Il cresimato

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PADRE

IL CRESIMATO

Di Karl Valentin

Personaggi:

Il Padre

Beppe il figlio

Il cameriere

(Il sipario è aperto. Ambiente taverna squallida, parte una musica. Dalla sala entrano Il Padre e Beppe. Il padre avanza lentamente mentre Beppe il figlio saltellando sale sul palco).

(Durante questa scena si sentono in lontananza delle esplosioni).

BEPPE.                      Vieni papa, qui c’è un tavolo libero (ride)

PADRE.                     Smettila di ridere a quel modo, imbecille!

I due si mettono a sedere, si guardano in giro per cercare un cameriere e fanno un fischio.

PADRE.                     Ehi, cameriere, due mezze!

CAMERIERE.           I signori desiderano?

PADRE.                     Due mezze birre e un po' di pane.

CAMERIERE.           Spiacente, qui non serviamo birra.

PADRE.                     Mica vogliamo che ce la regaliate, la paghiamo, s'intende.

CAMERIERE.           Voglio dire che qui non teniamo birra, solo vino... C'è l'obbligo di consumare vino.

PADRE.                     E va bene, allora ci porti due vini obbligati.

CAMERIERE.           Le porto la lista.

Beppe ride e non fa che guardarsi l'orologio.

CAMERIERE.           Ecco, prego, la lista dei vini e quella delle pietanze. Faccio presente a lor signori che tra poco avrà inizio uno spettacolino di Cabaret, spero che lor signori ne siano felici (Esce).

PADRE.                     Hai visto che fortuna Beppe, c’è anche uno spettacolo. Cos'è che ti farebbe piacere, visto che sei stato così bravo alla cresima, oggi puoi sceglierti qualcosa di speciale. Cosa ti piacerebbe? Parla... su, parla, cosa vuoi?

BEPPE.                      Vorrei dell'Emmental.

PADRE.                     Perché? Hai fame?

BEPPE.                      Sì.

PADRE.                     Mi sa che qui non ce l'hanno mica, l'Emmental. (Guarda la lista dei vini) Sì che ce l'hanno, ma qui si chiama in un altro modo, lo chiamano Affenthal. (Fa un fischio).

CAMERIERE.           Prego? I signori hanno già scelto?

PADRE.                     Per Beppe un pezzo di Affenthaler, e sale e pepe.

BEPPE.                      Sì, e due brezel.

CAMERIERE.           Vuoi dire una bottiglia di Affenthal?

PADRE.                     No, un pezzo di Affenthal.

CAMERIERE.           L'Affenthal c'è solo in bottiglia.

PADRE.                     In bottiglia? Lo tenete in bottiglia, voi, il formaggio?

CAMERIERE.           L'Affenthal è sempre in bottiglia.

PADRE.                     E da quando?

CAMERIERE.           Da quando esiste l'Affenthal.

PADRE.                     E come facciamo a farlo uscire di lì? Non possiamo mica tirar fuori il formaggio col cavatappi!

Beppe ride.

PADRE.                     La vuoi piantare una buona volta di ridere come un deficiente! (Furibondo, gli molla un ceffone. Beppe si mette a piangere) Tutto il giorno così, non fa altro che sghignazzare, quell'imbecille!

Beppe ricomincia a ridere.

CAMERIERE.           Via, santo cielo, è allegro perché è giovane.

PADRE.                     Anch'io un tempo ero giovane, forse più giovane di lui.

CAMERIERE.           Allora, vuoi bere un Affenthal?

PADRE.                     Perché bere?

CAMERIERE.           L'Affenthal è solo da bere.

PADRE.                     Oh bella, ma è così molle?

CAMERIERE.           Il ragazzino gradisce forse una limonata?

BEPPE.                      Sì.

PADRE.                     Gliene porti una rossa, e che sia molto dolce.

CAMERIERE.           Limonata anche per lei?

PADRE.                     Ci mancherebbe, a me mi porti una grappa!

