Il Crispo
Di Annibale Marchese
PERSONAGGI
COSTANTINO MAGNO
Imperadore
CRISPO
suo figlio dichiarato Cesare
FIRMIANO
maestro di Crispo
FAUSTA
moglie di Costantino
FLAVIANA
sua nutrice
LICINIO
nipote di Costantino dal medesimo fatto Cesare
FLAVIO
figlio di Flaviana, capitan delle guardie di Crispo
LETO
capitano delle guardie di Costantino
La Scena è in Roma
ATTO PRIMO
Scena prima
COSTANTINO, CRISPO e FIRMIANO
COSTANTINO
Degno mio germe, per cui sol vedrassi
A l'orgoglioso persa, al fero scita
Al german ribellante, a la feconda
Scandia di gente a gran disagi avezza
Imporre il giusto freno, e al nostro impero
Fondar con alta gloria eterna pace,
Spero sia pago il giovanile ardente
Desio d'onor, che nel tuo petto ferve,
Or ch'a novelle imprese appresto e scelgo
La tua mente, il tuo braccio; ecco omai pronte
Le schiere, ch'a le antiche in Asia aggiunte,
Scompiglieran sotto il tuo brando invitto
De’ barbari incostanti i rei disegni.
Va’, vedi, pugna, se fia uopo, e vinci,
E trionfante al Campidoglio riedi,
Per volger poi l'arme vittrici altrove.
CRISPO
L'alto desio, padre e signor, che accende
Mio cor, è sol d'essere ognor qual deggio
Del grande Costantin figlio ben degno;
Ma troppo al mio voler contrasta e opponsi
La mia felicità, che a l'opre vostre
Vieta le mie render simili in parte.
Qual in voi splenda alto valor sovrano
Si vide aperto all'or che, dal geloso
De la vostra virtù Galerio indutto,
A le sarmate schiere andaste incontro,
Quasi a certo periglio, e del lor duce
Fra lacci avvinto a lui feste il bel dono
Per lo temuto donator non caro;
E allorché vi scagliaste a la feroce
Belva per compiacergli, e ‘l teschio orrendo
Troncaste sì che ancor Roma v'applaude,
E gli schermi leggiadri, onde i disegni
Al tiranno spezzaste, a Roma e al mondo
Appien son conti; or se di virtù raggio
In me riluce, e da non miei splendori
Abbarbagliato e vinto io rea fortuna
Mai non sostenni, onde mostrar potessi
Fortezza intera, ognor d'Augusto figlio
E del più chiaro Augusto in ogni ‘mpresa,
Non che compagna, ebbi la sorte ancella.
COSTANTINO
A l'umana virtù guerra più dura
Fa la benigna che l'avversa sorte,
Tal che ne l'una ben chiaro dimostri
Qual ne l'altra saresti: è troppo noto
L'alto valor, che per mia gloria adorna
Tuo petto, e di tuo nome è pieno il mondo.
Sallo ben l'Istro e ‘l Ren, che non più d'acque
Che di sangue portaro al mar tributo
Per tua cagion, per te d'uomini estinti,
Che seguir per Licinio il forte Amando,
E di rostri, e d'antenne, e d'armi infrante
A l'Ellesponto fur oppresse l'onde,
E di nuovo per te l'Asia sue piagge
Vedrà del sangue suo fatte vermiglie,
Se non cangia pensiero. Al nuovo giorno
In tanto io vo’ che l'apprestate schiere
Tu ‘ncominci a condur là dove imposi.
CRISPO
Sovra ogn'altra virtude onoro e colo
Quella, signor, che voi padre ed Augusto
Ad ubbidir m'insegna, onde igualmente,
O se a le dubbie imprese io muovo i passi,
O se quivi ozioso e ‘nutil resto,
M'aggrada sol ch'io il voler vostro adempia.
Ciò natura e ragion m'impone, e forte
Ne la tenera mente ancor lo ‘mpresse
Questa, che desti a me, saggia e fidata
Scorta, ond'io possa ognor securo e lieto
Poggiar là dove il sommo bene ha il soglio.
COSTANTINO
O età felice in cui rifulge uom tale,
Che co’ detti e con l'opre il ver sentiero
Di virtù mostra. Firmian, ben degno
Sei di mie laudi e de l'amor mio tutto,
Se a render sì perfetto il mio figliuolo
V'ebbe gran parte lo tuo studio e zelo.
FIRMIANO
Suo generoso spirto e ‘l nobil vostro
Sangue ch'è in lui, e ‘l sol porgli davanti
La chiara storia di vostre opere eccelse
Lo fer sì glorioso e giusto, o sire.
Ne gli altri figli di possenti Augusti
Ebber difetti di maestri e norme
A farsi ta’ quai poscia unqua non furo.
COSTANTINO
Ciò non renda minor tua gloria. Intanto
Ir voglio, o Crispo, al campo, ed ivi in mostra
Veder le schiere tutte, or, se t'aggrada
Venir, mi segui e, se star vuoi, rimanti:
Ch'è nostra voglia sol ciò che a te piace.
CRISPO
Vuol non lieve cagion, se mel consente
Vostra bontà, ch'io qui rimanga.
COSTANTINO
Adunque
Resta, che ‘l meglio ognor so che disponi.
Scena seconda
FIRMIANO e CRISPO
FIRMIANO
Deh perché, signor mio, d'Augusto i passi
Non seguitaste? e qual or qui richiede
Opra degna di voi vostra presenza?
CRISPO
Sai, Firmian, che nostre schiere a prova
M'onoran tutte, e i più festanti e chiari
Gridi levano al ciel quando vi giungo,
Sì che temo io che più di Crispo il nome
Che quel di Costantin sonar s'udria,
S'io seco andassi, e ciò dritto non parmi.
FIRMIANO
Degno è ‘l pensier d'uom giusto, accorto, e saggio,
Più che di figlio, i cui be’ vanti al padre
Apportan gloria sovra ogn'altra cara.
CRISPO
Altro pensiero, o mio fedel, confonde
Mia dubbia mente, e tuo consiglio or cheggio:
Partir già debbo, e pria ragion richiede
Ch'io men vada a ’nchinar Fausta; costei,
Seguendo di madrigna il rio costume,
Se a caso il guardo a me volge, s'attrista,
E cangia più color che Proteo aspetti,
Sì che il non gire a lei parmi villana
Rozzezza e, se vi vo, noia le apporto,
E l'uno e l'altro a me di pari incresce.
FIRMIANO
Se ‘n lei nasce il dolor da suoi difetti,
Il duol pena le sia de l'ira ingiusta;
Né difender da quel voi la dovete
Col proprio fallo.
CRISPO
Or dunque, se ‘l consigli,
Pria si scosti più il sol dal mar profondo,
Indi, l'invida mia noverca irata,
Il nostro aspetto o voglia o no sostenga.
Scena terza
FAUSTA e poi NUTRICE
FAUSTA
Potesse il Reno, oimè, potesse il Gange,
O pur l'onda del Nilo, ov'ha più mostri,
O ‘l mar che agghiaccia, o quel che al sol più ferve
Smorzar in me l'infame indegna fiamma,
Ch'al tristo cor s'apprese, e ‘l preme, e l'ange.
Credea che chiusa in seno al fin dovesse
Scacciarne l'alma disperata, e trarmi
Di tanti affanni, ma lassa m'avveggio
Che, circondata dal rio foco, anch'ella
Uscir non può; talor penso e dispongo>
D'aprirle in questo cor novella porta
Col duro ferro, ma pensier m'affrena,
E mi dice, deh vivi, e spera omai
Ciò che morendo unqua sperar non lice.
Ma che lice sperar s'io vivo? Ah ‘ndegno
Di madrigna e d'Augusta empio pensiero
Cessa una volta d'impedir mia morte,
O almen tu mi consiglia, or che non posso
Tacer più il duolo, e disvelar nol deggio.
NUTRICE
Augusta, e sarà ver che prieghi e pianti
Io supplicante in van porga e diffonda,
E a la mia fede, e al mio materno affetto
Nieghisi ciò che per ben vostro io chiedo.
Sospetta io vi sarò che a mille prove
Qual mi sia ben sapete? ed al mio ‘ngegno
Confidate sì poco, onde si debba
Tacer ciò che voi strugge e me consuma?
FAUSTA
Cara nutrice, a’ tuoi pietosi pianti
Indurai mio mal grado il tristo core,
Credei che meglio era morir tacendo,
Che parlando svelar ciò che non lice.
Or conosco io che le più volte morte
Fugge crudel dal misero, se vede
Che può giovarli, e ancor tacqui finora,
Poich'esser mi credea mai sempre in tempo
A dir miei danni, or questa speme ancora
Fia che declini col sol d'oggi, e questo
Cresce al tristo pensier novelli affanni.
NUTRICE
Or tutto intendo, è l'odiato Crispo
Cagion del vostro duol, morto il bramate,
E, perché al nuovo sol partirsi deve,
Temete, non in vano, allor ch'è lungi,
Apriate a me ciò che ‘l cuor vostro brama.
FAUSTA
Non l'intendi che ‘n parte (a che più taccio,
Che più resisto al fato?) è ver ch'è Crispo
De’ miei danni cagion, ma non de l'ira.
Ah mia fedel, colui, che obbietto e segno
Era de l'odio mio, sappi che tutta,
Ahi vergogna, ahi dolor! l'alma mi scalda
D'ira non già, ma del più ‘ntenso amore.
NUTRICE
Ma come in voi cedeo tant'odio loco
Ad un amor di lui più indegno e fero?
FAUSTA
Quand'io di nuova maschia prole Augusto
Fei lieto, al bel figliuol di Minervina
Incominciai tentar ingiusta morte,
Ma ‘l bel garzon tal grazia e leggiadria
Mostrava in volto che pietà mi vinse,
E sparsi a terra il venenato nappo
Che tu apprestasti; indi con gli anni e’ crebbe
In beltade e ‘n valor, onde felice
In guerra e ‘n pace è sì pregiato e caro
Al popolo, al senato ed a le schiere,
Tal che quel che ‘n me prima era pietade,
Poscia, né so dir come, amor divenne.
Amor, che m'empie il cor, la mente, il petto,
L'ossa, le vene, e quanto è ‘n me di foco,
Di desir, di sospetto, e di timore,
D'orror, di dubbio, di vergogna, e d'ira.
NUTRICE
Lasciate al vulgo vil querele e pianti,
Del gran Massimian voi figlia altera,
Nulla sgomenti, e ne le avverse cose
Al rimedio si pensi. Or che v'arresta
A scoprir vostro amor? Forse vergogna,
Passion degna sol d'alma plebea,
O van timor che a lui sì bella sorte
Non sia gradita, o ch'altri mai ciò sappia,
O ‘l Cielo, in cui d'amor fiamma sovente
S'apprese: fallo di Vulcan la moglie,
Che tante volte or fu di Marte in seno,
Or del mortal Adone, ora d'Anchise,
Da cui deriva e scende il vostro sposo,
E per lui Crispo: e ancor la Casta Dea
De’ boschi in grembo a Endimion si giacque.
Che dirò d'altri? Il gran Tonante stesso,
Che par che irato ognor fulmini avventi
Ver chi offende le leggi, egli arse ancora
Per l'altrui mogli, per donzelle, e ninfe
De l'adultera fiamma, e ‘n bianco toro,
E ‘n avrea pioggia, e in altre stranie forme
Cangiossi per gior di lor beltade:
Che se al Ciel non piaceva il vostro ardore,
Difender vi dovea da chi l'accese,
Ver cui forza mortal che può, che vale,
Se la superna ancor vinta li cede?
FAUSTA
Il tuo dolce parlar fa meno indegna
La mia fiamma al pensier, ma qual poss'io
Sperar da Crispo mai grato conforto?
NUTRICE
Quel ch'ebber già mille madrigne e mille
Da’ freschi figli de’ lor vecchi sposi,
E che vergogna iguale asconde e cela
Più che tutt'altri amor, di cui la donna
Sola n'arrossa, e l'uom talor si vanta.
E se più ‘n alto vostra speme il volo
Erger vorrà, due volte al solio Roma
Giulia adorò pria con Severo, e poscia
Col di lui figlio Caracalla, e al grembo
Stesso l'accolse, in cui svenato in prima
Le avea Geta suo figlio e a lui germano.
FAUSTA
Tolga il destin che io mai brami la morte
Al mio sposo innocente, e al Ciel piacesse
Che dal petto scacciar potessi il foco
Senza macchiar suo letto, anzi me stessa.
NUTRICE
Dunque pensiam solo a’ furtivi amori,
Agevoli nel vero: è Crispo molto
Gentile e grato. E qual ferrigno petto
A’ dolci assalti di sì bel sembiante,
A’ cari prieghi d'un'amante Augusta
Non piegherebbe intenerito e molle.
FAUSTA
O dolce madre mia, fido sostegno
D'ogni mia speme, or quali odo diversi
Dal tu’ antico parlar detti e consigli!
O come per mio ben cangiasti a tempo
D'onor, di fasto le sentenze gravi
In queste sì pietose a’ miei martiri.
NUTRICE
Allor che il vostro genitore Augusto,
Per la più saggia me tra mille scelse
A la vostra custodia, e’ sì mi disse:
“Questa mia figlia a te do ‘n guardia, in lei
Di virtude e d'onor desta pensieri.
Fin che non sieno a lei dannosi”. E’ tacque,
Scorgendo che i suoi sensi appien compresi.
Ed egli ancor con tai saggie e prudenti
Regole sì ben resse il vasto impero.
Or che onore e virtù vi nuoce, ad altro
Si badi che al dover. Crispo si tenti,
Che cadrà tosto. Or non più indugi, io vado.
Qui fra poco mi avrete.
FAUSTA
Ah ferma, e lascia
Ch'io me vi pensi.
NUTRICE
Anco il pensier contrasta
Al vostro ben, se poco tempo avanza.
FAUSTA
Vanne, fa ciò che vuoi, poiché non posso
Altro sperar. Chi mai su rotta nave
Schivò ne l'Ocean profondo irato
Per sua vita salvar barbara terra?
Scena quarta
LICINIO solo
LICINIO
Già l'aquile superbe in mille insegne
Spiegansi, e ‘l suon de le guerriere trombe
A l'armi invita. Ma di Crispo il nome
Grida ogni schiera, e di Licinio tace.
