Il crogiuolo

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Dramma in quattro atti

di Arthur Miller

Traduzione di Luchino Visconti e Gino Bardi

Giulio Einaudi Editore - Torino

Persone

Reverendo Samuel Parris, parroco di Salem

Betty Parris, sua figlia

Tituba, la sua schiava negra

Abigail Williams, sua nipote

Susanna Walcott

Signora Ann Putnam

Thomas Putnam, suo marito

Mercy Lewis, servente dei Putnam  

Mary Warren, servente dei Proctor

John Proctor

Rebecca Nurse

 Giles Corey

Reverendo John Hale, parroco di Beverly

Elizabeth Proctor, moglie di John

Francis Nurse, marito di Rebecca

Ezekyel Cheever

Herrick, maresciallo

Giudice Hathorne

Vicegovernatore Danforth

Sarah Good

Hopkins, guardia del carcere

Ragazze

Guardie


Questo dramma non pretende di essere storico nel senso che gli stu­diosi danno a questa parola. I fini di una riduzione teatrale hanno consi­gliato in alcuni casi la fusione di molti personaggi in uno solo; il numero delle ragazze coinvolte nelle « confessioni » è stato ridotto, mentre è stato aggiunto qualche anno all'età di Abigail; come pure ho ritenuto di rappre­sentare simbolicamente con Hathorne e Danforth i molti giudici tutti a un dipresso ugualmente autorevoli. Ciò nonostante io ritengo che il lettore troverà qui la natura essenziale di uno dei più strani e terribili capitoli della storia umana. Ciascun personaggio segue la sorte che è toccata al suo mo­dello storico, né vi sono nel dramma personaggi che nella realtà non abbiano vissuto una simile (e in alcuni casi identica) vicenda.

Ad eccezione di qualche suggerimento che scaturisce dalla lettura di al­cune lettere, dei verbali dei processi, delle relazioni scritte in quel tempo e di riferimenti alla loro condotta desunti da fonti non tutte attendibili, ben poco ci è dato di conoscere del carattere delle persone. Ragion per cui i per­sonaggi del dramma possono essere considerati una mia creazione, solleci­tata (impegnando le mie migliori capacità) dalle azioni conosciute, meno per quei particolari che ho indicato nel commento al testo.


Atto primo

Una piccola camera da letto al piano superiore della casa del reverendo Samuel Parris, a Salem, nel Massachusetts, nella primavera dell'anno 1692.

A sinistra, un'angusta finestra. Attraverso i pannelli di vetro incorniciati di piombo splende la luce del sole mattutino. Una candela è ancora ac­cesa vicino al letto, che si trova a destra. Un cassone, una sedia e un piccolo tavolo costituiscono il resto dell'arredamento. In fondo, una porta conduce al ballatoio della scala che scende al pianterreno. La camera dà un'impressione di semplicità e di pulizia. Ben visibili le travi del tetto, di legno grezzo e non ancora stagionato. Quando si apre il sipario, il reverendo Parris è inginocchiato accanto al letto, nell'atto di pregare. Sua figlia, Betty Parris, di dieci anni, è di­stesa, inerte, sul letto.

Al tempo di questi fatti Parris era sulla quarantacinquina. Egli si comportò nella realtà in modo spregevole e ben poco si può dire in suo favore. Parris ri­teneva di essere stato sempre ingiustamente perseguitato nonostante gli sforzi che aveva fatto per conquistarsi la simpatia della gente e del Signore. Bastava che un fedele in chiesa si alzasse per chiudere la porta senza aver chiesto prima il suo permesso perché Parris si sentisse offeso. Parris era vedovo e non amava i bambini né sapeva come trattarli. Li considerava dei piccoli adulti; e prima di essere coinvolto in questa strana vicenda (come del resto ogni abitante di Sa­lem), non gli sarebbe neppure passato per la mente che i bambini potessero fare altro che esser grati per il permesso che veniva loro concesso di camminar dritti, con gli occhi bassi, le braccia lungo i fianchi e la bocca chiusa fin quando non fossero sollecitati a parlare.

La sua abitazione si trovava al centro della « città » che oggi chiameremmo ap­pena villaggio. La chiesa era lì accanto, e da quel punto (verso la baia come verso l'interno) si vedevano poche case scure, con le finestre minuscole, ammucchiate l'una contro l'altra quasi a proteggersi dal rigido inverno del Massachusetts. Sa­lem era stata fondata appena quarant’anni prima. Nel mondo europeo si diceva che l'intera provincia era una frontiera barbarica abitata da una setta di fana­tici, i quali però esportavano prodotti che a poco a poco aumentavano in quan­tità e valore.  

Non ci è dato di sapere con esattezza come si svolgesse la vita degli abitanti di Salem. Non c'erano romanzieri tra di loro; e d'altra parte nessuno avrebbe avuto il permesso di leggere un romanzo, ammesso che avesse potuto procurarselo. La religione proibiva qualsiasi attività che rassomigliasse a un teatro e simili « vuoti piaceri ». A Natale non si facevano feste e il giorno di riposo comportava sem­plicemente il dovere di una maggiore dedizione alla preghiera. Con ciò non vogliamo dire che nulla al mondo potesse variare questo modo di vivere sobrio e severo. Quando veniva ultimata la costruzione di una casa nuova ad esempio, si radunavano gli amici per fare « un po' di baccano ». Si amman-nivano cibi speciali e si arrivava a volte perfino al punto di far circolare una brocca di sidro. Esisteva a Salem un discreto numero di fannulloni che gioca­vano a shovelboard nella taverna di Bridget Bishop. Probabilmente, più che la fede, era la durezza della vita a mantenere la rigidezza dei costumi: quella gente infatti era costretta a lottare con eroismo contro la terra per strapparle ogni chicco di grano. Non restava quindi a nessuno molto tempo per i diver­timenti.

A Salem c'erano però delle persone frivole; prova ne sia ch'era stato necessario costituire una pattuglia di due uomini il cui compito era quello di « fare la ronda durante il servizio religioso per notare chiunque indugiasse nelle vici­nanze della chiesa incurante delle leggi e degli avvertimenti, o chiunque restasse a casa o nei campi e non fosse in grado di darne una lecita giustificazione, e di registrare i nomi delle suddette persone e comunicarli ai magistrati onde potes­sero essere presi provvedimenti a loro carico ».

Questa predilezione ad impicciarsi negli affari altrui era una tradizione del po­polo di Salem, e indubbiamente contribuì non poco a creare quella diffidenza che senza dubbio alimentò la follia collettiva che sarebbe seguita. Essa costituiva anche, a mio parere, una delle cose contro cui un uomo come John Proctor do­veva ribellarsi; il periodo di emergenza poteva infatti considerarsi superato. Il paese aveva raggiunto una certa (se non completa) sicurezza e le antiche misure disciplinari incominciavano a pesare. Ma come avviene sempre in situazioni di questo genere, l'esigenza non si presentò subito con evidenza, poiché il peri­colo era ancora possibile, e l'intransigenza quindi poteva essere ancora la mi­gliore garanzia di sicurezza.

Il confine della foresta era vicinissimo. Il continente americano, che si estendeva sterminato verso occidente, era, agli occhi degli abitanti di Salem, pieno di mi­stero. Lo sentivano alle loro spalle, oscuro e minaccioso, di notte e di giorno, e da esso sbucavano fuori di tanto in tanto le tribù indiane che si davano al sac­cheggio. Alcuni parrocchiani del Reverendo Parris avevano avuto dei parenti uccisi da quei selvaggi.

La mentalità degli abitanti di Salem era, in parte, responsabile della mancata conversione dei pellirosse. Tutto sommato era preferibile rubare la terra a dei pa­gani piuttosto che a dei fratelli neocristiani. Sta di fatto che pochissimi indiani furono convertiti, e il popolo di Salem continuò a credere che la foresta vergine fosse l'ultima riserva di caccia del Diavolo, la sua fortezza, il suo estremo ba­luardo. A giudizio degli abitanti di Salem, la foresta americana era l'ultimo dei luoghi della terra dove non si rendeva omaggio a Dio.

Per queste ragioni, fra le tante altre, gli abitanti di Salem avevano l'aria di es­sere votati alla resistenza e perfino alla persecuzione. Non si può negare che i loro padri fossero stati perseguitati in Inghilterra. Di conseguenza essi e la loro chiesa si sentivano ora obbligati a negare la libertà alle altre sette, quasi temes­sero che la Nuova Gerusalemme potesse essere deturpata e corrotta da mali co­stumi e false idee.

In conclusione, gli abitanti di Salem credevano di tenere saldamente in mano la fiaccola che doveva portar la luce al mondo intero. Noi americani abbiamo ereditato questa fiducia, che ci è stata utile, e nello stesso tempo nociva. Fu utile al popolo di Salem perché contribuì a dargli una disciplina. Erano, per lo più, uomini pieni di devozione e non potevano essere che così, per sopportare la vita che si erano scelta, o alla quale erano nati, in quella terra. La prova dei vantaggi che trassero dalla loro fede la troviamo nel carattere, del tutto diverso, della prima colonia di Jamestown, più a sud, nella Virginia. Gli inglesi che vi approdarono erano spinti soprattutto dalla sete di guadagno: non avevano altro obbiettivo che di raccogliere le ricchezze del nuovo mondo e di portarle in Inghilterra. Erano individualisti, e molto più simpatici degli uomini del Massachusetts, ma la Virginia li distrusse. Il Massachusetts tentò di distruggere i Puritani, ma questi si mantennero uniti, dando origine ad una società che inizialmente altro non fu se non un campo armato, governato in forma autocratica, ma con grande onestà. Questa società, non dimentichiamolo, era un'autocrazia per consenso, e i suoi componenti erano uniti, dal primo all'ultimo, da una comune ideologia la cui perpetuazione era la ragione e la giustificazione di qualsiasi sofferenza. L'abnegazione, la risolutezza, la diffi­denza di fronte alle « vanità del mondo », la rude giustizia di questi uomini furono strumenti perfetti per la conquista di quella terra ingrata. Il popolo di Salem del 1692 però non era costituito dalla stessa gente devota sbarcata dal Mayflotver. Un profondo mutamento si era verificato: la rivo­luzione aveva rovesciato il governo regio sostituendolo con una giunta che deteneva in quel momento il potere. Un periodo cioè che deve essere apparso addirittura caotico agli occhi del popolo di Salem. Alla gente semplice di quei tempi — come a quella di oggi — i problemi contemporanei debbono essere sembrati complessi e insolubili. Non è difficile quindi rendersi conto come sia stato possibile far credere a molti che la confusione dei tempi fosse il frutto di forze oscure e soprannaturali. Non c'è traccia di siffatta speculazione nei ver­bali del processo, ma è noto che in qualunque epoca i disordini sociali gene­rano questi sospetti mistici; e quando, come accadde a Salem, si comincia a par­lare di forze occulte che minano la compagine sociale, non si può pretendere che il popolo non sfoghi sulle vittime la violenza delle proprie delusioni. La tragedia di Salem, che sta per cominciare in queste pagine, ebbe origine da un paradosso. Viviamo tuttora nella morsa di questo paradosso, e la sua solu­zione non è ancora in vista. In poche parole, ecco di che cosa si tratta: per fini buoni, anzi, per alti fini, il popolo di Salem si creò una teocrazia, un complesso di poteri statali e religiosi che teneva unita la comunità difendendola dagli ele­menti disgregatori materiali o ideologici. Questa teocrazia fu organizzata per un fine necessario, e quel fine venne raggiunto. Ma ogni organizzazione è, e non può non essere, imperniata su esclusioni e divieti, per il semplice fatto che due oggetti non possono occupare il medesimo spazio. A un certo momento, nella Nuova Inghilterra, le repressioni si fecero più violente di quanto i pericoli contro i quali l'ordine era stato costituito non giustificassero. La caccia alle streghe fu una tremenda manifestazione del panico che si diffuse in tutte le classi quando la bilancia incominciò a pendere in favore d'una maggiore libertà individuale. Se si riesce ad esaminare con obbiettività le nefandezze commesse dagli indivi­dui, si finisce per compatirli tutti, come un giorno saremo compatiti anche noi. Ancora oggi, l'uomo non è in grado di organizzare la sua vita sociale senza ri­correre alle repressioni: l'equilibrio tra la libertà e l'ordine non è stato ancora raggiunto.

La caccia alle streghe non costituì, tuttavia, una repressione pura e semplice. Essa fu anche l'occasione a lungo attesa, da chi ne sentisse il bisogno, di confes­sare impunemente in pubblico le proprie colpe e i propri peccati rendendone re­sponsabili gli accusati. D'un tratto sembrò plausibile (oltre che doveroso e santo), per un uomo, affermare che Martha Corey era entrata di notte nella sua camera da letto, mentre sua moglie dormiva accanto a lui, e che gli si era buttata addosso quasi soffocandolo. Naturalmente, si trattava dello spirito di Martha, ma la sod­disfazione che l'uomo provava nel confessarlo non era minore di quella che avrebbe provato se si fosse trattato di Martha in carne ed ossa. Normalmente non si poteva parlare di queste cose in pubblico.

Gli odii tra vicini, soffocati per lungo tempo, potevano finalmente avere sfogo e vendetta, nonostante le prescrizioni della Bibbia. La sete di terra che prima di allora si era manifestata negli incessanti contrasti sui confini poteva finalmente essere portata sul piano della moralità. Si poteva insomma accusare di strego­neria il proprio vicino e sentirsi perfettamente giustificati. Era lecito sfogare vecchi rancori, in nome della lotta fra Lucifero e il Signore. La diffidenza e l'invidia dei poveri verso i più ricchi poterono esplodere in una vendetta gene­rale.

Il reverendo Parris sta pregando, e sebbene non possiamo udire le sue parole, ci accorgiamo della sua confusione, del suo turbamento. Parris borbotta qualche cosa e sembra che stia per piangere; poi piange e rico­mincia a pregare. Ma sua figlia non si muove.

La porta si apre ed entra la schiava negra. Tituba ha una quarantina d'anni. Parris l'ha portata con sé dalle Isole Barbados dov'era vissuto alcuni anni facendo il commerciante prima di votarsi al sacerdozio.

Si  ha  l'impressione  che  Tituba  non   sopporti   di   rimanere  esclusa   più a lungo dalla presenza della sua diletta. La donna è anche molto inti­morita; la sua esperienza di schiava le insegna che, come sempre, i guai domestici ricadranno prima o poi sulle sue spalle.

Tituba              (già indietreggiando di un passo) La mia Betty guarirà?

Parris              Vattene!

Tituba              (indietreggiando verso la porta) La mia Betty non mo­rirà...

Parris              (scattando in piedi, furioso) Fuori di qui!

Tituba è scomparsa.

Fuori! Fuori! (È sopraffatto dai singhiozzi. Serra i denti nello sforzo di dominarsi. Chiude la porta e vi si appog­gia, esausto) O Dio mio! Dio mio, aiutami! (Tremando dalla paura e mormorando tra i singhiozzi, si accosta al letto e prende con dolcezza la mano di Betty) Betty, bam­bina, bambina cara. Svegliati, apri gli occhi. Betty... cara... (Sta per inginocchiarsi di nuovo).

Entra sua nipote, Abigail Williams, un'orfana di diciassette anni. È una ragazza di eccezionale bellezza e dotata di un'estrema capacità di dissimulazione. Ora si mostra tutta preoccupata, spaventata e rispettosa.

Abigail             Zio?                            

Parris la guarda.            

Susanna Walcott è stata dal dottor Griggs!  

Parris              Falla entrare, falla entrare.                       

Abigail             (affacciandosi alla porta e chiamando Susanna che si trova per le scale) Vieni, Susanna.

Entra Susanna Walcott. È una ragazza nervosa e frettolosa, un po' più giovane di Abigail.

Parris              (con ansia) Allora, che cosa dice il dottore?  

Susanna           (allungando il collo per vedere Betty dietro a Parris) Mi ha ordinato di venirvi a dire che nei suoi libri, per un caso come questo, non riesce a trovare nessuna medicina.

Parris              Allora, deve continuare a cercare.

Susanna           Sì, signore. Non ha fatto che cercare nei suoi libri da quando vi ha lasciato. Mi ha detto di dirvi che dovete pensarci voi perché deve esserci qualche causa sopranna­turale.

Parris              (spalancando gli occhi) No... no. Non ci sono cause so­prannaturali. Digli che ho mandato anche a chiamare il reverendo Hale di Beverly, e che il signor Hale mi darà certamente ragione. Che lui si limiti a cercare una medi­cina e non pensi a cause soprannaturali. Non ce ne sono.

Susanna           Sì, signore. Però mi ha ordinato di dirvelo. (Si volta per andarsene).

Abigail             Non parlarne in paese, Susanna.

Parris              Va' subito a casa e non parlare di cause soprannaturali. Susanna   Sì, signore. Pregherò per Betty. (Esce).

Abigail             Zio, dappertutto si parla di stregoneria. Penso sia meglio che voi andiate giù a smentire personalmente queste voci. Il salotto è pieno zeppo di gente. Resterò qui io, con Betty.

Parris              (esasperato, prendendosela con lei) E che cosa dirò loro? Che ho scoperto mia figlia e mia nipote nella foresta a ballare come delle invasate?

Abigail             Zio, è vero; abbiamo ballato. Dite pure che l'ho confessato... e magari mi frusteranno in pubblico. Ma la gente parla di stregoneria. Betty non è stregata.

Parris              Abigail, io non posso presentarmi alla congregazione quando so che tu non mi hai detto tutto. Che cosa face­vate nella foresta?

Abigail             Abbiamo ballato, zio; e quando voi siete saltato fuori dal cespuglio all'improvviso, Betty si è spaventata ed è svenuta. Non c'è altro.            

Parris              Siediti.

Abigail             (con voce tremula, sedendosi) Non farei mai del male a Betty. Le voglio troppo bene.

Parris              Senti, Abigail. La punizione per te verrà, a suo tempo. Ma se tu hai avuto a che fare con gli spiriti nella foresta devi dirmelo subito perché i miei nemici verranno certa­mente a saperlo e ne approfitteranno per rovinarmi.

Abigail             Ma non abbiamo evocato gli spiriti.

Parris              E allora, perché da mezzanotte Betty non si muove più? La sua condizione è disperata.

Abigail abbassa gli occhi.

Voglio sapere la verità o saranno i miei nemici a scoprirla. Dimmi che cosa avete fatto! Abigail, ti rendi conto che ho molti nemici?

Abigail             L'ho sentito dire, zio.                                                

Parris              C'è una fazione che è decisa a buttarmi giù dal pulpito. Lo capisci?

Abigail             Credo di sì, signore.

Parris              E ora, proprio in piena lotta, si viene a scoprire che la mia casa è un focolaio di pratiche oscene. Si commettono atti abominevoli nella foresta...

Abigail             Ma si scherzava, zio!                                             

Parris              (indicando Betty) E lo chiami scherzare?

Abigail abbassa gli occhi.

                                                          

(La supplica) Abigail, se tu sai qualcosa che può essere di aiuto al dottore, per amor di Dio, dimmelo.

Abigail tace.

                                                                

Quando vi ho sorprese, ho visto Tituba che agitava le braccia sul fuoco. Perché? E l'ho sentita urlare frasi sconnesse. Si dondolava su quel fuoco come una bestia ferita!

Abigail             Tituba canta sempre le sue canzoni delle Barbados, e noi balliamo.

Parris              Non posso fingere di ignorare ciò che ho visto, Abigail. E neanche i miei nemici lo ignoreranno. C'era una veste buttata sull'erba.

Abigail             (innocentemente) Una veste?

Parris              (parlando a mezza bocca) Si, una veste. E mi è sem­brato di vedere... una persona nuda che correva tra gli alberi!

Abigail             (con terrore) Nessuna di noi era nuda, zio! Vi sbagliate!

Parris              (con ira) L'ho vista con i miei occhi. (Si allontana da lei, poi le dice risolutamente) Dimmi la verità, Abigail. E cerca di sentire su di te tutto il peso della responsabilità che hai! Perché è in giuoco il mio sacerdozio... il mio sa­cerdozio e forse la vita di tua cugina. Qualunque atto abominevole abbiate commesso, dimmelo perché non posso rischiare di farmi sorprendere quando andrò giù davanti a loro.

Abigail             Non c'è nient'altro. Ve lo giuro, zio.

Parris              (la osserva, poi annuisce, quasi convinto) Abigail, per tre lunghi anni ho lottato per piegare questa gente caparbia, ed ora, proprio ora che cominciavo a godere di un po' di rispetto nella parrocchia, tu vieni a compromettere la mia reputazione. Ti ho dato una casa, figliola, ti ho dato di che coprirti, ho diritto ad una risposta sincera. In paese, il tuo nome... è assolutamente senza macchia, è vero?

Abigail             (con una punta di risentimento) Certo. Ne sono sicura. Il mio nome è senza macchia.

Parris              (deciso) Abigail. Non c'è stato nessun altro motivo oltre quelli che mi hai detto per il tuo licenziamento dal ser­vizio della signora Proctor? Ho sentito dire, e ti ripeto quello che mi è stato riferito, che la signora Proctor viene in chiesa così di rado quest'anno perché non vuol trovarsi a sedere accanto a qualcosa di immondo. A chi si riferisce questo... apprezzamento?

Abigail             Quella mi odia, zio, mi odia, perché mi sono rifiutata di farle da schiava. È una donna astiosa, bugiarda, falsa e senza cuore, e io non voglio lavorare per una donna simile!

Parris              Può darsi. Tuttavia, mi preoccupa il fatto che da sette mesi che hai lasciato la sua casa, nessun'altra famiglia ti abbia voluto a servizio.

Abigail             È perché tutte vogliono delle schiave e non una come me. Che se le prendano alle Barbados le schiave! Io non vo­glio ammazzarmi per nessuna di loro. (Con malcelato ri­sentimento) Siete pentito di avermi ospitata, zio?

Parris              No... no.

Abigail             (indignata) Il mio nome è onorato in paese! Non tollero che si dica che il mio nome è macchiato! La signora Proc­tor è una pettegola bugiarda!

Entra la signora Ann Putnam, un'anima confusa e tormentata di qua-rantacinque anni. È una donna in preda ad incubi e sembra che abbia la morte sempre accanto.

Parris              (appena si apre la porta) No... no, non può entrare nes­suno. (Scorgendola, mostra una certa deferenza, ma la sua preoccupazione rimane) Oh, signora Putnam, siete voi? Entrate.

Signora            (con lo sguardo allucinato e trattenendo il respiro) Che cosa incredibile! È certo un colpo infernale sulla vostra casa!

Parris              No, signora Putnam, è soltanto...

Signora            (lanciando uno sguardo a Betty) A che altezza volava? A che altezza?

Parris              No, no, non ha volato...        

Signora            (compiaciuta) Ma sì che ha volato. Il signor Collins l'ha vista passare sopra la stalla di Ingersoll, e poi... l'ha detto... è scesa giù leggera come un uccellino!

Parris              Signora Putnam, Betty non ha mai...

Entra Thomas Putnam, un prospero, duro proprietario di terre, sulla cinquantina.

Oh, buon giorno signor Putnam.

Putnam            È una vera provvidenza che la cosa sia stata scoperta! Una provvidenza! (Va direttamente presso il letto).

Parris              Che cos'è stato scoperto, che...?

La signora Putnam va vicino al letto.

Putnam            (guardando Betty) Ma ha gli occhi chiusi! Guarda, Ann. Signora   Strano. (A Parris) La nostra ha gli occhi aperti. Parris   (scosso) Anche Ruth è ammalata?

Signora            (con feroce certezza) Ammalata non è la parola giusta. Il tocco del Diavolo è ben peggio di una malattia! È la morte! È la morte con l'unghia forcuta che la distrugge.

Parris              Oh, Dio non voglia! Ma che cos'ha Ruth?

Signora            Che cos'ha? Stamattina non si è svegliata, ma ha gli oc­chi aperti e cammina. Non sente niente, non vede niente, e non vuol mangiare. È come se la sua anima se ne fosse  andata.

Parris è scosso.

Putnam            (come per sollecitare altri particolari) Dicono che avete mandato a chiamare il reverendo Hale, a Beverly?

Parris              (con sempre minore convinzione) Solo per precauzione. Egli ha molta esperienza in tutte le questioni... demoniache... ed io...

Signora            Sì, è vero. Vi ricordate? L'anno scorso scopri una strega a Beverly!  

Parris              No, signora Ann. Ci fu solo il sospetto che fosse una strega. Sono sicuro che qui non c'è nessun elemento di stregoneria.

Putnam            Nessun elemento di stregoneria? Ma signor Parris... sen­tite.

Parris              Thomas, Thomas, vi prego, non parlate di stregoneria. Sono sicuro che voi... voi meno di tutti, Thomas... mi vorreste vittima di un'accusa cosi tremenda. Non possiamo parlare di stregoneria, mi caccerebbero da Salem, come un cane idrofobo, se la mia casa fosse contaminata.

Qualche parola su Thomas Putnam. Era un uomo che covava molti risentimenti almeno alcuni dei quali potevano essere giustificati. Anni prima al cognato di sua moglie, James Bayley, era stata rifiutata la parrocchia di Salem. Bayley rite­neva di avere tutti i requisiti necessari per un buon pastore e aveva ottenuto il voto dei due terzi degli abitanti. Ma una fazione, per ragioni non chiare, si op­pose alla nomina.

Thomas Putnam era primogenito dell'uomo più ricco del villaggio. Aveva com­battuto contro i pellirosse a Narragansett e si prendeva molto a cuore gli affari della parrocchia. Certo egli era stato profondamente offeso dal rifiuto che i concittadini avevano opposto al suo candidato ad una delle cariche più importanti della comunità; e l'offesa gli doveva essere sembrata tanto più intollerabile in quanto egli si considerava intellettualmente superiore alla maggior parte delle persone che lo circondavano.

La sua natura vendicativa si era manifestata già molto tempo prima del processo alle streghe. Un ex parroco di Salem, George Burroughs, aveva dovuto ricorrere a prestiti per pagare le spese dei funerali della moglie, e poiché la parrocchia tar­dava a pagargli lo stipendio, si era trovato ben presto in cattive acque. Thomas Putnam e suo fratello John fecero mandare il povero Burroughs in prigione per debiti. L'episodio è degno di rilievo in quanto Burroughs era riuscito a diventare parroco mentre Bayley, il cognato di Thomas Putnam, era stato bocciato. Qui il motivo di risentimento appare chiaro. Thomas Putnam sentiva che il proprio nome e l'onore della famiglia erano stati offesi dagli abitanti del villaggio, ed era deciso a far pari in un modo o nell'altro.

Un altro motivo che contribuiva a far di lui un uomo profondamente invele­nito va cercato nell'inutile tentativo di far annullare il testamento del padre, il quale aveva lasciato una parte rilevante dell'eredità ad un fratellastro. Come negli altri casi in cui aveva cercato d'imporsi, Putnam fallì anche in questo. Non c'è quindi da meravigliarsi che tanti atti di accusa portassero la firma di Thomas Putnam, né che il suo nome figurasse tanto spesso in qualità di teste nelle deposizioni su fatti soprannaturali. Né che fosse proprio sua figlia a dare l'avvio alle isteriche accuse pubbliche, nei momenti più critici del processo, e soprattutto quando... Ma ne parleremo a tempo debito.

Putnam            (in   questo  momento,  poiché nutre solo  disprezzo  per Parris, sta cercando di spingerlo verso l'abisso) Signor Parris, in ogni contrasto mi sono schierato dalla vostra parte, e vorrei continuare a farlo; sempre che, s'intende, voi non continuiate a negare l'evidenza dei fatti. Qui si tratta di spiriti maligni e vendicativi che aggrediscono i nostri figli.

Parris              Ma, Thomas, non potete...

Putnam            Avanti, Ann! Racconta al signor Parris quello che ti è successo.

Signora            Ho avuto sette bambini, reverendo, e li ho dovuti seppel­lire tutti senza battesimo. Mai si erano visti nascere bam­bini così robusti. Eppure, mi sono morti tutti fra le braccia la notte stessa del parto. Non ho mai detto niente, ma nel cuore nutrivo dei sospetti terribili, finché que­st'anno, la mia Ruth, la mia unica... incomincia stranamente a cambiare: è diventata una bambina chiusa e si consuma, come se una bocca le succhiasse la vita; così ho pensato di mandarla dalla vostra Tituba...

Parris              Tituba? Che c'entra Tituba...?

Signora            Tituba sa parlare con i morti, signor Parris.

Parris              Evocare i morti è un peccato mortale, signora Ann.

Signora            Ne rispondo io con la mia anima; ma chi altro potrebbe rivelarci con certezza l'assassino dei miei bambini?

Parris              (inorridito) Donna!

Signora            Sono  stati   assassinati, signor Parris! Giudicate dalle prove! Ascoltatemi bene! Ieri sera la mia Ruth era vicina vicina ai loro spiriti! Ne sono convinta, reverendo. Altrimenti, come si spiega che si sia ammutolita se non per opera di una forza oscura che le paralizza la lingua? È un segno prodigioso, signor Parris!

Putnam            Ma non vi rendete conto, reverendo? C'è in mezzo a noi una strega assassina che si nasconde nell'ombra.

In preda a un terrore frenetico, Parris si volta verso Betty.

Lasciate che i vostri nemici dicano quello che vogliono, ma voi non potete più ignorare questi fatti.

Parris              (ad Abigail) Allora, questa notte tu evocavi gli spiriti?

Abigail             (sussurrando) Io no, signore. Erano Tituba e Ruth.

Parris              (in preda a nuovi timori, si volta e va presso Betty; la guarda e poi fissa lo sguardo avanti) Oh, Abigail, così hai compensato la mia generosità! Sono un uomo finito!

Putnam            Non siete un uomo finito, se prendete l'iniziativa! Non aspettate che vi accusino ma dichiarate voi stesso di avere scoperto delle pratiche di stregoneria...

Parris              In casa mia? In casa mia, Thomas? Mi distruggerebbero! Ne farebbero un...

Entra Mercy Lewis, la domestica dei Putnam. È una fanciulla di diciotto anni, grassa, furba e spietata.

Mercy              Scusate. Volevo solo vedere come sta Betty.

Putnam            Perché non sei rimasta a casa? Chi c'è con Ruth?

Mercy              È venuta la nonna. Ruth sta un po' meglio, credo. Poco fa ha fatto un fortissimo starnuto.                           

Signora            Ah, un segno di vita!

Mercy              Non starei più in pensiero, signora Putnam. Era uno starnuto magnifico! Un altro così le rimetterà la testa a posto, ne sono sicura. (S'avvicina al letto per guardare).

Parris              Vi dispiacerebbe di andarvene adesso, Thomas? Vorrei restare solo per pregare un po'.                                

Abigail             Zio, è da mezzanotte che pregate. Perché non andate giù a...?

Parris              No... no. (A Putnam) Non so che cosa dire a quella gente. Aspetterò che arrivi il reverendo Hale. (Cercando di far uscire la signora Putnam) Se non vi dispiace, si­gnora Ann...

Putnam            Ascoltatemi, reverendo. Accettate questa battaglia contro il Diavolo e il paese vi benedirà! Venite giù, parlate con i vostri fedeli... pregate insieme a loro. Attendono ansiosi una vostra parola, signore! Mi auguro che vorrete pregare con loro.

Parris              (cedendo) Canteremo un salmo, tutti insieme. Ma non parlate di stregoneria. Mi rifiuto di discuterne. La cosa non è ancora sicura. Ne ho avuto abbastanza di liti in questa parrocchia e non ne voglio più.

