Il costo di una vita

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IL COSTO DI UNA VITA

Commedia in due tempi

di BRUNO MAGNONI

PERSONAGGI

REV. SAMUEL EYCKENS, sessantasei anni

SUSAN, tren­tacinque

DENISE, trenta

MAGGIE, ven­ti; figlie del rev. Eyckens

REV. PAUL, ventinove

MEERSCH, marito di Susan, qua­rantacinque

MAR­TIN DUYSEN, marito di Denise, trentasette

THÉODORE DUY­SEN, detto Theo, sessantatre

GANSHOF, minatore, cinquanta

UN BAMBINO

MI­NATORI DEL TURNO DI NOTTE

 In una regione carbonifera del Nord, ai nostri giorni.


Commedia formattata da

PRIMO TEMPO

La scena si compone di due parti: in primo piano, alla destra dello spettatore, il salotto di casa Eyckens delimitato da un tratto della parete di fondo; all'intorno uno scialbo pae­saggio dì miniera sovrastato dalle nere inca­stellature dei pozzi. Una di esse, crollata il giorno prima, è ridotta a un cumulo di macerie. Il tratto della parete di fondo che delimita il salotto termina, a sinistra, con un uscio a vetri (solo il battente di destra); un secondo accesso, al capo opposto, conduce nel resto dell'appar­tamento; a metà una finestra con inferriata. Arredamento piccolo borghese fine Ottocento: divano, poltroncine, tavola ovale, vetrina con ninnoli ecc. In un angolo, sulla sua gruccia, un pappagallo impagliato; sopra la vetrina uno stendardo azzurro e rosa con la scritta in oro « Lodate il Signore ». Lampadario centrale. Esternamente al salotto corre un pergolato di caprifoglio le cui fronde ricadenti adornano la parte alta della finestra e dell'uscio a vetri. E' una domenica d'estate; l'azione si svolge dalle tre del pomeriggio alle dieci circa di sera.

(Il rev. Eyckens, Denise, Maggie, Martin, Theo, Paul; tutti nel salotto).

Theo                              - (Si guarda in giro con aria altera, legger­mente disgustata. Benché sia un tipo grosso­lano non manca di una certa grandiosità. Trae lentamente di tasca un foglietto piegato in quattro, lo dispiega) Prima che cominciate con le vostre chiacchiere umanitarie vi invito ad ascoltare questa dichiarazione; me l'ha pre­parata il mio avvocato.

Maggie                          - (leggermente ironica) L'avvocato Perkins, Monsieur Theo?

Theo                              - (guardandola di traverso) Proprio l'av­vocato Perkins, già che vi interessa.

Maggie                          - Non mi interessa affatto, Monsieur.

Theo                              - (indispettito) E allora perché me lo chiedete?

Eyckens                        - (più preoccupato di quanto non vo­glia sembrare) Risparmiaci le tue sciocchez­ze, Maggie.

Theo                              - Ecco ciò che dichiaro. (Legge con qual­che stento e col solo occhio sinistro) « Qualun­que sia il motivo pel quale mi trovo qua, io rimarrò fedele alla mia malvagia natura ». (Si interrompe per studiare l'effetto).

Maggie                          - E' necessario che lo diciate così chia­ramente?

Theo                              - Certo che è necessario; che cosa c'è da nascondere?

Paul                               - E perché mai volete rimanere fedele alla vostra malvagia natura?

Theo                              - Il perché lo sentirete adesso, vispe zanzare. Perché  (ripiglia a leggere) «anche vo­lendo, non mi riuscirebbe di fare diversamente ». (Guardandosi attorno) Qualcuno ha da ridire?... No. (Riprende a leggere) « Considero quindi questa bella riunione del tutto inutile oltre che puerile; e non vi partecipo con la benevola intenzione di modificare i miei progetti; ma, se appena posso, di mandare all'aria i vostri ». (Ripiega il foglietto e lo ripone in tasca) Credo di essermi spiegato.

Paul                               - Dovete avere una bella paura per spie­garvi a quel modo.

Theo                              - Paura di che? Ho detto ciò che il mio avvocato mi ha suggerito di dire. Che se poi, aggiungo io, qualcuno - per esempio il reve­rendo

Paul                               - meditasse di trascinarmi in ca­tene dinanzi al suo celeste padrone, col prete­sto che è anche il mio...

Paul                               - Certo che è anche il vostro.

Theo                              - Ebbene, lo consiglierei di rinunciarvi per non mettere il padrone nell'imbarazzo. I preti sono avvertiti.

Paul                               - Potete avvertirne quanti volete, Mon­sieur Theo. Il Padrone vi acchiapperà ugual­mente e finirete col muso nella polvere.

Eyckens                        - (allarmato) Reverendo Paul...

Paul                               - (che non se ne dà per inteso) Voi e vostro figlio Philippe, che a quanto mi risulta è peggiore ancora di voi.

Eyckens                        - (indignato) Reverendo Paul!

Paul                               - Ho finito.

Theo                              - Mio figlio Philippe è un lavoratore; que­sto vi risulta? Gli affari si fanno sempre più difficili, né io né lui abbiamo tempo da perdere come ne hanno i curati; così qualche volta ci capita di dover tirar via. C'è uno solo nella nostra famiglia che si concede ancora certi lussi e passa i giorni a succhiarsi il rovescio della lingua. Ma gli stiamo preparando una bella sorpresa.

Maggie                          - Immagino che vostro padre si rife­risca a voi, Martin. Nei vostri panni gli rispon­derei come si merita.

Denise                           - Non ti immischiare in cose che non ti riguardano, Maggie.

Maggie                          - Come puoi dire che non mi riguar­dano se Martin è mio cognato?

Martin                           - (gentile ma staccato) Sei una brava ragazza, Maggie. Purtroppo è da un pezzo che ho perduto l'abitudine di parlare con mio pa­dre... se mai l'ho avuta. (Grugnito di Theo) E sono due anni che manco da casa.

Maggie                          - Perché non vi fate vedere più spesso? Queste visite di un giorno, ogni sei o sette mesi, lasciano il tempo che trovano; non è così, Denise?

Denise                           - (ironica) Martin è la discrezione in persona. Ha saputo svignarsela così bene che, quando mi ricordo di essere sua moglie, sus­sulto dalla sorpresa.

Maggie                          - Una volta avresti sussultato dalla gioia.

Denise                           - Già, una volta. (Al marito) Mi hanno riferito che sei arrivato ieri sera; e sei sceso all'albergo.

Martin                           - Era molto tardi.

Denise                           - Non ti basta una casa di quaranta stanze per la quale tuo padre paga fior di tasse? Io non ne occupo che una e non ho mai pre­teso che ci dormissi anche tu.

Maggie                          - Forse Martin lo ha fatto per non svegliarti.

Denise                           - Infatti, Maggie; non ci avevo pen­sato. Ti piacerebbe un marito che facesse al­trettanto?

Eyckens                        - (seccato) Ma che discorsi sono. Maggie non ha nessuna intenzione di pigliar marito. E voi, Martin, non capisco perché di­sertiate il tetto coniugale anche le poche volte che vi si vede da queste parti.

Martin                           - Sapevo di non essere atteso.

Denise                           - Chi te lo ha detto? Dalle crociate in qua, serve e padrone attendono sempre il ri­torno del loro signore; anche se sperano il con­trario.

Maggie                          - (severamente) Tu speravi che Martin non arrivasse?

Denise                           - Per quello che conta...

Maggie                          - Secondo me il matrimonio di mia sorella Denise con Martin Duysen delle Miniere Duysen, non è stato felice. Lo sai perché, De­nise?

Denise                           - No, dimmelo tu.

Maggie                          - Tu hai sempre cercato il fasto e non la felicità.

Denise                           - (ironica) Credevo che fossero la stessa cosa.

Maggie                          - Non mi piacerebbe un marito che se ne andasse un anno dopo le nozze senza dir nulla. Ma se Martin lo ha fatto ci sarà una ragione.

Denise                           - (c.s.) Non sai che dovette lasciarci perché era ammalato? I medici gli prescrissero il clima del Sud; e lui ci si crogiola.

Maggie                          - Ora il dottor Vidal dice che è gua­rito.

Theo                              - Sul serio, figliolo? E' una buona notizia. Non fa piacere avere un tisico in famiglia; pesa sulle tasche degli altri.

Paul                               - Potreste usare dei termini meno cru­deli.

Theo                              - Coi soldi che ho posso usare i termini che voglio.

Denise                           - (c.s.) Davvero sei guarito, Martin?

Martin                           - (ironico) Se lo dice il dottor Vidal...

Denise                           - Ma tu non ci tieni, confessalo. Si deve stare molto bene nel Sud. Fa sempre un bel calduccio e le donne posseggono una forte ca­rica sessuale.

Paul                               - Signora Denise! ... Mi vergogno per voi.

Denise                           - Scusate, non vi avevo visto... È' vero che andate dicendo che l'inferno non esiste? A me sembra un'ottima idea, ma avete scanda­lizzato mezza città.

Eyckens                        - (indignato) Ne riparleremo, reve­rendo Paul.

Denise                           - E tu Maggie... che cosa dicevi?

Maggie                          - Hai fatto male a non accompagnare tuo marito nel Sud. Potevi bene immaginare che restando a casa i tuoi rapporti con Martin sa­rebbero peggiorati.

Martin                           - (ironico) Erano già cattivi?

Denise                           - (seccata) Ora basta, Maggie. Va' in cucina; devi ancora rigovernare le stoviglie.

Maggie                          - Chi pensa a rigovernare le stoviglie in una giornata così importante.

Theo                              - (accende un sigaro e depone l'astuccio sulla tavola) Sarà una giornata importante, puledrina?

Maggie                          - Ve ne accorgerete, Monsieur Theo. Siamo tutti nelle pegole, non è vero papà?

Eyckens                        - (irritato) Non fare la pitonessa; quali pegole!  (Con umiltà, eppure con qualche risentimento) Io amministro la mia parrocchia come un buon padre di famiglia, Monsieur Theo; e sono amante del quieto vivere.

Theo                              - (sbadigliando annoiato) Anch'io. Siamo persone dabbene e chiediamo soltanto di godere in pace i modesti frutti del nostro lavoro.

Paul                               - Strano ideale per un sacerdote.

Theo                              - Purtroppo il vostro sottopancia non è di questo parere. Debbono avergli slogato il cervello da bambino.

Maggie                          - (indignata) Spero, reverendo Paul, che respingerete questa odiosa insinuazione! (A Theo) Diteci piuttosto che cosa siete andato a fare dall'avvocato Perkins e perché vi ha sug­gerito di leggerci quella dichiarazione.

Theo                              - Anche il più irsuto dei cinghiali può essere rincorso da un branco di lupi affamati. Qualcuno, magari, giunto apposta dal Sud.

Maggie                          -  Avete sentito, Martin? Vostro padre ci considera un branco di lupi. (A Theo) Ma state sicuro che se ci sarà da...

Eyckens                        - Vattene in cucina, Maggie! Non voglio più sentirti.

Theo                              - Appunto per questo vi ho letto la di­chiarazione. Siete una ragazza simpatica nono­stante le arie che vi date; decisa e piena di ardire. Sapete che potrei schiacciarvi come una pulce e mi trattate come se la pulce fossi io. (Ride rumorosamente. Poi con rudezza) E' vero che oggi siete stata dai Meersch con quel si­gnore? (Indica Martin).

Eyckens                        -  Quest'oggi Maggie non è uscita di casa. (Alla figlia, con intenzione) Diglielo an­che tu.

Maggie                          - (candidamente) Certo che sono usci­ta. Martin ed io ci siamo incontrati in piazza mentre stavo andando da mia sorella Susan; e lui si offerse di accompagnarmi. Poi - mi disse - sarebbe venuto al presbiterio per salu­tare Paul.

Theo                              - Immagino il motivo di queste visite.

Martin                           - Non c'era nessun motivo, fuorché salutare gli amici. Se ti interessa, non sapevo ancora del crollo di ieri.

Theo                              - Ed ora che cosa ne sai?

Maggie                          - Susan non volle che Martin parlasse con Meersch. Si mise a piangere, gridò che suo marito stava male e che volevamo rovinarlo.

Theo                              - E' possibile.

Maggie                          - Naturalmente io cercai di spiegarle...

Eyckens                        - (quasi gridando) Tu non hai niente da spiegare!

Maggie                          - E perché? Non sono abbastanza ma­tura per crolli, matrimoni e altre rovine del genere? Siccome non ho che vent'anni tutti fingono che ne abbia dodici e dovrei fingerlo anch'io. Voi pure, Paul, se permettete...

Paul                               - (irritato) Volete chiamarmi « reveren­do » Paul, come si addice al mio stato sacer­dotale?

Maggie                          - Eh, ma che pittima! Tra poche ore il vostro stato sacerdotale sarà messo a dura prova e allora apprezzerete la mia devozione.

Theo                              - (a Maggie) Poi dove siete stati?

Maggie                          - Lasciammo Susan in lagrime e ve­nimmo qua. Ma intanto Susan aveva avvertito Denise e Denise mi telefonò per sapere se dav­vero Martin sarebbe venuto al presbiterio.

Theo                              - (con voluta indifferenza) E perché, Denise?

Denise                           - Volevo fargli sapere che ci saresti venuto anche tu; ed evitare una tragedia, se possibile. Ma sembra di no.

 Maggie                         - (ironica) Denise è un'ottima nuora; non vi sembra Monsieur Theo?

Theo                              - Questo sigaro non tira; datemene un altro. (Denise ne toglie uno dall'astuccio rima­sto sulla tavola e glielo porge).

Maggie                          - (rivolta a Denise) Dopo la telefonata feci quello che mi dicesti; cioè avvertii Martin perché si tenesse alla larga da suo padre che stava per arrivare. Ma per tutta risposta Martin alzò le spalle.

Theo                              - Te ne infischi, eh?

Maggie                          - Vostro figlio ha combattuto coi par­tigiani e non sarete voi a mettergli paura.

Theo                              - Chi lo sa.

Maggie                          - Mio padre, invece, quando mi vide entrare con Martin, si diede a mugolare spa­ventato perché di lì a poco sareste giunto an­che voi e Dio sa che cosa sarebbe accaduto. (Battendo con vigore sulla spalla del padre) Invece non è accaduto nulla, non è vero papà?

Eyckens                        - (agitato) Perché: che cosa sarebbe dovuto accadere? Io sono un uomo di studi, Monsieur Theo, ho bisogno di quiete. Non so se vi abbia mai detto che sto per dare gli ultimi tocchi al mio trattato sul peccato originale. Un peccato, se vogliamo, abbastanza compro­mettente; ma io ho trovato una soluzione che troncherà tutte le controversie.

Paul                               - Non ho mai saputo di un trattato di teologia che abbia eliminato delle controversie; di solito le accresce.

Eyckens                        - (acerbo) Naturalmente. Quando mai avete condiviso le mie opinioni.

Paul                               - Vorrei farvi osservare...

Eyckens                        - Nossignore: non avete nulla da farmi osservare! Questi battibecchi appena fi­nito di mangiare mi arrestano la digestione. Vorrei proprio sapere chi siete e perché mi state sempre davanti!

Paul                               - Sono il vostro coadiutore, reverendo Eyckens.

Eyckens                        - Ma non mi coadiuvate affatto! E neppure voi, Martin; permettete che ve lo dica. Maggie non vi aveva spiegato che aspettavo vostro padre col quale siete in pessimi rap­porti? E allora perché siete venuto? Avete giu­rato anche voi di crearmi delle difficoltà? Si tratta di un personaggio importante e c'è poco da scherzare!

Theo                              - (assentendo con gravità) Proprio così, uomo di Dio; non c'è affatto da scherzare.

Eyckens                        - (premuroso) Ho apprezzato molto la vostra visita, Monsieur Theo. Peccato che non sia venuto anche Monsieur Philippe, come mi avevate annunciato.

Theo                              - (al figlio) Tuo fratello Philippe non desidera vederti. « Al posto di un fratello come lui - ha detto il povero Philippe - preferirei avere un'unghia incarnata ».

Maggie                          - (ribellandosi) Ma è mostruoso!  Fossi io la moglie di Martin...

Eyckens                        - Tu non sei la moglie di Martin e anche lo fossi il tuo dovere sarebbe di star zitta!  

Denise                           - (ironica) Come faccio io, Maggie. Hai molto ancora da imparare.

Eyckens                        - Vi prego di non dare importanza a queste sciocchezze, Monsieur. Vi ho riservata la migliore delle accoglienze - spero che ve ne siate accorto - benché le notizie che mi porta­vate, che avrei preferito ignorare, non fossero delle più allegre. Vi feci accomodare nel mio studio dove creammo un'atmosfera di spiri­tualità scambiandoci complimenti e auguri di buona salute. Mi sentii perfino in dovere di pronunciare due parolette di circostanza, un semplice ringraziamento per questa insperata visita che, appunto come mi espressi... Come mi espressi. Maggie?

Maggie                          - Giudicasti questa bella visita come un omaggio reso al Signore per la scongiurata catastrofe del dì prima.

Eyckens                        - Ah sì, non si sarebbe potuto dir meglio. Anche voi Monsieur Theo, eravate com­mosso; una vecchia volpe come voi. Ma a que­sto punto intervenne il mio coadiutore, con la sua solita intemperanza, a chiedere notizie del povero Hycke; io non so perché debba sempre avere davanti a me questo intemperante. Che c'entrava di chiedere proprio a Monsieur Theo notizie del povero Hycke che a quell'ora, tra l'altro, era già risalito al Creatore. Lo avrebbe capito anche un bambino che non era il caso di chiedere notizie della salute di un morto; ma voi non lo avete capito; a meno che non lo facciate a bella posta per mettere il vostro povero parroco nell'imbarazzo.

Theo                              - Bene, signor Pastore, questi sono affa­ri vostri; la mia visita è terminata. Vi ho detto ciò che dovevate sapere e ora sapete ciò che dovete dire: siete in una botte di ferro.

Eyckens                        - (sulle spine) Ah, certo; in una botte. Del resto io non sono che un povero prete, non è vero, Denise? E l'Altissimo sa sempre ciò che fa. (Sì asciuga il sudore).

Martin                           - (con voluta indifferenza) Mio padre vi ha parlato del crollo, reverendo Eyckens?

Eyckens                        - (cadendo dalle nuvole) Del crollo? Quale crollo?

Martin                           - Se vi degnate di guardare dalla finestra... Avete detto che il vostro illustre ospite vi ha portato delle notizie, poco fa, che non erano molto allegre.

Eyckens                        - (c.s.) Delle notizie? Quali notizie?

Theo                              - (pacato) Non sono affari tuoi, Martin. Faresti meglio a non occupartene; te lo dirà anche Denise.

Paul                               - Forse riguardano me; intendo dire il mio ministero.

Theo                              - State tranquillo, reverendo padre e reverenda madre. Il vostro parroco ed io ci siamo lungamente consultati e abbiamo con­cluso alla unanimità che il crollo fu provocato dalla collera divina.

Paul                               - (indignato) E' questo che avete detto, signor Pastore?

Eyckens                        - (di nuovo sulle spine) Non è che una supposizione, intendiamoci; non ho detto di esserne assolutamente sicuro...

Theo                              - Coraggio, amico mio. Vi manderò una cassetta di spumante per rialzarvi il morale.

Paul                               - (c.s.) E' un mercato, Monsieur Theo?

Eyckens                        - (stizzito) Zitto voi! Volete sentirvi dire di sì? Non so che farmene del vostro zelo!

Paul                               - Il mio zelo è al servizio di Dio.

Theo                              - Dite a quel pretoccolo che siamo tutti al servizio di Dio. Io lo servo estraendo il mio carbone dalle sue miniere.

Martin                           - (tranquillamente) Tu non lo servi: lo derubi.

Theo                              - (senza badargli) Ciascuno che lavora lo serve col suo lavoro. Il solo che non lavora sei tu, Martin; non te ne vergogni?

Martin                           - Io? No... Non mi va di faticare come un forzato solo pel gusto di far quattrini; è un gusto che non provo. Mio padre, mio fratello, invece, non ne conoscono altri. E anche tu, Denise.

Eyckens                        - Voi non avete tutte le rotelle a posto, genero mio. E non date a Denise quelle soddisfazioni che meriterebbe.

Maggie                          - Anche Denise ha la sua parte di torto.

Denise                           - (tranquillamente) Ho mai detto di no?

Eyckens                        - Tutti hanno la loro parte di torto, meno il reverendo Paul che ha sempre ragione.

Maggie                          - (con orgoglio) Avete inteso, Paul? Anche mio padre è costretto a riconoscerlo.

Paul                               - Aspettate di sentire il resto, signorina Maggie.

Eyckens                        - Godo di sapere che vi aspettate un resto; mi facilitate un doloroso compito, quello di dirvi che cosa penso di voi. Ho notato che mancate di tatto, di comprensione, di pazienza, di carità e infine di buona educazione. Siete sempre spettinato e la vedova Simmons vi giu­dica presuntuoso e arrogante. Non vi è riuscito di farvi un'amicizia tra i notabili della nostra parrocchia, mentre siete stranamente famoso tra la gentuccia dei Quartieri Bassi. Perché dico « stranamente »? Anzitutto perché vi han­no soprannominato « Gallinella » per la vostra manìa di trascinarvi dietro tutti i mocciosi del quartiere...