Io che del nome e del gran genio erede
Son di chi a Roma con lo ‘ngegno e l'armi
Tanto giovò, che ‘l meritato impero
In premio n'ebbe, or suo non degno figlio
Pigro qui resto ammiratore umile
De le ‘mprese di Crispo, e de’ suoi vanti,
Contento solo del cesareo nome,
Che dopo aver la vita e ‘l regno tolto
Al mio gran padre, con finta pietade
Lo scaltro Costantin mi diè per torlo
Poscia a sua voglia. Ah non sia ver che tanta
Viltade in me s'alletti, io vo’ ‘l paterno
Impero, io vo’ la giusta, aspra vendetta
Contra chi ‘l tolse ed or a me ‘l contende,
O punirò col ferro ognun che pensa
Farmi contrasto, o lascerò ben tosto
Questa vita, ch'a me senza il gran lavro
Incresce sì che l'odio più che morte.
Ma Flavio a me ne viene, in lui gran parte
De’ mie’ vasti disegni appoggio, a lui,
Ch'è d'ingegno e di man sagace e pronto,
Mi rendei caro, e m'affidai ben tutto.
E’ che di Crispo a la custodia è duce,
Ed ha madre sì cara a Fausta, e’ puote
Darmi a l'odio e a l'amor possente aita.
Scena quinta
FLAVIO e LICINIO
FLAVIO
Signor, la vostra fiamma appieno esposi
Di Fausta a la fedel cara nutrice,
Cui dissi ancor la somma cortesia
Che a me suo figlio ognora usar v'aggrada,
Tal ch'ella, che vi è ben grata, ed amica
Quanto può ne promette, e forse vana
La promessa non fia, fidate adunque
Lieto ne l'opra sua, nel nostro affetto.
LICINIO
Ah quando fia il bel dì ch'io solo in trono
Leggi al mondo darò per esser grato
Con alti premi, o Flavio, al tuo gran merto?
Dritto ben è ch'io teco sol comparta
Grazie, piaceri, onor, tesori, impero,
S'avvien che per te solo io goda e regni.
FLAVIO
Ampia mercè mi fia, signor, mirarvi
Nel solio, e sposo de l'amabil Fausta,
La cui beltade a gran ragion poteo,
Fra l'alte cure di vendetta e ‘mpero,
Loco trovar nel vostro saldo petto.
LICINIO
Desio di regno e di vendetta al core
Impresser lei che di me tutto è donna.
Ella, ch'è suora di Massenzio, e figlia
Del gran Massimian, che cadder ambo
Per Costantino ancisi, ha in mano i cori
Di que’ che al padre ed al german fur cari,
Senza parte rimasi al nuovo impero.
Stimando adunque lei mezzo ben destro
Al gran disegno, a lei volsi i miei sguardi,
In cui tanta virtude, ardir, bellezza
Veggio, o parmi veder, che più non l'amo
Perché mi può giovar, ma perché piace
Al cor che sì per lei arde e sfavilla,
Che ‘n lui ferve ugualmente, anzi ha più loco
L'amoroso desio che quel d'impero.
FLAVIO
Altra cagion più che l'amor sovente
Sospigne alcuno a bramar donna, e poi
Sì ne’ lacci d'amor si trova involto,
Che pur cessando le cagion primiere
Non s'arresta d'amar; ma già ver noi
Vien la mia genitrice, or da sua bocca
Potrete udir le sue fide promesse.
Scena sesta
NUTRICE e DETTI
NUTRICE
Tutto, signor, mi è noto, ogni mia possa
Userò per far voi contento appieno:
Che oprar non deggio per servir colui
Che al mio Flavio largisce onor cotanti?
Tolga il Ciel ch'io sia ingrata, e se ria sorte
Farà che ‘n van per farvi pago adopri
Quanto è di forza in me d'ingegno e d'arte,
Non ne incolpate le mie fide voglie.
LICINIO
De le speranze mie sostegno e lume,
Dimmi in qual guisa, e donde attender posso
Pace e conforto a’ miei desiri ardenti.
NUTRICE
Gran tela ordisco, ma sì dubbio il fine
Per or ne veggio, ch'io spero e pavento.
Alta e dura è l'impresa, e perciò degna
Del vostro cuore. Al fin Fausta è consorte
D'un ch'è donno del mondo, e che sì l'ama,
Pur destin forse amico a’ pensier miei
Scopre via tal, che non v'incresca s'io
Qual essa siasi a voi per or non svelo,
Che pria che ‘l sole in mar si tuffi, io spero
O far certe o troncar vostre speranze.
LICINIO
Qual fia mia sorte dal tuo labbro aspetto
In questo dì, tu mi consiglia intanto
Ciò che far debbo, e se de l'opra nostra
Hai pur bisogno.
NUTRICE
Quinci omai partite,
Che se ‘l disegno richiedesse vostra
Mano, o presenzia, a voi fia noto.
LICINIO
Io parto,
Da che ‘l consigli, ed or prometto e giuro
Che, allorché ‘l mondo adorerà me solo,
Essempio non più usato in me vedrassi
D'anima grata, e ‘n voi d'alte fortune.
[Epilogo]
CORO
O voi, che uscite dal tartareo fondo,
Invidia e Ambizion furie superbe,
Co’ neri vanni l'aer lieve e puro
Grave rendete e oscuro,
Ed in colmar del venen vostro il mondo
Spesso veder godete il suolo e l'erbe
Fatte sanguigne da fraterna guerra,
E a cui da l'empia terra,
U’ Pluto ha scettro, ognor sieguono l'orme
Sospetto, Ira, Menzogna e Tradimento,
E cui ogni altro enorme
Vizio a seguir non fu mai pigro e lento,
Deh, non turbate il roman ciel sereno,
Tengavi pur chi tutto regge in freno.
Sì che non strappi dal vipereo crine
Vostr'empia man per avventarlo a i petti
De’ nostri prenci alcun pestifer angue,
Che di foco e di sangue
Empiendo il patrio fiume e le latine
Magioni, Roma non paventi, e aspetti
L'ultime scosse dagl'ingiusti sdegni
De’ suoi primi sostegni,
Ed in mirar le nostre aquile altere
Tra loro urtarsi il persian nemico
Non rida, e un dì non spere
Alcun, cui pesa il nostro giogo antico,
Che a le parti divise alfine il frutto
De l'empia guerra sia struggere il tutto.
Del nostro Crispo l'ammirande e degne
Opre, cui sempre alta virtude è guida,
Ed è compagna ognor Sorte e Vittoria,
Laude seguace e Gloria,
Per voi non colmin d'empie voglie indegne
Licinio, e di pensier d'anima infida
Né spegna di cugin l'antico amore
Nuovo ingiusto furore,
Che al mal non mancherian pronti seguaci,
Poich'a le inique imprese,
Più che a le giuste ognora, e ferri e faci
Apprestan gli empi il vomere cangiando,
E la vanga in usbergo, in lancia, in brando.
Spento è l'antico de la patria amore,
Anzi del vero onor la nobil voglia
Coi primi eroi, che stimar sepper morte
Pel comun ben gran sorte,
O pare almen che solo il nobil core
Del buon Augusto e del gran figlio accoglia
Sì magnanimi, giusti, alti pensieri,
Negli altri, o vili, o alteri,
Mai sempre ingordi il proprio amor sol regna,
E spesso l'uom la pubblica salute
Per altrui senno sdegna,
Né ‘nvidia in quello il pregio di virtute,
Ma ciò ch'ei sorte appella, e ognun non cura,
S'egli n'è fuor, la pubblica sventura.
Il vulgo vil, pur che il frumento abbonde
Ne la cittade e pur che i dazi manchi,
Chi suo amor prezza non s'affanna e duole,
Se dove sorge il sole,
O dove cade, sian vinti da l'onde,
O da nemici i romani legni, o stanchi
Se di servir da già domata parte,
Spinti dal fero Marte
Muovan barbari guerra, e nostre schiere
Pur ch'abbian ricchi doni, alti stipendi,
E pur ch'avide e fere
Salvino gemme ed or da ingiusti incendi,
Curan poco che regni in Roma Augusto,
O pietoso, o crudele, o iniquo, o giusto.
Il Ciel, Augusto, e ‘l figlio
Se con paterno ciglio, ognor pietosi,
Non avessero in guardia il ben di tutti,
Per noi medesmi sariam noi distrutti.
ATTO SECONDO
Scena prima
CRISPO solo
CRISPO
Fra le glorie e’ piacer, che amico fato
Con larga mano al viver mio diffonde,
Il solo assenzio, che temprava in parte
Le mie dolcezze, era il mirar la moglie
Del mio gran padre ver me tanto irata;
Ned'io godea di mie fortune appieno,
Poiché scorgea che non ognun di quelle
Sentia piacer, ma di tal pena sgombro
Esser già spero, or che l'altera Augusta
(Favor inusitato) a sé mi chiama.
Or s'io potessi lei, che solo al mondo
Sembra che m'odi, a me render più grata
Con l'umil servitù, chi più felice
Di me saria? Ma già vien ella, e ‘n vista
Par che dubbio pensier l'affanni, e prema.
Scena seconda
FAUSTA, NUTRICE e CRISPO
FAUSTA
Lassa, il mio sangue tutto al cor s'accoglie,
Già tutta agghiaccio e mi vacilla il piede.
NUTRICE
Fa cuore, o figlia, or che da questo solo
Vostra salute ed ogni ben dipende.
FAUSTA
Dunque, signor, per cignere l'altera
Fronte di nuovi allori, omai già presto
Eravate al partir, né già di Fausta
Onorate le soglie avreste, e a lei
Chiesto per vostra bocca almen congedo,
S'io più taciuto avessi. Or quali offese,
Qual grave danno, o qua’ disprezzi ed onte
Da me soffriste, ond'io tant'odio merti?
CRISPO
Non odio, Augusta, ma rispetto e tema
Di non recarvi noia mi ritenne,
Ed or perdon ven cheggio, a più d'un segno
Del vostro volto io vi credei nel petto
Ver me de l'odio di madrigna accesa.
FAUSTA
Mal conoscete chi mi pinga al volto
Spesso i colori, e chi gli muova e cangi.
Egli è gran tempo, il natural desio
Di madrigna, signor, vostra virtude,
Gentilezza e beltà mi tolse, e ‘n vece
Di lui destommi il suo contrario affetto.
Piacesse al Ciel che qual e’ sia potessi
Mostrar con l'opre, e sotto il duro incarco
De l'armi ognor con accorciata chioma
Seguirvi fra le più nevose ed erte
Rupi de l'Alpi, o fra l'aride ardenti
Rene di Arabia, e farvi scudo in guerra
Col proprio petto a mille spade incontro.
CRISPO
Tal nel campo troian Pentesilea,
E Ippolita, e Talestri abbiansi vanto,
Che sperar gloria non potean altronde;
Voi grande Augusta, la cui fama gira
Col sol nel mondo, e girerà fin tanto
Che di lui non sia spento il lume eterno,
Godete pur nel Campidoglio i frutti
De’ sudor nostri, e vi fia gloria e vanto
Quindi impor leggi a chi vince ed impera.
FAUSTA
Impor leggi non dee chi d'un tiranno
Voler è serva… Ah, Flaviana amica,
L'ardir mi manca, tutta triemo, e ‘l gielo
Rattiene in mezzo de le fauci i detti.
NUTRICE
Suppliscan l'opre ove il parlar vi manca;
Meglio con queste l'amorose voglie
Il cor disvela, e spesso ancor più impetra.
Signor, il grave affar d'Augusta chiede
Men frequentato loco, onde sian queste
Rimote stanze più fedeli, ed atte
Il segreto a celar, qui entrar potrete.
FAUSTA
Saggiamente consiglia. A voi non gravi,
Prenze, seguirmi.
CRISPO
Le vostre orme seguo.
Che mai fie ciò? Si turba, impallidisce,
Or tutta in volto avvampa, or si consiglia
Con l'accorta nutrice, or par che cangi
Voglie e pensieri; io mi confondo, e temo
Né so di che, pur di seguirla è d'uopo.
Scena terza
NUTRICE sola
NUTRICE
Ben farà il lungo favellare e ‘l loco,
Che suo mal grado al fin apra l'interna
Vorace fiamma, e allor, se a lei consente
Crispo, sarò de’ lor voleri io donna.
Gran ventura è a chi serve i falli occulti
Saper del suo signor, onde suggetto
Il tenga, sì che di niegarli tema
Cosa ch'ei chiede, o impor cosa che spiace.
Ma se al pregar di lei fia rozzo e duro
Il garzon folle, io per Licinio allora
Saprò tal erger su l'altrui ruine
Eccelsa mole, ond'avrà Roma e ‘l mondo
Dopo quel di Licinio il nome nostro,
E quel di Flavio a venerare umile.
Ch'angue non mai quando e’ d'amor più ferve,
Cangia sì l'amoroso foco in ira,
Se fier nel piè, che ‘l preme, il dente immerge
Come superba donna, allor che vinta
Palesa d'un amor sì torto e reo,
Che sen vergogni, l'impudica fiamma,
Ed abbia al desir suo ripulsa e scorno.
(da dentro)
CRISPO
Rea femmina, ti scosta.
NUTRICE
Odo già voci onde a Licinio sorge
Di goder, d'imperar alta speranza.
Scena quarta
CRISPO e NUTRICE
CRISPO
Che scelerati detti! oimè, che voglie
Temerarie, impudiche, infami, indegne,
A quali atti stupì mia mente, a quali
Segni di nera incestuosa fiamma?
Ah Roma ancora ha la sua Fedra, e questa
È del mio genitor la rea consorte,
L'alma innocente sbigottisce, e ‘l core
È pien d'orror.
NUTRICE
Per Dio, signor, tacete,
Pensate al fin che l'infelice Augusta
È scelerata e rea sol perché v'ama.
CRISPO
Empia nutrice di malvagia figlia,
Chiudi l'infame bocca, amor tu appelli
Un furor cieco, un ardor empio insano,
Forse da Aletto col più oscuro ed atro
Foco di Dite per suo danno acceso?
M'ama ella dunque, or che desia ch'i'offenda
E la mia gloria, e ‘l genitore, e ‘l Cielo?
Va’, dille pur ch'ad odiar mi torni,
Ch'io lei perdono, poiché l'odio solo
Torre al più mi poria vita ed impero,
Ma non macchiar l'onor, la fede, e l'alma.
NUTRICE
Se Aletto in lei destò la fatal fiamma,
Che colpa ella al suo male? e se a pungenti
Strali d'amor aprio per voi suo petto,
Odiar potrete chi per voi si espone
A perigli, a ripulse, ad onte, a scorni.