Signora            Mercy, vai a casa e resta con Ruth, hai capito?       

Mercy              Sì, signora.

La signora Putnam esce.

Parris              (ad Abigail) Se cerca di avvicinarsi alla finestra, chiama­temi subito.

Abigail             Sì, zio.

Parris              Oggi ha una forza soprannaturale, nelle braccia. (Esce insieme a Putnam).

Abigail             (con trepidazione, sussurra) Ma che cos'ha Ruth?

Mercy              Cose dell'altro mondo! Non so... da ieri sera cammina come una morta.

Abigail             (si volta immediatamente e va presso Betty: poi con voce impaurita) Betty.

Betty non si muove.

(La scuote) Adesso basta! Betty! Alzati subito!

Betty rimane immobile. S'avvicina Mercy.  

Mercy              Hai provato a dargliene? A Ruth gliene ho date e forte e si è svegliata per un minuto. Dài, lascia fare a me!

Abigail             (trattenendo Mercy) No, può tornare lo zio. Ora senti: se ti fanno delle domande, di' pure che abbiamo ballato... tanto gliel'ho già detto.

Mercy              Va bene. E nient'altro?

Abigail             Lui sa che Tituba ha chiamato dal sepolcro le sorelline di Ruth.

Mercy              E poi?

Abigail             Ti ha visto nuda.

Mercy              (battendo le mani con una risata isterica dì spavento) Oh, Gesù!

Entra Mary Warren, ansante. È una ragazza di diciassette anni, docile, ingenua, malinconica.

Mary                Cosa facciamo? Il paese è in subbuglio. Vengo adesso dai campi e anche là si parla di stregoneria dappertutto. Vedrai, Abby, diranno che siamo streghe!

Mercy              (additando Mary Warren e fissandola) Pensa già a fare la spia, lei, lo so!

Mary                Abby, dobbiamo parlare. La stregoneria è un delitto che porta alla forca, com'è successo a Boston due anni fa! Abby, dobbiamo dire la verità! Tutt'al più ti frusteranno in pubblico per aver ballato, e per le altre cose!

Abigail             Oh, ci frusteranno!                                                        

Mary                Io non ho fatto niente, Abby. Ho soltanto guardato!

Mercy              (avvicinandosi minacciosa a Mary) Oh, sei brava tu a guardare, eh, Mary Warren? Bel coraggio da spia!

Betty,  sul  letto, comincia a  piagnucolare.

Abigail             (si volta subito verso di lei) Betty? (Si avvicina a Betty) Su, Betty, cara, alzati! Sono Abigail. (Solleva Betty a se­dere, poi la scuote con violenza) Te le do, sai, Betty!

Betty piagnucola.

Su, che stai meglio! Ho parlato con il tuo papà e gli ho raccontato tutto. Così non c'è nulla da...

Betty                (spaventata da Abigail si precipita giù dal letto e si ap-poggia, rigida, con le spalle al muro) Voglio la mamma!

Abigail             (allarmata, si avvicina  cautamente  a  Betty)  Betty,   sei matta? La tua mamma è morta e sepolta!

Betty                Voglio volare dalla mia mamma. Lasciatemi volare! (Sol­leva le braccia come per volare, si slancia verso la finestra e sporge fuori una gamba).

Abigail             (trascinandola via dalla finestra) Gli ho già detto tutto. Sa tutto, sa tutto quello che abbiamo...

Betty                Hai bevuto sangue, Abby! Questo non glielo hai detto!

Abigail             Betty, non devi dirlo, mai più... mai più!

Betty                È vero, è vero! Hai bevuto sangue stregato per far morire la moglie di John Proctor! Hai bevuto sangue per far morire la signora Proctor!

Abigail             (schiaffeggiandola) Basta! Adesso, basta!                    

Betty                (lasciandosi cadere sul letto) Mamma, mamma! (Scoppia in pianto).

Abigail             Adesso, voi! Voi due. Sentite. Abbiamo ballato. E Tituba ha chiamato le sorelline morte di Ruth Putnam. E basta! E attente: se una di voi dice una sola parola o fa il minimo accenno alle altre cose, io vengo in una notte terribile e nera a invocare su di voi una tale punizione da farvi agghiacciare. E voi sapete che sono capace di farlo. Ho visto gl'Indiani fracassare le teste ai miei cari genitori, sul guanciale proprio vicino a me. Ho visto succedere cose tremende di notte per cui mi sento capace di farvi desiderare di non aver mai visto tramontare il sole! (Va presso Betty e con violenza la mette a sedere sul letto) E ora, tu, tirati su, e finiscila!                          

Ma Betty le si accascia nelle mani e giace inerte sul letto.

Mary                (spaventata, isterica) Cosa le prende?

Abigail, spaventata, guarda Betty.

                                                     

Abby, muore! È un peccato chiamare gli spiriti, e noi... Abigail   (avvicinandosi a Mary) Ti dico piantala, Mary Warren.

Entra John Proctor. Appena lo vede, Mary Warren sobbalza impaurita.

Mary                Oh! Vado subito a casa, signor Proctor.

Proctor            Sei impazzita, Mary Warren? O sorda? Non ti ho proi­bito di allontanarti da casa? Perché ti do uno stipendio? Devo badare più a te che alle mie vacche.

Mary                Volevo solo vedere le strane cose che succedono in paese.

Proctor era un contadino di trentacinque anni. Non risulta che avesse bisogno di parteggiare per questa o quella fazione nel paese, ma la documentazione lascia capire ch'egli aveva verso gli ipocriti un atteggiamento sprezzante. Fisica-mente forte, di natura equilibrata, e difficilmente influenzabile, Proctor era persona tale da non poter negare il proprio appoggio a uomini di parte, senza che questo suscitasse in loro il più profondo risentimento. Alla presenza di Proctor, un imbecille si sentiva imbecille subito, ragion per cui un uomo come Proctor era destinato ad essere oggetto di calunnie.

Come vedremo, nonostante la sua ferma condotta Proctor non aveva un'anima serena. Era un peccatore, un peccatore non solo a norma della moralità cor­rente ma secondo la sua coscienza. Quella gente non aveva nessun rito che potesse purgarla dei loro peccati. È questa un'altra caratteristica da noi ereditata e che se ha contribuito a darci una disciplina ha pure generato fra noi l'ipo­crisia.

Rispettato, e perfino temuto, a Salem, Proctor è arrivato al punto di considerarsi una specie di impostore. Ma nessuna traccia di questa sua convinzione è an­cora evidente tanto che quando dal salotto affollato egli sale per entrare in scena, noi vediamo in lui un uomo nel pieno rigoglio della vita, dotato di una fiducia serena e di una forza interiore non ancora minata. La sua domestica, Mary Warren, per l'imbarazzo e il timore che prova, riesce appena a parlare.

Proctor            Te le faccio vedere io le cose che succedono con una buona sculacciata uno di questi giorni. Fila a casa. Mia moglie ti aspetta e c'è da fare! Cercando di conservare una parvenza di dignità, Mary esce lentamente.

Mercy              (impaurita e stranamente eccitata dalla presenza di Proc­tor) Meglio che vada anch'io! Devo sorvegliare Ruth. Addio, signor Proctor. (Indietreggia lentamente ed esce).

Sin dall'entrata di Proctor, Abigail è rimasta quasi come in punta di piedi, spiando la sua presenza con occhi spalancati. Lui la guarda poi si avvicina a Betty sul letto.

Abigail             Mi ero quasi dimenticata come sei forte, John Proctor.

Proctor            (guardando Abigail con un sorriso significativo, appena accennato) Cos'è quest'altro guaio?

Abigail             (con una risata nervosa) Fa la stupida, niente altro.

Proctor            Sulla strada davanti a casa mia c'è un vero pellegrinaggio verso Salem, da stamattina. In paese non si parla che di stregoneria.

Abigail             Che sciocchezze. (Si avvicina con fare mellifluo e con aria maliziosa e confidenziale) Stanotte siamo state a bal­lare nel bosco, e lo zio ci ha sorprese. Lei si è spaventata. Ecco!

Proctor            (con sorriso più aperto) Ah, fai ancora la cattiva, eh?

Abigail scoppia in una risata significativa, osa avvicinarsi di più, guar­dandolo negli occhi avidamente.

Finirai sulla forca prima di avere vent'anni. (Fa un passo per uscire, ma Abigail gli sbarra il cammino).

Abigail             Dimmi una parola, John. Una parola dolce... (Il suo ac­ceso desiderio spegne il sorriso di Proctor).

Proctor            No, no, Abby. È finita!

Abigail             (tagliente) Hai fatto cinque miglia per veder volare que­sta stupida? Ti conosco troppo bene...   

Proctor            (spingendola indietro con fermezza) Sono venuto a ve­dere che altri guai sta combinando tuo zio. (Con enfasi) Levatelo dalla testa, Abby.

Abigail             (afferrandogli la mano prima che lui possa liberarsi) John... Tutte le notti ti aspetto.

Proctor            Abby, non ti ho mai promesso niente...

Abigail             (incredula, comincia ad indignarsi) Mi hai promesso molto, invece... mi pare.

Proctor            Abby, levatelo dalla testa. È finita. Non verrò mai più da te.

Abigail              Ti piace scherzare.

Proctor            No. Mi conosci. Lo sai.                                            

Abigail             Io so come mi abbracciavi dietro la tua casa, e che sudavi come uno stallone quando ti venivo vicino! O forse l'ho sognato? È stata tua moglie a buttarmi fuori, non puoi pretendere di essere stato tu. Ti ho guardato in faccia quando lei mi ha cacciata via: mi amavi e mi ami ancora adesso!

Proctor            Abby, sei pazza!

Abigail             Una pazza ha ben il diritto di dire delle pazzie. Ma non sono così pazza. Ti ho rivisto dopo che lei mi ha cac­ciata via. Ti ho rivisto di notte.

Proctor            Non ho quasi mai lasciato la fattoria in questi ultimi sette mesi!

Abigail             Io me ne accorgo quando ti viene la voglia, John, e mi sento attirata alla finestra. Ti ho visto che guardavi su, consumato dalla tua solitudine. Vuoi negare di aver guar­dato su alla mia finestra?

Proctor            Può darsi che abbia guardato...

Abigail             (intenerendosi) Devi guardare! Tu non sei di ghiaccio. Ti  conosco,  John.  Ti  conosco.  (Piange)  I  sogni  non mi lasciano riposare, e non voglio sognare perché poi mi trovo sveglia a camminare per casa e ad aspettare che tu entri da qualche porta. (Gli si aggrappa disperatamente).

Proctor            (respingendola con grande comprensione, ma con fer­mezza) Sei una bambina...

Abigail             (con un lampo di sdegno) Non chiamarmi bambina!

Proctor            Abby, può darsi che ogni tanto io pensi a te con tene­rezza. Ma mi taglierei una mano prima di toccarti ancora.  Levatelo dalla testa.  Non  ci siamo  mai toccati, Abby.                                   

Abigail             Oh! Sì e come!              

Proctor            Mai, Abby, mai toccati.

Abigail             (con sdegnosa amarezza) Mi meraviglio che un uomo così forte si lasci intimidire da una moglie malata.

Proctor            (incollerito, anche con se stesso) Lascia stare Elisabetta.

Abigail             Lei sputa sul mio nome, in paese! Dice tante, bugie sul mio conto! Quella è una donna fredda e piagnucolosa, e tu ti lasci dominare. Ti fai trattare come un...

Proctor            (scuotendola) Ti frusto, sai?

                                   

Dal pianterreno si ode il canto di un salmo.

Abigail             (piangendo) Dov'è il John Proctor che mi ha svegliata dall'incoscienza ed ha acceso un fuoco nel mio cuore! Prima non mi ero mai accorta dell'ipocrisia di Salem, non capivo l'insegnamento di menzogne che mi davano tutte quelle brave donne cristiane e i loro mariti devoti!  E ora tu mi chiedi di spegnere questa luce nel mio cuore? Non voglio; non posso! Mi hai amata, John Proctor, e anche se è peccato tu mi ami ancora!

Proctor si volta bruscamente per uscire, ma lei si slancia verso di lui.

John, abbi pietà, pietà di me!

S'odono del salmo le parole « salendo da Gesù ». Tutt'a un tratto, Betty si copre le orecchie con le mani e comincia a lamentarsi.

Betty?             (Corre vicino a Betty che, seduta ora sul letto,urla).

Anche Proctor si avvicina mentre Abigail tenta di tirare giù le mani di Betty dalle orecchie.

Betty!

Proctor            (agitandosi) Cosa fa? Betty cosa ti piglia? Non urlare! Basta!

Nel frattempo il canto è cessato e Parris rientra precipitosamente.

Parris              Cos'è successo? Cosa le fai?  Betty! (Si slancia verso il letto, gridando) Betty, Betty!

Entra la signora Putnam, in preda a una curiosità morbosa, seguita da Thomas Putnam e Mercy Lewis. Accanto al letto, Parris ha incominciato a dare degli schiaffi leggeri sul viso di Betty, mentre lei si lamenta e tenta di alzarsi.

Abigail             Quando ha sentito cantare si è tirata su di colpo e ha cominciato a gridare!

Signora            Il salmo! Il salmo! Non sopporta di sentire il nome del Signore!

Parris              No, Dio ci liberi! Mercy, corri dal dottore! Digli quello che è successo.

Mercy Lewis esce di corsa.

Signora            È la prova. Sentite me, è la prova!

Entra Rebecca Nurse, una donna di settantadue anni. Ha i capelli bian-chi. Si appoggia ad un bastone.

Putnam            (indicando Betty che piagnucola) Signora Nurse, è un chiaro segno di stregoneria, un segno straordinario!

Signora            Mia madre me lo diceva sempre! Quando non sopportano di sentire il nome del...

Parris              (tremando) Rebecca, Rebecca, aiutatela. Siamo perduti! Non sopporta di sentire il nome del Signore...

Entra Giles Corey. Ha ottantatre anni, ma è ancora forte e muscoloso. È astuto, e pieno di curiosità.

Rebecca           È un caso grave, Giles Corey; perciò vi prego di stare quieto.

Giles                Non ho detto una parola. Nessuno qui presente può af­fermare ch'io abbia detto una sola parola. Volerà ancora? Ho sentito dire che vola.

Putnam            Silenzio, uomo.

Silenzio. Rebecca attraversa la stanza per raggiungere il letto. Dalla sua persona emana un senso di dolcezza. Betty, con gli occhi chiusi, piagnucola sommessamente. Rebecca rimane in piedi ad osservare la bambina che a poco a poco si acquieta.

E mentre sono cosi assorti, diremo due parole su Rebecca. Rebecca era la mo­glie di Francis Nurse, il quale — stando alla documentazione — era uno di quegli uomini che in un dissidio gode il rispetto di entrambe le parti conten­denti. Era spesso chiamato a fungere da arbitro nelle dispute come se fosse un giudice ufficioso, e anche Rebecca godeva dell'ottimo rispetto in cui era tenuto il marito. All'epoca di cui trattiamo, i coniugi Nurse possedevano trecento acri di terra, divisa in poderi affidati ai loro figli. Una volta, però, Francis era solo l'affittuario di queste terre, e secondo una delle ipotesi, proprio perché era riu­scito a comprarsele un po' alla volta e quindi ad elevare la sua condizione sociale molta gente gli era avversa.

Un'altra ipotesi che potrebbe spiegare la sistematica campagna condotta contro Rebecca, e per conseguenza anche contro Francis, è quella della lotta per la terra che questi aveva sostenuto contro i suoi vicini, uno dei quali era un Putnam. Questa lite sfociò in una vera battaglia in mezzo ai boschi, tra parti-giani delle due parti, che si dice fosse durata ben due giorni. Quanto a Rebecca, la stima di cui godeva era così elevata, che un'accusa di stregoneria — e addirit­tura che degli uomini abbiano potuto metterle le mani addosso — può essere spiegato soltanto esaminando i problemi della ripartizione della proprietà in quell'epoca.

Come abbiamo detto, il candidato di Thomas Putnam a parroco di Salem era stato Bayley. La famiglia Nurse si era a suo tempo schierata nel gruppo avverso a Bayley. Si aggiunga che alcune famiglie legate ai Nurse per consanguineità o per amicizia, e le cui tenute confinavano o erano vicine a quelle dei Nurse, si erano accordate per sottrarsi all'autorità del comune di Salem e fondare il nuovo villaggio di Topsfield, fatto questo che aveva suscitato il più vivo risentimento fra i vecchi abitanti di Salem.

Che nello scandalo ci fosse la mano di Putnam, appare chiaro dal fatto che fin dall'inizio i componenti della fazione Topsfield-Nurse si tennero lontani dalla chiesa in segno di protesta e scetticismo. Edward e Jonathan Putnam fu­rono i primi a firmare la deposizione contro Rebecca; e fu la figlia di Thomas Putnam a cadere in convulsioni durante il processo e ad accusare Rebecca di averla stregata. Come non bastasse, fu la signora Putnam (che ora guarda la bambina distesa sul letto) a dichiarare che lo spirito di Rebecca l'aveva « indotta all'iniquità », accusa più vera di quanto la signora Putnam non potesse so­spettare.

Signora            (meravigliata) Cosa avete fatto?

                                    

Rebecca, pensierosa, si allontana dal letto e si siede.

                   

Parris              (meravigliato e sollevato) Come si spiega, Rebecca?

Putnam            (con ansia) Signora Nurse, perché non venite anche dalla nostra Ruth per vedere se potete svegliarla?

Rebecca           (seduta) Al momento opportuno si sveglierà. State calmi, per piacere. Ho undici figli e sono ventisei volte nonna, e ho visto tutti i bambini attraversare dei periodi di stra­nezza. Quando ci si trovano riescono a stancar perfino il Diavolo. Si sveglierà quando si sarà stancata di dormire. L'anima di un bambino è proprio come un bambino; non si riesce mai ad afferrarlo se gli si corre dietro. Bi­sogna star fermi e, dopo un poco, tornerà da solo per amore.

Proctor            Sì, questo è vero, Rebecca.

Signora            Non è questione di periodo di stranezza, Rebecca. La mia Ruth è svanita. E non vuol mangiare.

Rebecca           Forse non ha fame. (A Parris) Spero che non abbiate intenzione di andare in cerca di spiriti maligni, signor Parris. In giro, se ne sente parlare.

Parris              Nella parrocchia si è diffusa l'opinione che tra noi si na-sconda il Diavolo. Io vorrei convincerli che si sbagliano.

Proctor            Allora, uscite e dite loro che si sbagliano. Avete consul­tato gli amministratori della parrocchia prima di man­dare a chiamare quel sacerdote perché venga a dar la caccia ai Diavoli?

Parris              Non viene a dare la caccia ai Diavoli!

Proctor            E allora, perché viene?

Putnam            Perché nel villaggio ci sono dei bambini che muoiono, signore!

Proctor            Io non ho visto nessun moribondo. La congregazione non esiste solo per fare il vostro comodo, signor Putnam. (A Parris) Avete convocato una riunione prima di...?

Putnam            Ne ho abbastanza di riunioni. Non si può fare un passo senza dover convocare una riunione?

Proctor            Un passo sì, purché non sia in direzione dell'Inferno! Rebecca   Vi prego, John, calma.

Pausa. Proctor s'inchina con deferenza.

Sentite, reverendo Parris, io credo sia meglio rimandare a casa sua il signor Hale appena arriva, o avremo nuovi contrasti in seno alla congregazione mentre avevamo tutti sperato in un po' di pace per quest'anno. Io penso che dobbiamo avere fiducia nel medico. E nella preghiera.

Signora            Rebecca, ma anche il medico ha dei dubbi!

Rebecca           Quando è così, rivolgiamoci a Dio perché ci indichi Lui la giusta via. È troppo pericoloso mettersi a caccia di spi­riti. Ho paura, capite? Ho paura. Prendiamoci le nostre colpe.

Putnam            Perché dovremmo addossarci delle colpe?  Io vengo da una famiglia di nove figli. Il seme dei Putnam ha popolato la provincia. Eppure, mi resta una sola figlia — su otto... e adesso anche lei se ne va.   

Rebecca           Non so spiegarmelo.

Signora            (con crescente sarcasmo) Ma io voglio spiegarmelo! Pen­sate che sia la volontà di Dio se voi non avete perduto uno solo dei vostri figli, neppure un nipote, mentre a me sono morti tutti tranne uno? Ci sono dunque due pesi e due misure? O misteri così profondi e terribili...

Putnam            (a Parris) Appena il reverendo Hale sarà qui procede­remo subito alla ricerca di indizi di stregoneria.

Proctor            (a Putnam) Non avete nessun diritto di dar ordini al signor Parris. Nella nostra congregazione si vota per ap-pello nominale, e non in ragione degli acri di terra che uno possiede.

Putnam            Non vi ho mai sentito tanto preoccupato per la nostra congregazione, signor Proctor. E si che credo di non avervi visto in chiesa dall'ultima volta che ha nevicato.

Proctor            Ho già abbastanza guai per potermi permettere il lusso di fare cinque miglia solo per sentir predicare di fuoco dell'inferno e di dannazione eterna. Ve lo dico sincera­mente, signor Parris: ci sono molti altri oltre me che in questi ultimi tempi non hanno frequentato la chiesa per­ché voi non vi nominate quasi più il nome di Dio.

Parris              (colpito) Questa è un'accusa grave!

Rebecca           È abbastanza vero. Molti esitano a portarvi i loro bambini...

Parris              Io non predico per i bambini, Rebecca. Del resto, non sono i bambini che trascurano i loro obblighi verso questo ministero.

Rebecca           Pensate davvero che ci siano delle persone che trascurano...?

Parris              Sì; direi più della metà del villaggio di Salem...

Putnam            Molto di più, di più, di più!              

Parris              Dov'è la mia legna? Nel mio contratto è stabilito che mi si deve fornire legna a sufficienza. Da novembre aspetto la consegna di un solo fastello. Ho dovuto esibire le mie mani piene di geloni come un mendicante di Londra!

Giles                Avete diritto a un'indennità di sei sterline all'anno per comprarvi la vostra legna, signor Parris.

Parris              Quelle sei sterline fanno parte del mio stipendio. È già così poco quello che mi pagate senza ch'io spenda sei sterline per la legna da ardere.

Proctor            Sessanta più sei per la legna.

Parris              Lo stipendio è di sessantasei sterline, signor Proctor. Non sono uno di quei predicatori ambulanti che vanno in giro col libro sotto il braccio. Sono un laureato del Collegio di Harvard.

Giles                Sì, e ben ferrato in aritmetica!

Parris              Signor Corey, ne dovreste fare di strada prima di trovare un altro uomo come me a sessanta sterline all'anno. Non sono abituato a vivere di stenti. Per poter servire il Si­gnore ho abbandonato un fiorente commercio nelle Barbados. Io non riesco a capire perché debba essere così malvisto qui. Qualunque proposta io faccia, solleva un putiferio di discussioni. Mi sono spesso domandato se non ci sia di mezzo lo zampino del Diavolo; altrimenti non riesco proprio a spiegarmi il vostro contegno.

Proctor            Signor Parris, siete il primo parroco che abbia richiesto la dotazione documentata di questa casa...

Parris              Non vi sembra che un sacerdote abbia diritto ad una casa per abitarvi?

Proctor            Per abitarvi, sì. Ma pretendere i documenti di proprietà è come pretendere lo stesso diritto sulla chiesa. Nell'ul­timo sermone che vi ho sentito fare avete parlato tanto a lungo di ipoteche e di proprietà che sembrava di assistere a un'asta.

Parris              Voglio una prova di fiducia, ecco tutto! Sono il terzo pre­dicatore che avete avuto in sette anni. Io non intendo essere cacciato via come un cane per il capriccio di una maggioranza occasionale. Sembra non vogliate capire che un ministro rappresenta il Signore nella parrocchia. È intollerabile che con tanta leggerezza un sacerdote venga contrariato e contraddetto...

Putnam            Già!                                                                                  

Parris              O si obbedisce, o la chiesa brucia come l'Inferno!

Proctor            Non siete capace di parlare un solo minuto senza nomi­nare l'Inferno. Sono stufo dell'Inferno!

Parris              Non sta a voi decidere quello che vi piacerebbe sentire!

Proctor            Credo però di avere il diritto di parlare a cuore aperto.

Parris              (furioso) Ah, sì? siamo dunque diventati Quaccheri? No. Qui non siamo ancora Quaccheri, signor Proctor. E potete informarne i vostri seguaci.

Proctor            I miei seguaci?                                                                 

Parris              (vuotando il sacco) C'è una fazione in seno alla chiesa. Non sono cieco; esiste una fazione, un vero partito.

Proctor            Contro di voi?                                                                

Putnam            Contro di lui e contro l'autorità costituita!                      

Proctor            Ah sì?... allora voglio proprio trovarlo questo partito e iscrivermi subito.                                                     

Tutti inorridiscono.

Rebecca           Non dice sul serio.

Putnam            Lo ha dichiarato ora!                                                      

Proctor            Lo dico con la massima serietà, Rebecca! Non mi piace l'odore di questa «autorità».

Rebecca           Ma non potete mancare di carità verso il vostro ministro. Siete di tutt'altra natura, John. Stringetegli la mano, fate la pace.

Proctor            Ho ancora da seminare, e la legna da trasportare in casa. (S'avvia indignato verso la porta e si rivolge a Giles con un sorriso) Che ne dite, Giles? Andiamo in cerca di que­sto partito? visto che esiste un partito?

Giles                Io dico: perché tante liti fra noi in tutti questi anni? (A tutti) Rifletteteci. Perché ci trasciniamo in tribunale gli uni con gli altri? Rifletteteci bene... È un mistero oscuro come un pozzo. Quest'anno, io sono finito in tribunale per ben sei volte...

Proctor            (con familiarità e affetto, pur sapendo che sta per stuzzi-care il vecchio Giles) È forse colpa del Diavolo se non vi si può salutare senza che voi sporgiate querela per diffa-mazione? Siete vecchio Giles, e non ci sentite più bene come una volta.

Giles                (non sopporta di essere contrariato) John Proctor, solo un mese fa ho avuto quattro sterline di risarcimento per danni alla mia reputazione, dopo che voi mi avevate ac­cusato pubblicamente di aver appiccato il fuoco al tetto di casa vostra, ed io...

Proctor            (ridendo) Non avevo mai detto una cosa simile, ma vi ho pagato lo stesso, per questo spero di potervi dire che siete sordo senza più rimetterci di tasca mia. Andiamo, Giles, venite ad aiutarmi a trasportare la legna in casa.

Putnam            Un momento, signor Proctor. Posso chiedervi di quale legna si tratta?

Proctor            Della mia legna tagliata nel mio bosco lungo il fiume.

Putnam            Ma siete impazziti tutti quest'anno? Questa è anarchia! Quel bosco è dentro i miei confini, i miei confini, signor Proctor.

Proctor            I vostri confini? (Indicando Rebecca) Ma se ho com­prato quel terreno cinque mesi fa dal marito della signora Nurse!

Putnam            Che non aveva nessun diritto di venderlo. È detto chiaro e tondo nel testamento di mio nonno che tutto quel tratto che va dal fiume alla...

Proctor            Se posso dirvelo sinceramente, vostro nonno aveva una brutta abitudine di lasciare in eredità terre che non aveva mai possedute.

Putnam            Toccate una sola delle mie querce e farete i conti con me prima di poterla portare in casa!

Giles                Bene, Putnam, e vinceremo noi... io e questo pazzo qui. Andiamo! (Si volta verso Proctor e si avvia alla porta).

Putnam            Vi farò cacciare dai miei uomini, Corey! Vi trascinerò in tribunale!

Entra il reverendo John Hale, parroco del villaggio di Beverly.

Hale ha quasi quarant'anni. È un intellettuale, con gli occhi vivaci e il volto scarno. Inviato per un'indagine sulla stregoneria, egli si comporta con l'orgoglio dello specialista le cui qualità eccezionali vengono finalmente riconosciute e sfruttate. Come quasi tutti gli studiosi Hale dedicava la maggior parte del suo tempo a meditare sul mondo invisibile, soprattutto da quando, non molto tempo prima, aveva avuto occasione di affrontare una strega nella sua parrocchia. In realtà, sottoposta al suo esame rigoroso, questa donna era risultata semplicemente una seccatrice. Quanto alla bambina che, stando all'accusa era stata da lei stre­gata, riacquistò il suo aspetto normale dopo che Hale l'ebbe ospitata per qualche giorno nella propria casa, in un'atmosfera di riposo e di serenità. Purtuttavia, quell'esperienza non era valsa a suscitare dubbi sulla realtà dell'In­ferno o sull'esistenza dei multiformi luogotenenti di Lucifero. Questa sua fede non implica alcun discredito per lui, giacché vi furono, e vi sono tuttora, ingegni di molto superiori al suo, convinti che esista oltre i confini della nostra com­prensione un mondo popolato di spiriti. Non si può fare a meno di rilevare come nel pubblico che fino ad oggi ha assistito allo spettacolo non c'è stato nessuno che abbia riso alla battuta di Hale: « Non è il caso di parlare di superstizione, qui. Il Diavolo è un'entità reale... » Evidentemente ancor oggi riteniamo che il culto del Diavolo sia cosa soprannaturale che non può essere derisa. E non è un puro caso che ne restiamo cosi perplessi.

Anche noi — come Hale e gli altri personaggi in questo dramma — vediamo il Diavolo come un elemento indispensabile per una visione seria della cosmo­logia. Il nostro è un mondo diviso, dove certe idee e certe azioni ed emozioni appartengono a Dio, e i loro opposti a Lucifero. Alla maggior parte degli uo­mini è impossibile concepire una moralità senza peccato come una terra senza « cielo ».

Dal 1692 in poi, un notevole, sebbene superficiale, mutamento ha fatto sparire la barba di Dio e il piede forcuto del Diavolo; ma il mondo si trova ancora nella morsa di due assoluti, diametralmente opposti. Il concetto dell'unità, in cui il polo positivo e il negativo costituiscono gli attributi di un'unica forza, in cui il bene e il male sono entità relative, costantemente mutevoli e sempre dipen­denti dallo stesso fenomeno, è tuttora riservato alle scienze fisiche e a quei pochi che abbiano compreso la storia del pensiero. Se si pensa che fino all'èra cristiana il mondo sotterraneo non era stato considerato un luogo di pena, ma che tutti gli dèi erano utili ed essenzialmente amichevoli all'uomo nonostante qualche occasionale incoerenza, ci renderemo conto che soltanto gradualmente e metodicamente è stata inculcata nel genere umano l'idea della indegnità innata dell'uomo, finché non si sia redento, e risulterà chiaro il bisogno di un Diavolo da usare come arma, un'arma atta a costringere ripetutamente, in ogni epoca, gli uomini ad arrendersi ad una determinata chiesa o stato-chiesa. La difficoltà che proviamo a credere nella « ispirazione politica » del Diavolo (non ho una definizione migliore) è dovuta in gran parte al fatto che egli viene evocato e condannato non solo dai nostri avversari sociali, ma anche dagli uomini che sono dalla nostra parte, qualunque essa sia. Durante l'Inquisizione la Chiesa Cattolica s'adoprò a coltivare Lucifero come arcidemonio, ma i ne­mici della Chiesa, non meno di lei, si servirono del Vecchio Forcuto per tener schiava la mente umana. Lo stesso Lutero fu accusato di essersi alleato con l'Inferno ed egli, a sua volta, lanciò quella stessa accusa contro i suoi nemici. Per complicare le cose ancora di più, Lutero credette di aver avuto contatti con il Diavolo e di aver disputato con lui sulle questioni teologiche. Ciò non mi sorprende, giacché alla mia università un professore di storia — luterano — so­leva riunire i suoi studenti in un'aula, dove, a tende chiuse, egli comunicava con Erasmo. Per quanto io sappia, quel professore non fu mai ufficialmente ripreso, per questo suo comportamento. I dirigenti dell'università — come gran parte di noi — sono figli di una storia che succhia ancora il latte ai capezzoli del Diavolo. Oggigiorno soltanto l'Inghilterra è riuscita a resistere alla tentazione del diabo-lismo contemporaneo. Nei paesi di ideologia comunista, qualsiasi opposizione viene sempre accusata di aver legami con i capitalisti, esseri maligni. Negli Stati Uniti un cittadino che non si dimostri reazionario è esposto all'accusa di com­plicità con l'Inferno Rosso. Cosi si da all'opposizione un aspetto disumano che poi serve a giustificare l'abrogazione di ogni costume normale nei rapporti ci­vili. Si pretende che un atteggiamento politico equivalga al diritto morale, e ogni critica è una malignità diabolica. Quando si traduce in atto una simile

equazione, la società diventa una congerie di complotti e controcomplotti e la funzione precipua di un governo, da quella di arbitro, si trasforma in quella di flagello di Dio.

