Il cristallo magico

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IL CRISTALLO MAGICO

Commedia fantastica in quattro atti e nove quadri

di LORD DUNSANY

Versione di Carlo Linati

PERSONAGGI

JOHN BEAL

MARY BEAL

LISA

ALI’

BILL E BERT, bigliettari di stazione

UN SIGNORE nell’angolo del vagone

MIRALDA CLEMENT

HAFIZ EL ALCOLAHN

DAOUD

ARCHIE BEAL

BAZALOL E TUTUBABA, portieri nubiani

BEN HUSSEIN, padrone del Passo

ZABNOOL E SHABEESH, due prestigiatori

OMAR, cantore

ZAGBULA, madre di Hafiz

LO SCEICCO dei Bishareni

Notabili, soldati, Bishareni, Danzatrici, ecc….

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

(Un paese vicino a Dublino. Stazione ferroviaria, dieci an­ni or sono. Parlano tra loro due bigliettari, all'ingresso).

Bert                               - Come va, Bill?

Bill                                - Come vuoi che vada? Maledetta­mente.

Bert                               - Perché, dimmi.

Bill                                - Che vuoi che ti dica?

Bert                               - Ma che t'è successo?

Bill                                - Niente.

Bert                               - E allora cos'hai?

Bill                                - Cos'ho? Questa gente ti paga come un cane a poi crede di poter alzare la voce e dir tutto quello che vuole.

Beri                               - Hai passato qualche guaio?

Bill                                - Proprio così.

Bert                               - Per che cosa?

Bill                                - Ma semplicemente perché ho permesso a una signora di salire nel treno che era già in moto. Dicono che avrei dovuto impedirglielo, perché è pericoloso. Ma eh» credevano, che volessi lasciarla scappare?

Bert                               - E quand'è stato? L'altro giorno?

Bill                                - Martedì.

Bert                               - E' forse quella signora che lasciò cadere la borsetta?

Bill                                - Precisamente. Lei lascia cadere la borsetta, poi scrive alla Direzione, lagnandosi. Le rispondono ch'essa non avrebbe dovuto salire, e poi danno la colpa a me, capisci?... Ti giuro che mai e poi mai più in vita mia permetterò ad un viaggiatore di salire su un treno in moto. Quest'è il regolamento.

Beri                               - Io, però, non impedirei alle persone di salire.

Bill                                - E io sì. Mai più in vita mia... Te lo giuro! Quando un treno entra in stazione, tutte le porte d'uscita devono essere chiuse. Quest'è il regolamento, e così si farà. In questo modo più nessuno avrà da dir nulla sul mio conto, o farmene una colpa... Ah, ecco il treno. (// rumore del treno in arrivo). Chiudi quella porta, Bert! (Entra John Beai dalla porta della stazione).

John                              - (pronto per  passare) Buongiorno!

Bill                                - Non si può più entrare in stazione, signore. Troppo tardi.

John                              - Troppo tardi? Ma il treno è appena giunto.

Bill                                - Non importa. Questo è il regolamento.

John                              - Che sciocchezze! (Fa per entrare).

Bill                                - (fermandolo) Vi dico che è troppo tardi. Non potete entrare più.

John                              - Ma questo è assurdo! Io debbo partire!

Bill                                - E' troppo tardi.

Bert                               - Lascialo passare, Bill.

Bill                                - Ma neanche se...

John                              - Ma io non voglio perdere il treno! (John viene fermato da Bill che lo spinge indietro. John si avvicina a Bill con aria minacciosa. Si sente il treno che parte).

Bill                                - Non ho fatto che il mio dovere.

(John si ferma, riflette. Poi crolla la testa, si volta ed esce).

John                              - (voltandosi) Uno di questi giorni ti metterò a posto io come si deve!

QUADRO SECONDO

(Sera. Mary e John nella loro casetta in un piccolo sobborgo di Dublino).

John                              - Senti, cara, non sarebbe il caso di piantare una acacia in giardino?

Mary                             - Un'acacia? E che cos'è un'acacia?

John                              - Oh, un albero come ce ne son tanti.

Mary                             - Ma perché, John, vuoi piantare un'acacia?

John                              - Tu sai che questa casa si chiama « Le Acacie ». Ebbene, sembra strano che nel nostro giardino non ci sia neanche un'acacia. Intanto un'acacia potrebbe servire come richiamo al portalettere.

Mary                             - Ma no! Egli non sa neanche com'è fatta una acacia. Come me, del resto.

John                              - Hai ragione, Mary. Tu hai sempre ragione.

Mary                             - Ebbene, se vuoi, pianteremo un'acacia. Ne chiederò una al droghiere.

John                              - Ma il droghiere non vende acacie.

Mary                             - Lo so. Ma egli forse ci saprà dire chi le vende.

John                              - E dove crescono le acacie, Mary cara?

Mary                             - Non saprei, in qualche luogo di certo.

John                              - Qualche volta io sogno che sarebbe tanto bello poter andare lontano lontano, nei luoghi dove fioriscon le acacie.

Mary                             - Davvero ti piacerebbe, John?

John                              - Forse sì e forse no. Ma, insomma, qualche volta lo sogno.

Mary                             - E dove precisamente?

John                              - Oh, questo non so. In Oriente, per esempio, o in qualche luogo del genere.

Mary                             - L'Oriente? Oh no, John, non è luogo rispet­tabile.

John                              - E va bene. Io non ci sono mai stato e proba­bilmente non ci andrò mai. E poi non me ne importa proprio niente di niente.

Mary                             - (osservando le fotografie) Oh, John! Guarda che disastro!

John                              - Che è successo, Mary?

Mary                             - Mentre Lisa stava spolverando le fotografie, il ritratto di Jeanne è caduto ed il vetro si è rotto. Essa afferma però che stava soltanto guardando la fotografia.

John                              - Be', bisogna dirle di non guardarla troppo un'altra volta.

Mary                             - La fotografia della povera piccola Jeanne! Chissà come le spiacerà!

John                              - Faremo rimettere il vetro.

Mary                             - Però è un vero disastro.

John                              - Faremo rimettere il vetro e se Jeanne non sarà contenta le applicheremo la cornice della fotografia di Alice. Alice è ancor troppo piccola per accorgersi che le hanno cambiato la cornice.

Mary                             - Oh, per questo se ne accorgerà.

John                              - Allora quella 'di Giorgio...

Mary                             - Già, forse quella di Giorgio.

John                              - Il disastro avrebbe potuto accadere al ritratto della zia Marta, per esempio.

Mary                             - Sarebbe stato meglio a lei che alla povera piccola Jeanne.

John                              - Se fosse stato il ritratto della zia Marta, sta a vedere che lei (capitava qui proprio oggi e l'avrebbe visto, e chissà che guai succedevano! (Entra Lisa).

Lisa                               - C'è di là un signore che vuol parlare col padrone. Ma a dir la verità non mi sembra un vero signore, o perlomeno non quello che io chiamerei un vero signore, ecco.

Mary                             - Mio Dio! Ma che vuoi dire, Lisa?

Lisa                               - E' nero.

Mary                             - (inorridita) Nero?

John                              - (rassicurandola) Ah sì, forse è Ali... Oh uno strano personaggio, -Mary, ma perfettamente innocuo. La nostra Ditta un tempo comprava da lui molti tappeti.

Mary                             - Cosa viene a fare qui?

John                              - Te lo dirò. Un giorno questo signor Ali capitò a Dublino, fallito, ed è venuto in Ditta a domandare un po' di danaro. Il mio socio Briggs gli voleva dare una decina di scellini ma io feci notare a Briggs che Ali ci aveva fatto guadagnare, a suo tempo, delle migliaia di sterline e che sarebbe stato un atto degno di una Ditta come la nostra di regalargliene almeno cinquanta. E così fu fatto.

Mary                             - Cinquanta sterline!

John                              - Ti par molto?

Mary                             - Speriamo che non sia venuto qui per cercar­tene altre.

 John                             - Potrebbe darsi che sia venuto per ringraziarmi. Mi è sembrato così buono e così bisognoso! Cosa facesse a Dublino non so. Questa gente non si può mai capirla. L'Oriente è sempre l'Oriente, mia cara, e di più non si sa.

Mary                             - Come ha trovato l'indirizzo?

John                              - L'avrà chiesto in ufficio. Briggs e Chaters non fanno mai sapere a nessuno dove stanno di casa.

Mary                             - A me non piace ricevere persone di cui non conosco la provenienza.

John                              - Oh, Ali viene dall'Oriente.

Mary                             - Sì, lo so. Ma l'Oriente è una parola, e fran­camente non mi sembra una provenienza molto, molto,., rispettabile.

John                              - No?

Mary                             - L'Oriente non è mica qui a due passi. E" un luogo che non si può precisare sulla carta.

John                              - Ma se quell'uomo entrasse per un momento solo forse non farà nulla di male.

Mary                             - Allora un momento solo. Ma che non prenda l'abitudine di venire qui tutti i momenti. Di domenica tu non devi pensare agli affari, John.

John                              - Oh, non si tratta di affari, Mary. Ti dico che sarà venuto soltanto per ringraziarmi... Lisa, fallo entrare.

Lisa                               - Va bene, signore    - (Esce).

Mary                             - E gliele avete poi date quelle cinquanta sterline?

John                              - Il vecchio Briggs era d'accordo di dargliele: quindi credo che, in realtà, Chaters deve avergliele date.

Mary                             - Mi sembra che gliene abbiate date un po' troppe. Però, adesso che ci penso, è bene gli abbiate di­mostrata un po' di gratitudine. (Entra Ali dietro Lisa).

Ali                                 - (inchinandosi) O grande Protettore dei giusti, salute! (Lisa esce).

John                              - Ah, ah, bene: cioè, buonasera!

Aù                                 - L'anima mia era asciutta e voi la tuffaste in un fiume d'oro.

John                              - Oh, ah... sì, ricordo.

Ali                                 - Dovunque i nomi di Briggs, Chaters e Beai saranno magnificati e benedetti.

John                              - Grazie! Molto gentile.

Ali                                 - (avvicinandosi offre un oggetto a John) Protet­tore dei giusti, vi voglio offrire un dono.

John                              - Un dono?

Ali                                 - Sì, un dono che non ha prezzo, un dono ch'io non posso vendere a nessuno, un dono in segno di gra­titudine. (Glielo porge).

John                              - Un cristallo... E come l'avete avuto?

Ali                                 - Mi fu donato.

John                              - Da qualcuno, forse, che voi avete tuffato in fiumi d'oro?

Ali                                 - No. Era nel Sahara.

John                              - E cosa si dà nel Sahara invece di oro?

Ali                                 - Acqua.

John                              - E voi l'avete avuto per un bicchier d'acqua, probabilmente.

Ali                                 - Così.

Mary                             - Io non l'accetterei, caro, quel dono. E' molto grazioso, ma... (Rivolgendosi ad Ali) E questo dono per voi è molto prezioso?

Ali                                 - Voi dite la verità.

John                              - Ditemi, e che potere ha?

Ali                                 - Grandissimo. Colui che a una certa ora di notte prende in mano questo cristallo e formula un desiderio dicendo: «A una certa ora sia!», quando quell'ora scoc­ca può ritornare indietro otto o dieci anni della sua vita e cambiare interamente da allora tutto il corso della sua vita. Egli potrà rivivere interamente in quel giorno i dieci anni trascorsi e ritrovarsi di nuovo al punto di partenza, ma nella condizione in cui si sarebbe trovato se avesse fatto quella cosa diversamente.

Mary                             - Oh, John!

John                              - Non ho ben compreso.

Ali                                 - Stanotte voi formulate un desiderio. Comin­ciando dalla giornata di domani voi rivivrete gli ultimi dieci anni della vostra vita in un modo tutt'affatto di­verso, o mio signore; nel modo che desiderereste di ri­viverli in questo momento. Poi domani sera voi risarete qui quello che in questi dieci anni sarete diventato.

John                              - Perdio!

Mary                             - Oh, John, non immischiarti in questa fac­cenda!

John                              - Ma no, Mary... Insomma voi volete dire che un uomo può ritornare indietro dieci anni della sua vita?

Ali                                 - Così.

John                              - Mi sembra una cosa strana. Però vi voglio credere. Ma poi, ditemi, come si possono vivere dieci anni della propria vita in un sol giorno?

Ali                                 - Il mio Padrone ha potere sul tempo.

Mary                             - Oh, John, non impicciarti con costui!

John                              - Va bene, Mary... E chi è il vostro Padrone?

Ali                                 - Egli sta scolpito in un unico pezzo di giada. E' un Dio in mezzo ai monti più verdi della terra. Gli anni sono i suoi sogni: questo cristallo è il suo tesoro. Conservatelo con cura poiché il potere del mio Dio è più forte in questo pezzo di vetro che su tutte le cime delle sue montagne native. Guardate che dono vi faccio, o mio signore!

John                              - Siete molto, molto gentile, Ali.

Mary                             - Addio, Ali. Vi siamo molto obbligati per il vostro dono, ma non possiamo accettarlo; non abbiamo alcun modo per servircene.

John                              - Un momento, Mary... Voi volete dire ch'io posso tornare indietro dieci anni della mia vita e vivere fino... fino ad ora? E questo nello spazio di un sol giorno?

AlÌ                                - Se partite di buon mattino potere esser di ri­torno a mezzanotte.

John                              - E se partissi, poniamo, alle otto di mattina?

Ali                                 - Potreste esser di ritorno alle undici di sera.

John                              - Non posso concepire come dieci anni possano passare in un sol giorno.

Ali                                 - Passano come passano i sogni.

John                              - Però mi pare cosa un po' fuori del normale.

Ali                                 - Il tempo è lo schiavo del mio Padrone.

Mary                             - John!

John                              - Sta bene, Mary. (A bassa voce) Voglio cercar solo di capire ciò che egli dice.

Mary                             - Fai pure, John, soltanto che...

Ali                                 - Non è nella vostra vita un’azione che non avreste voluto fare, o qualche altra che avreste voluto fare e non vi fu possibile di realizzare?

John                              - Ditemi una cosa, Ali, perché non l'adoperate voi stesso il vostro talismano?

Ali                                 - Io? Io temo il passato. Ma voi, voi siete un europeo e appartenete alla grande Ditta Btiggs, Chaters e Beai e quindi non avete nulla da temere.

John                              - Bene... Datemi il cristallo.

Mary                             - Oh, John, non prenderlo!

