Il corno francese

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IL CORNO FRANCESE

Commedia in un atto

diGIOSE RIMANELLI

                                   

PERSONAGGI

MARCEL HARRIS

RO­BERT GARY

NANCY GARY

LA RA­GAZZA

CORNELIUS

REBECCA

MOON

UOMO GRASSO

STRACCIONE N. 1

STRACCIONE N. 2

La scena è in una soffitta dell'East Side, a New York - oggi.

Commedia formattata da

« Madamigella Musetta era una bella ra­gazza di venti anni...

« - O che volete? La mia folle esistenza è come una canzone; ciascuno dei miei amori è una strofa, ma Marcello ne è il ritornello ».

« La voce di Mimi aveva una sonorità che penetrava nel cuore di Rodolfo come i rintocchi di un'agonia... « Egli però aveva per lei un amore geloso, fantastico, bizzarro, isterico... « Convien confessare che la loro esistenza era un vero inferno ».

HENRI MURGER « La Vie de Bohème »

Attico a Manhattan.

Una grossa vetrata corre lungo la parete di fondo, e di là si vedono le cime dei grattacieli, una rete di tetti con residui vanescenti di neve e l’East River color cacca di bimbo. La stanza è uno stanzone con caminetto che brucia. Una scala a chiocciola porta a un soppalco di legno a colonnine elisabettiane dov'è l’alcova.

Sul letto è disteso mezzo nudo Robert Gary, con le mani sotto la nuca. In un angolo dello studio, anche lui mezzo nudo, Marcel Harris, il pittore, fissa critica­mente una tela vuota sul cavalletto, con la stessa intensità con cui si guarda una tela piena. Accanto a lui è una ragazza col naso a punta, occhio scemo, vestita alla maniera invernale, che incomincia a spogliarsi metodicamente, for­cina dopo forcina, cerniera dopo cerniera, met­tendo in luce luminosi pezzi di carne, come se stesse squamandosi.

Lo studio è arredato modernamente e con gusto, anche se non è troppo ingombro. Ci sono poi una poltrona trasformabile in letto, un tavolo, mucchi di tele addossate ai muri. Dai muri pende gualche quadro astratto e uno strumento luccicante: il Corno Francese. La musica è costituita da uno stantuffare stac­cato, rabbioso e tenero, imprevisto, dei termosifoni: siccome a New York parlano e piangono e ridono. Pomeriggio d'inverno.

Ragazza                        - (guardando lo strumento al muro) Sei tu che suoni quel coso buffo là, Marcel?

Marcel                           - Quel coso buffo là si chiama Corno Francese, ed è importantissimo in una orchestra.

Ragazza                        - E tu lo suoni?

Marcel                           - No.

Ragazza                        - E cosa ne fai?

Marcel                           - Lo tengo per bellezza.

Ragazza                        - È buffo.

Marcel                           - Sì, è buffo.

Ragazza                        - Perché lo hai comprato se non ti serve?

Marcel                           - Non l'ho comprato. Sta lì da sempre.

Ragazza                        - È buffo, però. Ha un significato?

Marcel                           - Mi ricorda quando ero ragazzo. Ogni cosa mi andava bene per soffiarci dentro, quando ero ragazzo. E soffiandoci dentro andavo alla carica, vincevo battaglie e attra­versavo mari infuriati. Quando si è ragazzi basta soffiare in qualunque trombetta e il mondo è tuo.

Ragazza                        - E ora?

Marcel                           - Ora? Ah, niente, ora. Le trombe si sono arrugginite e il mondo non è più tuo.

Ragazza                        - Mi piacerebbe suonarlo.

Marcel                           - Impossibile. Nessuno di noi riu­scirà più a suonarlo.

Ragazza                        - Perché?

Marcel                           - (sbuffando) Perché... perché... perché...! Perché c'è la luna? Perché c'è l'amore? Perché c'è l'Empire State Building? Perché c'è questo, perché c'è quello? Siamo in un mondo di fanciulli a cui bisogna spie­gare sempre tutto. È deprimente.

Ragazza                        (mortificata) Scusa, scusa... Non ti chiederò più nulla.

Marcel                           - (subito annoiato, comincia a smaniare) Oh che gran caldo, si muore dal caldo. Dov'è la mia mazza da golf?

Ragazza                        - Così me la darai in bocca, come ieri sera.

Marcel                           - (guarda attraverso il finestrone, la città) Se almeno non ci fosse la sporca neve! Guarda che roba! Si potrebbe andar fuori a fare una partita, anziché marcire al diciottesimo piano.

Ragazza                        - Io trovo che si sta bene, dentro. Marcel, caro, comincio a spogliarmi?

Marcel                           - (cantando): Non fare la stupida Tanto non serve, Ci vogliono serve Per cose così...

Ragazza                        - Io intanto mi spoglio. Anzi sono quasi pronta. (Cercando essere graziosetta e schiflltosetta) Ballerai un poco per me? Mi farai un po' ridere, Marcel?

Marcel                           - (la guarda finalmente, con attenzione. Poi gli viene un crampo alla bocca) Ahi !

Ragazza                        (ride) Mi piaci tanto quando fai così. Sei un amore... un bambino...

Marcel                           - Davvero?

Ragazza                        - Uh-uh! Di'... restiamo qui o an­diamo di sopra? Direi di staccare il telefono, eh? Così non ci disturba nessuno.

Marcel                           - (guarda verso il soppalco dov'è l’alcova, quindi scuote la testa) No, cara... no. Oggi niente di niente. Né oggi, né domani. Per fare l'amore occorre avere un po' di freddo addosso, e farlo sotto le lenzuola. Tu non lo senti il caldo? A New York le case, d'in­verno, sono dei forni crematori. E, sincera­mente, non c'è gusto a sudare sul sudato. (Marcel le tocca il nasino a punta, in una smorfia) Avez vous compris?

Ragazza                        (che non capisce) Marcel, sei strano. Non mi hai chiamato per questo?

Marcel                           - (guardandosi intorno) Vorrei sapere dov'è la mia mazza da golf.

 

Ragazza                        - Se mi metto nuda potresti inco­minciare col farmi il nudo, eh?

Marcel                           - (a se stesso) Non ha ancora capito che le tele che faccio sono generalmente bianche, e le figure non vi sono ammesse. Porse me l'hanno nascosta.

Ragazza                        - Che cosa?

Marcel                           - La mazza da golf.

Ragazza                        - Sono dimagrita dall'ultima volta che siamo stati insieme, sai?

Marcel                           - Certo che so. So tutto. Bella schiena, bella pancia, bel sedere...

Ragazza                        - Grazie.

Marcel                           - (cantando) Fui il primo in quel tunnel Come un vecchio esploratore, Poi la Mary lo aprì al traffico, Poi la Mary lo aprì al traffico...

Ragazza                        - Allora me ne vado?

Marcel                           - Well... perché andare?

Ragazza                        (mortificata) Non sei affatto carino con me, non mi incoraggi, mi fai sentire inutile. Non so proprio perché resto con te.

Marcel                           - (fruga in vari angoli della stanza e infine trova la mazza da golf) Ecco la mia mazza da golf.

Ragazza                        - Cosa vuoi da me, Marcel? Perché mi telefoni? Perché mi tieni qui? Potevo sposarmi, lo sai, se tu non ti fossi messo di mezzo.

Marcel                           - (provando la mazza da golf) Siamo come sposati, no?

Ragazza                        - No. Infatti tu vivi qui e io a casa mia.

Marcel                           - Sbagliato. Mi stai sempre tra i piedi.

Ragazza                        (con ira) Le tue palle ti stanno sempre tra i piedi.

Marcel                           - Ma credo che si siano esaurite.

Ragazza                        (di nuovo col suo tono sciocco) Una ragazza, quando decide di sposarsi, vor­rebbe avere almeno due bambini...

Marcel                           - Curioso!

Ragazza                        - ... e una casa sua, senza più correre di qua e di là.

