Il Dibbuk

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IL DIBBUK

IL DIBBUK

Leggenda drammatica in tre atti

di shalom anski

Traduzione di Enrico Fulchignoni

                                   

PERSONAGGI

SENDER, padre di Lea

LEA

PRADE’, nutrice

GHITLA, amica di Lea

BASSIA, amica di Lea

MENASCE’, fidanzato di Lea

MENDEL suo precettore

NACHMANN, padre di Menascè

IL MESSAGGERO

REB EZRIELE di Miropol

MICHAEL suo aiutante

RABBI SANSONE

HANAN

HENECK suo compagno

MEIR sciammash di sinagoga

Una donna – Un mendicante – Una mendicante cieca

Una mendicante zoppa, Una mendicante grassa

Un viandante

I Batlan – II Batlan – III Batlan – IV Batlan

Nel primo e second atto l’azione si svolge a Brinitz e nel terzo a Miropol

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Prima del levarsi del sipario si sente salmo­diare sulla scena un canto triste poi una voce: « L'anima, da sublimi altezze può preci­pitare negli abissi. Ma dalla caduta può rina­scere il volo ».

(Si alza il sipario. Una vecchia sinagoga dalle pa­reti di legno scuro. Sospesi, i candelieri a sette braccia. Al centro la « brina »: piccolo podio su cui si legge la Torah. Lungo i muri, un banco; sul da­vanti a sinistra un tavolo carico di libri, sul quale due candele ardono. Larga porta d'entrata. A sini­stra una porticina conduce all'oratorio ove si reci­tano le preghiere dei casi particolarmente gravi. Non lungi dall'altare, Hanan, seduto, è immerso nella lettura. Attorno al tavolo di destra qualche scolaro della scuola talmudica. Sono stanchi. Leg­gono il Talmud a mezza voce, come in sogno. Ingi­nocchiato vicino al podio, Meir s'occupa dei sacchi contenenti gli scialli da preghiera e i filattèri (pic­cole scatole oblunghe che contengono testi sacri e che gli ebrei religiosi si mettono innanzi alla fronte o sul braccio sinistro, per la preghiera mat­tutina). A destra sono seduti tre Batlan. Cantano, ondeggiando. Vicino alla stufa è sdraiato il Messag­gero, col sacco sotto il capo. E' sera, l'ombra co­mincia a invadere la sinagoga. In questo atto, come nel secondo, l'azione è a Brinitz).

~ ( Si risente il canto dell'inizio; lo cantano i tre Batlan. Silenzio. Il Primo Batlan (come continuando un racconto)

Il rabbi Davide della città di Talma - che le sue virtù ci proteggano - aveva una poltrona d'oro, oro massiccio e sulla poltrona erano incise queste parole: «Davide, re d'Israele, vive in eterno ».

Il Secondo Batlan         - (con lo stesso tono) Il rabbi Israel della città di Regina - sia benedetta la sua memoria - viveva come un principe. Quando si metteva a tavola, un'orchestra di ventiquattro mu­sicanti suonava per allietarlo. E quando viaggiava, i cavalli a tirare la sua carrozza sapete quanti erano?

Il Primo Batlan             - Quanti?

Il Secondo Batlan         - Non erano né due, né tre, né quattro. Sei erano, sei cavalli lucenti come la seta.

Il Terzo Batlan              - (con vivacità) Si dice di rabbi Samuele che calzasse pantofole dalla suola d'oro. Capite? Pantofole d'oro!

Il Messaggero               - (si solleva e si mette a sedere. Con voce calma e piana che sembra venire da lontano)

                                      - Il santo rabbino Zussié ha vissuto tutta la vita in miseria; mendicava, vestito di cenci tenuti alla cintola da una corda. Eppure i suoi miracoli non sono da meno di quelli di rabbi Davide o rabbi Samuele.

Il Primo Batlan             - Non sapete di che state par­lando, amico. Qui non si loda la ricchezza... Ce ne sono forse pochi, di ricchi, a questo mondo? In quell'orchestra, in quella poltrona, in quelle suole d'oro di rabbi Davide o di rabbi Samuele si celano realtà misteriose.

Il Terzo Batlan              - Chi non lo capirebbe?

