Il cornuto immaginario

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IL CORNUTO IMMAGINARIO

Farsa in un atto

di MOLIERE

PERSONAGGI

GORGIBIO, borghese di Parigi

CELIA, sua figlia

LELIO, innamorato di Celia

RENATONE, servo di Lelio

SGANARELLO, borghese di Parigi e cornuto immaginario

LA MOGLIE di Sganarello

TRAPANETTO, padre di Valerio

LA CAMERIERA di Celia

UN PARENTE di Sganarello

La scena si svolge a Parigi

Commedia formattata da

Celia                                - (uscendo di casa tutta in lacrime, seguita dalla came­riera e dal padre) Oh, non sperate che io acconsenta!

Gorgibio                          - Che hai da borbottare, piccola impertinen­te? Pretendi di po­ter opporti a quanto io ho deciso? Non ho io forse un po­tere assoluto su di te? E con quali stu­pidi argomenti, sen­tiamo, il tuo cervel­lino vorrebbe guidare la ragione paterna? Chi di noi due ha diritto di dettar legge all'altro? Secondo te, stu­pida, chi di noi due è più in grado di giudicare ciò che ti è utile? E, corpo di bacco, bada a non eccitarmi troppo la bile, che potresti provare, e a non lunga scadenza, se il mio braccio è ancor vigoroso. Il miglior partito per te, signora testarda, è quello di accettare senza tanti pia­gnistei, il marito che ti si destina. Tu dici che non ne conosci il carattere, e vorresti che prima chiedessi se a te piace. Quando ho saputo che gli spetta una grande sostanza nella divisione ereditaria, debbo curarmi di saper altro? Un marito che possiede ventimila buoni ducati, non ha forse sufficienti attrattive perché tu possa volergli bene? Andiamo, chiunque sia, con un tal gruzzolo, ga­rantisco che non può essere che un onestissimo uomo.

Celia                                - Ahimè!

Gorgibio                          - Che cosa vuol dire « ahimè! »? Sentite che bei sospiri tira costei! Fammi perdere la pazienza, e al­lora t'insegnerò io a sospirare con ragione. Ecco il frutto delle continue letture di romanzi: ti riempiono la testa di fanfaluche amorose e ti fanno parlare più di preziose ridicole che di Dio. Al fuoco bisognerebbe gettarli tutti questi malvagi scritti che non servono ad altro che a corrompere l'animo della gioventù. Anziché quelle frot­tole, faresti meglio a leggere « La guida dei peccatori », un bel libro, che insegna in poco tempo a ben vivere. Se tu non avessi letto altro che quelle massime morali, ti rassegneresti più facilmente alla mia volontà.

Celia                                - Ma, babbo, voi pretendete dunque che io di­mentichi l'affetto che ho per Lelio? Avrei torto se di­sponessi di me senza il vostro consenso; ma non di­menticate che foste voi stesso ad approvare che potevo impegnare la mia parola con lui.

Gorgibio                          - Quand'anche ti fossi impegnata definitiva­mente, che vuol dire? Un altro è sopraggiunto, e con le sue sostanze scioglie la promessa. Lelio è un bel giovane; ma impara che tutto deve cedere dinanzi alle sostanze. Il danaro conferisce anche ai più brutti il fascino per piacere; senza il danaro tutto il resto è un cattivo affare. So che Valerio non è l'uomo che preferisci; ma se non lo è da innamorato, lo sarà da marito. Il nome di sposo impegna più di quanto non si creda, e spesso l'amore è frutto del matrimonio. Ma perché sono così asino da di­scutere, quando ho diritto di comandare? Finiscila con queste impertinenze, e fa ch'io non debba più ascoltare le tue sciocche lamentele. Il genero che mi sono scelto verrà questa sera a farti visita: provati a non accoglierlo come si deve! Se vedo che non gli farai buon viso, ti... Ma non voglio dire di più. (Esce).

La Cameriera                   - Ma perché , madamigella, rifiutare così ostinatamente ciò che tante altre si augurerebbero con tutta l'anima? Perché rispondere con le lacrime a un'of­ferta di matrimonio, e tardar tanto a pronunciare quel sì che è così pieno d'incanto? Ah, magari si volesse ma­ritare anche me! Non mi farei certo pregare; non un sì soltanto, ma una buona dozzina tutti in fila me ne farei uscire di bocca. Il precettore del vostro fratellino ha ra­gione di dire, quando discorre delle cose terrene, che la femmina, come l'edera, cresce bene finché si tiene stretta all'albero, e intristisce quando viene separata. E' proprio così, cara padroncina; ve lo dico io, misera peccatrice, che l'ho provato. Voglia il buon Dio far riposare in pace il mio povero Martino, ma quando lui era vivo, io avevo la faccia colorita come un cherubino, una meravigliosa sa­lute, l'occhio vispo, l'animo contento, mentre ora sono la tristezza in persona. In quel tempo felice, passato come un lampo, andavo a letto senza fuoco nel periodo più rigido dell'inverno, mi pareva cosa ridicola far asciugare i panni, mentre ora tremo anche sotto la canicola. Oh, credetemi, madamigella, non c'è niente di meglio la notte che aver vicino un marito, non fosse altro che per aver chi vi dica «Dio v'aiuti» quando sternutite.