Paul                               - Sono il primo a sorriderne.

Eyckens                        - ... e subito dopo perché siete il pri­mo a sorriderne.

Maggie                          - (indignata) Non ho mai sentito nulla di più ingiusto, reverendo Eyckens!  

Eyckens                        - E tu, Maggie, non mostrarti insoffe­rente col tuo parroco che è anche tuo padre. No: non posso dirmi soddisfatto della tua con­dotta. E nemmeno della vostra, Martin. Voi siete continuamente in armi contro di noi, fate esattamente il paio col vostro amico Paul. Per di più non esercitate nessuna professione, tran­ne quella di vivere nel Sud; non avete né arte né parte e non troverete che esagero se mi mo­stro preoccupato dell'avvenire di mia figlia De­nise che non vi ho dato in moglie perché la lasciate morir di fame.

Denise                           - Hai paura che ti ripiombi in casa?

Martin                           - State tranquillo. Vostra figlia ha sa­puto scavarsi un altro buco nel formaggio; e ci sta a meraviglia.

Eyckens                        - Denise ha sempre saputo come ca­varsela, ma pensa solo a se stessa. Susan invece, la mia figlia maggiore, è peggio di un vesci­cante. Ha sposato l'ingegnere Meersch ma sen­za risultati apprezzabili per nessuno. Meersch lo conosciamo; è un brav'uomo; lavora nelle miniere e ieri è scampato per miracolo al crollo della galleria Carlotta. Ma non ha certo una posizione preminente, benché i suoi di­plomi scolastici siano quanto di meglio si possa pretendere. Me li mostrò quando venne a chie­dere la mano di Susan, e questo mi trasse in inganno. Maggie, invece, rimarrà zitella; ma col suo modernismo mi procura ogni sorta di grat­tacapi. E' perfino stata a teatro. Proprio così: ho avuto troppe figlie e tutte con un carattere impossibile. La povera signora Eyckens le sfor­nava tra montagne di pannolini e diluvi di preghiere, nonostante facessimo di tutto per non accrescere la famiglia. Messa al mondo la terza, cioè Maggie, quella buona donna rese l'a­nima a Dio convinta di aver condotto una vita di lussuria. Ma ora sono stanco. Ho vegliato tutta la notte e alle sei di stamane Maggie mi ha svegliato perché recassi la parola del Signore alla vecchia Craque che aveva mangiato troppi fichi e credeva di morire, ma come al solito non è morta. (A Paul) Sarebbe toccato a voi d'andarci; ma Maggie è venuta a cercar me e non voi, pur sapendo quanto mi disturbi essere svegliato alle sei.

Maggie                          - (fissando teneramente Paul) I gio­vani hanno bisogno di dormire.

Eyckens                        - (inviperito) E i vecchi no?

Paul                               - Siete imperdonabile, Maggie. Sono co­sternato per quanto è accaduto stamattina e ne domando scusa. Ecco a quali umiliazioni mi costringete.

Maggie                          - Eh, quante storie per un Pater reci­tato dall'uno o dall'altro. La vecchia Craque è resuscitata ugualmente.

Paul                               - (cupo) Nessuno invece farà resuscitare Hycke. (Quasi violento) Hycke non è morto per una indigestione di fichi e nessuno si è occupato di lui!

Eyckens                        - E dagliela con Hycke!  Apparteneva forse alla nostra parrocchia? Si può sapere per­ché ve la pigliate tanto se un'ora fa ignoravate perfino che fosse morto?

Theo                              - Chi vi ha informato?

Martin                           - Io.

Denise                           - Tu?

Theo                              - C'era da aspettarselo.

Eyckens                        - (a Martin) Voi fareste meglio a non prestarvi al gioco dei nemici. Si vuol sfruttare la fine di quel disgraziato e ci si serve anche di voi. Non piace a nessuno finire con la schiena fracassata; eppure Hycke ha dato prova sino all'ultimo di fiducia e attaccamento al lavoro; morendo con dignità, salvo qualche cedimento passeggero estraneo ai suoi veri sentimenti.

Theo                              - Leggete il « Patriote », reverendo Paul, il giornale che finanzio io. C'è scritto parola per parola com'è andata. Una morte che auguro anche a voi.

Maggie                          - Vi sfido a indovinare ciò che sto augurandovi io.

Theo                              - Davvero, puledrina? Naturalmente non c'è avvenimento del quale non si diano almeno due versioni.

Martin                           - Conosci l'altra, quella che circola nei Quartieri Bassi?

Theo                              - Cioè?

Paul                               - Si dice che Hycke sia morto tra i più atroci spasimi; abbia respinto i conforti divini e accusata la Chiesa di connivenza con i padroni che han provocato per incuria il crollo della galleria Carlotta.

Theo                              - Voi credete ai « si dice »? C'è nessuno che abbia un biberon per il nostro Paul?

Eyckens                        - Non c'è niente di vero, almeno per quanto riguarda la Chiesa. E non voglio più sentir parlare del povero Hycke! (A Martin) In quanto a voi avreste tutto da guadagnare se dormiste a casa vostra, nel letto di vostra mo­glie, anziché girare per i Quartieri Bassi dove nessuno vi ha mandato. Se ne odono di ogni specie, si fanno dei cattivi incontri e si rien­tra carichi di pidocchi. Io non ci sono mai stato.

Martin                           - Si vede, reverendo Eyckens. Ed ora vogliamo parlare del crollo?

Theo                              - (ironico) Ma ti sei fissato.

Denise                           - Ti è stato detto di non occuparti di questa faccenda.

Martin                           - E' più sporca di quanto sembra?

Theo                              - Stamane ne hai discorso con Meersch: tutto tempo sciupato. Meersch è scosso per i fatti di ieri; è come se avesse preso un colpo di sole.

Denise                           - Che cosa ti ha detto?

Martin                           - Susan non lo ha lasciato parlare. Doveva essere molto turbato.

Denise                           - Con la chiusura del pozzo, trecento uomini rimangono senza lavoro.

Theo                              - E' un bel numero.

Denise                           - Meersch era turbato per questo.

Martin                           - No. Aveva la gola chiusa dalla paura.

Maggie                          - Paura di chi?

Martin                           - Di chi ci mette e ci toglie a volontà il pane di bocca, ma qualcuno finirà per stan­carsi; e parlerà.

Theo                              - Disposto a farsi togliere il pane di bocca? Sta' attento che non ti succeda qualche cosa di simile. Ecco a che punto siamo giunti, reverendo Eyckens; secondo mio figlio Martin sono un affamatore del popolo e il principale responsabile della morte del povero Hycke. (Con falso fervore) Ripetete mio buon Pastore, mia Guida, com'è morto il nostro povero Hycke, mio fratello Hycke, in pace con gli uomini, con Dio e con me. Amen. (Si fa rapidamente il segno della Croce).

Martin                           - Te lo dirò io com'è morto. Con la spina dorsale rotta in due da una trave che gli è precipitata addosso mentre tentava di scap­pare, e intorno tutto crollava. Una trave mar­cia della tua miniera. Marcia perché cambiarla sarebbe costato troppo.

Theo                              - (guarda gli astanti con aria altera e di­sgustata; poi riconduce lentamente gli occhi sul figlio) I crolli in miniera si assomigliano tutti. Mi spiace che sia finita per Hycke; ma sarebbe rimasto tutta la vita su una poltrona con le gambe ciondoloni. La poltrona gliela avremmo regalata noi, non è vero, Denise? Denise è Dama delle Buone Dame che regalano gambe di legno ed altre confortevoli suppellet­tili ai poveri mutilati. C'erano diciotto uomini nella galleria Carlotta al momento del crollo. Avrebbero potuto restarci tutti; non c'è rima­sto che Hycke. Considero questo miracolo co­me una prova di simpatia concessami personal­mente dal Signore.

Paul                               - (fremente) Non è un miracolo; è una sciagura. I responsabili ne renderanno conto.

Theo                              - Avete ragione: non è un miracolo. Scia­gure che succedono ovunque, quantunque si faccia il possibile per evitarle. Miracoli non ne avvengono più, almeno dalle nostre parti; Dio si è riconvertito al cattolicesimo. (A Martin) In quanto a te, ho sempre sospettato che la tua malattia ti abbia servito a puntino per allon­tanarti da una casa che non hai mai amato, quantunque fosse la tua, ed anche la mia. Forse è questo che te la rese odiosa. L'odio per il ; padre, reverendo Eyckens: teorie nuove, sentimenti antichi. Le vostre figlie vi odiano?

Eyckens                        - (offeso) Odiarmi? Dopo tutto quello che ho fatto per loro?

Theo                              - Ottima ragione, caro Pastore. La vita  di questo ingrato (indica Martin) si è svolta per la maggior parte all'infuori della famiglia, per non dire contro la sua famiglia. Prima la scuola, poi la politica, poi la guerra, poi la Resistenza: altrettanti pretesti per pensarla in modo oppo­sto al mio. Noi eravamo e siamo rimasti dei l goffi borghesi, bevitori di birra, mangiatori di salsicce e qualche donnetta ogni tanto. Lui si , è acquistato dei meriti imperituri per aver teso delle imboscate ai tedeschi...

Paul                               - Per i quali parteggiavate, Monsieur Theo.

Theo                              - Per i quali parteggiavo, cavalletta. (Furioso) Facevate saltare in aria i treni che trasportavano il mio carbone e avrei dovuto parteggiare per voi?

Martin                           - Vogliamo parlare del crollo?

Theo                              - (reciso) Non c'è più nulla da dire. Sono cose che succedono improvvisamente quando Dio ritrae la Sua mano e nessuno sa il perché. Ecco come si spiegano i crolli.

Martin                           - Meersch se lo aspettava da un mo-j mento all'altro.

Theo                              - Meersch è un visionario; aspetta sem­pre qualche cosa che non avviene mai; per esempio la sua promozione.

Martin                           - Questa volta qualche cosa è avvenuto.

Theo                              - Già; ma non perché Meersch l'aspet­tasse.

Martin                           - Da quanto tempo erano in opera le travi che hanno ceduto?

Theo                              - (ironico) Tu e Philippe eravate ancora bambini; non te ne ricordi?

Paul                               - Vi sembra il caso di fare dello spirito, Monsieur Theo?

Theo                              - Voi che cosa ne sapete. (Investendolo) Vi intendete di miniere? Leggi nella tua Bib­bia, piccolo levita; e non grufolare nella mia.

Martin                           - (pacato) Perché non furono sosti­tuite le travi quando Meersch avvertì che sta­vano per cedere a causa delle infiltrazioni?

Theo                              - E tu perché non sei venuto a sostituirle? Tu ricevi ogni mese un assegno abbastanza vi­stoso. Non ti sei mai domandato chi ne faccia le spese, figliolo caro?

Martin                           - La povera gente.

Theo                              - La gente che lavora, direi. E che ti mantiene.

Maggie                          - Martin ha subito una lunga malattia.

Theo                              - Ma noi, con le nostre amorevoli cure lo abbiamo guarito: non è così, puledrina? E ora che è guarito deve riprendere il suo posto. (Al figlio) Posso conoscere i tuoi progetti? Mi interessano molto.

Martin                           - A me non interessano i tuoi. Par­liamo di ciò che è accaduto nella galleria; delle travi marce.

Theo                              - Ho tirato avanti con l'aiuto di Philippe, non col tuo! Col tuo mai! Sei mai andato a vedere se le travi fossero marce?

Martin                           - Come fai tu?

Theo                              - Sicuro, come faccio io!

Martin                           - Allora sapevi che non potevano più tenere.

Theo                              - Tu non lo sospettavi? Tu ti limiti ad imprecare quando i sostegni cedono e non puoi fingere di non saperlo!  Ti precipiti quando non c'è più niente da fare fuorché estrarre i cada­veri, se si può. Ventiquattro cadaveri in tre anni: credi che non mi ballino dinanzi agli oc­chi? E sai che cosa faccio? Li lascio ballare. Tu invece sbraiti e riparti: è sufficiente perché davanti ai tuoi occhi non ballino più, ti sei guadagnato le loro simpatie. Ma se vuoi la miniera devi accettarla com'è: sporca di san­gue. Quasi trecento a Marcinelle; quattrocento-trentacinque a Clydesdale; centotrenta a Ostra-va. Tutti in una sola volta! Noi ventiquattro in tre anni; vienimi a dire che sono molti.

Martin                           - Anzi, ci meritiamo la medaglia: per non aver superato gli indici di tolleranza am­messi dalle compagnie di assicurazione.

Theo                              - Dalla natura delle cose, Martin. Quando i fucilieri hanno paura dei loro fucili è meglio che facciano i cuochi. Te ne occorre uno, De­nise?

Martin                           - No, non farò il cuoco; ho un altro progetto. Domani inizieremo lo sgombero della galleria Carlotta.

Theo                              - Che...?

Martin                           - Dirigerò io i lavori.

Theo                              - Lo sgombero della galleria...? Non hai per caso altri ordini da darmi?

Martin                           - Quei trecento minatori non debbono restare senza lavoro.

Maggie                          - A me sembra giusto, Monsieur Theo.

Theo                              - A me sembra un caso grave di menin­gite. (Reciso) Spiacente per i tuoi sogni, ma non ci sarà nessuno sgombero. Il pozzo è ostrui­to, non si può raggiungere la galleria Carlotta. E' saltato tutto in aria.

Martin                           - E' stata l'acqua?

Theo                              - No, la dinamite. Puoi andare a vedere.

Martin                           - Ci sono stato.

Theo                              - (insospettito) Ci sei stato? E che cosa hai visto?

Martin                           - Quello che dici tu: è saltato tutto in aria.

Theo                              - E allora?

Martin                           - Allora sarebbe interessante sapere il perché.

Theo                              - Perché il deposito ha preso fuoco.

Martin                           - Vi ha dato una mano qualcuno?

Denise                           - Martin!...

Martin                           - No? Meglio così. Ad ogni modo sgom­bereremo il pozzo.

Theo                              - No. No! Nessun sgombero: non è ef­fettuabile!  Già sentito un mucchio di ingegneri. E' crollato tutto! Eyckens, vogliono farmi mo­rire!

Paul                               - Domani ci sarà una manifestazione di protesta per la chiusura del pozzo. Trecento uomini...

Theo                              - Ho disposto la chiusura per preser­vare i minatori dai pericoli! Come si può ria­prire se tutto è saltato in aria! Le travi sono marce! Si può sapere che cosa vogliono? La loro morte? Lavorare col rischio di morire sotto i crolli?

Paul                               - Voi credete che sia preferibile mo­rire di fame?

Theo                              - Nessuno morrà di fame. Di fame si muore solo in Russia. La Cassa paritetica corrisponderà il sussidio di disoccupazione per tre mesi. C'è tutto il tempo per trovarsi un altro lavoro. (Al Pastore, con durezza). E do­mani niente dimostrazioni, niente cortei, niente chiacchiere: me lo avete promesso. Ditelo in chiesa.

Paul                               - I minatori non frequentano più la chiesa; voi li avete allontanati.

Theo                              - Carogne! Chiudo forse il pozzo per far dispetto a quelle lucertole? Ci rimetto un occhio della testa, se non lo sapete; ma di questo nessuno si preoccupa: non una di quel­le lucertole, dopo che ho speso la mia vita per sfamarli! Neanche al cesso sanno andare da soli! E vogliono mangiare tutti i giorni! (Minaccioso, al figlio) Tu perché sei qua, che cosa sei venuto a fare, che cosa vuoi! Vuoi unirti al coro dei rospi? (Si lascia cadere su una poltrona congestionato) Lasciatemi mo­rire, è molto meglio, voglio morire!

Denise                           - (freddamente) Un bicchier d'acqua. (Maggie esce in fretta e rientrerà con l'acqua).

Theo                              - Voglio ricevere l'estrema unzione!  (In­ferocito) Ungetemi i piedi! (Maggie gli porge l'acqua) Che cos'è?

Maggie                          - Acqua.

Theo                              - (con disprezzo) Acqua? Puh. (A Mar­tin) Avanti, che cosa vorresti sgomberare. Perché? Meersch ha lasciato la galleria per ultimo ed ha visto con i suoi occhi ciò che è successo. Non c'è nessuna speranza.

Martin                           - Speranza? Di che.

Theo                              - Quando gli uomini si misero in salvo l'acqua arrivava più in su del ginocchio e aumentava continuamente. Se uno fosse ri­masto laggiù - supponiamo - sarebbe certa­mente annegato in pochi minuti. Questione di minuti. E del resto quando si accetta di fare un mestiere se ne accettano i relativi ri­schi. Costa anche a me fior di quattrini.

Paul                               - Tra morire e pagare c'è una bella differenza.

Theo                              - Moriremo tutti, Gallinella. Prima o poi moriremo tutti. Leggete il «Patriote »: c'è descritta ogni cosa per filo e per segno; la più pura verità. (Svenevole) Diciamo « la verità purificata ».

Martin                           - E l'altra quale: la verità non puri­ficata. (Al reverendo Eyckens) Voi la sapete.

Eyckens                        - (irritato) Non avete sentito vostro padre? Leggete il « Patriote ».

Martin                           - Allora ce la faremo dire da Meersch; dovrà pure sputarla.

Theo                              - Ah, è possibile. Meersch è un nevrastenico, chissà le frottole che racconterà. In fondo perdere un buon stipendio non è un gran danno se si è in grado di procurarsene subito un altro. Non so se sia il caso di vostro genero, signor Pastore: diteglielo senza com­plimenti.

Eyckens                        - (turbato) In nome di Dio... Io credo che Meersch...

Theo                              - Voi potete credere quello che volete ed io sono padrone di fare quello che voglio. Ce lo hanno insegnato i liberali.

Paul                               - No; neppure voi siete padrone. Pa­drone di che? Avete appena finito di ricordarci che moriremo tutti: e allora? O voi non mo­rirete?

Theo                              - (sorpreso) Io? Perché dovrei morire?

Martin                           - Insomma, laggiù c'è qualche cosa di cui nessuno vuol parlare. Nemmeno Mon-sieur Theo che non ha paura di nulla.

Theo                              - Sciocchezze. Me ne importa quanto sputare in un orinale.

Martin                           - Ma credo su per giù d'aver capito.

Theo                              - Peccato che non ti abbia fatto studiare.

Denise                           - (stanca) Non occupartene, Martin; te ne scongiuro.

Martin                           - (al padre) Perché hai deciso di non riaprire il pozzo?

Theo                              - Perché è esaurito. E' ancora più vec­chio di me. Quando si cominciò ad estrarre da quella parte mio padre aveva vent'anni e io non ero ancora nato. Fu mio nonno ad aprir­lo; adoperò le unghie. Mio nonno era un gi­gante; quando gridava, solo il tuono era ca­pace di tenergli testa. Siamo stati una razza di giganti; ma tu e tuo fratello l'avete man­data all'inferno. Che cosa aspettate a strap­pare un figlio dalle cosce di quella donna? Debbo far io anche questo?... Un pozzo che ormai non dava più nulla. Non c'era più un filone da sfruttare, chiedilo al tuo Meersch. Abbiamo continuato a raschiare quel poco che si poteva, ma a patto di non spendere un soldo nella manutenzione; e non i milioni che ci sarebbero voluti.

Paul                               - Così... sapevate che la disgrazia po­teva capitare da un momento all'altro.

Theo                              - E quali sono le disgrazie che non pos­sono capitare da un momento all'altro. Miniere come le nostre, male attrezzate, peggio servite, schiacciate sotto il peso delle imposte; come possono reggere alla concorrenza? Per resi­stere bisogna stringere la cinghia fino all'in­verosimile e non curare i pericoli.

Paul                               - I pericoli, voi, li fate correre agli altri.

Theo                              - Come se gli altri non lo sapessero. Avete sentito: io voglio chiudere il pozzo e i minatori non vogliono. Non avete mai pen­sato, signor teologo, che tutto ciò non dipen­de né da loro né da me?

Paul                               - Vorreste forse dire che dipende da Dio?

Theo                              - No; anche Dio ha i suoi limiti. Ve lo dirò io da chi. Dipende dal listino dei prez­zi. Da una parte il prezzo del carbone; dall'altra quello del pane, delle salsicce, del latte e della birra. E chi li fa questi prezzi: io? No, sarebbe troppo bello. Li fanno quei signori in cilindro della borsa merci? Nemmeno; loro ed io dobbiamo subirli. Ed allora chi li fa? di­temelo voi, presuntuosi cretini! Chi li fa! Do­ve si fanno questi maledetti prezzi! Se quello del carbone scende sul mercato inglese, il prez­zo cala anche qui, benché ad estrarlo costi co­me prima e magari di più. E' colpa mia? De­gli inglesi? Ci tengono forse le compagnie in­glesi che il prezzo cali? E io ci tengo? Eppure a che prezzo posso vendere il mio carbone, il mio buon carbone, se non a quello che mi impone il mercato; posso vendere il mio ama­to carbone ad un prezzo che nessuno è di­sposto a pagare? E posso continuare a ven­dere senza rovinarmi se non copro neppure i costi? E che cosa posso fare per coprire i costi se non raschiare, lesinare sui salari, eva­dere i contributi, ingannare il fisco, risparmiare sulle travi, sui chiodi, su tutto! Perché se non vendo il mio carbone, come li pago i minatori, con i raccontini di Alice nel paese delle meravi­glie? E che cosa mangiano i minatori se io non li pago: diminuisce forse per questo il prezzo del pane, delle salsicce, della birra e del latte? Li faccio io i prezzi della birra e del latte? Di' un po' li faccio io? Tutti legati alla stessa catena, sognatori e mercanti! (A Paul) Avete capito adesso, reverendo Ping Pong?