John                              - Ma perché Mary?

Mary                             - Ma se può veramente fare tutto ciò che dice Ali, tu... tu...

John                              - Già, non ci pensavo.

Mary                             - Lascia stare il passato, John!

John                              - Bene, Mary. Non ho nessun obbligo di ser­virmene... Ma vedi, voglio sapere, sapere qualcosa di più preciso. E' così strano! (Ad Ali) Voi volete dire, Ali, che se io lavoro ostinatamente per dieci anni, po­niamo, nella giornata di domani, potrei, se volessi, ritro­varmi Governatore di una grande Banca.

Ali                                 - Proprio così.

Mary                             - Oh John, ti scongiuro, non, accettarlo.

John                              - Avete detto che sarò di ritorno domani sera stessa?

Ali                                 - Precisamente.

John                              - Ma se io fossi diventato, poniamo, il Gover­natore di una grande banca dovrei abitare un grande palazzo di città. Il Governatore non sarebbe certo qui a Lewisham.

Ali                                 - Quando l'ora sarà giunta, il cristallo vi ripor­terà in questa casa domani sera stessa. E se voi sarete diventato un gran banchiere, forse voi vi ritroverete qui per castigare qualcuno dei vostri servi. Se sarete il di­rettore della Ditta Briggs e Chaters, forse vi troverete qui per dare un ordine a qualcuno dei vostri dipendenti. Può darsi che tutta la contrada sia di vostra proprietà e allora verrete qui a darvi un'occhiata da proprietario. Ma certa­mente qui ritornerete.

Mary                             - John, John, non accettare, non accettare! Non voler mutare la tua vita!

John                              - Bene, Ali, sei stato molto gentile a farmi questo dono.

Ali                                 - E non vendetelo! Donatelo come io ve l'ho do­nato, se il cuore vi spingesse a farlo. E così esso potrà un giorno ritornare alle colline che son più lucenti dell’erba, fatto ricco della gratitudine di molti uomini. E il mio Padrone in quel momento sorriderà, e la valle sarà felice.

John                              - Davvero, molto gentile.

Mary                             - Ma a me non piace, John. Non mi piace che t'immischi col passato.

Ali                                 - La potenza del mio Padrone è nelle vostre mani. Addio! (Esce).

John                              - Se n'è andato!

Mary                             - Che uomo terribile!

John                              - Io veramente non avevo intenzione di accet­tare quel dono.

Mary                             - Oh John, non dovevi accettarlo.

John                              - Ma perché? Ma non me ne servirò, vedrai, non me ne servirò neanche.

Mary                             - No, John?

John                              - Se tu non vorrai, naturalmente. E poi che bisogno ho io di mutare le cose che sono accadute? Sono così affezionato a questa nostra piccola casa! In verità io sono felice, Mary, e non vorrei cambiare neanche la zia Marta. (Addita ^accigliata fotografia che pende dal mezzo della parete). No, no, non voglio nulla di mutato.

Mary                             - Oh, John, veramente? Come sono felice, John! Ero tanto impaurita, sai? L'idea d'impicciarmi col pas­sato mi era insopportabile. Tu non sai che cosa sia il passato, John, ciò che se n'è andato per sempre! E quel che può capitare facendolo rivivere. Non pensiamoci più, John, non è prudente. E poi non ci sono i nostri ra­gazzi?

John                              - Sì, sì, hai ragione, Mary. Terrò solo questo cristallo come un semplice ricordo.

Mary                             - Ed io son contenta, John... Ma dimmi, lo sei veramente tu? Non c'è nulla, per esempio, nella tua vita che tu avresti desiderato fosse avvenuto in modo diverso? Io alle volte ci penso. Nulla, nulla nella tua vita che tu rimpianga di non aver fatto?

John                              - Ma nulla!... E tu?

Mary                             - Nemmeno io. Talvolta mi accade di pensare che quel sofà avrebbe potuto essere verde, ma tu l'hai voluto rosso, e così sia.

John                              - Anch'io proprio non ho nessun rimpianto.

Mary                             - Credo che sian pochi gli uomini che possan dire altrettanto nella vita!

John                              - Lo credo anch'io. Ma si è perché non tutti hanno sposato te, Mary.

Mary                             - (.sorride).

John                              - Eppure...

Mary                             - Eppure cosa., John?

John                              - Ebbene, te lo voglio dire, c'è realmente una cosa...

Mary                             - E che cos'è?

John                              - Una cosa che mi brucia un po'. Oh nulla, nulla di grave... Però a suo tempo mi è seccata pa­recchio.

Mary                             - E cosa è stato, John?

John                              - Bene, te lo voglio dire. Una volta io ho perso un treno. Dirai che è una cosa da nulla pendere il treno. Ma fu la maniera, vedi, con cui il bigliettario della sta­zione me lo fece perdere. Mentre entravo in stazione mi ha ricacciato indietro villanamente, quel farabutto. Io non potei reagire perché, sai, c'era caso d'andare per avvocati. Ma però mi sono arrabbiato e molto... Oh, fu tanti anni fa, prima che ci sposassimo.

Mary                             - Ti ha ricacciato indietro?

John                              - E io avevo tanto desiderio di prendere quel treno! Talvolta ci penso ancora a quella mia rabbia di allora.

Mary                             - Ma che mascalzone quel bigliettario!

John                              - Be', ma non importa.

Mary                             - Avrei voluto esser lì io!

John                              - Non ci pensiamo più... (Come colpito da un'idea) Ma adesso mi viene un'idea.

Mary                             - Ebbene, John?

John                              - Ho detto che non c'è nulla da fare contro il fatto dì aver perso il treno... Ma no che ci si può rime­diare!

Mary                             - E in che modo, John?

John                              - Adesso che ho con me questo talismano, capi­rai, io posso permettermi di prenderlo ancora quel treno!

Mary                             - Oh, John, ma se m'avevi detto che non intendevi servirtene.

John                              - Ho detto che non avrei fatto nulla per mutare il mio passato. E questo non lo farò. Ma questo, vedi, non muta per niente il mio passato : è una cosa da nulla.

Mary                             - E dove volevi recarti 'con quel trenta, John?

John                              - In città... Allora io non ero ancora in Ditta. Si trattava di un appuntamento con un tale che mi aveva promesso di procurarmi un posto in città.

Mary                             - Ma, John, ma questa è una cosa che può invece cambiare radicalmente il corso della tua vita.

John                              - Ascoltami bene, Mary. Quel tale non c'è poi venuto all'appuntamento. Ricevetti da lui una lettera di scusa e risultò che non aveva nessuna intenzione di aiu­tarmi: voleva soltanto salutarmi, ecco tutto. Anzi lui al convegno non ci andò neppure, per cui se ci fossi andato avrei dovuto ritornarmene poi col treno successivo... Tu vedi che tutto questo, anche volendo, non potrebbe affatto cambiare il mio avvenire.

Mary                             - Forse no, John. Eppure la cosa non mi piace.

John                              - Ma, Dio mio, che differenza ci potrebbe essere?

Mary                             - N... n... no, non voglio, ecco!

John                              - (sforzandosi di persuaderla) Ebbene, pensa, Mary, come noi due ci siamo incontrati. Al matrimonio di mio fratello Archie, ti ricordi? E un dovere andare alle nozze del proprio fratello. Tu eri una delle fan­ciulle che accompagnavano la sposa. Noi quindi dove­vamo incontrarci per forza ed essendoci incontrati, eccoci qui. Se ci fossimo incontrati invece per caso in un treno, o in qualcosa di simile, bène, allora io ammetto che qualche piccola variante avrebbe potuto determinarsi nella nostra vita. Ma quando ci si incontra alle nozze di un fratello e tu sei una delle accompagnatrici della sposa, ebbene, Mary, questo è un avvenimento certo e sicuro. Oltreché io credo nella fatalità. Quello era il nostro destino e noi non potevamo sfuggirlo.

Mary                             - Lo so, eppure se te lo devo dire... la cosa non mi piace.

John                              - Oh, Mary, ho tanto bramato di prendere quel treno infernale! La cosa non mi dà pace ancora adesso dopo dieci anni: son dieci anni che ho l'ossessione di quel treno delle otto e cinquanta che non ho potuto prendere!

Mary                             - Ho quasi piacere che tu non l'abbia preso.

John                              - Ma perché?

Mary                             - Supponi che ci fosse stato qualche incidente ferroviario! Avresti potuto rimanere ucciso e noi non ci saremmo mai più incontrati.

John                              - Ma a quel treno non è capitato nessun inci­dente, quel giorno. Quel treno, dieci anni or sono, è arrivato puntualmente a Dublino. I tuoi timori sono dunque infondati; ragion per cui io potrei benissimo prendere quel treno di dieci anni fa con la massima sicurezza che tutto andrebbe a finir bene come allora. (Affettuoso) Ma pensa, Mary, rivivere ancora i nostri bei giorni di allora! Pensa ai nostri deliziosi giorni che ritornano, alle nostre belle gite che facevamo, a maggio, in campagna con tutti i biancospini in fiore, come allora, i dolci che tu hai comprato lungo la strada, la birra che abbiamo preso in quel tal posto... il canto degli uccelli... Oh, Mary, non pensi a tutto questo?

Mary                             - (tra commossa e rassegnata) Bene... quand'è così, John...

John                              - E tranquillizzati, incidenti ferroviari non ce ne furono.

Mary                             - (amaramente rassegnata) K vero, John. Ma tu non devi cercare di diventare ricco o dà fare qualche stupidaggine...

John                              - No, Mary, io desidero soltanto idi prendere quel treno. E poi, vedrai, accadranno le stesse cose e per la stessa via ritornerò a te... Voglio partire domattina... Va', e adesso lanciami, Mary. Ho deciso... Buona notte, amore.

Mary                             - Buona notte!

John                              - Ecco, io me ne starò qui seduto sul sofà con questo cristallo fra le mani, e mi raccoglierò nei miei pensieri.

Mary                             - E poi?

John                              - Poi prenderò qualche biscotto e alle sette andrò alla stazione.

Mary                             - E a che cosa penserai, John?

John                              - Fisserò bene la mente su quello che voglio fare. Solo quello farò, poi il resto andrà da sé. Non ci potranno essere sbagli.

Mary                             - (tristemente) Ebbene, giacché proprio lo vuoi, buona notte, John.

John                              - Mi fai preparare la cena per le undici 'di do­mani sera?

Mary                             - Sta bene, John... (Esce).

John                              - (dopo qualche momento, seduto sul sofà) Afa! finalmente potrò prenderlo il mio treno a dispetto di quel maledetto bigliettario!... (Prende il cristallo e lo stringe fortemente nella mano sinistra mormorando fra se intensamente) Voglio ritornare indietro nella mia vita di dieci anni, due settimane e un giorno: cominciando dalle otto e dieci di domattina...

QUADRO TERZO

(Scena come nel quadro primo, dieci anni prima).

Bert                               - Come va, Bill?

Bill                                - Come vuoi che vada? Maledettamente.

Bert                               - Perché? Dimmi.

Brl                                 - Che vuoi che ti dica?

Bert                               - Ma cos'è successo?

Bill                                - Niente.

Bert                               - E allora cos’hai?

Bill                                - Questa gente ti paga come un cane, e poi crede di poter alzare la voce e dire tutto quello che vuole.

Bert                               - Hai passato qualche guaio?

Bill                                - Proprio così.

Bert                               - Per che cosa?

Bill                                - Semplicemente perché ho permesso a una si­gnora di salire sul treno che era già in moto. Ecco tutto. Mi hanno detto che avrei dovuto impedirglielo, perché è pericoloso. Ma che credevano che volessi lasciarla ac­coppare?

Bert                               - Quando è stato?

Bill                                - Martedì scorso.

Bert                               - Si tratta forse di quella signora che ha la­sciato caldere la borsetta?

Bill                                - Precisamente. Lei lascia cader la borsetta, ca­pisci, poi scrive lagnando-si alla Direzione. Le rispondono che non avrebbe dovuto salire e danno la colpa a me. Ancora un poco e io...

Bert                               - No, Bill, se io fossi in te non lo farei. Devi pensare alla tua famiglia.

Bill                                -  Bene, bene, ti giuro che mai più permetterò in vita mia ad un passeggero di salire sul treno quando è in moto. Questo è il regolamento. (Entra John Beai).

Bill                                - (toccandosi il berretto) Buongiorno, signore!

John                              - (non risponde ma si incammina verso la porta che è fra i due).

Bill                                - Volete che vi porti il bagaglio, signore?

John                              - Va all'inferno! (Esce per la porta).

Bill                                - Oh là là.

Bert                               - Ce l'ha con qualcuno.

Bill                                - Non certo con me, lo conosco quel giovanotto.

Bert                               - Gentile, no? Di solito?

Bill                                - Non l’ho mai visto così.

Bert                               - Gli hai forse detto qualcosa?

Bill                                - Ma neanche per sogno.

Bert                               - Strano!

Bill                                - Si vede Che ha qualche dispiacere.

Bert                               - Forse. (Si ode il fischio del treno).

Bill                                - Ah, ecco il treno. Dunque, come ti dicevo...

QUADRO QUARTO

(Vagone di seconda classe. Lo stesso mattino del qua­dro primo. Rumore di treno in corsia e paesaggi in fuga traverso i finestrini. Rapide visioni dì belle colline irlandesi quasi interamente ricoperte dalle reclame del « Bowril » e del « Oxo » alternate. John Beai, una fan­ciulla e un signore occupano i posti dello scomparti­mento. Stanno seduti in silenzio come statue di Luxor. L'uomo sta seduto vicino al finestrino ed ha la comodità di aprirlo e di chiuderlo).

Miralda Clement           - Per favore, volete aprire il fine­strino?

Il Signore nell'angolo    - (alzando le spalle) Oh, cer­tamente. (Apre, ma richiude quasi subito).

Miralda                         - Grazie tante.

Il Signore                      - Prego. (Un silenzio ancora).

Miralda                         - E adesso, scusate, avreste la bontà di ria­prirlo ancora? Mi par che faccia un gran soffoco. Non vi pare?

Il Signore                      - Bene, io penso invece che faccia molto freddo.

Miralda                         - Oh, vi pare? Comunque non vi spiacerebbe di aprirlo per me?

Il Signore                      - A me piacerebbe invece lasciarlo chiuso, se non vi «piace. (Miralda sospira e fa verso John un gesto di una martire in presenza dei leoni).

