioni di stu Circulu hannu a durari sempri assai pi discussioni e polemichi inutili.

Socio: Presidè! (e rivolto al pubblico) Signori soci, nun putiti fari pacenzia nautri dui minuti? Grazie!

Presidente: Due minuti con l’orologio puntato!

Socio: Qualche vota c’aju vinutu, aju vistu li cosi chiù strani: c’è cu’ ngagghia lu Giornali di Sicilia e nun lu molla chiù, si lu leggi pi tri uri e l’autri ponnu cantari. C’è cu’ joca a scupa e pi quantu nun ci veni lu setti beddu, sputa nta li carti, li jetta all’aria, santìa e fa acchianari e scinniri lu Crucifissu comu un ascensuri. Chisti sunnu l’omini cattolici?

Presidente: Ricordi, però, che il Circolo serve anche per svago e passatempo.

Socio: Ma ci su’ modi e modi di passarisi lu tempu, signor presidente. Si duna na liggiuta a lu Statutu di lu Circulu si n’adduna quant’è cuntraddittoria sta situazioni. È na piaga morali e spirituali!

Presidente: Se mi consente, lo Statuto lo conosco pure, ma affido alla dignità di ogni persona il proprio comportamento in compagnia dei soci. La prego di avere un po’ di sopportazione con gli altri, così come gli altri ce l’hanno con lei. A ogni petra ci po’ dari un caviciu? S’arridduci cu li scarpi rutti… E poi, sulla questione spirituale c’è il Signore che vede e provvede. Lasci a Lui certi compiti!

Socio: Ddu puvireddu è accussì mpignatu ca nun po’ controllari a tutti… Ma, a stu puntu, presidente, lu fattu è unu: si lu Circulu è cattolicu e l’omini su’ cattolici, allura sugnu ju ca nesciu fora di li binari. È chiaru ca si siti cattolici vuautri nun mi ci sentu ju! E pi stu motivu nun mi la sentu di stari dintra sta cungregazioni. La sipurtura mia vi la regalu, li me diritti vi li cedu tutti, nun mi servunu chiù. Io mi dimetto da socio.(e lentamente se ne va verso la ribalta)

Presidente: Il nostro caro socio starà attraversando una profonda crisi spirituale e morale. Io non accetto le sue dimissioni. Lasciamo che il tempo maturi la sua fede di pace e di concordia a contatto con altri amici del Circolo. (di fretta) Ci sono altre discussioni? Allora, cari soci, la seduta è sciolta.(si chiude il sipario, il socio dalla ribalta si rivolge al pubblico)

Socio: Signori tutti, scusatimi si pi qualchi mumentu ni sirvemmu di vuautri pi fari l’assemblea di li soci intra ddu Circulu (indicando il sipario e la scena). Ma nta ddu Circulu nun tutti li soci eranu indegni di chiamarisi cattolici-cristiani. C’era qualcuno chiù adattu a stari nta la cumpagnia pirchì nun ebbi mai la forza o l’imprudenza di cuntrastari li cosi torti. Stu “qualcunu” la duminica java a la missa, pi Pasqua java a li Quarant’uri a la Matrici, pi la festa patronali java a la prucissioni, lassava fari, havìa cumprinsioni e nun dava fastidiu a nuddu. Quannu stu tali murìu, lu so accumpagnamentu misurava di na punta all’autra lu paisi. Davanti la porta di lu Circulu ci misiru la bannera abbrunata esposta. Na missa l’annu pi ricordu, la sipurtura lucidata e pulita, unica tistimunianza ca l’inquilinu fu diplomatu cattolicu-cristianu. E ddu Circulu continua a essiri puru cattolicu e cristianu, trascinannusi appressu la so situazioni. E proprio sta situazioni nun cancia mai, è sempri ferma a lu stissu puntu. Ma supra lu puntu c’è un granni nterrogativu, la chiù granni e sfacciata cuntraddizioni di la vita: appariri e no essiri!