Marcel                           - (la guarda severamente) Che storie sono queste? Bambini niente, hai capito? Levateli dalla zucchetta. Non se ne fabbri­cano. Ci sono già tanti disgraziati in giro.

Ragazza                        - Come me.

Marcel                           - E non mi fare più questi discorsi. Io dipingo, lavoro... e sono divorziato.

Ragazza                        - Non ti ho chiesto di sposarmi... ma dico che vorrei sposarmi.

Marcel                           - Già... ma stai sempre a girare là intorno. Vuoi giocare?

 

Ragazza                        - Marcel... tu ce l'hai con me, vero?

Marcel                           - Io?

Ragazza                        - Perché sono un po' così... come dire... magari non molto istruita...

Marcel                           - Tu sei ricca, e perciò non importa se non sei molto istruita.

Ragazza                        - Vorresti essere ricco, Marcel?

Marcel                           - Se è una proposta di matrimonio, no.

Ragazza                        - Io, invece, penso che vorrei pro­prio sposarmi, e stare a casa, badare ai "bambini. Ma si finisce sempre con lo sposare l'uomo sbagliato, non è vero, Marcel?

Marcel                           - Le donne che ho conosciuto io hanno sempre detto di essere felici coi loro mariti.

Ragazza                        - E intanto li tradivano con te, non è vero?

Marcel                           - Non è esatto dire « tradire ». Si prendevano una boccata d'aria di tanto in tanto, ecco tutto.

Ragazza                        - È spaventoso, Marcel.

Marcel                           - No, è normale.

Ragazza                        - Quante donne hai avuto, Marcel?

Marcel                           - Ho perso il conto.

Ragazza                        - Erano interessanti più di me, non è vero?

Marcel                           - Smettila di dire « non è vero ». Vuoi giocare?

Ragazza                        (riluttante) E dove sono le palle?

Marcel                           - Anche con un pallino si può fare.

Ragazza                        - Dov'è?

Marcel                           - (prende una grande tela addossata al muro e la stende per terra. Si fa un buco. Quindi cava dalla tasca un pallino di vetro e lo butta sulla tela).

Ragazza                        - È microscopico.

Marcel                           - (assesta un colpettino al pallino di vetro) Là.

Robert                           - (si rizza contro la balaustra e guarda i due) La volete piantare di gridare, voi due?

Ragazza                        - Ma quello non era a casa sua, oggi che è festa? E io che mi stavo spogliando !

Robert                           - Ti si vede il petto, tesoro. Copriti, potresti prendere un raffreddore.

Ragazza                        (a Marcel, che continua a giocare) Quand'è che farai tanti soldi da poterti pa­gare una soffitta per conto tuo?

Marcel                           - Mi piace vivere in condominio -lui poeta e io pittor... Come nella «Bohème». Ti ricordi l'opera, la « Bohème »? Non c'è concorrenza e le spese si dividono in due...

Robert                           - (correggendo) Si « dovrebbero ». Ma ora pago io.

Marcel                           - Anche tu hai la sfortuna di essere ricco. Io non ho che amici ricchi.

 

Ragazza                        (a Marcel) Te lì potrei dare io i soldi, se vuoi. Ho un conto mio, in banca. E posso fare ciò che voglio coi miei soldi.

Robert                           - (ironico) Ma lui non vuole, Cocò. Gli artisti hanno una dignità.

Ragazza                        - Non chiamarmi Cocò.

Robert                           - Cocò come cocaina?

Ragazza                        - No. Cocò come cocotte.

Marcel                           - O Coccodè. (E imita il verso della gallina che ha appena fatto Vuovo. Intanto squilla il telefono, e Robert si butta giù dalla balconata. C'è una breve lotta tra Robert e Marcel per afferrare il ricevitore. Infine Marcel si appiccica la cornetta all'orecchio) Hallo?

Robert                           - Ti dico che è per me.

Marcel                           - E io ti dico che è per me.

Robert                           - Scommetto che è Nancy.

Marcel                           - No. Lei capita addosso, ma non chiama mai al telefono. (Parlando al micro­fono) Hallo. Ah, siete voi? Cosa? Buona roba, pezzi rari? Certo, non abbiate paura... i soldi sono qua.

Robert                           - Questa volta io non pago.

Marcel                           - (sempre al telefono) Va bene, vi aspetto. No, sono qui, non mi muovo... Cosa? Ah... dici che fa un freddo cane? Cosa vuoi che sia! Coraggio. Il freddo è ginnastica. Va bene. A più tardi.

Ragazza                        - Chi era? Una donna?

Marcel                           - La « Società dei rifiuti », della quale sono presidente.

Robert                           - Per i soldi, questa volta, rivolgiti a Coccodè. (Afferra il telefono e forma un numero) Hallo... Barbara? Be', scusi, Bar­bara... Sono sempre Robert... Non è ancora tornata, Nancy? Così, volevo sapere... No, niente di veramente importante... Va bene, grazie. (Riaggancia) Tutto il giorno fuori. Vorrei sapere dov'è andata.

Marcel                           - Ci sono tanti posti dove una ra­gazza che non lavora, e per giunta intellet­tuale, può andare. In chiesa, per esempio, o dal parrucchiere... per negozi... o per ap­partamenti...

Robert                           - (facendosi cupo) Tu giochi pesante, Marcel.

Marcel                           - Naturalmsnte nel caso di... Nancy, è alquanto diverso. Perché non provi da Cornelius?

Robert                           - Pensi che prenda sempre quella roba?

Marcel                           - Io non penso niente.

Robert                           - Non mi hai mai detto se la prendeva anche quando stava con te.

Marcel                           - La droga? Ma no, scherzi? Era la ragazza più dolce che avessi mai conosciuto,

Nancy.

Robert                           - Come si comportava con te?

Marcel                           - Cosa vuoi dire?

Robert                           - Voglio dire se era puntuale... se

era strana...

Marcel                           - Be', strana lo è stata un po'

sempre.

Robert                           - In che senso?

Marcel                           - Cosa vuoi che ti dica? Arrivava quando meno te l'aspettavi... e poi si sedeva per terra - le piaceva sempre seder per terra - e si prendeva quel coso tra le braccia (indica il Corno Francese), e ci soffiava dentro, così. Un giorno se ne arrivò con quel coso, e poi io lo appiccicai al muro... Certo che era strana! A volte le bastava di sentire una nota di quel coso alla radio, durante tutto un concerto, per poi star bene una giornata intera. Io le dicevo che una tromba non sta bene nella bocca di una donna. Non è elegante, non è grazioso, le dicevo. E lei diceva non fa niente, che me ne importa? Questa è la Nancy che io ho conosciuto. Soddisfatto, ora?

Robert                           - La conosci meglio tu che io. Anchequesto mi fa rabbia, di lei.

Marcel                           - Be'... una donna non si conosce mai bene abbastanza. Una donna è piena di tiretti cinesi. Ne apri uno e ne esce una cosa. Ne apri un altro e ne esce un'altra cosa. Io ho rinunciato a capire le donne. Sono una benedizione, è vero. Ma io ho rinunciato a capirle.

Ragazza                        - Chi è Nancy?

Marcel                           - (indicando Robert) Sua sorella.

Ragazza                        - Come tu sei mio fratello, non è vero?

Marcel                           - Senti, cara, perché non fai qualche cosa anziché dire... sciocchezze?

Ragazza                        - E cosa?

Marcel                           - Spogliati.

Ragazza                        - Ma se mi sono appena rivestita !

Marcel                           - Faresti l'amore con lui?

Ragazza                        - Con lui?

Robert                           - Perché no?

Ragazza                        - Ma per chi mi avete presa?

Marcel                           - Su, cara. Spogliati.

Ragazza                        - Per lui?

Marcel                           - No. Per fare qualcosa.

Ragazza                        - Sei un mostro.

Marcel                           - Anche mia nonna lo diceva, povera

vecchia.

Robert                           - (di nuovo al telefono, componendo un altro numero) Hallo...