Martin                           - (imperturbabile) Ti decidi a dirci che cosa è capitato laggiù e che ancora non ci hai detto?

Theo                              - La tua costanza merita un premio, Martin: vorrei quasi dirtelo. Ma sei sicuro di far bene a chiedermelo? Hai lo stomaco di un uccellino, certe pietanze non le digerisci.

Martin                           - Qualcuno è rimasto là sotto e c'è ancora; non è così?

Maggie                          - No!...

Theo                              - Perché « no »? Che cosa ne sapete, mia dolce Tersicore. Sembra infatti che qualcuno sia rimasto laggiù - ho detto « sembra » - in condizioni piuttosto difficili per non dire di­sperate.

Paul                               - Chi?

Theo                              - Un ragazzetto.

Maggie                          - Un ragazzetto?...

Paul                               - Vivo?

Theo                              - Solo per pochi minuti, non allarma­tevi. Appena il tempo per morire annegato. Non sappiamo neppure come si trovasse nella galleria. Almeno io non lo so.

Maggie                          - (ribellandosi) E lo dite così?

Denise                           - Calma, Maggie. Sono cose molto gravi, ma da esaminare con calma.

Martin                           - Tu lo sapevi?

Denise                           - (stanca) Faccio un po' le tue veci, Martin.

Martin                           - Le mie veci? Io non ho mai assas­sinato bambini!

Denise                           - Siamo qui per darti le spiegazioni che vuoi.

Martin                           - Spiegare che cosa! Perché non ne avete parlato subito! Meersch non ve l'ha ri­ferito? Perché avete perduto tutto questo tem­po! Aspettavate che fosse sicuramente morto prima di parlarne?

Theo                              - Non abbiamo aspettato che morisse. Una stupidaggine simile non poteva venire in mente che a te. Non è stato possibile salvarlo, ecco tutto. Gli altri si salvarono perché lavo­ravano a poca distanza dall'ascensore, lontano dal primo braccio, dove l'acqua ha sfondato. Solo Hycke fu colpito da una trave, ma venne evacuato anche lui. Si scagliarono tutti come bestie nella gabbia dell'ascensore, io so come vanno queste cose; mi ci sono trovato an­ch'io. Quel ragazzo... chissà. L'han visto? Non l'han visto? Meersch dice d'averlo visto; ma chi si fida di Meersch. Fatto sta che i minatori si misero a urlare perché la gabbia partisse e Meersch fu costretto a dare il via.

Martin                           - (a denti stretti) Costretto da chi?

Theo                              - Non hai sentito « da chi »? Così il ragazzo non fece in tempo... insomma è rima­sto là.

Maggie                          - (senza fiato) Là?... (Theo grugnisce qualche cosa).

Denise                           - Non fece in tempo... Non si sarebbe nemmeno potuto.

Theo                              - Del resto nessuno l'ha visto all'infuori di Meersch.

Paul                               - Ma c'era veramente?

Denise                           - (esasperata) Sì, sì, c'era veramente. Non vorremo raccontarci delle frottole, sup­pongo.

Paul                               - E Meersch ha dato ugualmente il via?

Maggie                          - Dio mio, Dio mio... che cosa ha fatto...

Theo                              - Ha fatto benissimo, se pensate a quel­lo che è capitato subito dopo.

Denise                           - (calmatasi) Pensava di rinviare la gabbia appena messi gli altri al sicuro. Invece la gabbia non si era alzata di duecento metri quando sotto di essa sprofondò tutto. Non fu più possibile ridiscendere.

Paul                               - Meersch crede che questo lo giusti­fichi?

Theo                              - A me pare di sì.

Maggie                          - (atterrita) E quel bambino ora è laggiù...

Paul                               - Perché non lo ha atteso?

Denise                           - Siate ragionevole; se avesse ritardata la partenza anche di pochi secondi i morti sa­rebbero diciannove.

Paul                               - Io vi dico piuttosto diciannove che quello solo!

Theo                              - Come, come? Voi avreste preferito che i morti fossero stati diciannove?

Maggie                          - E quel ragazzo... chi è?

Denise                           - Non si sa bene. Si chiama Tom.

Paul                               - (aspro) Tom e nient'altro? Come un cane?

Theo                              - No; come un negro.

Maggie                          - Un negro?

Denise                           - Aveva tredici anni. Ci siamo infor­mati, nella speranza che... Meersch si fosse ingannato. Viveva in casa di Ganshof; ma i Ganshof non erano suoi parenti. Non ne aveva.

Paul                               - I suoi parenti eravamo noi, noi dove­vamo difenderlo!

Martin                           - (al padre, investendolo) Tu non sai che i ragazzi non possono lavorare in mi­niera?

Theo                              - Certo che lo so; e la direzione lo ha sempre vietato. Ci sono cartelli dappertutto. Vietato questo, proibito quest'altro... Ma sono dei testoni che fanno sempre ciò che vogliono.

Martin                           - Meersch ne dovrà rispondere! Che cosa dice Ganshof?

Denise                           - Non lo abbiamo rintracciato.

Martin                           - Era tra quelli che lavoravano nella galleria?

Denise                           - Pare di sì.

Martin                           - E neppure lui ha visto il ragazzo mentre cercava di raggiungere l'ascensore?

Theo                              - Il ragazzo? Che cosa ne sai se cercasse dì raggiungere l'ascensore.

Denise                           - Può darsi che non l'abbia visto... Meersch ha ammesso che qualche volta Tom scendeva a lavorare; non sempre.

Martin                           - (sarcastico) Ah, non sempre. Dava una mano a Ganshof?

Denise                           - Si guadagnava la vita.

Theo                              - (al figlio) Tu invece non te la guada­gni; e lui la guadagnava anche per te. I ra­gazzi si infilano nei cunicoli più facilmente dei grandi. Al tempo di mio nonno certi minatori facevano bere l'alcool ai loro bambini perché restassero nani e potessero lavorare nei cuni­coli più lestamente. Ora non si fa più a causa del progresso e della puericoltura.

Paul                               - Perché Meersch permetteva che Tom scendesse a lavorare?

Theo                              - Avrà chiuso un occhio. E perché avrà chiuso un occhio? Mah. Voi non chiudete mai un occhio nel santo esercizio della vostra pro­fessione? Siete sicuro di aver impedito tutti i peccati che avreste potuto impedire? Voi stesso non ne avete commesso di quelli che con un piccolo sforzo di volontà avreste po­tuto evitare? Sentiamo.

Paul                               - Io son l'ultimo dei peccatori.

Theo                              - Sempre l'ultimo, eh? Io sempre il primo.

Martin                           - (al padre) Che cosa pensi di fare?

Theo                              - Niente. Non c'è più niente da fare. E' morto.

Martin                           - Come lo sai?

Theo                              - Dimostrami tu che è vivo. L'acqua non ha mai cessato di salire.

Martin                           - Può essersi arrampicato da qualche parte.

Theo                              - Ah, possono anche essergli spuntate le ali.

Martin                           - Questa volta io andrò sino in fondo.

Theo                              - Te l'ho già sentito dire. Ma non con­cluderai nulla, come al tuo solito. E può darsi invece che sia la volta buona per me.

Denise                           - (supplichevole) Martin...

Martin                           - (urlando) Non voglio avere questo morto sulla coscienza!

Theo                              - Dove?... Sta' tranquillo, non è che un modo di dire. (A Paul) E voi non fraintende­temi, padre Caraffa. Non mi diverte vedere la gente che muore; fa vomitare. Ma è la Natura che non guarda per il sottile, come fa invece mio figlio Martin.

Martin                           - La Natura non c'entra. (Si è acca­sciato) Ci sono delle responsabilità precise, le tue per le prime. Quelle di Meersch. Quelle degli scampati che non hanno voluto attendere il ragazzo; non hanno voluto vederlo; questo figlio di nessuno; questo miserabile negro; questa merda! E infine le mie. Io me ne stavo a poltrire mentre qui si meditava un eccidio.

Theo                              - Che hai detto?

Denise                           - Ti scongiuro, Martin...

Martin                           - (respingendola) Va via. (Al padre) Sei tu che lo hai detto. Il pozzo era diven­tato una trappola e tu lo sapevi. Ma questo non ti ha impedito di tirare innanzi finché è stato possibile, cioè sino a quando la trappola è scattata: allora l'hai fatta saltare in aria e tanto peggio per chi è rimasto dentro. Non c'era più un filone che valesse ancora la pena di sfruttare, sono parole tue. Ma tu non hai rinunciato ugualmente a grattare, raschiare, per portar via quel poco che si poteva, per sconcia ingordigia, a patto naturalmente che non si sprecasse un soldo nella manutenzione; e sapendo che era un patto stretto col diavolo.

Theo                              - Non è un patto che abbia stretto io; non confondere. Lo ha stretto Qualcuno molto al di sopra di me e di te; quando ha ceduto al diavolo un certo numero di anime; il mo­tivo non lo so, e non credere a quelli che ti dicono di saperlo. So invece che il mio posto è qui; e non l'ho scelto io; l'ho ereditato da mio padre che lo aveva ereditato dal suo. Fummo messi qua da Colui che ha già deciso di salvarci o di perderci; e io ci resto. Ho molto da fare, non mi rimane un minuto per ascoltare le tue chiacchiere. Dò lavoro a mille-settecento uomini e riempio ogni giorno set­temila bocche. Come se la caverebbe tutta questa gente senza di me?

Martin                           - Ora ne avrai da riempire due in meno.

Theo                              - Credo che saranno tre, contando la tua.

Paul                               - Ma perché vi opponete a un tentativo così naturale com'è quello di ricercare quel povero ragazzo?

Theo                              - Avete un'idea di quanto costerebbe? A me, naturalmente, non a voi. Voi ci mettete la pietà, io dovrei metterci i soldi. Soldi spre­cati: quel ragazzo è morto.

Paul                               - Sprecati anche se quel ragazzo fosse ancora vivo?

Theo                              - Nessun negro sarebbe mai costato tanto.

Paul                               - Allora... non è che una questione di danaro.

Theo                              - Avete scambiato i milioni per fagioli, caro giovanotto? (Al Pastore) Andiamo, mio nobile protettore. Tra poco i gattini ciechi in­vocheranno gli immortali principi. La presenza di un capitalista e di un prete potrebbe sem­brare provocatoria. (Esce).

Paul                               - (con durezza) Non rimanete, signor Pastore?

Eyckens                        - (irritato) A far che, non ci siete già voi per soffiare sul fuoco?

Paul                               - (all'indirizzo di Eyckens) Ho sempre creduto che il primo dei nostri doveri fosse quello di aiutare i nostri fratelli!

Maggie                          - Lasciate andare, Paul. Mio padre non ha mai avuto fratelli. Pensiamo a quel ragazzo. Tu sei con noi, non è vero, Denise?

Denise                           - (a disagio) Certo, cara... per quel che si può.

Paul                               - Per quel che si deve, direi: dobbiamo raggiungerlo ad ogni costo. Mobiliteremo su­bito l'opinione pubblica.

Denise                           - L'opinione pubblica non esiste più. Esistono i persuasori, che dispongono di molti mezzi; ma non sono dalla vostra parte.

Paul                               - Avremo con noi i minatori rimasti senza lavoro. (A Martin) Andrò subito da Meersch e mi farò dare i nomi degli scampati. Da loro sapremo tutto.

Denise                           - Da Meersch non saprete nulla e dagli scampati ancora meno.

Paul                               - Perché? i minatori saranno i primi ad aiutarci; ne hanno il sacrosanto dovere. Mi rivolgerò ai loro sindacati; Martin si met­terà alla ricerca di Ganshof; lo troverete in qualche osteria, conducetelo qua ad ogni co­sto. (A Maggie) Voi non allontanatevi; ci fa­rete da collegamento. (A Martin) Andiamo.

Denise                           - Un momento, signor generale. Vorrei parlare con mio marito, se permettete.

Martin                           - Non vedo che cosa avremmo da dirci.

Denise                           - (stanca) Ti prego... Non ti farò per­dere molto tempo.

Maggie                          - Arrivederci, Paul... (Lo accompagna sino alla soglia. Prima di uscire, indicando De­nise) Che cosa pensate che voglia dire a Martin?

Paul                               - Che il suo regno è di questo mondo; e che fa male a schierarsi con le teste calde. (Escono insieme).

Denise                           - (ironica) Quel pretuccio non è poi tanto stupido.

Martin                           - (id.) Peccato che sia incorreggibile.

Denise                           - Come te?

Martin                           - Molto più di me: ha una fede.

Denise                           - Allora lo faremo trasferire.

Martin                           - Potenza dei Duysen.

Denise                           - Per un apostolo predicare il Vangelo a Sodoma o predicarlo a Gomorra dovrebbe essere la stessa cosa. Qui ne verrà un altro.

Martin                           - E' per trasferire Paul a Gomorra che mi hai pregato di rimanere?

Denise                           - No; debbo parlarti seriamente. So che non ti fidi molto di me. Per di più ab­biamo perduto anche noi l'abitudine di con­versare. Ricordi da fidanzati? Tu mi parlavi di tante cose, alle volte parecchio imbrogliate... T'eri fissato con la giustizia; e io ti ascoltavo beata, come un'educanda al suo primo amore.

Martin                           - (ironico) Sul serio, Denise?

Denise                           - Ti sembra talmente stupido?

Martin                           - No. Direi... inaspettato.

Denise                           - Ti amavo molto, chéri. Desideravo solo obbedirti.

Martin                           - Ma eri sicura che al momento buono avrei obbedito io.

Denise                           - Con quella testa dura?

Martin                           - Purtroppo non ero l'uomo fatto per i tuoi sogni... Dio sa, del resto, per che cosa sono fatto.

Denise                           - Forse hai sempre voluto troppo in una volta; e niente di pratico; di concreto.

Martin                           - Niente che sia stato capace di con­cretare.

Denise                           - Il Bene, la Giustizia, la Fraternità... uhm. Idee astratte, Martin, réveries... Le tue réveries... avrei voluto essere io. (Lo accarezza).

Martin                           - (scostandola) Sembrava così chiaro durante la Resistenza... Il Male allora era una cosa che si poteva addirittura toccare; e il Bene stava dall'altra parte, la nostra. Poi tutto è tornato a confondersi. Sono tornati i tedeschi. Eppure, per un momento, ho creduto anch'io di aver trovato la via giusta; senza pensare che non esiste.

Denise                           - Lo hai creduto... quando?

Martin                           - Poi mi accorsi di non conoscerti bene. Ma ti avevo già sposata. Ti avevo sposata senza conoscerti bene.

Denise                           - E allora?

Martin                           - Ho preferito scappare, come una lepre bene educata. Da capo vagabondaggi, idee astratte, réveries... E una buona pleurite con pericolose complicazioni all'apice del pol­mone sinistro. Oh, è stata realmente provvi­denziale; anche per te.

Denise                           - No, per me no. Perduto te, perduto tutto.

Martin                           - Tutto non direi, cocotte. In fin dei conti ti ho fatto sedere ad una buona tavola... Non è quello a cui aspiravi?

Denise                           - Sì, se mi fossi seduta alla tua destra. Stupido anche questo?... Se ti raccontassi ciò che mi è costato sedere alla tua tavola...

Martin                           - La mia? Vorrai dire quella di mio padre; o di Philippe.

Denise                           - ... non credo che resisteresti sino alla fine.

Martin                           - E' una storia lunga?

Denise                           - No... Le mie gesta sono abomine­voli, ma si ripetono.

Martin                           - Peccato che mi tocchi andare alla ricerca di Ganshof. Deve essere un bell'ubria­cone se Paul mi ha suggerito di cercarlo nelle osterie.

Denise                           - Ora ti metti a girare per le osterie?

Martin                           - Ah, non è chic. Ma il fine giustifica i mezzi; e anche qualche pidocchio.

Denise                           - Il fine sarebbe...? Una denuncia a carico di tuo padre, da parte di Ganshof, per via del negro? O contro Philippe?

Martin                           - Me ne guardi Iddio: mai contro Philippe. Non mi perdonerei d'averti dato un dispiacere.

Denise                           - Che cosa pensi?

Martin                           - Vuoi proprio saperlo? Non lo sai già?

Denise                           - (reagendo) E tu che cosa sai!... Io non amo tuo fratello, non l'ho mai amato!  

Martin                           - Potrebbe essere un'aggravante. Per­ché non aggiungi che hai sempre amato me?

Denise                           - Perché mi rideresti in faccia.

Martin                           - Troppo facile da indovinare. Vuoi dirmi ora queste cose serie?

Denise                           - No, non voglio più.

Martin                           - E allora, se cambierai idea, me le scriverai.

Denise                           - Aspetta. (Martin è già sulla soglia; si arresta senza volgersi) Tuo padre sta studian­do il modo di non lasciarti alla sua morte il becco di un quattrino; e di tagliarti i viveri fin da ora.

Martin                           - Ah, sarebbe un bel guaio; soprat­tutto per te.

Denise                           - Io me la caverò ugualmente; ma tu ti troveresti nei pasticci. Non sei abituato a lavorare, scusa se te lo dico.

Martin                           - E' la santa verità.

Denise                           - Hanno già consultato il notaio. Sem­bra che non esistano difficoltà molto serie.

Martin                           - Sei stata consultata anche tu?

Denise                           - Non ti resterà nulla o quasi nulla.

Martin                           - E a te?

Denise                           - Ti ho detto di non dartene pen­siero; ho scavato altri buchi nel formaggio. Te ne parlo per evitarti un grosso guaio.

Martin                           - Tu, e perché?

Denise                           - Per avere di tanto in tanto l'aspetto di una moglie e non di un manico d'ombrello!  

Martin                           -  Moglie. (Ride ironicamente) ... Mag­gie pensa che tra noi ci sia stato un malin­teso, non te l'ha mai detto? Se ci fossimo spiegati subito l'avremmo superato. Ma Mag­gie è innocente; e tu sai benissimo che cosa c'è stato. Ancora non faceva l'anno e tutto era già una rovina.

Denise                           - Se non ti fossi fermato alle appa­renze...

Martin                           - Tu le chiami apparenze?

Denise                           - L'amore può resistere anche tra le rovine; ma allora deve essere di quello buono.

Martin                           - Il mio non lo era?

Denise                           - Non lo so.

Martin                           - E il tuo?

Denise                           - (tormentata) Lascia che ti ami, Mar­tin; ormai non chiedo di più... Lascia che ti aiuti, almeno questo. Non avresti dovuto ve­nire, hai scelto il momento peggiore. Perché sei venuto?

Martin                           - (afferrandola rudemente; poi respin­gendola) Per guardarti negli occhi. Alle volte mi chiedo come tu abbia potuto sopportare che io ti guardassi negli occhi; senza morire di ver­gogna.

Denise                           - Oh, si può. Si può benissimo sop­portare.

Martin                           - Ed ora che ti ho guardata non vedo l'ora di andarmene. Sempre così. Ma questa volta s'è messo di mezzo quel ragazzo: e non mi muoverò di qua finché non ci avrò visto chiaro.

Denise                           - (stanca) Le autorità apriranno un'in­chiesta e vedranno più chiaro di te. Non pre­tendere l'impossibile; meglio piuttosto che te ne vada. Vattene, Martin, sono io ora che te lo chiedo. Non verrò a capo di nulla se ti ostinerai a metterti contro tuo padre.

Martin                           - Se mio padre vuole privarmi della mia parte, che Io faccia. Quando mai ci ho contato ed ho preteso che fosse mia; e perché dovrebbe diventarla? Possibile che i quattrini ti facciano tanto gola?

Denise                           - (irritata) Senza quattrini come tiri avanti, proprio tu, che non sai cucirti un bot­tone alla camicia!

Martin                           - Preferisco andare in giro senza bot­toni; tenendo su le brache con le mani, piut­tosto che dover discutere con mio padre!

Denise                           - Nessuno ti chiede questo sforzo. Ti domando solo di andartene. Non insistere su questa faccenda del crollo. Gallerie ne sono sempre crollate nelle miniere. Vuoi rovinarti per quel negro?

Martin                           - (con uno scatto d'ira) Non importa di che colore sia: come debbo dirtelo!

Denise                           - (tenendogli testa) Non importa chiunque sia! Non passa istante senza che da qualche parte del mondo non accadano cose del genere. Tu come ti comporti di fron­te alle migliaia e centinaia di migliaia di bambini di vecchi di donne che muoiono di fame di freddo di dissenteria di tubercolosi di bus­se, travolti da tutti i cataclismi da tutte le guerre da tutte le ingiurie che una creatura può ricevere e non può sopportare! Possiamo accapigliarci con la fatalità?

Martin                           - (cupo) La fatalità sono gli altri, Denise; coloro che li lasciano crepare.

Denise                           - E allora metti il cuore in pace; sei anche tu come gli altri; e non sarai tu a sal­vare l'umanità una seconda volta.