§§§

Giornalismo tra giustizia e politica

La porcheria

Personaggi:

Pretore

Imputato

Moglie dell’imputato

Avvocato difensore

Avvocato accusatore

Cancelliere

Lattuga Saverio (querelante)

Petralia Gandolfo (querelato)

(La scena si apre in Pretura, durante lo svolgimento del processo. Al centro il pretore sta interrogando l’imputato. Presenti: due avvocati (difensore e accusatore) ed il cancelliere. Sul fondo sta la scritta LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI. Sul banco di giustizia sta disegnato un grande punto interrogativo)

Pretore: (rivolto all’imputato) E allora, dai documenti della controparte risulta che lei è tornato dall’America a gennaio del 1975 ed ha cominciato a coltivare l’appezzamento in questione nel 1976, cioè un anno dopo il suo arrivo. Perché le sue dichiarazioni ci riportano a tre anni prima di queste date?

Imputato: Ju pozzu documentari, signor giudice, quannu riturnaiu di l’America. Aju ancora lu bigliettu di la navi…

Pretore: E a me chi lo prova che lei non sia arrivato e ripartito per l’America o per altre sedi?

Imputato: Signor giudice, si cridi ca ju facìa lu zingaru prima? Mi mitteva a girari lu munnu comu un vagabunnu, macari, chi dici?

Cancelliere: Un attimo, per favore, che devo verbalizzare. L’imputato: Si crede che facevo il zingaro prima e il vagabondo poi? Jamu avanti!

Pretore: Io posso tenere conto solo delle testimonianze… (dal pubblico si leva una voce femminile)

Moglie dell’imputato: Signor giudice, ci l’assicuru ju ca me maritu turnau di l’America a nuvemmiri di lu 71! Sapi Diu quantu l’aspittaiu in astinenza! Si’ tantuni, Cosimu (rivolta al marito), nun ti lu scurdari! Si’ tantuni e puru si’ ntrunatu! Diccillu ca fu tanni c’arrivasti di l’America: nuvemmiri sittantunu!

Pretore: (rivolto alla donna) E quali jornu, precisamenti, signura? Si lu ricorda?

Avvocato accusatore: Ma, giudice… il pubblico non può intervenire nel dibattimento! Altrimenti chiedo la celebrazione del processo a porte chiuse!

Pretore: Giusto, signora, chi l’ha invitata a intervenire? Esca fuori dall’aula! Maresciallo! Chiamate il maresciallo per l’ordine in aula!

Moglie dell’imputato: Nun c’è bisognu di lu maresciallu, signor giudice, sacciu caminari cu li me pedi! Ma tinissi prisenti sta data: sittantuni, signor giudice, sittantuni, sittantuni! (ed esce dalla platea)

Pretore: Allora, considerate le diverse e contrastanti dichiarazioni delle due parti, si rinvia il processo a data da destinarsi, cioè all’acquisizione avvenuta della documentazione e degli atti comprovanti la veridicità delle condizioni dell’imputato. Andiamo avanti con l’altro processo. Cancelliere, chiami in aula gli interessati. (l’imputato del precedente processo esce)

Cancelliere: Lattuga Saverio, querelante.

Lattuga: Presente!

Cancelliere: Petralia Gandolfo, querelato.

Petralia: Presente! (gli avvocati rimangono gli stessi. Imputato e accusatore firmano)

Pretore: Momò! Ma tu chi ci fai cà?! ( tendendo la mano a Petralia)

Petralia: Faccio l’imputato (imbarazzato)

Pretore: Ma quant’havi ca nun ni videmu! Nun t’aju vistu chiù n-circulazioni!

Petralia: Aju statu assai mpignatu…

Pretore: Appena finisci cà, nun ti ni jiri ca ti nvitu a pranzu.

Petralia: (ancora più imbarazzato) Nun è possibili, aju a partiri subitu…

Pretore: Poi, poi ni parranu! Allora! Si dà inizio al processo di reato per diffamazione a mezzo stampa. Si dà lettura della querela: “Il sottoscritto Lattuga Saverio, nato il……….. a …………. ed ivi residente in via…………..., espone querela per leso prestigio e dignità professionale contro il direttore del giornale “Il correttivo” per l’articolo pubblicato in data 5 luglio 1984 e qui interamente riportato. Leggo fedelmente: Sopratitolo – Grazie, onorevole, per la porcilaia! Titolo – È tempo di maiali! “Tre grandi capannoni ospitano già cento scrofe gravide che ben presto diventeranno qualche migliaio. Il complesso suinicolo, sorto in contrada Cocozzone, è costato intorno al miliardo di lire. Il suo finanziamento è stato ottenuto da una cooperativa tra familiari ed amici di cui è presidente l’avvocato Lattuga Saverio, assessore comunale e segretario della locale sezione del suo partito. Raccomandiamo ai neo porcari di non trasformare il grosso impianto zootecnico in una cattedrale nel deserto. A tutti gli allevatori di professione, che da anni hanno pratiche di miglioramento sospese, suggeriamo di apprendere dall’iniziativa predetta e correre, correre sempre di più appresso agli onorevoli”. Il querelante sostiene, dunque, di essere stato leso nel prestigio professionale e nella dignità di cittadino, intendendo l’articolo che, attraverso le cariche politiche e i rapporti con gli onorevoli, il Lattuga sia riuscito ad ottenere il finanziamento della porcilaia.