John                              - Permettete, signorina. (Si alza e va ad aprire il finestrino. Il signore nell'angolo scrolla le spalle, poi ritorna al suo giornale).

Miralda                         - Oh grazie, grazie tante.

John                              - Ma vi pare, signorina? (Silenzio di nuovo).

Voci di Facchini           - (al di fuori) Fan Kar... Fan Kar... (Il signore dell’angolo scende).

Miralda                         - Potete dirmi, per favore, dove siamo?

John                              - Si. Elephant and Gasile.

Miralda                         - Grazie tante. Siete stato molto gentile, poco fa, a difendermi da quell'ignobile signore. Avrebbe voluto che io soffocassi.

John                              - Sono ben contento di esservi stato utile.

Miralda                         - Francamente avrei avuto paura di aprire il finestrino da me. E’ stato proprio magnifico da parte vostra.

John                              - Oh, una cosa da niente; se mai è stato un vero piacere per me di farvi cosa grata. (Istante di si­lenzio).

Miralda                         - Purtroppo io non ho mai nessuno che mi assista.»

John                              - Davvero?

Miralda                         - No, no, nessuno.

John                              - Quanto a me, sarei ben lieto se potessi gio­varvi in qualche modo.

Miralda                         - Ma'. Chissà se non mi potreste dare qualche buoni consiglio!

John                              - Farei del mio meglio, certo.

Miralda                         - Io non ho mai nessuno con cui consi­gliarmi.

John                              - Davvero?

Miralda                         - Io abito presso una mia zia, ma essa non mi comprende... Avevo uno zio che poi cinque anni or sono morì lasciandomi centomila sterline.

John                              - Ah!

Miralda                         - Quel danaro fu poi investito al 25 per cento, ma fino ad ora non ho percepito un soldo.

John                              - Non mi pare giusto... Di grazia, dove è stato investito quel danaro?

Miralda                         - In Al Shamidomir.

John                              - Dov'è?

Miralda                         - Precisamente non lo so. Non sono mai stata profonda in geografia. Non ho mai saputo bene dove finisca la Persia.

John                              - E che genere di investimento era?

Miralda                         - Dovete sapere che c'è un passo, in mezzo ad alcune montagne della Persia, attraverso il quale non si può transitare che coi cammelli e per cui si paga un forte diritto di pedaggio. E’ una usanza della tribù che abita quei luoghi, e mi risulta che detta tassa viene re­golarmente percepita.

John                              - A beneficio di chi?

Miralda                         - Del capo della tribù, certo Ben Hussein. A costui mio zio aveva prestato del danaro, un tempo, ed egli in garanzia gli aveva ceduto il reddito del pe­daggio per il transito dei cammelli. I cammelli portano dai carichi di oro te di torchesi che si traggono dai fiumi. Ma quel Ben Hussein non ha amai restituito il danaro che mio zio gli ha prestato. E questa non vi sembra una truffa bella e buona?

John                              - Certo, e bisognerebbe metterlo in galera quel Ben Hussein.

Miralda                         - Se lo meriterebbe proprio. Ma il fatto è che è molto difficile andarlo a scovare quell'uomo. Se si trovasse sul lato di qua della Persia, pazienza, ma si trova sul lato opposto.

John                              - Bene, io vi dico che un uomo come quello, meriterebbe di fare qualunque sacrificio per acciuffarlo.

Miralda                         - Voi siete molto gentile a dirmi questo.

John                              - Bene, se credete, io potrei... In conclusione voi dite che non avete mai preso un soldo da lui?

Miralda                         - No, mai.

John                              - Ma è una vera vergogna.

Miralda                         - E cosa dovrei fare?

John                              - Intanto negli affari la miglior cosa è quella di recarsi sul posto dove si devono sbrigare... Ma in questo caso si tratta di un luogo molto lontano a quanto pare.

Miralda                         - Eh sì, molto lontano.

John                              - Ebbene, io vi 'consiglierei di recarvi laggiù, se vi è possibile. E, quanto a me, se vi posso essere utile in qualche cosa...

Miralda                         - E cosa potreste fare per me?

John                              - Oh, potrei andare a cercare quel Ben-Hussein, poi...

Miralda                         -  Poi?

John                              - Gli insegnerei io la legge e gli farei imparare ad appropriarsi il denaro degli altri!

Miralda                         - Ma davvero lo fareste?

John                              - Ma ne sarei felicissimo.

Miralda                         - Veramente? Intraprendereste un tal viaggio?

John                              - Ma con tutto il piacere... E’ questo appunto un genere di cosa che mi va a genio. Quell'uomo do­vrebbe essere...

Miralda                         - Siamo arrivati a Holdborn. Volete avere la compiacenza di fare colazione con me? Si potrebbe di­scutere un poco la cosa insieme.

John                              - Volentieri. Sarei felice di potervi aiutare. Debbo prima parlare con un amico di un affare per cui sono venuto in città, e dopo quello... E dove faremo colazione?

Miralda                         - Da Gratzenheim.

John                              - Va bene, da Gratzenheim, a che ora?

Miralda                         - Alla una e mezzo, vi accomoda?

John                              - Perfettamente. Che piacere poter mettere a posto un uomo 'come quel Ben Hussein! Oh scusate! (Si affretta ad aprire la portiera e Miralda scende dal treno).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(La tenda di John a Al Shandomir, in Persia. Mucchi di idoletti a destra e a sinistra, sul pavimento. Daoud tiene un idolo in braccio. John lo osserva. Sei mesi son passati dalla scena sul treno).

John                              - Questo Dio è sacro. (Fa cenno al mucchio di sinistra. Daoud porta l’ìdolo verso il mucchio e ve lo mette a giacere).

Daoud                           - Sì, o grande padrone.

John                              - Tu non devi chiamarmi grande padrone, te l'ho già detto. Io non sono il tuo padrone. Sono qui sol­tanto per aiutare il tuo popolo. E lo so meglio di te che debbo fare. Hai capito?

Daoud                           - Sì, grande padrone.

John                              - Va a prendere degli altri idoli. Presto!

Daoud                           - Vado, grande padrone. (Esce).

John                              - Questa gente non riesco a capirla.

Daoud                           - (ritornando) Ecco altar! tre dèi.

John                              - (osserva i loro volti e fa cenno ai due primi idoli più piccoli) Questi due sono sacri. Ma questo non lo è.

Daoud                           - Sì, grande padrone.

John                              - Mettili là sul mucchio. (Daoud eseguisce: due a sinistra e uno a destra). Vararne a prenderne degli altri.

Daoud                           - (fa un salamelecco, poi esce).

John                              - (fissando il mucchio di destra) Che gente, che gente sudicia!

Daoud                           - (rientra con due idoli).

John                              - (dopo averli scrutati) Questo qui è sacro e questo non lo è. (Entra Archie Beai con cappello duro) Oh Archie, ma che splendida idea hai avuto di venirmi a trovare! Davvero, idea magnifica! E hai fatto tutto quel viaggio?

Archie Beal                   - Come vedi, sono qua. Cosa diavolo stai facendo?

John                              - Oh Archie, è stata una gran cosa, sai, a voler venire qui. Io non avrei mai osato di chiedertelo.

Archie                           - E va bene, va bene. Ma cosa diavolo stai facendo? Cos'è tutta questa roba sciorinata?

John                              - Il fatto è, vedi, Archie, che qui c'è una massa di gente stranissima. Io ho già imparato la loro lingua, più o meno bene, ma non credo ancora di capirli. Una gran parte sono maomettani. Già, adorano Maometto. Ma siccome Maometto è morto, perciò molti di essi adorano questi affaretti qua.

Archie                           - E perché te li sei portati qua dentro?

John                              - E' tutta una storia. Tu vedi che ci sono due sorta di idoli qui. Bene. Ad alcuni di essi offrono frutta e topi.

Archie                           - E perché topi?

John                              - E' un uso di queste parti che probabilmente risale a un centinaio di anni fa. Sai, come l'uso della fìbbia delle scarpe, o di qualunque altra cosa. E' una cosa giusta che essi fanno.

Archie                           - Bene, e perché li metti lì in mucchio a quel modo?

John                              - Perché poi c'è un altro genere di idoli: quelli che hanno le bocche più larghe con della ruggine intorno.

Archie                           - Ruggine? Ma già, eccola lì. Ebbene, cosa fanno?

John                              - La gente qui dà da bere loro del sangue.

Archie                           - Del sangue?

John                              - Sì, versano del sangue umano giù per le loro gole. E per poter dar loro del sangue qualche volta ucci­dono delle persone e qualche altra si accontentano di salassarle soltanto. Ciò dipende dalla quantità di sangue di cui l'idolo ha bisogno.

Archie                           - Mio Dio, e quanto gliene occorre? E loro come lo sanno?

John                              - I loro sacerdoti glielo insegnano. Talvolta, vedi, li ingozzano di sangue fino al collo. Di primavera, poi, è terribile.

Arche                            - E perché di primavera?

John                              - Non lo so. Allora i sacerdoti reclamano mag­gior quantità di sangue. Molto più. E loro dicono ch'è sempre stato così.

Archie                           - E tu vorresti impedirglielo?

John                              - Già, cerco di abolire questo uso nefando: glielo si deve impedire. Permetto loro di adorare soltanto gli altri idoli.

 Archie                          - E ti ubbidiscono?

John                              - Lo penso, almeno.

Archie                           - Devi aver acquistato un grande ascendente su di loro.

John                              - Non lo so. In realtà è solo l'affare del « passo » che mi sta a cuore qui.

Archie                           - II passo?

John                              - Sì, quello attraverso il quale sei venuto e che è l'unica strada per raggiungere questa località.

Archie                           - E che c'entra il passo con gli idoli?

John                              - C'entra, perché, vedi, se quel passo fosse chiuso, nessuno potrebbe più entrare o uscire da questo paese e forse neanche sentirne parlare. Sarebbe totalmente ta­gliato fuori dal mondo. Perché non lo si trova neppure sulla carta geografica.

Archie                           - Sì, lo so,

John                              - Dunque, puoi immaginare, chi è padrone del passo qui è padrone di tutto.

Archie                           - E chi sarebbe il padrone del passo?

John                              - Il vero padrone di fatto è un uomo chiamato Ben Hussein, ma il padrone di diritto è lo zio della signorina Oleinent, un tale Hinnlard1, una specie di esplo­ratore solitario che pare sia venuto da queste parti tempo fa e che probabilmente ha compreso tutto il vantaggio di tenere in possesso quel valico. Costui a suo tempo ha prestato a Hussein una forte somma di denaro, e ne ebbe ricevuta formale. Ma questo Hussein è semplicemente un mezzo brigante.

Ahchie                          - Garanzia poco sicura, allora.

John                              - E qui hai torto, perché Hussein riconosce il documento che ha firmato ed a cui ha apposito per avallo il nome di qualche dio o altro di cui egli ha sacro timore. Ora vedi come stanno le cose. Quel passo è sacro come tutti gli dèi che si trovano in Shandomir e Hussein lo ha in sua mano. Ma egli deve pure una somma enorme alla signorina Miranda Clement e io sono qui, in qualità di suo agente legale, per riscattarle quella somma: e tu, con lo spirito di vero « sportman », sei venuto in mio aiuto.

Archie                           - Bene, la faccenda mi sembra abbastanza semplice.

John                              - Non so, Archie: perché Hussein riconosce il debito, ma...

Archie                           - Ma bisognerà sorvegliarlo, no?

John                              - Appunto, e nello stesso tempo mi sento respon­sabile per tutta questa gente ignorante. Qualcuno la deve ben sorvegliare... Daoud!

Daoud                           - (dal di fuori) Grande padrone!

John                              - Porta qui dentro degli altri dèi.

Daoud                           - Sì, o grande padrone.

John <                           - Non riesco a far smetter questi assurdi titoli orientali! (Rientra Daoud).

Archie                           - iStavolta ci porta due grossi idoli.

John                              - (ad Archie) Guarda: hanno della ruggine in­torno alla bocca! (A Daoud) Ambedue non sono sacri. (Addita il mucchio di destra e Daoud ve li depone sopra).

John                              - Portane degli altri.

Daoud                           - Oh, grande padrone, non ci sono altri dèi in Al Shandomir.

John                              - Sta bene.

Daoud                           - Altri ordini, grande padrone?

John                              - Ascolta. Stanotte tu verrai qui e porterai via tutti questi idoli. Essi verranno di nuovo adorati nei loro luoghi adatti. Ma quest'altri li getterai nel fiume, e non lo dirai a nessuno.

Daoud                           - Sì, o grande padrone.

John                              - Lo farai, Daoud?

Daoud                           - Lo farò, grande padrone.

John                              - Mi dispiace di dovertelo comandare, Daoud, so che il farlo ti rattrista, ma è cosa che in ogni modo deve essere fatta.

Daoud                           - Sì, sono triste, o grande padrone.

John                              - E perché, Daoud?

Daoud                           -  O grande padrone, in tempi a noi sconosciuti questi dèi erano sacri: in tempi antichi, negli antichi secoli trascorsi, forse prima che il passo esistesse, gli uomini si sono prostrati davanti a questi dèi, li hanno adorati, hanno sofferto e sacrificato per loro. La luce dei vecchi focolari ha brillato su di essi e le fiamme delle antiche battaglio li hanno illuminati. L'ombra delle mon­tagne è passata su di loro, o padrone, oh, tante volte!... L'aurora ed il tramonto hanno brillato su di essi, padrone, aurora e tramonto, tramonto e aurora', sempre così attra­verso i secoli. Ed essi sono rimasti là, sempre seduti di fronte alle aurore come vecchi accanto al fuoco. E sono così vecchi, padrone, così vecchi! E un giorno verrà, quando l'aurora e il tramonto saranno dileguati, e non faranno più luce sul mondo ed essi continueranno a ri­manere là seduti, al freddo. Ed ora... ed ora essi se ne vanno... Essi sono la nostra storia, padrone, sono i nostri vecchi tempi. Sebbene cattivi, erano i nostri tempi, pa­drone, ed ora essi se ne vanno, se ne vanno. Per questo sono triste, padrone, perché vedo i nostri vecchi dèi che se ne vanno.

John                              - Ma essi sono dèi cattivi, sono cattivi dèi!

Daoud                           - E io sono triste quando i cattivi dèi se ne vanno.

John                              - Ma se ne devono andare! Portali via, Daoud, ora che non c'è nessuno che vede.