CAMERIERE.           Quale gradisce? (Legge la carta dei liquori) Allasch, kirsch, grappa di prugne, rum, cognac, amaro, liquore alle erbe...

PADRE.                     Non così tanti, uno solo!

CAMERIERE.           Aurum, Macholl, Sant'Emeran...

PADRE.                     Ah, c'è il Macholl, sì, voglio quello.

CAMERIERE.           Allora, una limonata e un bicchierino di Macholl.

PADRE.                     Come un bicchierino? Io voglio una bottiglia, un bicchierino a me basta guardarlo che è già bell'e vuoto. Porta una bottiglia.

CAMERIERE.           Una bottiglia intera forse le costerà troppo.

PADRE.                     Badi ai cavoli suoi.

CAMERIERE.           E da mangiare i signori cosa desiderano? (Legge la lista delle vivande) Ci sarebbero maccheroni al prosciutto.

BEPPE.                      Sì.

PADRE.                     Ne vuoi? (Al cameriere) Allora li porti.

CAMERIERE.           Grazie. Allora due porzioni di maccheroni al prosciutto.

PADRE.                     Eh no, una.

CAMERIERE.           Ah, una sola.

BEPPE.                      Sì, una per uno.

CAMERIERE.           Appunto, allora due porzioni.

PADRE.                     No, no, una, ma per due.

CAMERIERE.           Insomma, ne vuole una o ne vuole due?

PADRE.                     No, io per me ne vorrei solo una.

CAMERIERE.           Allora due, insomma?

PADRE.                     No, una per noi due.

CAMERIERE.           Vuol dire una porzione doppia?

PADRE.                     Sì, una semplice porzione doppia.

CAMERIERE.           Santo cielo, devo portare una porzione o devo portarne due?

PADRE.                     Portane una e aria, corri, altrimenti...

CAMERIERE.           Io intanto gliene porto una. (Esce imprecando) Che razza di gente, non sanno neanche cosa vogliono, ma perché non se ne vanno da un'altra parte, in una bettola di campagna... roba da matti!

PADRE.                     Che cos'hai da brontolare, tu, là...? Piantala di fare le bizze, sennò ti tiro via la giacchetta!... Ma tu dimmi, Beppe, qui il formaggio lo mettono in bottiglia! Ecco perché non si dovrebbe mai metter piede in un posto del genere, in una taverna. Ora si dice taverna, prima si chiamavano osterie. Qui son pieni di schifezze alla moda.

(Prende una presa di tabacco da naso e fa per fiutarla. Beppe gliela fa cadere) Non urtarmi, cretino. Adesso dappertutto ci fanno dentro una taverna. Sarei curioso di sapere che ne sarà dello Hofbràuhaus fra dieci anni. (Tenta una seconda volta di fiutare tabacco).

BEPPE.                      Bada che quello torna subito. (Da al Padre un altro spintone).

PADRE.                     È già la seconda piramide che mi fai cascare, guarda che adesso sbatto giù tè! (Fiuta molto rumorosamente il tabacco).

CAMERIERE.           Prego, la limonata per il ragazzo e per lei il suo liquore. Alla salute!

PADRE.                     Eccoti qua, tesoro. (Da una pacca sul sedere al cameriere).

CAMERIERE.           Come si permette?

PADRE.                     Ah, credevo di essere da Maria, allo Hofbràuhaus.

Il Cameriere esce.

PADRE.                     Bene, Beppe, buon prò ti faccia, oggi abbiamo già bevicchiato ben bene.

BEPPE.                      Cin cin, papa, ah, oggi sì che è una pacchia... Guarda, papa, che ridere!

PADRE.                     Ma cosa stai facendo?

BEPPE.                      Bolle di sapone.

PADRE.                     Tè le faccio vedere io le bolle di sapone, con quello che costa la limonata! (Rimesta con la cannuccia e la rompe).

BEPPE.                      Ecco, l'hai rotta, vedrai adesso quando torna quello!