CRISPO
Ed osi ancora …
NUTRICE
Io ciò, signor, non dico
Già per piegar l'inessorabil core
Al non onesto, ma sol perché d'ira
Non frema, onde l'onor di lei sia offeso
Dal parlar vostro, che celata colpa,
Quantunque indegna, onor non toglie, e molto
Falsa accusa talor lo annebbia e strugge.
CRISPO
Stolta, a chi dir mai ciò potrassi, e come?
Forse al mondo svelar debbo i rei scorni
Di mia madrigna, o al mio signore e padre
Le proprie offese, ond'ei con la vendetta
Le lavi sì, ma le divulghi ancora.
Ma tu vegliarda a lei corri; che oppressa
Dagl'empi affetti svenne, e al suol sen giace.
NUTRICE
E sì l'abbandonaste, ah ingrato, ah crudo!
Scena quinta
CRISPO solo
CRISPO
E donde Fausta mai sperar poteo
Ch'a l'ingiusto voler l'alma piegassi?
Qual segno in me scorse d'impuro, o come
L'amoroso desio crebbe in lei tanto,
Senza che speme vel nudrisse? io tutto
Di maraviglia, di spavento e d'ira
Ho colmo il petto, ella del foco indegno
Osò dir mia virtù cagione. Ah sola
Meta de’ voler miei virtù perdona,
S'esser tu dei cagion de l'altrui colpe,
O meno in me ti stendi, o men ti mostra.
Ma so ben io che da te nascer ponno
Sol casti affetti, e non insane voglie.
Se stessa, adunque, e non te l'empia incolpi,
Ch'io lei fuggo, e a te sol tutto mi dono.
Scena sesta
FAUSTA e NUTRICE
FAUSTA
Ma che disse l'ingrato allor che al suolo
Stesa lasciommi quasi in grembo a morte?
NUTRICE
Non vidi mai su teatrale arena
Leon ferito sì di rabbia e d'ira,
Sbuffar com'egli feo, quando lasciovvi
In quello stato, a ‘ntenerir bastante
Un cuor di tigre, od orso, e non costui,
Che tigri ed orsi in feritade avanza,
Poiché sì v'odia sol perché l'amate.
FAUSTA
Lassa, che feci! or me ne avveggio, io dunque
Sì vilmente prostarmi al piè superbo
Potei? d'Augusto io sposa, e suora, e figlia
A tanta ‘ndegnitade il cor piegai?
Ma pur, che disse?
NUTRICE
Scelerata, infame,
Fur le men aspre note ond'e’ vi offese.
FAUSTA
Ah malamente consigliasti: or io
Sarò de’ suoi disprezzi il vile obbietto,
E sarà ver ch'un uom vi sia che vanti
Avermi vista supplice a’ suoi piedi,
E che negletta e dispregiata m'abbia?
NUTRICE
Mal consigliai, se da’ successi solo
I mie’ consigli misurar volete,
Chi potea ferità creder cotanta
In cuor uman ver un'amante Augusta?
FAUSTA
Or come mai potrò l'odiato aspetto
Di lui soffrire, o de’ suoi vanti il grido?
O con qual pena gli occhi miei vedranno,
S'ei riede vincitor, i suoi trionfi?
NUTRICE
Convien di finzion, di sofferenza
Armar lo cor, se ‘n voi paura alberga,
O d'orgoglio e furor se avete ardire.
FAUSTA
Ei pronto è a la vendetta.
NUTRICE
E Crispo ingrato
Cadrà.
AUSTA
Ma come?
NUTRICE
A voi sorte presenta
Uom, onde vendicar voi stessa, e i vostri
E di più Augusti il sangue in un potrete.
In Licinio ve l'offre, egli che tutto
Per voi d'amor si strugge, e tutto è sdegno
Ver Costantino, e ‘n un ver Crispo.
FAUSTA
Egli arde
Per me d'amore?
NUTRICE
Ei tutto avvampa,
Ciò per or basti, a le vostre ire ardenti
Or servan di Licinio ambi gli affetti,
E per lui caggia Costantino e Crispo.
FAUSTA
E ‘n che m'offese Costantin, che a torto
Sì lo condanni? e’ sempre fido e amante
I mie’ pensier non che’ mie’ detti adora.
NUTRICE
Né ‘n tanti anni d'impero anco apprendeste
Che se l'esser altrui grata o pietosa
Nuocer vi puote, e se ‘l contrario giova,
Il contrario è prudenza anco e virtute?
Ciò de’ più giusti ancor la storia narra;
Qual mal fece il buon Tullio al primo Augusto,
Anzi qual ben non fece? e pur quel capo
D'onor sì degno, per voler di lui,
Che chiaman giusto, fu ceduto al fine
Di Fulvia irata al fero ago pungente.
Taccio que’ che al germano, al padre, al figlio,
Per sue voglie appagar, dier cruda morte.
FAUSTA
Qual gran peccato mai d'essempi è privo?
Ma troppo al core, ed al pensiero incresce
Del mio consorte l'innocente sangue,
Ahi, ch'è troppa empietà.
NUTRICE
Chi brama in parte
Esser malvagio e ‘n parte pio, sovente
Tronca suo bene, ogni ‘mportun pensiere,
Se bramate vendetta, omai si scacci.
Vuol per sostegno più delitti un fallo,
E di Crispo la morte altre cadute
Richiede, che se a voi forse innocente
Sembra il vostro consorte, eccolo reo,
Per qual comando a voi fu il padre anciso?
FAUSTA
Egli a lui morte avea tentato in prima.
NUTRICE
Tolse al vostro german vita ed impero.
FAUSTA
Tolse a Roma un tiranno, e fe’ più vasto
Il mio dominio.
NUTRICE
È reo, se a vostri sguardi
Più non piace il suo aspetto.
FAUSTA
E ‘n ciò che colpa?
NUTRICE
Al fin fia reo, se malagevol rende
La bramata vendetta.
FAUSTA
Al fine è padre.
NUTRICE
Viva egli dunque, e seco viva e ‘mperi
Lo ‘ngrato Crispo, e sua real presenza
Sostenete nel trono, e a’ vostri figli
Pur insegnate ribaciar quel piede,
Che sì villan fuggir da voi poteo,
Suggetti umili ad un superbo Augusto.
FAUSTA
Vivendo il lor gran genitore, avranno
D'impero i figli miei non poca parte,
Ma s'egli cade, e se Licinio regna,
Che lor resta a sperar?
NUTRICE
Licinio forse
Ave altri figli? In lui v'addito, Augusta,
Un novel vostro amante e sposo, e forse
Più a’ vostri spirti ed all'età conforme;
Nel solio ‘mperial con lui vedransi
Questi, o que’ figli almen che seco avrete,
E così ‘l mondo ognor vedrà la prole
Regnar di Fausta, ma che parlo? in voi
Scorgo da pensier vili il core oppresso.
Tempo a’ dubbi non resta; al nuovo sole
Partir dee Crispo, se ‘l bramate estinto,
Cader dovrà con Costantino, o seco
Regnar per vostro eterno scorno ed onta.
FAUSTA
Né l'un cader poria senza che l'altro
Seco perisse?
NUTRICE
Allor Costantin fora
Vendicator del figlio, ed ognun teme
Rischio sì certo, ed opra tal s'arresta.
FAUSTA
Non più, già tutta al tuo voler mi rendo,
Fa che vuoi, vo’ vendetta, e sia qual puossi,
Purché lo ‘ngrato non si salvi, pera
Costantin, Roma, Italia, il mondo, io stessa.
Scena settima
NUTRICE, e poi LICINIO e FLAVIO
NUTRICE
Giunse al segno lo stral, per opra nostra
Già di Licinio fia Fausta e lo ‘mpero,
E mia d'ogni suo ben la gloria tutta.
Ma ecco or viene, ed il mio Flavio è seco,
Signor giugneste a tempo, ecco v'accolgo
Con lietissima fronte, e umil m'inchino,
E la prima esser voglio a dirvi Augusto.
Già vostra è Fausta, e seco ancor fia vostro
Lo ‘mpero tutto, or v'accignete a l'opra.
LICINIO
Che far mai debbo? ognor pronto ed audace
Ne’ gran perigli scorgerai mio petto.
NUTRICE
Tutto fa, tutto tenta un ch'ama, ed uno
Ch'ha di regnar desio; voi dunque, o forte,
Pria che ‘l sol rieda, e che sen parta Crispo,
Tentar dovete vostra sorte, e ‘nsieme
Del padre e del german di chi sì amate,
E di Licinio vendicar le care
Ombre col sangue di chi ‘l ferro immerse
In lor vene, di ciò vi priega e grava
Fausta medesma, e tutto il suo soccorso
V'offre, e promette.
LICINIO
Or di’, consiglia, imponi,
Pronte a le stragi ho già le voglie e l'alma.
NUTRICE
Armate schiere ancor non miro in campo
A’ vostri cenni, onde a sì ‘ncerta impresa
È d'uopo audacia, e via più ‘ngegno ed arte.
FLAVIO
Tentisi adunque de’ nemici alteri
La furtiva caduta; io che di Crispo
A la custodia primo duce or sono,
Potrò a mia voglia con aguto ferro
Passargli il core, allor ch'e’ giacerassi
Dal sonno oppresso.
NUTRICE
E a Costantin pur fia
Agevole l'entrata aver con l'oro:
Noti sian quelli a te cui tocca in sorte
Di star ne le vicine ore notturne
A la guardia di lui, de’ minor duci
Scegli i più avari, e que’ che di lor grado
Paghi non sono, e più que’ ch'altri in prima
Seguiro in guerra, e poi le spade infide
Rivolser contra il lor signore antico;
Questi, ma pur sien pochi, a te fa grati,
Lor dona ed offri più, tutto prometti.
FLAVIO
Ciò fia mia cura, e v'è tra lor chi prezza
Nostra amistade, e più chi l'avrà ancora,
Ma che chieder lor debbo?
NUTRICE
Che lor cura
Sia d'introdur ne le guardate soglie,
E ch'indi ancora uscir libero possa,
Chi darà loro un destinato segno.
LICINIO
Questi io stesso esser voglio.
NUTRICE
Ed è ben dritto,
Né un tanto colpo ad altra man si fidi,
E che il mio Flavio in ciò per voi s'adopri,
Si sappia allor ch'a voi fia servo il mondo;
Vostro nome a ciascun per or si taccia.
LICINIO
Molto sai, saggia parli, ed altro pensi,
E spero ancor che ‘l tuo senno, ed ingegno
Nel governo del mondo a me fia scorta.
NUTRICE
Sarò vostra fedel suggetta e serva.
Ma vien Augusta, or voi maggior coraggio
Dal maestoso suo parlar prendete.
Scena ottava
FAUSTA e poi DETTI
LICINIO
Augusta, e sarà ver che quella fiamma,
Onde ‘l cor tutto mi si strugge e avvampa,
Non che perdon, non che pietà, mercede
Sperar possa? e fia ver che vostra mano
Io strigner debba, e con l?amabil nome
Di consorte chiamarvi, e da vostr?occhi
Aver guardi amorosi, e dolci detti
Dal caro labbro? O me felice appieno
S?a sì dolci diletti il cor non manca!
FAUSTA
Licinio, or non convien di dolci amori
Il parlar molle, a fornir sol si badi
Contra il rio Costantin l?alta vendetta
Del mio gran padre, e del fratello anciso.
LICINIO
A la vendetta adunque, e un colpo solo
Renda voi paga, e me contento appieno.
Muoia ognun che a voi spiace, e solo imperi
Chi a voi più aggrada, ch?io corona e manto
A voi libero cedo, e sol fia vostro.
FAUSTA
Servite, o prenze, a l?ira nostra, e serva
Il mondo a voi signor di lui ben degno,
E a chi meglio che a voi dar si poria
Il serto imperial, ancor che tanto
Per retaggio non fosse a voi dovuto?
LICINIO
Per merto, per retaggio, e per la forza
Ch?hanno sovra il mio core i vostri sguardi,
Vostro è lo ‘mpero, né finor paura
Mi raffrenò dal far le man vermiglie
Nel sangue rio di Costantin, ma solo
Il dubbio dispiacervi; or che palese
Mi è ‘l vostro generoso alto desire,
Vedrete quanto fia per me ‘l periglio
Debil ritegno.
FAUSTA
Ah tolga il Ciel che ‘l forte
Vendicator de le mie genti esponga
A certo rischio sì pregevol vita.
NUTRICE
Tutto il periglio è del mio Flavio, a lui
Del grande affar ben tutto attiensi il pondo,
Né per or di Licinio il nome e’ sparge,
Ma se fia d?uopo, e’ dirà Crispo, e prime
Diran suo nome le guerriere trombe,
Allor che liete il grideranno Augusto.
FAUSTA
Flavio a me vegna adunque, ed oro e gemme
Tolga a tal?opre necessarie, intanto
Vo’ a que’ cui del mio padre e del germano,
Per la memoria l?amor nostro è caro,
Che non sien pochi, impor ch?al voler vostro
Servano pronti, e voi togliete questo
Gemmato anello, che l?odiato sposo
Pria d?ogn?altro a me diede, e a voi ministro
De l?ira nostra, e non già come amante,
Ne fo degno presente.
LICINIO
Il dono accetto
Reverente, e da lui prendo gli auguri
Per me felici.
NUTRICE
In vani detti il tempo
Non si consumi.
FLAVIO
Io tutto ardor m?accingo
A l?alta impresa, ed o Licinio Augusto
Vedrassi in trono o le mie membra sparte.
FAUSTA
Molto, o Flavio, ti debbo, io vado, o prence,
Ratta a compier ciò che promisi, e voi
Non esporrete a gran perigli il petto,
S?è ver che Fausta in quello ha sì gran parte.
LICINIO
Or sì la vita, ch?io spregiai finora,
Sol cara a me sarà perch?a voi piace.
[Epilogo]
CORO
Non mai fe’ a Roma, e a quanto abbraccia il mondo,
Il gran Rettor del Ciel più ricco e degno
Dono di questo, ond?ora
Nostra patria ed etade adorna e onora;
Dico di Crispo, a nullo altro secondo
L?alma dal di lui regno
Discesa, e ben di tanta opra natura
Al chiaro alto disegno
Pose a ragion quanti ha suo sen fecondo
Doni più eletti, e sommo studio e cura,
Per far di lei la destinata stanza
Tal che tutt?altre in ogni pregio avanza.
Se ‘l miri invitto sovran duce in guerra
Contra i Barbari ognor primo si scaglia,
Ma pronto in suo soccorso
Il vil non che il gagliardo affretta il corso,
E sì addosso al nemico, ognun si serra,
Che par che ad uom non caglia
La vita, e che l?amor di sua salute
Al proprio ancor prevaglia,
Per lui ne’ nostri ogni timor s?atterra,
Si raddoppia per lui forza e virtute,
E la vittoria nel contrasto fiero
Di là comincia ov?egli urtò primiero.