Daoud                           - Lo farò, padrone. (Prende in mano il più grande degli idoli rugginosi intorno alla bocca). Vieni, Aho-comlah, tu non berrai più Needich.

John                              - Needich? Era Needich che dovevate sacri­ficare?

Daoud                           - Sì, era destinato ad essere bevuto da Aho-comlah

John                              - E chi è Needich?

Daoud                           - Mio figlio, padrone. (Esce con Aho-comlah, lasciando John assai sorpreso).

Archie                           - Bene, e adesso cosa vuoi fare?

John                              - Ora che tu sei qui, dobbiamo rivedere anzi­tutto i conti di Hussein e mettere ogni cosa in cifra. Esaminare bene la sua posizione nei confronti della signo­rina Miralda Clement.

Archie                           - Ma qui non usano far conti.

John                              - E come lo sai?

Archie                           - Ragazzo mio, si vede che sei mesi di vita in Al Shanidomir non ti hanno cambiato per nulla. Tu non riuscirai mai a costringere questa gente a far degli affari.

John                              - E allora, che fare?

Archie                           - Prima cosa vorrei conoscere piuttosto bene Hussein.

John                              - Buon'idea... (Forte) Daoud!

 Daoud                          - (di fuori) Padrone! (Entra).

John                              - Vai al palazzo del padrone del passo, bussa alla sua porta e digli che desidero vederlo. Pregalo di favorire qui alla mia tenda. (Daoud fa un inchino ed esce. John si volge verso Archie) L'ho mandato al palazzo.

Archie                           - Ah, Ben Hussein abita un palazzo?

John                              - Oh, un posto meraviglioso, grande come una reggia.

Archie                           - E tu avresti la pretesa di insegnare la conta­bilità a un uomo simile?

John                              - Ma certamente. Perché vedi, vi sono due cose che non posso sopportare nella vita, la disonestà negli affari e l'omicidio. E così ho deciso di intromettermi in questa faccenda. Noi che sappiamo quale sia la differenza fra il bene e il male, abbiamo il dovere di insegnarlo a chi l'ignora. Non è certo una cosa piacevole. Ti assicuro che quasi quasi mi pento di esser venuto qui.

Archie                           - A me invece sembra una nuova specie di scuola.

John                              - La faccenda di questi idoli che bevono il san­gue è veramente atroce. E quest'uomo che deve tanto denaro a una povera ragazza la quale non ha nessuno al mondo che la protegga, deve, deve assolutamente pagare. Ti assicuro che non sarà un 'divertimento trattare con un uomo che abita un palazzo grande come una reggia, ma pure bisognerà farlo.

Archie                           - Di', Jotannie, dimmi un po' di lei. E' carina?

John                              - Chi? La signorina Miralda?

Archie                           - E' bella?

John                              - Non so : è difficile dire. E' alta, bionda, occhi celesti.

Archie                           - Sì, ma voglio dire, che persona è? Come ti sembra?

John                              - Abbastanza povera e tale destinata a rimanere se non riesce a ricuperare questo suo denaro. Essa non ha nessun lavoro proficuo e nessun'altra speranza di sus­sistenza fuor che questo. Non è di nobile famiglia, non ha conoscenze aristocratiche, abita in un quartierino nient'affatto elegante ed appena appena può permettersi il lusso di viaggiare in seconda classe.

Archie                           - Continua pure.

John                              -  Però, nonostante tutto, mi sembra una specie di... regina.

Archie                           - Mio Dio! Una regina!

John                              - Bada, questa è soltanto la mia impressione. Non la conosco bene ancora, anzi non la conosco affatto: è solo la mia impressione e te la do in confidenza.

Archie                           - Vai pure avanti.

John                              - Non so, m'è sembrata una ragazza imperiosa, ecco, capace di grandi cose.

Archie                           - Allora non è tua intenzione di sposarla?

John                              - Sposarla! Gran Dio, no. Non si oserebbe neanche chiederglielo, non è il tipo. Ma ti dico che è una specie di regina. E ti giuro che lo sarebbe regina se non fosse per questo Hussein. Non si sposa una regina, Archie. Comunque non si sposa una come lei.

Archie                           -  E perché?

John                              - Ma te l'ho detto. A parlare d'amore con lei sento che sarebbe troppo.

Archie                           - Troppo che cosa?

John                              - Troppo ardito, ecco.

Archie                           - Capisco. E' chiaro che non sei affatto inna­morato di lei. Però, se quest'affare del credito dovrà continuare tu rimarrai molto qui con lei, e allora, ragazzo mio, certamente t'innamorerai.

John                              - Ti dico che non oserei nemmeno! Sarebbe come chiedere la mano alla Regina di Saba.

Archie                           - Bene, Johnnie, farò tutto quello che potrò per allontanarti da lei.

John                              - E perché?

Archie                           - Perché ci sono tante altre ragazze al mondo e mi sembra che saresti più felice con una di loro.

John                              - Ma se non l'hai neanche vista!

Archie                           - Però se sono qui per proteggerti, farò fino alla fine il mio dovere... Ma queste son chiacchiere. E' il destino che dispone.

Hussein                         - (da lontano) Eccomi qua.

John                              - Entrate.

Hussein                         - (entra. Somiglia a Barbablù).

John                              - (additando Archie) Mio fratello. (Archie stringe la mano a Hussein che si dimostra molto confuso per questo strano modo di saluto. John e Hussein si fanno un semplice inchino).

Hussein                         - Voi desiderate la mia persona?

John                              - Ne sono onorato.

Hussein                         - Anch'io.

John                              - Il viaggiatore bianco di nome Hinnard prestò a voi mille monete d'oro, centomila lire delle nostre sterline, come voi avete riconosciuto (Hussein fa un cenno di consenso) e v'impegnaste di dare a lui ogni anno per questo prestito duecentocinquanta dei vostri pezzi d'oro: cosa che pure avete riconosciuto.

Hussein                         - E così.

John                              - Ma finora voi non avete pagato nulla. Dovete ancora la somma intera.

Hussein                         - E’vero.

John                              - Ma ora Hinnard è morto e sua erede è la signorina Miralda Clement la quale ha incaricato me dell'affare. Riconoscete il vostro debito verso la signo­rina Miralda Clement?

Hussein                         - Non lo riconosco.

John                              - E non pagherete?

Hussein                         - Pagherò.

John                              - E allora voi porterete l'oro qui alla mia tenda.

Hussein                         - Io non pagherò alla signorina Clement.

John                              - E a chi pagherete?

Hussein                         - Io pagherò a Hinnard.

John                              - Ma Hinnard è morto.

Hussein                         -  Ebbene, se egli è sepolto in mare...

John                              - Non è sepolto in mare.

Hussein                         - Se egli è sepolto lungo la riva di qualche fiume, io anidro dal dio 'dei fiumi...

John                              - Egli è sepolto in terra, ma non vicino a un fiume.

Hussein                         - Allora io andrò dal dio di bronzo della terra, molto sacro, il [quale ha in cura la terra e tutte le cose della terra. Io gli porterò i più gran pezzi d'oro che dovevo a Hinnard fino all'anno in cui il viaggiatore bianco morì e durante la notte, sulle montagne, li fonderò nel fuoco, ai suoi piedi, dicendo « O Lruru - Onn! Porta questo oro, per via della terra, alla tomba di Hinnard! ». E così davanti a tutti gii dèi io sarò liberato dal mio debito.

John                              - Ma non davanti a me.

Archie                           - Che c'è, Johnnie?

John                              - Non vuol pagare.

Archie                           - Afa! (Hussein osserva Archie con viso acci­gliato, poi guarda giù al muediio degli idoli e grida).

Hussein                         - Bevete, bevete! (Fa un inchino ed esce).

Archie                           - Cos'ha detto? Che non vuol pagare, eh?

John                              - No, non alla signorina Miralda.

Archie                           - E a chi allora?

John                              -  A uno dei suoi dèi.

Archie                           - E che cosa fare allora?

John                              -  Non l'immagino per niente. Qui non è come fossimo in Europa.

Archie                           - In Europa chiameremmo una guardia. Te lo dico io cos'hai da fare.

John                              - Sentiamo.

Archie                           - Tu devi vedere ancora la signorina Clement.

John                              -  E perché?

Archie                           -  Perché, in questo momento, il nostro amico Hussein è uomo più furbo e più birbaccione di te e forse finirà con l'aver ragione.

John                              - Ma che ci gioverà rivedere la signorina?

Archie                           - In questo momento, vedi, tu hai bisogno di essere molto furbo e forse lei è l'unica persona che riuscirebbe a farti diventar tale.

John                              - Lei? E come?

Archie                           - Noi uomini diventiamo quello che siamo, soltanto per mezzo di una donna. Noi crediamo di essere abili per conto nostro, ma sbagliamo. Come stanno le cose, tu non sei abbastanza furbo per Hussein.

John                              - Non sei mai stato innamorato, Archie, mai?

Archie                           - Cosa c'entra questo con Hussein?

John                              - E' strano che tu abbia ricordato la signorina Miralda. Ho ricevuto da lei una lettera proprio lo stesso giorno che ho avuto la tua.

Archie                           - E cosa dice?

John                              - Che ha intenzione di venire ad esaminare l'affare più da vicino. Che credi intenda dire?

Archie                           - Che probabilmente vuol venire qui.

John                              - Ma non può venirci.

Archie                           - E perché no?

John                              - Perché è impossibile, Archie. Assolutamente impossibile. Sicuro, essa avrebbe bisogno di una compa­gna, di una casa, di tutto. Non può venir qui sola così...

Archie                           - Eh, calma, calma!

John                              - Archie, ma davvero tu pensi che le possa esser venuto in mente di venire qui?

Archie                           - Ma è una cosa che una ragazza come lei potrebbe fare benissimo.

John                              - Gran Dio, Archie! Ma sarebbe terribile!

Archie                           - Ma perché? Non capisco.

John                              - Perché? Ma cosa farei io? Ma dove andrebbe a stare una ragazza sola? Ma chi le farebbe da «chaperon »? Ci vorrebbe una vecchia signora al suo fianco. Ma questo ucciderebbe la vecchia signora.

Archie                           - Adesso non ti metter mica in lutto per una vecchia signora ipotetica.

John                              - Ma no. Insomma, vedrai che non verrà. Può benissimo esaminare la cosa da Vicino senza venir qui. Ma, poi! Se facesse la pazzia di venirci! No, non mi ci far pensare, sarebbe una situazione terribile.

Archie                           - Oh, non credo.

John                              - Sola? Qui con me? Ma questo non è un paese civile.

Archie                           - Ma le donne non sono civili, John!

John                              - Ma, Archie, che cosa stai dicendo!

Archie                           - Noialtri uomini siamo animali domestici, le donne sono animali selvatici. A noi piacciono le cose serie, quiete, invece a loro piacciono quelle romantiche, pericolose.

John                              - Ti sbagli, Archie. Tutto il contrario.

Archie                           - Ah, si? Noi lasciamo tutte le cose roman­tiche o pericolose? Per esempio, io odio il pericolo. Tutti lo odiano. Sono le donne che ci spingono a vincerlo. Ed essa ti spingerà, vedrai. E più essa ti spingerà, peggio sarà per Hussein. Noi siamo qui agli ordini della signorina Miralda, vediamo ciò che essa ci dirà di fare.

John                              - Ma tu credi veramente che essa verrà?

Archie                           - Naturalmente! E' la miglior cosa che possa fare. Deve venirci.

John                              - Non mi hai capito, allora. Miralda è una gio­vinetta, e una giovinetta da sola non può attraversare il passo, scendere giù per i monti, non resisterebbe. Come si vede che tu non la conosci!

Archie                           - Ma io penso che la ragazza, la quale è stata capace di farti abbandonare l'Europa e farti venire qui, dev'essere una persona in gamba.

John                              - Che c'entra? Era in difficoltà e mi sono sen­tito in dovere di aiutarla.

Archie                           - Ascoltami, John, tu non sei un romantico, e non sei neanche per natura un girovago. Viceversa tu sei un uomo d'affari di non comune bravura e un rispetta­bile lavoratore attaccato alla propria casa. Per caso, un giorno, viaggiando in treno, tu incontri una ragazza e dopo cinque giorni vengo a sapere che tu ti trovi in un luogo selvaggio, lontano da tutti, non segnato neanche sulla carta geografica e che stai insegnando alla gente quali sono gli dèi che deve adorare e quali distruggere. Ma dev'essere una ragazza ben diversa dalle altre per averti indotto a fare tutto questo, Johnnie.

John                              - Le tue deduzioni sono veramente straordi­narie : però hai fatto bene a venir qui e te ne sono grato. Quindi di' pure tutto ciò che vuoi. Pochi fratelli al mondo avrebbero fatto quello che hai fatto per me.

Archie                           - Non importa. Mi piace questo paese e sono contento di esserci venuto e se ti posso essere utile nell'affare Hussein...

Omar                             - (fuori) « Al Shandomir, Al Shandomir... Gli usignoli che guardano le tue vie... ».

John                              - (gridando) Oh, va al diavolo! (Ad Archie) Ti dicevo che è un terribile paese! Se ne stanno là seduti fuori della tenda e cantano a quel modo senza nessuna ragione al mondo.

Archie                           - Ma io li tacerei fare.

John                              - E' uggioso averli sempre lì a cantare.

Omar                             - (sulla porta) Padrone, ora me ne vado.

John                              - E perché sei venuto?

Omar                             - Per cantare un canto di gioia per voi, padrone.

John                              - E perché mai un canto di gioia?

 Omar                            - Perché una fanciulla viene a noi dall'Ovest cavalcando. (Esce).

John                              - Una fanciulla giunge?

Archie                           - Arriva  arriva, John!

John                              - Santo cielo, santo cielo! Ma non può essere. Ma se fosse la signorina Miralda verrebbe accompagnata: dovrebbero essere in due. Quindi non può essere lei. Una ragazza sola in Al Shandomir, in un paese che non esiste neanche sulla carta geografica! Ma no, ma no, non è possibile. Assolutamente.

Archie                           - Non t'inquietare, via..

John                              - Ma, santo cielo, capiscimi. E' una posizione insostenibile. Ma che dirà la gente? Per amor del cielo, esci subito e vedi di che si tratta. E dire «che non orni son pettinato per tutto il giorno. (Corre allo specchio da cam­peggio, e, mentre John si pettina furiosamente, Archie esce).