Celia                                - Ma puoi tu consigliarmi di commettere la cat­tiva azione d'abbandonare Lelio per sposare quest'altro, che è così brutto?

La Cameriera                   - Ma anche il vostro Lelio è un po' bestia, ve lo dico io. Proprio questo momento doveva scegliere per mettersi a viaggiare? Questa lontananza così prolungata mi fa sospettare qualche mutamento.

Celia                                - (mostrandole il ritratto di Lelio) Oh, non ad­dolorarmi con un presagio così triste. Guarda attenta­mente i lineamenti di questo viso: essi mi giurano amore eterno. Voglio credere che non mentiscano, che come que­sto è il suo vero ritratto, così egli si sia mantenuto fedele al mio affetto.

La Cameriera                   - Non si può negare che questo viso non sia fatto per innamorare, e che voi abbiate ragione di amarlo teneramente.

Celia                                - E tuttavia bisogna... Ah, sorreggimi! (Lascia cadere il ritratto di Lelio).

La Cameriera                   - Ma che succede, signorina? Buon Dio, sviene! Ehi, presto... olà, qualcuno! (Entra Sganarello).

Sganarello                        - Che cosa c'è? Eccomi.

La Cameriera                   - La mia padrona sta morendo.

Sganarello                        - Come? Soltanto questo? Le vostre grida mi avevan fatto credere che fosse già spirata. Ma vediamo un po' da vicino. Signora, siete morta? Ah, non parla.

La. Cameriera                  - Vado a cercare qualcuno che possa aiutarvi a portarla via. Vi prego, sostenetela.

Sganarello                        - (passando la mano sul seno di Celia) E' fredda dappertutto, e io non so cosa pensare. Vediamo «e la bocca respira. Sarà, non sarà, ma io non scorgo an­cora nessun segno di vita.

La moglie di Sganarello  - (affacciandosi alla finestra) Oh, che cosa vedo? Mio marito nelle sue braccia... Ora scendo. Certamente mi tradisce, e voglio coglierlo sul fatto.

Sganarello                        - Bisogna affrettarsi a soccorrerla. Certo, avrebbe torto se si lasciasse morire: andarsene all'altro mondo è una grande corbelleria, finché sì può fare bella figura in questo. (La porta via aiutato da un uomo con­dotto dalla cameriera. Entra la moglie di Sganarello).

La Moglie di

Sganarello                        - Si è subito allontanato, e la sua fuga ha deluso la mia curiosità. Ma non ho più alcun dubbio che mi tradisce: quel poco che ho visto mi è bastato. Ora non mi stupisce più la strana freddezza con la quale in questi ultimi tempi corrispondeva al mio amore: riserba, l'ingrato, le sue carezze alle altre, e sazia" i loro appetiti lasciando me digiuna. Ecco la maniera di comportarsi di tutti ì mariti: quel che è permesso, diventa loro fastidioso. Da principio, son tutte meraviglie; ci dimostrano una passione straordinaria; ma poi, i tradi­tori, si stancano presto del nostro ardore e portano al­trove quel che appartiene a noi. Peccato che la legge non consenta di mutar marito come si muta di camicia! Sarebbe comodo: conosco altre che come me ne appro­fitterebbero. (Raccoglie il ritratto che Celia aveva fatto cadere) Ma che cos'è questo medaglione che il caso mi fa trovar? Lo smalto è bellissimo; l'incisione suggestiva. Apriamo. (Rientra Sganarello).

Sganarello                        - (credendosi solo) Si credeva che fosse morta, e invece non era nulla. Sciocchezze! Ora sta bene. Ma chi vedo... mia moglie!

La Moglie di Sganarello  - (credendosi sola) Oh Dio, una miniatura col ritratto dì un bell'uomo!

Sganarello                        - (tra s'è, guardando al disopra della spalla della moglie) Che cosa guarda con tanta attenzione? Cotesto ritratto non mi dice niente di buono. Un grave sospetto mi turba l'animo.

La Moglie di Sganarello  - (senza accorgersi della pre­senza del marito) Non ho mai visto nulla di più bello. L'esecuzione è ancora più pregevole dell'oro del gioiello. E che buon profumo!

Sganarello                        - (e. s.) Come? Lo bacia anche! Ah, t'ho preso in trappola!

La Moglie di Sganarello  - (c. s.) Vorrei vedere chi non andrebbe in estasi avendo un uomo così ben fatto ai propri comandi. Se non gli fa difetto la galanteria, la tentazione è grande. Oh, perché non ho un marito simile, invece di quello spennacchiato, di quel bifolco...

Sganarello                        - (strappandole il ritratto dalle mani) Ah, brutta cagna, vi ho sorpreso finalmente a diffamare l'o­nore del vostro caro sposo! Dunque, secondo voi, mia degna consorte, il signore, tutto ben calcolato, non vale la signora? Per Belzebù - che vi porti all'inferno! di­temi, qual sorte migliore vi augurereste? Che c'è da criticare in me? Questo corpo, questo portamento che tutti ammirano, questo viso che par fatto apposta per l'amore e che fa sospirare notte e giorno mille bellezze, in una parola tutta la mia graziosa persona, non è dunque tale opera che basti a soddisfarvi? E per saziare la vostra ghiottoneria per i piaceri, occorre aggiungere a un marito l'eccitante di un ganzo?