Ragazza                        - Marcel, visto che ci annoiamo perché non facciamo un gioco più intelligente?

Robert                           - Qui è Robert Gary. C'è lì Nancy Gary, per favore?

Marcel                           - I giochi intelligenti sono finiti. Si chiude bottega.

Robert                           - La ragione è che la cerco da sta­mattina... No, non è mia sorella... ossia...

Marcel                           - Potremmo girare i pollici. Vieni qua, prova. Si passa il tempo anche girando i pollici.

Robert                           - No, no... Mi aveva detto che aveva terminato con lo psicanalista... Sì, termi­nato... Va bene, lasci stare. Grazie... (Riag­gancia).

Ragazza                        - (prova a girare i pollici seguendo l'esempio di Marcel. Ma si imbroglia, non ci riesce, si arrabbia) Io me ne vado. Vivere con voi è peggio che vivere coi matti. Cosa mi fa fare! Girare i pollici!

Marcel                           - Bene. Ne faremo uno ancora. Vuoi darmi la tua borsetta?

Ragazza                        - Per farne che?

Marcel                           - La borsetta. Sbrigati ! (La ragazza gli consegna la borsetta, nella quale Marcel fruga immediatamente. Scopre il borsellino e ne tira fuori alcuni dollari) Ora sta' a vedere. (Marcel accende un fiammifero e dà fuoco a una banconota di dieci dollari).

Ragazza                        (reagendo) Ma quelli sono i miei soldi !

Marcel                           - Che importa? Tuoi o miei non è lo stesso?

Ragazza                        (segue stupefatta l’evoluzione del foglio che brucia, quindi strappa di mano a Marcel la borsetta e gli altri dollari) È contro la legge bruciare il denaro. E questo, poi, è un gioco stupido. Tu sei matto, Marcel. Me ne andrò da Jimmy Male. Lui, almeno, è una persona un po' più « civile »...

Marcel                           - (cantando) Prendilo nelle manine Quello che Johnny ti dà...

Ragazza                        - Tra l'altro era il mio compleanno, oggi. Per questo sono venuta.

Marcel                           - (cantando) Anche Dolly spesso se ne viene Quando Johnny compare in città...

Ragazza                        - Arrivederci. (Si avvia alla porta lentamente, svogliatamente, senza desiderio di andare).

Marcel                           - Non fare la scema. Aspetta, ho avuto un'idea.

Ragazza                        (dubbiosa) Un'idea?

Marcel                           - (afferra un fascio di tele imbrattate di colori e le butta per terra) Distruggiamo.

Ragazza                        (illuminandosi) Davvero?

Marcel                           - Vieni, sbrigati. Tieni questo. (E le consegna un coltellino. In breve, come due forsennati, brandendo forbici e coltelli i due trinciano le tele. Alla fine si guardano esterre­fatti e ansanti, come se avessero ucciso qual­cuno).

Robert                           - (con finta ammirazione) Bel lavoro !

Ragazza                        - E adesso?

Marcel                           - Ricostruire. Distruggere per rico­struire.

Ragazza                        - Ma io non so come fare.

Marcel                           - Usa le tue belle manine.

Ragazza                        (si guarda le mani pallide e grassocce, e in quel momento le odia) Inutile. Con que­ste non so fare nessun lavoro concreto.

Marcel                           - Hai mai visto la faccia di un ago?

Ragazza                        - Ho visto dadi truccati, lampadine rosse e letti che fanno rumore, ma non un ago. Cos'è un ago, Marcel?

Marcel                           - (mostrando un lungo ago da cui pende un lungo filo di canapa) Questo, Coccodè.

Ragazza                        (scuote la testa) Non so che cosa farne.

Robert                           - Chiama la negra, Marcel. Credo che sia in cantina.

Marcel                           - Giusto, Rebecca. (Corre al cito­fono) Potrebbe mandarmi Rebecca, signor Knolton?

Ragazza                        - Marcel, mi vuoi bene lo stesso anche se non so cucire?

Marcel                           - No.

Ragazza                        - Allora provo.

Marcel                           - Ho già chiamato Rebecca. Tu met­titi lì buona buona e guarda.

Ragazza                        - Voglio provare. (Si inginocchia e incomincia a cucire. Ma si punge, strilla, Vago le cade dalle mani. Cercando Vago si imbatte nel pallino di vetro) Ho trovato il tuo pallino di vetro, Marcel.

Marcel                           - Lo puoi anche buttare. Mi ha scocciato. (Qualcuno bussa alla porta).

Robert                           - Questa è Nancy.

Marcel                           - Avanti.

Rebecca                        - (è una negra grande, grossa e sim­patica) Sono qua.

Robert                           - Dannata donna.

Rebecca                        - Dice a me, signor Gary?

Marcel                           - A un'altra donna che non sei tu. Non farci caso.

Robert                           - (di nuovo al telefono, formando il numero).

Marcel                           - (a Rebecca) Sai costruire, suppongo.

Rebecca                        - (sorride) Suppongo di aver già costruito sette figlie, tutte belle, tutte grandi come me.

 

Marcel                           - Hai ancora un bel pancino, grazie al cielo.

Rebecca                        - Il signore mi vuol bene.

Robert                           - (riabbassa il ricevitore perché ha tro­vato occupato).

Rebecca                        - (vedendo le tele sfondate) Mio Dio, che è successo?

Robert                           - Quella ragazza che sta disinfet­tandosi il dito ha provato a fare qualcosa.

Rebecca                        - È un delitto.

Marcel                           - Ma senza sangue. Dunque è un gioco. Non far finta di impressionarti, Reb, perché so che non te ne importa.

Rebecca                        - Al contrario, signor Harris. Penso che quelle tele potevano servire a tante cose...

Marcel                           - A niente, cara. Del resto sono servite a distrarci un po'. Tu non ti annoi mai?

Rebecca                        - Io? Magari, signor Harris. Dove lo trovo il tempo per annoiarmi? Si lavora e si lavora, poi si va a casa e si lavora e si lavora, poi viene un altro giorno e si lavora e si lavora. Certe volte dico: (congiunge le mani e solleva gli occhi al cielo) Signore, anche quando verrò da te mi farai lavorare?

Ragazza                        - A me han sempre detto che i negri non fanno che cantare, fare figli, an­dare sporchi e sognare Cadillac.

Rebecca                        - È vero, signorina. Così dicono nei quartieri alti. Ci siamo fatta una bella reputazione nei quartieri alti, noi. (Indicando le tele). Le devo portare in cantina, signor Harris?

Marcel                           - Macché. La cantina è lontana diciannove piani.

Rebecca                        - C'è l'ascensore.

Marcel                           - Se sai costruire dovresti rimettere insieme quei pezzi.

Rebecca                        - Beh, io penso che sia un po' dif­ficile, signor Harris.

Marcel                           - Difficile è una parola che non esiste.

Rebecca                        - Okay. Ci provo... (Si inginocchia in un angolo della stanza e comincia a scegliere i pezzi per farli combaciare) Credo che non sia molto difficile, signor Harris... È come un gioco da bambini...

Marcel                           - Sì, e anche divertente.

Robert                           - (si avvicina a Rebecca, afferra una manciata di quei pezzi e li butta per aria, quindi li mischia come si fa con un mazzo di carte) Così. Cuci quello che ti viene sottomano. Anzi, aspetta... (Le benda gli occhi con un fazzoletto) Così.

Ragazza                        - Ma che fai !

Marcel                           - Vedo che anche tu cominci a divertirti.

Robert                           - Con gli occhi chiusi forse nascerà il miracolo, Marcel.

Marcel                           - (ironico, annoiato) Miracolo? Oh, un miracolo. È vero, non ci avevo pensato. Sei un tipo con delle idee, Robert.

Robert                           - Esattamente come te, Marcel. La stessa scuola.

Marcel                           - No, perché tu sei ricco. Non è la stessa scuola.

Robert                           - E tu stai nei musei... con quella roba lì. Non c'è molta differenza.