Martin                           - No, non sarò io; lo so. Io sono un uomo qualunque, so ciò che valgo ed è poco. Ma questa volta mi schiererò con quel ra­gazzo senza guardare in faccia a nessuno.

Denise                           - (ambigua) Convinto che sia giunto il momento? Pensi davvero di farcela? Te lo ha chiesto anche tuo padre che ha capito a volo. Ma non sarà facile trascinarlo davanti ai giudici. Non è questo che hai sempre deside­rato: punirlo?

Martin                           - Ho sempre avuto il buon gusto di non chiedermelo.

Denise                           - Fallo invece: vedrai com'è istrut­tivo. Guarda giù, molto in giù; fino al limite della tua coscienza... dove comincia la melma dei desideri... non sempre repressi in tempo.

Martin                           - Esigere giustizia è un desiderio che si deve reprimere?

Denise                           - No; non far finta di non compren­dere. Tu sai che cosa voglio dire. Tu non sei spinto da un desiderio di giustizia. Gli altri sì, posso crederlo: Paul, Maggie sono ingenui. Ma tu no; tu non sei come loro.

Martin                           - E perché? Non potrei aver coltivato anch'io, fin da ragazzo, uno spirito di rivolta, di fronte ad una situazione permanente di iniquità, che mi offendeva sin d'allora, e di cui avevo continuamente sott'occhio l'esempio più efficace e sfacciato: mio padre?

Denise                           - No, Martin: quando i sentimenti cat­tivi vogliono passare, debbono camuffarsi da sentimenti buoni; altrimenti non passerebbero. Ma rimangono ugualmente cattivi. Anch'io non ho amato mio padre; ma io non lo stimavo. Per te invece è il contrario.

Martin                           - Cioè?

Denise                           - Tu lo ammiri.

Martin                           - Mio padre?

Denise                           - Non è la sua iniquità che ti spinge a odiarlo.

Martin                           - No? E che cosa?

Denise                           - L'invidia.

Martin                           - (gelido) Perché dovrei invidiarlo?

Denise                           - Perché lui è forte; tu no. E sa quel­lo che vuole, buono o cattivo che sia. Tu non lo sai. Tu non sei un gigante, sei un sognatore; io ti amo mille volte, di più. Ma l'ultimo dei giganti di casa vostra è tuo padre.

Martin                           - (dopo un silenzio) Ed ora dovrei vedere più chiaro nella mia coscienza?... No. Non hai fatto delle grandi scoperte. Credo che tutto rimarrà come prima.

Denise                           - A questo punto non può rimanere nulla come prima. Quando tu avrai bruciato i ponti dietro di te - ed è quello che stai fa­cendo - sarò costretta a bruciarli anch'io. Al­lora sarà finita e mi arrangerò come potrò.

Martin                           - Chi ha mai dubitato della tua ca­pacità di arrangiamento.

Denise                           - (con ira e disperazione) Non bur­larti di me, Martin! Tu sei stato un marito per burla; ma il mestiere di moglie, io, ho cercato di farlo sul serio.

Martin                           - Un po' tardi, Denise, vorrai am­metterlo. Un po' in ritardo.

Denise                           - Ah, Dio Dio!... Perché non puoi ca­pire? La mia grande meta era di entrare nella tua famiglia...

Martin                           - ... e sedere alla mia destra, lo hai già detto. Ma tu eri già entrata nella famiglia, sia pure dalla porta di servizio.

Denise                           - Io sarei stata la migliore e la più innamorata delle mogli, se tu avessi voluto!

Martin                           - Ma io non ho voluto. Sono stato io, la colpa è mia; finiamola, ti prego; è una di­sputa che non ha più scopo né senso. Ciascuno cuocerà nel suo brodo, tu al Nord, io al Sud.

Denise                           - (smarrita) Martin, non abbandonar­mi... tu non sai.

Martin                           - (ironico) Ciò che so è più che suf­ficiente; e risolutivo. (Dopo una pausa con iro­nia ambigua). A meno che tu non sia disposta a partire con me.

Denise                           - (colpita) Io?

Martin                           - Non sei mia moglie?

Denise                           - Perché me lo proponi: è un'offerta di pace?

Martin                           - Quale pace. No, non si tratta di pace.

Denise                           - E allora?... (Intuisce, si ribella) No! Non vendicarti, Martin! Non dire quello che stai per dire!

Martin                           - Sono ancora infoiato di te.

Denise                           - No, questo no! ...

Martin                           - Come non detto. Ci tenevo a fare il possibile per salvare la nostra santa unione.

Denise                           - (disperata) No, tu non hai fatto il possibile!  Sei tu che l'hai distrutta, tu non hai voluto perdonare!  Occorreva un cuore più grande del tuo!

Martin                           - Il mio cuore non è mai stato grande abbastanza. Continueremo a vederci due volte all'anno.

Denise                           - (fuori di sé) E allora chiediti che cosa faccio durante il resto dell'anno!

Martin                           - (dopo un silenzio, apparentemente im­passibile) Pensi che non lo sappia?... Il tuo mestiere, Denise: non sei nata per fare la puttana? Non l'hai sempre fatta? E allora per­ché tanto chiasso se ti propongo di tornare a letto con me.

Denise                           - Ma io ti amo!

Martin                           - Vai a letto con Philippe perché non lo ami?

Denise                           - Perché ti odio!

Martin                           - Cerca di riordinare le tue idee; sono piuttosto confuse.

Denise                           - (senza fiato) Martin...

Martin                           - (consulta l'orologio) E adesso deb­bo proprio andare. Ganshof a quest'ora sarà già ubriaco; beato lui. (Si avvia nuovamente per uscire).

Denise                           - (stravolta) Non così, Martin, lascia che ti spieghi. Non andar via così, non puoi! | Martin!  (Ma l'uomo è già uscito senza voltarsi. Urtando) Martin!

Maggie                          - (accorre spaventata) Denise! Che cosa succede!... (Denise guarda la sorella senza raccapezzarsi) Dov'è Martin?

Denise                           - Se ne è andato.

Maggie                          - Dove; perché se ne è andato?

Denise                           - Abbiamo chiarito il malinteso... Così non ho accettato di partire con lui. Neppure ; se mi costringesse! (Con uno scoppio d'ira) Che se ne vada! Se ne vada!

Maggie                          - Ma Denise... è tuo marito!  

Denise                           - Non è più mio marito, io non sarei sua moglie, sarei... (Si dispera) E' il solo uomo che abbia amato, Maggie, e non ho saputo spie­garglielo; il solo!

Maggie                          - (scuotendola) Ma si può sapere che cosa è accaduto?

Denise                           - Io voglio riavere Martin!

Maggie                          - E smettila di urlare!

Denise                           - (accasciandosi) Voglio riavere Martin...

Maggie                          - (fredda) E allora perché non sei andata con lui?

Denise                           - Tu non sai che cosa mi ha proposto.

Maggie                          - Se vuoi riaverlo non devi guardare tanto per il sottile. Anche se ciò che ti offre non è più quello che chiedi; ma solo ciò che ti meriti.

Denise                           - (attonita) Ciò che mi merito? Ma tu che ne sai. (Reagendo) Che cosa sai di quello che mi offre e che merito! Che cosa immagini! Accettare di essere per lui... (Strin­gendo i pugni, con ira) Io sono sua moglie! Voglio essere rispettata, anzitutto da lui! E' da un pezzo che ho perduto l'allenamento per l'amore sporco, negli alberghetti fuori mano... dove mi trascinava Philippe fin da ragazza! (In tono di sfida) Non lo sapevi? E ora lo sai!

Maggie                          - (pacata) Dove ti lasciavi condurre.

Denise                           - Ah certo, non facevo la schizzinosa; non ero ancora una Duysen!  Perfino ci pigliavo gusto, a essere una di quelle!  

Maggie                          - Non dirlo. Non è vero.

Denise                           - Non è vero ma lui lo crede. Me lo ha detto poco fa. Lì, dove ora sei tu.

Maggie                          - (istintivamente si scosta) E' da mol­to che Martin è venuto a sapere?

Denise                           - Prima che partisse.

Maggie                          - E' partito per questo?

Denise                           - No, non per questo. Era ammalato realmente. Ma è probabile che se ne sarebbe andato lo stesso.

Maggie                          - Perché non hai confessato prima di sposarlo?

Denise                           - Confessare? Ma tu sei pazza; come sarebbe stato possibile. Martin mi adorava, lo avrei perduto.

Maggie                          - Non l'hai perduto ugualmente?

Denise                           - Ma io lo amavo!  

Maggie                          - Non sai dire altro e non è una buona ragione. E' buona solo per te. Tu volevi go­derti Martin; non c'era altro che contasse, neppure lui. Contava solo il tuo godimento. E Martin contava soltanto per questo tuo go­dimento.

Denise                           - (attonita) Maggie... io non ti ca­pisco... Tu, una bambina... Oh, come sei in­vecchiata.

Maggie                          - Sono i vostri peccati che ci fanno invecchiare. Fino al giorno in cui peccheremo anche noi e a nostra volta faremo invecchiare i più giovani. Ciò che hai fatto è orribile; ep­pure vuoi ancora vantare dei diritti. Philippe è tuo cognato: lo sai?

Denise                           - (con durezza) Allora non lo era. E ti dispenso dal farmi la dottrinetta... Allora non era mio cognato.

Maggie                          - Hai accettato che lo diventasse.

Denise                           - L'ho accettato, sì! Volevo difendere la mia felicità.

Maggie                          - Non puoi dire di esserci riuscita.

Denise                           - No... non ci sono riuscita... Comin­ciò con Philippe prima che conoscessi Martin. Martin, il poetico Martin, il romantico Martin, bighellonava per l'Europa. Come potevo im­maginare che un giorno sarebbe tornato, a innamorarsi di me, e io di lui. Così... mi sono accontentata di diventare l'amica di Monsieur Philippe. Mi portava a spasso sulla sua auto­mobile, poi a cena, poi a... Potevo pretendere di più? Lo sai quante mi avrebbero invidiata?

Maggie                          - Lo amavi?

Denise                           - No.

Maggie                          - E allora perché lo hai fatto?

Denise                           - Perché volevo andarmene: guardati attorno.

Maggie                          - Anch'io spero di andarmene.

Denise                           - (ironica) Davvero, e dove? Io non lo speravo: lo volevo. Via!  Via da questa casa; via per sempre! Non potevo più vedermi in questo salotto; non volevo finire come Susan in un altro salotto identico a questo: a sof­focare, a marcire, come sta marcendo lei, co­me finirai per marcire anche tu! Mi sentivo morire qua dentro, e avrei preferito morire! (Stanca, dopo lo sfogo) Stavo per compiere venticinque anni; sono molti per una donna; qualcuno ancora e sarebbero stati troppi. Ave­vo davanti a me l'esempio di Susan; e tu alle spalle. Tu che cosa speri: che cosa puoi spe­rare imprigionata qui!

Maggie                          - Ti sbagli. Io non sono imprigionata qui. E' dentro di noi che siamo prigionieri. Ma io no; io sono libera.

Denise                           - Ah già; tu discorri di filosofìa col re­verendo Paul. Io non discorrevo con nessuno. Io volevo andarmene! Non per te, Maggie... Eri poco più di una bambina, come non vo­lerti bene!  Ma c'era lui. Bastava che lui aprisse la bocca perché tutto mi diventasse odioso.

Maggie                          - (impersonale) E' di tuo padre che parli?

Denise                           - Scusa se non rispetto i tuoi sentimenti; tu sei molto più paziente di me. Forse non era che un pretesto per andarsene. Oc­corre sempre un pretesto quando si vuole in­filare una strada sbagliata. Ma che cosa ha fatto nostro padre per farsi amare da noi? Ho sempre scrutato quell'uomo senza affetto; di­ciamo « senza spirito di carità ». Il desiderio di andarmene da questa casa è cresciuto con me, man mano che lo conoscevo meglio... Senonché per andarsene occorrono i mezzi: e io quali avevo? Ho adoperato il solo di cui disponessi... Mi ero accorta di Philippe, quan­do Philippe si accorse di me. Era a portata di mano; bastò che io allungassi le mie quando lui allungò le sue. Ti interessa il seguito?

Maggie                          - No.

Denise                           - Non penserai che mi divertissi. Ma non c'è molto da scegliere per noi donne. Anche pestare per otto ore filate sopra una macchina da scrivere non è divertente; e, rin­casate, rimboccar le maniche, cucinare, rigo­vernare, lavare, stirare e andar a letto con le ossa fuori dalla pelle, perché il marito ti usi se ne ha voglia e anche se tu non ne hai. No, gra­zie tante. Io non ho mai apprezzato questo genere di sante atrocità.

Maggie                          - E che cosa speravi dalle atrocità del tuo genere?

Denise                           - Di restare incinta. Ma io sono una pianta sterile, non vale la pena che mi ripro­duca. E non avevo previsto che sarebbe giunto Martin, sbarcato dal cielo. Sono stata felice, Maggie, anche se fu per una sola stagione... Alla domenica andavamo insieme per i campi, come due ragazzi. La sera, prima di lasciarci, mi accompagnava al presbiterio, e ci parlavamo a lungo, sottovoce, accanto a quella finestra; e io ero pura e inebriata. (Piange) Perché non l'ho atteso; perché sei giunto troppo tardi, Mar­tin? A quella finestra non c'è più nessuno e io sono disperata! Fu un amore che non era più fatto per me, che scombinava i piani... un amore sbagliato!  

Maggie                          - Ed ora?

Denise                           - (asciugandosi gli occhi) Ora è finita. Non importa se l'amo ancora; per lui non ha più importanza. Pochi mesi dopo le nozze mi ripudiò. Qualcuno gli aveva detto. Non ci fu­rono spiegazioni; non mi parlò più... Poi venne la malattia, e se ne andò. Quando ricapita qua, come oggi... hai visto. E io... io ho ripreso le vecchie abitudini... per vendetta. Martin lo sa e quando arriva preferisce scendere all'albergo. Ma non dice che è stato lui, lui solo! a ricac­ciarmi tra le braccia dell'altro.

Maggie                          - Che orrore, Denise... che orrore.

Denise                           - Sì, che orrore... Vorrei morire per lui e non posso far nulla; non vuole che lo aiuti. Suo padre lo schianterà se si ostina con la storia di quel ragazzo. (Con durezza) Meersch non deve dirgli nulla, non debbono neppure vedersi. Raccomandalo a Susan: anche suo marito è nei guai, a causa di quei due morti.

Maggie                          - Dovrà rispondere solo lui di quei due morti?

Denise                           - Era a capo del settore dov'è acca­duta la disgrazia.

Maggie                          - Gli altri non sapevano che la galleria sarebbe crollata?

Denise                           - Anche se lo sapevano per loro sarà più facile cavarsela; è sempre così. Del resto se la caverà anche Meersch, purché abbia il buon senso di non agitarsi, come pare invece che stia facendo. Non deve assolutamente par­lare con Martin.

Maggie                          - (con amarezza) Se la caveranno tutti meno Hycke e quel pulcino. Ci sarà perfino chi ci guadagnerà.

Denise                           - Gli avvocati certamente; ma non far­ne una malattia. (Bacia la sorella) Arrivederci, Maggie; telefonerò più tardi. (Via rapidamente).

Eyckens                        - (entra da destra soffiandosi ripetuta­mente il naso) Sei tu, Maggie? Tu e Paul mi date continuamente dei dispiaceri. Tu esigi ogni anno un abito nuovo come se fossi un miliardario e sei sempre in giro. Non sai che sono povero ed ho bisogno delle tue cure? (Con stizza improvvisa) Ma per quanto tu fac­cia non arriverai mai a eguagliare Paul. Leggi questa lettera, è della vedova Simmons. (Toglie la lettera di tasca, la porge alla figlia, ma quan­do Maggie sta per prenderla la ripone) Il mio coadiutore si sgola a dire che il demonio non esiste. Ecco come mi coadiuva. La vedova Sim­mons è fuori di sé e cita perfino Geremia: « Cieli, mirate attoniti la sua nequizia e abbia­tene orrore. E il Signore dice: siatene deso­lati ». Amen.

Maggie                          - (fredda) Tu lo hai visto?

Eyckens                        - Chi?

Maggie                          - Il demonio.

Eyckens                        - Il Maligno si nasconde dovunque anche se Padre Paul pensa il contrario. Sono stato costretto ad avvertire il vescovo.

Maggie                          - (sussultando) Il vescovo?... Vorrai scherzare.

Eyckens                        - Non scherzo affatto! Mi domando perché dovrei sopportare in casa mia questo tracotante che non smette un solo momento dal procurarmi dei fastidi. Ho il dovere di difen­dere il santissimo corpo della Chiesa da quel­l'intruso; egli vi si è insinuato di nascosto e lo rode dall'interno come un malefico tarlo.

Maggie                          - Ahimè, padre: tu preferiresti veder crollare la Chiesa piuttosto che fossero i Paul a salvarla.

Eyckens                        - Frena la tua lingua, Maggie; si fa più lunga ogni giorno; ma io la reciderò. (Frattanto Paul è comparso di fondo e avanza tenendo per mano un bambino di sei o sette anni, la­cero e denutrito).

Paul                               - (al bambino) Vieni: ora mangerai qualche cosa e ti ripulirai.

Eyckens                        - (stizzito) Oh ci risiamo; eccolo che ricomincia coi mocciosi!

Paul                               - Poi tornerai a casa e dirai a tua madre che presto passerò a salutarla. Che cosa avete detto, reverendo Eyckens?

Eyckens                        - So in quale conto tenete le mie parole. Domani ascolterete quelle del vescovo: ha un discorsetto da farvi.

Paul                               - (indifferente) A me? Dategli qualche cosa da mangiare, Maggie. L'ho trovato che succhiava bucce di mele raccolte per terra. E anche una ripulitina: guardate com'è sudicio.

Maggie                          - Vieni. C'è una fetta di dolce che aspetta solo te. (Uscendo da destra col bambino) E un bel pezzo di sapone.

Eyckens                        - Quale fetta di dolce, Maggie?

Maggie                          - La tua. (Via).

Eyckens                        - (a Paul) Lo sapevo. E' mai possi­bile che voi arriviate ogni giorno con uno di questi campioni di sporcizia e Maggie, d'accor­do con voi, non trovi di meglio che riempirlo con la fetta di dolce che metto in serbo per la cena?

Paul                               - Ne sono costernato, reverendo Eyckens. Non so perché Maggie non gli ceda la mia.

Eyckens                        - (strillando) Perché la vostra ve la siete mangiata a pranzo!  Voi siete sempre pron­to a cedere quello che non vi appartiene e pro­mettere ciò che dovranno mantenere gli altri!

Paul                               - Se volete posso farvi delle scuse. Ma non sperate che io smetta di raccogliere bam­bini affamati e di prendere dovunque il cibo per sfamarli: anche dal vostro piatto.

Eyckens                        - Voi siete un maniaco! Come spie­gate che di questi bambini affamati io non ne incontro mai?

Paul                               - Vi passano accanto e voi non li vedete. Mi avete fatto chiamare dal vescovo perché mi dia una lavata di testa?

Eyckens                        - Credo che il vescovo sarà curioso di sapere come siete arrivato alla conclusione che il diavolo non esiste, ovverossia l'inferno. Questa non me l'aspettavo, reverendo Paul, neppure da voi, che è tutto dire. « Discedite a me maladicti in ignem aeternum »!  Non sono io che Io dico, è San Matteo. E allora?... Voi mi sbalordite anche dal lato topografico: dove sa­rebbero puniti i cattivi se non ci fosse un in­ferno, magari piccolo?

Paul                               - I cattivi non saranno puniti.

Eyckens                        - (sbalordito) I cattivi non saranno puniti? Ma... allora i buoni perché sarebbero buoni?

Paul                               - Non ci sono buoni, reverendo Eyckens. Se il piacere dei buoni deve consistere nella punizione dei cattivi, chi oserà dire che sono buoni?

Eyckens                        - (inviperito) E allora dove finiremo tutti quanti, se è lecito saperlo!

Paul                               - Non lo so... Non lo sa nessuno. E del resto che importanza può avere. Che Dio allon­tani il male da noi e dagli altri; dagli altri pri­ma ancora che da noi;         - (con sforzo) perfino dal­la vedova Simmons. E questo è tutto.

Eyckens                        - (cs.) Tutto un corno! Voi smentite le Sacre Scritture, non vi curate dei documenti conciliari e andrete difilato all'inferno appunto perché dite che non c'è. (Prevenendolo) Non voglio sentir altro. Vi spiegherete domani col vescovo.

Paul                               - Domani non sarà possibile che io mi rechi da lui; e neppure nei prossimi giorni.

Eyckens                        - No?

Paul                               - Dobbiamo organizzare il salvataggio di quel fanciullo rimasto nella galleria. Nessuno può attendere meno di lui. Non sarà una cosa facile, l'ho già capito. Torno ora da Meersch, non ho potuto parlargli. Vostra figlia non ha neppure voluto che entrassi: appena mi ha vi­sto si è messa a piangere e gridare.

Eyckens                        - Dovreste farmi il santo piacere di occuparvi delle faccende vostre anziché gettare lo scompiglio nella casa di mio genero.

Paul                               - Questa non vi sembra una faccenda nostra? Una creatura è stata sepolta viva e voi...