I risultati di questo processo, oggi, non sono molto dissimili da quelli del pas­sato, se si fa eccezione talvolta per il grado di crudeltà impiegato, che del resto non è sempre tanto dissimile. Normalmente, la società si contentava di giudicare l'operato e le azioni di un uomo. I motivi reconditi di un'azione erano conside­rati competenza di pastori, preti e rabbini. Quando si incomincia a parlare di diabolismo, però, le azioni costituiscono la manifestazione meno importante della vera natura dell'uomo. Il Diavolo, come diceva il reverendo Hale, è furbo, e fino ad un'ora prima della sua caduta persino Dio lo reputava bello in Paradiso. L'analogia può sembrare debole, quando si consideri che mentre allora le stre­ghe non esistevano, oggi invece esistono comunisti e capitalisti, e che in entrambi i campi si hanno prove certe che spie avversarie sono all'opera per minare l'or­dinamento avversario. Ma questa è un'obbiezione grossolana, e per nulla giusti­ficata dai fatti. Non dubito che a Salem esistessero delle persone che comunica­vano con il Diavolo e che lo adoravano perfino; e se potessimo sapere l'intera verità su questa vicenda, come si è potuto saperla in altri casi, scopriremmo che venivano praticati regolari riti di propiziazione dello spirito degli abissi. È una prova di questo la confessione di Tituba, la schiava del reverendo Parris; e un'al­tra, il comportamento delle ragazze che avevano partecipato con lei a pratiche di stregoneria.

Vi è notizia di identici convegni in Europa dove le ragazze delle città si riu­nivano la notte, e, servendosi talvolta di feticci, talaltra di un giovane ben scelto, si davano a pratiche amorose che a volte davano come risultato una progenie bastarda. La Chiesa, sempre vigile com'è suo dovere quando vede che gli dèi da molto tempo morti risorgono, condannò queste orge come stregonerie, e le interpretò, giustamente, come una risurrezione delle forze dionisiache ch'essa aveva schiacciato tanto tempo prima. Sessualità, peccato e Diavolo furono ben presto legati in un mazzo, cosi lo erano a Salem, e cosi continuano a esserlo an­che oggi. Da quanto si dice, non esisterebbe al mondo moralità pili puritana di quella che i comunisti hanno imposto in Russia; la moda femminile, a esem­pio, è ispirata a tale pudore che sarebbe accettabile da qualunque americano di fede battista. Le disposizioni sul divorzio attribuiscono al padre enormi responsa­bilità per la cura della prole. La mancanza di severità nell'applicazione di queste leggi negli anni che seguirono la rivoluzione, rappresentava indubbiamente una reazione contro il concetto dell'indissolubilità del matrimonio del vittorianesimo ottocentesco e contro l'ipocrisia che n'era risultata. Comunque sia, uno stato cosi forte e così geloso dell'uniformità dei suoi cittadini non poteva tolle­rare a lungo la disgregazione della famiglia. Eppure, almeno agli occhi degli americani, rimane la convinzione che in Russia la donna è oggetto di lascivia. Insomma, il Diavolo è di nuovo al lavoro, e lavora anche sullo slavo che prova disgusto alla sola idea di una donna che si esibisce nello « spogliarello » in una volgare rivista di varietà. I nostri avversari vengono avvolti sempre nel peccato sessuale, ed è da questa convinzione inconscia che il culto del demonio acquista non soltanto la sua affascinante sensualità ma anche la sua capacità di indignare e spaventare.

Entrando ora a Salem, il reverendo Hale si sente un po' come il giovane me­dico chiamato per la prima visita. Il suo armamentario di sintomi, di frasi fatte, e di procedure diagnostiche, acquisito con tanta dura fatica, sta per essere finalmente messo alla prova. La strada da Beverly era insolitamente movimen­tata quella mattina e il reverendo Hale ha udito centinaia di commenti che lo hanno fatto sorridere dell'ignoranza dei contadini nei riguardi di una scienza cosi precisa. Il reverendo Hale si sente simile ai migliori ingegni d'Europa: sovrani, filosofi, scienziati ed ecclesiastici di tutte le chiese. La sua mèta è la luce della verità e la difesa del bene, ed egli prova l'esaltazione del beato la cui intelligenza, raffinata dall'esame minuzioso di enormi trattati, è stata chiamata finalmente ad affrontare una situazione che forse provocherà una lotta a sangue con la Brutta Bestia in persona.

Hale                (porta cinque o sei pesanti volumi) Prego, qualcuno... prenda questi.

Parris              (contento) Signor Hale! Che piacere rivedervi! (Prende qualche libro) Oh, sono pesanti!

Hale                (posando i libri)   Naturale. È il peso dell'autorità. Parris   (un po' spaventato) Siete venuto ben preparato!

Hale                Avremo bisogno di uno studio profondo se c'è da scovare il Vecchio maligno. (Scorgendo Rebecca) Rebecca Nurse?

Rebecca           Sì, signore. Mi conoscete?

Hale                È strano come ho potuto riconoscervi subito. Suppongo sia perché avete l'aspetto che si addice a un'anima gene­rosa. A Beverly abbiamo tutti sentito parlare delle vostre grandi opere di carità.

Parris              Conoscete questo signore? È Thomas Putnam. E sua moglie, la brava signora Ann.

Hale                Putnam! Non mi aspettavo di trovarmi in così eletta com-pagnia, signore.

Putnam            (compiaciuto) Non sembra che ciò abbia molto peso qui oggi, signor Hale. Noi speriamo che possiate venire a casa nostra per guarire la nostra bambina.                      

Hale                Anche vostra figlia è sofferente?                         

Signora            Si direbbe che la sua anima sia volata via. La bambina dorme, eppure cammina...

Putnam            E non mangia.                                                                    

Hale                Non mangia? (Riflette. Poi rivolgendosi a Proctor e Giles Corey) Anche voi avete dei figli ammalati?                      

Parris              No, no, questi sono contadini. John Proctor... Giles   Lui non crede alle streghe.

Proctor            (a Hale) Non ho mai parlato di streghe né in un modo né nell'altro. Venite, Giles?

Giles                No... no, John, credo di no. Ho qualche domanda da rivolgere a questo signore.

Proctor            Ho sentito dire che siete un uomo pieno di  buon senso, signor Hale. Spero che avrete la generosità  di lasciarne un po' a Salem. (Esce).

Per un istante Hale resta impacciato.

                   

Parris              (subito) Volete visitare la mia bambina, reverendo? (Ac­compagna Hale vicino al letto) Ha tentato di buttarsi dalla finestra. Stamattina l'abbiamo trovata sulla strada maestra che agitava le braccia come se volesse volare.

Hale                (aggrottando le sopracciglia) Cerca di volare?

Putnam            E non  sopporta di  sentire il  nome del  Signore,  reve­rendo. Questo è segno sicuro di stregoneria.

Hale                (alzando le mani) No, no. Ora lasciate che vi spieghi. Non bisogna lasciarsi sviare dalla superstizione. Il Dia­volo è inequivocabile; i segni della sua presenza sono concreti, come la pietra, e devo avvertirvi che mi rifiuterò di agire se non siete disposti ad accettare il mio giudizio anche nel caso in cui io non trovassi sulla ragazza nessun indizio del marchio dell'Inferno.

Parris              D'accordo, signore... siamo tutti d'accordo... accetteremo il vostro giudizio.

Hale                Intesi. (Si avvicina al letto e osserva Betty. Poi a Parris) Dunque, reverendo, qual è il primo sintomo che avete notato di queste stravaganze?

Parris              Ecco signore... io l'ho sorpresa... con mia nipote (indi­cando Abigail) e una decina di altre ragazze, a ballare nella foresta, la notte scorsa.

Hale                (sorpreso) Voi permettete il ballo? Parris   No, no, lo facevano di nascosto...

Signora            (impaziente) La schiava del signor Parris è pratica di fatture, signore.

Parris              (alla signora Putnam) Non possiamo esserne certi, si­gnora Ann...

Signora            (intimorita, sommessamente) Lo so io, signore. Ho man-dato la mia bambina... perché si facesse dire da Tituba chi è stato a uccidere le sue sorelline.

Rebecca           (inorridita) Signora Ann! Avete mandato una bambina a evocare i morti?

Signora            Lasciate che sia Dio a giudicarmi, non voi, Rebecca, non voi! Non permetterò più che voi mi giudichiate! (A Hale) È forse naturale perdere sette figli prima che ab­biano vissuto un solo giorno?

Parris              Ssst!                                                                      

Rebecca, con profonda pena, volta la testa. Pausa.

Hale                Sette. Morti appena nati?                                   

Signora            (sottovoce) Sì. (La sua voce si spezza; rivolge lo sguardo a Hale. Silenzio).                 

Hale è impressionato. Parris lo guarda. Hale si accinge a consultare i suoi libri; ne apre uno, volta le pagine, poi legge. Tutti attendono, avidamente.

                                                          

Parris              (sommessamente) Che libro è? Signora   Ci trovate qualche cosa, signore?

Hale                (con aria compiaciuta per la propria attività intellettuale) Qui c'è raccolto tutto il mondo invisibile: studiato, cal­colato e definito. Da questi libri il Diavolo esce spogliato di tutti i suoi travestimenti. Qui dentro ci sono catalogati tutti gli spiriti che conoscete, la causa dei vostri incubi e delle vostre debolezze; ci sono le streghe che strisciano sulla terra, e vanno per aria e per mare, gli stregoni della notte e quelli del giorno. Ma non dovete aver più paura... Se un demonio si è nascosto in mezzo a noi lo scoveremo. E io lo schiaccerò, annientandolo non appena avrà mo­strato la sua grinta. (Si avvia verso il letto).

Rebecca           La bambina soffrirà, signore?

Hale                Non lo so. Se è veramente in potere del Diavolo, sarà forse necessario squartare ed estirpare per liberarla.

Rebecca           Allora io me ne vado. Sono troppo vecchia per assistere a cose simili. (Si alza).

Parris              (cercando di convincerla) Ma Rebecca, oggi forse riusci­remo a eliminare finalmente la causa di tutti i nostri mali.

Rebecca           Lo spero. E pregherò Dio per voi, signore.

Parris              (turbato e risentito) Spero non vorrete insinuare che qui ci si voglia rivolgere a Satana!

Rebecca           (una breve pausa) Chi lo sa? (Esce).                            

Gli altri si risentono del suo tono di superiorità morale.

Putnam           (bruscamente) Su, signor Hale, procediamo. Sedetevi qui.

Giles                Signor Hale, signor Hale, c'è una domanda che ho sempre desiderato rivolgere ad un uomo istruito. Che cosa vuol dire quando si leggono dei libri?

Hale                Che libri?

Giles                Non saprei. Perché li nasconde.

Hale                Chi li nasconde?

Giles                Martha, mia moglie. Molte volte quando mi sveglio la notte la trovo in un angolo a leggere un libro. Che cosa ne pensate?

Hale                Non è detto che...

Giles                La cosa mi turba! Ieri sera... badate... ho provato, ho pro­vato e non sono riuscito a dire le mie preghiere. Poi mia moglie chiude il libro e va fuori di casa, e subito... ba­date!... io riesco a pregare!

Bisognerà pur dire una parola sul conto del vecchio Giles, se non altro perché la sua sorte è stata molto diversa da quella degli altri. Egli aveva pili di ottanta anni, e nella realtà, di tutti i personaggi egli fu il più comico. Nessuno fu tenuto responsabile infatti di tante colpe. Se mancava una mucca, il primo pensiero di tutti era di andare a cercarla nelle vicinanze della casa di Giles Corey; se di notte scoppiava un incendio, il sospetto di incendio doloso cadeva sopra di lui. Giles si infischiava dell'opinione pubblica, e soltanto negli ultimi anni — dopo aver sposato Martha — prese a frequentare un po' la chiesa. Che Martha gli impedisse di pregare è anche probabile, ma Giles dimenticò di dire che egli aveva imparato soltanto di recente qualche preghiera; e non ci voleva molto a giocarlo sulle parole. Sebbene il vecchietto fosse un tipo capriccioso e scocciante, era ingenuo e coraggioso. Una volta, in tribunale, gli fu chiesto se era vero ch'egli era stato spaventato dallo strano comportamento di un maiale, e avesse poi dichiarato di essere sicuro che si trattava del Diavolo. « Che cosa vi fece spaventare? » gli chiesero. Giles dimenticò tutto meno che quella parola « spaventare », e replicò sull'istante: « Non credo di avere mai pronun­ciato quella parola in vita mia ».

Hale                Impedimento alla preghiera... Strano. Ne riparleremo più tardi.

Giles                Ora, non voglio dire che mia moglie abbia rapporti col Diavolo, ma mi piacerebbe proprio di sapere che libri legge perché poi li nasconde. Mia moglie non vuole dirmelo.

Hale                Va bene, ne riparleremo. (A tutti) Ora statemi a sentire. Se il Diavolo si è impossessato di lei, assisterete, in questa camera, a cose terrificanti, perciò vi prego di stare attenti. Signor Putnam, state pronto lì vicino per il caso in cui si mettesse a volare. Adesso Betty, cara, vuoi tirarti su?

Putnam si avvicina, pronto a tutto. Hale solleva Betty a sedere, ma lei si affloscia, inerte, tra le sue braccia.

Hmmmm. (L'osserva attentamente).                    

Gli altri guardano, quasi senza fiatare.

Mi senti? Sono John Hale, il pastore di Beverly. Sono venuto per aiutarti, cara. Ti ricordi delle mie due bambine a Beverly?

Betty non si muove.

Parris              (in preda allo spavento) Ma perché dovrebbe essere il Diavolo? Perché avrebbe scelto proprio la mia casa per manifestarsi... quando c'è tanta gente dissoluta nel paese?

Hale                Che vittoria sarebbe per il Diavolo conquistare un'anima già perduta? Il Diavolo vuole sempre conquistare il mi­gliore. E chi può essere considerato migliore del Sacerdote?

Giles                Questo è profondo, signor Parris, profondo, profondo! Parris   (ora risoluto) Betty! Rispondi al signor Hale! Betty!

Hale                C'è qualcuno che ti perseguita, bambina? Può anche non essere una donna o un uomo. Magari è un animale che ti viene vicino restando invisibile agli altri... forse un maiale, un topo, o qualunque altro animale. Senti la pre­senza di qualcuno che ti ordina di volare?

La fanciulla resta inerte nelle sue mani.

(Silenziosamente la riappoggia sul guanciale. Ora, stendendo le mani verso Betty, intonò) In nomine Domini Sabaoth sui filiique ite ad infernos.

Betty non si muove.

(Socchiudendo gli occhi, lui si rivolge ad Abigail) Abi-gail, che genere di balli facevi con lei nella foresta?

Abigail             Mah!... un ballo qualunque...

Parris              Credo di avere il dovere di dire che sull'erba del prato dove le ragazze ballavano, ho veduto una pentola.

Abigail             C'era la minestra...

Hale                Che genere di minestra c'era in quella pentola, Abigail?

Abigail             Minestra di fagioli, di lenticchie, mi sembra, e...

Hale                Signor Parris, non avete notato, per caso, qualche cosa di vivo nella pentola? Un topo, un ragno, o una rana?...

Parris              (spaventato) Credo... di aver notato qualcosa che si muo­veva nella minestra.

Abigail             È saltata dentro da sola, non ce l'abbiamo messa noi.

Hale                (subito) Che cosa è saltato dentro?

Abigail             Una piccola rana...

Parris              Una rana? Abby!

Hale                (afferrando Abigail) Abigail, tua cugina sta forse per mo­rire. Avete evocato il Diavolo ieri sera?

Abigail             Io no! Tituba, Tituba...

Parris              (impallidendo) Ha evocato il Diavolo?

Hale                Vorrei parlare con Tituba.

Parris              Signora Ann, volete condurla su?

La signora Putnam esce.                      

Hale                Come ha fatto a chiamarlo?   

Abigail             Non lo so... parlava in dialetto delle Barbados.              

Hale                Non hai sentito nulla di strano quando lo ha evocato? Un improvviso vento freddo, la terra che tremava sotto i piedi?

Abigail             Non ho visto nessun diavolo! (Scuotendo Betty) Betty, svegliati! Betty! Betty!

Hale                Non devi cercare di sfuggirmi, Abigail. Tua cugina ha forse bevuto un po' del brodo che era in quella pentola?

Abigail             No.                                                                                  

Hale                E tu, ne hai bevuto?                                                     

Abigail             No signore!

Hale                Ma Tituba ti ha chiesto di berne?                                  

Abigail             Ha tentato, ma io non ho voluto.                                  

Hale                Perché cerchi di imbrogliarmi? Ti sei venduta a Luci­fero?                                                                                  

Abigail             No, no! Sono una brava ragazza!  Sono una ragazza onesta!

Entra la signora  Putnam con Tituba, e subito Abigail punta il dito accusatore verso Tituba.

È stata lei a farmelo fare! E anche a Betty!

Tituba              (meravigliata, indignata) Abby!          

Abigail             Mi ha obbligato a bere il sangue!      

Parris              Sangue!!                                               

Signora            Il sangue delle mie bambine?                                

Tituba              No, no, sangue di gallina. Le ho fatto bere del sangue di gallina!

Hale                Donna! Hai messo queste ragazze al servizio del Dia­volo?      

Tituba              No, no, signore. Io non traffico con nessun diavolo!

Hale                E allora perché non si sveglia? Sei tu che la costringi a dormire?

Tituba              Io voglio bene alla mia Betty!

Hale                Tu hai fatto una fattura a questa bambina, vero? Stai reclutando anime per il Diavolo!? È vero?

Abigail             Mi ha fatto una fattura in chiesa. Mi fa ridere durante le preghiere!

Parris              Difatti, l'ho vista ridere spesso durante le preghiere!

Abigail             Viene a prendermi tutte le notti per portarmi a bere del sangue!

Tituba              Me lo hai chiesto tu! È stata lei a supplicarmi di fare una fattura...

Abigail             Bugiarda. (A Hale) Viene da me quando dormo. Mi fa sognare cose oscene!

Tituba              Ma che cosa dici, Abby?

Abigail             Mi sveglio e sono in piedi davanti alla porta aperta, e senza  niente  addosso.  La  sento  sempre  ridere  mentre dormo. La sento cantare le sue canzoni delle Barbados, e mi tenta con...                                 

Tituba              Signor reverendo, non ho mai...    

Hale                (con risolutezza) Tituba, ti ordino di svegliare questa bambina.                                                        

Tituba              Non ho nessun potere sulla bambina, reverendo.

Hale                Sì che lo hai, e devi liberarla! Quando hai firmato il patto col Diavolo?

Tituba              Mai, mai, mai.

Parris              Tituba, confessa, o io ti porto fuori e ti frusto fino a farti morire.                                                                

Putnam            Questa donna deve essere impiccata. Dev'essere presa e impiccata!

Tituba              (terrorizzata, cade in ginocchio) No, no, non impiccate Tituba! Gli dirò che non voglio più lavorare per lui, si­gnore.

Parris              Il Diavolo?                                                                      

Hale                Allora l'hai visto.                                                           

Tituba piange.

Senti Tituba, io so che quando ci si è legati con l'Inferno è molto difficile liberarsene. Ma noi ti aiuteremo a tornare libera...

Tituba              (spaventata da quello che sta per avvenire) Signor reve­rendo, io credo che ci sono altre persone che stregano queste bambine.

Hale                Chi?                               

Tituba              Non lo so, signore, ma il Diavolo si serve di molte streghe.

Hale                Davvero? (Intravede uno spiraglio) Tituba, guardami negli occhi. Avvicinati e guardami negli occhi.

Tituba leva gli occhi, impaurita.

Tu vuoi essere una onesta cristiana, non è vero, Tituba?

Tituba              Sì, signore, una onestissima cristiana.

Hale                E vuoi bene a queste bambine?                                        

Tituba              Oh sì, signore, non voglio far del male alle bambine.

Hale                E ami Dio, Tituba?

Tituba              Amo Dio con tutta l'anima.                                              

Hale                Allora, nel Santo Nome di Dio...                                     

Tituba               Sia benedetto. Sia benedetto. (Si dondola sulle ginocchia mentre piange, in preda al terrore).                                

Hale                E alla sua Gloria...

Tituba              Gloria eterna. Sia benedetto. Sia benedetto!...

Hale                Confessati, Tituba, lascia che la luce benedetta del Si­gnore ti illumini.

Tituba              Oh! Sia benedetto il Signore.

Hale                Quando il Diavolo viene da te, viene... con qualche altra persona?

Tituba lo guarda fisso.

Forse con qualcuno del paese? Qualcuno che tu conosci?

Parris              Con chi viene?

Putnam            Con Sarah Good? Lo hai mai visto con Sarah Good? O con la Osburn?

Parris              Chi c'è con lui? Uomo o donna?

Tituba              Uomo o donna. È... è donna.

Parris              Chi è? Hai detto donna, chi è?

Tituba              È molto buio, e io...

Parris              Se puoi vedere lui, perché non puoi vedere anche lei?

Tituba              Ecco:  parlano sempre, e corrono di qua e di là, e si danno un gran da fare...

Parris              Ma sono di Salem? Streghe di Salem?

Tituba              Credo: sì, signore.

Hale la prende per la mano. Tituba è sorpresa.

Hale                Tituba, non devi aver paura di dirci chi sono, hai capito? Noi ti proteggeremo. Il Diavolo non può prevalere su un ministro di Dio. Questo lo sai, è vero?

Tituba              (gli bacia la mano) Sì, signore, oh, lo so.

Hale                Tu hai confessato il tuo peccato di stregoneria, e con questo dimostri il tuo desiderio di sposare la causa del Paradiso. Noi ti benediremo, Tituba.

Tituba              (profondamente sollevata) Oh, Dio benedica voi, signor Hale!

Hale                (con crescente esaltazione) Tu sei lo strumento che Dio ci ha messo nelle mani per scoprire gli agenti del Dia­volo che sono in mezzo a noi. Tu sei l'eletta, Tituba, sei stata scelta per aiutarci a purificare il nostro villaggio. Perciò, parla senza paura, Tituba. Volta le spalle al Diavolo e guarda verso Dio. Guarda verso Dio, Tituba, e Dio ti proteggerà.

Tituba              (unendosi a lui) Oh Dio, proteggi Tituba!

Hale                (dolcemente) Chi è venuto da te col Diavolo? Due? Tre? Quattro? Quanti?

Ansando Tituba comincia di nuovo a dondolarsi, gli occhi fissi in avanti.

Tituba              Erano quattro. Erano quattro!

Parris              (incalzando) Chi? Chi? I nomi! I nomi!

Tituba              (prorompe all'improvviso) Oh, quante volte mi ha co­mandato di uccidervi, signor Parris!

Parris              Uccidermi!

Tituba              (farneticando) Diceva:  « Il signor Parris deve essere ucciso! Il signor Parris non è uomo di buon cuore, il signor Parris è uomo cattivo e spietato » e mi comandava di alzarmi dal letto e tagliarvi la gola!

Tutti trattengono il respiro.

Ma gli ho detto: «No! Io non odio quell'uomo. Non voglio uccidere quell'uomo». Ma lui diceva: « Tu lavori per me, Tituba, e io ti darò la libertà. Ti darò un bel vestito e ti manderò su, su in cielo e potrai tornare vo­lando alle Barbados! » Io gli dicevo: « Non è vero, Diavolo, non è vero! » Ma poi, lui viene in una notte di tempesta e mi dice: « Guarda! Ho anche gente bianca che lavora per me ». Ho guardato... e lì c'era la signora Good.

Parris              Sarah Good!

Tituba              (dondolandosi  e piangendo)  Sì,   signore,  e la  signora Osburn.

Signora            Lo sapevo! La signora Osburn è stata la mia levatrice per ben tre volte. Ti avevo pregato, Thomas, è vero?... Io avevo pregato di non chiamare più la signora Osburn perché mi faceva paura. Le mie bambine morivan sempre nelle sue mani!

Hale                Dio ti benedirà per il tuo aiuto.

Abigail             (si alza in piedi, e fissa gli occhi avanti come se fosse ispirata, e grida) Voglio confessarmi.

Tutti si voltano sorpresi.

(È estasiata, come se scendesse su di lei una luce perlacea) Voglio che la luce di Dio mi illumini, voglio l'amore di Gesù! Ho ballato per il Diavolo. L'ho visto. Ho firmato il suo libro. Voglio tornare a Gesù. Gli bacio la mano. Ho visto Sarah Good col Diavolo! Ho visto la signora Osburn col Diavolo! Ho visto Bridget Bishop col Diavolo!

Nel frattempo Betty ha incominciato ad alzarsi dal letto. Ha la febbre negli occhi. Si unisce alla cantilena.

Betty                (con gli occhi fissi in avanti) Ho visto George Jacobs col Diavolo! Ho visto la signora Howe col Diavolo!

Parris              Parla!  Parla! (Si slancia verso Betty per abbracciarla).

Hale                Sia gloria a Dio! L'incantesimo è sciolto, sono libere!

Betty                (gridando istericamente e con grande sollievo) Ho visto Martha Bellows col Diavolo!

Abigail             Ho visto la signora Sibber col Diavolo!

La cantilena sta culminando in un crescendo di gioia.           

Putnam            L'ufficiale giudiziario! Vado a chiamare l'ufficiale giudiziario.

Parris sta gridando ad alta voce una preghiera di ringraziamento.

Betty                Ho visto Alice Barrow col Diavolo!

Il sipario comincia a calare.

Hale                (mentre Putnam esce) Dite all'ufficiale giudiziario di por­tare qui i ferri!

Abigail             Ho visto la signora Hawkins col Diavolo!

Betty                Ho visto la signora Bibber col Diavolo!

Abigail             Ho visto la signora Booth col Diavolo!

Sulle loro grida estatiche cala il sipario.

Atto secondo

La stanza al pianterreno della casa di Proctor, otto giorni dopo.

A destra una porta che si apre sui campi... A sinistra, un focolare, e dietro una scala che conduce al piano superiore. È la tipica stanza di soggiorno dell'epoca... bassa, buia, e piuttosto lunga. Quando si apre il sipario, la scena è vuota. Dal piano di sopra viene la voce di Eli-zabeth che canta dolcemente ai bambini. La porta ora si apre ed entra John Proctor, col fucile in spalla. Proctor guarda intorno mentre si avvicina al focolare; poi si ferma un istante sentendo cantare sua moglie.

Di nuovo si avvia verso il focolare, appoggia il fucile contro il muro, poi dal fuoco tira a sé la catena alla quale è appeso un caldaio. Odora il contenuto, tira fuori il mestolo e assaggia. Non è completamente sod­disfatto: prende nella madia un pizzico di sale e lo butta nel caldaio. Mentre Proctor riassaggia, si sentono i passi di sua moglie sulle scale. Proctor respinge il caldaio sul fuoco e va alla catinella a lavarsi le mani e la faccia. Entra Elizabeth.

Elizabeth         Perché così tardi? È quasi buio.

Proctor            Sono stato a seminare lontano. Ho seminato lontano da qui, al confine del bosco.

Elizabeth         Oh, allora hai finito.         

Proctor            La semina è finita. I ragazzi dormono?     

Elizabeth         Dormiranno fra poco. (Va al focolare e con il mestolo serve lo stufato in un piatto).                     

Proctor            Adesso speriamo in una buona estate.

Elizabeth         Sì.                                                       

Proctor            Come ti senti, oggi?

Elizabeth         Bene. (Porta il piatto sulla tavola, e accenna al cibo) È coniglio.

Proctor            (sedendosi a tavola) Davvero! Dalla trappola di Jonathan?

Elizabeth         No. È entrato in casa nel pomeriggio. L'ho trovato accuc-ciato in un angolo come se fosse venuto a farci visita.

Proctor            È una visita di buon augurio.

Elizabeth         Speriamo. Mi ha fatto pena di doverlo scuoiare. (Si siede e lo guarda assaggiare il coniglio).

Proctor            È condito bene.

Elizabeth         (felice, arrossendo) Ho cercato di cuocerlo come meglio potevo. È tenero?

Proctor            Sì. (Mangia).

Elizabeth lo guarda.

Penso che vedremo presto i campi verdi. Sotto le zolle è caldo, come sangue.

Elizabeth         Bene.

Proctor            (mangia, poi solleva lo sguardo) Se il raccolto è buono, comprerò la giovenca di George Jacob. Ti piacerebbe?

Elizabeth         Sì.

Proctor            (con un sorriso) È per farti piacere, Elizabeth.

Elizabeth         (le è difficile ammetterlo) Lo so, John.

Proctor si alza, si avvicina, e la bacia. Elizabeth si lascia baciare. Al­quanto deluso, Proctor ritorna verso la tavola.

Proctor            (con la massima dolcezza possibile) Sidro?

Elizabeth         (con un tono di scusa per essersene dimenticata) Sì! (Si alza e va a mescergli un bicchiere).

Proctor            (si stira) Quando ti trovi a doverlo seminare passo per passo, il podere sembra grande come un continente.

Elizabeth         (portando il sidro) Lo credo.

Proctor            (beve un lungo sorso, poi mettendo giti il bicchiere) Do­vresti mettere un po' di fiori in casa.                             

Elizabeth         Non ci ho pensato. Domani.

Proctor            È ancora inverno qui dentro. Se vuoi, domenica andiamo a fare una passeggiata per il podere. Non ho mai visto tanti fiori nei campi. (Con un'espressione di benessere Proctor si ferma sulla soglia della porta a guardare il cielo) La serenella ha un profumo purpureo. Credo sia il profumo del tramonto. Il Massachusetts è splendido in primavera.

Elizabeth         Ah sì, è proprio vero.

Pausa. Seduta a tavola, Elizabeth guarda Proctor fermo sulla soglia a godersi la scena notturna. Sembra che la donna voglia parlare, ma non le riesce. Invece, prende dal tavolo il piatto, il bicchiere e la forchetta e li porta alla catinella. Volta le spalle a Proctor. Egli si gira e!a guarda.  C'è in lui la consapevolezza dell'incomunicabilità tra di loro.

Proctor            Ho l'impressione che tu sia di nuovo triste. È vero?