PADRE.                     Tanto, qui dentro non c'è che robaccia, basterà dire che era già rotta.

BEPPE.                      Sì, dai, facciamo così, almeno non se ne accorge. Cin cin, papa; oggi sì che è una pacchia.

PADRE.                     Cin cin, Beppe; ecco, ora puoi fumare il tuo primo sigaro. (Fa un fischio).

CAMERIERE.           Prego?

PADRE.                     Un sigaro per il ragazzo, che sia leggerissimo, perché non ha mai fumato.

CAMERIERE.           Subito. (Esce).

PADRE.                     Come sarebbe contenta la mamma se ci potesse vedere in questo momento! Diceva sempre: mi basterebbe arrivare a vedere quel giorno, ma purtroppo se n'è andata nel numero dei più.

CAMERIERE.           Prego!

PADRE.                     Glielo accenda, su Beppe, aspira forte. (Al Cameriere) Pensa che scoppierà?

CAMERIERE.           Mah, vedremo.

PADRE.                     Già, ma quando la vedremo sarà troppo tardi.

Il Cameriere esce.

PADRE.                     Cerca di aspirare forte, fagli prendere un bel colore. Devi dire a te stesso che oggi è il più bel giorno della tua vita... Si è giovani una volta sola, credi a me. (Canta) Bella è la gioventù nei tempi allegri, bella è la gioventù, che non torna più.

BEPPE.                      Ah sì, la so anch'io questa vecchia boiata. (Canta insieme al Padre) Alla salute, papa, oggi sì che è una pacchia!

PADRE.                     Ricordatelo, nella vita si è giovani una volta sola...

BEPPE.                      (canta) Ecco perché torno a dire...

PADRE.                     Cos'è che dici, Beppe?

BEPPE.                      Ma no, ho solo cantato: ecco perché torno a dire...

PADRE.                     In questo ti do ragione, non lo si ripete mai abbastanza.

BEPPE.                      Eh certo... Ecco perché torno a dire...

PADRE                      (lo sbatte giù dalla sedia). Ora riattacca un'altra volta con quella sua stupida gioventù!

BEPPE.                      Smettila, se non vuoi farmi girare...

PADRE.                     Siediti qua! Ti ho detto di sederti immediatamente qua! Bestiaccia che non sei altro!

BEPPE.                      Cosa vuoi, legarmi al guinzaglio?

PADRE.                     Chiudi il becco!

BEPPE.                      Che bisogno avevi di sbattermi giù? Io non ti ho mica buttato giù!

PADRE.                     Vorrei vedere! Siediti qua!

BEPPE.                      Se mi si rompe l'orologio nuovo è un guaio, vero? Credo di aver tirato troppo la molla.

PADRE.                     Io a tè ti tiro il collo, così tè ne accorgerai. Pensa piuttosto al tuo futuro, non sai ancora cosa vorrai fare da grande.

BEPPE.                      Avremo tempo di pensarci.

PADRE.                     Non sai ancora cosa ne sarà di te un giorno. Beppe, Beppe, pensa quante cose potresti ancora diventare!

BEPPE.                      Già, son curioso anch'io.

PADRE.                     Devi credermi, oggi sono tutto felice, se penso d'esser riuscito a vivere questo giorno.

BEPPE.                      Anch'io, sarebbe stato un peccato se non l'avessimo potuto vivere!

PADRE.                     Se non ci fossi stato io a aver pietà di te, nessuno al mondo ti avrebbe fatto da padrino alla cresima!

BEPPE.                      Sì, se non l'avessi fatto tu oggi non mi restava che andarmene in giro tutto solo con la mia candela...