Eyckens                        - (strillando) Non è stata sepolta viva, è rimasta la sotto!  Voi falsate la verità a furia di volerla rendere più vera!... Oh oh oh!... (Si contiene) Vi prego di riflettere. Questa è una circostanza che non si può affrontare se prima non si è riflettuto a lungo. Ci sono di mezzo delle persone altolocate, alle quali siamo legati da vincoli di religione e di riconoscenza. Siete sicuro di aver riflettuto a lungo? Mia figlia Denise, che non è impulsiva come Maggie, ha pienamente ragione di raccomandare la calma. Il caso purtroppo è doloroso e si presta a varie interpretazioni e maldicenze: mi rifiuto forse di ammetterlo? Ma dal punto di vista della pietà, che è poi il punto di vista al quale dob­biamo ispirarci, ci sono delle ragioni che pos­sono... come dire... che possono ragionevol­mente tranquillarci.

Paul                               - (sbalordito) Tranquillarci?

Eyckens                        - Insomma quel ragazzo ha certa­mente finito di soffrire. (Irritato) Sembra che non abbiate ancora compreso ciò che è acca­duto laggiù!

Paul                               - (ribellandosi) Era laggiù che noi dove­vamo trovarci!

Eyckens                        - Noi? A far che? Sentite, caro, noi siamo dei preti, se non ho il capogiro: niente altro che umilissimi e umiliatissimi preti di par­rocchia. Il nostro posto è in chiesa; appunto per questo ci dicono uomini di chiesa; e in chiesa dobbiamo stare; e non in fondo alle caverne!

Paul                               - Sentirvi parlare così cinicamente mi sconvolge.

Eyckens                        - Io parlo cinicamente? Imparate allora che ci sono delle prove che si è chiamati a superare con sacrificio talvolta delle nostre opinioni, per lasciar posto a quelle dei nostri superiori. Questa è una prova mandataci da Dio, se non ve ne siete accorto; e col Suo aiuto l'ab­biamo superata.

Paul                               - Questa prova ci è stata mandata da Dio, ma non è ancora superata.

Eyckens                        - I disegni della divina Provvidenza non sono alla nostra portata!

Paul                               - E' quello che dice anche Monsieur Theo.

Eyckens                        - (contenendosi) Sentite, Paul: io vi esorto a riflettere...

Paul                               - (scattando) Io non sono qui per riflet­tere ma per soccorrere il mio prossimo senza riflettere! Perciò raggiungerò quel ragazzo do­vunque e a qualunque costo.

Eyckens                        - Si può sapere come farete?

Paul                               - Non ne so ancora nulla. Ma se voi siete troppo prudente o troppo compromesso per prenderne l'iniziativa, fatevi indietro e la­sciate agire gli altri.

Eyckens                        - Ho preso quel tanto di iniziativa che mi era consentito dalle circostanze. Ho perfino taciuto, a rischio di compromettermi coi Duysen, quando il vostro amico Martin pre­tese di imporre a suo padre lo sgombero del pozzo. Potevo fare di più? Vi siete chiesto, al­meno, da che parte sono schierate le autorità? Dalla vostra parte? Siamo di fronte ad una siepe di autorità; provatevi a scavalcarla, se ne avete l'animo; e vedrete che cosa accadrà, quale scandalo; e il vespaio che stuzzicherete al pri­mo accenno di turbare gli interessi di uno dei loro.

Paul                               - La Chiesa ha bisogno di questi scan­dali.

Eyckens                        - Lo direte al vescovo; ne sa più di me.

Paul                               - Voi avete sposato dei falsi interessi ed eccone i risultati. Guardatevi attorno e ditemi che cosa vedete; dove sono i cristiani tra coloro che pascete così teneramente? Guardateli come trionfano perché guadagnano quattrini a palate. Chi di loro presta ancora l'orecchio alla Pa­rola? Noi stessi esitiamo a diffonderla da che qualcuno ha lasciato intendere che il Vangelo ha degli aspetti antisociali. Provatevi a predi­care a questi sepolcri imbiancati che gli ultimi saranno i primi; vi guarderanno in cagnesco e diranno che siete un comunista. Invocateli perché non abbandonino alla più orribile delle sorti un povero ragazzo negro; ecciterete la loro rabbia perché essere negri è un reato. Essi hanno perduto le tracce di Cristo, così facili a perdersi, e nessuno li aiuta a ritrovarle. Ri­cordate le parole dell'Evangelista? « Signore, perché dici che ti manifesterai a noi e non al mondo? ». Ma Egli ha cessato di manifestarsi anche a noi, dacché noi abbiamo rinunciato a brandire la spada della Sua Giustizia!

Eyckens                        - Chi vi dice che si tratti della Sua, e non della vostra. Ah, la vostra giustizia! La conosco; mi fa paura. Non avete osato escla­mare poco fa « meglio diciannove morti anzi­ché uno solo »? Purché a quell'uno sia resa giustizia! Reclamate giustizia per la sorte di uno e non esitate a sacrificarne diciotto; diciotto padri di famiglia; posso davvero congra­tularmi. Voi non amate il prossimo; voi amate delle pericolose astrazioni: la Giustizia, la Ve­rità, queste seminatrici di zizzania che non hanno mai amato nessuno.

Paul                               - Che cosa avrebbe dovuto fare, secondo voi, ciascuno di quei diciotto?... Che cosa, se non precipitarsi alla ricerca di quel bambino? « Ciascuno », capite? per proprio conto, senza curarsi degli altri diciassette, e fossero stati anche mille!... Ma loro hanno avuto paura, e sono fuggiti.

Eyckens                        - Hanno avuto paura? Certo che l'han­no avuta! Che cosa vi aspettavate da quelle povere pecore: che di punto in bianco diven­tassero leoni? No, voi non siete pietoso. Gui­dato dalla pietà io non ho mai assunto atteg­giamenti contrari alle tranquille aspirazioni del mio gregge. Voi ne assumete di continuo, balzate come il lupo nelle sue file e lo sconvol­gete. Quando vi dico, per antica esperienza, che non possiamo schierarci contro i più forti, perché non possiamo gettare gli ultimi puntelli che reggono la nostra casa malferma, a voi non resta che obbedire senza discutere. Voi invece discutete e non obbedite. Ma ora basta. Domani celebrerete voi stesso l'ufficio funebre alla me­moria delle vittime e intonerete per esse i salmi propiziatori. Così sia. (Trotterella verso l'uscita).

Paul                               - Mi spiace, ma io non desisterò. (Mag­gie entra con un lavoro di maglia tra le mani. Siede silenziosamente ignorando i presenti che non le badano. Si mette a sferruzzare).

Eyckens                        - Voi non desisterete? Sapete a quali sanzioni andate incontro?... (Gridando) Vi de­nuncerò al vescovo! Non voglio che compro­mettiate mio genero con questa maledetta fac­cenda!  Se Meersch si troverà daccapo nei guai, Susan lo pianterà, non aspetta altro, lo ha già fatto una volta e mi ricascherà sulle spalle!  (Si accascia) Insomma, volete ascoltarmi? Non è preferibile per tutti, anche per voi, mettere la cosa a tacere, sia pure a costo di una pic­cola irregolarità?

Paul                               - Voi la chiamate... una piccola irrego­larità? (Esplodendo) Ma non vi rendete conto che se quel ragazzo è ancora vivo sarete tra quelli che hanno aiutato ad ucciderlo? Come vi giustifichereste davanti a Colui che un giorno vi dirà: « Io sono il tuo Giudice? ».

Eyckens                        - (gelido) Quale volontà può essere fatta, o Signore onnipotente che mi giudichi, se non la Tua? (Esce lasciando Paul sbalordito).

Paul                               - La Sua...? Allora è il Signore che ha rinchiuso quel fanciullo là dentro?... Avete sen­tito, Maggie?

Maggie                          - (tranquillamente, senza alzare gli occhi dal suo lavoro) Se fossi in voi non mi preoc­cuperei di sapere chi l'ha rinchiuso là dentro, ma farei il possibile per tirarlo fuori.

Paul                               - (agitato) Sì, sì, avete ragione. Non per­derò altro tempo con vostro padre. Nessuno può impedirmi di agire come ho deciso.

Maggie                          - E allora agite, caro; invece di segui­tare a ripeterlo.

Paul                               - Tornerò da Meersch e lo costringerò a parlare. Questa sera riuniremo i minatori e andremo insieme a sgomberare il pozzo. Ci sarà anche Martin.

Maggie                          - (con lieve ironia) Oh non mancherà di certo. Probabilmente ci sarà anche Denise.

Paul                               - Sì... lo farò senz'altro. (Sta uscendo; dopo un attimo di esitazione si volge verso Maggie) Vi ringrazio; mi avete confortato. Ci sono dei momenti in cui... mi sento così povero e solo.

Maggie                          - Solo con voi stesso? Non è la vostra ricchezza?... Non temete, Paul: perché molti verranno a cercarvi e voi li arricchirete. Su, ora; andate.

Paul                               - Grazie, Maggie; vado. (Esce frettolosa­mente, ma rientra subito) E' stato veramente gentile da parte vostra. Spero di rivedervi pre­sto. (Esce. Rientra solo a metà) Voglio dire... vi prego di aspettarmi. (Via).

Maggie                          - (abbandona il suo lavoro; sospirando) Certo, caro... ti aspetterò; tu non sai quanto. Tutta la notte... tutta l'eternità... Paul, mio amato Paul... Maledetto prete.

                                                                   Fine primo tempo

SECONDO TEMPO

(Le nove circa di sera. Il lampadario è acceso nel salotto dove si trovano riuniti il Pastore, Susan, Maggie, Meersch e Monsieur Theo. Il fondo della scena è rischiarato dalla luna).

Maggie                          - Non so capire il vostro silenzio, Meersch; voi conoscete la verità e dovreste es­sere impaziente di dirla.

Theo                              - Dategli un po' di tempo, mia bella trombettiera; anche Meersch deve fare i suoi conti.

Susan                            - (ansiosa) Spero che non dubiterete del­la nostra fedeltà. Non vorrete confonderci con certi tipi in un momento così terribile per mio marito e per me.

Theo                              - Oh, vedrete che tutto finirà in una bolla di sapone.

Maggie                          - (di cognato) Siete anche voi di que­sto avviso?

Eyckens                        - Finiscila, Maggie; non ti accorgi di essere noiosa? Quale verità vuoi conoscere. A parte che queste disgrazie avvengono sempre al buio, il modo di riferirle dipende esclusiva­mente dal temperamento di chi le racconta. Per­ché ti ostini a ricercare la verità?

Maggie                          - Per sollevare gli animi contro di lui,  (accenna a Theo) e costringerlo a compiere il proprio dovere.

Theo                              - Questo, diceva mio padre, si chiama pestare i piedi di proposito a chi cammina pacificamente per la sua strada. (Arrabbian­dosi) Martin e il suo sottopancia hanno indetto apposta un comizio per sollevare gli animi con­tro di me: lo sapevate?

Eyckens                        - (agitato) Volete dire che il reve­rendo Paul...?

Theo                              - Proprio quello che voglio dire! Potete rinunciare all'idea che sgrani ancora un soldo per riparare il tetto della chiesa: che vi caschi sulla testa con tutte le sue tegole!

Susan                            - Quel reverendo è uno zoticone. L'al­tro giorno gli ho chiesto che cosa deve fare una signora molto distinta quando è presa da strani turbamenti per un uomo che non è suo marito: è il caso capitato a una mia amica. Sapete la risposta? « Un bagno nell'acqua ge­lata ». Esattamente come si fosse trattato di una cagna.

Maggie                          - Ti prego, Susan; risparmiati certi discorsi. (Al padre) Paul parlerà al comizio di questa sera; che c'è di tanto strano?

Theo                              - Avete constatato, non è vero, Eyckens, che io ho fatto il possibile per ricondurre que­sti sanculotti alla ragione? Ma non ci sono riu­scito; è gente al servizio di Mosca. Perciò, a tutela dei miei interessi, mi vedo costretto a fare un'altra dichiarazione.

Maggie                          - Preparata anche questa dall'avvocato Perkins?

Theo                              - No. Oggi l'avvocato Perkins ha avuto altro da fare; questa l'ho preparata io e va più per le spicce. A tutti coloro... (Pausa; si guarda attorno con disgustata superiorità) A tutti co­loro che si ostineranno ad occuparsi delle mie faccende, non solo toglierò il pane di bocca, come generalmente si usa, ma anche la terra di sotto i piedi; cioè, per esser chiaro, li spe­dirò al cimitero. Meersch, pensateci bene.

Meersch                        - (si asciuga il sudore) Io... io non...

Susan                            - Oh, ma come potete credere...

Theo                              - Silenzio, madama Meersch; silenzio e raccoglimento. Sto parlando del cimitero. Un luogo dove quei bolscevichi, a cominciare da mio figlio Martin, vorrebbero invece spedire me. Ma essi hanno solo il coraggio di dirlo, mentre io ho quello di farlo. A tutti coloro: compreso il reverendo Sparacchia. La pule-drina è pregata di riferire.

Maggie                          - (alla finestra, guardando fuori; lampeggia) Tra poco scoppierà il temporale. E' vero che avete paura del temporale, Monsieur Theo?

Theo                              - (stizzito) Chi ve l'ha detto! Chi vi ha raccontato queste stupidaggini! Se scoppierà il temporale monterò sulla mia otto cilindri che mi riporterà a casa asciutto come uno stec­chino.

Maggie                          - (sorridendo) Paul non ha neppure l'impermeabile e si inzupperà come una spu­gna. (Al cognato) Meersch, non fatevi pregare: che cosa è accaduto nella galleria? Quali proba­bilità ci sono che il ragazzo sia scampato? Per­ché vi ostinate a tacere?

Susan                            - (con livore) E tu perché ti ostini a farlo parlare? Mio marito ha già informato i suoi superiori, ha discusso col loro avvocato e non è tenuto a dirti nulla. Non ha nulla da dire!  

Maggie                          - Vogliamo conoscere la verità, Susan; e lui può dircela.

Theo                              - Non c'erano degli altri nella galleria?

Maggie                          - Martin e Paul se ne stanno occupando. Ma non possiamo rinunciare ad una te­stimonianza importante come quella di Meersch. (Al cognato) Non avete detto di aver visto il ragazzo ancora vivo?

Susan                            - No, non lo ha mai detto!  (Febbrilmente a Theo) Non so capire il loro contegno, Monsieur. (Al marito) Ti avevo scongiurato di non muoverti di casa; perché hai voluto venir qui? Sapevo come sarebbe andata a finire con questi intriganti!  (Di nuovo a Theo) Il medico gli ha dato otto giorni di riposo per riaversi dallo choc e nessuno doveva disturbarlo. Avrem­mo tubato come due colombi, Monsieur. (Al marito) Ma tu non hai voluto ascoltarmi, sembrava che ti avesse morsicato la tarantola!  Non ha niente da rivelare!  Ha già detto quello che doveva e ciò che non deve non lo dirà!  I suoi superiori lo apprezzano per la sua discrezione anche se non vogliono riconoscere tutti ì suoi meriti!... (Scoppia a piangere).

Eyckens                        - (annoiato) Perché piangi, Susan? Da trentacinque anni non fai altro; e io ho sempre dovuto sopportarti.

Maggie                          - (che è andata a sedere accanto a Meersch, bonariamente) Che cosa vi è stato suggerito di dire? Stamane avete parlato con l'avvocato...

Susan                            - All'avvocato ha detto la verità!  

Maggie                          - Forse vi ha proibito di ripeterla?

Susan                            - Fatela tacere!

Maggie                          - Quanti eravate laggiù, grandi e grossi, di fronte a quel piccolo nessuno? Diciotto, se ho inteso bene. E non siete stati capaci di salvarlo.

Meersch                        - (angosciato) Maggie, non penserai che sia fuggito...

Maggie                          - No, non lo penso.

Meersch                        - Io ho fatto il mio dovere, ho arri­schiato la vita senza pensarci un attimo; anche Martin deve crederlo!

Maggie                          - Ma certo; è proprio quello che dove­vate fare. Una volta mi avete detto che a scuola eravate sempre il primo. Anche questo ha la sua importanza.

Meersch                        - (attratto) Oh, ero partito molto bene.

Susan                            - Non vorrai ricominciare con la scuola!  

Meersch                        - Perché no. E' la sola cosa che possa ricordare con orgoglio anche in questi momenti così vergognosi. Ho anch'io il mio orgoglio!  

Susan                            - (velenosa) Chi se ne è mai accorto? Racconta a tutti che è sempre stato il primo della classe; si vede a che cosa gli è servito.

Meersch                        - Ero sempre il primo; non è una cosa da poco come crede lei. Mi costava molta fatica, ma per nulla al mondo avrei rinunciato a quel posto. Dopo non ne ho più occupati di simili.

Maggie                          - Fa bene ripensarci, io vi capisco.

Eyckens                        - Ma intanto mi avete imbrogliato. Furono i vostri splendidi certificati scolastici che mi indussero a darvi Susan in moglie.

Susan                            - (con odio) Non mentire. Tu non ve­devi l'ora di buttarmi fuori di casa; mi avresti data anche al becchino!

Maggie                          - (al cognato) E poi, perché non avete continuato gli studi?

Eyckens                        - Ma ti sembra questo il momento, Maggie...

Meersch                        - (ribellandosi) Per me ha impor­tanza anche in questo momento e più di tutto il resto!... Sarei diventato un buon medico. Ma dovetti interrompere per aiutare la famiglia.

Theo                              - (con finta costernazione) Ah, quanti talenti sciupati come il vostro, per aiutare la sacra famiglia...

Meersch                        - Mio padre aveva una botteguccia di rigattiere...

Susan                            - Sì, sì!  Urlalo in piazza che tuo padre faceva il rigattiere! Gridalo ai quattro venti che sono la nuora dello straccivendolo!  (Agli astanti, disperata) Divertitevi alle mie spalle perché ho sposato quel tanghero! (Scoppia a piangere).

Eyckens                        - Santo cielo, eccola da capo a pian­gere.

Meersch                        - Non c'è nulla di male, Susan; mio padre era un galantuomo. Ma i soldi in casa mancavano; l'Università - dicevano - sarebbe stata un lusso. Così vendetti il mio avvenire per una cucchiaiata di grasso da aggiungere alla minestra e un pizzico di tabacco alla pi­pata di uno straccivendolo.

Theo                              - L'avete venduto per poco; ma chi vi dice che valesse di più. Forse sareste diven­tato un cattivo medico. Avreste aiutato qualche vergine ad abortire e sareste finito in galera. Intendiamoci, lo dico per consolarvi.

Meersch                        - Grazie, Monsieur Theo; è quello che dice anche mia moglie. Sono un cattivo la­voratore, un cattivo marito, un cattivo cri­stiano... e come potrei non esserlo. (Ribellan­dosi) Ma devo credere che sarei diventato un buon medico!

Maggie                          - Anch'io lo credo, Meersch.

Meersch                        - Di notte, quando non dormo... so­gno di visitare i malati.

Susan                            - Sogni di visitare le malate, perché sei un porco! (Aggirandosi come una belva in gabbia) Un buon medico! Ma chi glielo ha fic­cato in testa! Ripete sempre le stesse cose e io devo ascoltarlo: sempre le stesse! Io non voglio più stare con lui, non ne posso più! Voglio andarmene!

Eyckens                        - Purché non ti salti in mente di tornar qua. E' meglio che te lo dica subito, non potrei ospitarti. Fa' bene i conti anche tu, prima di prendere delle decisioni.

Susan                            - (convulsa) Mi occorrerebbe una pic­cola rendita, Monsieur Theo, appena il neces­sario. Ho molta disposizione per la pittura, potrei dipingere e arrotondare così... coi miei guadagni... (Il  discorso le muore in gola) Sono infelice, Monsieur...

Theo                              - Non mi interessano i vostri dispiaceri, madama Meersch. Ciascuno ha le sue croste da grattare.

Susan                            - La nostra vita sarebbe più soppor­tabile se non ci fossero le strettezze econo­miche a renderla così miserabile. E' possibile che la moglie dell'ingegnere Meersch, uno dei dirigenti più apprezzati delle vostre miniere, non possa comperare un cappellino per sta­gione?

Theo                              - Vostro marito non è ingegnere, non è dirigente e non è apprezzato. In quanto ai cap­pellini, non sono più di moda.

Susan                            - Ma lavora alle vostre dipendenze da sette anni e ancora non ha avuto la promozione... Credevo che se la fosse meritata, voi forse mi capite, Monsieur Theo...

Theo                              -  Perché dovrei capirvi?

Susan                            - C'è stato un certo accenno... Non cre­dete che sia venuto il momento di fare qualche cosa? Almeno un aumento di stipendio?...

Meersch                        - (fremente) Basta, Susan. Non dob­biamo umiliarci così.

Theo                              - Ecco: vostro marito ha detto giusto. E' umiliante per tutti sentirvi chiedere un au­mento di stipendio per motivi così futili, direi anzi inspiegabili, e come se non bastasse, proprio nel giorno in cui il carbone è sceso di altri due punti: sei punti e mezzo in dieci giorni. (Investendola) Ne avete un'idea? No, voi non ne avete neppure l'idea! Voi non possedete minie­re, potete infischiarvene; potete fregarvi le mani di nascosto!  Non siete torturata, notte e giorno, da un'orda famelica che vi chiede aumenti di paga, aumenti di stipendio, aumenti di questo, aumenti di quello!... Voi siete ricca, madama Meersch!  Voi siete spensierata, voi siete felice!  