Elizabeth         (non vuole litigare: tuttavia non sa contenersi) Sei tor­nato così tardi. Ho pensato che tu fossi andato a Salem questo pomeriggio.

Proctor            Perché? Non ho niente da fare a Salem.

Elizabeth         L'altro giorno dicevi di volerci andare.

Proctor            (sa benissimo a che cosa ella alluda) Ci ho ripensato.

Elizabeth         Ci è andata Mary Warren oggi.

Proctor            Perché gliel'hai permesso? Sai benissimo che le avevo proibito di mettere più piede a Salem.

Elizabeth         Non ho potuto impedirglielo.

Proctor            (vincendo il desiderio che ha di sgridarla) È uno sbaglio Elizabeth, è uno sbaglio... sei tu che comandi qui, e non Mary Warren.

Elizabeth         Mi ha talmente spaventata che non ho più avuto il co­raggio...                                 

Proctor            Come hai potuto farti spaventare da quel topolino, Elizabeth. Tu...

Elizabeth         Non è più un topolino. Quando le ho detto di non an­dare, mi ha guardata dall'alto in basso come fosse la figlia di un principe, e mi ha risposto:  « Devo andare a  Salem,  signora  Proctor;  sono un funzionario  della corte! »

Proctor            Corte! Quale corte?

Elizabeth         Oh, c'è una vera corte adesso, a Salem. Sono venuti quattro giudici da Boston, me lo ha detto Mary, eminenti magistrati della Corte Generale, con a capo il vice gover­natore della Provincia.

Proctor            (stupito) Ma è impazzita!

Elizabeth         Volesse Iddio. Mi ha detto che ora ci sono quattordici persone in carcere.

Proctor la guarda,  incapace di capire quanto ci sia di vero in quelle parole.

E saranno processate, dice. E la corte ha persino il potere di farle impiccare.

Proctor            (con  derisione,  ma senza convinzione) Non  impiccheranno nessuno...

Elizabeth         John, il vice governatore ha minacciato di farle impiccare se non confesseranno. Ho l'impressione che tutti in paese siano impazziti. Mi ha parlato anche di Abigail, e a sentir lei, Abigail sarebbe diventata una santa. Abigail accom­pagna le altre ragazze in tribunale, e quando passa, la folla si apre come il mare per la gente di Israele. E gli accusati devono sfilare davanti alle ragazze. E se queste incominciano a gridare, a mugolare, e a rotolarsi per terra, la persona che ha provocato queste reazioni viene presa e buttata in carcere sotto l'accusa di averle stregate.

Proctor            (con gli occhi spalancati) È la più nera delle infamie.

Elizabeth         Io credo che tu debba andare a Salem, John.

Lui si volta verso di lei.

Devi dir loro che è tutta una frode.

Proctor            (il suo pensiero va al di là delle parole) Ah sì, lo è certamente.

Elizabeth         Perché non vai da Ezekiel Cheever... lui ti conosce bene. Digli che cosa ti ha detto Abigail la settimana scorsa nella casa di suo zio. Non ti ha detto che la stregoneria non c'entrava per niente?

Proctor            (soprappensiero) Sì, l'ha detto.

Elizabeth         (con calma, temendo di farlo arrabbiare insistendo) Dio non voglia, che tu nasconda queste cose alla corte, John. Penso che debbano esserne informati.

Proctor            (con calma, mentre lotta con i suoi pensieri) Sì, sì, è giusto. Mi meraviglio, però, che possano averle dato credito.

Elizabeth         Dovresti andare a Salem oggi stesso, John. Perché non vai stasera?

Proctor            Ci voglio pensare.

Elizabeth         (ora con più coraggio) Non puoi tacere, John.

Proctor            (indignandosi) Lo so che non posso tacere. Ho detto che ci voglio pensare.

Elizabeth         (ferita, molto freddamente) Va bene, allora pensaci. (Si alza e si avvia per uscire dalla stanza).

Proctor            Voglio semplicemente riflettere a come potrei provare quello che mi ha detto. La ragazza è ormai considerata una santa. Non sarà tanto facile dimostrare la sua mala­fede a della gente impazzita.  Quando  Abigail  mi  ha detto quello che mi ha detto, eravamo soli nella stanza, quindi non ho nessuna prova. 

Elizabeth         Eri solo con lei?

Proctor            (con ostinazione) Sì, per un momento.

Elizabeth         Allora, non è come mi avevi raccontato.

Proctor            (arrabbiandosi) È stata questione di un momento, ti dico. Gli altri sono entrati subito dopo.

Elizabeth         (con calma... ha di colpo perduto ogni fiducia in lui) Fa' come credi, allora.

Proctor            Elizabeth, (si volta verso di lei) non voglio più sentirmi sospettato.

Elizabeth         (un po' altera) Io non ti sospetto...

Proctor            Non posso tollerarlo!

Elizabeth         Allora, cerca di non comportarti in modo...

Proctor            (con veemenza) Tu dubiti ancora di me...

Elizabeth         (con un sorriso, per conservare la sua dignità) John, se non ci fosse il pericolo di nuocere ad Abigail, esiteresti? Non credo.

Proctor            Vedi... Elizabeth   Io vedo quel che vedo, John.

Proctor            (con tono di solenne avvertimento) Non permetto che tu mi giudichi, Elizabeth. Ho molte buone ragioni per riflettere prima di accusare Abigail di mistificazione, e voglio riflettere. Faresti meglio a cercare di migliorare te stessa, prima di azzardare un giudizio su tuo marito. Abigail l'ho dimenticata, e...

Elizabeth         Anch'io.

Proctor            Tu! Tu non dimentichi niente e non perdoni niente! Cerca di essere più generosa. Ho camminato in punta di piedi in questa casa per sette mesi, da quando lei se n'è andata. Non mi sono mosso da qui a li senza pensare di farti piacere, ma il tuo cuore batte ancora di rancore, lugubremente. Non posso aprir bocca che tu subito dubiti di me, pronta sempre a sorprendermi in contraddizione. Quando entro in questa casa, è come se mi presentassi davanti a un tribunale!

Elizabeth         Tu non sei sincero con me. Mi avevi detto di averla vista in mezzo a molta gente. E invece...

Proctor            Non voglio più difendere la mia onestà, Elizabeth.

Elizabeth         (ora cerca di giustificarsi) John... intendevo semplice­mente...

Proctor            Basta! Avrei dovuto mentire quando mi parlasti per la prima volta dei tuoi sospetti. Invece, mi vergognai e da buon cristiano ti confessai tutto. Confessai! Chissà che sogno avevo fatto quel giorno per indurmi a confonderti con Dio! Ma tu non sei Dio, no, non sei Dio, ricordatelo. E cerca di vedere qualche volta quello che c'è di buono in me e non pensare solo a giudicarmi!

Elizabeth         Io non ti giudico. Il magistrato che ti giudica è nel tuo cuore. Ti ho sempre reputato un uomo onesto, John... (con un sorriso) ... solo un po' smarrito.

Proctor            (ridendo con amarezza) Oh, Elizabeth, il tuo senso della giustizia farebbe congelare la birra! (Si volta improvvisa­mente sentendo un rumore all'esterno. Si avvia verso la porta proprio nel momento in cui entra Mary Warren. Appena Proctor la vede, le va incontro, l'afferra furiosamente per il mantello) Perché sei andata a Salem se te l'avevo proibito? Mi prendi in giro. (Scuotendola) Se oserai allontanarti da questa casa un'altra volta, ti frusterò!

Caso strano: Mary non offre nessuna  resistenza, ma si abbandona, inerte, nelle sue mani.

Mary                Non mi sento bene, non mi sento bene, signor Proctor. Per piacere, vi prego, non fatemi male.         

La sua stranezza, oltre alla sua debolezza e al suo pallore, lo confonde. La lascia andare.

Sono ancora tutta sconvolta! Tutto il giorno ho parteci­pato ai lavori della corte, signore.

Proctor            (incuriosito e la sua ira comincia a diminuire) E questa casa? Quando lavorerai per tenere pulita questa casa visto che ti pago nove sterline all'anno? E che mia moglie non sta bene?

Come per farsi perdonare,  Mary Warren va da Elizabeth,  portandole una piccola bambola fatta di stracci.

Mary                Vi ho preparato un regalo oggi, signora Proctor, sono stata seduta per tante ore, e ho passato il tempo a cucire.

Elizabeth         (perplessa, guardando la bambina) Grazie, che bella bambola.

Mary                (con voce tremula e debole) Dobbiamo amarci l'uno con l'altro adesso, signora Proctor.

Elizabeth         (stupita dalla sua stranezza) Sicuro.

Mary                (guardando intorno) Domattina mi alzerò presto e pulirò la casa. Adesso ho bisogno di dormire. (Si volta e fa per uscire).

Proctor            Mary.

Lei si ferma.

È vero che hanno arrestato quattordici donne?

Mary                No, signore. Trentanove. Sono trentanove, adesso. (Tutto a un tratto s'interrompe e comincia a piangere. Si siede, esausta).

Elizabeth         Ma perché? Piangi? Che cos'hai, Mary?

Mary                La signora Osburn... sarà impiccata!

Una pausa greve di stupore, mentre Mary continua a piangere.

Proctor            Impiccata! (Le grida in faccia) Hai detto... impiccata?

Mary                (piangendo) Sì.

Proctor            E il vicegovernatore lo permette?

Mary                È stato lui a condannarla. Deve! (Tentando di minimiz­zare) Ma Sarah Good l'ha scampata. Perché Sarah Good ha confessato!

Proctor            Confessato! Che cosa?

Mary                Che... (inorridita al solo pensiero) ... che lei una volta ha fatto un patto con Lucifero, e ha firmato nel suo libro nero... col sangue... e gli ha promesso di tormentare i cristiani fino alla caduta di Dio, quando dovremo tutti adorare l'Inferno, per sempre.

Pausa.

Proctor            Ma tu sai che Sarah Good è una scema. L'hai detto alla corte?

Mary                Signor Proctor, in pieno processo Sarah Good stava quasi per soffocarci tutti.

Proctor            Soffocarvi?! Come?

Mary                Ci ha mandato il suo spirito.

Elizabeth         Oh, Mary, Mary, certo tu non...

Mary                (con una punta di indignazione) Sarah Good ha tentato più di una volta di uccidermi, signora Proctor.

Elizabeth         Non te ne ho mai sentito parlare.

Mary                Perché non lo sapevo. Non sapevo niente prima. Quando lei è entrata nell'aula, mi sono detta: « Non devo accu­sare questa donna perché, poveretta, dorme all'aperto nei fossi, ed è così vecchia e povera ». Ma poi... mentre stava lì seduta e continuava a negare, io ho cominciato a sentire un freddo terribile venirmi su per la schiena; mi è venuta la pelle d'oca in testa e ho sentito una stretta in gola, da non poter più respirare. Poi... (come in trance) ...ho sentito una voce, una voce che gridava forte, ed era la mia voce... e di colpo mi sono ricordata di tutto quello che lei mi aveva fatto!

Proctor            Che cosa ti aveva fatto?

Mary                (con l'aria di chi si è trovato improvvisamente in possesso di un segreto senso dì divinazione) Tante, ma tante volte, signor Proctor, è venuta proprio qui, a questa porta, per chiedere un pezzo di pane e un bicchiere di sidro... e ba­date! tutte le volte che la cacciavo via senza darle niente, borbottava.

Elizabeth         Borbottava! Borbotta quando ha fame.

Mary                Ma che cosa borbottava? Pensateci bene, signora Proctor. Il mese scorso... un lunedì, mi pare... dopo che se n'è andata via, ho avuto per due giorni dei tali dolori come se mi bruciassero le budella. Non vi ricordate?

Elizabeth         Sì, mi pare.

Mary                E questo l'ho raccontato al giudice Hathorne, e lui le ha fatto questa domanda: «Signora Good»... dice lui... « che maledizione avete borbottato perché questa ragazza si ammalasse dopo avervi cacciata via? » E lei ha ri­sposto... (imitando la voce di una vecchietta) « Nessuna maledizione, Eccellenza. Dicevo i miei Comandamenti; avrò il diritto di dire i miei Comandamenti », ha detto.

Elizabeth         È una risposta sincera.

Mary                Già. Ma poi il giudice Hathorne ha detto: « Dite anche a noi i vostri Comandamenti! »  (Inclinandosi misteriosamente verso di loro) ...e di tutt'e dieci non ne sapeva dire neanche uno. Non li ha mai saputi i Comandamenti, così l'hanno colta in flagrante menzogna!

Proctor            E per questo l'hanno condannata?

Mary                (un po' tesa, accorgendosi degli ostinati dubbi di Proctor) Ma per forza, visto che si è condannata da sola!

Proctor            E le prove, le prove!

Mary                (perdendo ogni pazienza) Ve le ho dette le prove. Le prove sono solide, hanno detto i giudici... solide come una roccia.

Proctor            (breve  pausa,  poi)  Non andrai più alla corte, Mary Warren.

Mary                Mi dispiace di dovervi dire, signore, che dovrò andarci tutti i giorni. Non capisco come non vediate l'impor­tanza del lavoro che stiamo facendo.

Proctor            Lavoro? Bel lavoro per una ragazza cristiana: far impic­care delle povere vecchie!

Mary                Ma, signor Proctor, non le impiccherebbero se confessas­sero: Sarah Good starà in carcere soltanto per qualche giorno. (Ricordandosi) ... e devo dirvi un'altra cosa, mera­vigliosa! La signora Good è incinta!

Elizabeth         Incinta! Ma sono impazziti? Ha quasi sessantanni!

Mary                L'hanno fatta visitare dal dottor Griggs, che l'ha trovata piena zeppa. Lei che fumava la pipa tutti questi anni, e non aveva neanche un marito! Ma così è salva, grazie a Dio, perché non vogliono far del male al bambino inno­cente. Non è un prodigio? Dovete ammettere, signor Proctor; è opera di Dio quella che noi facciamo. Perciò, per qualche tempo, dovrò andarci ogni giorno. Sono... un funzionario della corte... dicono... ed io... (Nel frat­tempo ha indietreggiato un po' alla volta).

Proctor            Te lo do io il funzionario! (Si muove a grandi passi verso il focolare e prende una frusta appesa al muro).

Mary                (spaventata, ma sempre ferma e dritta, cercando di darsi un'aria di autorità) Non sopporto più di essere frustata!

Elizabeth         (subito, mentre Proctor si avvicina) Mary, prometti che starai a casa...

Mary                (indietreggiando di fronte a Proctor, ma tenendosi dritta, lottando, lottando per prevalere) Il Diavolo si è scatenato a Salem, signor Proctor. E noi dobbiamo scoprire dove si è nascosto!

Proctor            Il Diavolo te lo faccio uscire io dalle orecchie! (Solleva la frusta e sta per raggiungerla, ma Mary corre via, gridando).

Mary                (additando Elizabeth) Oggi ho salvato la vita a lei!

Silenzio. Proctor abbassa la frusta.

Elizabeth         (piano) Mi hanno accusata?

Mary                (tremando) Vi hanno nominata più di una volta. Ma io ho detto che non vi avevo mai vista mandare il vostro spirito per far del male a qualcuno e, dato che abito qui insieme a voi, l'accusa è stata respinta.

Elizabeth         Chi mi ha accusata?

Mary                Sono vincolata dal giuramento e non posso dirlo. (A Proctor) Mi auguro che da ora in poi mi risparmierete il vostro sarcasmo. Quattro giudici e il delegato del Re erano seduti a cena con noi appena un'ora fa. Basterebbe questo per farvi capire che dovete trattarmi con più riguardo da ora in poi.

Proctor            (inorridito e disgustato, le borbotta in faccia) Vai a letto.

Mary                (battendo il piede) Non voglio più che mi ordiniate di andare a letto, signor Proctor! Ho diciotto anni e sono donna, anche se nubile.

Proctor             Vuoi stare in piedi? Allora stai in piedi.

Mary                Voglio andare a letto!

Proctor            (irato) Allora, buona notte!               

Mary                Buona notte. (Scontenta, incerta, esce).

Proctor ed  Elizabeth  rimangono  a guardarsi con gli occhi spalancati.

Elizabeth         (sommessamente) Ci siamo. Ci siamo! La forca!

Proctor            Macché forca.

Elizabeth         Mi vuole morta. Da una settimana ho capito che si sa­rebbe arrivati a questo.

Proctor            (senza convinzione) L'accusa è stata respinta! Hai sentito che cosa ha detto...

Elizabeth         E domani? Lei continuerà ad accusarmi fino a che mi prenderanno!

Proctor            Siedi.

Elizabeth         Mi vuole morta, John, lo sai!

Proctor            Ti ho detto siediti.

Elizabeth si siede, tremando. Lui parla piano, cercando di tenere i suoi nervi a posto.

Ora dobbiamo essere prudenti, Elizabeth.

Elizabeth         (con sarcasmo e un senso di smarrimento) Oh sì, pru­denti, molto prudenti.

Proctor            Non aver paura. Andrò a cercare Ezekiel Cheever. Gli dirò che mi ha confessato lei stessa ch'era tutta una menzogna.

Elizabeth         John, con tutte quelle donne in prigione, ci vorrà ben altro che l'aiuto di Cheever. Vuoi farmi un piacere, John? Vai da Abigail.

Proctor            (ribellandosi poiché fiuta qualcosa) Cosa ho da dire io ad Abigail?

Elizabeth         (con delicatezza) John... Accontentami. Tu non le conosci queste ragazze. In ogni letto si finisce per fare una promessa...

Proctor            (lottando contro la sua ira) Che promessa?                   

Elizabeth         Con o senza parole, una promessa si fa, di certo. E lei ora ci conta... ne sono sicura: lei pensa di eliminarmi per prendere il mio posto.

L'ira di Proctor è accesa a tal punto da non poter parlare.

È la sua più grande speranza. Lo so, John. Perché tra tante migliaia di uomini sceglie proprio il mio? Chiamare in causa un nome come il mio, comporta un certo ri­schio... non sono una Sarah Good che dorme nei fossi, né una Osburn, ubriacona e mezza scema. Non avrebbe il coraggio di accusare la moglie di un contadino se non sperasse di trame un mostruoso vantaggio. Lei pensa di prendere il mio posto, John.

Proctor            Non può pensarlo! (Ma sa che è vero).

Elizabeth         (ragionevole) John, le hai dimostrato il tuo disprezzo? In chiesa, quando ti passa vicino, tu arrossisci sempre.

Proctor            Arrossisco del mio peccato.

Elizabeth         Penso che lei lo interpreti diversamente. Proctor   E tu come lo interpreti? Tu, Elizabeth?

Elizabeth         (concedendo) Penso che ti vergogni perché ci sono io, e lei ti viene lo stesso così vicino.

Proctor            Quando imparerai a conoscermi, donna? Se fossi stato un sasso, mi sarei spaccato dalla vergogna in questi ultimi sette mesi!

Elizabeth         Allora, vai e dille che è una sgualdrina. Qualunque pro­messa lei abbia creduto di aver avuto da te, devi romperla, John, devi romperla.

Proctor            (a denti strettì) Va bene! Ci vado. (S'avvia a prendere il fucile).

Elizabeth         (tremando, impaurita) Oh, così a malincuore!                

Proctor            La coprirò di maledizioni infuocate come la cenere del­l'inferno. Ma ti prego, non venire poi a rimproverarmi la mia collera!

Elizabeth         La tua collera? Ti domando solo...

Proctor            Donna, mi credi così spregevole? Mi credi proprio così spregevole?

Elizabeth         Non ti ho mai creduto spregevole.

Proctor            Allora, perché mi accusi di averle fatto una promessa di quel genere? La promessa di uno stallone a una cavalla ho fatto a quella ragazza!

Elizabeth         Allora, perché ti arrabbi quando ti dico di romperla?

Proctor            Perché sembra un'ipocrisia e io sono un uomo onesto! Ma non voglio più difendermi! Mi accorgo che la tua mente s'è aggrappata all'unico errore della mia vita, e non riuscirò mai a liberarmene!

Elizabeth         (gridando) Te ne libererai... quando ti sarai convinto che io devo essere la tua sola donna, o non esserlo affatto! Hai ancora la sua freccia piantata nel cuore, John Proctor, e lo sai bene.

Tutt'a un tratto, come per incanto, compare una figura sulla soglia della porta. I due sobbalzano di sorpresa. È il reverendo Hale. Egli è mutato ora, è un po' più nervoso, e il suo comportamento ha ora una certa aria di deferenza,  persino di colpevolezza.

Hale                Buona sera.

Proctor            (ancora un po' scosso) Signor Hale. Buona sera. Entrate, entrate.

Hale                (ad Elizabeth) Spero di non avervi spaventata.

Elizabeth         No, no. Ma non ho sentito nessun cavallo...

Hale                Voi siete la signora Proctor?  

Proctor            Sì, Elizabeth.

Hale                (annuisce, poi) Forse stavate per andare a letto. Proctor   (posando il fucile) No, no.

Hale entra nella stanza.

(Cerca di spiegare la sua apprensione) Non siamo abituati a ricevere visite, col buio, ma voi siete il benvenuto. Vo­lete sedervi, signore?

Hale                (si siede) Sedete anche voi, signora Proctor.

Elizabeth si siede, ma senza perderlo mai di vista per un solo istante.

Una breve pausa, mentre Hale si guarda intorno.

Proctor            (per rompere il silenzio) Un bicchiere di sidro, signor Hale?

Hale                No, il mio stomaco non lo sopporta. Ho ancora da cam­minare molto stanotte. Sedete anche voi, signore.

Proctor si siede.

Non vi tratterrò molto, ma ho qualche cosa da dirvi.

Proctor            Qualcosa che riguarda la corte?                                    

Hale                No, no. Vengo di mia iniziativa, senza l'autorità della corte. (S'inumidisce le labbra) Ascoltatemi. Non so se ne siete informato, ma oggi è stato fatto il nome di vostra moglie ai processo.

Proctor            Lo sappiamo,  signore.  Ce lo ha detto la nostra Mary Warren. Siamo rimasti sbalorditi.

Hale                Io sono forestiero qui, come sapete. E non conoscendo la gente, mi riesce difficile formarmi una giusta opinione sulle persone che vengono accusate davanti alla corte. Perciò, nel pomeriggio, e questa sera, vado di casa in casa... vengo proprio adesso dalla casa di Rebecca Nurse, e...

Elizabeth         (scossa) Anche Rebecca è stata accusata?                       

Hale                Dio non voglia che una persona come Rebecca possa mai essere accusata. Tuttavia è... stato fatto anche il suo nome.

Elizabeth         (tentando di ridere) Non crederete, spero, che Rebecca possa aver avuto rapporti con il Diavolo.

Hale                Tutto è possibile.

Proctor            (sconcertato) Ma  non  è  possibile  che  voi  lo  crediate!

Hale                Questi sono tempi strani, signore. Nessuno può ormai mettere in dubbio che delle forze oscure hanno sferrato un attacco mostruoso contro questo villaggio. L'evidenza è troppo chiara per poterlo ignorare. Ne convenite, signore?

Proctor            (evasivo) Io... non ho esperienza di queste cose. Ma è dif­ficile credere che una donna devota, dopo settant'anni di vita dedicata alla preghiera, possa diventare segreta­mente una cagna del Diavolo.

Hale                Già. Ma il Diavolo è furbo, non potete negarlo. Comun­que, Rebecca è ben lontano dall'essere accusata, e sono certo che non lo sarà. (Pausa). Se me lo permettete, signor Proctor, vorrei rivolgervi alcune domande sulla qualifica cristiana di questa casa.

Proctor            (freddamente, con risentimento) Certo. Noi non temiamo nessuna domanda, signore.

Hale                Meglio così. (Si siede più comodamente) Nel registro parrocchiale tenuto dal reverendo Parris, ho notato che voi andate in chiesa molto di rado la domenica.

Proctor            No, signore, vi sbagliate.

Hale                Ventisei volte in diciassette mesi, signore. Devo convenire che non è molto. Volete dirmi perché mancate così spesso?                                                        .

Proctor            Non sapevo, signor Hale, di dover rendere conto a quell'uomo  delle mie  presenze o  delle mie  assenze  dalla chiesa. Mia moglie è stata ammalata quest'inverno.

Hale                Già; me l'hanno detto. Ma voi, signore, non potevate an­dare da solo?

Proctor            Certamente... e ci sono andato quando ho potuto. E quando non ho potuto ho pregato in casa.

Hale                La vostra casa non è una chiesa, signor Proctor. Ve lo dice la teologia.

Proctor            Infatti, signore, infatti. E dice anche che un ministro può pregare Dio senza bisogno di candelabri d'oro sull'altare.

Hale                Candelabri d'oro?

Proctor            Sin da quando abbiamo costruito la chiesa, sull'altare ci sono sempre stati dei candelabri di peltro. Li aveva fatti Francis Nurse, sapete, e mai metallo fu lavorato da mani più esperte. Poi è venuto Parris, e per venti domeniche di seguito non ha saputo predicare altro che di candelabri d'oro, finché non li ha ottenuti. Io lavoro la terra dalla mattina alla sera, e vi dico francamente: quando sono lì a pregare e mi rivolgo al cielo e vedo il frutto del mio lavoro risplendere ai gomiti del signor Parris io non riesco più a pregare, signore, non riesco più a pregare. A volte, ho l'impressione che quell'uomo sogni cattedrali e non le nostre umili chiese di legno.

Hale                (riflette un po', poi) Eppure, signore, la domenica, un cristiano deve andare in chiesa. (Pausa). Avete tre figli, vero?

Proctor            Sì. Maschi.

Hale                Come mai solo due sono battezzati?

Proctor            (comincia a parlare, poi si ferma; poi, incapace di domi­narsi) Non mi piace che il signor Parris metta la sua mano sul mio bambino. Non vedo luce di Dio in quell'uomo. E non ne ho mai fatto un mistero.

Hale                Devo dirvi, signor Proctor, che questo non sta a voi deciderlo. Quell'uomo è un ministro consacrato e quindi ha in sé la luce di Dio.

Proctor            (arrossendo, risentito, ma tentando di sorridere) Che cosa sospettate, signor Hale?

Hale                No, no, io non...

Proctor            Ho costruito io il tetto della chiesa, ho messo su io la porta...

Hale                Oh, voi? Questo è di buon augurio!

Proctor            Forse sono stato troppo pronto, impulsivo nell'esprimere la mia opinione su quell'uomo, ma non potete concludere che auspichiamo la distruzione della religione. È questo il vostro sospetto, non è vero?

Hale                (non cedendo completamente) Io... ho... c'è una certa rilassatezza nella vostra vita, signore, una certa rilassatezza.

Elizabeth         Forse siamo stati troppo severi con il signor Parris. Posso ammetterlo. Ma siate certo: qui non abbiamo mai amato il Diavolo.

Hale                (annuisce, ponderando; poi con la voce di chi imponga un collaudo segreto) Conoscete i vostri Comandamenti, Elizabeth?

Elizabeth         Certo. Non c'è ombra di peccato nella mia vita, signor Hale. Sono una devota cristiana, devota e fedele.

Hale                E voi, signore? Proctor   (un po' incerto) Sono... sono sicuro di saperli, signore.

Hale                (guarda il volto aperto di Elizabeth poi a John) Allora, volete ripeterli, per me, per favore?   

Proctor            I comandamenti?

Hale                Sì.

Proctor            (guardando in aria, e sudando) Tu non ucciderai.

Hale                Sì.

Proctor            (contando sulle dita) Tu non ruberai. Non concupirai la roba del tuo prossimo. Non ti farai scultura né immagine alcuna. Non userai il nome di Dio invano. Non avrai altro Dio all'infuori di me. (Con qualche esitazione) Ricorderai il giorno del riposo e lo santificherai. (Pausa, poi) Onorerai il padre e la madre. Non attesterai il falso. (Non sa continuare; riconta sulle dita ben sapendo che ne manca uno) Non ti farai scultura né immagine alcuna.

Hale                L'avete già detto, signore.

Proctor            (perduto) Già. (Tenta disperatamente di ricordare il de cimo).

Elizabeth         (con delicatezza) L'adulterio, John.

Proctor            (come se una freccia invisibile gli penetrasse nel cuore) Sì. (A Hale, cercando con un sorriso di far dissipare la cattiva impressione) Vedete, signore, tra noi due li sappiamo tutti.

Hale guarda Proctor, e assorto nel suo pensiero, cerca di definire questo uomo.

(Diventa sempre più  inquieto)  È   soltanto  un   piccolo errore.

Hale                La teologia, signore, è una fortezza, e nessuna crepa in questa fortezza può essere definita piccola. (Si alza. Sem­bra preoccupato. Passeggia un po' su e giù, assorto).

Proctor            Non ci può essere amore per Satana in questa casa, signore.

Hale                Io lo spero, lo spero ardentemente. (Li guarda, fa un tentativo per sorridere, ma sono palesi le sue preoccupa­zioni) Bene, allora... vi auguro la buona notte.

Elizabeth         (incapace di trattenersi) Signor Hale.

Hale si volta.

Ho l'impressione che voi mi guardiate con sospetto, non è vero?

Hale                (ovviamente turbato ed evasivo) Signora Proctor, io non vi giudico. Il mio dovere è solo quello di contribuire, per quanto posso, alla saggezza divina della corte. Auguro a tutt'e due: buona salute e buona fortuna. (A John) Buona notte, signore. (Si avvia per uscire).

Elizabeth         (con tono disperato) Credo che tu debba dirglielo, John.

Hale                 Che cosa?

Elizabeth         (controllandosi per non gridare) Perché non glielo dici?

Breve pausa. Hale volge uno sguardo interrogativo verso John.

Proctor            (con fatica) Non ho testimoni e non posso provarlo, a meno che non mi si creda sulla parola. Io so che la ma­lattia delle ragazze non ha niente a che vedere con la stregoneria.

Hale                (sorpreso, colpito) Niente a che vedere?...

Proctor            Il signor Parris le ha scoperte nella foresta mentre gioca­vano. Si sono spaventate, e lo spavento le ha fatte ammalare.

Pausa.

                                                                                              

Hale                Chi ve lo ha detto?

Proctor            (esita, poi) Abigail Williams.

Hale                Abigail?

Proctor            Sì. 

Hale                (con occhi spalancati) Abigail vi ha detto che tutto ciò non ha niente a che vedere con la stregoneria?

Proctor            Me lo ha detto il giorno stesso in cui voi siete arrivato al villaggio, signore.

Hale                (sospettoso) Ma... ma perché lo avete taciuto?

Proctor            Perché non sapevo che il paese intero fosse impazzito per queste stupidaggini.

Hale                Stupidaggini! Signore, io stesso ho interrogato Tituba, Sarah Good, e molte altre donne che hanno confessato di essere in rapporto col Diavolo. Lo hanno confessato.

Proctor            E perché no, visto che se lo avessero negato sarebbero finite sulla forca? C'è gente disposta a giurare qualunque cosa piuttosto di farsi impiccare. Ci avete mai pensato?

Hale                Sì, l'ho pensato certamente. (Questo è anche il suo so­spetto, ma lo respinge. Guarda Elizabeth e poi John) E voi...  potreste testimoniare  su  questi fatti  davanti  alla corte?

Proctor            Non... non avevo pensato di dover andare davanti alla corte. Ma se è necessario, lo farò.

Hale                Esitate?

Proctor            No, non esito affatto, ma mi domando se una corte come quella possa dar credito alla mia testimonianza. Me lo domando appunto perché vedo che perfino un sacerdote equilibrato come voi può avere dei sospetti su una donna che non ha mai saputo mentire, e non ne sarebbe capace. Lo sanno tutti! Ecco la ragione della mia perplessità, si­gnore; non sono un pazzo.