Avvocato dell’imputato: (con il codice aperto) Signor giudice, le devo formalizzare che il processo in questa sede non si può celebrare in quanto di competenza della Procura e non della Pretura. Così è previsto dal Codice per i reati di diffamazione a mezzo stampa.

Pretore: E io lo faccio qua il processo… in tribunale non lo mando!

Avvocato dell’imputato: Lei ha tenuto bloccato per nove mesi questo processo. Invece si sarebbe dovuto celebrare per direttissima entro 30 giorni e in Tribunale, le ripeto, non in Pretura!

Pretore: Io l’ho tenuto fermo perché sapevo che l’avvocato Lattuga avrebbe chiesto la remissione della querela. (pausa d’imbarazzo)

Avvocato dell’imputato: Ma allora perché l’ha fatta la querela se sapeva di ritirarla? E lei perché se l’è tenuta in mano per tanto tempo?

Pretore: Che cosa mi sono tenuto in mano? (insolentito)

Avvocato dell’imputato: La querela s’intende… nel senso che non ha dato luogo alla normale e giusta procedura!

Pretore: Lei non sa quanto lavoro accumulato c’è nelle Preture, e poi le ricordo che le mie funzioni morali sono anche quelle di mettere pace tra i cittadini, non quelle di farli azzuffare. Non è giusto che due paesani si debbano scornare tra di loro per delle sciocchezze. Sciocchezze (sottovoce) che potevano diventare cose serie… (pausa)

Petralia: Scusatemi, ma se il querelante crede che io gli chieda scusa per ciò che ho scritto nei suoi confronti si sbaglia! Piuttosto, mi preme, a questo punto, chiarire che sono sempre convinto di ciò che ho scritto, ma devo precisare che al momento in cui l’ho fatto non ero spinto da motivazioni personali. Io non ce l’ho con lui ma con questa costumanza ormai diffusa ca senza onorevoli nun si po’ fari chiù nenti! A picca a picca, pi jiri a gabinettu s’havi a dumannari lu permissu a iddi! Divintaru chiù potenti di lu Patreternu, n-terra. N-celu nun si sapi…

Pretore: Allora chiarite la questione ufficiosamente. Il processo viene sospeso. (il pretore ed i due avvocati cominciano a confabulare sottovoce)

Petralia: (rivolto a Lattuga che appare abbastanza remissivo) Tu m’hai a diri, allura, comu facisti a fariti finanziari la porcilaia, accussì lu scrivemu nta lu giornali e la genti sapi comu po’ risolviri li so situazioni… E diri ca ju prima di scriviri l’articulu ti dumannaiu tri voti delucidazioni. Nun mi li vulisti dari e ju ci desi a tutta la faccenda l’interpretazioni secunnu li me convinzioni…

Lattuga: Nun ti lu potti diri prima pirchì li travagghi nun eranu finuti completamenti e mi scantava ca la troppa pubblicità facia affunnari la varca. Sai quanti nvidiusi ci su’?

Petralia: E allura?

Lattuga: Quannu ju facia lu segretariu particulari di lu senaturi, n-casa sua ebbi prisintatu un funzionariu di la Regioni e facemmu amicizia. Lu senaturi ci parrau di sta cosa e puru ju ci spiegaiu quanta bona volontà c’era a travagghiari…

Petralia: Cu li maiali?

Lattuga: Cu li maiali! Chi c’è di mali? Richiedenti ci n’eranu tanti ma tutti in odore di mafia. Ju ci parsi pulitu e mi dissi ca m’avissi fattu cuntentu. Dopu qualche misi m’arrivau lu decretu di finanziamentu.

Petralia: E iddu, in cambio, nun vosi nenti, mancu na lira!