Susan                            - (indietreggiando) Io?... Felice?... Quan­do mai fui felice, anche per un giorno?... (Al marito) Perdonami, caro... ma tu non mi hai fatta felice, lo sai. Tu stesso non lo sei mai stato.

Meersch                        - Lo so, Susan, lo so... Non ci è an­data bene.

Susan                            - (con ira) Ma la colpa è tua! Quando ti scorsi, la prima volta, non pensai neppure lontanamente che sarei diventata tua moglie. Una ragazza pensa subito di diventare la... la moglie dell'uomo che le piace, appena lo vede... (gridando) di andare a letto con lui!...

Eyckens                        - (contenendo l'esasperazione) Ah, Susan, Susan!...

Susan                            - (alla sorella) Ero con te quando lo vidi per la prima volta; e ti chiesi chi fosse quel tanghero!... (Al marito) Eri tu, il mio futuro amore! Domanda a Maggie se non è vero.

Maggie                          - Non è vero, Meersch; non dovete badare a ciò che dice.

Susan                            - No? E perché: sono pazza? (A Theo) Avrebbe potuto capire dal mio contegno, asso­lutamente indifferente, che non mi interessava. Avevo altri partiti, io! Appartenevo alla intel­lettualità cittadina. Perché mi fece la corte? non lo avevo mai degnato di uno sguardo, quel tanghero!

Meersch                        - (con chiusa disperazione) Eri una     povera zitella, Susan; vestita in un modo ridicolo e sfuggita da tutti per la tua maldicenza. Nessuno ti avrebbe voluta... Tu sai benissimo perché accettai di sposarti.

Susan                            - (gridando) Non so nulla! Io non so nulla!

Maggie                          - Basta, Susan. Dobbiamo occuparci del bambino.

Susan                            - Io valgo più del bambino!  Perché vi  occupate tanto del bambino e non vi siete mai occupati di me!  (Al padre) Perché non dici che E non mi hai mai potuta soffrire!  

Eyckens                        - Io? Io non chiedo che di essere lasciato in pace, Susan. E' colpa mia se sei nata sotto una cattiva stella? E così tutto è venuto di conseguenza. Tua madre ed io abbiamo fatto il possibile per renderti la vita meno difficile; ma eri tu stessa a complicarla. Non facevi che! lagnarti; piangevi e frignavi per delle ore intere. Poi tua madre morì e per altri quindici anni E dovetti sopportare io solo le tue querimonie.

Susan                            - (con odio) Tu che cosa hai fatto peri consolarmi?

Eyckens                        - Niente. Non c'era niente da fare, Non dipendeva da me e nemmeno dagli altri.

Susan                            - E allora da che cosa?

Eyckens                        - Be'... mi spiace dirlo, ma... eri brutta, figlia mia. Ecco da che cosa dipendeva, anche se può sembrare una sciocchezza.

Susan                            - Brutta. Brutta e con dei vestiti ridicoli, che mi raffazzonavo in casa perché eravamo in tre a spendere. Maggie ora va vestita come una ' principessa, guardatela! E Denise annega nelle pellicce che le regala il cognato. Io sono sempre  stata la serva, sempre! (A Meersch) Mi hai; sposata perché ti facessi da serva!

Meersch                        - No... Ci sono state altre ragioni, t che tu conosci.

Susan                            - Quali ragioni: se ci sono state, dille!! Immagino che dopo sei anni non se ne vergognerà più nessuno.

Theo                              - Ah, basta con le vostre storie! Dove: si terrà questo comizio? Voglio vedere chi avrà! tanto coraggio d'aprire il becco.

Susan                            - (con acredine) Le nostre storie riguar­dano anche Voi, Monsieur Theo: non siete il nostro principe? Monsieur Philippe deve aver-vene parlato.

Theo                              - Quando: sei anni fa? E venite a ram­mentarcelo ora? Non sapete che i principi han­no poca memoria?

Susan                            - (al marito) Perché taci: debbo sempre essere io a spianarti la carriera?

Meersch                        - (faticosamente) Ogni anno ho ram­mentato a vostro figlio la promessa che mi era stata fatta. E ora mi sembra che sia giunto il momento di mantenerla, come dice Susan.

Theo                              - Dopo sei anni?... Siete stato così pa­ziente, Meersch... Perché non continuate?

Meersch                        - Perché allora sono stato ricattato io; e ora invece potrei essere io a ricattarvi.

Theo                              - Uhm, che brutto discorso. Chi ve l'ha suggerito: vostra moglie? Più brutto per voi che per me. Di solito io trovo il modo di capo­volgere le parti.

Maggie                          - (allibita) Ma che dite, Meersch: per­ché parlate di ricatti?

Meersch                        - (con uno scoppio di disperazione) Chiedetelo a vostro padre!  

Eyckens                        - A me? To': che cosa volete che ne sappia.

Meersch                        - Non foste voi ad istigare Monsieur Philippe perché mi convincesse a sposare Su­san?

Maggie                          - (c.s.) Monsieur Philippe?

Eyckens                        - E con ciò? Avevo visto i vostri cer­tificati scolastici e vi giudicai un buon partito per mia figlia. Che cosa c'è di strano se mi sono raccomandato a Monsieur Philippe per af­frettare le nozze?

Susan                            - (ironica) Non ci sarebbe niente di strano se Monsieur Philippe non gli avesse posto questa alternativa: o sposare la figlia del prete, entro due mesi, o perdere il posto alle Miniere.

Maggie                          - Mio Dio...

Eyckens                        - (stizzito) Non nominare il nome di Dio invano, Maggie!

Susan                            - Se invece avesse accettato gli sarebbe stato perfino concessa una promozione, quan­tunque « immeritata », come ci tenne a preci­sare Monsieur Philippe. (A Theo, con ira) E allora? Ha sposato la figlia del prete - eccola questa carcassa!  - ma la promozione non è ancora giunta, dopo sei anni! Capito, Maggie? (Maggie geme, smarrita) Ma no, tu non hai capito. Denise a quel tempo era nelle buone gra­zie di Philippe, e il paparino pensò che valeva la pena di approfittarne per darmi marito; que­sto oggettino da esposizione, la pupilluccia dei miei occhi, lo sterminatore dei miei nemici!  

Eyckens                        - Che ti caschi la lingua, Susan, per che i principi ha tutte le nefandezze che vai dicendo! E voi, Meersch! Che bisogno avevate di parlare di ricatti, nel momento in cui le vostre speranze stanno per realizzarsi. Vi siete comportato co­raggiosamente in occasione del disastro di ieri; con la vostra fermezza avete salvato diciotto uomini. Vorrei che l'Altissimo dicesse altret­tanto di me quando mi getterò ai suoi santi piedi. E Monsieur Theo saprà certamente ap­prezzare il vostro attaccamento al dovere e ricompensarvi in modo lusinghiero: ne sono sicuro.

Theo                              - Io non lo sono affatto. Ha minacciato di ricattarmi.

Eyckens                        - (sbraitando) E allora andate tutti al diavolo! Con voi perderebbe la calma anche un santo. Si può fare il processo a fatti accaduti sei anni fa e in una atmosfera completamente diversa? (Al genero) Che cosa avete da rimpro­verarmi: non eravate d'accordo anche voi?

Meersch                        - (sussultando) Io? D'accordo con chi!  

Susan                            - (indicando il padre, tranquillamente) Con lui: non vorrai negarlo.

Meersch                        - Con lui? Io sono stato preso in trappola! Tu eri d'accordo con tuo padre, non io! Ricorda quello che è accaduto qui, in que­sto salotto, la prima sera che ci venni per or­dine di monsieur Philippe; quando tuo padre ci lasciò soli... Apposta ci lasciò soli e tu... proprio su quel divano, perché perdessi la testa!...

Maggie                          - (coprendosi il volto) Tacete, Meersch, non voglio più sentire.

Susan                            - (con disprezzo) Ti fa schifo, eh? Ades­so che ci ripenso lo fa anche a me.

Maggie                          - (addossata alla parete, balbettante) Paul... dove sei...

Eyckens                        - Paul? Che cosa c'entra Paul.

Maggie                          - Ti prego, Paul... portami via... Via di qua!

Eyckens                        - (stizzito) Ma che diamine c'entra Paul!

Susan                            - (ironica) Abbiamo fatto piangere una anima candida: oh, ce n'è di che. In quanto a voi, signor Meersch, non ricordo certi parti­colari, ma ammetto di avervi opposto una resi­stenza abbastanza fiacca. Un momento poetico che sospiravo da anni; e tutto è avvenuto in un modo così bestiale. Ah, come vi ho odiato.

Eyckens                        - Cose lontane, Susan; e che... fini­scono quasi sempre così: non devi credere di essere la sola. A che prò rivangare queste cose se tutto si è felicemente concluso con un matri­monio. Disgraziato fin che vuoi, ma pur sempre un matrimonio, a mio modo di vedere.

Susan                            - Certo; che pazzia lagnarsene. In fondo eravamo tutti informati; non si capisce che cosa stiamo rinfacciandoci. Se almeno arrivasse quel miglioramento, Monsieur Theo. Non sa­remmo più infelici di molti altri. Basterebbe disporre di qualche soldo di più, per le cose non strettamente necessarie. Voi non potete sapere che importanza abbiano le cose non ne­cessarie per chi dispone solo dell'indispensa­bile... Le cose che ci siamo negate per tutta la vita... (Ribellandosi) Altrimenti non so come finirà! C'è una solenne promessa da parte di Monsieur Philippe; (additando il padre) lui mi disse che Meersch sarebbe diventato dirigente, che aveva la parola di Monsieur. Dov'è ora la vostra parola! (Al padre) Questo immondo traf­fico non ha giovato che a te, per cacciarmi di casa!

Eyckens                        - Mi domando se questo è il modo di ragionare. Tu travisi i miei sentimenti, Susan. Ero preoccupato per il tuo avvenire e ti esor­tavo a pensarci. Ormai dimostravi i tuoi annetti e anche Denise era d'avviso...

Susan                            - Non parlarmi di Denise! Denise ha avuto tutto; marito, amanti, denaro... Ma io: che cosa ho avuto io? Eccomi qua, carponi, ai piedi di questo mostro (accenna a Theo) per supplicarlo...

Maggie                          - (sforzandosi di rialzarla) No, Susan, non così...

Theo                              - (voltandole le spalle) Vostra moglie ha i vermi, Meersch; datele del calomelano.

Meersch                        - Susan...

Susan                            - (balzando in piedi) Io esigo ciò di cui ho diritto!  Altrimenti mi ucciderò. (Scoppia in singulti).

Meersch                        - (smarrito) Dobbiamo compatirla, signori. Con me lo avete sentito, non è stata felice; e allora la vita in due diventa difficile. Ciò non toglie che abbiamo anche dei momenti passabili... non è sempre così... Susan vorrebbe che non fosse accaduto nulla; ma ciò che è ac­caduto è accaduto e non c'è rimedio. Quel ra­gazzo; il negro. L'ho piantato qui, nel cervello... Lo avrei salvato, ma... non me ne hanno dato il tempo. E' mai possibile che Dio non ne abbia concesso il tempo? La montagna è crollata pri­ma che potessi ridiscendere. Susan ripete: « Tu non devi preoccupartene. Devi solo chiedere la promozione, altrimenti spiattellerai la verità ». (Disperato, iroso, piangente) Ebbene, non sono qua per chiederla questa maledetta promozio­ne? (A Theo) Come una elemosina? Non vi vergognate di ridurmi così, a speculare su di una disgrazia?

Theo                              - Mi vergogno per voi, Meersch; mi ver­gogno proprio.

Meersch                        - E allora dirò la verità; anche se mancano le prove, come ha osservato subito quel gufo del vostro legale. Ah ah, mancano le prove, quindi la verità non esiste! E invece mi dovete credere se dico che sarei ridisceso! Mi devi credere, Maggie!... (Si accascia).

Theo                              - Sicché non volete seguire i consigli del mio avvocato. E perché. Cercate di non perdere la testa, Meersch. L'avvocato vi proibisce forse I di dire che sareste ridisceso?

Meersch                        - A far che, se debbo dichiarare che il ragazzo era già morto prima che l'ascensore si mettesse in moto?... (Urlando) A che scopo sarei ridisceso: per salvare un morto?

Theo                              - Non lo avete già ammesso?

Meersch                        - Non ho mai detto nulla di simile,Quando l'ascensore partì il ragazzo gridava ancora.

Theo                              - E voi lo avete sentito in mezzo a quel frastuono? Lo avete sentito solo voi.

Meersch                        - L'ho anche visto, con questi occhi.

Theo                              - Visto e sentito. Bene, bene. C'è da pensare che fosse molto vicino all'ascensore... E sei era così vicino perché non lo avete aspettato..,» Siete scappato? State tirandovi la zappa sui piedi, mio buon Meersch.

Meersch                        - (angosciato) Voi non mi credete?

Theo                              - (secco) No.

Meersch                        - Maggie...

Maggie                          - (fremente, a Theo) Quest'oggi par-i lavate diversamente. Eravate certo che Meersch sarebbe ridisceso.

Theo                              - Voi scambiate le opinioni di Denise con le mie. (A Meersch) Il vostro amico Paul sostiene che non sareste nemmeno dovuto risalire.

Meersch                        - Furono gli altri a impedirmelo!  

Theo                              - Storie. Nella mia vita gli altri hanno sempre fatto a modo mio. Dovevate lasciar partire gli altri e voi restare col ragazzo. Sarebbe stata una bella prova di coraggio, come mai noni ci avete pensato? Vi sareste sentito un'ultima volta il primo della classe: voi che da un pezzo siete l'ultimo. No, Meersch; avete torto a non ascoltare i suggerimenti dell'avvocato; non siete di quelli che riescono a farcela da soli; e mi sembra che sottovalutiate certe vostre responsabilità. (Prevenendo Susan che vorrebbe interloquire) Lasciate che finisca, madama Meersch c'entrate anche voi in questa faccenda.

Susan                            - Io?

Theo                              - Vostro marito dovrà spiegare, quando sarà interrogato - domani probabilmente  come mai quel ragazzo si trovasse nella galleria a lavorare, pur non avendone ancora l'età. Rico­noscerete che se, non avendone l'età, non si fosse trovato nella miniera, a quest'ora nep­pure noi saremmo qui ad angustiarci per la sua sorte.

Maggie                          - Voi ve ne angustiate, Monsieur Theo?

Theo                              - In genere io non mi angustio che per la mia. Ma non si vive solo del proprio pane; qualche volta ci tocca masticare anche la roba degli altri. (A Susan) Stavo per rivolgervi una domanda, quando la nostra trombetta ci ha interrotto. La domanda è questa: non avete un'idea del perché quel ragazzo si trovasse là, e ci si trovasse abitualmente? Dovreste saperne qualche cosa anche voi, come il padrino di quel poveretto - Ganshof", voglio dire - e anche la signora Ganshof sua consorte, che voi cono­scete molto bene.

Susan                            - (con odio) Non ho mai visto quella donna.

Theo                              - No? E allora i miei informatori si sono sbagliati; li punirò. Scusatemi, vado al comizio.

Susan                            - Un momento. Che cosa c'entro io con tutto questo.

Theo                              - Vi dirò, signora Meersch... vi dirò. Nes­suno può pretendere, e io meno di tutti, che una bella donna come voi sciupi le sue belle mani a fare il bucato e altre repugnanti cose del genere. Ci sono apposta le serve per sbrigare queste incombenze e quindi nulla di male, né di strano, che vi facciate aiutare anche voi... da madama Ganshof, per esempio, di professione lavandaia.

Susan                            - Ebbene?

Theo                              - Ebbene... posso chiedervi se non c'era un tacito accordo tra voi e quella brava donna, tacitamente ammesso anche da vostro marito? Voi non pagavate i suoi servizi...

Susan                            - Non è vero!

Theo                              - ... e vostro marito fingeva di non accor­gersi di quel piccolo Tom che si infilava nelle taglie al posto del signor Ganshof, troppo spes­so ubriaco; come se leggi regolamenti circo­lari articoli capoversi e postille non proibis­sero il lavoro in miniera delle donne e dei fan­ciulli, da quando l'umanità è stata assalita dal mal di cuore!  Questo non vi dice nulla, Meersch? Vi sembra un contegno da futuro dirigente?... Ne risponderete in tribunale e io deporrò con­tro di voi...

Eyckens                        - (spaventato) Monsieur Theo, non vorrete rovinarlo...

Maggie                          - Altrimenti Meersch dovrà accettare la versione Perkins?

Theo                              - (con un sorrisetto ironico) Ora Meersch è libero di fare ciò che crede.

Maggie                          - Non vi sembra un ricatto, Monsieur Theo?

Theo                              - Ah già, ne abbiamo parlato anche prima. Lo avevo avvertito di non contare troppo su quello che stava preparandomi.

Susan                            - (allibita) Così... tutto è accaduto per qualche cencio sporco, che non mi sentivo di lavare... Ma quale maledizione mi perseguita?...

Maggie                          - Non per quel cencio, Susan. Quell'uomo vuole farti paura, è il suo modo di diver­tirsi. Tom è rimasto sepolto laggiù perché l'ac­qua ha sfondato le volte della galleria. (A Theo) Non è stato per causa sua            - (accenna a Susan) se è questo che vorreste far credere; è stato esclusivamente per causa vostra. Perché voi sapevate che un giorno o l'altro il crollo sareb­be fatalmente avvenuto e che i morti avrebbe­ro potuto essere molti. Nessuno di noi cesserà dal ripeterlo finché il rimorso e il terrore non vi avranno-fatto piegare le ginocchia; e sarà molto presto.

Theo                              - (furioso, al Pastore) Vostra figlia ha superato i limiti, scacciatela! Che sarà di noi se questi cani arrabbiati piglieranno un giorno il sopravvento!

Eyckens                        - (stizzoso) Maggie, ti sei schierata con i nostri nemici nella speranza di distrug­gerci? Ti piace sentirti chiamare cane arrab­biato?

Susan                            - (al marito, con furore) E tu, che cosa dici tu? Perché non pensi a difenderti!

Meersch                        - Io sapevo che un giorno il crollo sarebbe avvenuto. E che tra i morti ci sarei stato probabilmente anch'io.

Eyckens                        - (c. s.) Voi non sapete nulla, tutto è accaduto per volere di Dio e all'improvviso! Cerca di farglielo entrare in testa, Susan.

Susan                            - (con odio) No. Lui sapeva. Me ne par­lava continuamente.

Maggie                          - E tu...?

Susan                            - Io aspettavo.

Maggie                          - (inorridita) Ah, Susan!...

Meersch                        - Non era un segreto per nessuno che la galleria Carlotta pericolava. Ma i minatori si fidavano di me; ero il loro capo. A che serve un capo se non a guidare e proteggere i suoi uomini?

Maggie                          - (sdegnata) E allora perché non avete parlato!

Meersch                        - Con chi: con lui? Secondo lui erano storie da donnicciole... Mi autorizzò ad abbandonare il primo braccio, perché era lì che si sarebbe aperta la falla. Per il resto, continuare. Non sarebbe accaduto niente, ecco ciò che disse.

Theo                              - E non è andata così? Ah, questi assurdi processi alle intenzioni! a quello che sarebbe potuto capitare se invece di ciò che è capitato fosse capitata un'altra cosa! Non siete usciti tutti sani e salvi da quello schifosissimo buco?

Maggie                          - E Hycke?

Theo                              - Che c'entra Hycke; quella è stata una disgrazia. Di quanti ero tenuto a rispondere nessuno ha avuto danno. In quanto ad Hycke, risarciremo la vedova che ne sarà ben contenta; si sa perfettamente che cosa costa un uomo; noi pagheremo per contanti e le vedove si consolano presto. Ma io non debbo rispondere di quel ne­gro: lavorava clandestinamente, con la compli­cità di Meersch; che cosa ne sapevo!

Maggie                          - Dovete rispondere anche di quel ne­gro, Monsieur Theo.

Theo                              - (furioso) E perché?

Maggie                          - Perché è laggiù. Perché non era mor­to quando gli uomini lo abbandonarono; per­ché potrebbe essere ancora vivo. Perciò dovete ordinare lo sgombero del pozzo e scendere a cercarlo.

Theo                              - Altrimenti?

Maggie                          - Altrimenti il pozzo lo sgombreremo noi.

Theo                              - Era morto o vivo, Meersch? Fate atten­zione a ciò che dite.

Susan                            - Perché non rispondi che era morto; vuoi essere il solo a comprometterti? Credi che gli altri ti sosterranno, a cominciare da Ganshof ?

Eyckens                        - Spero che rifletterete. Siete un pa­dre di famiglia e dovete pensare all'avvenire dei vostri figli, anche se non ne avete. Mi hai pre­parata l'acqua di melissa, Maggie? E non an­dare al comizio, te lo proibisco.

Maggie                          - (bonaria) Allora Meersch: volete rispondere?

Meersch                        - (con voce strozzata) Io dirò la verità!

Maggie                          - Che Dio vi aiuti a pagarne il prezzo; perché sarà molto alto.

Theo                              - Un prezzo che Meersch non pagherà; se non vuole scatenare la mia ira.