La Moglie di

Sganarello                        - Capisco a che cosa mira la celia. Tu credi che con questo mezzo...

Sganarello                        - Andate a contarla ad altri, andate! La cosa è certa. Ho in mano la prova.

La Moglie di

Sganarello                        - Ho l'animo abbastanza ec­citato perché tu vi aggiunga una nuova offesa. Oh, non pensare a tenerti quel mio gioiello...

Sganarello                        - Io penso a romperti il muso. Ah, se potessi avere, oltre la copia, anche l'originale!

La Moglie di Scanarello - E per farne che?

Sganarello                        - Niente, mia cara amica. Ma sì, dolce og­getto dei miei desideri, io ho torto di gridare; la mia fronte dovrebbe ringraziarvi dei doni che le fate. (Guarda il ritratto di Lelio) Ah, ecco il cicisbeo, il beniamino d'alcova, il malaugurato tizzone della tua fiamma segreta, il bel tipo col quale...

La Moglie di

Sganarello                        - Col quale?... Continua.

Sganarello                        - Col quale... col quale... lo so io!... Ah, soffoco dalla rabbia!

La Moglie di

Sganarello                        - Ma che cosa vuoi darmi ad intendere?... Sei ubriaco?

Sganarello                        - Mi comprendi anche troppo bene, signora carogna. Ormai possono chiamarmi non più Sganarello, ma signor Cornelio. Così tu hai conciato il mio onore. Ma mi vendicherò.

La Moglie di

Sganarello                        - E tu osi tenermi simili discorsi?

Sganarello                        - E tu osi giocarmi tiri così diabolici?

La Moglie di

Sganarello                        - Quali tiri diabolici! Parla senza finzioni.

Sganarello                        - Oh, vale forse la pena di lagnarsi. Ormai le insegne del cervo sulla fronte ce l'ho. E sarà, ahimè!, un bello spettacolo!

La Moglie di

Sganarello                        - Dunque, dopo avermi re­cato l'offesa che più può incitare una donna alla vendetta, ti diverti a fingerli corrucciato per prevenire gli effetti del mio risentimento? Nuova è l'insolenza del tuo modo di procedere: proprio chi ha fatto l'offesa, si arroga il diritto di lamentarsi!

Sganarello                        - Ma che sfrontata! A vedere quel suo fiero cipiglio, la si crederebbe innocente!

La Moglie di

Sganarello                        - Va per la tua strada, vez­zeggia le tue belle, rivolgi loro i tuoi pensieri, le tue ca­rezze... ma rendimi subito il ritratto e non prenderti più gioco di me. (Le strappa di mano il ritratto e fugge).

Sganarello                        - Ah, credi di sfuggirmi? Ma ti prenderò lo stesso. (Esce. Entrano Lelio e Renatone).

Renatone                         - Eccoci finalmente arrivati. Se permettete, signore, vorrei sapere una cosa da voi.

Lelio                                - Parla pure.

Renatone                         - Avete forse il diavolo in corso per affrontare simili sforzi senza rimetterci la pelle? Sono otto giorni che per lunghe tappe sproniamo le nostre sfiancate rozze, e la marcia ci ha così scrollati ch'io mi sento tutte l'ossa peste dalla stanchezza; senza contare un dolorino 'che mi disturba in un certo posto che non voglio nominare. Invece voi, appena arrivato, ve ne uscite fresco e contento, senza prender riposo e senza toccar cibo.

Lelio                                - Non mi si può rimproverare questa fretta. Sono allarmato dalle notizie delle nozze di Celia. Tu sai quanto l'adoro, e prima d'ogni altra cosa voglio appu­rare quanto c'è di vero nelle tristi voci che circolano.

Renatone                         - Sì, ma per mettere in chiaro questa fac­cenda, un buon pasto è necessarissimo, signore. Il vostro animo acquisterebbe vigore per resistere agli assalti dell’avversa sorte. Vi parlo per esperienza. A me, quando son digiuno, la minima disgrazia mi colpisce e mi at­terra; al contrario, quando ho mangiato bene e copio­samente, il mio animo regge a tutto, e i peggiori rovesci non mi sopraffanno. Credetemi, riempitevi ben bene l'epa, per premunirvi contro i colpi della fortuna, e per impe­dire l'entrata al dolore circondate il vostro cuore con venti bicchieri di vino.

Lelio                                - Non potrei mangiare.

Renatone                         - (a parte) E io muoio di fame! i(Forte) Ma il vostro pranzo potrebbe essere subito approntato.

Lelio                                - Ti ordino di tacere.

Renatone                         - Oh, ordine inumano!

Lelio                                - Io sono inquieto e non affamato.

Renatone                         - Viceversa, io sono affamato e inquieto nel vedere che uno sciocco amore è la vostra unica preoc­cupazione.

Lelio                                - Lascia che m'informi della donna che amo, e smetti d'importunarmi. Se vuoi, vai tu a mangiare.

Renatone                         - Io non discuto mai gli ordini del mio pa­drone. (Esce).