Lattuga: Mancu na lira. Sulamenti… mi telefonau quannu so cugnatu, l’onorevoli, fu candidatu a la Camera di li Deputati e ju ci fici aviri quattru voti…

Petralia: Quattru suli?

Lattuga: Quattru pi modu di diri. Seicentu voti. Tra iddu e nautru, megghiu a iddu! Però nun fu l’onorevoli ca mi fici aviri lu decretu. Fu so cugnatu, quattru misi ancora prima di l’elezioni.

Petralia: Nun fu l’onorevoli ma lu cugnatu di l’onorevoli, chi macari pi coincidenza divintau funzionariu pi li so alti meriti professionali…

Lattuga: Chissi sunnu affari sua, ma comunque ju nun aju caputu pirchì ti fissasti cu sta storia. Chi t’aju fattu? Eravamu amici, no?

Petralia: Ti ripetu ca nun ci l’aju cu tia personalmenti. Nun mi parinu giusti certi usanzi. Li dinari pubblici hannu a essiri a purtata di tutti chiddi chi hanno dirittu, no sulu di qualcuni. E poi, tu nun hai caputu ca pi mia un cuntu su’ li rapporti personali e nautru cuntu su’ chiddi pubblici.

Lattuga: Ma comunque, ju fici la querela pi contestazioni, pi nun essiri pigghiatu pi chiddu ca mi scrivisti tu. E poi m’avissi piaciutu ca tu , quannu vidisti che mi ero offeso, m’avissi dumannatu scusa e avissi fattu un pezzu a favuri, di apprezzamento insomma.

Petralia: Sì, pari ca semu a lu mircatu. Li pira calanu e jisanu di na bancarella all’autra!

Lattuga: Sacciu ju pi quanti uffici acchianaiu e scinniu pi du’ anni!(con foga) Quanti documenti mi ficiru nesciri e quanti garanzii e cambiali mi ficiru firmari! Cu’ nun ci passa nun ci cridi!

Petralia: Cu la differenza ca tu avia li porti aperti. Pensa si fussi statu nautru: a sta ura fussi mbriacu.

Lattuga: Ad ogni modu, ju ritiru la querela e facemu paci. Tu si’ dispostu?

Petralia: Lascio a te la libera scelta. A me bastano le mie convinzioni.

Pretore: Allura! La finemu di parrari? E finemula cu sta storia di suinerìa ca già stava divintannu longa comu na corda di sasizza!

Avvocato accusatore: (rivolto a Petralia) Continua a scriviri tu, ca vidi poi comu ti va a finiri!

Petralia: Avvocato, so che è lei il mio querelante spirituale. So che è stato lei a convincere il Lattuga a sporgere querela. Lui nemmeno la voleva fare. Lu fattu è unu: a certuni lu me giornali vi detti n-testa. E fu puru lei, tempo fa, a querelari ddi carusi ca ci ficiru la carricatura a lu vigghiuni di cannilivari e anche contro ignoti autori della satira. Si ricorda? Io andai in caserma e dichiarai al maresciallo che l’autore non era ignoto: ero io. Perché pure allora lei ritirò la querela? Forse il motivo è uno: un politico scaltro qual è lei sa si vincere legalmente una lite ma sa pure di perdere consensi elettorali. E allora la tecnica è questa: querelo ma non procedo! Bene, io continuerò a scrivere, lei continui a querelare!

(si chiude il sipario ma Petralia ricompare in pubblico)

Petralia: La sasizza di dda porcilaia ni l’avemu manciata in tanti. Ma ssu tipu di sasizza l’avemu pagata du’ voti: na vota a lu macellaiu ca la tinìa appinnuta e na vota a lu Statu ca cu li nostri tassi finanziau su miliardu. A mia, però, ssa sasizza nun mi potti calari tantu facilmenti e nun la potti “jiri” liberamenti.

§§§

Il ricatto del fantasma

Personaggi:

Primo politico

Secondo politico

Giornalista

Onorevole

Segretario dell’onorevole

(La scena si svolge attorno ad un tavolinetto al bar. Seduti a discutere due esponenti di diversi partiti politici)

Primo politico: È l’unica vera occasione che abbiamo per mandarlo finalmente all’opposizione. Se ci coalizziamo è fatta.

Secondo politico: Ma le condizioni dobbiamo precisarle bene, altrimenti si rischia di fàrini assicutai di la genti.