PADRE.                     Tutti te l'avevano promesso, tutti dicevano: sì, gli farò io da padrino di cresima a tuo figlio, e poi, quando siamo arrivati al dunque, se la son squagliata tutti. Ricordatelo, Beppe, in tempo di bolletta dieci amici per una michetta. Lo zio tè l'aveva dato per sicuro no? E ora ti ha bidonato. Perché non ti ha fatto da padrino? Perché non ha una lira, perché non poteva comprarti l'orologio. Io si che ti ho fatto da padrino, io si che ho mantenuto la parola. Io ho fatto da testimonio.

BEPPE.                      Sì, è vero.

PADRE.                     Cosa avevi prima di fare la cresima?

BEPPE.                      Niente.

PADRE.                     Non avevi neanche un vestito, saresti dovuto andarci nudo.

BEPPE.                      Be', almeno il costume da bagno me lo sarei messo.

PADRE.                     Non avresti avuto un vestito, non avresti avuto il bottone della camicia, niente calzini, niente camicia, niente carattere, non avresti avuto niente salvo la tua stupidissima testa.

BEPPE.                      Già, e quella mi viene da te.

PADRE.                     Ricordo ancora benissimo quanto m'è toccato girare per trovare un vestito per il ragazzo. Quello non le merita mica, le cose che ho fatto. Sono stato in tutti i riformatori d'abiti di Monaco, da Isidor Bach, da Knagge e Peitz, da Isidor Kustermann, da Heilmann e Littmann, da nessuna parte son riuscito a pescare un vestito da prima comunione.

(Beppe fuma il sigaro, si sente male, ed esce. Entra il Cameriere, serve le bibite ed esce. Il Padre è solo).

PADRE.                     E se anche l'avessi trovato, un vestito da prima comunione oggi costa sessantacinque marchi, sì, sì, ci mancava altro, uno del ceto medio come me non se lo può mica permettere di mettere uno sull'altro sessantacinque marchi per il proprio figlio; mica sono un borghese io, io i soldi devo guadagnarmeli a forza di gomiti, così ho pensato, se non posso comprarne uno nuovo comprerò un vestito da comunione usato da qualche signore, sono andato da tutti i robivecchi, ho fatto girare la voce in tutte le mie osterie, niente, avevo perso ogni speranza. Nel frattempo senza chiasso mi capita un'occasione. Viene a casa mia il Franz Erlacher, un vecchio amico, un mio compagno di guerra, nel settanta stavamo assieme a Deisenhofer, spalla a spalla, petto a petto, proprio in riva all'Isar, era così umido, be', lui aveva saputo che volevo comprare un vestito da prima comunione. È un vero piacere, Franzi, gli ho detto, dico, ma non è detto che se va bene al tuo ragazzaccio vada bene anche a mio figlio... Insomma, meno parole, il Franz Erlacher porta il vestito, il Beppe se lo mette... e gli andava bene! (Da un pugno sul tavolo) Mai e poi mai credevo che gli andava bene al Beppe il vestito, lui il ragazzo non lo conosceva — non lo conosceva per niente — ma insomma, sì, come dicevo, l'Erlacher porta il vestito, la Beppe se lo mette e... gli va bene. (Da un pugno sul tavolo) D'accordo, le maniche erano un po' lunghe, va be', la mamma poi a casa le taglia, ma insomma è proprio una faccenda straordinaria. E per di più quello là vuole regalarmi il vestito... no, gli dico, Franzi, così non va, mi fa un piacere enorme che tu me ne fai omaggio, ma anche se per me è il più grande onore con tutto questo la cosa non può andare liscia, perché anche tu sei un povero diavolo come me e se mi vuoi dare il vestito dobbiamo regolare la questione finanziaria. Su questo punto io non transigo, non voglio pettegolezzi sul mio conto. Ma come dicevo lui porta il vestito, il Beppe se lo mette... e gli va bene, questo è il formidabile della cosa! Bisogna sapere che lui non aveva mai visto il ragazzo nemmeno con mezzo occhio. Lui non conosce il ragazzo, il suo magari è un povero sgorbio, ma il mio è un fiore di bellezza. Ma insomma, come ho detto, il Franz Erlacher porta il vestito, il Beppe lo prova... e gli andava bene! (Da un pugno sul tavolo e cade a terra lungo disteso) Ohe, son cascato come una pera cotta... se non conosceva il ragazzo... è questo l'incredibile... ma insomma, cosa diavolo...? (Cerca di rialzarsi ma scivola sempre a terra coi due piedi) Alla mia veneranda età mi tocca ancora imparare a andare in bicicletta.