S?acquista ugual o vie più chiara laude,
Quand?ei saggio signor governa in pace,
Ed è ben degno frutto
Di sua virtù, che come il mondo tutto
Ad ogni alta opra sua parla ed applaude,
Poi solo applaude e tace
Al suo parlar, né più servil timore
È quel che meno audace,
O men pronto a l?offese e a l?empia fraude,
Rende ciascun, ma sol ver lui l?amore,
Né giamai sì temeo la pena tanto,
Quanto or si prezza di piacerli il vanto.
De l?Universo Autor, Mente, Sostegno,
Tu falli scudo in guerra, e tu lo togli
Ognor da morte acerba,
Tu ne festi il bel dono, e tu cel serba,
Sì che il suo lungo e fortunato regno
D?ogni memoria spogli
Quel di Saturno, e quel d?Augusto, o dica
Chi ne’ vetusti fogli
Non crede ciò, che di credenza è degno,
Ma quante ha fole ancor l?etade antica,
Ch?è a fronte a quest?onde avrem noi ristoro
Di rozzo ferro ogni altro secol d?oro.
Ben sai, Signor, ch?è troppo dura impresa
A saggio imperador, che i giusti onora
Il far paghi, e contenti
Gli spirti ancor de le perverse genti,
Quelle schiere, o gran Dio, sian sua difesa,
Che in Ciel fur viste allora
Che l?Augusto regnante armato giunse
Di fè, di speme ognora
Più salda, e con l?invitta anima accesa
Di giusto zelo, e di Massenzio punse
A le schiere seguaci e fronte e dorso,
Cui mancò al rischio il core, e ‘l ponte al corso.
Per angelica man l?invidia doma
Resti, e ovunque di Roma il vasto impero
Si spande, o per suo scettro, o per sua spada
Ogni empio core o cangi voglia o cada.
ATTO TERZO
Scena prima
FLAVIO solo
FLAVIO
Cortese il fato a’ miei disegni arride:
Tra destinati a la notturna guardia
Trovasi gente a me ben nota, e ‘n quella
D?avidi, d?incostanti e non contenti,
V?è non picciol drappello; or io tra questi
Ho già scelti i più accorti, e quella parte
Del gran segreto in loro fidai, che d?uopo
Era loro scovrir, e ‘l resto tacqui.
Doni e onori ho promessi immensi, e grandi
Più da bramar che da sperare, adempia
Poi Licinio, se vuol, l?alte promesse.
Daran costoro a chi di Flavio il nome
In bocca avrà ne le regali soglie
Libera entrata, ed a Licinio il tutto
Già dissi, or voglio a la mia saggia madre
Narrarlo ancor, ond?ella veggia e dica
S?altro per ora a la grand?opra manca.
Scena ottava
COSTANTINO e poi CRISPO
COSTANTINO
Di sì presto ritorno, e per sì ascoso
Sentier la meraviglia a te sia tolta
Per un?altra maggior, sappi che ‘n questa
Reggia annida un fellon ch?osa e congiura
Contra il mio capo, ond?io ne la vicina
Notte sarei di ribellanti spade
Vittima inerme. Or mentre il campo tutto
A schiera a schiera mi si mostra innanti,
Un uom mi porge chiuso foglio, e dice:
Leggi, signor, che di tua vita ei parla.
Io l?apro, e quinci scorgo esser già molte
De le persone a la mia guardia elette
Da ricchi doni, e da maggior promesse
Corrotte, e ‘ntese a non vietar l?entrata
Ne le mie stanze ad uomo armato, ed indi
Libera uscita ancor poscia ch?egli abbia
Ferro crudel ne le mie vene immerso.
CRISPO
Che ascolto, oimè? qual più inumano petto
Può mai nudrir voglie sì ‘ndegne, ed onde
Nascer poteo sì perfido consiglio?
Ma qual finora al grave mal tentaste
Opportuno compenso?
COSTANTINO
A Leto imposi
Che a me il guerrier, che ‘l fido foglio scrisse,
Conduca, ond?egli il traditor discopra,
Ma pria proccuri che nessuno ponga
Il piede fuor de l?ampia corte.
CRISPO
Intanto,
Cangiar io voglio la sospetta gente
Di vostra guardia, e a’ miei più fidi e cari
Commetter la regal vita. Io medesmo,
Perché il riposo a voi cura o sospetto
Non turbi, guarderò l?ultime soglie.
COSTANTINO
Or vanne, o caro, valoroso e saggio
Mio figlio, e pon ciò che pensasti in opra.
Che, quando è meco il tuo consiglio e braccio,
Qual mai nuocer potrammi inganno o forza?
Che io qui d?intorno il fido Leto aspetto.
CRISPO
Quai di sdegno e d?amor inique fiamme
Ardon di Costantin ne l?alta reggia,
E qual cagione accender puote un core
Contra un Augusto, cui sol piace e alletta
L?onesto e ‘l dritto? ma l?infame Augusta
Con la peggior di lei nutrice or viene,
Partasi ratto, che l?odioso aspetto
Sostener senza orror gli occhi non ponno.
Scena terza
FAUSTA e poi NUTRICE
FAUSTA
Par che la sorte con turbato ciglio
Già l?ultime ruine a noi minacci,
Ma pur vo’ contrastar, finch?io non resti
Oppressa di sua forza al grave pondo.
Ahi, che mentre sì parlo, orrendo suono
Altamente nel cor rimbomba, e dice:
Che fai, che pensi forsennata contra
L?alto voler del sempre giusto fato,
Che’ rei punisce, e agl?innocenti ognora
La vita con l?onor salva e difende?
NUTRICE
Se non chiudete a’ vili sensi il petto,
Fia più che disperato il nostro scampo
E la vostra vendetta. Il fato porge
A chi meglio s?aiuta il suo soccorso,
Né così angusto spazio è ‘l Cielo a’ numi,
Ch? ognor chinare a nostre cose il guardo
Debbano, e ‘n un per noi romper la loro
Alta, divina, imperturbabil pace;
Che se di noi prendesser cura, quale
Innocente cadria sotto alcun ferro?
E pur di questi assai più che de’ rei
Spenti la prisca età vide la nostra.
Fabbri siam solo noi di nostra sorte.
Se ardita e presta, i miei consigli in opra
Porrete, forse far saprem bugiardo
Lo cor che tanto ‘n voi grida e minaccia.
FAUSTA
Non basta, oimè, con sì protervi modi
L?aver aperta la mia fiamma, e a Crispo,
E al mio consorte con infami patti
Congiurata la morte, e aggiugner brami
A ta’ misfatti la calunnia? è troppo.
NUTRICE
Ciò basti adunque e, poi ch?altro v?incresce,
Moriamo, e caggia il nostro onore, e’ nostri
Più cari, e viva Costantino, e Crispo.
Moriamo, poiché sol per lieve colpa,
Da cui v?arresta vil timor, vi piace
Perder de l?altre il necessario frutto.
FAUSTA
Sol questo a farmi scelerata appieno
Mancava, or ciò pur la ria salma aggravi,
Dunque…
NUTRICE
Direte che ‘l paterno letto
Crispo acceso per voi d?impuro foco
Bruttar tentò d?incestuosa macchia.
Ripugnanzia e rossor fignete a tempo
Nel dir. Ma che ricordo a saggia donna
Ciò che far sanno le milense ancora?
FAUSTA
Che mai da ciò si spera?
NUTRICE
I vostri detti
A quel ch?altri dirà, tanta credenza
Accresceranno, che di Crispo il piede
Sarà tra’ lacci, ed in tanto uopo Augusto
Forse a Licinio fiderà se stesso,
Che a la crinita occasione a tempo
Saprà stender la man.
FAUSTA
Ma se creduto
Crispo fia più di me?
NUTRICE
Ciò non tem?io,
Poiché un marito amante assai più crede
I falsi detti de la scaltra moglie,
Che ‘l ver, ch?ei quasi co’ propri occhi veggia.
FAUSTA
Qui viene Augusto.
NUTRICE
Io vado. Ardire, o figlia,
Dal vostro labbro il bene, e ‘l mal dipende.
Scena quarta
COSTANTINO e FAUSTA
COSTANTINO
Udiste, o mia consorte, i rei disegni
D?alma ribelle, al nuovo sol voi forse
Avreste pianto in sanguinoso letto
Lo sposo estinto, se tolta del pianto
Non vi avesse l?amara libertate
Colui che torre a me volea la vita.
FAUSTA
L?udii, signor, e ne le vene il sangue
Tutto gelommi, ed obbliò suo corso,
Tal che mi svenni a mie donzelle in braccia.
COSTANTINO
Or si conforti il vostro cor, che sgombra
L?alta cura di Leto, e del mio Crispo
Ogni periglio.
FAUSTA
Che? di Crispo?
COSTANTINO
Ei cangia
I sospetti custodi, e tra più fidi
Per nostra guardia sceglierà i migliori.
FAUSTA
Per Dio, Signor, né a lui, né a sue genti
Più fidate voi stesso; in me si avanza,
Non si scema il timor pe’ vostri detti.
COSTANTINO
E donde in voi sì rio sospetto ha loco?
FAUSTA
Guardatevi da lui, sposo, e ciò basti.
COSTANTINO
Ognor fido il conobbi, e giusto, e saggio.
FAUSTA
Tal io non già.
COSTANTINO
Che d?invida noverca
Forse il mirate con torti occhi e biechi.
FAUSTA
E pur me da madrigna egli non guarda.
COSTANTINO
Qual madre ognor egli v?onora e cole.
FAUSTA
Troppo innocente il riputate.
COSTANTINO
E voi
Mel fingete pur troppo empio ed infido.
FAUSTA
Ah fosse pur quale il credete.
COSTANTINO
In core
Di madrigna tal voglia unqua non nacque.
FAUSTA
Tacerei, se minor fusse il periglio.
COSTANTINO
Creder non debbo a chi ‘l buon Crispo accusa.
FAUSTA
Per vostro ben pur non creduta, io voglio
Dir ciò che deggio.
COSTANTINO
A non mentir badate.
FAUSTA
So ben che saggia donna a sposo altero
Mai non discopre chi l?onor le ‘nsidia,
Ma da se stessa, se ha vigor, proccura
Far la vendetta del tentato scorno,
E se non può, si guarda, e soffre, e tace.
Io benché Augusta, e di voi moglie, l?onte,
E vostre, e mie soffrendo sol dovea
Tacer, infin che rio delitto ancora
Il mio tacer non fosse, e parlo stretta
Da l?alto rischio de la vostra vita.
E Crispo, Crispo a ciò mi strigne. Or voi
Se m?intendete ben, fate ch?io taccia.
COSTANTINO
Più v?intendo che credo, in lui non trova
Ciò che virtù non è breve ricetto,
Or come entrare in cor sì puro e schivo,
Poteo desir sì scelerato ed empio?
Sospetto è ‘l labbro che l?accusa, e chiara
È troppo agli occhi miei quella innocenza.
FAUSTA
Io son dunque la rea, dunque io bugiarda
D?infame colpa un innocente accuso?
Ah che per voi salvar vorrei ch?e’ fosse
Mio figliuol, che così forse creduta
Sarei come già fui, quando mio padre
Reo vi scoversi, e vi scampai da morte.
Ma di ridirlo, e di gridar non cesso,
Veggendo ben che chi al paterno letto
Volge il desire, anco la vita e al regno
Tender può insidie.
COSTANTINO
E quando, e dove, e come?
FAUSTA
Questo dì stesso, a le mie stanze. In pria
Con dolci detti, e poi con amorosi
Tentò mio cor, ma perché indarno a l?opre
Già disponeasi, e l?impudiche mani
Su la ragion paterna e’ stese avea,
E nulla al molto contrastar mie braccia
Avrian potuto, se al rumor degli urti,
Ed a’ miei detti ingiuriosi accorsa
La mia nutrice là non fosse, ond?egli
Restossi alquanto, qual vorace lupo,
Che con furtivo piede in gregge imbelle
A ‘nsanguinar viene le labbra, s?ode
Latrare i can, la ‘ncominciata ‘mpresa
Sospende, allor dagli occhi suoi mi tolsi,
Ed e’ partissi minacciante, irato.
COSTANTINO
Già mia mente vacilla, oimè, già dubbio
Son di sua lealtade, egli non volle
Seguirmi al campo, e con turbato ciglio
M?accolse nel ritorno. Ecco or sen viene.
Scena quinta
CRISPO e DETTI
CRISPO
Signor, dal campo nuova gente aspetto
Per vostra guardia, e fra l?armate schiere
Sceglierà Flavio i più fedeli, e forti:
Ciò a lui commisi.
COSTANTINO
Or non ravvisi, o Crispo,
Qui del tuo genitor l?Augusta moglie?
Non corri ad inchinarla? a che ti turbi?
Ti arretri, impallidisci? oimè, son questi
Segni ben chiari di colpevol alma.
Perfido, e sostener la rea tua fronte
Può de l?offeso genitor l?aspetto?
E sarà vero che di là dov?altri
Toccò d?indegnità l?ultimo segno
Ad esser empio tu ‘ncominci? Or quali
A questi seguiran più rei misfatti!
E qual furor fin nel paterno letto
A tentar di macchiarti onore ed alma
Ti spinse, ingrato? oimè, qual diedi a Roma
Per mio scorno in mio figlio empio tiranno?
A fronte a cui Caligola, Nerone,
Commodo, Massimin, Massenzio pii
Parrian: ma forse io la torrò di questo
Periglio; or parti, scelerato, e togli
Dagli occhi miei così spiacente obbietto.
CRISPO
E Fausta accusar me d?impuro foco
Ardisce? Padre mio resto di sasso,
E lo stupore immenso al labbro toglie
Ogni difesa.
FAUSTA
Io sofferir non posso
Sì oltraggioso parlar, signor, men vado,
E tu, prenze tiranno, impara meglio
Temer la maestà paterna, e mia.
Scena sesta
CRISPO e COSTANTINO
CRISPO
Signor sì ree calunni…
COSTANTINO
Ah non sol Fausta
Scopre tua colpa, ma pur l?opre e ‘l volto;
Né già per sua vendetta ella ciò disse,
Ma sol per mia salute; e ‘nver chi appare
In uno disleal, ben è sospetto
D?ogn?altro fallo, ed esser dee temuto.
CRISPO
Io giustamente da sì rea menzogna
Provocato poria di vie più grave
Misfatto, e d?altro autore aprirvi il vero,
Ma taccio, se ‘l parlar vi fora offesa.