Primo politico: Il mio gruppo mi ha dato carta bianca per tutte le operazioni, basta ca mannamu a riposu l’onorevoli…

Secondo politico: Io non posso ancora dare una mia adesione a questo piano in quanto occorre valutare prima tutti gli aspetti. E anche le proposte che giungeranno dall’altra parte. O di qua o di là dobbiamo pure andare, ma c’è un’altra via se vogliamo dare un’amministrazione al paese.

Primo politico: Tutto il gioco dipende dalla pianta organica per l’assunzione di altri impiegati al Comune: se ci mettiamo d’accordo sul numero dei nostri, allora…

Secondo politico: Non c’è solo questo punto. C’è anche da stabilire chi deve prendere la carica di sindaco e chi di vicesindaco.

Primo politico: Tutte le formule si possono studiare, l’importante è non pretendere troppe cose.

Secondo politico: L’unico problema è non farne accorgere all’altro giornale locale… si metti a fari caciàra e nun la finisci chiù!

Primo politico: Lu giornali ju ci l’aju puru e lo utilizzerò come ho sempre fatto… Chi ci su’ problemi?

Secondo politico: L’unicu problema è ca lu to giornali è di parte e qualunque attacco viene ritenuto solo di parte. Così anche qualunque difesa. Quale attendibilità possono avere le tue posizioni? Gli indipendenti hanno sempre più credito.

Primo politico: Abbaiari sulu fannu, ma nun muzzicanu, stai tranquillu! E si muzzicassiru la legge prevede che ai cani va misu lu mussinu. Ogni tantu si ci leva pi darici a manciari e poi si ci metti arria…

Secondo politico: E si lu cani nun voli manciari?

Primo politico: Mori! A nuautri chi n’interessa? È sulu questioni d’acchiappallu su cani e rinesciri a mettirici lu mussinu. (intanto passa il giornalista)

Secondo politico: Oh! Parramu di lu diavulu e spuntano li corna! Veni cà, assettati!

Giornalista: Buongiorno. Parlavate bene o male di questo diavolo?

Secondo politico: Né beni, né mali, secunnu di quali latu si pigghia la discussioni…

Primo politico: (alzandosi) Ti salutu, Salvatore, ca vaiu a lu studiu.

Secondo politico: Stai nautra tanticchia!

Primo politico: Già è tardi… arrivederci (andandosene)

Secondo politico: Arrivederci. Allura, (rivolto al giornalista) chi dici lu giornali?

Giornalista: Si dimena tra le difficoltà economiche e tra i malumori dei politici. Anche tra l’apprezzamento della gente comune però.

Secondo politico: Io non conosco ancora in Italia un giornale indipendente. Sarebbe come vedere un pesce fuori dall’acqua.

Giornalista: Certo, è così. Tutto sta nello sperimentare se il pesce sulla terra ferma riesce ad adattarsi e a non morire. È alquanto difficile la sua vita, ma facciamo una prova.

Secondo politico: Ma cu’ ti lu fa fari aviri tutti sti pinsera pi fari lu giornali? Chi ci guadagni? Sulu nemici!

Giornalista: Sì, infatti così come lo intendo io il giornalismo non si guadagnano soldi, anzi si spendono soldi e si perdono amici. Inoltre si impegna molto del proprio tempo libero. Ma è uno dei doveri dell’uomo questo tipo di attività, dell’uomo che possiede un minimo di coscienza. So quante cose si possono riflettere negativamente sul lavoro o sulla vita privata, ma se gli ostacoli diventeranno insormontabili io sono disposto perfino a licenziarmi dall’ente per cui lavoro pur di non andare via dal paese che amo. Anche a costo di cercare occupazioni più precarie e manuali. Ho fatto il muratore, l’imbianchino, il dattilografo, il disegnatore, il falegname… lei pensa che non troverò un altro lavoro che mi consenta il minimo di sussistenza? Abbandonare il giornalismo? Mai! Abbandonare il mio paese e la mia gente? Nemmeno a pensarlo!

Secondo politico: Se vorranno metterti il bavaglio ci riusciranno lo stesso. Ti conviene usare più moderazione.