Marcel                           - (facendosi cupo) Non è la stessa cosa. Una volta ci credevo.

Robert                           - Ecco perché ora si ha bisogno dei miracoli.

Marcel                           - Piantala.

Robert                           - I miracoli vengono sempre da fuori... così non c'è bisogno di lavorare in proprio, spremersi il cervello, inventare qual­cosa... Il miracolo è una cosa compiuta: ed è un regalo.

Marcel                           - (ironico) Lo hai già esperimentato con le tue poesie?

Robert                           - Infatti. Me le faccio scrivere dal maggiordomo. Non ti ho letto l'ultima? Ah, bisogna che tu la conosca...

Marcel                           - Piantala. Tu le poesie le scrivi per sport, per fare qualcosa. In realtà non te ne importa niente.

Robert                           - Proprio come te, Marcel. La vuoi sentire, l'ultima? Ascolta. (Incomincia a reci­tare, e gli tremano le mani e la voce) : Camicia di sangue La tua voce Sulle spalle della sera...: La tua voce come nella sera roca, Già spenta al fiato delle cose...

Rebecca                        - (cantilenando) M'hanno detto cuci questo cuci quello Ed io cucio, cucio questo e cucio quello; È la vita che ti dice cuci, cuci, Cuci i giorni, cuci i mesi, cuci gli anni, Cuci i sogni, le speranze ed i figlioli...

Robert                           - (continuando a recitare) Così le palpebre superbe Della sera, Sul cuore tutto sfogliato Nell'altalenare, Ti sono ancora veste; E così le tue labbra secche, Tra il sensitivo e il distante, Un'altra finta gioia riconducono...

 

Rebecca                        - (cantilenando) M'hanno detto cuci questo cuci quello E sto aspettando il giorno del riposo, Ma non posso ancora mettermi al balcone Per vedere il sole che tramonta...

Robert                           - (urlando) Sta' zitta, idiota!

Rebecca                        - (smette di cantare) Okay signor Gary. Non si arrabbi... Okay!

Marcel                           - (a Robert) Continua. È interessante.

Robert                           - Se non telefona io impazzisco.

Marcel                           - (calmo) Nancy non è tipo che te­lefona. È tipo che viene.

Cornelius                       - (questo giovane che ora entra è molto alto e molto sottile, e porta occhiali a stanghetta. Vestito trasandatamente, le tasche della giacca sono piene di libri da pochi soldi) Disturbo? Vedo che ci sono due ragazze. Ma quella inginocchiata che fa, l'indovina?

Robert                           - (gli si slancia contro e lo butta a sedere su di un tavolo che per Cornelius va benissimo come sedia) Dov'è Nancy?

Cornelius                       - Ohi! Sei impazzito?

Robert                           - L'hai vista, oggi? Dimmi se l'hai vista.

Cornelius                       - Forse. Perché?

Robert                           - Quando l'hai vista?

Cornelius                       - Robert, se non mi lasci la giacca non posso parlare.

Robert                           - (gli lascia la giacca) Quando l'haivista? A che ora?

Cornelius                       - (si gratta la testa) Non ricordo, sinceramente. La mia giornata è incomin­ciata ieri. Avete qualcosa da mangiare?

Ragazza                        - (maternamente) Vieni con me, Cornelius. Ti accompagno in cucina.

Robert                           - Se non mi dici dov'è ti sbatto fuori. È andata di nuovo da Prick, non è così? Frick è tuo amico, e tu lo sai. Dunque è andata di nuovo da lui?

Cornelius                       - Non lo so. E Frick non è mio amico. Nessuno è mio amico. So solo che lei viene qualche volta, prende e va.

Robert                           - (furioso) Viene? Dunque le dai sempre quella roba. Ma io ti avevo pregato di smettere. Ti avevo pregato. Invece sei un volgare profittatore. (Lo scuote come si scuote il tronco di un alberello, e dalle tasche di Cornelius libri e gomitoli di spago piovono sul pavimento) Ma io ti denuncio, hai capito? Per contrabbando di stupefacenti.

Cornelius                       - (liberandosi, indignato) Ma che vuole, questo? E che gli ho fatto, io?

Ragazza                        - Andiamo in cucina. Vieni?

Cornelius                       - Tutta la mia roba è sul pavi­mento.

Marcel                           - Spero che ci darai una scopata, dopo.

Ragazza                        - Andiamo?

Cornelius                       - (avviandosi verso la cucina con la ragazza) Tutti con me se la prendono... tutti. E io non so neanche di che cosa stanno parlando...

Robert                           - (al telefono, forma un numero) Posso parlare con il signor Frick? Ah, è lei? Mi mandi Nancy al telefono. So che è da lei... Su, non faccia finta di non capire... Nancy Gary, esatto, la sua amante... Come?... Hallo, hallo... (Riaggancia) Ha riattaccato.

Marcel                           - Posso dirti qualcosa? Bene, anche se non posso dirtela te la dico ugualmente. Piantala. Ti converrebbe perderla, quella cotta. Del resto è innaturale, mi pare.

Robert                           - Innaturale che cosa? Io sono inna­turale... lei è innaturale?

Marcel                           - Viviamo in una società che non sopporta più tanto volentieri gli equivoci... Perciò taglia corto, lascia stare, mettiti il cuore in pace... Ci son tante donne in giro...

Robert                           - (lo guarda sbalordito) E sei tu... tu che mi fai la predica?

Marcel                           - (alza le spalle) Va bene. Come non detto. Del resto non sono più affari miei.

Robert                           - Non sono più affari tuoi? Ma tu, quando lei viveva con te, come ti comportavi?

Marcel                           - (tagliando corto, seccato) Ho detto che non sono più affari miei.

Robert                           - (si butta a sedere in una poltrona prendendosi la testa fra le mani) Pazza, drogata, colera, sorella, puntura, congettura, pupazza... Oh, santodio!

Cornelius                       - (tornando dalla cucina con la ra­gazza, e divorando un pezzo di pane) Non c'è più niente nel frigorifero.

Marcel                           - (ironico) Scusa. Se sapevo che venivi avrei provveduto a rifornirlo. Ma perché mangi continuamente?

Ragazza                        - È così magro, poverino!

Cornelius                       - Per compensare gli scompensi. Lo psicanalista ha detto che debbo averci qualche vuoto psichico nella mia costitu­zione. E il vuoto è questo: le donne non mi guardano in faccia perché sarebbero costrette a guardare Dio. Per compensare questa man­canza, mangio.

Marcel                           - La psicanalisi è la nuova strego­neria dell'America. Infatti invece d'ingras­sarti ti allunghi. Un lungo verme. (Gli guarda la testa di passero) Deve farci freddo lassù.

Cornelius                       - (si tocca la testa, con delicatezza) Ci passano i venti irrazionali e le folgori. Qualche volta ci piove semplicemente. Ma non c'è abbastanza terra perché qualche cosa ci cresca. Credo che mi farò ricoverare in una clinica. (Gli cade dalle mani il pezzo di pane) Marcel, me lo raccogli? Sono così alto che se mi guardo i piedi mi vengono le vertigini.

Marcel                           - Faresti bene a precipitare, dunque.

Ragazza                        (si china a raccogliere il pezzo di pane, ma lancia uno strillo) Là... là...

Marcel                           - Là che cosa?

Ragazza                        - Scarafaggi!

Cornelius                       - Il pezzo di pane è stato aggredito dagli scarafaggi. Dove li tenevi nascosti, Marcel?

Ragazza                        - Dio, che schifo!

Marcel                           - (assesta un calcio al pezzo di pane che finisce nel fuoco del camino) Gli sca­rafaggi sono parte della nostra vita. Cosa c'è di strano?

Ragazza                        - Non li posso soffrire.

Rebecca                        - (si strappa il fazzoletto dagli occhi) Ho finito. Va bene il lavoro, signor Harris?