Lelio                                - No, non può essere. Mi son fatto troppo vin­cere dalla paura. Ho avuto la promessa dal padre, e la figlia mi ha dato indubbie prove d'amore. (Rientra Sgo­ttar elio).

Scanarello                        - (senza scorgere Lelio, tenendo in mano il ritratto) Eccolo qua, l'ho ripreso. Ora posso vedere con comodo il mostaccio di questo furfante del malau­gurio, causa della mia vergogna. Non lo conosco.

Lelio                                - (a parte) Dio, che vedo? Se quello è il mio ritratto, che cosa debbo pensare?

Scanarello                        - (c. s.) Ah, povero Sganarello, a quale triste destino è condannata la tua reputazione! (Scorgen­do Lelio che lo guarda, si volta da un'altra parte) BU sogna...

Lelio                                - (e. s.) Questo ritratto non può essere uscito senza una ragione grave dalle mani che l'avevano avuto da me.

Sganarello                        - (c. s.) Sarai dunque segnato a dito, messo in canzone, e tutti ti rinfacceranno lo scandaloso emble­ma che quella mala femmina ha innalzato sulla tua fronte.

Lelio                                - (c. s.) Forse m'inganno?

Sganarello                        - (c. s.) Ah, infame, hai avuto il coraggio di farmi cornuto nel fiore degli anni! Moglie d'un ma­rito che può passare per bello, che bisogno avevi d'un marmottone simile, d'un maledetto caposcarico...

Lelio                                - (a parte, guardando ancora il ritratto) Non mi sono sbagliato: è proprio il mio ritratto.

Sganarello                        - (voltandogli le spalle) Ma quest'uomo è assai curioso.

Lelio                                - (c. s.) Sono assai sorpreso. 40:

 Sganarello                       - (c. s.) Ma con chi l'ha costui?

Lelio                                - (c. s.) Voglio avvicinarlo. (Forte) Posso?... (Sganarello cerca a"allontanarsi) Ehi, per favore, una parola.

Sganarello                        - (allontanandosi sempre più) Che cosa vorrà dirmi?

Lelio                                - Posso sapere in qual modo questa miniatura è venuta nelle vostre mani?

Sganarello                        - (fra se) E perché vuol saperlo? Ma se non sbaglio... (Esamina il ritratto e Lelio) Ah, ma ora tutto è chiaro. La sua sorpresa non mi stupisce più. E' il mio uomo; anzi, l'uomo di mia moglie.

Lelio                                - Toglietemi da una pena, e ditemi come l'avete avuto.

Scanarello                        - Ah, sappiamo, sappiamo il motivo della vostra preoccupazione. Questo ritratto raffigura la vostra persona, e voi sapete benissimo chi lo possedeva, come non è un segreto per noi la passione che avete per la dama e che la dama vi ricambia. Io non so se ho l'onore d'essere conosciuto da vossignoria; ma fatemi il santis­simo piacere di risparmiarmi un contegno che un marito può trovare di pessimo gusto. Pensate che i sacri vincoli del matrimonio...

Lelio                                - Che? La donna che conservava questo pegno...

Sganarello                        - E' mia moglie, ed io sono suo marito.

Lelio                                - Suo marito?

Sganarello                        - Sì, suo marito, dico; marito, maritissimo. E voi lo sapete bene perché dico così, lo sapete bene... Ed ora vado subito ad informarne i suoi parenti. (Esce).

Lelio                                - Ah, che cosa ho sentito! E me l'avevano detto! E m'avevano soggiunto ch'era l'uomo più mal fatto della città. Ah, Celia, quand'anche i mille giuramenti d'amore eterno non fossero usciti dalla tua bocca, il solo con­fronto con un uomo così volgare e ignobile avrebbe do­vuto riuscir favorevole a me. Ingrata! Questo grave insulto, aggiungendosi agli strapazzi del lungo viaggio. mi prostra a tal segno che il cuore mi s'indebolisce e il corpo mi vacilla... (Entra la moglie di Sganarello).

La Moglie di Sganarello  - (credendosi sola) Mio mal­grado, il furfante... (Scorgendo Lelio) Oh, che male avete? Mi pare, signore, che state per cadere.

(Lelio                               - E' un malessere improvviso.

La Moglie di

Sganarello                        - Ho paura che state per svenire. Entrate in cotesta stanza e restateci finché vi passi.

Lelio                                - Accetto la cortese offerta per qualche minuto. (Lelio e la moglie di Sganarello entrano nella casa. Rien­tra Sganarello con un parente della moglie).

Il Parente                         - Comprendo le preoccupazioni di un marito a questo riguardo, ma mi sembra che voi cor­riate un po' troppo colla fantasia. Quanto m'avete rac­contato a suo carico non prova ancora, caro parente, che essa sia colpevole. E' una questione delicata, e accuse simili non si formulano prima di averle bene accertate.

Sganarello                        - Vale a dire che bisogna toccare col dito.

Il Parente                         - La soverchia precipitazione ci espone al rischio di sbagliare. Chissà come quel ritratto è venuto nelle sue mani, e se, tutto sommato, conosce effettiva­mente quell'uomo. Accertatevi prima, e se la verità è quella che sospettate, saremo noi per primi a voler pu­nire l'offesa. (Il parente esce).