BEPPE.                      (arriva piangendo) Papa, mi sento tanto male.

PADRE.                     Anch'io.

BEPPE.                      Papa, voglio andare a casa.

PADRE.                     Anch'io.

BEPPE.                      Su, alzati.

PADRE.                     Se potessi, mi alzerei.

BEPPE.                      Ma cos'hai?

PADRE.                     Il singhiozzo.

BEPPE.                      Sfaticato, si butta subito per terra! (tira su il Padre. Il Padre continua a cadere. Beppe continua a rimetterlo in piedi) Su, alzati, mi sento tanto male anch'io.

PADRE.                     (canta) Sul bel prato verde si sente suonar...

BEPPE.                      Ma sta' zitto! (Il Padre ricasca a terra. Beppe impreca) Dai, non essere così disgustoso...

PADRE.                     Io ho combattuto per il re e per la patria!

BEPPE.                      E chi se ne frega. (Il Padre ricasca a terra) Ora ne ho abbastanza, la prossima volta ci vai da solo, alla cresima. (Il Padre ricade) Siediti su una sedia se non sei più capace di stare in piedi! (Il Padre ricasca a terra con tutta la sedia) Mi pare d'impazzire.

CAMERIERE.           (entra con le pietanze) Santo cielo, cosa è successo? Che succede, ma che diavolo, si alzi, subito, le pare questo il modo di comportarsi?

BEPPE.                      Non sono stata io, è stato lui.

CAMERIERE.           M'importa assai. Questo è un locale distinto. Non è un posto ne per lui ne per tè.

BEPPE.                      È che beve sempre troppo, quel vecchio gorilla.

PADRE.                     (al cameriere) Io sono un uomo d'onore, tientelo per detto!

CAMERIERE.           (raccoglie tutto e mette il mangiare sul tavolo) Ecco, ora sbrigatevi a mangiare i vostri maccheroni. Il vostro modo di comportarvi è intollerabile. (Al Padre) Non ho ragione? Deve riconoscerlo anche lei!

BEPPE.                      Cosa vuole che senta, quello.

PADRE                      (canta).

CAMERIERE.           (dopo aver riordinato il tavolo) Avanti, si metta una buona volta seduto e se ne stia tranquillo, sennò la faccio sbattere fuori. (Esce).

BEPPE.                      Ecco, ci sei riuscito, adesso finisce che ci buttano fuori, proprio il giorno della mia cresima. Ora tè ne stai tranquillo una buona volta seduto, ubriacone d'un barbagianni.

Tutti e due cominciano a mangare. Beppe con la candela butta giù i maccheroni dal piatto del padre.

PADRE                      Ma devi sempre tenere in mano quella stupida candela, quando mangi? (Gli toglie di mano la candela e ora è lui che mangia con la candela, ci avvolge intorno gli spaghetti, la infila nel taschino del panciotto, la ritira fuori, la infila in bocca a Beppe mentra sta mangiando. Beppe strilla. Il Padre getta a terra gli spaghetti, il tavolo si rovescia, lui si infila tutti gli spaghetti in tasca. Beppe ha uno spaghetto in bocca, il Padre glielo tira via).

BEPPE                       Dov’è il mio cappello? Vieni scappiamo.

PADRE                      Si, così non ci tocca nemmeno pagare il conto.

Tolgono i loro cappelli dall’attaccapanni e se li mettono in testa. Beppe porta fuori il Padre sulle spalle.

CAMERIERE            (entra) Fermi, il conto, il conto!

FINE