Il Secondo Batlan         - Quello che ha gli occhi aperti, vede. Raccontano che un giorno il rabbi di Opatol incontrò rabbi Israel e lo videro chinarsi a baciare la ruota della sua carrozza. E gli chiesero: « Per­ché fai questo? ». E il giovane rispose: « Ciechi che siete! Non v'accorgete che è il carro del Signore? ».

Il Terzo Batlan              - Ai... oi... ai!...

Il Primo Batlan             - E' semplice: la poltrona non era una poltrona, l'orchestra non era un'orchestra, i cavalli non erano cavalli. Tutto questo era appa­renza, un velo destinato ad accompagnare la vera grandezza.

Il Messaggero               - La vera grandezza non chiede né ornamento né velo...

Il Primo Batlan             - Al contrario. La grandezza deve accompagnare il fasto, lo splendore...

Il Secondo Batlan         - Lo splendore, la forza dei no­stri santi Rabbi chi potrà mai descriverli?

Il Primo Batlan             - Prodigiosi. Avete sentito par­lare della frusta del rabbi Schmelké di Nickels-berg?

Il Secondo Batlan         - No, racconta.

Il Primo Batlan             - Un giorno un povero citò un ricco davanti al Tribunale. Il ricco aveva tanti amici ed era temuto da tutti. Il rabbi Schmelké stette ad ascoltare il povero. Poi stette a sentire il ricco. E sapete a chi diede ragione? Sapete? Al povero. Ecco. L'altro, allora, perse il lume degli occhi. « Dar torto a me? Questa sentenza la ri­fiuto ». E il Rabbi, tranquillamente, « La accet­terai. Obbedirai. Altrimenti ti obbligo con la fru­sta ». L'altro schiumava di rabbia. Si mise a in­veire contro il sant'uomo. E questo e quello... Al­lora questi, con gran calma, aprì il cassetto del tavolo... E, indovinate che cosa apparve? Apparve la lingua bifida del vecchio serpente tentatore. Ohi, ohi. E, scivolando dal cassetto, la maledetta bestia s'attorciglia al collo dell'uomo, che era il ter­rore della contrada. « Soccorso! Perdono, Rabbi! Farò quello che vuoi, ma liberami dal serpente! ». E il Rabbi, sempre calmo: «Insegnerai ai figli, e ai figli dei tuoi figli ad obbedire alle parole del Rabbi, e a ricordarsi della sua frusta ».

Il Terzo Batlan              - Ahi, ahi, ahi! Che strana frusta! (Silenzio).

Il Secondo Batlan         - Credo che siate in errore. Non poteva essere il serpente tentatore.

Il Primo Batlan             - Perché?

Il Secondo Batlan         - Un sant'uomo come il Rabbi di Nickelsberg non può essere ricorso al serpente, che è Satana in persona... (Sputa).

Il Primo Batlan             - Ah, non mi credi? La cosa av­venne davanti ad una folla enorme. L'hanno visto tutti.

Il Secondo Batlan         - Non dico che non sia acca­duto. Non dico questo. Ma pensavo che non è dato all'uomo d'evocare Satana con uno scongiuro.

Il Messaggero               - Il solo modo di evocarlo è di pro­nunciare il Gran Nome la cui fiamma ha fuso in uno i sensi opposti: le più alte cime e i più pro­fondi abissi. (Hanan leva il capo. Ascolta con at­tenzione).

Il Terzo Batlan              - Non è pericoloso pronunciare il nome supremo?

Il Messaggero               - Pericoloso? No. Ma la scintilla che aspira a mutarsi in fiamma, può scatenare l'incendio.

Il Primo Batlan             - Nel villaggio dove son nato, vive un Rabbi capace di miracoli. Basta che pro­nunci un nome magico e, subito, una quercia, eccola fiammeggiare nel bosco. Pronuncia un al­tro nome, ed ecco un soffio di vento, all'improv­viso, spegner quella jattura. Egli stesso m'ha detto di conoscere formule che permettono di creare dal nulla un uomo, un Golem più potente di ogni atleta mai vissuto, più forte d'un toro. Conosce le parole che rendono invisibile. Sa comandare alle forze nere. A Satana in persona che il Si­gnore ci guardi. (Sputa) L'ho sentito dalla sua bocca.