Qual mia vita die’ mai segno, o sospetto
Che ‘n me pensier sì rio possa aver loco?
Da inonesti piacer quanto lontano
Crispo visse mai sempre, e a Roma, e al mondo,
È conto appieno, a Roma, ove mio petto
Fu alpino sasso a femminili vezzi,
Al mondo, che di più cittadi e schiere
Espugnator, e vincitor sovente
Mirommi, e sempre de le donne ancelle
Schivo, né meno lor volger lo sguardo,
Da Firmian le caste norme e sante
Avido appresi, ed e’ medesmo dica
Con quanto ardor per lo più eccelso ed erto
Sentiero di virtù drizzai miei passi.
Non merta fede no, signor, chiunque
Me di lascivia, e così enorme, accusa.
COSTANTINO
Questo sfrenato orgoglio, onde superbo
Oltra l?usato di te parli, mostra
Vera la colpa, poiché è chiaro segno
Che cangiato abbia ancor voglie e costumi,
Chi tutt?altro è ‘n parlar da quel ch?egli era.
CRISPO
Non di superbia, ma di zelo è figlio
Il mio parlar, se troppo il cor mi pugne
Sì scelerata accusa, ed ira e sdegno,
Qui difetto non è, ma onore e fede,
Ch?arma e riscalda lo ‘nnocente petto.
Fausta a me ben de l?empio cor nel fondo
Più giustizia farà, che non voi, cui
Sì grave inganno or gli occhi appanna e fascia.
COSTANTINO
Ed osi ancor di Fausta il nome augusto
Aver nel labbro? Ah non più doglia e stizza
Suscitar nel mio cor. Perfido, vanne.
CRISPO
Padre, e signor l?ubbidir voi m?è caro
Sovra ogni cosa, io partirò, ma piagno
Che da voi lunge l?innocente Crispo,
S?a caso il pensier vostro a lui si volga,
Oimè non dolce paternale affetto,
Ma nel cor desteravvi odio e furore,
Ed a ragion, se del peggior eccesso
Reo mi credete, ahi sol questo pensiero
M?ange, e tormenta più ch?esiglio e morte.
Ditemi pur ov?io gir debba, e quando.
Sia ne l?ultima Tile, e fra più feri
Mostri d?Ircania, e se vedermi estinto
Evvi a grado, ecco il petto, ecco che pronto
Quel sangue, che da voi trassi, vi rendo.
Ma ben io spero, che dal gran rimorso
De l?empia accusa al fin Fausta costretta,
Scoprirà il vero, e voi pentito allora,
Direte vinto da tarda pietade,
E forse lagrimando, e con sospiri:
Ah mio figlio innocente, oh fossi vivo!
Né questa speme, lasso, mi conforta,
Ma più m?addoglia, s?innocente o reo,
Esser deggio di voi pena e tormento.
COSTANTINO
Non son sì molle, onde a’ mendaci detti
D?un disleal intenerir mi deggia.
Or parti, e taci, indi saprai tua sorte.
CRISPO
Padre, per ubbidirvi, io taccio e parto.
Scena settima
COSTANTINO solo
COSTANTINO
Quai voci oimè, quai sensi, e da chi usciro?
Sensi e voci da far tenere ancora
Le dure felci in alpi, e in mar gli scogli,
E uscir da un figlio se innocente o reo,
È ‘n dubbio ancora l?agitata mente.
Che se ripenso a sua virtude antica,
Qual creder posso in lui novella colpa?
Ma se di Fausta a’ franchi detti, e a’ chiari
Segni mi volgo, che l?accusan, come
Dir lo posso innocente? oimè, che troppo
Combattuto, confuso, afflitto, e lasso
È ‘l mio pensier, che in tanto dubbio ancora
Vede certo il suo danno; o reo di morte,
Ho un figlio, o la consorte empia e bugiarda.
Scena ottava
LETO e ‘l DETTO
LETO
Signor, in ceppi è già colui che duce
Era de l?empia e ria congiura.
COSTANTINO
Narra
Chi fu lo ‘ndegno, e qual furor lo spinse
A tanto eccesso, e come in tua man venne.
LETO
È Flavio il reo, che de le scelte genti,
Che ‘n guardia son di Crispo, è il primo duce,
Mel fe’ palese quel guerrier, che a voi
Scrisse il fidato foglio, e perché in pria
A’ custodi guerrier de l?alte soglie
Imposto io avea che ne l?uscire il varco
Vietassero a ciascun, seppi che al solo
Flavio l?avean per voler di Crispo
Concesso, e ch?ei per lui ne giva al campo,
Io scelto allor veloce stuol d?eletti
Cavalier, il perseguo, e ‘l giungo, ond?egli
Gridò tai sensi disperato: ah Crispo,
Ah mio signor, nostra speranza è morta
E trasse un ferro per passarsi il petto,
Quando pur giunse nostra gente, e ‘l tenne,
Ed or vivo in prigion morde suoi lacci.
COSTANTINO
Lasso, qual?altri ancor non dubbi segni
Per far Crispo più reo, me più ‘nfelice
Attender debbo? a te, Leto, commetto
Opra sì grave, or vanne, e con minacce,
E co’ più feri e barbari tormenti,
Che mai seppe inventar la crudeltade,
Il ver discopri, e del tentato eccesso
L?autor, gli aiuti, la cagione, e quanto
L?empia congiura di segreto asconde.
Ma pria con fide genti addoppia, e cangia
Le nostre guardie, e sopra tutto i passi
Vi sie chi osservi del sospetto Crispo,
Indi a me riedi, poiché mal sì grave
Ben fia lieve a curar, quando è scoperto.
LETO
Signor, con quanto è in me d?ingegno, e forza,
Veloce adempierò vostri comandi.
[Epilogo]
CORO
Come a ragion se ‘l mar fia cheto e piano
Saggio nocchier non mai di dubbio è fuore,
Che cangiato in poch?ore,
Erger non possa al ciel l?onde spumanti,
E poco incontro a lui valendo umano
Riparo, i naviganti,
E’ navili ingoiar nel suo profondo,
Così quanto più in calma appare il mondo,
Paventin le cittadi anco tempeste,
E come suol da stelle
Buon piloto di quelle
Prender presagi, pur da lungi queste
Mira uom saggio venir, ch?anco i lor segni
Dan le tempeste de’ superbi regni.
Gli astri a’ romani allor lieti e ridenti
Promiser calma, che la nobil guerra
Su la nemica terra
Fer di palme bramosi, e non già d?oro
De l?onorata fronda appien contenti,
E che la gloria solo era il tesoro,
Onde adornavan lor magione onesta,
E ‘l dolce frutto di lor chiare gesta,
Render compagni, e non suggetti i vinti.
Ed a’ nemici oppressi
Lasciar ciò che agli stessi
Amici a toglier poi fur sempre accinti;
Tal che cangiati i be’ costumi, al fine
Giunser l?irreparabili ruine.
V?entrò d?oro la sete allor che piacque
Il fallace fulgor d?altere pompe,
E quella, che corrompe
Più ch?altro vizio le virtù ne l?alma,
Folle superbia, e cominciar su l?acque
A ‘mporre immensa salma
D?alti edifici, ed a spianare i monti,
Che a’ lor palazzi incontro ergean la fronte
E cupidi a cercar pel mondo, quanto
L?aer, la terra, e ‘l mare
Ha in sen, che grato appare
Al senso, e a’ cibi dar favore il vanto
D?esser più rari, o ch?ei dal mar sien presi
Quando più freme, o da lontan paesi.
E presagi, e cagion furon possenti
Da prischi i nuovi sì cangiati, e guasti
De’ feri aspri contrasti,
Onde fer correr le romane spade
Per valle il cittadin sangue a torrenti,
Poiché la gran cittade
Tanti re avea, che lor sembrava angusto
Il mondo, e troppo di lor peso onusto;
Tal che sperando per l?altrui ruina
Gradi chi diessi al fero
Silla, chi al forte, altero
Mario, i più rei seguir poi Catilina;
Poi Cesare, e Pompeo, poi d?altra sorte
Bruto più degno, e Ottavio, e Antonio il forte.
Sì de l?orride stragi il mesto pianto
Lunga stagion la bella Roma oppresse,
Che quelle genti stesse,
Che sempre odiar de’ re l?alta potenza,
Servir lieti ad un solo, ed in lor tanto
Di Cesar la clemenza,
E i finti modi del primiero Augusto
Spenser di libertà l?amor vetusto,
Che la Donna del mondo a’ rei tiranni
Ubbidì cieca, e l?arte
Del fier sanguigno Marte
Or sì avvezza è ad usare a’ propri danni,
Ed al solio innalzar Cesari indegni,
Che del giusto, e del pio par che si sdegni.
Già contra Costantin v?è chi congiura,
Perch?egli de l?antico
Rio costume nemico
Agli empi incresce. Ahi nostra alta sventura!
Fecondo è ‘l suol roman di rei malvagi,
Del nostro mal cagion sola, e presagi.
ATTO QUARTO
Scena prima
CRISPO e FIRMIANO
CRISPO
Se lo ‘mpero e la vita or sol tentasse
Tormi fortuna, io con sicura fronte
Saprei star contro a gli urti suoi più crudi;
Ma a’ feri colpi, ond?or la rea mi preme,
Cede la mia costanza, ed io mi perdo
Dal duolo oppresso, e qual più grave danno,
Che morendo lasciar non vera fama
D?ambizioso, di lascivo, e d?empio?
Trovasti, o fato, al fin l?armi possenti
A vincer del mio cor l?antico ardire.
FIRMIANO
Lasciam, signore, i favolosi e vani
Nomi di sorte, di fortuna e fato.
Fronda in arbor non ha, né stilla in mare,
Che senza il motor primo abbia il suo moto;
E se l?uom, cui voler libero e’ diede,
Talor per cieca voglia un giusto opprima,
E questi il soffra, e a lui volga sua speme,
O la somma giustizia al fin permette
Strane vicende, o ‘n Ciel premio gli serba.
Stolto è colui che penetrar s?attenti
Col fioco lume del mortale ingegno
Negli alti abissi de l?eterna mente,
La qual se mai sa ch?uom pravo gioisca,
‘l buon sostenga affanno, a dritto fine
Tutto dispone con bontade immensa.
È pero ver che Dio pur vuol che ‘l giusto
Con ogni studio l?onor suo difenda,
Incontro a’ gli empi accusator bugiardi,
Ed e’, che sa lo ‘nterno, il resto curi.
CRISPO
Oimè, troppo a’ miei danni armata pugna
Infame schiera di menzogne rie,
Incontro a cui oppressa veritade
Per la tua lingua s?udirà, ma invano,
Ed io ben sosterrei tra fiamme ardenti
Scagliarmi, o in mar gelato espormi ignudo,
O muggir di Perillo entro del tauro,
Sol che mia fama non patisse oltraggio.
Per questa a spade e ad aste offersi in guerra
Mio petto, e questo guiderdon sol era
Di tante ch?io sostenni alte fatiche
Nel cammin di virtude alpestre e duro.
FIRMIANO
Di se stessa è virtù frutto e mercede,
Né vero onor va mai da lei disgiunto,
Ciò non si tema, che l?antica etade
E la nostra talor atroce scempio
De lo ‘nnocente far vide, ma spenta
La sua fama non mai, poiché al fin giugne
Veloce o lento il vero, e l?armi adopra
In sua difesa, e le menzogne atterra.
Scena seconda
LETO e i DETTI
LETO
Signor, m?è grave che de vostri lacci
Io sia messo e ministro. Augusto il vuole,
E’ mi comanda che ‘l temuto ferro
A me cediate, ed in prigion vi meni.
Il Ciel ben sallo se mi pesa e duole.
CRISPO
Il brando, o Leto, che mi cinse al fianco
Il signor nostro, a lui tu rendi, e dilli
Che non lo sdegni, ancor ch?io fossi reo,
Poiché qual ora io lo rotai fra mille
Schiere, altro sangue mai sparger non seppe
Se non quel de’ più feri, e de’ più forti
De lo ‘mpero e di lui nemici, io pronto
Sue brame adempio, e perché vien da lui,
Sia giusto o no, qualunque duol m?è caro.
FIRMIANO
Misero prence! e da qual?occhi un fiume
D?amaro pianto non trarria pietade,
D?un uom, ch?è reo, perché la colpa abborre.
LETO
Signor, il vostro generoso petto
Ira non prenda, se l?uficio rio
Adempio sol per ubbidire Augusto.
CRISPO
Anzi io voglio così, vo’ che fedele
Servi ad Augusto, e grazie ancor ten rendo.
Ecco togli il mio brando, e reo m?accuso,
Sol perché tale il genitor mi crede,
Son prigioniero, andiam dov?egli impose.
LETO
Sieguo vostr?orme addolorato e mesto.
FIRMIANO
Io deggio ben, infin che posso, e lice
Seguirlo, indi tornare al grande Augusto,
E a lui con quanto è ‘n me d?ingegno e d?arte
Far chiaro il ver de l?innocenza oppressa.
Scena terza
COSTANTINO e FAUSTA
COSTANTINO
E al fin già chiaro il tradimento enorme,
E ‘l traditore, oimè, scorgo in un figlio.
FAUSTA
E figlio è ancor chi al letto, al regno, al sangue
Del proprio genitor l?empio desire
Volger ardio? Ma come a voi palese
L?autore e ‘l modo è de la ria congiura?
COSTANTINO
Flavio, cui sol palese era l?arcano
Del crudel tradimento, al solo aspetto
De’ tormenti disposti a trargli a forza
Dal profondo del cor l?empio segreto
Impaurì vile, e palesò cagione
De le sue colpe il già sospetto Crispo,
Che morte al padre ed a Licinio ordiva,
Per esser solo ad impor leggi al mondo.
Pensa, o consorte, qual m?accora ed ange
Duolo, e qual dubbio il mio pensier confonde,
Poiché nel traditore o perdo un figlio,
O nel mio figlio un traditor conservo
A la mia morte.
FAUSTA
Eh, caro sposo, è forza
Talor aprir le proprie vene, ed indi
Trarre il sangue nocivo, e quello stesso
Che un dì giovonne; or qual viltade opprime
Sì vostro cuor, che omai sparger temete
Sangue da voi pur da gran tempo uscito,
Ed or sì guasto, ch?è a voi rischio e danno?
COSTANTINO
Ah, Fausta, è figlio. Ogni tesoro e regno
Cederei pronto, e morrei lieto ancora,
Pur ch?e’ fosse innocente, altri mendace.