Marcel                           - (guarda distrattamente il lavoro) Sì, sì, continua. Anzi, no. Va' via. Per oggi basta.      - (A Robert) Prestami venti dollari.

Robert                           - (meccanicamente cava di tasca un pugno di dollari e li butta per terra).

Marcel                           - (a Rebecca) Prendili.

Ragazza                        - Ma sono un sacco di soldi, Marcel. Sei impazzito?

Marcel                           - Vedete la donna che mi vuole sposare offrendomi il suo denaro, come rea­gisce di fronte al denaro?

Ragazza                        - Ma io, Marcel...

Marcel                           - Ssst! Ho detto che sei coerente, ma non ti ho offesa.

Rebecca                        - Cosa debbo fare, signor Harris?

Marcel                           - Prendili e fila.

Rebecca                        - (razzola come un gallinone tra i soldi e se li caccia nel seno) Grazie, signor Harris, grazie. Non avrebbe un'altra mezza dozzina di sacchi da cucire?

Marcel                           - Torna domani.

Rebecca                        - Domani è festa, signor Harris, e le mie bambine tornano a casa. Torna a casa anche il vecchio Kimball-Blue che lei ha conosciuto una volta. Non potrei portare i sacchi con me? Anche il vecchio Kimball-Blue potrebbe darmi una mano.

Marcel                           - (annoiato) No. Torna dopo le feste. Ciao.

Cornelius                       - (avvicinandosi a Robert) Non le ho più dato quel] a roba da ormai quindici giorni.

Robert                           - E che cosa è venuta a fare da te, oggi?

Cornelius                       - Era depressa. Ha detto che passava di là e voleva farmi un saluto, ma non mi ha chiesto niente. E anche con Frick è finita... da molto tempo. Mi credi?

Robert                           - Non lo so. Ho l'impressione che tutto sia una trappola. A che cosa debbo credere?

Cornelius                       - Ti ho detto la verità. E quando io dico la verità è la verità.

Robert                           - (scattando) Ma va' a quel paese!

Cornelius                       - Va bene... padronissimo... (Si ritrae verso il tavolo e vi si mette a sedere. Cava di tasca due bocchini di clarino, uno bianco e uno d'oro, e comincia a provarli. Il pì-pì che ne esce sembra quasi una canzone).

Ragazza                        (si avvicina a Cornelius) Questo motivo mi piace. Cos'è, Cornelius?

Cornelius                       - Niente. Non è niente.

Ragazza                        - Mi piace.

Cornelius                       - Già, per questo ti piace : perché è niente.

Ragazza                        - Se fosse niente non mi piace­rebbe, ti pare?

Cornelius                       - Sarà. Ma io dico che è il con­trario. Ascolta. Cosa sto facendo?

Ragazza                        - Mi pare che stai suonando.

Cornelius                       - No. Sto facendo pì-pì...

Ragazza                        (stacca dal muro il Corno Francese e lo affida a Cornelius) Perché non provi questo?

Cornelius                       - (comincia a interessarsi al nuovo strumento, ma vede subito che è complicato e quindi lo abbandona per terra) Questo è difficile, è ingombrante, è un monumento. Nessuno lo suona più questo.

Ragazza                        - E quelli che suonano nelle or­chestre?

Cornelius                       - Quelli sono differenti... perché sono vecchi... adesso quello strumento sta bene solo appeso al muro...

Ragazza                        (guarda lo strumento come se fosse un animale preistorico) È vero, è troppo ingombrante, ti pare?

Rebecca                        - (riemerge dal pavimento e taglia la stanza di corsa) Arrivederci, signor Harris. Buone feste.

Marcel                           - Salutami Kimball-Blue. (Rebecca si scontra sulla porta con due straccioni della Bowary. Lei scompare e i due vengono avanti per metà annientati dagli enormi pesi che por­tano. Lo Straccione N. 1 è sepolto da un sacco ricolmo di ferracci; lo Straccione N. 2 solleva tra le braccia, con la delicatezza di un padre, un motore sgocciolante di motocicletta. Giunti al centro dello stanzone depositano i pesi. Quello del sacco comincia a distribuire sul pavimento bottiglie vuote, pezzi di ferro, clave, tubi e rubinetti da bagno, carta colorata e pietre tonde e bianche; quello del motore, con un enorme grugnito, deposita semplicemente il motore).

Cornelius                       - Ecco la « Società dei rifiuti ».

Straccione N. 1             - Eccoci qua, signor Harris.

Straccione N. 2             - È stata una bella faticata.

Marcel                           - (toccando i pezzi di ferro e i pezzi di carta) Bellissimi. (Costruisce rapidamente una specie di scultura, usando un pezzo di legno cilindrico, due pietre tonde e bianche e un rubinetto da bagno) Ecco, ecco. Con un po' di colla è fatto tutto. Ora qualcuno mi dirà che ho rifatto Brancusi. (Quindi liscia il dorso cromato e intriso d'olio del motore) Questo motore non l'avrete mica rubato, eh? Straccioni - (in coro) Oh no! Parola.

Straccione N. 1             - Sa, signor Harris... lavoro notturno, la gente dorme piuttosto facile...

Marcel                           - Ma questo motore caccia ancora sangue nero. E anche se è nero è sempre sangue fresco. Avete smontato una moto­cicletta?

Straccione N. 2             - L'abbiamo trovato, il motore. Stava sulla soglia di un garage. Stava per terra e stava solo, signor Harris.

Ragazza                        (premurosa, come una signora che riceva ospiti) Bevete qualcosa? Straccioni    - (in coro) Eh, eh!

Marcel                           - (si avvicina a Robert, che sembra ad­dormentato, e gli sfila dalla tasca altri soldi) Questi sono per voi, come vi ho promesso. Ma siate morigerati e risparmiatori. Arriva questo whisky?

Ragazza                        (rientrando dalla cucina con delle bottiglie che generosamente distribuisce. Solo Cornelius, che continua a far pì-pì in un boc­chino, e naturalmente Robert, non bevono) Ecco le bevande.

Straccione N. 1             - Comincio a sentir caldo, Mink.

Straccione N. 2             - Si sta proprio bene in questa casa. (Vede un accendisigari d'argento, lo soppesa e se lo caccia in tasca).

Straccione N. 1             - (a Cornelius) Signore, ci dà il tono?

Cornelius                       - Vi posso dare solo un sì minore.

Straccioni                      - (cantano Vlnno dei Mattoni, e lentamente danzano, buffamente danzano, uno di qua uno di là, come due pugili che si stu­diano)            -

Se venite a veder Charlie Brown In quell'angolo di Tattoo Street Sta cercando una scarpa di para Sta cercando una scarpa di para.

 GIOSE RIMANELLI

 Oh la scarpa è scappata con Lynn

Da quell'angolo di Tattoo Street,

Torna a dormir sui mattoni

Torna a dormir sui mattoni.

Sono rossi del sangue di Brown

Quei mattoni di Tattoo Street,

Ma se ritorna quella ragazza

Ma se ritorna quella ragazza

Non ditele niente di Brown.

Moon                            - (entra il mercante Moon vestito da alpi­nista) Ah che freddo, fuori! Che brutto Natale. Ma che fate?

Marcel                           - Canti e suoni. Sono venuti degli amici. Un po' di gioia non si nega a nessuno.

Moon                            -  E il lavoro?

Ragazza                        - Ha lavorato tutta la settimana, il povero Marcel.

Cornelius                       - Il povero Marcel.

Moon                            -  (indignato)   Buttate fuori questi straccioni. Mi fanno male agli occhi.

Straccione N. 2             - (sta legando un filo di spago al Corno Francese) Va bene, signor Moon. Ce ne andiamo.

Straccione N. 1             - Buon Natale.

Moon                            -  Pure a voi. (Gli straccioni si avviano alla porta trascinandosi la tromba).

Marcel                           - Ehi, lascia la tromba!

Straccione N. 2             - Oh, la tromba! Scusi, signor Harris, mi veniva dietro.