Giornalista: La moderazione la posso promettere a chiunque, non è un difetto essere equilibrati. E poi, un certo tipo di bavaglio già l’abbiamo. Molte cose si sanno, egregio amico, ma non si possono comprovare. Eppure sono vere. Ma la legge vuole pezze di appoggio e non sempre si possono fornire le prove. Non sempre la gente trova il coraggio di testimoniare! Io a questo tipo di bavaglio, mi consenta, ho fatto soltanto un forellino, non uno spacco!

Secondo politico: Ascoltami da fratello, non farti trascinare dai facili entusiasmi. Tu sei giovane, riceverai prima o poi l’occasione per renderti conto che è più utile frenare la foga che lasciarla correre come un fiume in piena. Tu sei un valido elemento, volenteroso e intelligente, ma molto impulsivo. Calmati, rifletti bene! Il tuo continuo attaccare a destra e a sinistra, il tuo sviscerato qualunquismo non possono riscuotere sempre consensi.

Giornalista: Sì, è vero. Purtroppo è così, non tutta la gente accetta le mie denunce, specialmente quando scomodano determinati interessi.

Secondo politico: Ma quali interessi e interessi d’Egitto! Il fatto è che non hai una posizione politica precisa! Se devi criticare critica da dentro e non da fuori! È comodo pensarla in questo modo. Una posizione chiara devi prenderla, un indirizzo devi darlo al giornale, altrimenti brancola nel buio.

Giornalista: Sì, una posizione ce l’ho. Non è quella qualunquistica. È quella che difende i diritti di un’intera collettività e non le speculazioni dei singoli che gravano sulle spalle della società. Quindi una scelta recisa, non qualunquistica, l’ho fatta! Con questo intendimento sono solidale a quei gruppi partitici che lavorano concretamente per il bene della gente. Quindi l’incoraggiamento del nostro giornale va talvolta ad uno, talvolta all’altro partito, secondo le evenienze obiettive. Così pure le spinte, le sollecitazioni, le critiche.

Secondo politico: Ma ci deve pur essere un partito, un’ideologia che si avvicina ai tuoi gusti… E allora fanne parte!

Giornalista: Il partito a me più congeniale è quello che riunisce in se i lati migliori e i contenuti più umani di ogni espressione partitica esistente in Italia. E siccome ancora non esiste, non posso farne parte!

Secondo politico: E allora costituiscilo tu questo partito!

Giornalista: Ho provato, ma qualcuno dovrebbe abbandonare qualche comodità per seguirmi e diventare coerente con questa nuova ideologia. E qui casca l’asino: chi vuole che mi venga dietro? Riguardo al giornale, a mio avviso, un foglio deve essere autonomo se vuole avere una più alta utilità. Il giornalismo di chi batte la grancassa per il partito non è utile all’intera popolazione ma ad una fetta di essa. Sbaglio?

Secondo politico: Però se il partito opera onestamente e per tutti non rimane al servizio di una fetta ma dell’intera comunità.

Giornalista: Se lo trova questo partito me lo indichi. Aderirò.

Secondo politico: Certo, un po’ tutti hanno sbagliato, ma ognuno di noi deve lavorare per correggerli…

Giornalista: Una sparuta minoranza non può cambiare le cose. I propositi ideologici positivi sono presenti in tutti i partiti. Sono i fatti che invece non convincono! Solo la cultura indipendente può arricchire i partiti politici, giovando obiettivamente alle loro azioni, mentre la cultura partiticizzata, ridotta a strumento di influenza sull’opinione, o comunque impostata con interessi di parte, non può dare il giusto apporto qualitativo all’azione politica, risultando di poco giovamento anche al lavoro di un legislatore.

Secondo politico: In effetti è vero ma è difficilmente accettabile…

Giornalista: Lo so, pochissimi accettano questo concetto e non perché non sia valido. So pure che spreco tempo e fiato a diffondere questa teoria. Ma non mi scoraggio e insisto. Sugnu tistuni di nascita.

Secondo politico: Continua, continua. Mi piace quello che stai dicendo.

Giornalista: L’autonomia del pensiero rimarrà tale se andrà avanti sulla strada della ricerca, distaccandosi freddamente dal politico partitico al quale dovrebbe andare, secondo me, il compito di applicarsi bene sull’azione. Invece i politici non si accontentano soltanto del ruolo a loro attribuito e indirizzano a proprio verso i contenuti  tenendo buoni i giornali a grande e piccola tiratura con finanziamenti leciti ed illeciti. Dinanzi ai soldi soccombe qualsiasi autonomia ed un giornale, tranne rari casi, nasce e vive solo per il partito. Ora, evidentemente, chi fa politica per speculazione non sopporta che il nostro modesto giornale vada a posarsi su realtà distorte. Ma noi non vorremmo contribuire col silenzio allo sviluppo, nei nostri centri, di una spregiudicata ed efferata moda di arricchirsi con sistemi scorretti.