 

Sganarello                        - Ben detto. Infatti, è conveniente procedere con prudenza. Forse senza motivo io mi son fitto in mente quelle visioni cornute, e troppo presto mi son sentito prudere la fronte. Alla fin fine, questo ritratto che mi ha tanto allarmato, non prova nulla. Cerchiamo dun­que con cura... (Scorge sulla porta della sua casa Lelio e sua moglie che parlano) Dio mio, che vedo?... Mi sento morire... Ora non è più questione di ritratto. Dayanti a me c'è l'originale.

La Moglie di

Sganarello                        - Non abbiate fretta, signore. Se uscite così presto, il male potrà riprendervi.

Lelio                                - No, no... Vi ringrazio infinitamente del soc­corso che mi avete prestato.

Sganarello                        - Vedi come la fintona gli va dietro sprofondendosi in cortesie. (La moglie di Sganarello rientra in casa) Mi ha visto, il manigoldo. Sentiamo ora che  cosa mi dirà, 

Lelio                                - (tra se) Mi sento ribollire l'animo!... La vista di costui m'ispira... Ma il mio sdegno è ingiusto. Devo incolpare dei miei malanni solo il mio triste destino. E' piuttosto da invidiare la fortuna dell'uomo ch'essa ama. (Avvicinandosi a Sganarello e fissandolo) O felice marito d'una donna così bella! (Celia si affaccia alla finestra della sua casa e vede Lelio).

Sganarello                        - (senza vedere Celia) Questo si chiama

esprimersi senza termini ambigui. Mi sento così confuso come se mi fossero realmente spuntate due corna sulla fronte. (Guardando dalla parte di dove sta per uscire Lelio) Io vi dico che questa vostra condotta non è da

uomo onesto,

Celia                                - (tra sé, entrando in scena) Ma sì, ho visto Lelio proprio con questi miei occhi. Chi può aver interesse a tenermi nascosto il suo ritorno?

Sganarello                        - (c. s.) « O felice marito d'una donna così bella! ». Disgraziato, piuttosto, d'essere legato a quell'infame! La sua passione, anche troppo evidente, mi ha cornificato in piena regola! (Celia s'avvicina a poco a poco a Sganarello, e aspetta, per parlargli, che la sua eccitazione sia calmata). Ma io permetto che costui se ne vada, dopo una simile prova, e resto qui muto colle braccia incrociate come un minchione? Dovevo almeno buttargli il cappello a terra, scagliargli qualche pietra, impillaccherargli il mantello, sfogar la rabbia gridando  al ladro, svergognarlo davanti a tutto il vicinato.

Celia                                - (a Sganarello) Conoscete la persona che poco fa si è avvicinata a voi e vi ha parlato? )

 

Sganarello                        - Ahimè! Non io la conosco, signora, ma mia moglie.

Celia                                - Che cosa avete, che siete così agitato?

Sganarello                        - Non dite che la mia angustia è fuor di proposito, e lasciatemi sospirare a mio piacimento.

Celia                                - Qual'è il motivo d'un dolore così eccezionale?

Sganarello                        - Se sono afflitto, non e per cosa da nulla, e, se potessi, darei a ben altri questo mio dolore. Voi vedete in me il modello dei mariti disgraziati. Al po­vero Sganarello rubano l'onore, e, più, che l'onore, la re­putazione.

Celia                                - Come?

Sganarello                        - Questo vagheggino, con licenza parlan­do, mi fa becco, signora. Ho potuto oggi accertare l'in­tima relazione ch'egli ha con mia moglie.

Celia                                - Colui che poco fa...

 

Sganarello                        - Sì, colui è che mi disonora. Ama mia moglie, e mia moglie ama lui.

Celia                                - Ah, dicevo bene che questo suo segreto ri­torno nascondeva qualche tranello. Vedendolo apparire ho subito tremato come per un presentimento.

Sganarello                        - Voi siete troppo buona a prendere le mie difese. Non tutti, purtroppo, hanno mostrato la stessa commiserazione. Molti, informati di quel che mi tortura, anziché prendervi parte, ne hanno riso.

Celia                                - C'è nulla di più ignobile della sua vile azione? Come punirla abbastanza? Come avrà il corag­gio di vivere, dopo essersi insozzato così perfidamente? Oh, Dio, è mai possibile?

Sganarello                        - Per me, è anche troppo vero.

Celia                                - Ah, traditore! Scellerato! Ipocrita e senza fede!

Sganarello                        - Che buon cuore!

Celia                                - No, infame, nessuna pena è sufficiente per punire il tuo delitto.

Sganarello                        - Questo si chiama parlar bene.

CELIA                            - Ricompensare in cotesto modo la bontà e l'innocenza!

Sganarello                        - (sospirando forte) Ahimè!

Celia                                - Un cuore che nulla ha fatto di male per me­ritarsi l'affronto al quale l'espone il tuo disprezzo.

Sganarello                        - E' vero.

Celia                                - Che invece... Ma è troppo; questo cuore non ci può pensare senza sentirsi morire.

Sganarello                        - Non addoloratevi troppo, mia cara si­gnora. Il mio animo si sente assai commosso vedendovi prender così viva parte al mio dolore.