Archie                           - (rientrando) E’ lei, è proprio come tu me l'hai descritta.

John                              - Ma non può essere. Lei non cavalca, non è capace di sopportare la fatica del cavalcare.

Archie                           - Viene in groppa a un cammello. Sarà qui a momenti. (Va verso la porta) Presto a pettinarti, perché sta per smontare.

John                              - E dimmi, che tipo è la sua accompagnatrice?

Archie                           - Oh, ella si accompagna da se.

John                              - Ma che intendi dire? (Entra Hafiz el Alcolahn e rimane sulla porta). Chi siete?

Hafiz                             - Accompagno la graziosa signora alla sua tenda. (Entra Miralda Clement, ringraziando con un sorriso Hafiz).

Miralda                         - Hallo, signor Beai!

John                              - E... e... come state? (Miralda fissa Archie). Mao fratello. Miss Clement...

Miralda                         - Piacere.

Archie                           - Piacere.

Miralda                         - Mi piace questo paese.

John                              - Mi scuserete se vi dico che il vostro arrivo è una vera sorpresa per me?

Miralda                         - Davvero?

John                              - Un viaggio così lungo e costoso!

Miralda                         - Il capitano della nave è stato assai gentile con me.

John                              - E cosa avete fatto appena sbarcata?

Miralda                         - Ho trovato degli arabi che pure furono assai gentili con me.

John                              - E il cammello?

Miralda                         - Oh, c'era della gente dall'altra parte della montagna e anche là tutte persone assai gentili. Poi c'era l'uomo che mi ha condotta sin qui. Si chiama Hafiz el Alcol'alhn. Bel nome, no?

John                              - Ma voi non conoscete questo paese, signorina Clement, io sono quasi spaventato all'idea che... non è vero, Archie? E... e... quanto tempo fate conto di fer­marvi?

Miralda                         - Una settimana o giù di lì.

John                              - Non so che cosa potrete pensare di Al Shan­domir. Temo che lo troverete...

Mibalda                         - Oh, mi piace tanto! Questa valle fra i monti, con un solo valico, questa terra ignota a tutti, li trovo adorabili!

John                              - Io temo, però... voglio dire che questo luogo non esiste nemmeno sulla carta geografica.

Miralda                         - Ed è appunto questo il suo fascino.

John                              - Signorina Miralda, Hussein non vuol pagare.

Miralda                         - Ebbene, vediamolo.

John                              - Tomo, signorina, che vi farà piuttosto l'ef­fetto di un brigante.

Miralda                         - Oh, non importa. (Archie ascolta .quieto, sorridendo di tratto in 'fratto. Entra Daoud e prende due grossi idoli in braccio. Poi esce).

Miralda                         - Oh, cos'è questo, signor Beai?

John                              - Questo? Temo che sia una cosa piuttosto spia­cevole, signorina... La gente di questo paese adora questi idoli. Alcuni di essi sono idoli benevoli, ma quelli che vedete là in quel mucchio sono piuttosto maligni.

Mkalda                          - E che cosa fanno?

John                              - Fanno morire la gente.

Miralda                         - In che modo?

John                              - Dissanguandola e versando il sangue giù per quelle loro orribili gole.

Miralda                         - Davvero? E come lo sapete?

John                              - Li ho visti io coi miei occhi.... Ma io li farò smettere. D'ora innanzi questo non succederà più.

Miralda                         - E come mai?

John                              - Perché io...

Archie                           - Lui li ha fatti smettere, Miss Clement. Tutti quegli idoli dovranno gettarli nel fiume.

Miralda                         - Questo avete fatto?

John                              - Sì, signorina. Naturalmente, io faccio tutto il possibile per metterli sulla retta via. Anzi vi sarei grato se mi vorreste dare qualche consiglio in proposito.

Miralda                         - Ciò che voglio dire è questo: che la sola cosa che non dovreste fare sarebbe proprio di intromet­tervi nelle credenze religiose di tutto un popolo.

John                              - Non credo che mi abbiate capito bene. I sacer-doti di questo paese tagliano le gole ai ragazzi e alle ragazze, poi i loro accoliti li sollevano e versano il san­gue dentro la gola degli idoli. Li ho visti io.

Miralda                         - Io penso che è meglio lasciare la religione ai preti. Essi soli comprendono questo genere di cose. John è esterrefatto e guarda Archie, il quale ride). Bene, vogliamo vedere questo Ben Hussein?

John                              - Tu che me pensi, Anchie?

Archie                           - Poveretto, mandiamo pure a chiamarlo.

Miralda                         - E perché « poveretto »?

Archie                           - Oh, perché è pieno di debiti. E' orribile aver dei debiti.

Miralda                         - E, scusate, Hussein è tremendamente desi­deroso di pagare i suoi?

Archie                           - Non troppo, mi pare". Però bisogna dire che egli non vi ha ancora vista, e se vi vede, probabilmente cambierà idea. (Entra Daoud e va vicino agli idoli).

John                              - Daoud, va' di nuovo al palazzo del padrone del passo e batti alla sua porta e digli che la grande dama in persona desidera parlargli: la signorina Cle­ment, l'erede del viaggiatore bianco.

Daoud                           - Vado, o grande padrone.

John                              - Mi raccomando, fa presto. (Daoud esce).

Miralda                         - (ad Archie) Siete qui da molto tempo?

Archie                           - Son venuto appena John mi scrisse di venire.

John                              - Scusate, ma mi garba poco di presentarvi a Hussein. Non si sa come la pensi quella mezza canaglia.

Miralda                         - Ma occorre pure che lo vediamo e lo sen­tiamo prima di fare alcun passo contro di lui.

John                              - Ebbene, che vorreste fare?

Miralda                         - O mi paghi tutto quello che mi deve o rinunci ai proventi del passo.

John                              - Già, se egli rinuncia al passo, voi diverrete una specie di regina, qui.

Hussein                         - (da lontano) Sono qui!

John                              - Fatevi vedere!

Hussein                         - (entrando) Di nuovo saluti!

John                              - Di nuovo saluti... La grande dama, signorina Clement è qui. (Hussein e Miralda si guardano in viso). Voi pagherete alla signorina Clement e non al vostro dio di bronzo il denaro che le dovete. Sulla mia parola, il vostro dio non riceverà un sol pezzo di quell'oro che appartiene solo a lei.

Hussein                         - (con disprezzo) E io pagherò solo a Hinnard, sulla parola del padrone del passo. (S'indugia un poco sorridendo, mentre Miralda lo osserva. Poi esce).

Archie                           - Ebbene?

John                              - Non vuol pagare.

Archie                           - E allora, che dobbiamo fare?

John                              - (a Miralda) Mi spiace di avervi dovuto pre­sentare a un tipaccio simile.

Miralda                         - Ma se a me piace! E' magnifico.

Archie                           - Be', che facciamo, signorina Clement?

John                              - Come dobbiamo agire?

Miralda                         - Forse è meglio che io lasci tutto alla vostra discrezione.

John                              - Ma il denaro è vostro. Diteci che intendete fare..

Miralda                         - Ebbene, io penso che dovreste uccidere Hussein. (John e Archie si guardano in viso).

John                              -  Ma questo si chiamerebbe un omicidio.

Miralda                         - Oh, sì, secondo la legge europea... voglio dire, cioè, che non sarebbe però un delitto secondo la vostra legge, se non lo consideraste tale.

John                              - Secondo la mia legge?

Miralda                         - Certamente. Atteso che voi intervenite nella loro religione nel modo che fate e nessuno di loro osa opporvisi. Ebbene, potete anche fare qualsiasi legge che volete.

John                              - Ma Hussein è re qui, egli è il padrone del passo. E qui il passo è tutto. Io non sono nulla.

Archie                           - Lei intende dire che se non ci fosse più Hussein, il capo potresti esser tu, qui. Ma, naturalmente, non so niente, sono appena arrivato.

John                              - Ma non possiamo uccidere Hussein. (Miralda comincia a piangere) Oh, mio Dio, signorina! Mi dispia­ce molto se ho detto cosa che vi ha turbata. Non vorrei darvi un dispiacere per tutto il mondo. Mi spiace, mi spiace molto. E' un ben strano paese, questo! Sono vera­mente spiacente siate venuta qui; sento che la colpa è un poco mia.

Miralda                         - Oh, non importa, non importa. Ero sola, senza protezione e vi ho chiesto di aiutarmi un po'. Non avrei mai dovuto farlo. Ma ero così sola, così sola...

Archie                           - Ma qualunque cosa faremo per voi, signo­rina Clement.

John                              - Sì, tutto quel che vorrete. Ma per favore, non piangete !

Miralda                         - (singhiozzando) Io... io... volevo soltanto uccidere Hussein, ma non importa, non fa niente...

John                              - Ma lo faremo, signorina Clement, lo faremo... non è vero, Archie? Ma soltanto non piangete adesso. Lo faremo perché se lo merita.

Archie                           - Sì, se lo merita davvero.

Miralda                         - (.ancora piagnucolosa) Però vi raccomando, non impiccatelo. Egli è così bello! Io... io non vorrei che fosse trattato male. Ha una così bella barba! Do­vrebbe morire in combattimento.

John                              - Bene, vedremo cosa si potrà fare, miss Clement.

Miralda                         - Come siete buoni! Tutti e due siete tanto buoni! Ma cosa avrei fatto senza di voi?

John                              - Oh, non importa, miss Clement.

Archie                           - Tutto è accomodato.

Miralda                         - (asciugandosi le lacrime) E adesso sarebbe ora che io andassi in cerca di un albergo.

John                              - Ah, questa sì che è una faccenda seria! Una cosa davvero difficile, qui.

Miralda                         - Oh, non c'è alberghi?

John                              - Temo di no. Che ne dici, Archie?

Archie                           - Mah, non saprei... Forse voi, signorina, ci potreste suggerire qualche soluzione,

Miralda                         - (a John) Io m'affido a voi, signor Beai.

John                              - Ma che eosa posso fare?... Vedete, voi siete sola... Se aveste con voi una compagna, voi potreste...

Miralda                         - Avevo pensato di portare con me una vecchia zia molto simpatica, ma poi... poi ho creduto meglio di non far saper nulla a nessuno.

Archie                           - Oh, ecco Daoud! (Entra Daoud).

John                              - Il solo uomo di cui mi fido in tutta Al Shan-domir.

Daoud                           - Ho portato con me due guardie dell'uscio per servire la grande dama.

Archie                           - Due accompagnatrici? Splendido! Adesso miss Clement potrà andare dove vuole.

John                              - Ma benone. Adesso potremo trovarvi un al­loggio. La difficoltà, vedete, stava nel fatto che eravate sola... Spero che queste guardie vi piaceranno. (A Daoud) Fatele entrare..

Daoud                           - (dalla porla facendo cenno al di fuori) Olà! Entrate !

John                              - Così va bene, Archie, non ti pare?

Archie                           - Benone. Bianca o nera, un'accompagnatrice è sempre un'accompagnatrice. Non vi spiacerà, spero, si­gnorina, avere una donna nera per compagna?

Miralda                         - Ma niente affatto. Non potrà esser peggio eh» averne una Manica... (Entrano Bazalol e Tububaba. Due enormi nubiani che portano ventagli di penne di pavone e scimitarre. Tutti li guardano. Essi cominciano a farsi vento).

Daoud                           - Le guardie dell'uscio!

John                              - Sei un idiota, Daoud, un cretino! Gli uomini non possono far da guardia alla camera di una dama. (Bazalol e Tutubaba sorridono maliziosamente).

Bazalol                          - (con un profondo inchino) Ma noi non siamo uomini, signore!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

(Sei anni e mezzo dopo, ad Al Shandomir. Una stanza del palazzo. Miranda mollemente sdraiata su un muc­chio di cuscini. John le è vicino. Bazalol e Tutubaba fanno vento).

Omar                             - (declamando con una cetra):

« Al Shandomir, Al Shandomir...

Gli usignoli che guardano le tue vie

non cessano d'innalzarti, dopo che a Dio

e al Paradiso, ogni lode.

Tu sei il tema dei loro canti.

Al Shandomir, Al Shandomir... ».

Miralda                         - E adesso vai pure, Omar.

Omar                             - Vado, o mia signora. (Esce).

Miralda                         - (con languore) John, John, vorrei che tu mi sposassi.

John                              - Ma, Miralda, ci pensi ancora a quella vec­chia usanza europea?

Miralda                         - Avrei tanto desiderato che tu lo facessi.

John                              - Ma a che serve? Lo sai bene che io ti amo. E poi qui non troverei un prete in un raggio di cento chilometri.

MntALDA                    - Ma perché non vuoi sposarmi, John?

John                              - Te l'ho detto!

Miralda                         - Oh, è un'idea fissa che tu hai di non spo­sarti!

John                              - Bah, è una cosa che mi sento nell'ossa, così, non so neanche perché. Tu sai che io non amo nessun'al-tra donna che te. Inoltre noi non ritorneremo mai più in Europa. E allora, a che serve sposarci?

Miralda                         - E così devo vivere come la tua schiava.

John                              - No, no, Miralda, tu non sei la mia schiava. Non ha forse il poeta paragonato il nostro amore all'a­nelito dell'usignolo verso la stella della sera? Tutti sanno che sei la mia regina.

Miralda                         - Ma a casa non lo sanno.

John                              - La casa, la casa! E che abbiamo noi a vedere con la casa? Quelle lunghe file di casette grigie dove se per caso si dovesse udire il canto di un usignolo lo metterebbero sul giornale? Miralda, sei assurda.

Miralda                         - Io voglio essere incoronata regina.

John                              - Ma io non sono re, sono un semplice sceriffo.

Miralda                         - Tu sei onnipotente qui. Puoi fare ciò che vuoi se lo desideri. Tu non mi ami affatto.

John                              - Lo sai bene che ti amo. Non ho forse ucciso Hussein per te? E gli uomini di Hussein hanno ucciso mio fratello Archie. Ed era fidanzato.

Miralda                         - Sì, ma tu non mi ami più.

John                              - Ma sì, cara, che ti amo. Ti amo come l'aurora ama i giaggioli sulle paludi. Conosci le parole della canzone?

Miralda                         - Voglio essere incoronata regina, John.

John                              - E io non lo desidero affatto.

Miralda                         - Voglio! voglio! voglio!

John                              - Non farmi infuriare! Se mi fosse piaciuto di gettarti in un fosso e di prendermi le più belle ragazze di Al Shandomir, chi me lo avrebbe vietato?