Hale                (impressionato, sommessamente) Proctor, ora dovete es­sere sincero con me. Ho sentito dire nei vostri riguardi  una cosa che mi preoccupa. Sembra che voi non crediate all'esistenza delle streghe. È vero, signore?

Proctor            (sa che questo è un momento cruciale; quindi lotta con­tro il suo disgusto per Hale e per se stesso perché è co-stretto a dare una risposta) Non so che cosa posso aver detto. Può anche darsi che io l'abbia detto. Mi sarò do­mandato se sia possibile che al mondo esistano le stre­ghe e avrò concluso che comunque non riesco a credere che oggi si trovino in mezzo a noi.

Hale                Allora non credete...

Proctor            Non ho esperienza in materia. La Bibbia parla di stre­ghe, e non sarò io a negarlo.

Hale                E voi, signora?

Elizabeth         Io?... non posso crederci.

Hale                (scosso) Non potete crederci?

Proctor            Elizabeth, tu lo scandalizzi.

Elizabeth         (a Hale) Non posso credere, signor Hale, che il Diavolo riesca ad impossessarsi dell'anima di una donna che ha sempre condotto una vita retta e onesta, come ho fatto io. Sono una donna onesta, e lo so. Se voi credete che io possa far opera di bene in questo mondo e nello stesso tempo essere legata segretamente a Satana, allora debbo dirvi, signore, che io non credo alle streghe.

Hale                Donna, ma dovete pur credere all'esistenza delle streghe, a...

Elizabeth         Se voi credete che anch'io possa essere una strega, allora io vi dico che non credo che le streghe esistano.

Hale                Voi non vorrete certo smentire il Vangelo, il Vangelo...

Proctor            Lei crede ad ogni parola del Vangelo!

Elizabeth         Interrogatemi sul Vangelo insieme ad Abigail Williams!

Hale la guarda fisso.                      

Proctor            Elizabeth non intende dire che dubita della verità del Vangelo, signore; non potete nemmeno pensarlo. Questa è una casa cristiana, signore, una casa cristiana.

Hale                Dio vi protegga entrambi. Fate battezzare subito il vo-stro terzo bambino e non mancate di andare in chiesa ogni domenica. E attenetevi ad una vita severa e solenne. Io credo...

Giles Corey appare sulla soglia.

Giles                John!

Proctor            Giles! Che cos'è successo?

Giles                Hanno preso mia moglie.

Entra Francis Nurse.

E anche la sua Rebecca!

Proctor            (a Francis) Rebecca in prigione?

Francis            Sì. È venuto Cheever con il carro a prenderla. Veniamo proprio adesso dal carcere, ma non ci hanno permesso nemmeno di vederle.

Elizabeth         Ma ora stanno veramente diventando pazzi, signor Hale!

Francis            (avvicinandosi a Hale) Reverendo Hale! Non potete par­lare voi con il vicegovernatore? Sono certo che è stato ingannato...

Hale                Vi prego di calmarvi, signor Nurse.

Francis            Mia moglie è un vero e proprio pilastro della chiesa, signor Hale... (indicando Giles) e Martha Corey! Non esiste una donna più vicina a Dio di Martha.

Hale                Qual è l'accusa contro Rebecca, signor Nurse?

Francis            (con una fredda risata di scherno) Omicidio! (Citando con fare beffardo il testo del mandato di arresto) « Per l'uccisione misteriosa e soprannaturale dei bambini della signora Putnam ». Che cosa posso fare, signor Hale?

Hale                (si volta, lasciando Francis; poi profondamente turbato) Credetemi, signor Nurse, se anche Rebecca è stata conta­minata, vuol dire che non esiste più nulla che possa sal­vare questo nostro verde mondo dalle fiamme. Abbiate fiducia nella giustizia della corte. La corte la rimanderà a casa, ne sono certo.

Francis            Dunque pensate che Rebecca sarà processata!

Hale                (supplicando) Nurse, anche se il cuore ci sanguina noi non possiamo sottrarci al nostro dovere. Sono tempi diffi­cili, signore. Ci troviamo di fronte a un tenebroso com­plotto talmente insidioso che commetteremmo un vero delitto se ci lasciassimo influenzare dalle amicizie e da antichi legami di rispetto. Ho avuto troppe prove spa­ventose in tribunale... il Diavolo è vivo in Salem, e dob­biamo inseguirlo senza esitazione, dovunque si punti un dito accusatore!

Proctor            (indignato) Ma come può assassinare dei bambini una donna come Rebecca?

Hale                (addolorato) Fino ad un'ora prima che il Diavolo cadesse, perfino Dio lo reputava bello in Paradiso.

Giles                Io non ho mai detto che mia moglie fosse una strega, si-gnor Hale. Ho detto solo che leggeva dei libri.

Hale                Quali sono le accuse contro vostra moglie, signor Corey?

Giles                È stata accusata da quel vecchio bastardo di Walcott. Per­ché, vedete, quattro o cinque anni fa lui comprò un ma-iale da mia moglie, e il maiale mori poco dopo. Così, lui di corsa viene da noi per farsi restituire il denaro. E al­lora la mia Martha gli dice: « Walcott, se non sei capace di dare da mangiare come si deve a un maiale non ne avrai molti nella tua vita ». Così gli disse Martha. Ora lui viene in tribunale e dice che da quel giorno non gli è riuscito a tener vivo più di un mese un maiale perché la mia Martha li stregava con i suoi libri!

Entra Ezekiel Cheever. Regna un silenzio di stupore.

Cheever           Buona sera a voi, Proctor.

Proctor            Oh, signor Cheever. Buona sera.

Cheever           Buona sera a tutti. Buona sera, signor Hale.

Proctor            Spero che non veniate con un mandato della corte.

Cheever           Sì, Proctor, appunto sono cancelliere della corte, adesso.

Entra il maresciallo Herrick, un uomo sulla trentina. Sente un po' di vergogna in questo momento.

Giles                Ezekiel, è un peccato che un sarto onesto come voi, che avrebbe potuto andare dritto in Paradiso, debba invece finire a bruciare all'Inferno. Brucerete per queste cose, lo sapete?

Cheever           Sapete benissimo che devo eseguire degli ordini. Non po­tete ignorarlo, Giles. E preferisco che non mi mandiate all'Inferno. Non mi piace neanche sentirlo dire. (Ha paura di Proctor, ma comincia a frugare dentro il cap­potto) Credetemi, Proctor, la legge è pesante e stanotte ne sento tutto il peso sulle mie spalle. (Tira fuori un man­dato) Ho un mandato di arresto per vostra moglie.

Proctor             (a Hale) Avete detto che non era accusata!

Hale                Non so niente. (A Cheever) Quando è stata accusata?

Cheever           Ho da eseguire sedici mandati di cattura stanotte, si­gnore, e uno è per la signora Proctor.

Proctor            Chi l'ha accusata?

Cheever           Abigail Williams.

Proctor            Con quali prove, quali prove?

Cheever           (guardando intorno nella stanza) Signor Proctor. Ho pocotempo. La corte mi ha ordinato di perquisire la vostra casa, ed è un incarico che non mi piace. Perciò, volete consegnarmi voi stesso le bambole che vostra moglie possiede?

Proctor            Bambole?

Elizabeth         Non ho più avuto bambole da quando ero bambina.

Cheever           (imbarazzato, guarda verso la mensola del focolare dov'è appoggiata la bambola di Mary Warren) Io ne vedo una lì, signor Proctor.

Elizabeth         Oh! (Andando a prenderla) Ma questa è di Mary.

Cheever           (timidamente) Volete consegnarmela per piacere?

Elizabeth         (consegna la bambola a Cheever poi chiede a Hale) La corte ha forse scoperto nel codice un articolo che proibisce le bambole?

Cheever           (tenendo la bambola con estrema prudenza) Ne avete altre in casa?

Proctor            No, e non c'era nemmeno questa prima di stasera. Che cosa significa una bambola?

Cheever           Insomma, una bambola... (capovolge la bambola delica­tamente) una bambola potrebbe significare... Ora, donna, vi prego, volete seguirmi?

Proctor            Niente affatto. (Ad Elizabeth) Chiama Mary.

Cheever           (cerca goffamente di trattenere Elizabeth) No, no, ho l'ordine di non perderla di vista.

Proctor            (respingendo il braccio di Cheever) Tu la perderai di vista e di mente. Elizabeth, fai venire qui Mary.

Elizabeth sale la scalinata.

Hale                Signor Cheever, che cosa può significare la bambola?

Cheever           (rivoltando la bambola nelle mani) Dicono che potrebbe significare che lei... (Ha sollevato la veste della bambola e i suoi occhi si spalancano dallo spavento) Ma,  questo, questo...                                                          

Proctor            (allungando la mano per prendere la bambola) Cosa c'è?

Cheever           Ma... (Tira fuori dalla bambola un lungo ago) È un ago! Herrick, Herrick, è un ago!

Herrick gli si avvicina.

Proctor            (irato, stupito) E che cosa vuol dire un ago?

Cheever           (gli tremano le mani) È un indizio grave contro vostra moglie, Proctor... Avevo dei dubbi, Proctor, avevo dei dubbi, ma questo è un disastro! (A Hale, mostrandogli l'ago) Lo vedete, signore, è un ago!

Hale                Ma che cosa vuol dire?

Cheever           (con occhi spalancati e tremando) La ragazza, signore, la ragazza Williams, Abigail Williams. Stava cenando stasera con il reverendo Parris, e tutt'a un tratto, senza una parola, è caduta a terra. Come un animale ferito, ha detto il reverendo, e ha cacciato un urlo che avrebbe spa­ventato un toro. Il reverendo corre a darle soccorso, e le tira fuori dalla pancia un ago che era penetrato per una profondità di due pollici. E quando lui le chiede come sia stata ferita in quel modo... (indirizzandosi a Proctor) ha detto ch'era stato lo spirito di vostra moglie a ficcarglielo dentro.

Proctor            Se lo è fatto da sola. (A Hale) Spero che non consideriate questa una prova, signore!

Hale, colpito dalla prova, tace.

Cheever           È una prova grave! (A Hale) Trovo qui una bambola della signora Proctor. L'ho trovata qui, signore. E nella pancia della bambola c'è infilato un ago. Vi dico la verità, Proctor, non avrei mai pensato di vedere con i miei occhi un segno così sicuro dell'Inferno, e vi ordino di non ostacolarmi, per...

Entra Elizabeth insieme a Mary Warren. Appena scorge Mary, Proctor la prende per un braccio e la conduce da Hale.

Proctor            Ecco! Mary, come è entrata in casa mia questa bambola? Mary   (spaventata, con voce bassissima) Che bambola, signore?

Proctor            (additando con  impazienza la  bambola nelle mani di Cheever) Questa bambola! Questa bambola!

Mary                (guardando la bambola; evasivd) Beh... credo... credo che sia mia.

Proctor            È la tua bambola, non è vero?

Mary                (non comprende il senso di tutto questo) È... sì, signore.

Proctor            E come si trova in questa casa?

Mary                (guardando intorno ai volti che sono in attesa) Beh... l'ho cucita in aula signore, e... l'ho regalata stasera alla signora Proctor.

Proctor            (a Hale) Dunque, signore... è chiaro?

Hale                Mary Warren, c'era un ago infilato dentro a questa bambola.

Mary                (smarrita) Non intendevo far niente di male, signore.

Proctor            (subito) Lo hai infilato tu questo ago?

Mary                Io... io... credo di sì, signore, sì.

Proctor            (a Hale) E adesso che cosa avete da dire voi?

Hale                (guardando Mary attentamente) Ragazza, sei sicura di ri­cordare queste cose naturalmente? Non c'è forse qual­cuno, anche adesso, che ti suggerisca e ti costringa a parlare?

Mary                Qualcuno? Ma no, signore, sono io stessa, credo. Perché non lo domandate a Susanna Walcott? Lei mi ha visto cucire la bambola. O, meglio ancora, domandatelo a Abby. Era seduta accanto a me quando la facevo.

Proctor            (a Hale, indicando Cheever) Mandatelo via. Non avrete più dubbi, ormai. Ordinategli di andarsene, signor Hale.

Elizabeth         Che cosa vuol dire quest'ago?

Hale                Mary... tu stai accusando Abigail di un omicidio premeditato e crudele.

Mary                Omicidio! Io non accuso...

Hale                Abigail è stata ferita stasera. Le hanno trovato un ago conficcato nella pancia.

Elizabeth         E lei accusa me?

Hale                Sì.

Elizabeth         (senza respiro) Ma...! Quella ragazza è una criminale! Dovrebbe essere tolta dalla faccia della terra.

Cheever           (additando Elizabeth) L'avete sentita, signori! Tolta dalla faccia della terra... Herrick, l'avete sentita!

Proctor            (afferrando improvvisamente il mandato dalle mani di Cheever) Via di qui!

Cheever           Proctor, non avete diritto di toccare quel mandato.

Proctor            (strappando il mandato) Via di qui!

Cheever           Uomo, avete stracciato il mandato del vice governatore!

Proctor            Me ne infischio del vice governatore! Fuori di casa mia!

Hale                Calma, calma, Proctor!

Proctor            Andatevene anche voi! Siete un falso ministro.

Hale                Proctor, se vostra moglie è innocente, la corte...

Proctor            Se è innocente! Ma perché non vi domandate se Parris è innocente, o Abigail? Sono santi solo gli accusatori adesso? Sono nati stamattina puri come le dita di Dio? Volete sapere che cosa si sta scatenando a Salem?... si sta scatenando la vendetta, a Salem! Siamo quelli che siamo sempre stati, ma ora delle bambine impazzite tengono le chiavi del regno, e la più bassa volgare vendetta detta la legge! Questo è un mandato di vendetta! Mi rifiuto di consegnare mia moglie alla vendetta!

Elizabeth         Io vado, John...

Proctor            Tu non andrai!

Herrick            Ho nove uomini fuori. Non potete far nulla. Sono vinco­lato dalla legge, John, non è colpa mia.

Proctor            (a Hale,  minaccioso) Voi permetterete che la portino via?

Hale                Proctor, la corte è giusta...

Proctor            Ponzio Pilato! Ma Dio non permetterà che ve ne laviate le mani!

Elizabeth         John... devo andare con loro.

Lui non osa guardarla.                                                                     

Mary, c'è pane abbastanza per domattina. Impasterai nel pomeriggio. Stai attenta al signor Proctor come se fossi sua figlia... mi devi questo, e anche di più. (Lotta contro le lacrime. A Proctor) Quando i bambini si sveglieranno non parlare di stregoneria... se no, si spaventano. (Non riesce più a continuare).

Proctor            Ti riporterò a casa. Ti riporterò presto.

Elizabeth         Oh, John! Fammi tornare a casa presto.

Proctor            Mi rovescerò come il mare sulla corte! Non aver paura, Elizabeth!

Elizabeth         (molto spaventata) Non ho paura, di niente. (Guarda in­torno alla stanza come per imprimerla nella mente) Di' ai bambini che sono andata a far visita a un malato.

Elizabeth esce seguita da Herrick e Cheever. Per un istante Proctor guarda verso l'esterno. S'ode il rumore metallico di catene.

Proctor            Herrick! Herrick, non le mettere i ferri! (Si precipita fuori; si sente la sua voce) Disgraziato! Non metterle i ferri! No... i ferri! Non voglio!

Voci di altri uomini, oltre a quella di Proctor. Hale, in preda a un febbrile senso di colpevolezza e di incertezza, distoglie lo sguardo per non vedere. Mary Warren prorompe in lacrime e si siede.

Giles                (grida a Hale) Tacete ancora, reverendo? È tutto un in­ganno e voi lo sapete che è un inganno! Cosa vi trattiene?

Proctor viene trascinato nella stanza da Herrick e due dei suoi uomini.

Proctor            Me la pagherai, Herrick, me la pagherai, stai sicuro!

Herrick            (ansando) In nome di Dio, John, non posso far altro! Devo incatenarle tutte. Restate qui in casa fino a quando non saremo andati via! (Esce con i suoi uomini).

Proctor rimane lì, respirando affannosamente. Si sentono i cavalli e lo scricchiolio del carro.

Hale                (in preda a grande incertezza) Signor Proctor...

Proctor            Fuori di qui!

Hale                Carità, Proctor. Carità. Io non avrò paura di testimoniare davanti alla corte tutto quello che ho sentito in suo favore. Che Dio mi aiuti. Io non posso giudicarla colpevole né innocente... Io non so nulla. Una cosa sola, però, dovete considerare: il mondo è impazzito e il fatto che voi ne diate la colpa alla vendetta di una ragazza non cambia niente.

Proctor            Siete un vile! Anche se siete stato consacrato con le la­crime stesse di Dio. Ora siete un vile!

Hale                Proctor, non posso credere che sia stata fatta una simile provocazione al Signore per una causa tanto meschina. Le carceri sono piene. I nostri più eminenti giudici sie­dono ora a Salem... e si parla di morte. Dobbiamo cer­care una causa più proporzionata. È stato forse commesso un omicidio, rimasto poi impunito? Atti abominevoli? Una bestemmia atroce che abbia offeso il Cielo? Cercate una causa, uomo, aiutatemi a scoprirla. Questa è la via da seguire, credetemi; questa è la sola possibilità di sal­vezza che abbiamo quando una simile confusione si ab­batte sul mondo. (Va presso Giles e Francis) Parlatene fra voi. Pensate al vostro villaggio e alla causa che può aver attirato su tutti voi l'implacabile maledizione del Cielo. Io pregherò perché il Signore vi assista. (Esce).

Francis            (colpito dal tono di Hale) Io non so di nessun omicidio commesso a Salem.

Proctor            (toccato dal discorso di Hale) Andate via, Francis, an­date via.

Giles                (agitato) Ditemi, John... siamo perduti?

Proctor            Andate a casa, adesso, Giles. Ne parleremo domani.

Giles                Pensate a che cosa possiamo fare. Veniamo presto, eh?

Proctor            Sì. Adesso andate, Giles.

Giles                (dopo un momento) Buona notte, allora.

Giles Corey e Francis escono.

Mary                (con voce lamentosa) Signor Proctor, vedrete che la ri­manderanno a casa quando avranno sentito le testimonianze.

Proctor            Verrai con me davanti alla corte, Mary. Dirai tutto alla corte.

Mary                Non posso accusare Abigail di omicidio.

Proctor            (avvicinandosi a lei minaccioso) Dirai alla corte come quella bambola si trovava qui e chi ci ha messo l'ago.

Mary                Mi ammazza se lo dico!

Proctor si avvicina di più.

Abby vi accuserà di adulterio, signor Proctor.

Proctor            (fermandosi) Te lo ha detto?

Mary                Lo sapevo già, signore. Vi rovinerà con questa accusa. So che lo farà.

Proctor            (esitando; pieno di odio contro se stesso) Bene. Così fini­sce anche la sua santità.

Mary indietreggia.

Ci trascineremo insieme nella fossa. Tu dirai alla corte quello che sai.

Mary                (terrorizzata) Non posso, se la prenderanno con me...

Proctor la raggiunge e l'afferra.

(Ripete) Non posso! Non posso!

Proctor            Mia moglie non può morire per colpa mia! Ti caccerò in bocca le budella ma quella donna virtuosa non morirà per colpa mia!

Mary                (dimenandosi per liberarsi) Non posso! Non posso!

Proctor            (afferrandola per la gola come volesse strangolarla) Devi, per la pace della tua coscienza! Adesso l'Inferno e il Pa­radiso sono in lotta alle nostre spalle e i nostri antichi errori sono stati spazzati via. Pensa a conquistarti la pace! (La sbatte a terra).

Mary                (piangendo) Non posso, non posso!...

Proctor            (si volta verso la porta aperta, lo sguardo fisso e dice quasi tra se) Pace. È una provvidenza, ma non un gran cam­biamento. Restiamo sempre quelli che siamo stati, solo che adesso saremo nudi. (Si avvia verso l'esterno come se andasse verso qualcosa di spaventoso e terribile) Già. Nudi! E il vento, il vento gelido di Dio soffierà su di noi!

Mary                (tra  il  pianto  ripete  continuamente)  Non   posso,   non posso, non posso...

Atto terzo

La sagrestia della chiesa di Salem, che serve ora da anticamera alla Corte Generale.

Quando si apre il sipario la stanza è vuota. La luce del sole irrompe attraverso due alte finestre nel muro di fondo. La stanza ha un'aria so­lenne, quasi tetra. Grosse travi sporgono dal soffitto e le mura sono fatte di tavole di misura disuguale. A destra, due porte conducono alla chiesa vera e propria, dove viene celebrato il processo. A sinistra, un'al­tra porta conduce all'esterno.

Una rozza panca, a sinistra, e un'altra a destra.  Al centro un tavolo piuttosto lungo di quelli usati per le riunioni e, vicino al tavolo, degli sgabelli e un'ampia sedia a braccioli.

Attraverso il muro di divisione a destra, si sente la voce del pubblico ministero, il giudice Hathorne, che rivolge una domanda; poi una voce, quella di Martha Corey, che risponde.

Voce di Hathorne Martha Corey, molte testimonianze confermano che vi siete dedicata alla chiromanzia. Lo negate?

Voce di Martha Sono innocente. Non sono una strega. Non so nemmeno che cosa sia una strega.

Voce di Hathorne Come potete sapere, allora, che non siete voi stessa una strega?

Voce di Martha  Se lo fossi lo saprei.            

Voce di Hathorne Perché fate del male a queste bambine?

Voce di Martha Non gli faccio nessun male. Lo nego! Lo nego.

Voce di Giles   (come un ruggito) Ho delle prove per la corte!

Si levano le voci eccitate di cittadini.

Voce di Danforth Seduto voi!

Voce di Giles   Thomas Putnam sta cercando d'impadronirsi della terra degli altri!

Voce di Danforth Portate via quell'uomo!

Voce di Giles   Vi dicono delle menzogne! Menzogne!

Grande clamore di cittadini.

Voce di Hathorne Fatelo arrestare, Eccellenza!

Voce di Giles   Ho delle prove. Perché non volete sentire le mie prove?

Si apre la porta e Giles viene spinto in sagrestia dal maresciallo Herrick. Segue Francis Nurse.

Giles                Giù le mani, sbirro! Lasciami!

Herrick            Giles, Giles!

Giles                Lasciami passare, Herrick. Ho delle prove...

Herrick            Non potete entrare, Giles. Questa è una corte!

Entra Hale dalla corte.

                                                                     

Hale                Vi prego: state un po' tranquillo.

Giles                Voi, signor Hale, andate lì dentro e insistete perché mi lascino parlare.

Hale                Un momento, signore, un momento.

Giles                Vogliono impiccare mia moglie!                                 

Entra il giudice Hathorne, un uomo sulla sessantina, acido e spietato.

Hathorne         Come osate mettervi a urlare davanti alla corte!  Siete impazzito, Corey?

Giles                Non siete stato ancora eletto giudice a Boston, Hathorne, e non vi permetto di darmi del pazzo!

Entra il vicegovernatore Danforth, seguito da Ezekiel Cheever e dal reverendo Parris. Subito si fa silenzio. Danforth è un uomo di aspetto serio, sulla sessantina. Ha qualcosa di spiritoso e raffinato, ma queste qualità non hanno influenza sulla sua ferma lealtà alla propria posizione e alla causa. Si avvicina a Giles che si aspetta uno scoppio d'ira.

Danforth          (fissando Giles) Chi è quest'uomo?

Parris              Giles Corey, signore, un uomo rissoso...

Giles                (a Parris) La domanda è rivolta a me, e sono abbastanza grande per rispondere da solo. (A Danforth, che gli incute rispetto e al quale sorride nonostante la tensione) Mi chiamo Corey, signore, Giles Corey. Sono proprietario di seicento acri di terra, e anche di boschi. È mia moglie che state per condannare. (Indica l'aula della corte).

Danforth          E pensate di poterla aiutare provocando una così indegna gazzarra? Andate! Il rispetto che ho per la vostra vecchiaia vi salva dalla prigione.

Giles                (cominciando a supplicare) Stanno mentendo sul conto di mia moglie, signore, io...

Danforth          Non sta a voi decidere che cosa questa corte debba credere o non credere!

Giles                Eccellenza, noi non intendiamo mancare di rispetto a...

Danforth          Mancare di rispetto! Ma qui si tenta di sovvertire l'or­dine delle cose,  signore. Non sapete che vi trovate di fronte alla più alta corte del governo supremo della provincia?

Giles                (cominciando a piangere) Eccellenza, io ho detto solo che mia moglie leggeva dei libri, e sono venuti in casa mia a prenderla per...

Danforth          (perplesso) Libri? Che libri?

Giles                (mentre singhiozza) È la mia terza moglie, signore. Non avevo mai avuto una moglie che avesse tanto interesse per la lettura, e volevo capirne la ragione, vedete, ma non intendevo incolparla di stregoneria. (Piange senza rite­gno) Ho mancato di carità verso quella donna, ho mancato di carità.

(Per la vergogna si copre il viso con le mani).

Danforth mantiene un silenzio rispettoso.

Hale                Eccellenza,  egli  afferma  di  possedere prove  valide  in difesa di sua moglie. Ritengo che, in tutta giustizia, voi dobbiate...

Danforth          Allora, che sottoponga le sue prove in forma scritta e giurata. Non ho bisogno di insegnarvi la nostra proce­dura, signor Hale. (A Herric) Fate sgombrare.

Herrick            Andiamo, Giles. (Spinge Giles fuori con gentilezza).

Francis            Siamo disperati, signore. Sono tre giorni che veniamo qui senza riuscire a essere ascoltati.

Danforth          Chi è quest'uomo?

Francis            Francis Nurse, Eccellenza.                                     

Hale                Sua moglie è Rebecca; è stata condannata stamattina.

Danforth          Ah  sì?  Sono stupito di trovarvi così  chiassoso.  Avevo avuto soltanto buone informazioni sul vostro conto, signor Nurse.                                                                                 

Hathorne         Dovrebbero essere arrestati, tutt'e due, per oltraggio alla corte, signore.

Danforth          (a Francis) Mettete la vostra dichiarazione per iscritto, e  a tempo debito farò...

Francis            Eccellenza, abbiamo delle prove inequivocabili e Dio non voglia che voi le rifiutiate. Le ragazze, signore, le ragazze sono delle mistificataci.

Danjorth          Cosa dite?

Francis            Abbiamo le prove, signore. Vi stanno ingannando, tutte.

Danforth è scosso, ma osserva Francis attentamente.

Hathorne         Questo è vilipendio, signore, vilipendio!

Danforth          Un momento, giudice Hathorne. Sapete chi sono io, si­gnor Nurse?

Francis            Certo, signore, e penso che dobbiate essere un giudice molto saggio per essere diventato quello che siete.

Danforth          E voi sapete che quasi quattrocento persone sono in pri­gione, dal villaggio di Marblehead fino a Lynn, dietro mandati che portano la mia firma?

Francis             Io...

Danforth          E che con quella firma, settantadue persone sono state condannate alla forca?

Francis            Eccellenza, non pensavo mai di doverlo dire a un giudice così eminente, ma siete stato ingannato.

Da sinistra, entra Giles Corey. Tutti si voltano mentr'egli fa cenno di entrare a Mary Warren ed a Proctor. Mary tiene gli occhi abbassati. Proctor la tiene per un braccio come se lei stesse quasi per crollare.

Parris              (scosso,  vedendo Mary) Mary  Warren!  (Si avvicina a Mary e la guarda in viso) Che cosa sei venuta a fare qui?

Proctor            (allontanando Parris da Mary con un gesto di protezione, gentile, ma fermo) Vuole parlare con il vicegovernatore.

Danforth          (sorpreso, si rivolge a Herrick) Non avete detto che Mary Warren era a letto, ammalata?

Herrick            Lo era, Vostro Onore. Quando sono andato la settimana scorsa per condurla alla corte, mi ha detto ch'era amma­lata.

Giles                Per un'intera settimana Mary ha lottato con la sua co­scienza, Vostro Onore, e adesso è venuta a dirvi la verità.

Danforth          E chi è costui?

Proctor            John Proctor, signore. Elizabeth Proctor è mia moglie.

Parris              Diffidate  di  quest'uomo,  Eccellenza.  È  un  sovversivo.

Hale                (in tono eccitato) Credo che dovremmo sentire questa ra­gazza, signore, lei ha...

Danforth          (guarda incuriosito Mary Warren, e fa un cenno con la mano ad Hale) Un momento. Che cosa hai da dirci, Mary Warren?

Proctor la guarda, ma Mary non riesce a parlare.

Proctor            Lei non ha mai visto spiriti, signore.                     

Danforth          (allarmato e sorpreso, a Mary) Mai visto spiriti? Giles    (ansiosamente) Mai.

Proctor            (frugando dentro la giacca) Ha firmato una deposizione, signore...

Danforth          (subito) No, no, non accetto deposizioni. (Si rende conto di un pericolo, si volta da Mary verso Proctor) Ditemi, signor Proctor, avete già parlato di questa storia nel villaggio?

Proctor            No.

Parris              Tentano di influenzare la corte, signore! Quest'uomo è...

Danforth          Vi prego, signor Parris; signor Proctor, credo vi sia noto come nell'attuale processo lo Stato assume che, tramite queste ragazze, sia la voce del Cielo che parla?

Proctor            Lo so, signore.

Danforth          (dopo una pausa, guarda Proctor, poi si rivolge a Mary Warren) E tu, Mary Warren, come mai hai accusato tante persone di aver mosso gli spiriti contro di te?

Mary                Era tutta una finzione, signore.

Danforth           ... Non ti sento...

Proctor            Ha detto che era tutta una finzione.

Danforth          Ah? E le altre ragazze? Susanna Walcott e... le altre. Fingono anche loro?

Mary                Sì, signore.

Danforth          (con occhi spalancati) Davvero! (Pausa. Rimane perplesso. Si volta per poter studiare il volto di Proctor).

 Parris             (sudando) Eccellenza, non permetterete certo che, in pieno processo, vengano pronunciate menzogne cosi in­fami.

Danforth          No certo. Ma mi colpisce il fatto che abbia osato pre­sentarsi qui a raccontare di queste storie. Signor Proctor, prima ancora di decidere se vorrò ascoltarvi o meno, è mio dovere avvertirvi che noi disponiamo qui di un fuoco capace di far saltare fuori qual siasi segreto.

Proctor            Lo so, signore.

Danforth          Lasciatemi finire. Io capisco che l'affetto possa spingere un marito a tentare qualsiasi cosa pur di salvare la pro­pria moglie. Siete però sicuro, in piena coscienza, signore, che le vostre prove costituiscano la verità?

Proctor            Sì. E ne sarete convinto anche voi.

Danforth          E voi pensavate di fare queste rivelazioni pubblicamente, davanti alla corte?

Proctor            Avevo intenzione di farlo, sì... con il vostro permesso.

Danforth          (aggrottando le sopracciglia) Ora, ditemi signore. Qual è il motivo che vi spinge ad agire?

Proctor            Io... io... voglio salvare mia moglie, signore.

Danforth          Non covate nel vostro cuore, né avete in animo l'inten­zione di influenzare la corte?        

Proctor            (dopo un'esitazione quasi impercettibile) Ma no, signore. Cheever   (svegliandosi, schiarendosi la gola) Eccellenza!

Danforth          Signor Cheever.