Secondo politico: Ma questo può essere per voi pericoloso… state attenti!

Giornalista: Scrivere in un certo modo può costare caro, lo sappiamo. Può diventare fastidioso non solo mettere il dito sulle piaghe ma anche additarle a distanza e con diplomazia. Allora c’è gente che vuole intimidirti. Intanto ti querela e poi… si vedrà. Ma questo non basta a mettere il bavaglio al nostro servizio. Se occorrerà pagare, pazienza, qualche volta si pagherà.

Secondo politico: Stai parlando come un eroe…

Giornalista: No. Preciso che avere carichi pendenti con la Giustizia, anche se prodotti dalla ricerca del bene comune, non costituisce per noi motivo di orgoglio o di vanto, ma neppure di vergogna. Sapevamo e sappiamo a che cosa si può andare incontro e siamo preparati ad accettarlo. Non vogliamo usare la penna per rovesciare sulla carta scandalismi inesistenti, oppure azioni personali di protagonismo esibizionistico, ma è doveroso essere noi, e chiunque lo desideri attraverso il giornale, cronisti ed attori del nostro tempo. La rotazione dei ruoli avviene da quando l’uomo è apparso sulla terra. Parlando di ruoli, però, non fa per noi la qualifica di vigliacchi.

Secondo politico: Ma, toglimi una curiosità, l’autru jornu, a lu municipiu ti chiamau l’onorevoli. Chi ci su’ novità?

Giornalista: Mi chiamau e mi dissi: “Bisogna potenziare quel giornale!” Al che io risposi meravigliato: “Come, prima lo volete distruggere e poi lo volete risuscitare? “Capirai, mi disse, ormai la mia posizione è diversa, prima era sinnacu, ora sugnu all’opposizioni”.

Secondo politico: E allura?

Giornalista: Allura ju ci dissi ca lu giornali è aperto a tutti come lo è sempre stato. Può scrivere chiunque, purché rimanga entro i limiti non penali. Iddu mi specificau subitu che voleva aumentare la tiratura del giornale da 1000 a 5000 copie e diffonderlo in tutto il circondario. “La differenza di costo, mi disse, la paghiamo tutta noi”. Io gli precisai che qualunque contributo veniva accettato da noi, ma il giornale garantirebbe in ogni caso la libertà di stampa a chiunque si esprime per il bene collettivo. Ci siamo lasciati con l’intenzione di riparlarne meglio. Proprio ora dovremmo sentirci, da un momento all’altro. Avevamo appuntamento qui nel corso, è già in ritardo.

Secondo politico: Deve passare da qui?

Giornalista: Sì, deve arrivare da Palermo. Ci dobbiamo vedere qui in paese per andare a discutere nella sua villa, in campagna.

Secondo politico: Allura, appena veni, ju mi ni vaiu…

Giornalista: A me non dà disturbo la sua presenza.

Secondo politico: Ma a lui sì. (proprio in quel momento giunge l’onorevole col suo segretario particolare che porta in mano una “24 ore”. I due si alzano e salutano i sopraggiunti) Allora, caro amico, devo salutarti. Grazie per la compagnia. La ossequio, onorevole.

Onorevole: Ciao (porgendo la mano ad entrambi)

Giornalista: Si accomodi onorevole, cosa le posso offrire?

Onorevole: Niente, grazie.

Giornalista: E lei cosa prende? (rivolto al segretario)

Segretario: Ma… io accetto un piattino di patatine con qualche olivetta ed un aperitivo analcolico… poi, se c’è, anche una granita.

Giornalista: Antonio! (chiamando verso l’interno del bar) Vieni a prendere questa ordinazione, appena hai un po’ di tempo.

Antonio: Vengo subito!(dall’interno del bar)

Giornalista: E allora onorevole, andiamo al nostro discorso. Prima di centrare l’argomento, le anticipo che il nostro giornale dà spazio a tutti e rispetta le opinioni di tutti, senza monopolio alcuno. In due parole: il nostro giornale conserva in ogni caso la propria indipendenza ideologia e la propria identità.