Miralda                         - Voglio essere incoronata regina.

John                              - Oh, non seccarmi più.

Miralda                         - Non è stato forse il mio denaro che ti ha portato qui? Non fui io che ti dissi di uccidere Hus­sein? Quale potere avresti avuto se egli vivesse ancora? Dove saresti ora se io non ti avessi spinto qua?... Sta­resti a sgobbare ancora in qualche stupida ditta, cac­ciato in fondo a una casupola dei sobborghi. Sono stata io che ti ho evitato tutto questo e tu non mi vuoi fare regina.

John                              - Non ti basta sapere che ti amo? Tu sai che io non ho altra donna al mondo che te. Non ti basta?

Miralda                         - No, non basta, voglio esser regina.

John                              - Tehah!... Miralda, so che sei una donna me­ravigliosa, la più meravigliosa di tutte le donne di Oriente, ma non far .la capricci osa a quel modo, non ti sta bene.

Miralda                         - E' forse un capriccio voler esser regina?

John                              - Sì, quando è solo il titolo che tu desideri. Tu sei già regina. Hai tutto quello che vuoi. Non sei tu il mio amore? E non ho io il potere al di sopra di tutti gli uomini? E, se volessi, anche di chiudere il passo?

Miralda                         - Voglio esser regina, John.

John                              - Basta, ho altro da fare Che starmene qui a dar retta ai tuoi capricci! (Si alza).

Miralda                         - Tornerai presto?

John                              - No.

Miralda                         - Quando tornerai, John? (Se ne sta sdraiata, molto bella, e muove il ventaglio lentamente).

John                              - Fra mezz'ora.

Miralda                         - Fra mezz'ora?

John                              - Sì. (Esce).

Miralda                         - Mezz'ora! (Depone il ventaglio, poi lo ri­prende con improvvisa decisione, va alla finestra e vi si appoggia movendo deliberatamente il ventaglio. Tre volte il grande ventaglio batte contro la finestra e poi di nuovo tre volte: poi ella lo tiene là spalancato contro la finestra con un sorriso di estasi. Ha fatto un segnale. Ritorna ai cuscini e si sdraia di nuovo con bella posa studiata. Entra il visir Hafiz el Alcolahn).

Hafiz                             - O grande signora! Mi comandaste di venire.

Miralda                         - Sì, Hafiz.

Hafiz                             - Signora, il vostro ventaglio...

Miralda                         - Mi stavo facendo vento.

Hafiz                             - Sette volte, signora.

Miralda                         - Ah, così?... Ebbene, ora siete qui...

Hafiz                             - Oh, mia signora, stella melodiosa! Luce sulle paludi solitarie! (S'inginocchia e l'abbraccia). E' uscito lo sceriffo, signora?

Miralda                         - Per mezz'ora, Hafiz.

Hafiz                             - Per mezz'ora? Come lo sapete?

Miralda                         - Lo disse.

Hafiz                             - Se lo disse, allora è il momento di vigilare.

Miralda                         - Oh, lo conosco!

Hafiz                             - Nel vostro paese non si conosce mai abba­stanza un uomo.

Miralda                         - Starà assente mezz'ora.

Hafiz                             - (abbracciandola) Oh, giglio squisito degli ir­raggiungibili monti!

Miralda                         - Hafiz, fareste voi una piccola cosa per me?

Hafiz                             - Qualunque cosa per voi, stella della sera.

 

Miralda                         - Mi fareste regina?

Hafiz                             - Oh, sì, qualora non ci fosse più lo sceriffo.

Miralda                         - Davvero, Hafiz?

Hafiz                             - Signora, io vi farei regina di tutto ciò che sta ad occidente del passo.

Miralda                         - Davvero?

Hafiz                             - Certamente, signora. E davanti alle mie mo­gli ed a tutte le donne e sopra tutto Al Shandomir sa­reste nominata l'eletta.

Miralda                         - Bene, Hafiz, adesso mi potete baciare. (Hafiz lo fa liberamente) Hafiz, lo sceriffo mi ha an­noiata parecchio.

Hafiz                             - Sappiate, o stella melodiosa, che per ogni uomo vien la sua ora: l'ora designata, quella che porta alla soglia delle tenebre.

Miralda                         - E credete che verrà presto l'ora per lo sceriffo?

Hafiz                             - Oh, signora, fate di ordinare un gran ban­chetto al quale tutti i grandi di Al Shandomir possano partecipare.

Miralda                         - Un banchetto, Hafiz?

Hafiz                             - E presto, o signora, al più presto possibile, o unico giglio del giardino!

Miralda                         - Sta bene, Hafiz. (Altri abbracci).

Hafiz                             - E soprattutto, signora, invitate anche Daoud, il figlio del fornaio.

Miralda                         - Sarà fatto, Hafiz... E ora partite.

Hafiz                             - Sì, o mia signora... (Dando un sacchetto di monete d’oro a Bazalol) Silenzio, silenzio, silenzio!

Bazalol                          - (inginocchiandosi) Oh, mio padrone!

Hafiz                             - Lasciate che le tombe parlino, che le stelle gridino, ma voi serbate il silenzio.

Bazalol                          - Sì, padrone.

Hafiz                             - (a Tutubaba) E voi anche! Altrimenti do­vrete temere l'ombra di Ha'fiz el Alcolahn. (Lascia ca­dere una borsa d'oro. Tutubaba l'afferra, i suoi occhi lampeggiano di gioia).

Tutubaba                       - Non parlerò, padrone, non parlerò. (Ha­fiz esce. Miralda ricampane i suoi cuscini e guarda i due nubiani in silenzio. Essi mettono un dito sulle lab­bra e continuano a farsi vento).

Miralda                         - Regina! Come sarò graziosa quando sarò regina. (Rientra John. Essa gli va incontro e lo acca­rezza. Sopravviene Daoud). Oh, hai portato con te Daoud?

John                              - E perché non avrei dovuto farlo?

Miralda                         - Lo sai Che non mi piace.

John                              - Desidero parlargli. (Miralda fissa per un istante John, poi si allontana ed esce senza parlare).

John                              - Daoud!

Daoud                           - O grande padrone!

John                              - Daoud, un giorno di primavera, nel cimitero di coloro che son chiamati i beati, al di là delle porte della città tu giurasti di essermi sempre fedele.

Daoud                           - Non c'è altro sceriffo che il mio padrone.

John                              - Hai mantenuto la parola?

Daoud                           - Ho fatto del mio meglio, signore.

John                              - Spesso tu mi hai aiutato, Daoud, mi hai dato utili avvertimenti, ed è per mezzo tuo che ho potuto conoscere quelle correnti che serpeggiano in silenzio giù per le profondità del mercato, che tutti sentono, ma che ohi governa non riesce mai a impedire. Tu mi parlasti di quelle. Quando seppi ogni cosa, io potei guardarmi alle spalle: e contro me nulla potettero fare. Bene, ora finalmente io tengo in pugno tutta questa gente, Daoud, li tengo e posso alfine riposarmi un poco.

Daoud                           - Non nell'Oriente, o signore.

John                              - Non nell'Oriente, Daoud? Che intendi dire?

Daoud                           - Nei paesi dell'Occidente, o padrone, di cui ho letti i racconti in un libro meraviglioso, nell'Occi­dente un uomo ha potere sulla terra e quel potere di­scende al figlio e dal figlio al figlio di suo figlio dopo di lui.

John                              - E non è così anche in Oriente?

Daoud                           - No, se egli non sta bene in guardia e di giorno e di notte e tra la notte e il giorno. Colui che fu il più potente re di Babilonia, aveva una porta segreta in fondo alla camera più interna del suo palazzo: e que­sta porta conduceva a una piccola stanza, la più pic­cola del palazzo. E oltre quella una porticina si apriva segretamente sul fiume, sul grande Eufrate, dove una barca era là ad aspettare per tutti i giorni del suo regno.

John                              - E gli avvenne mai di servirsi di quella barca?

Daoud                           - No, padrone, tali barche non vengono mai adoperate. Coloro che vigilano non han bisogno di esse e gli altri non fanno mai a tempo a raggiungere il fiume.

John                              - Ma dimmi, veramente un fiume scorre dietro a questo palazzo? Se così fosse sarei felice di non es­sere obbligato a tenere là una barca in attesa.

Daoud                           - No, padrone.

John                              - Ebbene, di che temi?

Daoud                           - Di Hafiz ci Alcolahn.

John                              - Hafiz? Io non temo Hafiz. Ho dato ordine alle mie spie di non sorvegliarlo più. Perché mi do­vrebbe odiare?

Daoud                           - Grande padrone, perché uccideste Hussein.

John                              - Ebbene, che c'entra lui?... Non posso ucci­dere chi voglio, io?

Daoud                           - Oh, sì padrone, oh sì, ma Hafiz era nemico di Hussein.

John                              - Suo nemico?

Daoud                           - Per molti anni egli aveva sognato la gioia di uccidere Hussein.

John                              - Bene, e allora doveva farlo prima del mio arrivo. Al mio paese non s'aspetta tanti anni prima di fare una cosa. Se una cosa dev'essere fatta la si fa.

Daoud                           -  Sta bene, padrone, Hafiz aveva maturato il suo piano per armi ed anni. Voleva ucciderlo e carpirgli le sostanze, ma poi l'ora si avvicinò, voi arrivaste, e Hussein morì rapidamente: oh, non come Hafiz avrebbe voluto che morisse... ed ecco voi siete diventato padrone del passo, e Hafiz non è altro che un povero scarafaggio che striscia nella spazzatura.

John                              - Si direbbe però che lo temi.

Daoud ----------------- - Oh, non lui, padrone. No, io non temo Hafiz, ma, padrone, ascoltami. Tu avrai veduto talvolta quando la tempesta s'avvicina Che non si ode ancora nessuna romba in cielo e il cielo è scuro appena, che piccoli venti soffiano attraverso l'erbe e sospirano e si spengono, e i fiori fanno un breve segno col capo e tutto il inondo è pieno di sussurri. D'un tratto viene il fulmine e l'ira di Dio e gli uomini dicono che tutto questo è avvenuto senza preavviso. (Con semplicità) Io sento quelle cose avvicinarsi, padrone.

John                              - Ebbene?

Daoud                           - Padrone, tutto tace laggiù nel mercato: un tempo quando il prezzo degli zaffiri era alto, gli uomini ingiuriarono lo sceriffo. Quando gli uomini non potevano vendere i loro melograni per argento, pure ingiuria­rono lo sceriffo. E' il modo degli uomini, padrone, la loro natura. Ma ora, invece, tutto tace nel mercato: è come fa l'erba col venticello che sussurra e sospira e dilegua via, come i fiori che ci piegano a un nonnulla. E' così, padrone, è «osi.

John                              - Ho capito, tu presentisci qualche pericolo.

Daoud                           - Lo temo, padrone.

John                              - Quale, Daoud?

Daoud                           - Non lo so.

John                              - E dimmi, da qual parte dovrebbe venire?

Daoud                           - Oh, signore, o unico signore di Al Shando-mir, nominato l'eletto... Da quella parte. (Indica la porta).

John                              - Da quella parte? Là c'è l'appartamento della graziosa dama.

Daoud                           - Da quella parte, o grande padrone e signore del passo.

John                              - Daoud, ho cacciato in prigione degli uomini per aver detto meno di quanto mi hai detto tu; altri li ho percossi a sangue per molto meno.

Daoud                           - Uccidetemi, padrone, ma ascoltate le mie parole.

John                              -  Non ti ucciderò, Daoud, però sei in errore: hai preso un abbaglio. La cosa è assurda. La grande dama conosce appena Hafiz e nulla sa delle mormora­zioni del mercato... Soltanto l'altro giorno essa mi disse... No, no, è assurdo, Daoud, e poi la gente non oserebbe mai rivoltarsi contro di me. Non li governo io bene?

Daoud                           - Così è, padrone.

John                              - E perché allora dovrebbero ribellarsi?

Daoud                           - Pensano ai loro tempi passati, padrone.

John                              - Ai loro tempi passati! Ma se a quei tempi le loro vite non erano sicure! I ladri scendevano dai monti e rubavano al mercato liberamente.

Daoud                           - Padrone, ma allora gli uomini erano felici.

John                              - Non lo erano però i mercanti.

Daoud                           - Quelli che amavano mercanteggiare lo erano e gli altri amavano ritirarsi fra le montagne.

John                              - Ed erano contenti quando venivano derubati?

Daoud                           - Essi recuperavano presto le loro robe.

John                              - Il popolo era contento di pagare prezzi in­giusti?

Daoud                           - Alcuni sì, padrone, come del resto gli uo­mini di tutti i paesi. Gli altri andavano su pei monti e rubavano ai mercanti. Ora invece, padrone, se un uomo ruba a un mercante è subito ficcato in prigione. Se un uomo viene ucciso al mercato, suo figlio, il suo proprio figlio non può raggiungere l'assassino né ucci­derlo per vendicarsi, né può bruciare la sua casa. Tutti sono malcontenti, padrone, nessuno ruba più ad mer­canti, nessuno uccide e i cuori dei mercanti sono indu­riti ed essi opprimono la gente.

John                              - In conclusione, non amano essere ben go­vernati.

Daoud                           - Rimpiangono i loro tempi, padrone.

John                              - Capisco; nonostante tutto ciò ch'io ho fatto per loro, essi vorrebbero ritornare al loro pessimo si­stema di governo.

Daoud                           - Ma è il loro vecchio sistema, padrone!

John                              - Già, già... Bene, dobbiamo stare in guardia. Tu m'hai dato un utile avvertimento, Daoud e ti son grato, ma per quanto riguarda la gran dama sei in er­rore. So che non può essere.

Daoud                           - Sarò in errore, padrone, ma vigilate, vi­gilate...

John                              - Bene, vigilerò.

Daoud                           - Però, padrone, se qualche giorno mi vede­ste comparire davanti con un paio idi remi sulla spalla, allora, o padrone, non vigiliate più, ma seguitemi tosto attraverso la sala dei banchetti e nell'altra camera che è di là e camminate piano come i cervi selvatici quando fiutano il pericolo. Non vi fermate, non stupite di nulla, non vi voltate mai, poiché a quell'ora, padrone...

John                              - Hai detto attraverso una stanza oltre a quella dei banchetti, Daoud?

Daoud                           - Si, seguitami là.