Cheever           Credo sia mio dovere, signore... (A Proctor, con genti­lezza) Non lo potete negare, John. (A Danforth) Quando siamo andati ad arrestare sua moglie, egli ha inveito con­tro la corte e ha strappato il mandato d'arresto.

Parris              Vedete?                                                                            

Danforth          È vero, signor Hale?

Hale                (con un sospiro) Sì, è vero.

Proctor            Avevo perso la testa, signore. Non sapevo quello che facevo.

Danforth          (studiandolo) Signor Proctor...

Proctor            Sì, signore...

Danforth           (guardandolo fisso negli occhi) Avete mai visto il Diavolo?

Proctor            No, signore.

Danforth          Siete sotto ogni rapporto un cristiano secondo il Vangelo?

Proctor            Lo sono, signore.

Parris              Un cristiano che viene in chiesa una volta al mese!

Danforth          (controllato, incuriosito) Una sola volta al mese?

Proctor            Io... io non ho nessuna stima del signor Parris. E non ne faccio un mistero. Ma amo certamente Dio!

Cheever           Semina i suoi campi la domenica, signore.

Danforth          Semina di domenica!

Cheever           (scusandosi) Credo che questo sia un elemento impor­tante, John. Sono un funzionario della corte, e non posso tacere.             

Proctor            Ho seminato una... o due volte di domenica. Ho tre fi­gli, signore, e fino all'anno scorso la mia terra ha reso poco.

Giles                Se si potesse sapere la verità, si troverebbero molti altri cristiani che lavorano la domenica.

Hale                Vostro Onore, non posso credere che vogliate giudicare quest'uomo su simili indizi.

Danforth          Io non giudico niente. (Pausa; continua a guardare Proc­tor che tenta di sostenere il suo sguardo) Vi dirò franca­mente, signore... in questo processo io ho visto cose piut­tosto straordinarie. Ho visto con i miei occhi persone soffocate dagli spiriti. Le ho viste trafitte da spilli e sfre­giate da pugnali. Fino a questo momento non ho avuto il minimo motivo per sospettare che le ragazze abbiano voluto ingannarmi. Capite cosa voglio dire?

Proctor            Eccellenza, non vi colpisce però il fatto che fra le donne accusate, tante abbiano goduto, per tutta la loro vita, di una eccellente reputazione e...

Parris              Voi leggete la Bibbia, signor Proctor?

Proctor            Leggo la Bibbia.

Parris              Non lo credo, o sapreste che Caino era considerato un uomo irreprensibile e tuttavia assassinò Abele.

Proctor            Sì, questo ce lo dice Dio. (A Danforth) Ma chi può dirci che Rebecca Nurse avrebbe assassinato sette bambini usando delle sue arti malefiche? Lo dicono quelle ragazze e questa, invece, giurerà di avervi mentito.

Danforth riflette, poi fa cenno a Hathorne di avvicinarsi.  Hathorne si china mentre Danforth gli parla nell'orecchio.

Hathorne         (annuisce) Sì, è proprio lei.

Danforth          Signor Proctor, stamattina vostra moglie mi ha mandato una dichiarazione nella quale afferma di essere incinta.

Proctor            Mia moglie incinta?                                                         

Danforth          L'abbiamo fatta visitare, ma non è stato riscontrato alcun indizio di gravidanza.

Proctor            Ma se lei dice di essere incinta, sarà certamente vero! È una donna che non mentisce mai, signor Danforth.

Danforth          Mai?

Proctor            Mai, signore, mai!

Danforth          Abbiamo pensato che la cosa era troppo vantaggiosa per lei, per poterle credere senz'altro. Comunque, ora vi co­munico che lei sarà trattenuta per un altro mese, e se cominciassero a rivelarsi i segni naturali della sua con­dizione l'avrete viva ancora per un anno, fino a che non abbia partorito... che avete da dire?                              

Colpito, Proctor tace.

Avanti, avete detto che il vostro unico scopo era quello di salvare vostra moglie. Ebbene, vostra moglie è salva almeno per quest'anno, e un anno è piuttosto lungo.

In conflitto con se stesso, Proctor guarda Francis e Giles.

Volete ritirare l'accusa?

Proctor            Non posso.

Danforth          (con  durezza appena percettibile nella voce) Dunque, avete delle mire più lontane.

Parris              È venuto per influenzare la corte, Vostro Onore!         

Proctor            Questi sono i miei amici. Anche le loro mogli sono state accusate...

Danforth          (improvvisamente  brusco)  Io non vi giudico, signore. Sono pronto a prendere atto delle vostre prove.

Proctor            Io non sono venuto per minare l'autorità della corte; voglio solo...       

Danforth          Maresciallo, andate in aula e dite al giudice Stoughton di sospendere l'udienza per un'ora. E se vogliono, pos­sono andare alla taverna. Tutti i testi e i prigionieri ri­mangono in aula.

Herrick            Sì, signore. (Con molta deferenza) Se mi è permesso parlare, signore, vorrei dire che ho conosciuto quest'uomo per tutta la mia vita. È un brav'uomo, signore.

Danforth          (risentendosi della implicita critica indirizzatagli) Non ne dubito.

Herrick annuisce, poi esce.

Dunque, quali prove ci portate, signor Proctor? Vi prego di essere franco, limpido come il cielo, e sincero.

Proctor            (mentre tira fuori alcuni fogli di carta) Non sono un av­vocato, perciò io...

Danforth          I puri di cuore non hanno bisogno di avvocati. Esponete come meglio credete.

Proctor            (consegnando un foglio a Danforth) Volete prima leggere questo, signore? È una dichiarazione. Le persone che l'hanno firmata attestano l'ottima opinione che esse hanno di Rebecca, di mia moglie e di Martha Corey.

Danforth guarda il foglio.

Parris              (cercando di provocare il sarcasmo di Danforth) L'ottima opinione!

Ma Danforth continua a leggere, e Proctor si sente incoraggiato.

Proctor            Questi sono tutti contadini proprietari di terra, e membri della chiesa. (Con delicatezza, cercando di indicare uno dei paragrafi) Vi faccio osservare, signore... che conoscono queste donne da molti anni e nessuno ha mai potuto sospettare che esse trafficassero con il Diavolo.

Parris, innervosito, si accosta e si mette dietro le spalle di Danforth per leggere.    

Danforth          (guardando la lunga lista) Quante firme ci sono qui?

Francis            Novantuno, Eccellenza.

Parris              (sudando) Tutte queste persone dovrebbero essere citate.

Danforth gli rivolge uno sguardo interrogativo.

Per essere interrogate.

Francis            (tremando di collera) Signor Danforth, ho dato a tutti la mia parola che non avrebbero avuto nessuna noia per aver firmato.

Parris              Questo è un evidente attentato contro la corte!

Hale                (cercando di controllarsi, a Parris) Ma perché qualsiasi difesa dovrebbe costituire un attentato contro la corte? Non si può nemmeno...

Parris              Tutte le persone innocenti e veramente cristiane sono liete che ci sia questa corte a Salem. Invece, questa gente se ne rammarica (indirizzandosi a Danforth) e io credo che voi vorreste sapere, da ciascuno di loro, perché non siano contenti di voi.

Hathorne         Io ritengo che debbano essere interrogati, signore.

Danforth          Non è detto che si tratti di un attentato contro la corte. Tuttavia...

Francis            Sono tutti devoti e fedeli cristiani, signore.

Danforth          Allora non hanno niente da temere. (Consegna il foglio a Cheever) Cheever, fate spiccare mandati contro tutte queste persone... fermo per interrogatorio. (A Proctor) Dunque, signore, quali altre informazioni volete darci?

Francis rimane immobile,  inorridito.

Potete sedervi, signor Nurse.

Francis            Ho messo questa gente nei guai, ho fatto...

Danforth          No, vecchio. Non avete fatto niente di male perché que­ste persone non hanno nulla da temere se hanno la co­scienza a posto. Ma dovete rendervi conto di una cosa, signore. Non esistono vie di mezzo: o uno è favorevole a questa corte, o deve esserne considerato nemico. Vi­viamo un momento particolarmente difficile e ben defi­nito. Siamo lontani, ormai, da quello stadio crepuscolare in cui il male poteva confondersi col bene, provocando smarrimento e confusione in questo nostro mondo. Oggi, per grazia di Dio, il sole splende alto e chi non ha ragione di temere la luce, non può che rallegrarsene. Spero che voi siate tra questi.

D'improvviso Mary scoppia in lacrime.

Non si sente bene?

Proctor            No, non si sente bene, signore. (Curvandosi su Mary, le prende la mano, e le dice con dolcezza) Ricordati quello che disse l'angelo Raffaele al fanciullo Tobia. Ricordalo.

Mary                (appena percettibile) Sì.

Proctor            « Fa' quello che è giusto, e non ti sarà fatto nessun male ».

Mary                Sì.

Danforth          Avanti, uomo, stiamo aspettando.                        

Rientra il maresciallo Herrick che si apposta alla porta.

Giles                John, la mia deposizione, dategli la mia.             

Proctor            Sì. (Consegna un altro foglio a Danforth) Questa è la de­posizione del signor Corey.

Danforth          Oh! (Guarda il foglio).

Hathorne si avvicina dietro e legge insieme a lui.

Hathorne         (sorpreso) Quale avvocato ve l'ha redatta, Corey?

Giles                Sapete benissimo, Hathorne, che non ho mai consultato un avvocato in vita mia.       

Danforth          (terminando la lettura) È molto ben scritta. I miei com­plimenti. Signor Parris, se il signor Putnam è in aula, volete farlo venire qui?

Hathorne prende la deposizione e si avvicina alla finestra.  Parris esce per andare in aula.

Non avete mai avuto nessuna istruzione in legge, signor Corey?

Giles                (compiaciuto) La migliore, signore... sono andato in tri­bunale trentatre volte in vita mia. E sempre come querelante.

Danforth          Oh, allora siete spesso vittima di vessazioni.

Giles                Vittima? Ma neanche per sogno! Conosco i miei diritti, signore, e li difendo. Vostro padre, sapete, presiedette una mia causa... trentacinque anni fa, mi pare.

Danforth          Davvero?

Giles                Non ve ne ha mai parlato?

Danforth          No, non me ne ricordo.                                                     

Giles                Strano, perché mi fece ottenere nove sterline di risarci­mento di danni.  Era un giudice onesto, vostro padre. Vedete, a quel tempo avevo una cavalla bianca e un tale   venne a chiedermi di prestargliela...

Entra Parris con Thomas Putnam. Quando scorge Putnam, svanisce la   disinvoltura di Giles.

(Diventa duro) Ah, eccolo.

Danforth          Signor Putnam, abbiamo qui un'accusa contro di voi, presentata dal signor Corey. Egli afferma che voi avreste premeditatamente istigata vostra figlia ad accusare di stregoneria George Jacobs, che ora si trova in prigione.

Putnam            È falso.

Danforth          (rivolgendosi a Giles) Il signor Putnam afferma che la vostra accusa è una menzogna. Che cosa potete rispondere?

Giles                (furioso, con i pugni stretti) Una scorreggia in faccia al signor Putnam: ecco la mia risposta!

Danforth          Con quali prove sostenete la vostra accusa, signore?

Giles                Le mie prove le avete lì. (Additando il foglio) Se Jacobs sarà impiccato per stregoneria, la sua proprietà verrà con­fiscata... così vuole la legge! E non c'è nessuno all'infuori di Putnam che disponga di tanti quattrini per poter acqui­stare una tenuta così grande. Quest'uomo vuole distrug­gere i suoi vicini per papparsi la loro terra!

Danforth          Ma le prove, signore, le prove.

Giles                (additando la deposizione) Le prove le avete lì! Mi è stato riferito da un uomo onestissimo che lo ha sentito dalla bocca di Putnam! Il giorno in cui sua figlia accusò Jacobs, lui dichiarò che lei gli aveva regalato così un bel po' di terra.

Hathorne         E come si chiama quest'uomo?

Giles                (sconcertato) Quale uomo?

Hathorne         L'uomo che vi ha dato quest'informazione.

Giles                (esita, poi) Ma... non posso dirvi il suo nome.        

Hathorne         E perché no?

Giles                (esita, poi prorompe) Sapete benissimo perché no! Finirebbe in carcere se vi dicessi il suo nome!          

Hathorne         Questo è vilipendio della corte, signor Danforth!

Danforth          (per evitare complicazioni) Ma voi certamente ci direte il suo nome.

Giles                Non vi dirò nessun nome. Una volta ho fatto il nome di mia moglie e per questo brucerò all'Inferno per l'eternità. Adesso non parlo più.

Danforth          Quand'è così, non mi resta che farvi arrestare per vili­pendio alla corte, lo sapete?

Giles                Questo è un interrogatorio, e non potete farmi arrestare per vilipendio durante un interrogatorio.

Danforth          Ah! ma siete proprio un avvocato! Volete allora che io dichiari aperta qui l'udienza della corte? o siete disposto a rispondere?

Giles                (con trepidazione) Non posso dirvi nessun nome, signore, non posso.

Danforth          Siete un vecchio imbecille. Signor Cheever, scrivete il verbale. L'udienza è aperta! Vi interrogo, signor Corey!

Proctor            (interrompendo) Vostro Onore... Giles ha avuta l'informazione segretamente, e non...

Parris              Il Diavolo vive di questi segreti! (A Danforth) Senza segreti non ci potrebbero essere congiure, Vostro Onore.

Hathorne         Credo che il vincolo del segreto debba essere sciolto, signore.

Danforth          (a Giles) Vecchio, se il vostro informatore dice la verità, che venga qui, da uomo d'onore. Ma se egli intende na­scondersi dietro l'anonimo, io devo conoscerne il motivo. Dunque, signore, il Governo e la Chiesa suprema esigono da voi il nome della persona che ha accusato il signor Thomas Putnam di essere un volgare assassino.   

Hale                Eccellenza...

Danforth          Signor Hale.

Hale                 Non è più possibile nascondercelo. Una tremenda paura di questa corte si è diffusa in tutto il paese...

Danforth          Ciò significa che si è diffuso in tutto il paese un tremendo senso di colpa? Voi avreste paura di essere interrogato qui?

Hale                Io posso avere paura soltanto del Signore; ma in paese tutti hanno paura.

Danforth          (irato) Non mi vorrete ritenere responsabile della paura diffusa in paese. Hanno paura perché esiste una congiura insidiosa che mira a rovesciare Cristo!

Hale                Ma non è detto che tutti gli accusati debbano per forza farne parte.

Danforth          Nessun uomo retto può aver paura di questa corte, si­gnor Hale! Nessuno! (A Giles) Voi siete in arresto per vilipendio alla corte. Ora, sedetevi e rifletteteci sopra, o sarete rinchiuso in carcere fino a quando non avrete de­ciso di rispondere a tutte le domande.

Giles Corey si slancia verso Putnam.

Proctor            (si precipita a trattenerlo) No, Giles!

Giles                (a Putnam, al disopra delle spalle di Proctor) Ti taglierò la gola, Putnam. Ti ammazzerò!

Proctor            (facendolo sedere a forza) No, Giles! Calma, Giles, calma. (Rilasciandolo) Mostreremo le nostre prove. Subito. (Si rivolge a Danforth).

Giles                Non dite nient'altro, John. (Additando Danforth) Vuol farvi cadere in trappola! Vuole impiccarci tutti quanti!

Mary Warren scoppia in lacrime.

Danforth          Questa è una corte di giustizia, signore. Non tollero nessun affronto.

Proctor            Scusatelo, signore, per la sua età. Calma, Giles, ora da­remo tutte le prove. (Solleva il mento di Mary) Non piangere, Mary. Ricordati dell'angelo e di quello che disse al fanciullo. Pensa soltanto a questo; e ti darà coraggio.

Mary si acquieta.

(Tira fuori un foglio di carta e si rivolge a Danforth) Questa è la deposizione di Mary Warren. Vi... vi prego di ricordare, mentre la leggete, signore, che fino a due settimane fa Mary non era diversa dalle altre ragazze che sono qui oggi. (Parla con calma, controllando tutti i suoi timori, la sua collera, la sua ansia) Voi l'avete vista dibattersi. Ha urlato, ha giurato che spiriti maligni volevano soffocarla; ha perfino affermato che Satana, prendendo di volta in volta l'aspetto delle donne che ora sono in carcere, avrebbe tentato di carpire la sua anima, e che quando lei si è rifiutata...

Danforth          Tutto questo lo sappiamo già.

Proctor            Sì, signore. Ma ora, lei giura di non aver mai visto Sa­tana, e neppure gli spiriti, palesi o nascosti, che Satana avrebbe mandato per tormentarla. Ed afferma che le sue amiche mentono.

Mentre Proctor fa per porgere la deposizione a Danforth, Hale, tutto tremante, si avvicina a Danforth.

Hale                Un momento, Eccellenza. Credo che siamo giunti al noc­ciolo della questione.

Danforth          (con profonda apprensione) Lo penso anch'io.

Hale                Non posso dire se lui è un uomo onesto; lo conosco troppo poco. Ma, se vogliamo essere giusti, signore, un'affermazione così grave non può essere perorata da un contadino. In nome di Dio, signore, fermatevi! Man­datelo a casa e fatelo ritornare accompagnato da un avvocato...

Danforth          (con pazienza) Sentite, signor Hale...

Hale                Eccellenza, ho firmato settantadue condanne a morte. Sono un ministro del Signore, e non oserei troncare una vita a meno che ci siano prove tanto lampanti da non dare adito a dubbi di coscienza.

Danforth          Mi auguro che non vogliate mettere in dubbio il mio senso di giustizia, signor Hale.

Hale                Ho firmato questa mattina la condanna di Rebecca Nurse, Vostro Onore. Non lo nascondo... la mia mano trema ancora come se fosse stata ferita. Vi prego, si­gnore, lasciate che siano degli avvocati a presentarvi questo ricorso.

Danforth          Signor Hale, credetemi. Da un uomo colto come voi non mi sarei mai aspettato tale confusione di idee. Perdona­temi se ve lo dico. Faccio l'avvocato da trentadue anni, signore. Eppure, se mi chiamassero a difendere questa gente, mi sentirei molto perplesso. Abbiate la bontà di ri­flettere. (A Proctor e agli altri) E lo chiedo anche a voi. Come viene difeso l'accusato in un delitto normale? Ven­gono chiamati dei testimoni che possono provarne l'in­nocenza. Ma la stregoneria, è, ipso facto, per sostanza e natura un delitto invisibile, vero? Quindi, chi potrebbe essere chiamato a testimoniare? Soltanto la strega e la sua vittima. Nessun altro. Orbene, noi non possiamo sperare che una strega accusi se stessa, lo ammetterete. Quindi, possiamo contare soltanto sulle vittime. Sono loro che de­vono testimoniare e le deposizioni delle ragazze, non c'è dubbio, sono state più che esaurienti. Quanto alle streghe, non si potrà negare che noi abbiamo fatto tutto il possi­bile per indurle a parlare. Non vedo, quindi, che cosa resterebbe da fare ad un avvocato. Credo di essermi spiegato, sì o no?

Hale                Ma questa ragazza afferma che le altre non dicono la verità, e se così fosse...

Danforth          È precisamente quello che ora vogliamo sondare, signore. Che cosa di più si può pretendere? A meno che non vo­gliate mettere in dubbio la mia buona fede.

Hale                (sconfitto) Certamente no, signore. Continuate pure, allora.

Dtnforth           Mettetevi il cuore in pace. La deposizione della ragazza, signor Proctor.

Proctor gliela consegna. Hathorne si alza, si avvicina al fianco di Dan­forth e legge. Parris si avvicina anche lui all'altro fianco di Danforth. Danforth guarda Proctor, poi legge. Hale si alza, trova un posto vi­cino al giudice e legge anche lui. Proctor guarda Giles. Francis prega in silenzio con le mani congiunte. Cheever attende placidamente come il solito funzionario deferente. Mary Warren emette un singhiozzo. Proctor le accarezza la testa per rassicurarla. Dopo un po', Danforth solleva gli occhi, si alza in piedi, tira fuori un fazzoletto e si soffia il naso. Gli altri si spostano mentr'egli, pensieroso, si muove verso la finestra.

Parris              (appena capace di contenere la sua ira e la sua paura) Vorrei interrogare...

Danforth          (la sua prima esplosione d'ira che rende chiaro il suo di­sprezzo per Parris) Signor Parris, vi ordino di tacere! (Rimane in silenzio, guardando fuori dalla finestra. Poi, deciso a regolare il passo) Signor Cheever, volete andare in aula e condurre qui le ragazze?

Cheever si alza ed esce.

(Si rivolge a Mary) Mary Warren, come mai questo vol­tafaccia? Il signor Proctor ti ha forse estorto questa depo­sizione con la violenza?

Mary                No, signore.

Danforth          Non ti ha mai minacciato?

Mary                (più debole) No, signore.                                               

Danforth          (accorgendosi di un cedimento) Ti ha minacciato?      

Mary                No, signore.

Danforth          Ammetti dunque di essere venuta davanti alla corte e di aver mentito freddamente, pur sapendo che la tua testi­monianza avrebbe fatto condannare le accusate alla forca?

Lei non risponde.

Rispondimi!

Mary                (appena percettibile) Sì, signore.                               

Danforth          Come sei stata educata? Non ti ha detto mai nessuno che Dio condanna tutti coloro che danno falsa testimonianza?

Mary è incapace di parlare.

O è adesso che menti?

Mary                No, signore... adesso sono con Dio.

Danforth          Adesso sei con Dio?

Mary                Sì, signore.

Danforth          (controllandosi) Stai bene attenta: o tu mentisci adesso, oppure hai mentito in tribunale e in un caso come nel­l'altro tu hai giurato il falso e perciò finirai in galera. Non si può smentire con tanta leggerezza una testimonianza, lo sai?

Mary                Non voglio più mentire. Sono con Dio, sono con Dio. (Scoppia in singhiozzi al solo pensiero).

La porta a destra viene aperta ed entrano Susanna Walcott, Mercy Le-wis, Betty Parris, Abigail e altre ragazze.

Cheever           (si avvicina a Danforth) Ruth Putnam non è in aula, signore!

Danforth          Bastano loro. Sedetevi, figliuole. La vostra amica Mary Warren ci ha presentato una deposizione nella quale di­chiara con giuramento di non aver mai visto spiriti né apparizioni né qualsiasi altra manifestazione del Diavolo. E afferma,  inoltre,  che neppure voi avreste  mai veduto  niente di simile. (Breve pausa). Ora, figliuole, questa è una corte di giustizia. La legge, basata sulla Bibbia, e la Bibbia, scritta da Dio Onnipotente, proibiscono le pra-tica di stregoneria e condannano a morte i trasgressori. Inoltre, figliuole, la legge e la Bibbia condannano tutti co­loro che attestano il falso. (Breve pausa). Non  sfuggo al sospetto che questa deposizione possa essere stata re­datta per confonderci. Niente di più probabile che Satana voglia servirsi di Mary Warren per distoglierci dal nostro sacro compito. Se così fosse, Mary Warren pagherà con la testa. Ma se Mary dice la verità, vi invito ad abbando­nare ogni astuzia e a confessare la vostra colpa poiché sol­tanto una confessione spontanea e immediata potrà rendere meno grave la vostra posizione.  (Pausa).  Abigail Williams, alzati.

Abigail si alza lentamente.

C'è qualcosa di vero in tutto questo?

Abigail             No, signore.

Danforth          (riflette, guarda Mary, poi di nuovo ad Abigail) Figliuole, indagheremo nelle vostre anime fino a che non otterremo la prova della vostra sincerità. Voi due: volete smentire le vostre rispettive affermazioni, o volete costringermi ad un duro interrogatorio?

Abigail             Non ho nulla da smentire, signore. È una bugiarda. Danforth    (a Mary) Insisti ancora nelle tue affermazioni?

Mary                (debolmente) Sì, signore.

Danforth          (rivolgendosi ad Abigail) Nella casa del signor Proctor è stata trovata una bambola, trafitta da un ago. Mary Warren afferma che tu eri seduta in aula accanto a lei quando ha fatto quella bambola, che tu l'hai vista mentre cuciva e che hai visto come lei stessa ci abbia messo dentro l'ago per sicurezza. Che ne dici?

Abigail             (con una lieve punta di indignazione) È una menzogna, signore.

Danforth          (dopo una breve pausa) Quando lavoravi per il signor Proctor, hai mai visto delle bambole in casa sua?

Abigail             La signora Proctor ha sempre avuto delle bambole.

Proctor            Vostro Onore, mia moglie non ha mai avuto bambole, Mary Warren ha confessato che la bambola è sua.

Cheever           Eccellenza.

Danforth          Signor Cheever.

Cheever           Quando ho parlato con la signora Proctor a casa sua, mi ha detto di non avere bambole. Ma ha anche detto di averne avute quando era bambina.

Proctor            Sono ben vent'anni che mia moglie non è più una bam­bina, Vostro Onore.

Hathorne         Ma una bambola può ben durare anche vent'anni, non è vero?

Proctor            Può durare se viene conservata. Ma Mary Warren giura di non aver mai visto delle bambole in casa mia, e nessun'altra persona le ha mai viste.

Parris              Non può darsi che ci fossero delle bambole nascoste dove nessuno avrebbe potuto vederle?

Proctor            (furioso) È anche possibile che ci sia un drago a cinque gambe in casa mia, ma nessuno lo ha mai visto.

Parris              Vostro Onore, siamo qui proprio per scoprire ciò che nessuno ha mai visto.

Proctor            Signor Danforth, quali vantaggi può aspettarsi questa ra­gazza dal suo voltafaccia? Che cosa ci può guadagnare Mary Warren se non un duro interrogatorio, e anche di peggio?

Danforth          Voi accusate Abigail Williams di aver freddamente com­plottato un diabolico omicidio. Ve ne rendete conto?

Proctor            Sì, signore. Credo infatti che voglia commettere un omicidio.

Danforth          (incredulo, additando Abigail) Questa bambina avrebbe intenzione di... assassinare vostra moglie?

Proctor            Non è una bambina, ascoltatemi, signore. Per ben due volte quest'anno, davanti a tutta la congregazione, è stata cacciata via di chiesa perché rideva durante la preghiera.

Danforth          (scosso, rivolgendosi ad Abigail) Cos'è questa storia? Ridevi durante la...

Parris              Eccellenza, a quel tempo lei era sotto l'influenza di Ti­tuba, ma ora è di nuovo seria e irreprensibile.

Giles                Già, ora è seria e irreprensibile e fa impiccare la gente!

Danforth          Silenzio, vecchio!

Hathorne         Comunque tutto ciò non ha niente a che vedere con il nostro caso. L'accusa è che lei avrebbe premeditato un omicidio.

Danforth          Già. (Osserva Abigail per un momento, poi) Andiamo avanti, signor Proctor.

Proctor            Mary, vuoi dire al Governatore come avete ballato nel bosco?

Parris              (subito) Eccellenza,  da  quando sono venuto a  Salem, quest'uomo ha cercato di disonorare il mio nome. Lui...

Danforth          Un momento, signore. (Severo e stupito, a Mary Warren) Che cos'è questa storia del ballo?

Mary                Io... (Guarda Abigail che la fissa minacciosamente per in­timidirla. Poi, supplicando, a Proctor) Signor Proctor...

Proctor            Abigail ha portato le ragazze nella foresta, Vostro Onore, e lì hanno ballato nude...

Parris              Vostro Onore, questo...

Proctor            (subito) È stato proprio il signor Parris a scoprirle, in piena notte! Ecco che genere di bambina è questa.

Danforth          (la situazione precipita e lui si rivolge, stupito, verso Parris) Signor Parris...

Parris              Posso soltanto assicurare, signore, di non aver visto nessuna di queste ragazze nuda. Quell'uomo è...

Danforth          Ma le avete scoperte che ballavano nel bosco? (I suoi occhi fissi su Parris, addita Abigail) Abigail?

Hale                Eccellenza. Il giorno che sono arrivato da Beverly, la prima volta il reverendo Parris mi parlò proprio di questo.

Danforth          Voi lo negate, signor Parris?

Parris              No, signore, ma nessuna di loro era nuda.

Danforth          Ma Abigail ballava?

Parris              (a malincuore) Sì, signore.

Danforth guarda Abigail come se la vedesse per la prima volta.

Hathorne         Eccellenza, volete permettermi? (Addita Mary Warren). Danforth   (preoccupatissimó) Prego, continuate.

Hathorne         Tu dici di non aver mai visto spiriti, Mary: che non sei mai stata minacciata o tormentata da apparizioni del Dia­volo o dei suoi emissari?

Mary                (molto debolmente) No, signore.

Hathorne         (con un sorriso di vittoria) Eppure, quando le persone ac­cusate di stregoneria sono state messe a confronto con te in tribunale, tu svenivi, e dicevi che gli spiriti maligni comandati da loro si scatenavano contro di te per soffocarti.

Mary                Era finzione, signore.

Danforth          Non ti ho sentito...

Mary                Finzione, signore...

Parris              Ma è pur vero che tu diventavi fredda. Io stesso ti ho sol­levata da terra pili di una volta e la tua pelle era fredda come il ghiaccio. Signor Danforth, voi...

Danforth          L'ho notato anch'io.

Proctor            Fingeva di svenire, eccellenza... Sono tutte brave a fingere.

Hathorne         Allora, potrebbe fingere di svenire anche adesso?

Proctor            Adesso?                                                                            

Parris              Perché no? Adesso non ci sono spiriti maligni che la ag­grediscono, giacché nessuno in questa stanza è sotto ac­cusa di stregoneria. Allora che si faccia diventar fredda, che finga di essere aggredita, che svenga. (Si rivolge a Mary Warren) Svieni.

Mary                Svenire?

Parris              Sì, svieni. Dacci una prova di come hai potuto fingere in tribunale, tante volte.

Mary                (guardando   Proctor)   Io... non posso svenire adesso, signore.

Proctor            (allarmato, ma con calma) Non puoi fingere?

Mary                Io... (Si guarda intorno come se cercasse l'emozione per svenire) Io, io non sento di poter svenire adesso, io...

Danforth          Perché? Che cosa ti manca adesso?

Mary                Non... non saprei dirlo, signore, io...

Danforth          Perché qui non ci sono spiriti maligni, come ce ne erano in aula?

Mary                Io non ho mai visto spiriti maligni.

Parris              Né li vedi adesso, quindi, dacci la prova che puoi svenire a volontà, come hai affermato.

Mary                (guarda fissa, cercando di crearsi un'emozione per sve­nire, poi scuote la testa) No... non riesco.

Parris              Allora vuoi confessarlo o no? Erano gli spiriti maligni che ti facevano svenire.                                          

Mary                No, signore, io..»                                        

Parris              Eccellenza, questo è un trucco per ingannare la corte!

Mary                Non è un trucco! (Si alza in piedi) Io... io svenivo per­ché... credevo di vedere gli spiriti.

Danforth          Credevi di vederli!

Mary                Ma non li vedevo, Vostro Onore.

Hathorne         Come potevi credere di vederli se non li avevi mai visti?

Mary                Non... so spiegarlo, ma è così. Sentivo le altre ragazze che urlavano, e voi, Vostro Onore... sembrava che ci credeste, e io... Era soltanto un giuoco da principio, signore, ma poi tutti gridavano: gli spiriti, gli spiriti: e io... vi giuro, signor Danforth, io credevo solo di vederli, ma non li ho visti veramente...

Danforth la guarda fisso.

Parris              (sorridendo nervosamente perché Danforth sembra colpito dalle parole di Mary) Certo, Vostra Eccellenza non si lascerà ingannare da questa puerile menzogna.