Marcel                           - (raccatta la tromba. Fruga nelle tasche dello straccione n. 2 e trova l’accendisigaro). E questo, di', ti è venuto in tasca? (Caccia fuori della porta i due straccioni, con due pedate nel sedere).

Moon                            -  Ora stammi bene a sentire, Marcel. Io non ti darò più un soldo. Sono due mesi che aspetto qualche cosa da te. Il contratto è contratto e va rispettato.

Marcel                           - (indignato) Il mondo è in rovina e tu pensi al contratto?

Moon                            -  Io sono mercante. Penso ai quadri.

Marcel                           - Quando il mondo è in rovina io non riesco a lavorare. Non li leggi i giornali? Io mondo è in pezzi. A cosa serve più lavorare, costruire... fama, quattrini, futuro... a cosa serve?

Moon                            -  Questi sono affari della politica, non affari nostri. Tanto è vero che ancora esistono dei musei e dei collezionisti. Al mondo ci pensano i senatori, sta' tranquillo.

Cornelius                       - Evviva i senatori.

Moon                            -  Ti passo seicento dollari il mese. Ti organizzo mostre e pubblicità. Sono, inoltre, il tuo miglior amico, e tu hai deciso di non fare niente in cambio?

Marcel                           - Io non ho deciso. Solo non posso. Quando mi metto davanti a quel cavalletto è come se annegassi.

Moon                            -  E tu non metterti davanti al caval­letto. Guarda Jackson Pollock se ha mai adoperato un cavalletto.

Marcel                           - Tu sei un degenerato, Moon.

Moon                            -  E tu un incosciente.

Marcel                           - Ho deciso di fare io scultore. Questi ferri vecchi mi aiuteranno.

Moon                            -  La scultura è meno commerciabile della pittura. Con dolore vedo che anche oggi hai distrutto delle tele... tele che ti ho comprato io.

Ragazza                        - Veramente l'ha fatto per me... perché mi annoiavo.

Moon                            -  Brava ! Lei ha tempo per annoiarsi. Incredibile, mostruoso... C'è un mondo attivo,  vivo, bello, fuori... e lei si annoia!

Marcel                           - C'è un mondo in pezzi, fuori.

Moon                            -  Retorica. Apparentemente il mondo  è stato sempre in pezzi, ma chi ha voglia di lavorare lavora ugualmente... (Vede finalmente il quadro rattoppato da Rebecca) E questo?

Marcel                           - Niente, lascia stare...

Moon                            - (solleva il quadro tra le mani e lo studia) Manca la firma.

Marcel                           - Lascia stare, ti ho detto. È da finire.

Moon                            -  Per me va bene cosi. Lo vuoi firmare, per piacere?

Ragazza                        - Ma quello è un gioco, è soltanto un gioco...

Moon                            -  È per questo che vale. Le cose ge­nuine nascono sempre per gioco.

Ragazza                        - Io non ci capisco niente. Marcel, digli che...

Marcel                           - (con violenza) Sta' zitta, tu! (Con uno strano sorriso) Robert, hai visto che bel quadro è nato mentre tu dormivi? Non è un miracolo?

Robert                           - Te l'avevo detto che esistono i miracoli.

Ragazza                        Signor Moon... io sono disgustata.

Moon                            -  Bene, ragazza, bene.   (A Marcel) Dunque mettici la firma e andiamo a man­giare fuori. Pago io, naturalmente.

Marcel                           - (esitante) Sinceramente, Moon... tu credi di poterlo vendere quel ... quel...

Moon                            -  Ho già il compratore.

Marcel                           - (deposita per terra il Corno Francese e mette la firma al quadro) Be', non è pro­prio disprezzabile, dopo tutto... Cosa ne dici, Cornelius?

Cornelius                       - Per me è niente.

Moon                            -  Non è affatto male, invece. Per evitare una distruzione me lo porto con me, ora.

Marcel                           - Come vuoi, mio protettore.

Nancy                           - (entra e si appoggia alla porta, sfinita dalla stanchezza).

Marcel                           - Nancy!

Robert                           - (ha un fremito, ma non si muove dalla poltrona) Ora volete andar via tutti, per favore?

Moon                            -  Certo, certo. Con piacere, anzi. Se gli studi servissero solo per lavorare ci guadagneremmo un po' tutti. Invece...

                                                                                                                               

Robert                           - Invece cosa, signor Moon?

Moon                            -  Niente. Pensieri. Andiamo?

Ragazza                        (con un sorriso d'amicizia) Ciao, Nancy. Io sono Cora... Marcel Bene, andiamo via? Da Croff, vero? (A Robert) Se più tardi decidete di venire anche voi, noi siamo da Croff. (Vanno via tutti. Cornelius, passando accanto a Nancy, le dice qualcosa sui capelli).

Nancy                           - Grazie. Ma non sono drogata, oggi.

Cornelius                       - Mi era parso. Scusa.

Robert                           - (la porta si richiude dietro le spalle di Marcel e compagni, e una lunga pausa - un silenzio, interrotto solo ~ dallo stantuffare dei termosifoni - si frappone fra i due giovani. Infine, scandendo le parole) Così hai ri­trovato la strada di casa, finalmente. È da stamattina che ti cerco.

Nancy                           - (abbandona il suo posto accanto alla porta, e cammina per la stanza) Sono stata a colazione con tuo padre, e poi sono andata in giro, a zonzo. Camminando sono finita a Brooklyn. C'è lo sciopero degli scaricatori di porto. Ho visto un bagaglio cadere nel fiume, da una nave. E una donna si è messa a strillare. Diceva che aveva tante cose in quel bagaglio, e sembrava disperata. Ma nessuno è andato a ripescarlo. E poi è venuto a piovere. Credevo di poter cancellare dai miei occhi la faccia di tuo padre. Lo vedevo coi capelli bianchi e la testa stempiata, come la testa di Ben Gurion. E invece tuo padre ha ancora i capelli neri.

Robert                           - Se li tinge.

Nancy                           - Ha detto che dovremmo tornare a casa.

Robert                           - Ci ha preparato il letto matrimo­niale?

Nancy                           - Ha detto che non è colpa sua. Gli dispiace della situazione. Io dovrei sposarmi, ha detto.

Robert                           - Sicuro. Con me.

 

Nancy                           - Mi ha chiarito tutto, anche se non ce ne fosse bisogno. E naturalmente la colpa è dei divorzi.

Robert                           - Certo, la colpa è sempre di qual­cuno e di qualcosa.

Nancy                           - Ha detto una frase curiosa. Il di­vorzio, ha detto, in questo Paese non è un prodotto della democrazia o dei liberalismo, ma della libertà di costumi e della ricchezza.

Robert                           - Eh sì, il vecchio non è uno stupido. Ha fatto una certa esperienza dopo cinque divorzi.

Nancy                           - Mi faceva quasi pena. Si fanno figli, ha detto, che poi se ne vanno con le madri, che poi vengono adottati da altri padri... E poi questi figli ritornano, ha detto, e due fratelli s'incontrano una sera, in una festa di studenti o nello studio di un pittore, e non si conoscono e cominciano ad amarsi, ed è come se fossero due persone normali, differenti...

Robert                           - E tu credi che siamo due persone differenti, io e te?

Nancy                           - Per me, sì. Del resto non sapevo niente di te fino a un anno fa, e non sapevo niente di noi fino a una settimana fa. Non uso fare indagini sulle persone che decido di amare, anche se portano il mio stesso nome. E alle cene di Natale non sono mai venuta.

Robert                           - Quelle ridicole cene. Peccato. Ne avremo una fra qualche giorno. Vengono tutte le ex mogli del vecchio, con i loro cappellini nuovi e con i figli dei vari letti, e il vecchio è magnanimo, è serafico, fa regali, dà un buffetto a questo e un buffetto a quello, un bacio a questa e un pizzicotto a quella... È il pascià che ha maritato le sue concubine. Insomma una cosa sentimen­tale: con molti regali e qualche lacrima...