John                              - Ma quella camera non ha porte, Daoud.

Daoud                           - Padrone, ve l'ho aperta io «tesso.

John                              - E dove conduce, Daoud?

Daoud                           - Ad un'altra piccola stanza che voi non" co­noscete. E dà dovete arrestarvi.

John                              - Ah, e poi?

Daoud                           - Poi al fiume, padrone... sotto al salice d'oro, nascosta sotto i rami c'è una piccola barca.

John                              - Siamo arrivati a questo?... No, no, tutto ciò è impossibile.

Daoud                           - Padrone, ascoltatomi. Quando io vi compa­rirò davanti coi due remi, fate quanto vi dico.

John                              - Ma non verrai. Non occorrerà. Con un po' di prudenza si potrà stornare ogni minaccia.

Daoud                           - Coloro che furono i re di Babilonia erano uomini saggi, o padrone.

John                              - Ma quelli vissero migliaia d'anni fa.

Daoud                           - Gli uomini non cambiano, padrone.

John                              - Bene, bene, Daoud, ho fiducia in te e se le cose arriveranno a quel punto... (Entra Miralda).

Miealda                         - Credevo che Daoud se ne fosse già an­dato.

Daoud                           - Vado, graziosa eignora. (Daoud esce. Si­lenzio piuttosto irritato fra John e Miralda. Poi essa va a sedersi sui cuscini. John appare inqueto).

Muulda                         - Hai parlato molto a lungo con Daoud.

John                              - Sì, a lungo.

Miralda                         - E di che?

John                              - Oh, di niente. Tu sai come sono questi orientali.

Miralda                         - Credevo che Meste discutendo.

John                              - Affatto.

Mdialda                        -  Tu parli spesso con Daoud.

John                              - Sì, egli mi è molto utile. Quando parla di cose interessanti lo ascolto sempre con piacere.

Miralda                         - E perché è venuto oggi?  Tu hai un segreto con Daoud, che non mi vuoi dire.

John                              - Daoud mi parlava di un re di Babilonia... Nulla di interessante (Un minuto di silenzio).

Miralda                         - John, vuoi farmi un piccolo favore?

John                              - Che cosa?

Miralda                         - Dimmi prima che me lo farai, John. Vo­glio ohe tu mi accontenti in un piccolo desiderio.

John                              - Dimmi, dimmi.

Miralda                         - Uccidi Daoud, John. Voglio che tu uccida Daoud.

John                              - Questo non lo farò mai. (Cammina su e giù davanti ai due nubiani. Miralda cincischia i cuscini con impazienza. Una luce appare nei suoi occhi. John cam­mina su e giù, in silenzio).

Miralda                         - John, non essere in collera, ho già di­menticato la mia idea stupida.

John                              - Mi fa piacere.

Miralda                         - Non voglio più che tu uccida Daoud... Adesso ho un altro desiderio: voglio dare un grande bacchetto. Vuoi tu occuparti di ordinare un igrande banchetto per me, John?

John                              - Un banchetto? Per qual motivo?

Miralda                         - Ti dispiace?

John                              - Oh, no, affatto.

Miralda                         - Visto che non posso essere regina e che tu non vuoi uccidere Daoud, voglio avere un grande banchetto. Non c'è niente di male, mi sembra.

John                              - E quando lo vuoi?

Miralda                         - Domani John. Tu v'inviterai tutti i grandi di Al Shandomir, tutti gli uomini illustri del luogo.

John                              - Va bene. In questo ti posso accontentare.

Miralda                         - E inviterai pure Daoud. E invita anche Hafia el Alcolahn, John.

John                              - Hafiz? E perché Hafiz?

Miralda                         - Non lo so, John, è una mia idea.

John                              - Lo inviterò. Hai altro?

Miralda                         - No, al presente.

John                              - Be', e adesso vattene.

Miralda                         - Andarmene?

John                              - Sì.

Miralda                         - Perché?

John                              - Perché io te lo impongo. Io, lo sceriffo di Al Shandomir, ti comando di uscire.

Miralda                         - Sta bene. (Esce. John va alla porta per vedere che essa se ne sia veramente andata, poi ritorna al centro del palcoscenico e, stando voltato verso il pub­blico, d'un tratto trae un pezzo di corda dalla sua tasca, indi portandosi alla sinistra di Bazalol getta la corda al di sopra della sua testa e gliela stringe attorno al collo. Bazalol cade in ginocchio. Tutubaba continua a farsi vento. John stringe).

John                              - Parla! (Bazalol tace, John stringe sempre più).

Bazalol                          - Non posso.

John                              - Se vuoi parlare, alza la mano destra. Ma se l'alzi e non parli ti faccio morire. (Bazalol tace e John stringe sempre di più il cappio. Poi Bazalol leva len­tamente la mano destra e John allenta la presa. Bazalol strabuzza gli occhi e muove la bocca).

Bazalol                          - O grande sceriffo, un tale è venuto a tro­vare la grande dama e ci ha dato dell'oro dicendoci: « Non parlate! ».

John                              - Quando?

Bazalol                          - Un'ora fa.

John                              - E chi era?

Bazalol                          -  Un inviato dal cielo.

John                              - Il suo nome?

Bazalol                          - Hafiz el Alcolahn.

John                              - Dammi quell'oro! (Bazalol glielo dà. A Tu-tubaba) Dammi quell'oro.

Tutubaba                       - A me nessuno ha dato oro, padrone... (John tocca il suo pugnale e Tutubaba gli dà l'oro).

John                              - (a Bazalol) Prendi indietro il tuo oro. E sta zitto. E tu pure. (Getta l'oro a Tutubaba) L'oro non vi farà tacere, ma c'è una cosa che vi farà tacere. Qua! è, la sapete?

Bazalol                          - Oh, grande padrone, la morte.

John                              - La morte, eh? E come morrete, se parlate? Lo sapete come morrete?

Bazalol                          - Sì, spediti al cielo.

John                              - Dillo un po' tu.

Bazalol                          - Saremo mangiati, grande padrone.

John                              - E sapete da ohi?

Bazalol                          - Da piccoli insetti, grande padrone. (Pia­gnucolando) Da piccoli insetti. Oh, ohhhhhh! ohhhhfah!

Tutubaba                       - (a stento si regge in piedi).

John                              - Sta bene.

QUADRO SECONDO

(Il salone del convito. Una lunga tavola imbandita. John e Miralda stanno seduti insieme ai notabili di Al Shandomìr. John è in mezzo, Miralda alla sua destra e Hafiz Alcolahn vicino a lei.

Miralda                         - (a John) Hai detto a Daoud di venire?

John                              - Sì.

Miralda                         - Ma egli non è qui.

John                              - Non è qui?

Miralda                         - Tutti ubbidiamo a te, ma non Daoud.

John                              - Non comprendo.

Un Notabile                  - Lo sceriffo ha la faccia scura. (Entra da destra un ufficiale armato. Si ferma, saluta con la spada, poi fa un passo versa sinistra, mettendosi contro al muro con la spada sguainata. John risponde al saluto toccandosi la fronte con la punta delle dita con la palma in fuori).

L'Ufficiale                    - Soldati di Shandooiir! March! (Entrano uomini in fila indiana vestiti di seta verde portando la spada in spalla. Si avanzano, serpeggiando lentamente verso sinistra e ritornano in mezzo in punta di piedi. La marcia è fantasiosa e strana, ma non comica. L'ufficiale cammina al loro fianco e quando arriva in mezzo dà un altro comando).

L'Ufficiale                    - Salutate! (John di nuovo risponde al saluto come prima, ma col palmo in dentro. I soldati escono e John si siede).

Un Notabile                  - Stasera lo sceriffo non sorride.

Una Donna                   - Lo sceriffo?

Il Notabile                     - Sì, non sa più sorridere. (Entra da de­stra Zabnool, un prestigiatore, con una coppa di bronzo in mano. Si inchina, va verso il centro, poi mostra la coppa a John).

Zabnool                         - Guardate. E’ vuota. (Tira fuori un serpente dalla coppa) Ah, piccolo schiavo della morte! (Trae dei fiori dalla coppa) Fiori, padrone, fiori venuti dal paese del nulla. (Trae fuori degli uccelli) Uccelli, padrone, ve­nuti amiche loro dal paese del nulla. Cantate, cantiate, o piccoli uccelli, per il nostro sceriffo, caratate i piccoli e vani canti del paese del nulla. (Siede per terra davanti a John. Depone la coppa, poi la ricopre con un fazzo­letto di seta a strani disegni, poi con la mano sinistra solleva un lembo del fazzoletto e lo passa nella mano destra. Ne trae fuori un piccolo coccodrillo e lo alza per il collo). Guardate, o sceriffo ; guarda, o popolo! Un coc­codrillo. (Si alza, fa un inchino a John, poi avvolge il coccodrillo in un panno e si allontana un poco parlando sempre col coccodrillo) O divoratore d'agnelli, o tor­mento dei fiumi, tu hai cercato di fuggirmi dentro la vuota tazza. Ladro, e Cercavi di sottrarti allo sceriffo, ma lo sceriffo ti ha visto, o tormento dei nuotatori, o maiale bardato! (Esce. Subito dopo entra Shabeesh, altro presti­giatore).

Shabeesh                       - Cattivo uomo quello! Oh, assai cattivo.

Miralda                         - (con rimprovero) Eppure Zabnool ci ha fatto divertire.

Shabeesh                       - Pessimo uomo Zabnool, o signora gigliata! Egli ha avuto quel coccodrillo dal diavolo: dal diavolo Pooyliana, bella signora. Oh, pessimo uomo Zabnool.

Miralda                         - Evochi pure i diavoli, basta che ci diverta, Shabeesh.

Shabeesh                       - Ma Pooyliana è il mio diavolo. Shabeesh evoca il mio diavolo, bella signora, il mio diavolo Pooyliana.

Miralda                         - Evocalo anche tu. Divertici, Shabeesh.

Shabeesh                       - Può un diavolo servire due padroni?

Miralda                         - E perché no?

Shabeesh                       - (agitando le mani con gesti da stregone) O pessimo uomo, vattene! Vattene via! Via! Via, via! Pooyliana non vuole l'uomo cattivo, Pooyliana lavora solo per il buono. Potente, bellissimo diavolo. Piccolo, nero e peloso diavolo. Pooyliana, Pooyliana, Pooyliana! O delicato e grasso diavolo dalla bella coda arricciata, mandami un bel maialino per lo sceriffo! (Compare un maiale) O grande Pooyliana... E adesso mandami qualche grossa bestia per maciullare il coccodrillo dell'uomo cat­tivo, con grossi denti per mangiarlo come un verme. (Ho disteso un grande fazzoletto sul pavimento e si distacca da esso con finta paura) Ah, adesso mandami su qualche gran bestia puzzolente per divorare il coccodrillo dell'uomo cattivo! (Il fazzoletto si muove e Shabeesh dà un balzo all'indietro) Viene, viene! Io vedo i suoi denti, vedo le sue forme (Balza fuori un piccolo coniglio vivo da sotto il fazzoletto) O Pooyliana, a te piace scherzare, a te piace farti gioco del povero prestigiatore, tu gli mandi un povero coniglio per mangiare il grosso cocco­drillo. Cattivo, cattivo Pooyliana! (Rientra Zabnool).

John                              - Cos'è questo rumore? Che succede?

Shabeesh                       - (con estremo terrore) Egli viene, padrone, egli viene!

Zabnool                         - Pooyliana, Pooyliana, Pooyliana! Stai buo­no, stai giù, Pooyliana! Stai giù nel tuo inferno ben caldo. Lo sceriffo non vuole diavoli oggi. (Ritorna al centro e batte l'aria sopra il fazzoletto).

(Poi Shabeesh e Zabnool vengono avanti insieme a fianco a fianco e s'inchinano allo sceriffo che getta loro dell'oro che Zabnool raccoglie e dà al compagno, il quale gli rida la sua parte).

Un Notabile                  - Lo sceriffo tace. (Entrano tre donne in fila indiana portando cesti colmi di petali di rose, poi ballano spargendoli sul terreno e formando un sentiero fiorito dietro di loro, poi escono).

Un Notabile                  - Ancora egli tace.

Miralda                         - Perché non parli, John?

John                              - Non ho volontà di parlare.

Miralda                         - E perché? (Entra Omar con la sua cetra).

Omar                             - (canta): «Al Shandomir, Al Shandomir... Gli uccelli cantano le tue lodi e notte e giorno. L'usignolo in ogni bosco, i merli nei campi folti di biancospino: cantan di te gli uccelli dappertutto. Al Shandomir, Al Shandomir, il mio cuore ancora di te Sebbene lontano, o campi fioriti, risuona, l'anima mia aleggia lungo le colline e non oblia neppure un asfodelo. Al Shandomir, Al Shandomir, madre dei miei sogni erranti... Azzurra è la notte sopra le tue cupole, azzurre le miriadi dei tuoi uccelli, brilla il Paradiso attraverso le tue porte ».

Miralda                         - Perché non parli?

John                              - Beneparlerò. Mi udranno questa volta. (Si alza) Genti di Al Shandomir, sappiate ch'io conosco tutti i vostri complotti. So che mormorate contro di me. Quando dormo nella mia stanza il mio orecchio è sempre teso al mercato, mentre me ne sto seduto a tavola odo gli uomini bisbigliare da lungi e conosco i loro più inti­mi pensieri. I miei dèi nessuno ha potuto sfuggire, nes­suno li può rovesciare. Le loro inani si stendono su tutta la terra. Le mie divinità sono terribili. Io non permet­terò ad alcuno di porsi contro di me. Le leggi che v'ho date dovete mantenerle. E chiunque mi si opporrà cono­scerà l'ira mia e l'ira delle mie divinità. Siate avvertiti: non parlo due volte.

Hafiz                             - Oh, sceriffo, noi non mormoriamo contro di te.

John                              - Conosco tutti i vostri pensieri segreti, ascolto i vostri mormorii.

Hafiz                             - Tu ti esalti al di sopra d'i noi come nessun uomo ha mai fatto finora.

John                              - E sempre mi «salterò. Sono stato finora lo sceriffo ed ora voglio essere il re. Io ho governato trop­po a lungo questo piccolo paese, or» voglio regnare so­pra tutta la Persia. Io sarò re e lo proclamerò. Mio è il passo e le montagne pure isaranino mie, poiché colui che regge le montagne ha anche il dominio sopra le pianure che sono al di là. E se gli uomini delle pianure non vorranno riconoscermi, si preparino, poiché la mia ira cadrà su di loro quando essi imi crederanno lontano, in una notte in cui essi crederanno ch'io dorma e sogni­lo mi proclamo re sopra... (Hafiz trae un suo flauto e si mette a suonare una strana e lunga melodia. John lo guarda sorpreso ed adirato).