FAUSTA
E’ nondimeno è reo. Ma che? temete
Con lui perder ancor di padre il nome?
Forse io non ho di numerosa prole
Fatta vostra real progenie adorna?
Che se fra quella alcun sarà che tenti
Vostra ruina, io del mio proprio figlio
Quella stragge farò che del mio padre
Seppi soffrir da l?ira vostra ultrice.
COSTANTINO
Saggia parlate, e consigliate il dritto;
Ma non so che fareste al duro caso
D?un vostro figlio a crudel morte esposto.
Or lasciate che i miei contrari affetti,
E di padre, e d?offeso, e di regnante
Pugnin fra loro, e ciascun mostri quanto
Debbo a natura, a la giustizia, a Roma.
Disporrò poi ciò che fia meglio.
FAUSTA
Ancora
Di vostra sicurtà paga non sono,
E caro avrei scoprir s?altro segreto
Ed altri rei la gran congiura asconde,
E far degli empi a mio piacer vendetta.
COSTANTINO
A me riserbo il giudicar di Crispo:
Di tutti gli altri, o libertade o morte
Da voi dipenda, poiché sì v?aggrada,
Questo a’ fidi ministri or voglio imporre.
Scena quarta
FAUSTA e poi NUTRICE
FAUSTA
Omai già stanco è di mentire il labbro,
Quante calunnie, e quanti rei consigli,
Dove son giunta, oimè, di fallo in fallo!
E come oppressa d?empietà cotante,
Qualor a desir miei v?è chi s?oppone,
L?ira nel cor tutti i miei spirti accoglie,
Ed al mal sì mi rende ardita e presta,
Ma qualor sola stommi, ahi lassa, in quali
Spaventevoli aspetti a me davanti
Appaion tutti i miei misfatti, e come
Orribilmente al cor freme, e rimbomba
La ria memoria di cotante colpe!
Come, ahi misera me, potei piegarmi
A quel ch?anco vil serva abborre e sdegna,
A disonesti prieghi, a tradimenti,
A scelerate accuse, a rei consigli,
A fingere di amar chi bramo estinto,
A tentar morte a chi m?ama, e s?affida
A me cotanto, a profferir me stessa
Del tradimento rio prezzo, e mercede!
Ah Flaviana, gli empi, e scelerati
Tuoi detti, quanto son per me funesti.
NUTRICE
E sempre, o Augusta, con turbato ciglio,
Sempre in affanni, e non volgete un guardo
A quella sorte, che con lieto volto
Ogni vostro desio siegue, e v?applaude,
Che mai v?accora? a nostri alti disegni
Ogni cosa vien destra, è Crispo in lacci,
Flavio ritrova fede, opra sicuro
Licinio, or qual cagion resta di duolo?
FAUSTA
Quella che ‘n tristo cor non mai scompagna
La colpa ancor ne’ più lieti successi.
Quell?amaro, che sempre attosca il dolce,
Di quanto l?uom con vizio e ‘nganno ottiene.
NUTRICE
Effetti son di non avvezzo core
A l?opre accorte, ma ‘l successo, e l?uso
Al rimorso importuno al fin lo ‘ndura.
Come se vento in mar non dritto spira,
Qual fora d?uopo, e ‘l buon nocchier le vele
Acconcia, sì ch?a suo favor lo prende,
E perché allora del navilio s?erge
L?un lato, e l?altro in mar par che trabocchi,
Uom si spaventa, ma ‘n mirar che ‘n questi
Torti modi e’ pur giugne ove desia,
Del suo vano timor si ride, e pente.
FAUSTA
Chi puote induri a tante colpe il core,
Ch?io già diffido, e quando altri felice
Mi terria, crederei vedermi avanti
L?ombra di Crispo, e del tradito sposo,
Orridi in vista, e di furore accesi,
Minaccianti sgridarmi a tutte l?ore,
O vada, o seggia, o parli, o vegghi, o dorma.
NUTRICE
Suol chi ‘n vedovo letto afflitta giace
Mirar tai larve, ma d?amante sposo
Vago e gentil la compagnia novella
Fugherà le fantasme, e voi da quelle
Tra sue braccia sarete ognor secura.
Voi sospirate, ed io tra’ lacci avvolto
Miro intrepida un figlio, e nulla temo,
Poiché sa porre i miei consigli in opra.
FAUSTA
È in mio poter sua libertade, Augusto
Diemmi, ch?ogni prigion si stringa, e sferri
Al cenno mio, sol Crispo a sé riserba.
NUTRICE
Tolsevi il meglio, ma vo’ Flavio in ceppi,
Fin che Crispo vivrà, fin che non fia
Sol nel trono Licinio: or voi di questa
Balia si accortamente usar devete,
Ch?unqua non torni a chi la die’ sospetta.
Ma con Augusto è Firmiano: al certo
Si ragiona di Crispo, or qui celata
Tutto ascoltate, ch?egli è oprar da saggio,
Aver in dubbie imprese ognora intento
L?udito e ‘l guardo a quel che giova e nuoce.
FAUSTA
E in questo il tuo consiglio anco si adempia.
Scena quinta
COSTANTINO e FIRMIANO
COSTANTINO
Che dir potrai mio Firmiano, e quali
Argomenti addur puoi che me ‘nnocente
Dimostrin Crispo? Ah ch?io vorrei ch?e’ fosse
Qual tu cerchi mostrarlo, e impero, e vita
Volentier cederei per tal desio.
FIRMIANO
Signor, dirò con fido cor nel labbro,
Che da somma innocenzia a somma empiezza
Non si varca in un passo; in cor lascivo
Entrar sol può l'incestuosa fiamma,
E ne l?ambizioso il rio pensiero
Di torre al genitor corona e vita,
Ma in petto in cui sol castitade alberga,
E modestia, e valor sommo, e sovrano,
Com?entrar ponno sì contrari effetti
In un momento? È ver ch?uomo talora
Da bontà grande a somma pravitate
Passa, ma per suoi gradi a quella e’ giugne.
Or ne l?alte virtù, di cui sì amante
Crispo fu sempre, qual a noi die’ segno
D?intiepidir giamai l?ardente voglia
Nel ben oprar, da cui sol gloria attese?
Vide alcun mai ch?a vago volto un guardo
Lascivo egli volgesse, o che dal vostro
Voler un punto sol si dipartisse?
Qual mente adunque, non di senno priva,
Creder potrà che ‘n tanti empi misfatti
E’ traboccato in un sol punto sia?
COSTANTINO
Potrei per tue ragion a quel ch?io veggio
Non dar credenza, ma qual argomento
S?oppon d?Augusta a le veraci accuse,
Perché arrossò, perché turbossi in viso
Nel cospetto di lei, pria ch?altro udisse?
E Flavio sol, che di sua guardia è duce,
Se fu l?autor de la congiura, e poi
Contra ‘l nostro voler fuor de la reggia
Sol per opra di lui messo avea il piede,
Poscia in mirarsi tra mie genti cerca
Disperato ferirsi, e chiama Crispo,
Ed a la vista sol de’ gran tormenti
Svela Crispo cagion de l'empio eccesso,
Che adunque mai potrò creder di lui,
Se non lascivia, ambizione, orgoglio?
FIRMIANO
Credasi in altri ogni menzogna, e quanto
Può lo ‘nganno trovar frodi più ascose,
Pria che ‘n Crispo pensar colpa ancor lieve.
E se l?accusan reo mille stranezze,
Onde disciorre il nodo è forte impresa,
Lo scuopron senza colpa i detti e l'opre,
Che di sua bocca e di sua mano usciro.
COSTANTINO
Come porian, se qual tu dici e’ fosse,
Tanti segni mostrarlo iniquo e reo?
FIRMIANO
Se ‘l volete, il dirò.
COSTANTINO
Libero parla.
FIRMIANO
Può Fausta anco mentir.
COSTANTINO
E que’ pallori?
FIRMIANO
Per l?altrui colpe uom giusto ancora imbianca.
COSTANTINO
Flavio è suo duce.
FIRMIANO
Ma non caro a lui.
COSTANTINO
Perché il soffriva?
FIRMIANO
Voi gliel deste in prima.
COSTANTINO
Egli per lui fuor de la reggia uscio.
FIRMIANO
Per chiamar nuova gente in vostra aita.
COSTANTINO
Sol tentar può chi vuol regnar mia morte.
FIRMIANO
Né il solo Crispo al sommo impero aspira.
COSTANTINO
Ma chi può ciò saper sol Crispo accusa.
FIRMIANO
Di qual credenza un reo fellone è degno?
COSTANTINO
A chi creder degg?io, s?altri ciò ignora?
FIRMIANO
A l'antiche opre sue.
COSTANTINO
Ciò mi si toglie.
FIRMIANO
Da chi?
COSTANTINO
Da nuovi e sì contrari segni.
FIRMIANO
Credesi adunque a un reo?
COSTANTINO
Ragion mi sforza.
FIRMIANO
Dunque un fellon potrà timor fingendo
Accusar lo ‘nnocente, e acquistar fede,
Qualor altri non v?ha, che scopra il vero?
D?un vostro figlio adunque avrà la vita,
A pender d?un fellon dal labbro indegno?
Di quel gran figlio, cui senno e valore
Dier tante palme, cui l?amor di tutto
Il vostro impero applaude, in cui si spera
Di sì gran padre successor ben degno:
Figlio, che a’ vostri alteri vanti accresce
Quel d?esser anco genitor felice,
Sorte che non ottenne il primo Augusto,
E Tiberio, e Severo, e Aurelio, ed altri,
Cui figli non largio natura, o tolse
Morte anzi tempo, o fur aspri tiranni.
E chi può dir che de la gran congiura
Flavio a troncar non davvi un finto capo,
Per salvare col vero anco se stesso?
E quel togliendo a voi, toglier del fianco
Nel rio periglio la maggior difesa?
Padre d?un tanto eroe, d?un sì gran duce,
Signor, deh aprite gli occhi, onde fu sempre
Chiaro veduto l?altrui bene, e ‘l giusto,
Ch?oggi per mal comun mi sembran chiusi.
COSTANTINO
Con tuoi detti a bramarlo induci il core,
Ma non la mente a crederlo non reo,
Poiché troppo a suo danno, e Flavio, e Augusta,
Ed ei medesmo n?accertò mia mente,
Ma tu, che sì ragioni, or che faresti,
Se t?ingombrasser tanti miei sospetti?
FIRMIANO
Io che so qual sia Crispo, unqua fra’ lacci
Non l?avrei stretto, ma le ‘ngiuste accuse
Punite avrei con memorabil pena,
Tal che nissun mai non ardisse altrui
Accusar falsamente. Or ciò non dico,
Ma è sol mi’ avviso, che ‘n atroci e feri
Martiri Flavio a palesar si forzi
Il ver, che asconde, poiché non la vista
De’ tormenti, ma il duolo, insegna il vero
Dire a color ch?han di mentire usanza.
COSTANTINO
Ciò è lieve cosa, e se non giova, almeno
Nuocer non può. Vedrem Flavio in tormenti,
Che narrerà, ma certo in van si tenta.
FIRMIANO
Spero in colui che muove e frena il tutto,
Che pel sincero mio consiglio sia
Squarciato il velo agli occhi vostro avvolto.
COSTANTINO
Egli il comun desio nostro secondi.
Scena sesta
FAUSTA sola
FAUSTA
Intesi a tempo: e troverassi ancora
Scudo novello che difenda e copra
Nostri disegni dal tuo ‘ngegno, o troppo
A mie’ gran danni Firmian sagace?
Poriano ancor que’ feri aspri martiri,
Ch?a’ tormentati a lor danno sovente
Fan dir menzogne, ed incontrar la morte,
Da Flavio trarre a viva forza il vero,
Ed io delusa in un momento solo
Di vendetta, e d?onor priva già fora,
E d?impero, e di sposo, e ancor di vita?
Ma così tosto a rapido torrente,
Qual forte argine mai potrassi opporre?
Flavio da la prigion s?involi, e ‘n questo
Vaglia l'alto poder che diemmi Augusto:
Misera me, che contra lui rivolgo
L?armi, che ‘n mano egli mi pose amante.
Ma vien Licinio; ei mi consigli ancora,
Come avvenir sì necessaria fuga
Debba, senza ch?alcun di me sospetti.
Scena settima
LICINIO e FAUSTA
LICINIO
Benché a’ nostri desir la sorte arrida,
Fin ch?io non colga il desiato frutto
De l?opre mie, de’ mie’ perigli, Augusta,
Pendo inquieto ognor fra dubbio e speme,
Né ‘l frutto è già di Roma il vasto impero,
Ma sol vostra beltade obbietto e segno
De’ miei desiri, e cederei per questa
La vita ancor, col regal manto, e ‘l trono,
Quai sol per esser di voi degno or bramo.
FAUSTA
A miglior tempo, o mio Licinio, il vostro
Labbro parli d?amor. Si badi ad altro,
Poiché rischio non lieve a noi sovrasta.
Firmian con ragione ha indotto Augusto
Porre Flavio a crudel martoro. Io temo
Che questi vinto al fin da l?aspro duolo,
Seco noi tragga a inevitabil morte.
LICINIO
Giusto è ‘l timor; per fermo a lui daransi
Tormenti eguali al grande alto segreto,
Pronto rimedio un tanto mal prevegna.
FAUSTA
Sua libertade è già ‘n mia possa, or questa
E lui difenda, e noi dal gran periglio.
LICINIO
Debil difesa, poiché troppo lunge
Stendesi il braccio di sdegnato Augusto,
E chiaro indizio ancor daria tal fuga,
Del favor nostro a pro di Flavio.
FAUSTA
Or quale
A noi rimane altro riparo?
LICINIO
Un solo,
E questo è la sua morte.
FAUSTA
Ah non sia vero
Ch?opra sì ‘ngrata unqua di me si narri.
Egli per noi sta ‘n ceppi, e a mortal rischio
Soggiace, sol per far noi più felici:
E figlio è al fin di donna a me sì cara,
Che l?ampia strada al solio v?apre, e tanto
Ad amar voi mi scalda.
LICINIO
O come lunge
Dal vero il pensier vostro in ciò travia.
Quanto mai per ben nostro e l?uno e l?altra
Opra, egli è sol d'ambizion effetto,
Non già d?amor; e chi non sa che questi,
Che innalzan me con ingannare altrui,
Noi tradiriano ancor da nuova ed alta
Speme allettati, che se amore o grata
Voglia costor movesse, chi da Crispo
L?avrebbe svolto mai, che a l?alto grado
Di primo duce di sua guardia il pose?