Celia                                - Ma non credere ch'io voglia limitarmi sol­tanto a piangere. Cuor mio, tu sai che cosa devi fare per vendicarti. Nulla potrà distogliermi. Vado subito. (Esce).

Sganarello                        - Che il cielo la protegga da ogni peri­colo! Che bontà, vuole vendicarmi! Il suo sdegno eccita il mio e m'indica che cosa debbo fare. Non si deve sop­portare in silenzio simili affronti quando non si è proprio imbecilli. Su, corriamo a cercare questo furfante che mi oltraggia; dimostriamo che sappiamo vendicare coraggio­samente l'offesa. Imparerete, cialtrone, a ridere alle nostre spalle e a cornificare senza scrupolo la gente. (Fa qualche passo, poi torna indietro) Adagio. Costui mi sembra di sangue bollente e di temperamento ostinato. Forse potrebbe, opponendo affronto ad affronto, caricar di legnate la mia schiena come ha gravato di corna la mia testa. Io odio i caratteri collerici; mi piacciono soltanto gli uomini tranquilli. Io non sono manesco, ho troppo paura di buscarne: l'umor pacifico è la mia grande virtù. Ma c'è questo onore che mi dice che debbo assolu­tamente vendicarmi di tanta offesa. Dice... E dica pure... Finché si sfoga a parole, non farà nulla. Quando tenessi un contegno spavaldo, e un colpo d'arma bianca mi bucasse la pancia, e per la città si diffondesse la notizia che sono morto, dite un po', caro onore mio, sareste per questo meglio pasciuto? La bara è un soggiorno troppo malinconico e troppo malsano per coloro che temono la colica. Tutto sommato, io dico che è meglio essere cor­nuto che defunto. Che male c'è? La gamba diventa per questo meno storta, e la persona meno elegante? Male­dizione a colui che per primo inventò che ci si debba affliggere delle corna e mise l'onore dell'uomo saggio alla mercè di una donna volubile! Se si ritiene, e giusta­mente, che ogni delitto è personale, che cosa commette in questo caso di delittuoso il nostro onore? Siamo bia­simati per le male azioni altrui. Se le nostre donne, con­tro il nostro volere, allacciano rapporti infami con altri uomini, tutto il male viene a cadere sulle nostre spalle. Esse fanno la sciocchezza e noi siamo gli sciocchi. E' una vera soperchieria. La polizia dovrebbe riparare questa ingiustizia. Non bastano le disgrazie che ci piombano addosso senza che si possano prevedere? I diverbi, le liti, la fame, la sete, le malattie, non turbano già abba­stanza la nostra quiete, perché sia necessario aggiungervi un'afflizione che nulla giustifica? Ma infischiamocene; non diamo retta agli allarmi; non perdiamo tempo in sospiri e lacrime. Se mia moglie ha mancato, pianga lei: perché dovrei piangere io che non ho alcun torto? In ogni caso, posso consolarmi pensando che ho molti col­leghi in... ramificazioni del capo. Veder amoreggiare la propria moglie e non darsene per intesi, è oggi la moda di molti uomini per bene. Non cerchiamo dunque di at­taccar briga per un affronto di nessuna importanza. Si dirà che 6ono uno sciocco perché non mi vendico; ma lo sarei di più se mi facessi ammazzare. (Portando la mano al petto) Però... però mi sento agitare nello sto­maco una tale bile, che mi sollecita a compiere qualche atto di fierezza. Sì, son tutto preso dalla rabbia! Sarebbe troppo vergognoso fare il vigliacco; voglio assolutamente vendicarmi del ladrone. E giacché mi sento così bene infiammato, voglio incominciare gridando ai quattro ven­ti... ch'egli va a letto con mia moglie! (Esce. Rientrano Gorgibio, Celia e la cameriera di Celia).

Celia                                - Sì, voglio sottomettermi alla giusta legge. Babbo, disponete pure del mio cuore e del mio corpo; fate, per quando vorrete, il giorno delle nozze. Sono decisa a obbedire alla vostra volontà.

Gorgibio                          - Oh, questo modo di ragionare mi piace. Mi dai una gioia così grande che mi metterei a far le capriole se non fossimo veduti da gente che poi ne ride­rebbe. Avvicinati, che voglio abbracciarti. Non temere, non è un atto sconveniente: quando vuole, un padre, può baciare sua figlia senza dar motivo a scandalo. La gioia di vederti fare la buona figliuola, mi farà ringiova­nire di dieci anni. (Esce).

La Cameriera                   - Questo cambiamento mi stupisce.

Celia                                - Quando saprai perché agisco così mi apprez­zerai.

La Cameriera                   - Può darsi.

Celia                                - Sappi dunque che Lelio ha recato grave offesa al mio amore, che è tornato qui senza...

La Cameriera                   - Ma eccolo che viene verso di voi. (Entra Lelio).

Lelio                                - Prima di allontanarmi per sempre da voi, voglio almeno rimproverarvi...

Celia                                - Come, venite ancora a parlarmi? Avete tanta audacia?

Lelio                                - Sì, un'audacia veramente grande. La vostra scelta è tale che ogni rimprovero sarebbe delitto. Vivete, vivete felice, e schernite il ricordo di me col degno sposo che tanto vi ama.