Meersch                        - Non me ne importa della vostra ira: io dirò la verità! ... L'allarme fu dato da un getto d'acqua che proruppe improvvisamente nella corsia centrale all'angolo col primo braccio. Hans corse ad avvertirmi e subito ordinai agli uomini di raggiungere l'ascensore. Ganshof sbu­cò gridando dal fondo della corsia. L'acqua grondava ormai dappertutto e le lampade non mandavano luce abbastanza. (Buio nel salotto. All'esterno la luna viene lentamente nascosta dalle nubi che vanno addensandosi. Si odono intanto lontani rombi e lo schianto delle arma­ture che si sfasciano sotto la spinta dell'ac­qua. Infine una sorda esplosione e il fragore della massa liquida che precipita nella galleria. Grida concitate di Meersch, vociferare de­gli altri, tra gli scrosci e il rimbalzare delle pietre staccatesi dalle pareti...) In un momento l'acqua ci arrivò al ginocchio. A pochi passi da me, Hycke urlava schiacciato da una trave che lo aveva colpito mentre fuggiva. Hans ed io riuscimmo a trascinarlo fino all'ascensore. Gli altri erano già al sicuro nella gabbia e grida­vano perché si partisse. Stavo anch'io per salire quando mi ricordai di Tom; nessuno ne sapeva nulla, neppure Ganshof. Allora mi allontanai dall'ascensore e cominciai a chiamarlo. Ma gli altri... parevano imbestialiti. (Voci furiose che sollecitano: « Sangue di Dio! ... Salite, signor Meersch!... Ci restiamo tutti!... Salite! ». Coro di urla sempre pia violente, mentre Meersch chiama « Tom!... Tom!... » - Vocina di Tom, appena percepibile nel frastuono: « Aiuto, signor Meersch!... » - Voce di Meersch: « Corri, Tom, Forza!... Ti vengo a prendere!... ». Coro forsennato di urla) Ahimè. Mi ero appena avvia­to fendendo l'acqua... quando tre degli uomini mi raggiunsero, mi trascinarono via e mi spin­sero nella gabbia. Chiusero il cancello e l'ascen­sore partì. (Sferragliare dell'ascensore in moto. Grida accompagnanti la lotta tra Meersch e gli uomini. Voce di Meersch, disperata: «Tom!.„\Aspettami, Tom!... » - Vocina di Tom: «Prego, signor Meersch, prego!...». Voce di Meersch,\ in lotta con gli uomini: «Lasciatemi! Voglio' scendere! Tom!... ». Le grida si affievoliscono,] mentre aumenta il tempestare dei sassi e lo\ scrosciare dell'acqua sulle pareti della gabbian Ripetevo stupidamente «vengo a prenderti» mentre l'ascensore continuava a salire... Mai appena scaricati gli uomini sarei ridisceso: non!  vivevo che per questa idea... Invece accadde i una cosa spaventevole: sotto di noi crollò tutto. (Un boato. Urla di spavento. Fragore di massìì che precipitano lungo la gola del pozzo. Rim-\ bombi sempre più profondi, lontani... Le urlai si estinguono in balbettii preghiere lamenti...)] Tutto, vi dico; crollato tutto. Non si poteva più ridiscendere. Me ne domando continuamente il perché; non arrivo a capire; non ci sono perché... all'infuori di quelli che si possono leggere in un qualunque trattato di geologia; e che non spiegano nulla. (Si ode più distinto il pulsare del motore e il cigolìo dei cavi che sollevano la gabbia. Poi i rumori di arresto alla stazione di arrivo) Quando sortimmo da quell'inferno la gente ci corse incontro; gridava. Hycke fu portato all'ospedale e morì. Io me ne andai come gli altri benché non sapessi dove. Il mio posto era laggiù; ecco il prezzo che Dio doveva aiutarmi a pagare. Perché non mi ha aiutato?

Maggie                          - Quello che vi resta da pagare è an­cora più alto. (Si ode, contemporaneamente al gorgogliare veloce e ormai tranquillo dell'ac­qua nella galleria, la voce sommessa di Paul: « Essi hanno perduto le tracce di Cristo, così facili a perdersi, e nessuno li aiuta a ritrovarle » Ancora la vocina implorante di Tom che ripete lontana: « Prego, signor Meersch... prego! ». E infine il silenzio, scandito dal lento gocciolare della volta sul fondo allagato).

Theo                              - Una bella storia, Meersch. Ripetetela pure ai giudici, giacché non vi importa della mia ira. (Lentamente si rifà la luce nel salotto. La luna illumina debolmente le macerie del pozzo, talora oscurate dalle nuvole. Nel salotto sono rimasti soltanto Maggie e Meersch; que­st'ultimo accasciato sul divano. Maggie, dalla soglia dell'ingresso di sinistra, guarda fuori in attesa di qualcuno).

Maggie                          - (consultando l'orologio, inquieta) So­no già le nove. (A Meersch che non si muove neppure) Dovrebbero essere già qui, si fa tardi per il comizio... (Dopo un istante di nuovo ri­volta verso l'esterno) Ecco Paul! (Gli muove incontro) Paul!

Paul                               - Buonasera.

Maggie                          - (ansiosa) Ebbene?

Paul                               - (è stanco, siede) Ho fatto quel che ho potuto, ma non è stato molto. (Con un sorriso forzato) Non c'è un grande entusiasmo, Maggie. Non c'è proprio.

Maggie                          - (costernata) No?

Paul                               - A sentirli darebbero tutti dieci anni della loro vita purché non fosse accaduto nulla. Ma quando entri nei particolari e chiedi dei testimoni e fai dei nomi... allora si tirano indie­tro. Hanno paura.

Maggie                          - Di Monsieur Theo?

Paul                               - Di Monsieur Theo e altre cose... La fame, la forca, l'inferno... Sono passati migliaia d'anni, e non abbiamo fatto che impaurirli.

Maggie                          - Forse acquisteranno maggior deci­sione dopo il comizio.

Paul                               - Se ci verranno. Martin non è ancora tornato?

Maggie                          - No, non ancora.

Paul                               - Gli uomini dei Duysen sono arrivati dappertutto prima di noi.

Maggie                          - Allora... che cosa accadrà?

Paul                               - Noi ci batteremo fino all'ultimo... ma non saremo in molti. Dopo il comizio si terrà una riunione ai sindacati.

Martin                           - (apparso da un momento all'ingresso di sinistra, ha potuto udire le ultime parole) Dopo il comizio andremo tutti a dormire. (Anch'egli è stanco; parla con amara indifferenza).

Maggie                          - Martin!

Martin                           - (sorridendole) Oh, finalmente delle facce umane.

Paul                               - Avete trovato Ganshof ?

Martin                           - No. E nemmeno l'amabile signora Ganshof, e la zia della signora Ganshof e tutti gli altri Ganshof nel raggio di cinquanta miglia. Mio caro Paul: ho battuto a tutte le porte in nome della solidarietà; ho tentato di spiegare che cos'è, ma - visto che non è da mangiare -non ha interessato nessuno. Se non siete stato più fortunato di me, c'è da prevedere un bel fiasco.

Maggie                          - Ma non è possibile!

Martin                           - Perché?... Salute, Meersch, final­mente ci si vede. (Meersch non risponde; a Mag­gie) Perché impossibile? Umano, anzi; troppo umano: quindi possibile e indecoroso. Ad ogni buon conto sono ripassato da quell'animale di Ganshof e gli ho lasciato un biglietto ordinan­dogli di raggiungermi qua, se non vuole essere licenziato. Figurati: quando mio padre verrà a saperlo lo promuoverà caposquadra. Sono stato anche da Favin, e da Hans; sono dei vec­chi amici. Hans è la terza volta che rimane inca­strato. Buona sera, Meersch: avete perduto la voce? Mi hanno accolto gentilmente, ma... in quanto a sbottonarsi, nulla. Hanno udito, sì, qualcuno che chiamava il ragazzo; suppongono che foste voi... (Si rivolge a Meersch).

Meersch                        - (amaro) Suppongono.

Martin                           - Ma erano intenti a liberare Hycke rimasto sotto la trave e non sanno altro. Secon­do loro potrebbe essere stato un abbaglio; e che il ragazzo fosse già scomparso. Ammesso poi che ci fosse, perché, dicono, nessuno ne è sicuro.

Maggie                          - Nessuno...?

Meersch                        - Fareste bene a lavarvene le mani. Non uno di loro che sia dalla vostra parte.

Martin                           - Voi da che parte siete? Comunque Hans è d'avviso che se il ragazzo c'era, sia morto subito.

Maggie                          - Perché morto: come può dirlo.

Martin                           - Morto, Maggie. Morto non dà più fastidio a nessuno.

Maggie                          - Ma se Meersch ha appena finito di raccontarci...

Meersch                        - (con ira e angoscia) Smettetela tut­ti quanti di tirarmi in ballo. Raccontato che cosa, le mie allucinazioni?

Maggie                          - Tom era ancora vivo quando l'ascen­sore si mosse; stavate per andargli incontro, lo avete detto ora...

Meersch                        - Sarebbe stato cento volte meglio se mi fossi trovato al posto di Hycke.

Martin                           - (ironico)  Troppo comodo, Meersch.

Paul                               - (accigliato) Così anche Favin e Hans non ci appoggeranno?

Martin                           - No; credo proprio di no.

Maggie                          - Ma come si può essere così vili? Ganshof            - (entra da sinistra; batte con le nocche nei vetri benché l'uscio sia aperto. Ha un'aria sorniona e leggermente sprezzante) Vili? Di chi parlate: di noi?

Martin                           - Ah, Ganshof; avevamo perduto la speranza di vedervi. Ganshof           - Servo vostro.

Paul                               - Immaginerete le ragioni della nostra chiamata.

Ganshof                        - Io? Se avessi avuto dell'immagina­zione avrei studiato da prete. I miei rispetti, signor Meersch. (Meersch non si muove nep­pure).

Paul                               - Si tratta di Tom. Che cosa intendete fare?

Ganshof                        - Lo chiedo a voi. Il solo che possa resuscitarlo siete voi; con l'aiuto di Dio, be­ninteso.

Maggie                          - Il reverendo Paul pensa che potreste interessarvi ai suoi sforzi, che sono anche i nostri, per non abbandonare quel fanciullo di cui non si conosce ancora la fine.

Ganshof                        - No? Se la conoscono anche i sassi.

Paul                               - (pazientemente) Ci saranno delle ini­ziative da prendere; la vostra partecipazione è importante.

Ganshof                        - Dovete avermi scambiato per un altro, reverendo Padre. Io sono un povero dia­volo.

Maggie                          - Tom non viveva con voi?

Paul                               - I nostri sforzi per quel fanciullo interessano tutti, anche coloro che se ne disinte­ressano; anche coloro che ci ostacolano; per­ché un giorno pagheremo tutti nella misura di questo interesse. Ma voi in modo particolare; siete voi che esercitate la patria potestà su di lui, ne siete in certo modo il tutore.

Ganshof                        - E' la prima volta che lo sento dire.

Maggie                          - Verrà aperta un'inchiesta, questo lo avete sentito dire? E sarete chiamato a rispon­dere sulla sorte di quel ragazzo, che non avreb­be dovuto trovarsi nella miniera.

Ganshof                        - E' un affare che riguarda il signor Meersch.

Paul                               - Il signor Meersch è pronto ad assu­mere la sua parte di responsabilità; voi dovete assumervi la vostra.

Maggie                          - Che cosa è avvenuto del ragazzo al momento del crollo?

Ganshof                        - Non eravamo insieme; non lo so. Perché non lo chiedete a lui (accenna a Meersch) che è il capo.

Paul                               - Dovete dircelo anche voi. Solo se arri­veremo a dimostrare che Tom era ancora vivo... al momento della vostra fuga...

Ganshof                        - Fuga?

Paul                               - ... potremo ottenere dalle autorità l'or­dine di sgomberare il pozzo. Ma non dobbiamo perdere tempo.

Ganshof                        - Vi ripeto che non ne so nulla; c'era buio laggiù e non sono momenti in cui si pensi molto agli altri: nessuno può parlarne se non c'è passato. Mi spiace per il ragazzo, certo che mi spiace. Come mi spiace per il povero Hycke... Ma se questa è la volontà del Signore, non c'è che da rassegnarsi.

Paul                               - (fremente) Anche voi. Ma che cosa ne avete fatto della volontà del Signore! Il para­vento delle vostre sporcizie?

Ganshof                        - (tranquillamente) Be', se la pigliate su questo tono... Voi siete più istruito di me, segno che avete ragione. Ma me ne frego ugualmente.

Martin                           - Non è questo, Ganshof, la questione è un'altra; cercate di seguirmi. Supponete chef il ragazzo sia ancora vivo; nessuno ne sa nulla! di preciso, neppure voi. Ammettiamo che lei probabilità siano minime; ma... se ci foste voi f là sotto, e foste vivo: vi pare che potremmo! abbandonarvi? Voi che cosa potete affermare:! è una domanda che vi rivolgeranno anche il giudici.

Ganshof                        - Risponderò che l'hanno ammazzato,

Paul                               - Chi?

Ganshof                        -  I signori.

Paul                               - Lasciate stare i signori; era vivo o no!  Meersch lo ha sentito gridare fino all'ultimo.

Ganshof                        - Era il signor Meersch che gridava. Tom aveva già la testa sott'acqua.

Maggie                          - (adirata) E lo dite con tanta calma?

Ganshof                        - Voi perché vi agitate; siete la zia? Quel ragazzo non era segnato su nessun re­gistro. Chi volete che se ne interessi.

Paul                               - (prorompendo, con dolore) Io!

Ganshof                        - Ed è colpa mia se è andata così? Ho detto forse che mi fa piacere?

Maggie                          - (adirata) Che sciocchezze, Ganshof!

Ganshof                        - Sciocchezze solo le mie?... (Pausa) Era un bravo ragazzo; mia moglie ed io lo trattavamo come un figlio, benché non sapes­simo chi fosse. Siamo rimasti sedici anni nel Congo, la mia signora ed io. Quando decidem­mo di rimpatriare portammo con noi anche il marmocchio che allora aveva pochi mesi. Sua madre era morta partorendolo, in mezzo alla strada, proprio davanti a casa nostra, male­detto quel dì. Ce lo portammo appresso per­ché nessuno lo voleva! Ci dissero d'abban­donarlo; tanto valeva dirci di ucciderlo. Io ero quasi del parere, ma mia moglie si mise a piagnucolare. Ecco perché ci pigliammo que­sto fastidio. Ma nessuno lo aveva mai segnato nei registri del re; non fu nemmeno battez­zato perché io non vado in Chiesa. Non c'è nemmeno da prendersi la briga di cancellarlo. Che cosa volete che importi ai giudici di un bastardo che non è registrato e non avrebbe neppure fatto il soldato; a che serviva!  

Maggie                          - Parlate di lui come se si trattasse di una bestia.

Ganshof                        - Al suo paese nessun bianco pen­serebbe di doverlo trattare diversamente. Sen­tite, io non vado in cerca di rogne; cercate di non procurarmene.

Maggie                          - Quali rogne?

Ganshof                        - (adirato) Credete che la passerei liscia coi padroni se mi mettessi a miagolare con voi?

Martin                           - Vi abbiamo spiegato...

Ganshof                        - Non mi avete spiegato niente e me ne infischio delle vostre spiegazioni!  Avete det­to un mucchio di parole e concluso un cavolo!  Che cosa intendiate fare non lo sapete neppure voi! Il reverendo lo ha addirittura chiesto a me - è vero o no? - e io gli ho risposto che tocca a lui di resuscitare il ragazzo, se ne è capace. Se non ne è capace tanto vale che ci diciamo buonasera; il resto non serve a nes­suno.

Paul                               - Serve, Ganshof; anche se abbiamo l'aria di aggirarci nel buio. Dobbiamo farlo ugualmente; perché lassù c'è una luce, e noi vogliamo raggiungerla. Dobbiamo scuotere la gente come voi, anche sapendo che nessuno convincerà Monsieur Theo a sgomberare il pozzo per ritrovare un corpicino da nulla. Ep­pure noi siamo qua per esigerlo, e non cesse­remo mai dall'esigerlo, e grideremo fino alla morte che lo esigiamo. Poco importa se oggi non la spunteremo; chi combatte per la giu­stizia sa di farlo per quelli che verranno do­po. Andate pure, Ganshof; faremo a meno di voi. Ma ricordate questo: verrà un giorno in cui tutti gli uomini saranno uomini senza che i loro nomi debbano essere inscritti nel regi­stro del re; e nessuno, in nessun paese, di qualunque colore sia la sua pelle, oserà pen­sare che i suoi simili siano diversi da lui e possano essere trattati come bestie.

Ganshof                        - (ironico) Oh, è molto bello.

Maggie                          - Siete un vile.

Ganshof                        - Secondo voi che cosa dovrei es­sere: un eroe? Vi sembra che la vita che con­duco in fondo al vicolo sia una scuola per gli eroi? Mi accusate di viltà; vili anche i miei compagni; tutti vili. Ma se avessimo indugiato un minuto ancora, dopo il tempo che Meersch ci aveva fatto perdere, saremmo rimasti là in fondo: noi, non voi! Vi pare che ne avessimo l'obbligo!  Il reverendo dice di sì, bene: io dico di no.

Paul                               - Non cercate di svicolare, Ganshof. Vi abbiamo domandato di aiutarci per ottenere che il pozzo sia sgomberato; voi ci avete ri­sposto con un rifiuto.

Ganshof                        - Santa ingenuità. Mi chiedete solo di finire sul lastrico, io e la mia vecchia: non è così, signor Meersch? Diteglielo voi. Io ho cinquant'anni compiuti e silicosi quanto basta per non arrivare ai sessanta. Dove troverei la­voro? (A Paul) Voi invece che cosa ci rimet­tete? E voi, Monsieur? E voi, bella ragazza? Viceversa io dovrei crepare, perché un giorno, se debbo credervi, gli uomini siano liberi e non più dei miserabili come me. Tante grazie; pre­ferisco campare ancora qualche anno; e se quel giorno verrà, sarà un gran bel giorno per tutti; ma io non ci sarò a vederlo.

Martin                           - (ironico) Da qualcuno bisogna pur cominciare, Ganshof.

Ganshof                        - E avete scelto me? Sogni d'oro, compagni: cercatevene un altro. (Via).

Maggie                          - (con ingenua costernazione) Oh!...

Paul                               - (dopo un silenzio) Quell'uomo ha col­pito giusto. Nessuno di noi ha nulla da perdere.

Martin                           - Non è questo che conta; ma sapere come ci comporteremmo anche se avessimo tut­to da perdere, come Ganshof; o come Meersch. (Si è piantato dinanzi a costui) Non è così,

Meersch?

Meersch                        - (cupo) Non lo saprete mai; fino al giorno in cui vi toccherà.

Maggie                          - (angosciata) Ed ora... che cosa fac­ciamo... Anche Ganshof ci ha traditi. Ma non è per loro che stiamo battendoci: per uno di loro?

Martin                           - No, Maggie; ci battiamo per un'idea. E non si può chiedere alla gente di battersi per un'idea se prima non le è stato insegnato a pensare. Primum vivere, deinde philosophari: se rimane il tempo. Insomma, Meersch: si può finalmente conoscere la vostra opinione?

Meersch                        - Risponderò come voi: non si può pretendere che la gente abbia un'opinione se fino al giorno prima le è stato proibito d'aver­ne. Capito, Maggie?

Maggie                          - Ma noi abbiamo una buona opinione di voi; perché non dovremmo? (Guarda ansio­samente Paul).

Meersch                        - E Susan? Come farò con Susan,che cosa le dirò!

Paul                               - Non ci rimane che la vostra deposi­zione, Meersch: pensateci bene.

Meersch                        - (agitato) Dov'è Susan? Avete un bel dire, voi. Voglio prima parlare con mia moglie.

Maggie                          - Ve la chiamo. (Si avvia per uscire,da destra, ma sull'uscio si imbatte con Denise che sta entrando) Tu?

Denise                           - Susan non sta bene; ha avuto una crisi.

Martin                           - E tu perché sei qui?

Denise                           - (paziente) Ti cercavo.

Martin                           - (ironico) Ancora?

Paul                               - Non siete più un ragazzo, Meersch; e non credo che in una circostanza come questa il parere di vostra moglie sia indispensabile.

Meersch                        - Mi è forse indispensabile il vostro?

Denise                           - Lasciatelo in pace.

Martin                           - (aspro) Si può sapere chi ti ha man­data?

Denise                           - (stanca) Tuo padre

Martin                           - A far che?

Denise                           - Ho una comunicazione per Meersch: siete stato promosso dirigente; per il vo­stro comportamento coraggioso. (Sussulto dì Meersch; la notizia lo ha stordito. Tutti lo guardano).

Martin                           - Promosso al momento giusto e con motivazione azzeccata.

Maggie                          - (sbalordita) Dirigente... Non ci ab­bandonerete per questo... Non vorrete tradirci anche voi.

Denise                           - Meersch non ha preso con voi nessun impegno.

Meersch                        - (ribellandosi) Quale impegno ho preso!

Maggie                          - (prorompendo, col pianto in gola) Eravate deciso a dire la verità!

Martin                           - Che cosa gliene importa: ora è di­rigente.