Nancy                           - So tutto. Mia madre, anche se non è una grande oratrice, mi ha illustrato il rito in ogni suo dettaglio. Perciò non rim­piango di non aver mai partecipato a queste celebrazioni di famiglia.

Robert                           - Peccato... perché almeno ci sa­remmo conosciuti, e tutto sarebbe stato in regola. (Si alza dalla poltrona e le va incontro. Le tocca le spalle, i capelli) Sei ancora bagnata.

Nancy                           - (sforzandosi di ridere) Credo che abbia piovuto solo a Brooklyn... perché c'ero io.

Robert                           - (improvvisamente l’afferra per le spalle e la bacia sulla bocca).

Nancy                           - (si libera di scatto) Basta!

 

Robert                           - Facciamo l'amore?

Nancy                           - È un'idea. Così si evita di parlare.

Robert                           - Esatto. Perché, tanto, non signi­fica più niente vivere in un modo limpido e pulito, in modo da poter guardare la gente, poi, vivere in un modo limpido e pulito.

Nancy                           - (si accoccola in un angolo della starna e si prende il Corno Francese sul grembo) Non so di che cosa parli.

Robert                           - Non significa più niente, Nancy.

Nancy                           - Sono parole. E ormai non m'im­porta più di quello che dici. È successo e basta. Ora dimentica e mettiti il cuore in pace. Come sto cercando di fare io.

Robert                           - E tu puoi dimenticare che sei una malata, una che si fa le iniezioni negli ascensori?

Nancy                           - (urlando) Non me ne importa!

Robert                           - E va bene. Anche io dimenticherò, non penserò più a ciò che è successo... tu per me sei Nancy e basta, la ragazza che Marcel mi ha presentato un anno fa... perché ne era stufo. Stufo, non è così? Quando si è stufi di una ragazza la si presenta a un amico, e così tutto è normale, e non ci sono rimorsi per nessuno... Va bene, tu - per me - sarai soltanto questo.

Nancy                           - È ciò che voglio, Robert. Esser lasciata in pace.

Robert                           - Ma non prendermi più in giro. Non apparire per poi sparire... come i dischi volanti, come le comete. E non pensare che sia proprio un ragazzino. Ho appena due anni meno di te. Due anni che non contano più. Ma tieni presente questo : io, che verrei a letto dalla mattina alla sera con te, io potrei stare dieci anni senza venire a letto con te. Perché io non sopporto gli altri. Io non sopporto il vizio... Vedi - è strano! -ma sono ancora sano, io, in una maniera addirittura infamante.

Nancy                           - Smettila, Robert.

Robert                           - Vedi, oggi... proprio perché deli­ravo, ho bendato gli occhi a una negra, per provocare Marcel, che ormai ha il cancro, dentro... e vive unicamente perché non ha il coraggio di suicidarsi... Ho voluto essere Marcel, anzi peggio... Ma io sono diverso... per me il mondo non è ancora in pezzi... Per me andare a letto con una persona signi­fica farlo ancora per amore... riesci a capirlo?

Nancy                           - Tu riduci tutto a queste cose del sesso. Dai ancora importanza al sesso, come se fosse l'unica realtà disponibile, oggi... Invece il discorso è un altro, tra me e te...

Robert                           - Niente affatto.

 

Nancy                           - Tocca altre cose.

Robert                           - Tuo padre, mio padre? Ma no, j figurati! Tocca questo.

Nancy                           - (si toglie l’impermeabile e le scarpe. Si I accende una sigaretta. È molto calma) Robert, io volevo solo che tu mi aiutassi a credere in qualche cosa. Ti avevo detto, appunto, j questi sono i miei limiti, questo è il ponte | di frattura fra me e le cose, e questo è il      - ( ponte che non sono riuscita a fare. Me ne è mancato il tempo, e poi me ne è mancato [ il coraggio. L'amante di mia madre volle anche me, quando avevo tredici anni. E mi I prese con arte, un poco ogni giorno. Era­vamo ricchi, non avevamo bisogno dello scandalo, e tutto si è aggiustato, tutto è rientrato nell'ordine. Mia madre divenne più cauta... ma io sempre più imprudente, e così questo ponte divenne irrealizzabile. Ti ho raccontato tutto questo, una volta, prima di sapere di te e di me, e te lo ripeto ora. Cosa hai fatto tu per tirarmi su? Gelosia, tallonamento, oppressione... Tu che spesso sei riuscito a dirmi delle cose vere, in teoria, non sei riuscito...

Robert                           - (scattando) Ma tu non mi accetti. Tu non accetti quello che io dico. Tu mi togli la parola di bocca.

Nancy                           - Non è vero !

Robert                           - Tu mi impedisci di parlare.

Nancy                           - Sei tu che mi perseguiti, mi tor­menti... mi vorresti sotto una .campana di vetro... Quattro anni fa, quando andai in Italia, ho conosciuto un ragazzo a Firenze... Mi chiudeva in una stanza, lo sai? E un giorno sono scappata dalla finestra. Perché nessuno può chiudermi, può imprigionarmi, hai capito?

Robert                           - E va bene. Perdonami. Ti ho detto, però, sposiamoci, andiamo via da New York... andiamo in Messico, in Guatemala, in Europa... Dove vuoi tu, ti ho detto. Pur di stare insieme... e io lavorare, avere la cer­tezza che io possa lavorare con te che stai in un'altra stanza... avere la certezza di poter avere una famiglia, finalmente... io che non l'ho mai avuta una famiglia... E invece no : no perché a te piace fare ciò che hai sempre fatto : con questo, con quello... oggi seria, domani sbronza... Ecco qual è il punto.

Nancy                           - Ormai, Robert, non servirebbe più né a me né a te... Gli accoppiamenti tra fratelli e sorelle... Oh, mio Dio! Sembra un sogno, un incubo, una cosa inventata... (Ride) Hai qualcosa da bere?

Robert                           - Stai lì, non cambiare discorso. Per te non significa niente, questo, e sai bene che non significa niente... e io mi sento ancora pulito, nonostante tutto. Me ne sono fatta una ragione. Solo per caso tu ti chiami Gary come io mi chiamo Gary. Ci sono un mucchio di Gary in America. E solo per caso abbiamo scoperto che tuo padre è anche mio padre. Ma questo non cambia nulla. Due anni fa ho letto una storia della quale tutti i giornali hanno parlato. Un ameri­cano va in Australia e si innamora di una ragazza. Decidono di sposarsi. Ed è quando tirano fuori i documenti che si accorgono di essere fratello e sorella.

Nancy                           - Interessante. E che cosa hanno fatto?

Robert                           - Si sono sposati lo stesso, ma non più in Australia. Dunque anche per noi... non cambia nulla.

Nancy                           - Non cambierebbe nulla unicamente se tu...

Robert                           - Se io, cosa? Ma sei tu quella che mi dice : « Fra qualche giorno non possiamo più vederci perché arriva Percey ». Il Percey che viaggia e che a un certo momento arriva. Lo scrittore di successo: saggio, umano e cinquantenne... Sei tu che mi togli la parola di bocca, che su questo punto non vuoi sentir ragioni...

Nancy                           - Io ti ho detto un'altra cosa. E ti no fatto un discorso che tu hai capito be­nissimo. Io ti ho detto : « Non ti ho ancora scelto... per il Messico o l'Europa» perché non mi sento ancora di sceglierti, quindi di sposarti, anche se mi piace stare con te...

Robert                           - Continua.

Nancy                           - Nei confronti di Percey io desidero soltanto evitargli una sofferenza, perché sa­rebbe una sofferenza anche per me dirgli di te... o di chiunque altro. Quindi non è che ti tolga la parola di bocca. Anzi! Sei sempre tu che parli. Solamente vorrei - così - non sbattergli in faccia delle cose che non posso sbattergli in faccia... Tra me e lui non c'è più nulla, e tu lo sai... e sai bene fino a che punto non ci sia più nulla. Sai benissimo che è rimasta, tra me e lui, una cosa che, comunque vadano le cose tra me e te, rimarrà sempre, insomma.