Onorevole: (sorridendo) La stessa identità che ha conservato lei quando l’ho fatta trasferire da Ragusa al suo paese di residenza? (ironico)

Giornalista: (perplesso) Cosa intende dire? Che il trasferimento al mio paese in seno alla mia attività di agente zootecnico sia stato deciso da lei? Non mi risulta! È possibile che lei stia facendo un’associazione di ricordi…?

Onorevole: (ironico) Certo… ormai lo hai dimenticato il bene che ti ho fatto… O sono io che faccio confusione…

Giornalista: Onorevole, guardi che ricorda male. Il bene lei lo avrà fatto a tanta gente, ma non a me. Io non le ho mai chiesto che mi facesse trasferire!

Onorevole: Certo, sì, hai già dimenticato tutto, ormai, figurati!

Giornalista: Onorevole, non ho mai chiesto a nessuno il mio trasferimento, altrimenti lo ammetterei. Ma non è così. In assoluta onestà e con tutta sincerità le dico che non è come afferma lei!

Onorevole: Allora perché sarebbero venuti a casa mia i tuoi genitori, a suo tempo?

Giornalista: Mio padre era già morto quando sono stato trasferito. Lei mi sta ricordando la favola del lupo e dell’agnello. A Ragusa, dov’ero stato assunto dal mio ente, avevo dei legami sentimentali e la notizia del mio avvicinamento a casa mi diede allora molto dispiacere, altro che cercare raccomandazioni!

Onorevole: Se ti ho arrecato danno, ti faccio riportare dov’eri…

Giornalista: Non spetta a lei questa decisione. Spetta al presidente della mia amministrazione al quale domani mattina riferirò su quanto lei sta sostenendo.

Onorevole: Sì, riferisci pure, anche lui si rimangia tutto… siete la stessa cosa!

Giornalista: Onorevole, la prego di smettere con l’ironia. L’argomento è molto serio. E lei ho l’impressione che stia sognando ad occhi aperti…

Onorevole: Certo, io sogno, sogna sempre chi fa del bene…

Giornalista: Il bene, le ripeto, lo avrà fatto a tanta gente ma non a me. Lei ha cercato di farmi del male invece. Due anni fa, per essermi rifiutato di farle la campagna elettorale, lei ha reclamato col mio datore di lavoro per costringermi a fare politica. Io allora al mio presidente ho detto: mi chieda sacrifici nel lavoro, sono disposto a farli, ma nella politica, così come la intendete voi, non sono né disposto né capace a farne. Vi farei fare soltanto brutta figura. Più recentemente ha cercato di farmi cambiare rotta col giornale riferendo, sempre al mio presidente, che questo foglio le dava fastidio. Ora, invece, vuole potenziarlo questo periodico, ma con maniere ricattatorie. Onorevole, mi ascolti attentamente: io sarei ben lieto di costruire un rapporto sano con lei, al servizio della nostra comunità, ma non fondato sulle bugie e sui ricatti. Mi sono spiegato? E allora, ci ripensi ancora. Quando sarà disponibile e se avrà le stesse mie intenzioni mi faccia chiamare ed io correrò subito, ma solo per cose serie. La saluto!

(si chiude il sipario ed il giornalista, che già si era avviato sulla ribalta, continua a parlare)

Fu la me curiusità di picciriddu a chiudiri subitu la parmusciana nta lu balcuni p’affirrari d’acidduzzu, pi jucarici e vidiri com’era fattu. La curiusità si la passaru puru tutti l’autri carusi di la strata. L’aceddu ni lu passammu di manu n-manu, ci rapemmu la vucca pi vidiri s’avia la lingua, poi ci muzzammu l’ali pi nun fallu scappari. Quanti carizzi a ddu poviru armaluzzu, quanta muddica, quanta acqua pi viviri, quanta paglia pi lu nidu! Ma nun si potti adattari, nun tuccava nenti, nun manciava, ddu cardidduzzu. Lu vicinatu: “Ancora campa d’acidduzzu? Ancora vivu è? Cantari canta?” D’aceddi avìa tanti attenzioni e tanti curi, ma nun ci facivanu profittu. Ci mancava la cumpagnia di li so simili, la libertà di vulari, l’armunia pi cantari.