John                              - E ne sarà pena la morte, morte è il castigo per ciò che tu fai, Hafiz. Tu hai osato, mentre io parlavo ; Hafiz, tu con la morte sconterai il tuo disprezzo. Andrai a raggiungere Hussein. Io te lo dico, io, il re. (Entra Daoud da destra portando due remi in spalla. Attraversa la stanza senza badare a nessuno e esce da una piccola porta a sinistra nel fondo. John gitta uno sguardo sui banchettanti, poi segue Daoud. Tutti si guardano sorpresi. Alcuni si alzano e occhieggiano qua e là. Hafiz trae il coltello).

Omar                             - (cantando): « Al Shandomir, Al Shandomir... Gli usignuoli che guardano le tue vie non cessano idi dare a te, dopo Dio e il Paradiso, ogni lode ». (Grida dal di fuori) Uccidete il miscredente! Ucci­dete il cane, uccidete il cristiano-! (Entra lo sceriffo dei Bishareni coi suoi uomini).

Sceicco                          - I Bishareni, padrona.

Miralda                         - (in piedi, con la destra tesa, indica la porta per la quale John è fuggito) Egli è là. (/ Bishareni si slanciano verso la piccola porta).

Notabile                        - E' sempre saggezza non mutare gli antichi sistemi.

L'altro Notabile             - Sarebbe stato meglio anche per lui. (I Bishareni rientrano, guardandosi attorno con aria delusa).

Un Bishareno                - (volgendosi ad Afìz) Non è là, pa­drone.

Hafiz                             - Ma come, non è uscito da quella porta? Deve esser là, certamente, e il capo delle spie è con lui.

Sceicco                          - (dal di fuori) No, egli non è qui.

Miralda                         - (volgendosi e appoggiandosi al muro) Oh, io ero tanto stanca di lui!

Hafiz                             - Consolati, o perla del mattino. Egli se ne è andato. (Le abbraccia le ginocchia).

Zambula                        - (la madre cieca di Hafiz è entrata con la piccola folla) Conducetemi da Hafiz. Sono la madre di Hafiz. (La conducono vicino a lui) Hafiz! Hafiz! (Alfine ha trovato la sua spalla e cerca di trascinarlo via).

Hafiz                             - (cercando di allontanarla) Va, va, io ho tro­vato l'unica perla del più profondo dei mari. (S'ingi­nocchia e bacia la mano di Miralda).

Zambula                        - (piange).

                                                  Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

QUADRO PRIMO

(Sono passati tre anni. La strada presso la casa di John in Dublino. Sera. AH, appoggiato a una cassetta delle lettere, si guarda attorno. Appare John. E' miseramente vestito: sembra un gentiluomo decaduto. Un usignolo canta lontano).

John                              - Un usignolo qui? Non l'avrei mai creduto. « Al Shandoimir, Al Shandomir... Gli usignoli che guardano le tue vie non cessano di dare a te, dopo Dio e il Paradiso, ogni lode... ». Maledetto luogo! Non l'avessi mai conosciuto! (L'usi­gnuolo canta ancora. John si volge alla sua sinistra ed entra in un piccolo sentiero che conduce alla sua casa). Non dovevo venir qui, no, non dovevo... (Si avvicina titubante, allunga la mano sul campanello, ma subito la ritrae, poi suona, ma distacca subito la mano dal cam­panello e fa per scappar via. Alla fine suona ripetuta­mente, febbrilmente. Lisa viene ad aprire).

Lisa                               - Oh, oh... Ma chi è costui?

John                              - Signorina, scusatemi, lo so... Non avrei do­vuto suonare... Ma si è che io ho veduto giorni migliori, e pensavo, pensavo che...

Lisa                               - Non avrei dovuto aprirvi, ho fatto male... cosa volete?

John                              - Oh, signorina, scusate, per carità, non mi mandate via... Se sapeste! Io... io devo venir qui..

Lisa                               - Dovete? E perché?

John                              - Non lo so.

Lisa                               - Bene. In conclusione, cosa volete?

John                              - Chi abita qui, per favore?

Lisa                               - Il signore e la signora Chaters, della Ditta Briggs, Ghatens e John Stane. Ma insomma, cosa volete?

John                              - Vorrei vedere il signor Chaters.

Lisa                               - E? fuori di casa, stasera pranza al Municipio.

John                              - Oh, e allora potrei parlare con la signora Chatens?

Lisa                               -  Con la signora? Impossibile! (Fa per chiuder la porta).

John                              - Signorina, signorina, non andate via vi prego! Oh, se sapeste quello che ho sofferto! (Lisa rimane R esitante a guardarlo). Oh, sì, tanto, tanto!... Non ho mangiato nulla in tutta la giornata.

Lisa                               - Dite la verità?

John                              - Oh, sì, e sempre poco ho mangiato...

Lisa                               - (più gentile) Perché non vi trovate del lavoro?

John                              - Non posso, non posso... E’ terribile!... Non mi sento di stentar la vita per qualche soldo, dopo che io...

Lisa                               - Dopo che?...

John                              - Ho perso dei milioni!

Lisa                               - Milioni?

John                              - Sì, dei milioni ho perduto.

Lisa                               - E come mai?

John                              - Ero cieco, signorina... Ma non importa, non importa, tutto è passato e ho fame.

Lisa                               - Da quanto tempo siete caduto in miseria?

John                              - Sono tre anni.

Lisa                               - E in questo tempo non avete trovato lavoro?

John                              - Avrei anche potuto, ma la colpa è stata mia, signorina, non ebbi più cuore di farlo.

Lisa                               - Povero disgraziato!

John                              - Signorina, ascoltate, voi avete il viso di una persona gentile... Mi vorreste fare una gentilezza?

Lisa                               - Ebbene?

John                              - Lasciatemi entrare un momento in questa grande casa e parlare alla vostra signora!

Lisa                               - Oh, no, non è possibile. E' una casa rispet­tabile questa!

John                              - Sento, che se mi faceste questo favore la mia fortuna potrebbe mutarsi.

Lisa                               - Ma la mia signora non vorrà... Non so cosa potrà dire.

John                              - Io debbo entrare, signorina, debbo!

'Lisa                              - Ma cosa dirà la mia padrona?

John                              - Debbo, capite? E' una cosa più forte di me. (John entra. La porta si chiude. Alì  manda una grossa risata, la testa rovesciata, poi se ne va).

QUADRO SECONDO

(Il salotto in casa di John. Qualche momento più tardi. La scena è la stessa del quadro secondo detratto primo, soltanto che il sofà, che allora era rosso, ora è verde e la fotografia della zia Marta è stata sostituita con quella di un vecchio e accigliato colonnello. L'età dei quattro bambini nelle fotografie è la medesima, sol­tanto il loro sesso è cambiato. Mary sta leggendo, entra Lisa).

Lisa                               - C'è un signore di là che desidera parlarvi, padrona. Ha insistito tanto per entrare.

Mary                             -  E chi è?

Lisa                               - Non so. Ha l'aria d'un signore decaduto.

Mary                             - E che cosa vuole?

John                              - (facendosi avanti) Sono un mendicante.

Mary                             -  Ah! Lo sapete che non avete alcun diritto di entrare in una casa come questa?

John                              - Nessuno, signora, lo so... Eppure... non ne ho potuto fare a meno... E' tre anni che vado attorno pel mondo a chiedere l'elemosina: cosa che non avevo mai fatto prima d'allora: mai!... Eppure, chissà, stasera qualcosa mi ha spinto a venire in questa vostra casa. Vi chiedo perdono umilmente. Sono stato costretto dalla fame.

Mary                             - Avete fame?

John                              - Oh, sì, tanta, signora!

Mary                             - Mi spiace davvero, ma ora non c'è il signor Chaters.

John                              - E non potreste favorirmi voi qualcosa? Mi basterebbe anche un pezzo di pane raffermo.

Mary                             - Ma sapete che è una cosa inconcepibile en­trare così in una casa per bene a quest'ora? Son già passate le undici!... Avete veramente fame?

John                              - Oh, sì, molta, molta, signora.

Mary                             - E' una cosa che non faccio mai, ma bè, per questa volta. (Prende un piatto vuoto di sulla tavola).

John                              - Oh, signora! Proprio non so come ringra­ziarvi! Una gentilezza come questa non l'ho mai. rice­vuta da tre anni in qua.

Mary                             - Avete detto di aver visto tempi migliori?

John                              - Oh, signora! Un tempo io ero impiegato in città, ma poi ho voluto viaggiare e fui travolto da tante cose... in un paese lontano... e poi tutto, tutto è andato a male.

Mary                             - Mi spiace! (John sospira profondamente).

Mary                             - Bè, andrò a prendervi qualcosa.

John                              - Oh, mille grazie, signora! (Mary esce col piatto).

Lisa                               - (ch'è rimasta in piedi vicino alla porta) Eb­bene, siete contento adesso?

John                              - Che il cielo rimeriti la vostra padrona.

Lisa                               - Su, allegro, adesso.

John                              - Si ha un bel dirlo, quando si vive in una bella casa come voi, al caldo e ben nutriti, io non ho proprio nulla che mi faccia stare allegro!

Lisa                               - Ma, scusate, non avreste, per esempio qualche cosa da impegnare? Io mi sono arrangiata tante Tolte in quel modo, quando ero a corto di denaro

John                              - Ma che cosa potrei impegnare?

Lisa                               - La catena del vostro orologio, per esempio.

John                              - Ma è un pezzo di cuoio vecchio!

Lisa                               - L'orologio, allora.

John                              - Non ce l'ho.

Lisa                               - Che strano! E allora, perché quella catena?

John                              - Oh, la tengo solo per tenerci attaccato questo pezzo di cristallo! (Le mostra il talismano).

 Lisa                              - Curioso! A che cosa serve?

John                              - Non so.

Lisa                               - Ve l'hanno donato?

John                              - Non so, non so come l'ho potuto avere.

Lisa                               - Davvero non lo ricordate?

John                              - No, non lo ricordo in alcun modo, ma ve­dete, io sento qualcosa per questo oggetto, qualcosa che non vi saprei dire. Non posso distaccarmene, ecco.

Lisa                               - Ah, così? Eppure vi potrebbero dare qual­che cosa se lo offriste in pegno. E con quello, vedete, potreste fare un buon pasto.

John                              - Ma io non voglio disfarmene.

Lisa                               - E perché?

John                              - Sento dentro di me che non debbo sepa­rarmi da questo pezzo di cristallo. L'ho sempre tenuto con me, mentre ogni altra cosa mia se ne è andata.

Lisa                               - L'avete da molto tempo?

John                              - Da circa dieci anni. L'ho trovato, anzi l'ho avuto un mattino in treno... Ma è strano, non posso ricordarmi bene.

Lisa                               - E perché lo conservate?

John                              - Cosi, per portafortuna.

Lisa                               - (ride forte) Ah, siete un bel tipo voi; siete caduto tanto in basso e continuate a tenere una cosa come quella per portafortuna. E' una cosa ben strana!

John                              - E cosa fareste voi al mio posto?

Lisa                               - Ebbene, una volta io avevo una «mascotte». Era tutta d'oro. E mi portò una maledetta scarogna. Ma proprio maledetta!

John                              - E cosa faceste?

Lisa                               - La riportai indietro al negozio.

John                              - Davvero?

Lisa                               - Là furono molto gentili. Me ne diedero un'al­tra di legno in cambio, perfettamente garantita, e la mia fortuna cominciò subito a migliorare.

John                              - E allora voi credereste che anche la mia...

Lisa                               - Ma naturalmente... Qua, date a me quella «mascotte »...

John                              - Non vorrei, ecco, non vorrei proprio disfar­mene. Ci sono affezionato.

Lisa                               - Datela qua, datela qua... Vi dico che non vi porterà nessuna fortuna tenerla con voi. Io la so molto lunga intorno a questa «mascotte». Datela qua.

John                              - Ebbene... tenete... Voi siete la prima donna che sia stata un poco gentile con me dal giorno... Oh, sono sfinito... (Piange).

Lisa                               - (agguantando il talismano) Là... e io ve la spezzerò questa maledetta « mascotte »! Si fa volentieri a meno di questi brutti ordegni! Lasciatemi fare! La­sciatemi fare! Niente paura. Vedrete che adesso la  vostra sorte muterà di colpo... Intanto avrete una buona cena. (Pone il cristallo su un angolo della mensola del caminetto e con un colpo di martello lo infrange. Il cristallo va in frantumi. Allora i ritratti dei quattro ra­gazzi appesi alla parete si trasformano leggermente. Il ritratto del colonnello cede il posto a quello della zia Marta. Il sofà ridiventa rosso. Gli abiti che John indosso ritornano puliti ed eleganti ed il martello nelle mani di Lisa si trasforma in un piumino per la polvere, ma null'altro è mutato).

Una Voce                      - (dal di fuori, in agonia) Allah! Allah! Allah!

Lisa                               - Qualche forestiero che s'è fatto male?

John                              - Già, si direbbe...

Lisa                               - (che sta spolverando le fotografie dietro all'an­golo della mensola del caminetto) Strano, mi pareva di tenere un martello in mano poco fa.

John                              - Davvero Lisa che qualche volta pare pro­prio che tu lavori con un martello. Appena l'altro ieri hai rotto il ritratto della signorina Jeanne. Devi stare più attenta un'altra volta!

Lisa                               - E va bene, signore, va bene... Però è strana sapete quella faccenda del martello! (Va a metter in ordine il tavolino della cena. Entra Mary con un piatto colmo).

Mary                             - Ti ho portato la tua cena, John.

John                              - Oh, grazie, Mary... Credo di aver fatto un pisolino, Mary.

Mary                             - Sì, caro? Lisa, puoi andare a letto. Bontà divina! Son già le undici passate! (Mary appresta defi­nitivamente la tavola).

Lisa                               - Grazie, signora. Buona notte.

Mary                             - Buona notte.

John                              - Mary.

Mary                             - John.

John                              - Sai poco fa cos'ho sognato, Mary? Che mi pareva di averlo acciuffato quel treno!

FINE