Danforth          (preoccupato, rivolgendosi ad Abigail) Abigail. Ti chiedo ora di scrutare nella tua coscienza e di rispondermi... e bada bene, figliuola... per il Signore ogni creatura è pre­ziosa e la sua vendetta contro chi sopprime senza ragione una vita è terribile. È possibile, figliuola, che gli spiriti che tu hai veduto fossero semplicemente una allucina­zione, una fantasia che può anche passare per la mente quando...

Abigail             Ma questa... questa... è una domanda indegna, signore.

Danforth          Figliuola, considerala come...

Abigail             Sono stata ferita, signor Danforth, e ho visto scorrere il mio sangue. Ogni giorno rischio di essere uccisa perché ho fatto il mio dovere smascherando i compiici del Dia­volo. E questa è la mia ricompensa?... di essere sospet-tata, smentita, interrogata come una...?

Danforth          (cedendo) Figliuola, io non sospetto di te, ma...

Abigail             (minacciando apertamente) State piuttosto attento a voi, signor Danforth. Vi credete tanto forte che la potenza del­l'Inferno non possa influenzare anche la vostra mente? State attento! Perché c'è... (Improvvisamente il suo volto, pieno di emozione accusatrice, si volge e guarda in alto, acquistando una espressione di vero spavento).

Danforth          (con apprensione) Che cosa c'è figliuola?

Abigail             (guardando in aria e abbracciandosi le spalle come se avesse freddo) Io... non so. Un vento freddo. (Il suo sguardo cade su Mary Warren).

Mary                (terrorizzata, supplicando) Abby, no!

Mercy              (tremando) Ho freddo, Vostro Onore!

Proctor            Fingono!

Hathorne         (toccando la mano di Abigail) È fredda, Vostro Onore. Toccatela!

Mercy              (battendo i denti) Mary, sei tu che mandi quest'ombra su di me?

Mary                Oh Dio, salvami!

Susanna           Ho freddo, ho freddo!

Abigail             (tremando visibilmente) Il vento, il vento!

Mary                Abby, non fare così.

Danforth          (impressionato, e convinto da Abigail) Mary, sei tu che la tormenti? Ti domando: sei tu che soffi lo spirito maligno contro di lei?

Con un grido isterico, Mary Warren comincia a scappare via. Proctor l'afferra.

Mary                (quasi svenendo) Lasciatemi andare, signor Proctor, non posso, non posso...                                                           

Abigail             (gridando al ciclo) Padre Celeste, fai sparire quest'ombra!

Senza avvertimento o esitazione, Proctor si scaglia contro Abigail, l'af­ferra per i capelli e la tira su in piedi. Lei grida dal dolore.

Danforth          (stupito) Cosa fate?

Hathorne e Parris Non toccatela! Non toccatela!

Proctor            (ad alta voce) Come osi rivolgerti al Cielo! Sgualdrina! Sgualdrina!

Herrick la libera da Proctor.

Danforth          Uomo! Uomo, che cosa...?

Proctor            (soffrendo, senza respiro) È una sgualdrina!

Danforth          (allibito) Voi accusate...?

Abigail             È falso, signor Danforth!

Proctor            Guardatela! Ora caccerà degli urli come pugnalate, ma...

Danforth          Dovete darci le prove! A questo non si può passare sopra.

Proctor            (tremando, tutta la sua vita gli sta crollando intorno) Io l'ho conosciuta, signore. L'ho conosciuta.

Danforth          Voi... voi siete un adultero? Francis   (inorridito) John, non potete dire una simile...

Proctor            Oh Francis, se foste meno buono mi comprendereste! (A Danforth) Un uomo non butta via per niente il suo buon nome, almeno questo dovete saperlo.

Danforth          (stupito) Ma... ma quando? Dove?

Proctor            (la voce sua sta per spezzarsi, ed è in preda a una gran vergogna) Nel luogo più appropriato... sulla lettiera delle mie bestie. L'ultima notte della mia vita serena, otto mesi fa. Faceva la serva in casa mia, signore. (Serra i denti per non piangere) Un uomo può credere che Dio dorma, ma Dio vede tutto. L'ho capito ora. Vi prego, signore, vi sup­plico... giudicatela per quella che è. Poco tempo dopo, mia moglie, la mia cara buona moglie, ha preso questa ragazza, signore, e l'ha buttata fuori di casa. E siccome lei è quella che è, un mostro di vanità, signore... (È quasi sopraffatto) Eccellenza, perdonatemi, perdonatemi... (In­dignato contro se stesso, volta la schiena a Danforth per un momento, poi, come se il gridare fosse l'unico modo di esprimersi che gli resti) Sperava di ballare con me sulla tomba di mia moglie! Ha avuto ragione di pensarlo poi­ché io l'avevo trattata con tenerezza. Dio mi perdoni, ho peccato con lei e in quel sudore c'era una promessa. Ma la sua è la vendetta di una sgualdrina, e dovete rendervene conto. Mi sono messo completamente nelle vostre mani. Sono certo che ora mi crederete.

Danforth          (pallido, inorridito, rivolgendosi ad Abigail) Tu neghi tutte queste accuse?

Abigail             Se sarò costretta a rispondere, andrò via di qui e non tornerò mai più.                                                            

Danforth sembra incerto.

Proctor            Ho messo in piazza il mio onore. Ho scavato la fossa al mio buon nome... dovete credermi, signor Danforth! Mia moglie è innocente; soltanto sapeva riconoscere a prima vista una sgualdrina!

Abigail             (avvicinandosi a Danforth) Perché mi guardate così?

Danforth non è capace di parlare.

Non tollero che mi si guardi così. (Si volta e si avvia verso la porta).

Danforth          Resta dove sei!

Herrick le sbarra il passaggio. Abigail si ferma; ha lo sguardo acceso.

Signor Parris, andate in aula e conducete qui la signora Proctor.

Parris              (obbiettando) Vostro Onore, questo è tutto un...

Danforth          (aspramente a Parris) Fatela venire qui! E non ditele una sola parola di ciò che è successo qui.

Parris esce.

Ora toccheremo il fondo di questo pantano. (A Proctor) Vostra moglie, dunque, è una donna onesta.

Proctor            In vita sua, signore, non ha mai mentito. L'ho imparato a mie spese, signore. C'è chi non sa cantare e chi non sa piangere... mia moglie non sa mentire.

Danforth          E ha cacciato di casa questa ragazza perché era una sgualdrina?

Proctor            Sì, signore.

Danforth          Va bene. (Ad Abigail) E se la signora Proctor mi dice che sei stata cacciata come una sgualdrina, che Dio abbia pietà di te, figliola.

Bussano alla porta.

Un momento. (Ad Abigail) Voltati, voltati. (A Proctor) Anche voi.

Tutt'e due si voltano. Abigail con lentezza, indignata.

Ora che nessuno di voi due si volti verso la signora Proctor, e che nessuno parli, né faccia segno per affermare o negare. (Si volta verso la porta) Entrate!

Si apre la porta.  Elizabeth entra insieme a Parris.  Parris si stacca da lei. Elizabeth rimane sola; i suoi occhi si fissano su Proctor.

Entrate. Signor Cheever, mettete a verbale questa testi­monianza con la massima precisione. Siete pronto?

Cheever           Pronto, signore. 

Danforth          Avanti voi.

Elizabeth si avvicina, guardando Proctor che le volta le spalle.

Guardate soltanto me, non vostro marito. Guardatemi negli occhi.

Elizabeth         Va bene, signore.

Danforth          Abbiamo saputo che tempo fa avete licenziato la vostra serva, Abigail Williams.

Elizabeth         È vero, signore.

Danforth          Per quale motivo l'avete licenziata?

Breve pausa. Elizabeth cerca di guardare Proctor.

Vi ho detto di guardarmi negli occhi e di non voltarvi verso vostro marito. La risposta la conoscete, non avete bisogno di aiuto per pronunciarla. Perché avete licenziato Abigail Williams?

Elizabeth         (non sa che cosa dire, ma ha la sensazione di trovarsi al centro di una situazione cruciale. S'inumidisce le labbra, e cerca di guadagnare tempo) Non... non ero contenta di lei. (Pausa). E neanche mio marito.

Danforth          Perché non eravate contenta?

Elizabeth         Era... (Guarda Proctor come per aver un suggerimento).

Danforth          Donna, guardate me!

Elizabeth obbedisce.

Era pigra? Disordinata? che noie vi ha dato?

Elizabeth         Vostro Onore... a quel tempo, io ero ammalata. E io... mio marito è un brav'uomo onesto. Non si ubriaca mai come fanno tanti altri, né perde il suo tempo a giocare, ma pensa sempre al lavoro. Però durante la mia ma­lattia... vedete, signore, sono stata molto ammalata dopo la nascita del mio ultimo bambino... ho avuto la sensazione che mio marito si fosse un po' allontanato da me. E questa ragazza... (Si volta perso Abigail).

Danforth          Guardate me.

Elizabeth         Sì, signore, Abigail Williams... (S'interrompe).

Danforth          Abigail Williams, che cosa?

Elizabeth         Ho cominciato a pensare che a lui piacesse. E allora una notte ho perso la testa, credo, e l'ho buttata fuori di casa.

Danforth          Ma vostro marito... si era veramente allontanato da voi?

Elizabeth         (soffrendo acutamente) Mio marito... è un brav'uomo, signore.

Danforth          Allora, non si era allontanato da voi.

Elizabeth         (cominciando a guardare Proctor) Lui...

Danforth          (prende il volto di Elizabeth tra le mani) Guardate me. Per quanto voi sappiate, John Proctor ha mai commesso peccato di adulterio?

In preda ad una crisi di incertezza, Elizabeth non è capace di parlare.

Rispondete alla mia domanda!  È un adultero,  vostro marito?

Elizabeth         (debolmente) No, signore.

Danforth          Portatela via.

Proctor            Elizabeth, di' la verità!

Danforth          Ha risposto. Portatela via!                                           

Proctor            (gridando) Elizabeth, io ho confessato!                 

Elizabeth         Oh Dio! (Sparisce dietro la porta che si chiude).

Proctor            Ha voluto solo difendere il mio buon nome, Elizabeth!

Hale                Eccellenza,  è  una  bugia  comprensibilissima...   Sospendiamo tutto, vi prego, prima che qualcun altro venga condannato! Non posso più far tacere la mia coscienza... da quella testimonianza trapela una vendetta personale. Sin dal primo momento ho avuto l'impressione che quest'uomo fosse sincero. Sul giuramento che mi lega a Dio io gli presto fede e vi prego di richiamare sua moglie prima che noi...

Danforth          Lei non ha parlato di adulterio, dunque quest'uomo ha mentito!

Hale                Io credo a lui! (Additando Abigail) Ho sempre avuto il sospetto che questa ragazza fosse falsa e bugiarda. Ha...

Abigail getta un grido verso il soffitto... un grido strano, selvaggio, raccapricciante.

Abigail              No... Vai via! Vai via!

Danforth          Che cosa c'è, figliuola?

Ma Abigail, puntando il dito in alto, solleva il viso... gli occhi pieni di spavento... verso il soffitto. Le altre ragazze la imitano. Ed ora fanno lo stesso anche Hathorne, Hale, Putnam, Cheever, Herrick e Danforth.

Che cosa c'è lassù? (Abbassa gli occhi dal soffitto e ora dimostra di aver paura. C'è una tensione genuina nella sua voce) Figliuola!

Abigail e le altre ragazzesono in trance. Tutte guardano il soffitto, con la bocca aperta e occhi spalancati, e piagnucolano.                                       

Figliuole! Perché gridate?

Mercy              (additando in su) È sulla trave! Dietro il puntone!

Danforth          (guardando in su) Dove?

Abigail             Perché... (Trattiene il respiro) Perché sei venuto? (Al soffitto) Il mio viso! Il mio viso!

Proctor            Signor Hale...

Danforth          Silenzio!

Proctor            (a Hale) Voi vedete qualche cosa?           

Danforth          Silenzio!

Abigail             (al soffitto, tenendo una vera e propria conversazione con l'« uccello », come se cercasse di convincerlo a non aggre­dirla) Dio mi ha davo questo viso; non devi graffiarmelo. L'invidia è un peccato mortale, Mary.

Mary                (saltando in piedi, inorridita, supplicandola) Abby!

Abigail             (imperturbata, continua a parlare all'uccello ») Oh, Mary, come fai a cambiare di aspetto. No, non posso, non posso tacere. Io sono al servizio di Dio.

Mary                Abby, io sono qui!

Proctor            (freneticamente) Fingono, signor Danforth!

Abigail             (indietreggiando di un passo come se temesse che l'« uc­cello » le si getti addosso) Oh, ti prego, Mary! Non venir giù.

Susanna           Gli artigli, mette fuori gli artigli!

Proctor            Menzogne, menzogne!

Abigail             (indietreggiando ancora, gli occhi fissi in su) Mary, ti prego, non farmi male!

Mary                (a Danforth) Io non le faccio niente!

Danforth          (a Mary Warren) Perché allora avrebbe questo incubo?

Mary                Non vede niente!

Abigail             (gli occhi fissi avanti come se fosse ipnotizzata, imita il tono esatto dell'esclamazione di Mary Warren) Non vede niente!

Mary                (supplicando) Abby! Smettila!

Abigail e tutte

le ragazze        (come fossero in trance) Abby, smettila!

Mary                (alle ragazze) Sono qui, sono qui!

Le ragazze       Sono qui, sono qui!

Danforth          (inorridito) Mary Warren! Richiama lo spirito maligno e fa' cessare questo maleficio!                                             

Mary                Signor Danforth!

Le ragazze       (interrompendo) Signor Danforth!

Danforth          Hai fatto un patto col Diavolo, è vero?

Mary                Mai, mai!

Le ragazze       Mai, mai!

Danforth          (diventando isterico) Perché non fanno che ripetere le tue parole?

Proctor            Datemi una frusta... le faccio smettere io!

Mary                Stanno scherzando! Stanno...!

Le ragazze       Stanno scherzando! Stanno...!

Mary                (rivolgendosi a  loro  istericamente  e  battendo  i piedi) Abby, basta!

Le ragazze       (battendo i piedi) Abby, basta!

Mary                Basta!

Le ragazze       Basta!

Mary                (gridando a pieni polmoni e sollevando i pugni) Basta!

Le ragazze       (sollevando i pugni) Basta!

Completamente sconcertata e sopraffatta dalla  convinzione assoluta di Abigail e delle altre ragazze, Mary Warren, che si sente impotente a fermarle, incomincia a piagnucolare, alzando incerta le braccia. Tutte le ragazze la imitano esattamente.

Danforth          Fino a poco fa eri tu stessa ad essere tormentata. Ora sei tu che tormenti gli altri. Dove hai trovato questo potere?

Mary                (guardando Abigail) Io non ho nessun potere.

Le ragazze       Io non ho nessun potere.                       

Proctor            V'ingannano, signore!

Danforth          Come si spiega il tuo voltafaccia in queste ultime due set­timane? Hai fatto un patto con il Diavolo... non è vero?

Hale                (indicando Abigail e le ragazze) Non potete prestargli fede.

Proctor            (accorgendosi di un cedimento) Mary, Dio condanna i mentitori, Mary!

Danforth          (incalzando) Hai visto il Diavolo, hai fatto patto con Lu­cifero... è vero?

Proctor            Dio condanna i mentitori, Mary.

Mary dice qualcosa di inintelligibile,  fissando  Abigail che  continua  a guardare l'« uccello ».

Danforth          Confessa o sarai impiccata! (L'afferra bruscamente e la guarda in faccia) Lo sai chi sono io? Ti dico che, se non mi dici tutto, sarai impiccata!                                             

Proctor            Mary, ricordati dell'angelo Raffaele... fa' soltanto quello che è giusto e...

Abigail             (additando in alto) Le ali! Ha aperto le ali! Mary, ti prego, no, no...!

Hale                Io non vedo niente, Vostro Onore! Danforth   Confessa il tuo potere!

I loro visi quasi si toccano.

Parla!

Abigail             Sta per venir giù! Si muove sul trave!

Danforth          Parla!

Mary                (guardando fissa, inorridita) Non posso!       

Le ragazze       Non posso!

Parris              Scaccia il Diavolo! Guardalo in faccia! Calpestalo! Ti salveremo, Mary, resisti...   

Abigail             (guardando in su) Attenti! Sta venendo giù!

Abigail e le ragazze corrono insieme verso il muro, coprendosi gli occhi. Poi, come se si sentissero prese in trappola, emettono un urlo disperato, e Mary, ormai presa dalla suggestione, apre la bocca e strilla anche lei insieme a loro. Poi a poco a poco Abigail e le altre ragazze smettono di urlare fino a che la sola Mary resta a guardare in alto verso l'« uccello » e continua a strillare come una forsennata.  Tutti la guardano, inorriditi della sua convulsione.

Proctor             (l'avvicina) Mary,  di' al  Governatore  che  cosa  loro...

Proctor ha appena detto qualche parola che lei, vedendolo avvicinarsi, corre via gridando, terrorizzata.

Mary                Non mi toccate... non mi toccate!

Le ragazze si fermano vicino alla porta.

Proctor            (stupito) Mary!

Mary                (additando Proctor) Tu sei un agente del Diavolo!

Proctor si ferma, allibito.

Parris              Sia lodato Iddio!      

Le ragazze       Sia lodato Iddio!

Proctor            (esterrefatto) Mary, che cosa dici?

Mary                Non voglio essere impiccata con te! Io amo Dio. Io amo Dio.

Danforth          (a Mary) È stato lui a metterti al servizio del Diavolo?

Mary                (isterica, indicando Proctor) Veniva da me di notte, e tutti i giorni, per farmi firmare, firmare.

Danforth          Firmare che cosa?

Parris              Il libro del Diavolo? Veniva con un libro?

Mary                (isterica, additando Proctor, di cui ha paura) Il mio nome, voleva il mio nome. « Ti ammazzo, — diceva, — se impiccano mia moglie! Dobbiamo andare a sovvertire la corte... », mi diceva!

Danforth si volta bruscamente verso Proctor con un'espressione piena di orrore e di stupore.

Proctor            (rivolgendosi a Hale, implorante) Signor Hale!

Mary                (cominciando a piangere) Veniva a svegliarmi tutte le notti; i suoi occhi erano come carboni infuocati e le sue dita mi stringevano il collo, e io firmavo, firmavo...

Hale                Eccellenza, questa ragazza è impazzita!

Proctor            (mentre Danforth lo guarda con occhi spalancati) Mary, Mary!

Mary                (strillando a Proctor) No, io amo Dio. Non vengo più con te! Amo Dio. Io benedico Dio. (Singhiozzando, si slancia verso Abigail) Abby, Abby, non ti farò mai più del male!

Tutti guardano  mentre Abigail,  piena di  infinita carità,  abbraccia la piangente Mary. Poi Abigail rivolge lo sguardo a Danforth.

Danforth          (a Proctor) Chi siete voi?

Proctor è incapace di pronunciare parola per la collera.

Vi siete alleato all'Anti-Cristo... non è vero? Ho visto il vostro potere malefico, non potete più negarlo! Che cosa potete rispondere, signore?

Hale                Eccellenza...

Danforth          Non voglio più ascoltarvi, signor Hale! (A Proctor) Vo­lete confessare spontaneamente di essere stato contaminato dal Demonio? Rispondete.

Proctor            (quasi impazzito, senza respiro) Io dico... Io dico... che Dio è morto!

Parris              Sentitelo! Sentitelo!

Proctor            (ride forsennatamente, poi) Vedo un fuoco, un fuoco che brucia. Sento scalpitare lo zoccolo forcuto di Lucifero. Vedo già la sua lurida faccia ed è la mia faccia e la vostra, Danforth. La faccia degli uomini come me che non hanno il coraggio di combattere per liberare l'umanità dall'igno­ranza, e come voi che non avete il coraggio di ammettere quello che sapete nel profondo del vostro cuore maledetto, che qui si commette una frode. È soprattutto su uomini come noi che si abbatterà la dannazione di Dio. E noi bruceremo, bruceremo insieme all'Inferno.

Danforth          Maresciallo! Prendeteli, lui e Corey e buttateli in prigione!

Hale                (avvicinandosi alla porta) Io denuncio questo processo!

Proctor            Voi mortificate il Cielo per innalzare una sgualdrina!

Hale                Io protesto contro questi procedimenti! Mi dimetto dalla corte! (Esce sbattendo la porta).

Danforth          (chiamandolo, furioso) Signor Hale! Signor Hale!

Cala il sipario.


Atto quarto

Una cella nella prigione di Salem, in autunno.

In fondo, una finestra alta con inferriata, e vicino ad essa una grande porta massiccia.  Lungo i muri ci son due panche.

È buio; solo un chiaror di luna entra attraverso le sbarre. La cella sembra vuota. Poi, da oltre il muro si sentono dei passi per il corridoio, il

tintinnio di chiavi, e ora la porta viene aperta. Entra il maresciallo Herrick, portando una lanterna.

Herrick è mezzo brillo e si muove con passi pesanti. Si avvicina a una   panca e scuote un mucchio di stracci che vi giace sopra.

Herrick            Sarah, svegliati! Sarah Good! (Attraversa la cella verso l'altra panca).

Sarah               (alzandosi, avvolta nei suoi stracci) Oh, Maestà! Vengo subito, vengo! Tituba, svelta, è arrivata Sua Maestà!

Herrick            Passate nell'altra cella. Ho bisogno di questa. (Appende la lanterna al muro).

Tituba si alza a sedere.

Tituba              Non mi sembra Sua Maestà. Mi sembra il maresciallo.

Herrick            (tirando fuori una fiaschetta) Andiamo, sbrigatevi, sgom­brate.

Sarah               Oh, sei tu, maresciallo! Pensavo che tu fossi il Diavolo, venuto a prenderci. Mi dai un sorsetto di sidro per fe­steggiare la mia partenza?

Herrick            (consegnandole la fiaschetta) E dove vai, Sarah?

Tituba              (mentre Sarah beve) Andiamo alle Barbados. Ora viene il Diavolo e ci porta le penne e le ali.  

Herrick            Oh! Allora, buon viaggio.

Sarah               Saremo come due rondini in volo verso il meridione! Oh, che stupenda trasformazione, maresciallo!

Herrick            (prendendo la fiaschetta dalla bocca di Sarah) Beh, ora basta, o non sarai più capace di spiccare il volo. Su, an­diamo.

Tituba              Se mai vi piacesse di venire anche voi, maresciallo, posso raccomandarvi al Diavolo.

Herrick            Perché no, Tituba, è proprio una mattina adatta per volare all'Inferno.

Tituba              Oh, niente Inferno alle Barbados. Nelle Barbados il Dia­volo è un uomo allegro; lui canta e balla, nelle Barbados. Siete voi da queste parti a farlo arrabbiare; fa troppo freddo qui per quel Bravo Ragazzo. Muore di freddo nel Massachusetts, ma nelle Barbados è buono buono e... Eccolo! Sarah, è lui!

Sarah               Sono qui, Maestà!

Hopkins           È arrivato il vicegovernatore.

Herrick            (afferrando Tituba) Su, muovetevi.

Tituba              (opponendo resistenza) No, vuole me. Vuole portarmi a casa!

Herrick            (trascinandola verso la porta) Non è Satana, è una povera mucca gonfia di latte. Presto su, fuori di qui!

Tituba              (chiamando alla finestra) Portami a casa, Diavolo! Portami a casa!

Sarah               Digli che vengo anch'io, Tituba! Digli che viene anche Sarah Good!

Fuori nel corridoio si sente Tituba che continua a gridare: « Portami a casa, Diavolo, portami a casa! » e la voce di Hopkins che le comanda di muoversi. Herrick rientra e comincia ad ammucchiare in un angolo i vecchi stracci e la paglia. Si volta quando sente passi. Entrano Danforth e il giudice Hathorne. Hanno addosso cappotti pesanti e cappelli per proteggersi dal gran freddo. Dietro a loro entra Cheever portando una borsa e una cassetta piatta di legno contenente il suo materiale di can­celleria.

Herrick            Buon giorno, eccellenza.

Danforth          Dov'è il reverendo Parris?

Herrick            Vado a chiamarlo. (Si avvia verso la porta).

Danforth          Maresciallo.

Herrick si ferma.

Quando è venuto il reverendo Hale?

Herrick            Verso mezzanotte, mi pare. Danforth   (sospettoso) Che cosa è venuto a fare qui?

Herrick            A visitare i condannati alla forca, signore. Prega insieme a loro. Adesso è con Rebecca Nurse, e c'è anche il reverendo Parris.

Danforth          Ah, sì? Quell'uomo non ha nessun diritto di venire qui, maresciallo. Perché l'avete fatto passare?

Herrick            Perché me lo ha ordinato il reverendo Parris, signore. Non potevo disobbedirgli.

Danforth          Siete ubriaco, maresciallo?

Herrick            No, signore. Fa freddo e qui non c'è fuoco.

Danforth          (controllando la sua ira) Andate a chiamare il signor Parris.

Herrick            Sì, signore.                                                                          

Danforth          C'è una puzza tremenda qui dentro.

Herrick            L'abbiamo fatta sgomberare proprio adesso.

Danforth          Cercate di non bere troppo, maresciallo.

Herrick            Sì, signore. (Attende un istante per altri ordini).

Danforth disgustato gli volta le spalle, e Herrick esce. Pausa. Danforth rimane pensieroso.

Hathorne         Perché non interrogate il reverendo Hale, Eccellenza? Non mi sorprenderebbe se avesse predicato nel villaggio di Andover in questi ultimi tempi.

Danforth          Vedremo in seguito. Lasciamo stare Andover. Parris prega insieme a lui. È strano. (Si soffia sulle mani, si muove verso la finestra e guarda fuori).

Hathorne         Eccellenza, mi domando se si faccia bene a lasciare il re­verendo Parris con i prigionieri.                                       

Danforth si volta, interessato.

Mi sembra che quell'uomo abbia uno sguardo da forsennato in questi giorni.

Danforth          Forsennato?

Hathorne         L'ho incontrato ieri mentre usciva da casa sua. Gli ho detto buon giorno... ma piangeva e se n'è andato senza salutarmi. Non mi sembra opportuno che in paese lo vedano così angosciato.

Danforth          Forse ha qualche dispiacere.                                            

Cheever           (battendo i piedi per il freddo) Penso che sia a causa delle vacche, signore.

Danforth          Le vacche?

Cheever           Ci sono tante vacche che vagano per le strade ora che i loro padroni sono in prigione, tutti litigano per sapere a chi appartengono. So che il reverendo Parris ha discusso con i contadini tutto ieri... insomma, ci sono gran liti per le vacche, signore. E queste liti lo fanno piangere; è uno che piange sempre. (Si volta, insieme a Danforth e Ha­thorne, quando si sentono dei passi per il corridoio).

Danforth alza la testa quando entra Parris. Il reverendo è stanco, spa-ventato, e sta sudando nel suo cappotto.       

Parris              (subito a Danforth) Oh, buon giorno, signore. Vi rin­grazio di essere venuto. Perdonatemi se vi ho svegliato così presto. Buon giorno, giudice Hathorne.

Danforth          Il reverendo Hale non ha nessun diritto di entrare in questa...

Parris              Un momento, eccellenza. (Ritorna in fretta a chiudere la porta).

Hathorne         Lo lasciate solo con i prigionieri? Danforth   Che cos'è venuto a fare qui?

Parris              (sollevando le mani come in preghiera) Sentite, eccel-lenza. È una provvidenza. Il reverendo Hale è venuto per ricondurre Rebecca Nurse a Dio.

Danforth          (sorpreso) Vuol farla confessare?

Parris              (sedendosi) Sentite. Da tre mesi che si trova qui, Rebecca non mi ha mai rivolto la parola. Ora, invece, parla con il reverendo Hale; anche la sorella di Rebecca, e Martha Corey, e due o tre altre; e lui le supplica di confessare i loro delitti e salvarsi così la vita.

Danforth          Ma... questa è davvero una provvidenza. E le donne cedono? Cedono?

Parris              Non ancora, non ancora, ma mi sono permesso di chiamarvi qui, signore, per decidere se non fosse più saggio, di... Pensavo di sottoporvi un problema, signore, e spero che non vi...

Panforth          Signor Parris, siate chiaro. Che cosa vi turba?

Parris              C'è un fatto nuovo, signore, che la corte... che la corte deve sapere. Mia nipote, signore, mia nipote Abigail... pare sia scomparsa.                                           

Danforth          Scomparsa?

Parris              Avevo pensato di farvelo sapere prima, ma...  

Danforth          Da quanto tempo è scomparsa?

Parris              Questa è la terza notte. Vedete, signore, Abigail mi aveva detto che avrebbe passato la notte in casa di Mercy Lewis. Il giorno dopo, quando non è tornata, ho mandato a chiedere notizie al signor Lewis. Ma Mercy aveva detto al padre che avrebbe dormito a casa mia quella notte.

Danforth          Sono sparite tutt'e due?

Parris              (spaventato di Danforth) Sì, signore.

Danforth          (allarmato) Manderò le guardie a cercarle. Dove possono essere andate?

Parris              Eccellenza, temo che si siano imbarcate su una nave.

Danforth rimane stupito.

Mia figlia mi ha detto di averle sentite parlare di navi la settimana scorsa, e questa notte ho scoperto che la mia... la mia cassaforte è stata scassinata.

Hathorne         (stupito) Vi ha derubato?

Parris              Trentun sterline. Sono rimasto senza un soldo.

Danforth          Signor Parris, siete un uomo senza cervello!

Parris              Non serve a niente incolparmi, eccellenza. Se sono fug­gite è perché avevano paura di rimanere a Salem. (Sup­plicando) Capite, signore? Abigail sapeva benissimo che cosa pensa la gente qui a Salem, e poi quando sono arrivate le notizie dal villaggio di Andover...

Danforth          Ad Andover è tutto a posto. La corte vi ritornerà venerdì per riprendere l'inchiesta.

Parris              Non ne dubito, signore. Ma qui si parla di una rivolta ad Andover, e...

Danforth          Non c'è stata nessuna rivolta ad Andover!

Parris              Vi dico ciò che si mormora qui, signore. Il popolo di Andover ha cacciato via la corte... dicono... e non vuole saperne di stregoneria. C'è una fazione in paese che si nutre di queste notizie, e se devo essere sincero, signore, temo che avremo una sommossa anche qui da noi.

Hathorne         Sommossa! Ma se ogni esecuzione è stata accolta in paese con incondizionata soddisfazione!

Parris              Giudice Hathorne... le persone che fino ad oggi sono state impiccate erano di un altro genere. Ma Rebecca Nurse non è come Bridget che ha convissuto tre anni con Bishop prima di sposarlo. E John Proctor non è come Isaac Ward sempre ubriaco e che mandava in rovina la sua famiglia. (A Danforth) Volesse Iddio che non fosse cosi, Eccel­lenza, ma queste persone sono ancora molto stimate in paese. La vista di Rebecca che intona la sua ultima pre­ghiera nell'atto di salire sulla forca, può provocare, temo, un sentimento di vendetta contro di voi.

Hathorne         Eccellenza, Rebecca è stata condannata per stregoneria. La corte ha...

Danforth   (preoccupatissimo, sollevando la mano verso Hathorne) Vi prego. (A Parris) E che cosa vorreste proporre?            

Parris              Di rinviare queste esecuzioni, eccellenza. Danforth    No, non ci sarà nessun rinvio.