Di così fatti, ond?è la fede ognora
Sospetta, usar dobbiam sol quanto giova
A l?util nostro, né dovrà frenarci
Gratitudine a far morto un uom reo,
Non per ben nostro, ma per suo vantaggio,
Or che necessità sì ria ne preme.
FAUSTA
Da che vi piace, a la salvezza nostra
Ceda al fin vinto il natural desio
D?esser grata e benigna a chi ne giova.
Ma Flaviana in rimirar estinto
Il figlio, accesa di furore e sdegno,
Quello diria, che per celare oprato
Avremmo ciò che tanto l?alma abborre.
LICINIO
Col figlio cada anco la madre.
FAUSTA
Or questa
D?ogn?altra immanità fora maggiore.
Si muoia, o prence, o un?altra via si tenti.
LICINIO
Altra via non veggio, e sol da questa pende
L?onor, lo ‘mpero, e vostra vita, e mia,
Che importin assai più, credo, che quella
D?una femmina rea, d?un uom perverso.
E come ‘ncominciar meglio si puote
Il nostro regno, che con tor del mondo
Duo traditor? prendete adunque Augusta
O disonor e morte, o ‘l sangue loro.
FAUSTA
Che far mai debbo? Ah Flaviana, ah quanto
Ti pugnan contro contro i tuo’ propri consigli,
Dici ch?esser convien malvagio appieno,
Per goder de la colpa il frutto intero,
E che prudenza è ancor l?esser ingrata,
Ti sarò mio malgrado ingrata ed empia,
E se cara mi sei, pur molto è caro
Al navigante il suo ricco tesoro,
E talor con sua man lo getta e perde,
Per iscampar se stesso, in mar cruccioso.
LICINIO
Nuocer può la tardanza, or voi lor morte
Ite ad imporre, indi trovar fia lieve
Cagion, per cui ciò prenda in grado Augusto,
Ch?io vo dove mi chiama il gran disegno.
FAUSTA
Oh com in un sol giorno in tanti eccessi
Involger mi potei: qual folta schiera
Di falli appare al mio pensiero, e dice:
Siam noi tuoi figli, o come orribilmente
L?un per l?altro coprir surge, e s?avvanza
Più fier d?ogn?altro, che ‘l precede. Ah bella
Santa innocenzia, quanto più pregiata
Esser dovresti a l?uom, or ti ravviso,
Or conosco io quanto infelice e gramo
È chi ti perde, alte ricchezze e regni
Far lieto unqua non ponno un empio core,
Né sventura far può misero appieno
Un che ‘n mezzo agli affanni ha per conforto
Poter libero dir: sono innocente.
[Epilogo]
CORO
Coverto il ciel di nera atra gramaglia,
Par che irato il gran Giove a Roma in grembo
Sia per versar noioso orrido nembo
Di mali, e di que’ fulmini che scaglia
Qualor par che li caglia
Di superba città l?alta ruina:
Qual nuovo aspro cordoglio
Cruccioso a noi destina?
Ahi, ch?a ragion dal soglio
Veggiam con nostro più crudele affanno
Cadere il pio, che sorgervi il tiranno.
Par che in prigion con Crispo anco si chiuda
L?alta speme di Roma, e ‘l gaudio, e ‘l riso;
Già l?amara tristezza in ogni viso
Spiega su’ insegne, che se priva e ignuda
(Ahi timor d?aspra, e cruda
Pena cagion) fia del suo prenze amato,
E tronche fian di morte
Da un sol colpo spietato
Sua vita e nostra sorte
Ogni ben fuggirà dal roman suolo
Di quell?alma gentil seguendo il volo.
Deh qual mai face da’ nostr?occhi intorno
Sarà che tolga l?alta nebbia oscura,
O chi fia ch?innocenza intatta e pura
Tragga ardito da l?ombre, e spieghi al giorno?
Chi de la froda a scorno
Fia che disgombri il genitor dolente
De lo ‘nganno, in cui spinta
Fu l?agitata mente,
Ed ogni tema estinta,
Nel trono ‘mperial più lieto ei splenda,
E ‘l vinto rischio a noi più caro il renda.
Qual selva è ‘l mondo solitaria, oscura,
E di ladri, e di fere orrida stanza,
In cui quanto più l?uom entro si avanza
Lungi da l?altra gente, è in men secura
Parte, e par chiara ch?aspra e dura
Sorte minaccin que’ silenzi, or tale
E quei che per gran pregi
Di gloria alta, immortale,
Di più famosi regi,
Non che dal vulgo è lunge, onde il gran petto,
E ‘l tergo a l?alte insidie ha più suggetto.
Celeste man lui tolga
Dal grave rischio, or che nol puote il chiaro
Padre, che a lui sol va d?onor a paro.
ATTO QUINTO
Scena prima
COSTANTINO solo
COSTANTINO
Speranza è troppo debile e fallace
Quella di Firmian. Chiare ben veggio
L?alte colpe di Crispo, e ‘l mio gran danno.
Vuole il pubblico ben, ragion mi sgrida
A fulminar l?ultima pena a un figlio,
A un figlio! A questo sol tenero nome,
Che’ più barbari fa pietosi e molli,
Svenir dovrei. Pur non tal nome, ahi lasso,
Dal profondo del cor mi tragge il pianto.
Piagno mille sue rare alte virtudi,
Quel senno, quel valor, quel pronto e cieco
Oprar ciò ch?io volea, que’ dolci modi,
Che uniti al vago e signoril sembiante,
Rapiano i cori a più selvaggi e rozzi,
Que’ pensier giusti in ben oprar sì ardenti,
Ma come, oimè, cangiarsi in un sol punto,
In lascive, in ribelli, in empie voglie?
Misero padre! io troppo altero e lieto,
Men gia di dare a Roma un sì gran figlio,
Or con la speme cadde ogni mia gioia.
Ah se morte con man pietosa avesse
Tronco a tempo il mio stame, il più felice
Mortal per lui lasciato avrei la vita,
Com?or per lui vivrolla il più dolente.
Scena seconda
LETO e COSTANTINO
LETO
Signor, le schiere tutte armate a guerra
Chieggion libero Crispo, e minaccianti
Si mostran pronte a ‘nsanguinar le spade,
Per sua salute ne’ romani petti,
E versar tutto di lor vene il sangue,
In pro del caro duce, e s?alcun parla
A favor vostro, più lo sdegno, e l?ira
In lor si desta, come fiamma in esca
Via più si spande per soffiar di vento,
E gridan tutti: o libertade a Crispo,
O chi la vieta, crudel guerra e morte.
COSTANTINO
Or che dispongo in sì dubbio periglio?
Se la sua libertà, che mai da quella
Altro aspettar poss?io, che morte e scorno?
Quegli, ch?osò tentar mio scempio, allora
Che mi scorgea ver lui sì pien d?affetto,
Or che faria da mia giustizia offeso?
Ah, se ‘l rischio mortal sol fosse mio,
Cederei volentier vita ed impero.
Ma di te, Roma, io temo, e ‘n lui pavento
Del fier Nerone un più crudel tiranno.
Tal lo mi addita la congiura enorme,
Tal lo ‘mproviso cambiamento e strano,
Leto, col tuo consiglio omai soccorri
Nel grave dubbio a la confusa mente.
LETO
Sol dir poss?io che ‘l gran periglio attende
Presto riparo, o libertade o morte,
Ma qual convegna io pur dubbio mi taccio,
Poiché ne l?una il vostro duol s?incontra,
Ne l?altra la comun certa ruina.
Scena terza
LICINIO e DETTI
LICINIO
Augusto e zio, chi de la gran congiura
Inteso fu, già tra le schiere spande
Di Crispo il nome, e a ribellante impresa
Gli animi accende, ed a guerrier promette
Larghe mercedi, or io quanto conviensi
Al dover mio quanto ho di forza al braccio
Quant?ho d?affetti al cor, di senno a l?alma,
E quanto sangue ho ne le vene, tutto
In sì grand?uopo a voi consagro ed offro;
Sol m?imponete ov?io sparger lo deggio,
Che gioioso andrò ‘ncontro a quella morte,
Che a me fia nobil gloria, e a voi salute.
COSTANTINO
Chiaro nipote, da te Roma aspetta
Ampio ristoro a questi suoi gran danni,
Or nel sen mi ti stringo, e tu mi fia
Figlio e sostegno, in vece di colui
Che fier nemico, e traditor divenne.
LICINIO
Per me pregiato è di fedel suggetto
Il solo vanto, ma per or si badi
A la comun salute, io già raccolti
Ho sol per vostra guardia i mie’ più cari,
Ma fia debil difesa a tanta forza;
Già qui affrettan venir le felle genti,
Ad inondar le ‘mperiali soglie
Con sangue e con incendi, e Roma tutta
Empier di scempi, di rapine, e morti,
E col protesto reo di salvar Crispo,
Ognun disfogherà l?empie sue voglie.
COSTANTINO
Che più penso? or che a Roma il gran periglio
Sovrasta di servir sì rio tiranno:
Ceda a l?amor de la mia patria, ceda
L?amor di un figlio, isvenerei me stesso,
Se nuocesse a’ roman mia vita ancora.
Poiché giustizia il vuol, Crispo s?uccida,
E la morte d?un solo a mille, e a mille
Scampi la vita, in questo punto, o Leto.
Ah Crispo, ahi figlio, ahi duolo, ahi pena, o morte,
Deh tu vienne a troncar ne le mie fauci
Quel che a ragion tiranna a dir mi sforza,
Va’, Leto, e fa ch?or or l?infida testa
Veggan recisa le commosse schiere,
Sì che resti smagato ognun che il braccio
Armar voleva in sua difesa, o l?armi
Contra me, che sol bramo uscir di vita.
Leto, va’ tosto, pria che pentimento
L?opra distolga intrepida e diritta.
LETO
Dolente vado ad ubbidirvi, o sire,
Ah miser Crispo, ah più ‘nfelice padre!
COSTANTINO
E tu non indugiar, Licinio; vanne,
E a le schiere prometti ampio perdono,
De le milizie tu duce sovrano
Di Crispo in vece le raffrena, e cheta
Con lusinghe e minacce, e fa ch?io veggia
Per tua virtute a tanto mal riparo.
LICINIO
Vado, signore, a palesar con l?opre
Quanta ho ver voi ne l?alma e fede e zelo.
Scena quarta
COSTANTINO e poi FAUSTA
COSTANTINO
Abbia chi vuole, e scettro, e manto, e alloro,
Che troppo in questi a me fa l?empia sorte
Contrario peso; ahi, che dal più profondo
Del petto voce languida e dolente
Par che mi dica: padre mio, pietate,
E al pensier m?offre il mio misero figlio,
Che porgendo al rio taglio il nobil capo,
Il capo, in cui mio giovenil sembiante
Chiaro si scorge, sì favelli: ah caro
Mio genitor, tu mi condanni a morte?
Indi pentito, par che piagna e gride:
Padre, perdona, e perché in van ciò chiede,
L?orribil colpo scende, ed e’ mi dice
Misto a’ pianti ed omei l?ultimo addio.
Quel sangue, oimè, che dal reciso capo
Versa, è mio sangue, e quel gelido ‘mbusto
È d?un mio figlio a me sì caro, e un tempo
Fido sostegno de lo ‘mpero, e mio.
Ahi tormento, ahi dolor! deh fuggi, e lascia
O miser?alma l?affannate membra,
Ma dove andrai? forse là dove l?ombra
Del figliuol troverai, che ‘n fero aspetto
Ti dirà: crudel alma, io qui son giunto
Anzi tempo per te. Qual altra adunque
Via ne rimane a fuggir tanti affanni,
Se nulla valmi, e a ciò morte non basta?
FAUSTA
Col sangue, o sposo, di duo fier nemici
Un incendio smorzai, ch?a nostro danno
Era a surger già presso alto e vorace.
COSTANTINO
Nulla più temo, or che ‘l più grave danno,
Che affligger mi poteva, è certo: cade
Già Crispo, Augusta omai gioisci e godi,
Già morte opprime il tuo nemico.
FAUSTA
Io solo
Per nemico il conobbi allor che volle
Con l?onor involarvi impero e vita,
E perch?io v?amo, quanto amar può un cuore,
Abborro ognun ch?offender voi s?attenti,
Or Flaviana un tempo a me sì fida
Cara nutrice a morte ho spinta, e seco
Flavio suo figlio, né l?antico amore
In me punto frenò l?ira novella,
Infiammata dal vostro alto periglio.
COSTANTINO
E Flavian ancor? narra, che mai
Quest?empia contra me tentar poteo?
FAUSTA
Per liberar de la prigione il figlio,
Raccolta avea torma d?infide genti,
Che rotto avesser le ferrate porte,
Onde, lui salvo, sprigionasser Crispo,
Che traendo dal campo armate schiere,
Sarian venuti a vendicar lor onte
Col vostro sangue, e ‘l perfido trattato
A me scoverto, il soprastante rischio
Spensi con dar lor morte, a l?una il laccio
L?indegna vita ha tolto, il ferro a l?altro
Ha il capo… Ma che veggio, oimè tradita!
Scena quinta
FLAVIO e DETTI
FLAVIO
Qualor l?uomo, signor, che per natura
Al giusto inchina, a l?ingiustizia è volto,
O sdegno, o ambizione, o amore, o tema
Il torce, io d?ira mai contra il buon Crispo
Cagion non ebbi, ambizione, e amore
L?una già cadde con la speme, e l?altro
Già con la sua cagion rimane estinto,
Né chi tutto perdeo più tema ingombra,
Tal che ritorno ad esser giusto, e dico:
Crispo è innocente, e fur Licinio e Fausta
D?ogni empia accusa e d?ogni tradimento
I primi autori, e quest?offrio se ‘n prezzo
De la vita di Crispo, e de la vostra
A l?amato Licinio, ed io per loro
Il tutto oprai da Flaviana indutto,
Mia madre, e rea cagion d?ogni mio danno.
COSTANTINO
Che ascolto? olà, chi ha più veloce il piede
A la prigione or corra, e a Leto imponga
Ch?adempier cessi il mio decreto, e meni
Qui Crispo, e tu, malvagia…
FAUSTA
Eh, tanta fede
Trova il parlar d?un traditor mendace,
Che fa rei gl?innocenti e assolve i rei?
FLAVIO
Così feci finor, ma cangio stile,
Poiché ingrata mi foste, e con la morte
Pagar mia servitù cercaste, or s?io
Mentisco, o sire, quel gemmato cerchio,
Che primo a lei donaste, ella vi renda,
Che ‘n pegno di su’ amor donollo al drudo.