Robert                           - Continua.

Nancy                           - Gli voglio bene, molto bene, e credo molto in lui, ho molta fiducia in un certo suo equilibrio... Mi dà calma, mi dà pace... Non c'è nulla di strano in questo.

Robert                           - (smette di passeggiare e si accoccola per terra, accanto a lei) Sottovaluti anche lui, allora.

Nancy                           - No. Ma... se preferisci - sì - sot­tovaluto tutto. Sono arrivata a questo punto, bisogna credermi.

Robert                           - Ma tu ci hai mai creduto, qualche volta, nella tua vita? Hai mai creduto a qualche cosa?

Nancy                           - (accarezzando il Corno Francese) Sì, qualche volta... a qualche cosa... Ora sono peggio di Marcel. Nulla, non conta più nulla, ora.

Robert                           - Quello che hai fatto, dunque, per che cosa lo hai fatto?

Nancy                           - Non lo so, né voglio saperlo.

Robert                           - (alterandosi) Perché hai amato Marcel, perché hai amato quell'ignobile Frick, perché hai amato quell'italiano. di Firenze, perché hai amato Percey... perché li hai amati?

Nancy                           - Perché? Be', per forza... perché l'amore è un incidente.

Robert                           - Ma non è un incidente cosmico l'amore, per Dio!

Nancy                           - È un incidente biologico.

Robert                           - Macché biologico!

Nancy                           - Perché l'amore ti capita quando meno te l'aspetti o quando te l'aspetti, non importa. Ma l'amore capita, insomma.

Robert                           - L'amore che capita finisce. L'amore che capita finisce in questo modo... (La schiaf­feggia) In schiaffi, finisce...

Nancy                           - (rimane calma, passiva, toccandosi la guancia).

Robert                           - Quell'amore che capita, come tu dici, finisce in insulti, ecco come finisce. Quello è un incidente biologico. Quando le persone arrivano ad offendersi, quello è un incidente biologico. Ma quello non è amore. Quello è letto... così, per dieci minuti, un quarto d'ora, anche un mese, anche due mesi... Ma quello non è amore.

Nancy                           - (si butta di nuovo distesa sul pavimento, con la testa in giù) Oh, Robert, smettila, smettila, smettila... Sono stanca, sono morta, non farmi pensare...

Robert                           - Non pensare... già, evitare di pen­sare... Ecco la nuova, grande malattia del mondo... Evitare di pensare... Stiamo di­ventando tutti dei corpi che camminano... evitando di pensare... Che importa mettere la firma a un quadro, anche se quel quadro è un niente, ed è un niente che non è neanche tuo? Che importa? Evitare di pensare... (Si inginocchia accanto a Nancy) L'amore, Nancy, sai cosa significa? L'amore significa sopportarti, l'amore significa capirti, l'amore si­gnifica perdonarti, l'amore significa perdo­narmi capirmi cercare di farmi capire da te. Questo è l'amore. L'amore significa amare i tuoi difetti...

Nancy                           - Però significa amarli. E se non li ami?

Robert                           - (gridando) Tu non li ami perché in fondo ai tuoi difetti c'è un letto...

Nancy                           - Ma se non li ami, che fai?

Robert                           - (è costernato. Dice stancamente) Nancy, perché non la finiamo? Nancy, perché non saltiamo da quella terrazza là, tenendoci per mano? È l'unica cosa che possiamo fare, sai? È l'unica cosa che ci rimane...

Nancy                           - Sono già morta, Robert. Lasciami stare, ti prego, ti prego...

Robert                           - (si alza, va alla vetrata. Apre una porticina e esce sul terrazzo, si sporge, guarda nel vuoto. Per un attimo pensa che sarebbe facile lasciarsi andare giù. Poi rientra, chiude la porticina, torna da Nancy, si siede accanto a lei) Eppure ogni cosa poteva essere diversa, Nancy, sorella... Ogni cosa... Ogni cosa poteva essere realmente diversa, Nancy, amore... Dormi? Sì, le mie parole ti addor­mentano. Sono come quella roba che prendi negli ascensori... addormentano, non lasciano pensare... Ma perché sei venuta dalla Cali­fornia, Nancy? Pensa un po' : una volta ho visto tua madre, in una di quelle riunioni di Natale in casa di mio padre. Una signora morbida ed astiosa, tua madre, figlia della indipendenza e della Banca Middle West e Co. E ho detto a me stesso : « In fondo, mio padre ha fatto benissimo a divorziare da lei. Non ho mai saputo perché ha divorziato anche da mia madre e anche dalle altre mogli... cinque, pensa, un harem: non lo so e non lo voglio sapere. Ma, mi sono detto, ha fatto certamente benissimo, mio padre, a divorziare dalla Banca Middle West e Co. Il divorzio è sacrosanto, mi son detto, se può evitare un assassinio. Ci pensi? Mio padre assassino per una donna di quel ge­nere... se non ci fosse stato il divorzio a salvarlo ». Così mi dicevo, ed ero felice per lui. Perché una donna la senti dalla pelle, e quella donna non era pelle per lui... Ma è così, è esattamente per questo che tu sei cresciuta a Lodi, California, Nancy, dove gli italiani fanno il buon vino... Ed è così che sei venuta a New York che eri già ubriaca... Nancy, dormi? (Robert si prende la testa fra le mani e piange. Poi si stende accanto a lei, e si copre con lo stesso impermeabile di lei, e l'abbraccia, la bacia. Robert infine si! addormenta. Un uomo grasso e grosso entra dalla porta, col sigaro acceso. Ha un flou bianco all'occhiello dello smoking).

Uomo grasso                 - Figliuoli, sono venuto per portarvi a casa. (L'uomo grasso li osserva. Poi va alla finestra, tira i lacci delle tendine. Le luci si abbassano, nella stanza si fa scuro.  Solo il Corno Francese, giocattolo inutile, è rimasto in un cono di luce, a simboleggiare quella poesia che non c'è più. L'uomo grasso si mette seduto su di una cassa rovesciata, di fronte ai figli, fumando tranquillamente il\\ suo sigaro). Aspetterò che vi svegliate. (Una nave fa sentire il suo grido dal fiume, e i ter­mosifoni la loro strana musica di polmoni Un chiarore di neve entra nella stanza. Ora dal pianerottolo giungono le risate ubriache di Marcel e della ragazza).

Marcel                           - (cantando) - Se venite a veder Charlie Brown In quell'angolo di Tattoo Street, Sta cercando una scarpa di para... E tu ce l'hai la tua scarpa di para, Coccodè?

Ragazza                        - Non gridare, è quasi l'alba.

Marcel                           - (imita il verso della gallina che ha appena fatto l'uovo).

Ragazza                        (ride soffocatamente).

Marcel                           - (i due entrano nello studio tenendosi abbracciati) Non accendere la luce, Coccodè. I fantasmi potrebbero scappare. (Marcel in­ciampa nel Corno Francese che rotola nel buio).

Ragazza                        (vede il puntino rosso del sigaro e si abbraccia più strettamente a Marcel, im­paurita) C'è qualcuno!

Marcel                           - Non c'è nessuno.

Ragazza                        - C'è un occhio rosso, là...

Marcel                           - Non farci caso. Dev'essere l'occhio del gatto Marcel...  (I due attraversano lo studio tenendosi sempre abbracciati; scaval­cano i corpi di Nancy e di Robert; s'infilano per la scala a chiocciola; si buttano con fra­casso sul letto, con un sospiro di sollievo).

Ragazza                        - Mi ami, Marcel?

Marcel                           - (grugnendo) Sicuro.

Ragazza                        - E non ami nessun'altra donna all'infuori di me?

Marcel                           - Nessun'altra donna all'infuori di te... (E ride piano, da ubriaco).

Ragazza                        - (inebriata) - Oh, Marcel! Caro, prezioso Marcel ! Ti amo... ti amo... ti amo...

FINE