Parris              Può darsi che il ritorno del reverendo Hale ci dia qual­che speranza, perché... se lui riuscisse a riportare a Dio anche uno solo dei condannati, questa confessione coinvolgerebbe, agli occhi della gente, anche gli altri imputati e nessuno avrebbe più dubbi sulla loro connivenza col Maligno. Cosi come stanno le cose, invece, senza nessuna confessione, e con tutti che si proclamano innocenti, i dubbi si moltiplicano, molta gente onesta si commuove, li compiange e in quel pianto si annullano i nostri santi propositi.                                                              

Danforth          (dopo aver riflettuto un momento, si avvicina a Cheever) Datemi l'elenco.

Parris              Non bisogna dimenticare, signore, che quando ho convo­cato la congregazione per proclamare la scomunica di John Proctor, appena una trentina di persone sono com­parse in chiesa a sentirla. Mi sembra un chiaro indice di malcontento.

Danforth          (studiando l'elenco) Non ci sarà nessun rinvio.

Parris              Eccellenza...

Danforth          Secondo voi, chi di questi condannati, potrebb'essere ri­condotto a Dio? Mi ci proverò io personalmente prima dell'alba.

Parris              Non c'è tempo sufficiente prima dell'alba.

Danforth          Farò del mio meglio. Per chi nutrite qualche speranza?

Parris              (non guarda più l'elenco; con voce tremula, sommessa­mente) Eccellenza... un pugnale...

Danforth          Cosa?

Parris              Stasera, quando ho aperto la porta per uscire di casa... un pugnale è caduto a terra.

Danforth lo guarda attentamente.

(Poi Parris esclama con veemenza) Non potete fare impiccare gente come quella. Mi trovo esposto al pericolo. Non ho più coraggio di uscire di notte!

Entra il reverendo Hale. Tutti lo guardano in silenzio per un istante. Hale è in preda a una profonda tristezza, è esausto, ma è più deciso e chiaro di prima.

Danforth          Le mie congratulazioni, reverendo Hale. Siamo lieti di vedervi tornato alla vostra santa missione.

Hale                (avvicinando Danforth) Dovete graziarli. Non vogliono confessare.

Danforth          (conciliatorio) Non capite, reverendo? Non posso gra­ziarli quando dodici persone sono già state impiccate per lo stesso delitto. Non sarebbe giusto.

Parris              (scoraggiato) Rebecca non vuol confessare?

Hale                Fra pochi minuti sorgerà il sole, Eccellenza, avrei bisogno di poter disporre di più tempo.

Danforth          State bene a sentire e non fatevi illusioni. Non prenderò in considerazione nessuna domanda di grazia e non ac­cetto rinvii. Chi non confessa, sarà impiccato. Un rinvio, in questo momento, farebbe pensare a un pentimento da parte mia. Come una dilazione o la grazia fomentereb­bero i dubbi sulla colpevolezza di quelli che sono già morti. Finché sono chiamato io a proclamare la legge del Signore, intendo di farlo senza incertezze e senza piagni­stei. Se le vostre considerazioni nascono dalla paura di rappresaglie, sappiate che io non esiterei a mandare sulla forca anche diecimila persone se osassero opporsi alla legge. E neppure un oceano di lacrime salate riuscirebbe a sommergere i miei principi. Siate uomini e cercate di aiutarmi come il Cielo vi comanda. Avete parlato con tutti i condannati, signor Hale?

Hale                Con tutti, tranne Proctor che è nel sotterraneo.

Danforth          (a Herrick) Come si comporta Proctor, adesso?

Herrick            Sta lì, accovacciato come un'aquila ferita. Sembra morto, solo che ogni tanto accetta qualcosa da mangiare. Ed è questo l'unico segno di vita che dà.

Danforth          (dopo un momento di riflessione) Sua moglie... sua mo­glie dev'essere abbastanza avanti nella gravidanza.

Herrick            Sì, signore.

Danforth          Che dite, signor Parris? Voi lo conoscete meglio quel­l'uomo; pensate che un incontro con la moglie potrebbe indurlo a cedere?

Parris              Forse, signore. Sono tre mesi che non vede sua moglie. Perché non la mandiamo a chiamare?

Danforth          (a Herrick;) È ancora tanto violento? Vi ha colpito di nuovo?

Herrick            Non può farlo più, signore; adesso è incatenato al muro.

Danforth          (dopo un momento di riflessione) Conducete qui la si­gnora Proctor. E dopo, portate anche lui.

Herrick            Sì, signore. (Esce).

Silenzio.

Hale                Se rinviate le esecuzioni di una settimana, Eccellenza, dichiarando pubblicamente che state cercando di ottenere delle confessioni, tutti penserebbero ad un gesto di misericordia da parte vostra, e non di pentimento.

Danforth          Signor Hale, Dio non mi ha dato, come a Giosuè, il potere di fermare il sole, cosi io non posso arrestare il com­pimento della loro punizione.

Hale                (diventando più duro) Se pensate che Dio desideri che voi provochiate una rivolta, signor Danforth, vi sbagliate!

Danforth          (subito) Avete sentito parlare di rivolta in paese?

Hale                Eccellenza, gli orfani vagano di casa in casa; il bestiame abbandonato muggisce per le strade e dappertutto si sente il fetore dei raccolti putrefatti, e in tutti è la consapevolezza che bastano le accuse di qualche sgualdrina a troncargli la vita... e vi stupisce che si parli di rivolta? Do­vreste chiedervi come mai non abbiano rasa al  suolo l'intera provincia!

Danforth          Signor Hale, avete mai predicato al villaggio di Andover durante questo mese?

Hale                Grazie a Dio, ad Andover non hanno bisogno di me.

Danforth          Non capisco, signore. Perché siete tornato qui?  

Hale                Perché... è molto semplice. Sono venuto a fare il lavoro del Diavolo. Sono venuto a consigliare a dei cristiani di mentire. (Il suo sarcasmo crolla) Le mie mani grondano sangue! Non vi siete accorto che sono tutto macchiato di sangue?!

Parris              Silenzio! (Poiché ha udito dei passi).

Tutti guardano la porta. Herrick entra con Elizabeth. I suoi polsi sono legati con pesanti catene che Herrick adesso le toglie. Il suo vestito è sporco; il viso è pallido e scarno. Herrick esce.

Danforth          (molto gentilmente) Signora Proctor.

Lei tace.

Spero che stiate bene!

Elizabeth         (con tono di ammonimento, per fargli ricordare) Man­cano ancora sei mesi alla nascita del bambino.

Danforth          Non abbiate paura, non siamo qui per togliervi la vita. Noi... (Non sa come supplicare, non essendovi abituato) Signor Hale, volete parlare voi, con questa donna?

Hale                Signora Proctor, vostro marito deve essere impiccato questa mattina.

Pausa.

                                                                                                

Elizabeth         (sommessamente) Lo so.

Hale                Sapete anche, vero, che io non ho niente a che fare con la corte.

Elizabeth sembra dubitarne.

Sono venuto di mia spontanea volontà, signora Proctor. Perché vorrei salvare la vita a vostro marito. Se lo im-piccassero mi sentirei il suo assassino. Capite cosa voglio dire?

Elizabeth         Che cosa volete da me?

Hale                Signora Proctor, da tre mesi mi sento come il Cristo nel deserto. Ho tentato di trovare la giusta via perché credevo di sapere che una doppia condanna spetta al sacerdote che consiglia agli uomini di mentire.

Hathorne         Non è una menzogna; non potete parlare di menzogne.

Hale                È una menzogna! Sono tutti innocenti!

Danforth          Basta! Non voglio più sentirlo dire!

Hale                (continuando, ad Elizabeth) Non dovete lasciarvi trarre in inganno su quale sia il vostro dovere, come ho fatto io. Sono venuto in questo villaggio come uno sposo alla sua prediletta, recando doni consacrati. Avevo con me le gemme più preziose della legge santa. Ma qualun­que cosa toccavo con serena confidenza, moriva, e dovun­que io abbia rivolto il mio sguardo pieno di fede, si è versato del sangue. Attenta, signora Proctor... non aggrappatevi a nessuna fede, se condizione di questa fede è il sangue. È falsa la legge che spinge al sacrificio. Il dono più prezioso di Dio è la vita; nessun principio, per nobile che sia, può giustificarne la distruzione. Vi scon­giuro, donna: convincete vostro marito a confessare. Che egli dica la sua menzogna. Non dovete temere, per que-sto, il giudizio di Dio, perché è più probabile che Dio abbia pietà per chi è costretto a mentire che non per chi distrugge la propria vita per orgoglio. Volete spiegargli queste cose? Non credo ch'egli voglia ascoltare altri che voi.

Elizabeth         (con calma) Ma queste sono le argomentazioni del Dia-volo.

Hale                (al limite della disperazione) Davanti alle leggi di Dio, donna, non siamo che dei porci! Non possiamo conoscere la Sua volontà!

Elizabeth         Non sono abbastanza istruita, reverendo, per poter discutere con voi.

Danforth          (avvicinandosi a lei) Signora Proctor, non siete qui per discutere. Faccio appello al vostro affetto di moglie. Mo­rirà all'alba. Vostro marito. Vi rendete conto?

Lei lo guarda.

Allora? Proverete a convincerlo?

Lei tace.

Siete di pietra? Se devo essere sincero, donna, vi dirò che se non avessi avuto ben altre prove della vostra col­pevolezza, i vostri occhi senza lacrime in questo momento costituirebbero una prova sufficiente per convincermi che avete venduto l'anima all'Inferno. Perfino una bestia avrebbe pianto davanti a tanta sciagura! Possibile che il Diavolo abbia prosciugato in voi ogni lacrima di compassione?

Lei tace.

Portatela via. Non servirebbe a niente a farla parlare col marito!

Elizabeth         (con calma) Fatemi parlare con lui, eccellenza.

Parris              (con speranza) Proverete a convincerlo?

Lei esita.

Danforth          Lo pregherete di confessare?                            

t Elizabeth       Non prometto niente. Fatemi parlare con lui.

Si ode il rumore sibilante di passi striscianti su pietra. Si voltano. Pausa.

Herrick entra con John Proctor, i suoi polsi sono legati con catene. È un uomo cambiato; gli è cresciuta la barba, è sporco, e i suoi occhi sono ottenebrati come se fossero coperti da un velo. Appena scorge Elizabeth, si ferma sulla soglia. L'emozione che si comunica tra loro impedisce per un istante qualsiasi parola tra gli altri. Dopo un po', Hale, visibilmente emozionato, si avvicina a Danforth e gli parla sottovoce.

Hale                Vi prego, eccellenza, lasciateli soli.

Danforth          (con impazienza, spinge Hale indietro) Signor Proctor, sapete quello che vi aspetta?    

Proctor tace, guardando Elizabeth.                                                           

È quasi l'alba. Consigliatevi con vostra moglie e che Dio vi aiuti a scampare all'Inferno!

Proctor tace e continua a guardare Elizabeth.

Hale                (sommessamente) Eccellenza, lasciateli soli...

Danforth esce, sorpassando e ignorando Hale. Hale lo segue.  Cheever si alza in piedi ed esce anche lui, seguito da Hathorne. Esce Herrick.

Parris              (tenendosi prudentemente a distanza) Vorreste un bic­chiere di sidro, signor Proctor, sono sicuro che potrei...

Proctor gli rivolge uno sguardo gelido,  interrompendolo.

(Solleva le mani verso Proctor) Dio vi aiuti. (Esce).

Sono soli. Proctor fa qualche passo verso di lei, poi si ferma. È come se si trovassero in un mondo che gira a forte velocità, oltre e al disopra di ogni dolore umano. Egli stende una mano come per toccare una in­carnazione non del tutto reale, e al contatto di lei gli esce dalla gola un suono strano e sommesso, metà riso metà stupore. Le accarezza la mano. Elizabeth gli copre la mano con!a sua. Poi, sentendosi indebo­lito, egli si siede. Si siede anche lei, di fronte.                                         

Proctor            Il bambino?

Elizabeth         Cresce.

Proctor            Nessuna notizia dei nostri ragazzi?                                 

Elizabeth         Stanno bene. Li ha presi in casa Samuel, il figlio di Rebecca.

Proctor            Non li hai più veduti?

Elizabeth         No. (Si accorge di commuoversi e fa uno sforzo per controllarsi).

Proctor            Elizabeth, sei... sei straordinaria.

Elizabeth         Ti... ti hanno... torturato?                                           

Proctor            Sì.                                                                                     

Pausa. Elizabeth lotta per non farsi sopraffare dall'emozione.

Ora mi ammazzeranno.                                

Elizabeth         Lo so.

Pausa.

Proctor            Nessuno... ha confessato?

Elizabeth         Sì. Molti hanno confessato.

Proctor            Chi?

Elizabeth         Più di cento, dicono. La signora Ballard; Isaiah Goodkind. Molti.

Proctor            Rebecca?

Elizabeth         No, Rebecca, no. Ha già un piede in Paradiso, lei. Non possono farle del male.

Proctor            E Giles?

Elizabeth         Non lo sai?

Proctor            Dove sto io non si sa mai niente.

Elizabeth         Giles è morto.

Proctor la guarda, incredulo.

Proctor            Quando l'hanno impiccato?

Elizabeth         (informativa, con calma) Non è stato impiccato. Si è ri­fiutato di rispondere né si né no, perché se avesse negato l'accusa l'avrebbero certamente impiccato e la sua proprietà sarebbe finita all'asta. Così non ha detto nulla ed è morto da cristiano, a termini di legge. Le sue terre andranno ai suoi figli. Questa è la legge. Non poteva essere condannato per stregoneria senza prima aver ri­sposto si o no.

Proctor            Allora, come è morto?

Elizabeth         (con dolcezza) L'hanno schiacciato, John.

Proctor            Schiacciato?

Elizabeth         Gli hanno messo sul petto dei grandi macigni per obbligarlo a rispondere: sì o no. (Con un sorriso di tenerezza per il vecchio Giles) Pare che Giles abbia detto soltanto tre parole: « Mettete più peso ». Ed è morto.

Proctor            (allibito... un altro filo da tessere nelle sue sofferenze) « Più peso ».

Elizabeth         Sì. Era coraggioso, Giles Corey.

Pausa.

Proctor            (con un grande sforzo di volontà, ma cercando di non guardarla) Ho pensato di confessare, Elizabeth.

Lei tace; non tradisce il suo stato d'animo.

Che cosa ne pensi? Se confessassi?

Elizabeth         Non posso giudicarti, John.

Pausa.

                                                                                                                   

Proctor            (semplicemente... una pura domanda) Tu, che cosa vorresti ch'io facessi?

Elizabeth         Io voglio quello che vuoi tu. (Breve pausa). Voglio che tu viva, John. Questo è certo.

Proctor            (tace, poi con  una scintilla di speranza) La moglie di Giles, ha confessato?

Elizabeth         No.

Pausa.

Proctor            Io non posso fingere, Elizabeth.

Elizabeth         Che cosa?

Proctor            Non posso salire sul patibolo come un santo. Sarebbe un inganno. Io non sono un santo.

Lei tace.

La mia onestà è distrutta, Elizabeth. Non sono un uomo retto. Posso mentire, per salvarmi, senza per questo rovi-nare nulla che non sia già imputridito da tanto tempo. 

Elizabeth         Eppure, finora non hai confessato. Questa è una prova della tua bontà.

Proctor            Non parlo per disprezzo. È difficile regalare una men­zogna a dei cani come quelli. (Pausa. Per la prima volta si volge direttamente verso di lei) Vorrei che tu mi per­donassi, Elizabeth.

Elizabeth         Non tocca a me, John, io sono...

Proctor            Vorrei che tu vedessi l'onestà delle mie intenzioni. Chi non ha mai mentito può morire per mantenere pura la propria anima. Nel mio caso sarebbe solo una finzione, un atto di vanità che non ingannerebbe Dio, né salve­rebbe i miei figli dalla strada e dalla fame. (Pausa). Cosa ne dici?

Elizabeth         (controllandosi per non lasciarsi scappare un singhiozzo) John, il mio perdono non serve a nulla se tu non perdoni a te stesso.

Proctor si volta un po', in grande pena.

Non si tratta della mia anima, John; ma della tua.

Proctor si alza in piedi, lentamente, come se fosse in preda a un dolore fisico e invasato da un profondo, immortale desiderio di trovare la ri­sposta di cui ha bisogno. È difficile per Elizabeth dire ciò che dice, e riesce  appena  a  trattenere  le  lacrime.

Voglio solo che tu sia convinto di questo... perché ora l'ho capito: qualsiasi decisione tu prenda, sarà quella di un uomo onesto.

Proctor le rivolge uno sguardo scrutatore e pieno di incertezza.

In questi tre mesi, John, ho imparato a leggere nel mio cuore. (Pausa). Ho anch'io i miei  peccati da scontare. Soltanto una moglie fredda spinge l'uomo all'adulterio.

Proctor            (soffrendo acutamente) Basta, basta...

Elizabeth         (ora aprendo il cuore) Bisogna che tu sappia certe cose.

Proctor            Non voglio sentire altro! Ti conosco bene!

Elizabeth         Ti stai addossando i miei peccati, John...

Proctor            (come se fosse in agonia) No, sconto i miei, i miei.

Elizabeth         John, ho sempre pensato di essere così squallida, così priva di attrattive che pensavo di non poter aspirare ad un amore sincero! Quando ti baciavo, era il sospetto che ti baciava. Non ho mai saputo come esprimere il mio amore. Ti ho fatto vivere in una casa fredda!

(Spaventata, si volta di sobbalzo all'entrata di Hathorne).

Hathorne         Che cosa avete deciso, Proctor? Fra poco sorgerà il sole.

Con gli occhi fissi e respirando con affanno, Proctor si volta verso Eli­zabeth. Lei gli si avvicina come per supplicarlo. La sua voce è tremula.

Elizabeth         Fa' come vuoi. Ma non farti giudicare da nessuno. Non esiste sotto il Cielo un giudice più degno di Proctor! Perdonami, perdonami, John... non sapevo che ci fosse tanta bontà al mondo! (Si copre il viso e piange).

Proctor            (si volta verso Hathorne; è come trasognato e la sua voce è atona) Voglio vivere.

Hathorne         (elettrizzato, sorpreso) Allora confessate?

Proctor            Voglio vivere.

Hathorne         (con tono mistico) Dio sia lodato! È un miracolo! (Si pre­cipita verso la porta; si sente la sua voce gridare per il corridoio) Confesserà! Proctor confesserà!

Proctor            (con un grido, slanciandosi verso la porta) Perché gri­date? (Addolorato, si rivolge ad Elizabeth) È un'infamia, vero? È un'infamia.

Elizabeth         (in preda al terrore, piangendo) Non posso giudicarti, John, non posso!

Proctor            Chi mi giudicherà, allora? (Serrando insieme le mani) Dio del Cielo, che cos'è John Proctor, che cos'è John Proctor? (Si muove come un animale in preda alla furia,cercando disperatamente una risposta) Sì, credo che sia giusto; credo di sì. Non sono un santo. (Grida con collera verso Elizabeth come se lei l'avesse contraddetto') Lascia che ci vada Rebecca a morire come una santa. Da parte mia, sarebbe una frode!

Si sentono voci nel corridoio che parlano con una concitazione appena controllata.

Elizabeth         Non sono il tuo giudice, non posso esserlo. (Come se gli desse libertà di scelta) Fa' come vuoi, fa' come vuoi.

Proctor            Tu faresti loro il regalo di una menzogna? Rispondi. Tu potresti mentire?

Lei tace.

No. Anche se ti torturassero con ferri roventi, non riusciresti a mentire! Perché è spregevole! Perché è peccato! Bene, allora. È un peccato e io l'accetto.

Hathorne entra con Danforth, seguiti da Cheever, Parris e Hale. En­trano rapidamente, senza tanti complimenti, come se tutti gli ostacoli fossero ormai superati.

Danforth          (con grande sollievo e gratitudine) Dio sia lodato, uomo, Dio sia lodato! Ne avrete un compenso in Paradiso.

Cheever è andato rapidamente alla panca con penna, inchiostro e carta. Proctor lo guarda.

Parlate dunque. Siete pronto, signor Cheever?

Cheever   Sì, signore.

Proctor            (i loro freddi preparativi lo riempiono di orrore) Perché scrivete?

Danforth          Perché? Perché serva di insegnamento a tutto il paese, signore. La vostra confessione verrà affissa sulla porta della chiesa. (A Parris, con urgenza) Dov'è il maresciallo?

Parris              (corre alla porta e chiama nel corridoio) Dov'è il ma-resciallo? Fate presto!

Danforth          Allora, signore, parlate lentamente e in modo chiaro così da facilitare il compito al signor Cheever. (Egli parla già per il verbale e sta difatti dettando a Cheever, il quale scrive) Signor Proctor, avete mai visto il Diavolo in vita vostra?

Proctor serra le mascelle.

Presto, è quasi l'alba. Il paese è in attesa davanti al pati­bolo e vorrei poter diffondere subito questa notizia. Avete visto il Diavolo?

Proctor            Sì.

Parris              Sia lodato Iddio.

Danforth          Quando è venuto da voi, quali sono state le sue richieste?

Proctor tace.

(Suggerisce) Vi ha chiesto di servirlo su questa terra?

Proctor            Sì.

Danforth          E vi siete impegnato a servirlo?

Si volta mentre entra Rebecca Nurse che si appoggia a Herrick. Re- | becca riesce appena a camminare.

Rebecca           (animandosi appena scorge Proctor) Ah, John! Stai bene, sì?

Proctor volta la faccia verso il muro.

Danforth          Coraggio, coraggio... datele il buon esempio che possa profittarne e tornare anche lei in grazia di Dio. Ascolta­telo, signora Nurse! Dunque, signor Proctor. Vi siete im- pegnato a servire il Diavolo?

Rebecca           (stupita) John!

Proctor            (tra i denti, la faccia voltata per non guardare Rebecca) Sì.

Danforth          Ormai, donna, dovreste aver capito che non serve a nulla continuare in questa congiura. Siete disposta a confessare con lui?

Rebecca           Oh, John... Dio abbia pietà di te!

Danforth          Dunque, signora Nurse, volete confessare?

Rebecca           Ma è una menzogna, è una menzogna! Come potrei dan­nare me stessa? Non posso.

Danforth          Signor Proctor. Quando il Diavolo è venuto da voi, lo avete mai visto accompagnato da Rebecca Nurse?

Proctor tace.

Su, coraggio... L'avete mai vista con il Diavolo?

Proctor            (quasi impercettibile) No.

Danforth, fiutando delle difficoltà, gli lancia un'occhiata, poi va al ta­volo e prende un foglio di carta... l'elenco dei condannati.

Danforth          Avete mai visto Mary Esty, la sorella di Rebecca, col Diavolo?

Proctor            No. Mai.

Danforth          (i suoi occhi si stringono su Proctor) Avete mai visto Martha Corey col Diavolo?

Proctor            No.

Danforth          (incomincia a capire, lentamente mette giù il foglio) Dun­que, non avete mai visto nessuno con il Diavolo?

Proctor            No.

Danforth          Proctor, vi sbagliate sul mio conto. Io non sono stato de­legato a mercanteggiare la vostra vita con una menzogna. Voi dovete pur aver visto qualcuno con il Diavolo.

Proctor tace.

Signor Proctor, una ventina di persone almeno hanno già testimoniato di aver visto questa donna con il Diavolo. 

Proctor            Se è già stato dimostrato, perché devo dirlo io?

Danforth          Perché « dovete » dirlo? Perché dovreste rallegrarvi di dirlo se è vero che la vostra anima si è sinceramente purgata dall'amore per l'Inferno!

Proctor            Gli altri credono di morire da santi. Non voglio infangare i loro nomi.

Danforth          (incredulo) E voi credete, signor Proctor, che veramente muoiano da santi?

Proctor            (evasivo) Questa donna non ha mai saputo di essere al servizio del Diavolo.

Danforth          Penso che non abbiate compreso quale sia il vostro do­vere. Ciò che questa donna crede o sa, non ha nessuna importanza. È stata riconosciuta colpevole della morte innaturale di alcuni bambini, e voi di maleficio contro Mary Warren. Ora, però, soltanto la vostra anima è in discussione. O ci date la prova che siete purificato o non potrete più vivere in un paese cristiano. Volete dirmi, dunque, chi sono le persone che hanno congiurato con voi?

Proctor tace.

Vi risulta che Rebecca Nurse sia mai stata...?

Proctor            Confesso i miei peccati; non posso giudicare gli altri. (Gridando, con odio) Non voglio rispondere.

Hale                (subito a Danforth) Eccellenza, è sufficiente che confessi le sue colpe. Fatelo firmare, fatelo firmare.

Parris              (febbrilmente) Ci ha reso un gran servigio, signore. Il suo nome ha molto peso, la notizia che Proctor ha confessato farà colpo in paese. Vi prego, fatelo firmare. Il sole è già alto, eccellenza!

Danforth          (riflette, poi scontento) Coraggio, dunque, firmate la vo-stra confessione! (A Cheever) Dategliela.                      

Cheever si avvicina a Proctor con la confessione e la penna in mano. Su firmatela.

Proctor            (dopo aver dato un'occhiata alla confessione) Siete stati tutti testimoni... dovrebbe bastare.

Danforth          Non volete firmarla?

Proctor            Siete stati tutti testimoni; cos'altro ci vuole?

Danforth          Mi prendete in giro? Firmate, altrimenti non costituisce una confessione!

Respirando faticosamente, Proctor depone il foglio e firma.

Parris              Sia lodato il Signore!

Proctor ha appena finito di firmare che Danforth allunga una mano per prendere il foglio. Ma Proctor afferra subito la confessione, ed ora un terrore selvaggio sorge in lui, e un'immensa collera.

Danforth          (perplesso, ma stendendo cortesemente la mano) Vi prego, signore.

Proctor            No.

Danforth          (come se Proctor non avesse capito) Signor Proctor, devo avere...

Proctor            No, no. L'ho firmata. Siete tutti testimoni. È tutto fatto! Non c'è bisogno d'altro.

Parris              Proctor, bisogna che il paese abbia la prova che...

Proctor            Sì. Io ho confessato a Dio, e Dio ha visto la mia firma. Basta.

Danforth          No, signore, non basta...

Proctor            Siete qui per salvarmi l'anima, no? Ho confessato. Do­vrebbe bastare!

Danforth          Non avete...

Proctor            Ho confessato. La penitenza non è valida, se non si rende pubblica? Dio non ha bisogno che la mia firma venga affissa sulla chiesa! Dio vede il mio nome. Dio conosce la bassezza dei miei peccati. Deve bastare!

Danforth          Signor Proctor...

Proctor            Non intendo prestarmi al vostro giuoco! Non sono né Sarah Good, né Tituba. Sono John Proctor! Non mi presto al vostro giuoco. Nel prezzo richiesto per la mia salvezza non è compresa la mia complicità!

Danforth          Non voglio affatto...

Proctor            Ho tre figli... come posso insegnar loro ad agire da uo­mini nel mondo, se tradisco i miei amici?

Danforth          Non tradite i vostri amici...

Proctor            Li tradisco. Proprio perché questo foglio viene affisso sulla porta della chiesa nello stesso momento in cui essi salgono sulla forca per non aver parlato.

Danforth          Signor Proctor, devo aver prove solide e legali che voi...

Proctor            Voi rappresentate l'Alta corte; basta dunque la vostra pa­rola! Dite loro che ho confessato; dite che Proctor si è piegato e ha pianto come una femmina; dite quel che volete, ma il mio nome non può...

Danforth          (sospettoso) Secondo voi è la stessa cosa, che io l'annunci o che voi l'abbiate sottoscritta?

Proctor            (sa di dire una pazzia) No, non è la stessa cosa! Quello che dice un altro e quello che firmo io, non è la stessa cosa!

Danforth          Che cosa significa? Che avete l'intenzione di rinnegare questa confessione quando sarete libero?                            

Proctor            Non intendo rinnegare niente!                                       

Danforth          Allora, spiegatemi, signor Proctor, perché non volete...

Proctor            (con un grido che contiene tutta la sua anima) Perché c'è il mio nome! Perché non potrò averne un altro nella mia vita! Perché mentisco e sottoscrivo le mie menzogne! Perché non valgo la polvere calpestata dai piedi di quelli che saranno impiccati! Come potrei vivere senza il mio nome? Vi ho dato la mia anima; lasciatemi il nome!

Danforth          (additando la confessione nelle mani di Proctor) Quel documento è dunque falso? Se è falso, io non l'accetto! Non mi servo di menzogne, signore!

Proctor rimane immoto.

Portatemi la vostra sincera confessione, o non potrò sal-varvi dalla forca.

Proctor non risponde.

Cosa scegliete, signore?

Respirando forte, con gli occhi fissi, Proctor straccia il foglio e lo accartoccia fra le mani. Piange senza ritegno, ma resta dritto.

Maresciallo!

Parris              (istericamente, come se il foglio stracciato fosse stato la sua vita) Proctor, Proctor!

Hale                T'impiccheranno! Non puoi!

Proctor            (con gli occhi pieni di lacrime) Sì, posso. Ecco il vostro primo miracolo: posso. Avete esercitato il vostro potere, perché ora credo di vedere in John Proctor un indizio di virtù! Non abbastanza per farne una bandiera, ma di tale purezza da poterlo difendere da cani come voi.

Elizabeth, in preda al terrore, si slancia verso Proctor e piange, appoggiando il viso alla mano di lui.

Non offrir loro il tuo pianto! Le lacrime li fanno gioire! Fagli vedere la tua dignità, fa' del tuo cuore un sasso e servitene per trascinarli in fondo e farli affogare. (Ha sol­levato Elizabeth e la bacia appassionatamente).

Rebecca           Non abbiate paura! Dovremo tutti accettare un altro giudizio.                                                                                

Danforth          Impiccateli nel punto più alto del paese! Chi piange per loro piange per il peccato! (Esce precipitosamente).

Herrick comincia ad accompagnare Rebecca che mentre cammina sta per cadere. Proctor l'afferra.

Rebecca           (lo guarda come per scusarsi) Non ho fatto colazione.

Herrick            Uomo, andiamo.

Herrick li accompagna fuori, e dietro seguono Hathorne e Cheever. Elizabeth rimane con gli occhi fissi sulla soglia vuota.

Parris              (in preda a una grande paura, ad Elizabeth) Vai da lui! Siamo ancora in tempo!

Dall'esterno s'ode il rullo di tamburi. Parris sobbalza. Elizabeth si volta bruscamente verso la finestra.

Vai da lui! (Si slancia verso la porta come se volesse fer­mare il destino di Proctor) Proctor! Proctor!

Di nuovo, un breve rullo di tamburi.

Hale                Vai donna, vai; supplicalo! (Comincia ad avviarsi verso la porta, poi torna verso Elizabeth) Donna! Digli che la sua è superbia, è vanità!

Elizabeth evita il suo sguardo e si muove verso la finestra. Hale s'in­ginocchia.

Aiutalo!... Cosa ci guadagna a morire? Pensa che le sue ceneri o i vermi possano parlare per lui e insegnare la sua verità? Vai, vai. Risparmiagli questo scempio.

Elizabeth         (appoggiandosi per non crollare, afferra le sbarre della finestra e grida) Ha ritrovato la sua virtù! Dio, Dio dammi la forza di non turbare la sua pace!

Il rullo dei tamburi si fa violento. Hale piange e prega, frenetico. Il sole che sorge illumina il volto di Elizabeth mentre i tamburi battono lugubremente come ossa morte nell'aria mattutina.

Sipario.