Denise                           - Hai un'idea, Maggie, di ciò che gli costerebbe?

Paul                               - (esasperato) Ah, ciò che costerebbe, che sarebbe costato, che costerà, non sapete  dire altro! Ma ciò che costa a quel derelitto,! lo sapete? E non ha valore per nessuno?

Maggie                          - Tacerà!  Mentirà!  Peggio di Ganshof, più abietto di lui! (Alla sorella) Tu perché lo difendi?

Martin                           - Perché sono della stessa pasta.

Denise                           - (sopportando) Ha bisogno anche lui di qualcuno che lo compatisca.

Meersch                        - (con voce strozzata) Io sarei ridisceso, ve lo giuro; avrei avuto il coraggio di farlo!... Ma ora, come posso rifiutare... che cosa direbbe Susan!...

Denise                           - (cercando di nascondere il fastidio) Sì sì, ora andate. Susan è di là che vi aspetta; tornate a casa.

Meersch                        - (c. s.) Io non sono un vigliacco!

Martin                           - (con indifferenza) Lo siete, Meersch; e non da ora.

Denise                           - (esasperata) Oh, ma lasciatelo in pace!

Martin                           - Scusa, cara. Lo siete dal giorno in cui, per una cucchiaiata di grasso avete venduto il vostro avvenire. Poi fu la volta di Susan; l'avete sposata senza amarla, per la paura di perdere un impiego insignificante e la cupidigia di una promozione che non avete mai avuto il coraggio di pretendere; ma che finalmente ottenete oggi, con un'altra vigliaccheria.

Denise                           - (tenendogli testa) Non è il solo che] abbia disertato. E non avrebbe commesso delle viltà se la vita non lo avesse costretto.

Martin                           - (ironico) Già. Può valere anche per me; e per te. Ma non è una scusa. La vita, Denise - non t'illudere - è ciò che ne facciamo noi. (A Meersch) Su, toglietevi dai piedi; ci avete divertiti abbastanza.

Meersch                        - Io non vi permetto... Non vi per­metto di scacciarmi! Sono un dirigente! Mi dovete rispettare! Mi si deve rispettare!... (Gri­da ancora mentre esce da destra).

Paul                               - (asciugandosi il sudore) Non ci rimane più che il comizio. Ma che cosa diremo?

Denise                           - (stanca) Non d sarà comizio. Le leghe lo hanno sconsigliato.

Paul                               - Perché?

Denise                           - C'è stata una riunione, tra la dire­zione delle Miniere e i rappresentanti dei mi­natori. La Direzione ha offerto di avviare i di­soccupati al pozzo di Laangre, dove apriranno una nuova galleria. I minatori hanno accettato.

Maggie                          - E Tom?

Denise                           - Le Leghe sono contrarie ad ogni ini­ziativa, anche generosa come la vostra, ma che possa ostacolare l'esecuzione di un accordo giudicato vantaggioso per tutti.

Maggie                          - (ribellandosi) Anche per lui?

Denise                           - Ti saresti presa la responsabilità di fare il contrario?

Maggie                          - Le Leghe non hanno il diritto di sa­crificare quella creatura!

Denise                           - Che cosa avrebbero dovuto fare: re­spingere la proposta, e abbandonare al loro destino trecento famiglie di cui neppure una si sarebbe spiegata il perché? Per dissotterrare un ragazzetto probabilmente morto, non rim­pianto da nessuno e che nessuno reclama tran­ne voi?

Paul                               - Potete dire di più, signora Denise; po­tete aggiungere che sono gli altri ad avere ra­gione e non noi. Le Leghe, che sottraggono tre­cento famiglie alla fame; i diciotto scampati che hanno difeso la loro vita; Ganshof, che noi avremmo gettato sul lastrico; Meersch, che attendeva da sei anni la promozione a dirigente; perfino Monsieur Theo, continuamente in lotta per ridurre i costi del suo carbone. Nessuno, come vedete, che non abbia le sue buone ragioni.

Denise                           - E allora perché li accusate?

Paul                               - Ve lo dico subito: perché quelle buone ragioni sono cattive; e io sono qui per condan­narle. Noi ci rifiutiamo di assolvere un mondo che giustifica le proprie infamie con delle buo­ne ragioni: perché rimangono infamie. Noi re­spingiamo le buone ragioni di un mondo in cui due terzi dell'umanità non mangia abbastanza, quando mangia; e l'altro terzo brucia i raccolti troppo abbondanti per mantenere i viveri fuori dalla portata di chi ha fame. Noi non ap­proveremo mai le sue buone ragioni fino a che sedici milioni di bambini morranno ogni anno per mancanza di cure. Sedici milioni di bam­bini, signora Duysen! Il modo più spiccio per ucciderli è quello di lasciarli morire.

Denise                           - (ribellandosi) Ne ho colpa io?

Paul                               - Ne abbiamo colpa tutti. Io per il pri­mo, che mi balocco con le parole mentre lag­giù c'è un innocente che muore. (Paul si è av­vicinato alla finestra; Maggie è accanto a lui. Il cielo è solcato dai lampi; brontolio lontano del tuono. Una pausa).

Martin                           - (con voluta indifferenza) Sentito, De­nise, la filippica di Padre Paul?

Denise                           - Non saranno le sue filippiche a eli­minare queste contraddizioni. Del resto la gente sta molto meglio adesso di una volta.

Maggie                          - A cominciare da te.

Denise                           - Non sto parlando di me; parlo del progresso in generale.

Martin                           - Ah già, il progresso. Me ne dimenti­cavo... questa grossa macchina per sparare i fuochi artificiali. Uno spettacolo meraviglioso, colore e frastuono. Non si mangia, ma si va a vedere i fuochi, ormai salgono fino alla luna; e gli affamati dimenticano la fame, e chi ha mangiato dimentica gli affamati. Così nessuno ricorda più nulla e tutti ammirano i fuochi.

Denise                           - Un'altra filippica?

Martin                           - No. Le trovi troppo noiose, come i discorsi che ti tenevo un secolo fa. Le mie rèveries, ricordi? Non si può dire che le ap­prezzassi. Amavi me, se debbo crederti, e non amavi le mie rèveries. E allora che cosa amavi di me?

Denise                           - Te.

Martin                           - Ma non mi giudicavi abbastanza serio per una famiglia importante come la mia e una boria come la tua: lo pensi ancora? Bada che non sono migliorato.

Denise                           - Che cosa ti importa di ciò che penso?

Martin                           - Tutti quei bambini, Denise... Non ti hanno sconvolta?

Denise                           - Altro che. Sembra che li abbia uc­cisi io.

Martin                           - Sedici milioni... Prova a metterli in fila.

Denise                           - Io non posso aiutare sedici milioni di bambini sparsi per tutto il globo a non mo­rire di fame. Posso solo spedire un po' di da­naro a qualche missione per la protezione dell'infanzia. Lo faccio già.

Martin                           - Brava... E per la protezione di Tom?

Denise                           - Non c'è nulla da fare per Tom. Io non posso far nulla.

Martin                           - Perché? Non ripetermi che è morto; è proprio quello che ancora non sappiamo e che vorremmo sapere. O intendi dire che non vuoi inimicarti mio padre?

Denise                           - Anche questo.

Martin                           - Anche questo, o solo questo? Per­ché ti preme tanto: per via delle palanche?

Denise                           - (che morde il freno) Precisamente: per le palanche.

Martin                           - E come mai? Hai sempre detto d'aver­mi sposato per puro e immacolato amore.

Denise                           - Ah, Martin; non so che gusto ci provi.

Martin                           - Naturalmente sei libera di pensare e fare ciò che credi. Ma supponi che tu debba scegliere: tra il danaro di mio padre e me. Supponi di doverlo fare questa sera e per sempre. Come sceglieresti?

Denise                           - Dove vuoi arrivare?

Martin                           - Esattamente qua; a questa alterna­tiva. Più in là non si può.

Denise                           - Quel prete ti ha montata la testa. Ma lui non ha niente da perdere.

Martin                           - Lo ha detto Ganshof prima di te; sei in buona compagnia.

Maggie                          - Paul non ha nulla da perdere per­ché ha rinunciato a tutto; fuorché a ciò che merita il suo amore.

Martin                           - Sì, Maggie; è così. Ma tua sorella non lo capisce. (A Denise) Poniamo che sia anch'io felice di perdere tutto per amore di qualcuno... che accettasse di fare altrettanto per meritare di nuovo il mio amore.

Denise                           - (supplichevole e ostile) Ma a che scopo. Perché vuoi porre delle condizioni così assurde. Rientra in te stesso, Martin, te ne supplico. Non posso meritarmi il tuo amore senza che tu mi costringa a rifiutare ciò che per tanti anni ho sospirato? Che cosa vuoi da me, che io non sappia darti tra le tue braccia?

Martin                           - Non è questo, Denise; non è questo. Una furiosa voglia di stringersi non è mai sta­to l'amore. (Si allontana).

Maggie                          - (andandogli incontro, afflitta) Mar­tin...

Martin                           - (sorridendo) Sì?

Maggie                          - Ho tanto sperato che vi riconcilia­ste. (Si asciuga gli occhi col dorso della mano) Ma questa sera non ne va bene una.

Martin                           - Pare di no. Coraggio ugualmente, Maggie. Tu sei brava. Tu sei la purezza. Un giorno anche noi, gli impuri, abbandoneremo le nostre tane, bruceremo le nostre chiesuole e verremo a darti una mano nella chiesa gran­de, sicuri di trovarti là. Buona fortuna. (La bacia in fronte). Buona fortuna anche a voi, Paul. Scusatemi se anche questa volta non sono servito a nulla.

Paul                               - Arrivederci, Martin. Abbiamo fatto insieme il possibile. Il resto tocca a me.

Denise                           - (è sulla soglia dell'ingresso di sinistra da cui Martin dovrà passare per andarsene. Con amara ironia) Perché non resti a ten­tare con lui l'impossibile?

Martin                           - Non ho la sua fede... e ti ho chiesto inutilmente di ridarmene una. Tutto il mio amore per te non fu che un enorme spreco. (Esce).

Eyckens                        - (dall'interno) Maggie, dove sono i miei occhiali! Non ho mai visto una casa di­sordinata come questa e una ragazza più im­pertinente! (Entra) Non trovo i miei occhiali, ma nessuno mi aiuta a cercarli. Ah, eccoli qua. (Li trae di tasca, stizzito) Li metto sempre nel­la tasca destra, come potevo immaginare che fossero nella sinistra! E le gambe, poi? Ah, parlatemi delle gambe!  Quasi non mi reggono. (Siede con qualche sforzo) Per giunta fa molto caldo e non riesco a sudare. Una volta, se ricordate - ma che cosa ricordate, voi! - su­davo abbondantemente; adesso non più; il tempi dell'abbondanza sono finiti, non mi sveleno come dovrei e chissà se riuscirò a pigliar sonno dopo una giornata così faticosa. Per fortuna tutto si è risolto per il meglio, a parte I quei poveri morti. Il destino purtroppo hai voluto le sue vittime; brava gente che meritava di morire in pace e non assordata dal! chiasso che avete sollevato: dico a voi (a Paul)ì Io non capisco perché dobbiate sempre farei tanto chiasso! Possiamo forse opporci al destino? Solo uno sconsiderato può pensarlo. Lo] dico anche per te, Maggie; e per Susan; e per tutti! Dio sa perché Susan debba essere sempre così acida. Ha perfino insinuato che io sapessi di certe chiacchiere che correvano su De­nise e Monsieur Philippe al tempo del suo fi­danzamento con Meersch, quest'altro cretino! (Stizzito) Sono forse obbligato a saper tutto? E anche la tua condotta, Denise, non mi sembra molto lineare. Vi ho ingrassate come oche. ed ecco la ricompensa; non una che si ricordi di suo padre! (Durante questo soliloquio, Mag­gie e Denise si sono parlate sottovoce; Denise con grande stanchezza. Poco prima che il Pa­store concluda, Denise abbraccia la sorella., la tiene stretta a sé qualche momento, poi fugge via) In quanto a voi, reverendo Paul, spero che domani andrete dal vescovo senza ricomin­ciare con nuove stramberie.

Paul                               - Vi ho già detto che domani non sarà possibile.

Eyckens                        - (indignato) Non sarà possibile? Il vescovo vi manda a chiamare, e voi...

Paul                               - (interrompendolo bruscamente) Io va­do dove debbo andare e non sarà il vescovo a trattenermi! (A Maggie, raddolcito) Avete da prestarmi un mantello?

Maggie                          - Certo, Paul; ve lo porto subito.

Eyckens                        - Quale mantello. Maggie?

Maggie                          - Il tuo, papà; non ce n'è altri. (Esce da destra).

Eyckens                        - (inviperito) Il mio?

Paul                               - Non vedete che sta per piovere?

Eyckens                        - E dove volete andare sotto la piog­gia col mio mantello?

Paul                               - A sgomberare il pozzo.

Eyckens                        - (e. s.) A sgomberare il pozzo? Ma siete impazzito?

Paul                               - Forse qualcuno mi seguirà.

Eyckens                        - Un altro pazzo come voi? Io, for­se?... Voi siete divorato dall'orgoglio. Voi pen­sate che se avessi un filo di carità cristiana, appena un filo, dovrei piantare tutto e venire con voi a sgomberare quel maledetto pozzo!

Paul                               - Mi farebbe piacere.

Eyckens                        - Oh, non occorre che lo diciate: più le cose volgono all'assurdo e più vi fanno pia­cere. Quanto tempo pensate di godervi questo delicato piacere? Avete almeno previsto che la direzione delle Miniere vi farà sbaraccare dai gendarmi?

Paul                               - Gendarmi o no, il mio posto è là.

Eyckens                        - E là cosa farete? Smoverete da solo quelle centinaia di tonnellate di ferro e di pietre? Pensate che qualcuno vi aiuterà? (Con amarezza) Conoscete male il vostro prossimo, reverendo Paul; non vale gran che.

Paul                               - Forse siamo noi a non avergli inse­gnato gran che. A chi tocca, se non a noi, di compiere le cose che nessuno vuol fare, se vogliamo che un giorno tutti le compiano? Chi vuoterà i mari col cucchiaio, se non noi; chi cercherà uno spillo nel deserto; chi scen­derà nelle miniere per raccogliervi i fanciulli dimenticati o seppellirne i cadaveri? Cristo non è un compagno di viaggio molto comodo, re­verendo Eyckens; si direbbe che non vi siate mai incontrato con Lui.

Eyckens                        - Infatti. E' un onore che non ha vo­luto concedermi, benché mi sia sempre stu­diato di meritarlo. Sembra che Lui esca di chiesa quando io entro. Precisamente, reve­rendo Paul, non c'è ragione che mi guardiate sbalordito; credete che sia il solo? E siete si­curo che un giorno non capiterà altrettanto anche a voi?

Paul                               - Voi mi atterrite.

Eyckens                        - Lo so, lo so. E' imbarazzante pre­dicare la Sua parola e non intendere mai la Sua voce. Eppure io ho fatto sin da giovane tutto il possibile per meritare la Sua fiducia,   - (stizzendosi) mentre voi avete abusato della mia! Voi siete un ribelle, reverendo

Paul                               - ve lo sentirete dire anche dal vescovo - e avete brutalmente approfittato della mia mansuetu­dine. Al contrario di voi, io non ho mai nutrito delle particolari ambizioni. Ho seguito la linea conformista, che è quella che piace ai supe­riori, a parte che ci ero portato. Ma posso dire di essere piaciuto alle loro eccellenze? No, non posso dirlo, quantunque abbia sopportato non lievi sacrifici. Ho sposato per deferenza la fi­glia del mio predecessore benché non mi pia­cesse; mi sono messo agli ordini della vedova Simmons che vorrei vedere accecata. Ho of­ferto al Signore queste gemme soavi di peni­tenza e non mi ha nemmeno risposto. Quando lo invoco, nei freddi sudori della notte, perché la morte si aggira impaziente, mi risponde il silenzio. Mi chiedo battendo i denti dove si nasconda e perché; che piacere trovi a giocare a rimpiattino con un povero prete afflitto dalla sciatica. Maggie allora si alza e mi prepara la camomilla, ma capirete anche voi che non è la stessa cosa. Sono sei anni che dura questa storia e non vi parrà poi tanto strano se alle volte, invece di chiedermi « dove sia », finisca per domandarmi « se ci sia ».

Paul                               - Voi mi atterrite.

Eyckens                        - Quali consolazioni mi sono state concesse? A quale scopo ho recitato diligen­temente la mia parte, per tanti anni, se ora... alle soglie del Nulla, la Sua presenza non mi conforta? (Iroso) A quale scopo mi sono fatto prete!

Paul                               - Vi siete fatto prete per gli altri, non per voi.

Eyckens                        - Non per me?... Voi non sapete che cosa significhi sentire la vita che ci abbandona. Ma un giorno anche voi avrete la mia età; le vostre mani tremeranno come le mie sfoglian­do la Bibbia. Le parole dei Profeti e dei Re si confonderanno nella vostra mente con i pet­tegolezzi della parrocchia. Troverete che è un libro inutile; che tutto è stato inutile, poiché questa nostra esistenza che ci sembrò così bel­la non fu che un sogno fuggente al quale sta per essere apposta la parola « fine».

Paul                               - Avete talmente paura di morire?

Eyckens                        - Voi fingete di non averne?

Paul                               - E la morte di quel ragazzo non vi fa paura?

Eyckens                        - La morte di quel ragazzo non è la mia!

Paul                               - Ne siete così sicuro? (Maggie rientra con il mantello per Paul. Ha infilato anch'essa un impermeàbile d'incerato nero che le arriva sino ai piedi, munito di cap­puccio. Regge per la maniglia una grossa lan­terna già accesa).

Eyckens                        - (ansimante) Tacete; mi avete tor­mentato abbastanza... Mi sono sgolato per farvi comprendere che il vostro gesto è vano e se­dizioso... che cosa andate a fare su quel muc­chio di macerie da cui sarete presto scacciato? Gli altri, più accorti di voi, non hanno prefe­rito ritirarsi?

Paul                               - Non vi sembra un buon motivo perché almeno uno rimanga? La semente, signor Pa­store. O preferite che la terra inaridisca pur­ché nessuno disturbi la vostra quiete? Avete detto poc'anzi che non vi siete mai incontrato con Lui; sapete di chi parlo. Ma posso chie­dervi dove lo cercate? Vi siete vantato di non essere mai sceso nei Quartieri Bassi, per non caricarvi di pidocchi. Ed ora mi chiedete che cosa vada a fare su quel mucchio di macerie: non avete ancora capito che Egli è là? Gli altri, i più accorti, hanno rinunciato; ma potete credere per un solo istante che abbia rinun­ciato anche Lui? E se Lui non lo ha fatto, pos­siamo farlo noi?... Addio reverendo Eyckens. Tra poco giungerano i minatori del turno di notte; prima che sfilino davanti a quel tumulo io avrò raggiunto il mio posto.

Eyckens                        - E tu, Maggie?

Maggie                          - Il mio posto è vicino al suo, papà. (Il temporale si scatena paurosamente. Paul e Maggie escono e si allontanano sotto la pioggia. Per un buon tratto si scorgerà la fiammella della lanterna di Maggie).

Eyckens                        - (con disperazione) No, Maggie, tu no! Dove vai? Torna indietro, Maggie, te lo ordino! Non abbandonarmi, Maggie, ti pro­curerò un buon marito! Non lasciarmi so­lo, Maggie!... (Chiama prolungatamente. E' uscito dal salotto. Le raffiche lo ricacciano in­dietro. Sperduto) Perché mi abbandona? Per­ché mi lascia solo?... Lo vedi anche Tu, Signo­re: sono solo! Mi faceva da infermiera; era lei che scopava, rassettava... (Ribellandosi) Per­ché hai permesso che se ne andasse! Diceva le mie preghiere, non tornerà più! Perché an­che Tu mi perseguiti!  Che cosa mi rimproveri? Ho difeso le gerarchie contro gli innovatori credendo sinceramente che fossi Tu a volerlo. Perché non hai detto subito che quelle gerar­chie non erano le Tue? Perché mi hai lasciato libero di peccare? Non lo sapevi che una volta o l'altra ci sarei cascato? (Sfinito, confonden­dosi) Io fui il più negletto dei Tuoi servi... for­se non meritavo che questo. Ma allora... che! cosa pretendi?... che cosa avrei dovuto fare? Non lo so, Signore... non l'ho mai saputo... Tu non me lo hai detto. Ed ora dove vuoi che vada, così vecchio... dove debbo andare? Las­sù?... (Muove qualche passo alla cieca, ince­spicando) Dillo Tu, se debbo... dammene Tu la forza... (Cade in ginocchio, piegato in due, battendosi debolmente il petto) Chi se non Tu?... Fammi andare, Signore... fammi andare... (Buio completo nel salotto. Subito, a brevi in­tervalli, vicini e lontani i rauchi richiami delle sirene. Rapidamente il temporale cessa, le nubi si squarciano e lasciano trasparire la luna che illumina le macerie del pozzo. Sullo spiazzo appaiono le sagome dei minatori del turno di notte, dirette con passo pesante verso i pozzi-Musica in sottofondo. Riappare sopra le ma­cerie la lanterna dì Maggie che dondola in se­gno di saluto).

FINE