COSTANTINO
Non più, già scorgo il tradimento indegno,
Ah dolce speme mia, figlio innocente,
Chi sa se di tua vita a tempo giugne
L?avviso a Leto, ma che tardo? or voglio
Gir io se posso a sciorgli i duri lacci;
Indi attendano i rei supplicio e morte.
Scena sesta
FLAVIO e FAUSTA
FLAVIO
Nulla più teme chi salvar non spera
Più la vita e l?onore, e questa morte,
Onde l?offeso Augusto ambi minaccia,
Data già me l?avea Fausta, cui tanto
Servii fedel, morrò, ma de’ miei danni
Non rideran gl?ingrati, e se morendo
Avrò degno gastigo al mio gran fallo,
In un tempo avrò ancor giusta vendetta.
FAUSTA
Tua morte, o vile, a gran ragion tentai,
Che ben degg?io d?un traditor temere,
Anco allor ch?a mio pro s?adopra, ah troppo
Costui m?insulta. Olà, menate altrove
Quest?empio, sì che l?odiato aspetto
Più non turbi mia vista.
FLAVIO
Or l?ubbidite
Ma il vero è già, vogliate o no, palese.
Scena settima
FAUSTA sola
FAUSTA
Fausta, che più si spera? e che più resta
A far d?inganni enormi e d?opre inique?
Già de la ria semenza il degno frutto
Al fin raccogli. Or sì misera appieno
M?hai renduta, fortuna, or che di tutte
Le colpe rea mi festi, al fin rivolgi
Ogni mio fallo in mia vergogna e danno.
Oimè, se a Crispo io volgo il pensier tristo
Le mie lascivie e l?empie accuse scorgo,
Se a Costantino, i tradimenti orrendi,
Quinci di Flaviana il freddo corpo
Mi chiama ingrata, e mi spaventa, e quindi
Flavio m?accusa, mi rinfaccia e pugne.
Lassa, favola vil del basso vulgo
Sarò fra poco, ognun empia, impudica,
Traditrice, ribella, ingrata, ingiusta
Dirammi, e d?odio, aborrimento, e sdegno
I cuor, che ‘n prima reverenti, e umili
Mi rendevan omaggio, il mio sembiante,
Empierà tutti, fin che il duro acciaio
Per vil man non m?uccida, ah si prevenga
Il certo colpo, almen gli aspri e noiosi
Rimproveri così fuggansi, e l?onte.
Corrasi a morte, che riceve gli empi
Ugualmente che i buoni, ed è sicuro
Porto de le miserie e fin del pianto.
Ammendi questa man tant?opre ingiuste,
Col giusto ferro. Ah mio consorte offeso,
Perdona, se ti tolgo una vendetta,
Ch?esser tua dovea tutta, e questa colpa
È sol di perdon degna. Ah cari figli,
Mi duole esservi madre, or che nel mondo
Fia del mio nome la memoria infame.
Vorrei pria di morir gli ultimi sguardi
Darvi, e gli ultimi baci; oimè, pur temo
Che schiverebber gl?innocenti volti
Di una madre sì rea le labbra immonde.
Ma che più indugio? or tu quest?alma accogli
Là dove sta chi tradimenti ordìo,
Mio genitor; che più ‘nfelice albergo
Aver non puote nel più basso inferno
Di quel che or prova nel mio tristo petto.
Tronchisi il laccio odioso, onde si sciolga
Lo spirto reo da l?empio corpo, e accresca
Furia peggior forse d?ogni altra in Dite.
Muovasi pur, né più si tardi, mori,
Fausta infelice, oimè.
Scena ottava
COSTANTINO e FAUSTA ferita sopra una sedia
COSTANTINO
Dove avrai scampo
Vedovo padre e dispregiato Augusto,
Se ‘l tardo pentimento ognor fia teco?
Già de la reggia la gran corte inonda
Gente ribella, a cui, se le nascenti
Ombre notturne non m?ingannan, capo
È il traditor Licinio, e debil troppo
Difesa a tanti in su le scale è opposta.
Ah non è questo il mal, l?ingiusta morte
Del mio innocente mi tormenta ed ange;
Ed or, ch?egli è già spento, immergan pure
Nel mio sen quante spade hanno i ribelli,
Che sol può morte… Ma qual altro orrendo
Spettacolo qui miro! uccisa giace
Fausta! …
FAUSTA
Deh Costantin, gli ultimi accenti
D?un cor pentito, benché in vano, ascolta.
Crispo è innocente, e contra l?impudiche
Mie voglie armò di sdegno il casto petto,
Già Flavio il resto disse, io sol ti priego,
Se quest?ultimo pianto al sangue misto
Può nulla in te, che de le colpe mie
L?odio non passi ne’ miei figli, e in quelli
Innocenti ri…
COSTANTINO
Ah misera reina,
Ecco dove la colpa al fin t?ha scorta,
E pur tua morte a lagrimar m?invita!
Ma che spargo io qui pianti, or ch ‘l pudico,
Il magnanimo, il fido, il forte, il caro
Figlio, e sostegno mio di vita ho privo?
Oh di madrigna rio furore! oh folle
Precipitosa mia credenza, o colpa
Empia, inaudita! oh giusto, immenso duolo!
Fuggasi omai sì amara vita. Or voglio
Prevenir de’ ribelli il duro incontro,
E a mille spade il tristo petto offrendo,
Se moro almen tra quanti furo Augusti
Il più ‘nfelice, non morrò il men forte,
Che del lor sangue non cadrà digiuna
La nostra spada, e punirassi in parte
Lo ‘ndegno ardir; chi sa, chi sa, se incontro
Avrò Licinio, e in un morte e vendetta?
Sol pria vorrei su quell?amato imbusto
Le macchie, ond?è del suo bel sangue tinto,
Lavar col rio del mio angoscioso pianto:
Ma oimè non posso, e sol di fera morte
La brama in questo disperato punto
Appagar lece, a morte adunque…
Scena nona
LETOco’ soldati (un de’ quali porterà un bacino coperto) e COSTANTINO
LETO
Augusto,
Ecco il teschio superbo a voi presento
D?un tiranno crudel, con cui reciso
Il vostro cadde, ed il comun periglio.
COSTANTINO
Leto, deh togli sì spiacente vista,
Non avanzar mio duolo, or che mi mena
A far di me il più crudo ultimo scempio,
Ah come fosti ad ubbidir sì ratto
Per mia sventura, s?or che nulla giova
Conosco il fallo di sua morte ingiusta.
LETO
Ingiusta! ah ben v?intendo, invitto sire.
Rallegratevi omai, che il teschio è questo
Del traditor Licinio, e non del prode
Crispo innocente, e di voi degno figlio.
Tolgasi il velo; or qui volgete un guardo.
COSTANTINO
E ‘l mio figlio diletto? or s?egli è vivo,
Deh perché tarda a consolar suo padre,
Col suo sì caro e desiato aspetto?
LETO
Egli è rimaso ad acchetar le turbe,
Che per lui solo armato avean il braccio,
E a voi verrà tra poco.
COSTANTINO
Or narra intanto
Del gran successo gli accidenti strani,
E come in un sol punto il fero aspetto
Cangiò fortuna in sì giulivo.
LETO
Il vostro
Decreto ad esseguir men gia dolente
Ver la prigion, che il buon Crispo chiudea;
Quand?ecco m?arrestò voce con pianto
Formata, che dicea: mi conducete,
Anzi ch?io muoia, a Costantin, che a lui
Svelar debbo gran cose; allor miei passi
Drizzai ver donde uscì quel suono, e vidi
Flavio tra pochi armati, e n?era il duce
Creso Liberto a Fausta fido, e ‘l ferro
Era già presso al tristo capo; allora
Che con mie genti io giunsi, e quei respinsi,
In vedermi ei gridò: Leto, non bramo
Viever io già, vo sol che m?oda Augusto,
Perché Crispo è innocente, e son i rei
Licinio e Fausta; per tai detti a voi
Giusto mi parve d?inviarlo, e intanto
A la prigion del vostro figlio io stesso
Pensai con miei guerrieri in guardia pormi.
Ma giunto appena, a me venne chi espose
Che ribellanti schiere eran vicine
A la gran reggia, e che di lor duce era
Il rio Licinio, ognor gridando: muoia
L?empio tiranno; a tal notizia corsi
Per le secrete vie su l?alte scale,
E a tempo giunsi, onde animando i miei
Fidi seguaci, al gran furor m?opposi,
Ma in van ciò fatto avrei, se Crispo al fine
Da la prigion non fosse uscito in nostra
Difesa anch?egli, a la cui vista quasi
Tutti immoti restar. Licinio solo
Con suoi pochi seguaci insano siegue
L?ingiusta pugna, e contra lui si scaglia,
Cui non copriva né cimier, né usbergo,
Sol d?estinto guerrier lo scudo, e ‘l brando
Aver poteo, ma l?un sì a tempo oppose
Del fier nemico al primo orribil colpo,
E sì di punta in quel medesmo istante
L?altro vibrò sotto il nemico braccio,
Che quando alzato ei per ferir l?avea
Di sangue ingordo, aprio ben destro varco
Al pro campion, il qual tutto l?immerse
Ne l?empio petto, e sì Licinio cadde.
Al suo cadere alzossi a l?aere un grido
Di plauso a Crispo, e ognuno al fier drappello,
Che al prenze incontro osò pugnar, l?acciaio,
Irato volse, e lacerati in mille
Pezzi furo in un punto i rei compagni.
COSTANTINO
Ma come de le irate e ribellanti
Schiere Licinio si fe’ scorta e duce?
LETO
Narra costui, che lo seguì dal campo,
E l?armi poscia a pro di Crispo volse,
Ch?egli da folta compagnia seguito
Di gente un tempo cara agli altri Augusti,
Che restò poscia a Fausta amica e a lui,
E di voi non contenta al campo giunse,
E gridò forte: “O miei romani invitti,
Già Crispo, oimè, cadde svenato, il vostro
Duce, padre e compagno, e voi badate
Qui neghittosi? ah no, giusta vendetta
Facciam d?un empio, che di lui geloso,
Perché voi l?amavate, a morte il trasse,
Seguami ognun, che ha roman core in petto”.
Suoi falsi detti, come fiamma in erba
Da sol riarsa subito s?apprende,
Acceser sì que’ cor disposti a l?onte,
Che gridar, muoia il fier tiranno, e solo
Viva il vendicator de’ nostri danni,
E seguir ebbri di furor suoi passi.
COSTANTINO
Il traditor credea Crispo già spento,
Poiché udio ciò che imposi, e se pietoso
Il Cielo udir non ti facea le voci
Di Flavio; già ‘l sarebbe; e già di sangue
Piene le sale, e’ fier tiranno al soglio
Ma troppo tarda il caro figlio, ed io
Più resister non posso, andiam.
LETO
Già viene.
Scena ultima
CRISPO e DETTI
CRISPO
Eccovi, Augusto, il vostro figlio, e reo
Benché non sia se lo bramate estinto,
Pronto è a sparger per voi tutto il suo sangue,
Ch?egli è pur vostro, e sol m?era noioso
Versarlo per vil man, con l?empia nota
Di traditore, e di ribello; or lieto
Tutto diffonderollo incontro a i feri
Vostri nemici, e del romano Impero.
E se in altro mostrar debbo che poco
Prezzo per ubbidirvi è scettro, e vita,
Imponete; che al tutto io son già pronto.
COSTANTINO
Sorgi, o saggio, o magnanimo, o cortese,
O generoso mio figlio, e conforto,
E ti raccogli a le paterne braccia
Dopo il vinto periglio; in questo giorno
Per me rinasci, e con maggior mia gioia,
Che allor sol ebbi un figlio, ed or racquisto
In un figlio un eroe; nel sen ti stringo.
CRISPO
S?oggi rinasco, il viver mio cominci
Nobil principio, a’ vostri piè ritorno,
E per la mia chiara innocenzia io priego
Che nel comun gioir non sia chi piagna,
Deh perdonate a’ rei: questo bel frutto
Tragger vogl?io dal gran passato rischio,
A chi m?offese l?ottener mercede.
COSTANTINO
Caddero in parte, a Flaviana un laccio
Tolse l?indegna vita, a Fausta un ferro,
La tua mano a Licinio; or Flavio vivo
Rimagna, ma lontan dal nostro aspetto,
Gli altri, che men colparo, abbian lo ‘ntero
Perdono, e godan l?alta tua clemenza.
CRISPO
Vostri decreti adoro, e quinci apprendo
Del perdonare e del punir le norme.
COSTANTINO
Ancor si premi chi fedel mostrossi,
E più d?ogni altro Firmiano e Leto.
LETO
Alta mercede a me la nobil vita
Sia di prenze sì degno, e ‘l gaudio vostro.
COSTANTINO
Pria che tu vada a la prescritta impresa,
Io vo’ che Roma in tua presenzia applauda
Con nuovi giochi e con superba pompa
A la sua gran fortuna, or che non teme
Più d?un tiranno il giogo, e salvo mira
In te lo ‘nvitto suo futuro Augusto.
Andiam noi tutti al sacro tempio intanto,
E al sovrano Rettor del Ciel, del mondo
Offriam incensi, ed immortali grazie
Rendiam divoti, e pien di gioia i petti,
Poiché già, sua mercè, santa innocenzia
Fiaccò l?orgoglio a l?empietà proterva,
Ch?ogni ben da lui scende; abbian vil rogo,
E tomba umil de la superba Fausta
Le fredde membra, e sia seco sotterra
Anco de l?opre la memoria infame.
[Epilogo]
CORO
O Providenzia, o de l?eterna Mente
Figlia, o difesa e speme
Non mai fallace a oppressa alma innocente,
Cui quando assale e preme
Turbo di mali sì che par che scampo
Aver non possa, allor non visto inciampo
Al rapido lor corso,
Opponi, e fai che ‘l danno
Caggia di chi ‘l tentò su l?empio dorso,
Quai cieche menti più negar potranno
Tuo lume, ond?or si scorge
Il falso a terra vinto, e ‘l ver che sorge?
Flavio è tradito, e la ria madre è ancisa,
Da chi larga mercede
Speraro a i falli, e al fin Fausta è derisa
Da l?arti, ond?empia crede
Spegner con l?altrui sangue il suo periglio.
E di Costanza il figlio
Di Roma il solio or premeria tiranno,
Se ‘l suo crudel consiglio,
Onde sperò lo ‘nganno
Celar, non distruggea tutti gl?indegni
Suoi barbari disegni.
Or quinci uom vegga al fin che nulla vale
Incontro al Ciel forza o saver mortale.