Celia                                - • Sì, traditore! Vivrò felice, e il mio più gran piacere sarà di sapere che tu ne soffri.

Lelio                                - Che cosa, dunque, legittima tanto sdegno?

 

Celia                                - Come! Ora fai l'uomo sorpreso e vuoi che ti spieghi qual'è il tuo delitto? (Rientra Sganarello ar­mato dal capo ai piedi).

Sganarello                        - Guerra, guerra all'ultimo sangue a quel ladro dell'onore che ha insozzato la nostra reputazione!

Celia                                - (a Lelio, indicandogli Sganarello) Volta gli occhi, e così mi risparmierò la risposta.

Lelio                                - Ma io vedo...

Celia                                - Chi basta per farti restar senza parola.

Lelio                                - O piuttosto per obbligar te ad arrossire.

Sganarello                        - (a parte) La mia collera è pronta ad agire; il mio coraggio ha inforcato i suoi migliori ca­valli; se l'incontro, faccio una carneficina. Ho giurato la sua morte; nulla può impedirla; dove lo trovo, l'in­filzo. (Sguainando a metà la spada, si avvicina a Lelio) Nel mezzo del cuore lo debbo colpire...

Lelio                                - (voltandosi) Chi volete colpire?

Sganarello                        - Io? Nessuno.

Lelio                                - E coteste armi, che cosa significano?

Sganarello                        - Sono un ornamento che ho preso per difendermi dalla pioggia. (A parte) Ah, con che piacere l'ammazzerei! Troviamone il coraggio.

Lelio                                - (voltandosi ancora) Eh, che cosa dite?

Scanarello                        - Io non parlo. (A parte, dopo essersi dato dei pugni sullo stomaco e degli schiaffi per eccitarsi) Vigliacco! Ah, che rabbia!... Vera anima di pulcino!

Celia                                - (a Lelio) Non ti dice nulla la persona il cui sguardo ti ha tanto colpito?

Lelio                                - Sì, guardandola comprendo che tu sei colpe­vole della peggiore infedeltà di cui possa macchiarsi una donna.

Sganarello                        - (a parte) Ma perché non ho un po' di

coraggio

Celia                                - Ma smetti, traditore, la crudele insolenza di cotesti tuoi discorsi.

Sganarello                        - (a parte) Vedi, Sganarello, come essa prende le tue difese. Animo, ragazzo mio, mostrati forte. Là, fai un atto coraggioso e ammazzalo mentre ti volta le spalle.

Lelio                                - (muove due o tre passi a, caso e fa voltare Sga­narello, che si avvicina per ucciderlo) Poiché un simile discorso suscita il vostro sdegno, mi debbo dichiarare soddisfatto della vostra scelta e approvarla.

Celia                                - Sicuro, nessun biasimo si può rivolgere alla mia scelta.

Lelio                                - Ma sì, fate benissimo a difenderlo, quell'uomo.

Sganarello                        - Certo, essa fa bene a difendere i miei diritti. La vostra condotta, signore, non è conforme, signore, alle leggi dell'onore. Io ho ragione di lamen­tarmi, e «e non fossi prudente come vuole la saggezza, farei una carneficina, farei!

Lelio                                - Ma da quale ragione nascono queste lagnanze e questo brutale sdegno?

Sganarello                        - Basta così! Voi sapete che cos'è che mi affligge. La vostra coscienza e il pensiero della salvezza della vostra anima dovrebbero convincervi che mia moglie è mia moglie, e che volervela tenere per voi in barba mia non è agire da buon cristiano.

Lelio                                - Ma un simile sospetto è ignobile e ridicolo. Andiamo, su questo punto non abbiate nessun dubbio. So bene che vostra moglie è vostra, e son ben lontano dalla passione...

Celia                                - Ah, come sai ben dissimulare, traditore!

Lelio                                - Che! mi sospettate d'aver pensieri per i quali egli debba ritenersi offeso? Credete ch'io mi sia macchiato di tanta ignominia?

Celia                                - Parla con lui. Ti potrà illuminare.

Sganarello                        - (a Celia) No, no; voi sapete difendermi meglio di quanto non sappia fare io stesso; voi sapete prendere le cose pel giusto verso. (Rientra la moglie di Sganarello).

La moglie di Sganarello  - (a Celia) Signora, non ho intenzione di farvi una scenata di gelosia; ma non sono una stupida e vedo bene quel che accade. Ci sono pas­sioni assai discutibili, e l'animo vostro dovrebbe impie­gare il proprio tempo in migliori faccende che in quella di sedurre chi mi appartiene in modo esclusivo.

Celia                                - Trovo molto ingenua questa vostra dichia­razione.

Sganarello                        - (a sua moglie) Nessuno ha richiesto la tua presenza, carogna. Tu l'insulti perché essa mi difende, e tremi per la paura che ti sì tolga il tuo ganzo.

Celia                                - Oh, non crediate ch'io ne abbia poi tanto desiderio. (A Lelio) Vedi bene che non è menzogna. Ma ne sono contenta; contentissima:

Lelio                                - Ma che cosa mi state raccontando?

La Cameriera                   - Non so quando finiranno queste chiac­chiere. Da un bel pezzo cerco di capire, ma più ascolto, meno ne vengo a capo. Vedo bene che bisogna che inter­venga io. (Si mette fra Lelio e Celia) Rispondete senza far confusione, e lasciate parlare a me. (A Lelio) Voi che cosa potete rimproverarle?

Lelio                                - Di avermi abbandonato per scegliere un altro. Quando mi giunse la fatale notizia delle sue nozze, non credendo che fosse giunta a tanto da dimenticarmi, venni qui e la trovai maritata.

La Cameriera                   - Maritata? E a chi?

Lelio                                - (indicando Sganarello) A lui.

La Cameriera                   - Come, a lui?

Lelio                                - A lui! A lui!

La Cameriera                   - E chi ve l'ha detto?

Lelio                                - Lui stesso, oggi.

La Cameriera                   - (a Sganarello) E' vero?

Sganarello                        - Io? Io gli ho detto che sono ammogliato con mia moglie.

Lelio                                - Dianzi, mentre eravate molto agitato, vi ho visto in possesso del mio ritratto.

Sganarello                        - E' vero: eccolo.

Lelio                                - Mi avete anche detto che la donna alla quale avevate tolto questo pegno era unita a voi i« matrimonio.

Sganarello                        - Sicuro. (Indicando sua moglie) L'ho strappato dalle mani di lei. Senza questo ritratto non avrei scoperto il suo tradimento.

La Moglie di

Sganarello                        - Ma che cosa mi stai di­cendo? Io l'avevo... l'avevo trovato in terra per caso; e anche quando dopo il tuo ingiusto sfogo, ho fatto entrare in casa nostra (indicando Lelio) il signore, che era sul punto di perdere i sensi, io non ho riconosciuto che quello fosse il suo ritratto.

Celia                                - Sono io la causa delle peripezie del ritratto. L'ho lasciato cadere (a Sganarello) quando svenni, e voi m'aiutaste a rientrare in casa mia.

La Cameriera                   - Vedete bene che senza il mio inter-vento voi tutti sareste ancora nell'equivoco.

 Sganarello                       - (a parte) Dovremo prendere tutto ciò come oro colato? Mi sentivo già un tale peso sulla fronte...

La Moglie di Sganarello - Il mio dubbio non è del tutto svanito, e temo che mi si voglia ingannare.

Sganarello                        - (a sua moglie) Via, crediamoci a vicenda delle persone perbene. Pensa che il mio rischio è mag­giore del tuo. Accetta il componimento che ci viene offerto.

La Moglie di Sganarello - E va bene! Ma guai a te se scopro qualcosa!

Celia                                - (a Lelio, dopo avergli parlato a bassa voce) Oh Dio, se è proprio così che cosa mai ho fatto? Debbo temere le conseguenze del mio sdegno. Credendomi tra­dita, avevo deciso dì vendicarmi, accettando poco fa un'offerta di matrimonio, alla quale mi ero prima sempre rifiutata. Ho promesso a mio padre... Ma eccola che viene.

Lelio                                - Egli manterrà la promessa che ha fatto a me. (Rientra Gorgibio) Signore, voi mi vedete di ritorno ardentemente innamorato come quando partii; e ricor­dando la promessa fattami, spero di poter sposar Celia.

Gorgìbio                          - Signore, che vedo tornare ardentemente innamorato come quando partiste, e che, rammentando la promessa, sperate di poter sposar Celia, i miei umilis­simi omaggi.

Lelio                                - Come? Voi, signore, tradite così la mia spe­ranza?

Gorgìbio                          - Sissignore! Così faccio il dover mio, e mia figlia ne segue le leggi.

Celia                                - Il dovere v'impone, babbo, di mantenere la promessa che gli avete fatta.

Gorgìbio                          - E' così che una figlia deve rispondere ai comandi paterni? Tu smentisci troppo presto le tue buone intenzioni. Per Valerio, poco fa... Ma vedo suo padre. Certamente, egli viene per concludere il contratto di nozze. (Entra Trapanetto) Qual buon vento vi con-duce, signor Trapanetto?

Trapanetto                       - Un importante segreto che ho appreso questa mattina e che annulla in modo assoluto la mia promessa. Mio figlio, che vostra figlia accettava per ma­rito, da quattro mesi, all'insaputa di tutti, si è segreta­mente unito in matrimonio con Lisa. E poiché i beni e il casato dei genitori m'impediscono di spezzare questa unione, vengo...

Gorgìbio                          - E rompiamo il patto. Se Valerio si è im­pegnato altrimenti contro la volontà vostra, non posso nascondervi che io ho da lungo tempo promesso mia figlia Clelia a Lelio e che il ritorno di questo onesto giovane, m'impedisce di scegliere ogni altro sposo che non sia lui.

Trapanetto                       - Questa scelta mi piace assai.

Lelio                                - Finalmente sono per compiersi le mie sperante d'una felicità eterna.

Gorgìbio                          - Andiamo a fissare il giorno del giura, mento. (Escono tutti, tranne Sganarello).

Sganarello                        - Ci fu mai un uomo più convinto di me d'esser cornuto? Vedete che in simile argomento le appa­renze più gravi possono indurre in errate convinzioni. Fate tesoro di questo esempio, e quand'anche v'accada di veder tutto, non credete a nulla!

FINE