Hanan                           - (in piedi, ha ascoltato con attenzione; si muove in direzione della tavola, guarda il Messag­gero, poi il primo Batlan; con voce lontana) Dove abita costui?

Il Messaggero               - (fissa negli occhi Hanan e seguita a contemplarlo) Chi?

Hanan                           - Quest'uomo dei miracoli.

Il Primo Batlan             - Nel mio villaggio, se è ancora vivo.

Hanan                           - Lontano?

Il Primo Batlan             - Oh, sì. Lontano.

Hanan                           - Quanta strada ci vuole?

Il Primo Batlan             - Un mese buono e forse anche più, con la neve. (Silenzio). Ma perché mi chiedi? Ci vuoi andare? (Silenzio) Il villaggio sì chiama Krasné e il nome del cabalista è rabbi Elhanàn.

Hanan                           - El Hanàn... Cioè a dire il dio di Hanàn. Il dio di Hanàn... Hanàn è il mio nome...

Il Primo Batlan             - (agli altri) Vi dico che compie miracoli in pieno giorno... Una volta, con questi miei occhi ho visto...

Il Secondo Batlan         - (interrompendolo) Non par­liamo di queste cose, qui, di notte, e in un luogo santo... Potrebbe accadere una sciagura... (Hanan esce lentamente. Tutti lo seguono con lo sguardo. Lungo silenzio).

Il Messaggero               - Chi è?

Il Primo Batlan             - E' un allievo della scuola tal­mudica. (Meir, il sacrestano, chiude l'arca e si avvicina al tavolo).

Il Secondo Batlan         - Un uomo raro, di grande de­vozione.

Il Terzo Batlan              - Ha una stupenda memoria... Può recitare una dopo l'altra cinquecento pagine del Talmud.

Il Messaggero               - Dov'è nato?

Meir                              - In un paese lituano. E' diventato presto il miglior allievo della nostra scuola. Poi è partito in pellegrinaggio. S'è assentato per un anno intero. Poco tempo fa è ritornato. Ma non è quello di una volta. Sempre trasognato. Digiuna da un sabato all'altro e non mangia che il settimo giorno. Nei suoi pensieri si occupa - dicono - di cose se­grete... (Sottovoce) della Cabbala.

Il Secondo Batlan         - Sì. Dicono così nel villaggio. E più d'uno s'è rivolto a lui per ottenere un tali­smano. Non ne vuol sapere... Scaccia via tutti...

Il Terzo Batlan              - Forse è uno dei Giusti. Si fa torto a spiarlo... (Pausa).

Il Secondo Batlan         - (sbadiglia) E' tempo di cori­carsi. (Con un sospiro, al primo Batlan) Peccato che tu non sia come il tuo Rabbi di Krasné, quello che fa zampillare il vino dalle pietre. Oh, quanto mi piacerebbe stanotte quel miracolo... Ne berrei tanto volentieri un bicchiere; da stamane non ho bevuto né mangiato nulla...

Il Primo Batlan             - Anche per me oggi è giorno di digiuno.

Meir                              - Un po' di pazienza! Ci sarà da bere presto! E da mangiare! Sender è andato a fidanzar la fi­glia. Lasciate che il patto si concluda, e il vino correrà a torrenti...

Il Secondo Batlan         - Oh, è un vecchio inconten­tabile! Non è un patto facile ti dico! Tre volte l'abbiamo visto partire e tre volte è tornato a mani vuote. Il primo non gli piaceva; l'altro aveva una famiglia antipatica; il terzo non portava dote ab­bastanza... E' un vecchio incontentabile il vostro Sender, ecco quello che è!

Meir                              - Se lo può permettere. E' ricco, e la figlia è bella, una perla...

Il Terzo Batlan              - Questo sì... Ma potrebbe mari­tarla con più giudizio...

Meir                              - Quale giudizio?

Il Terzo Batlan              - Un tempo, quando i ricchi cercavan marito alle figlie, non ci si occupava di da­naro, né di parentela. Si cercava un cuore e un cervello. Si andava in una scuola talmudica e si pregava il Rabbi di indicare, tra i discepoli, il gio­vane più adatto. Ecco tutto.

Il Messaggero               - Qui troverebbe, forse, uno sposo degno di scelta.

Il Primo Batlan             - Come fate a saperlo?

Il Messaggero               - Lo credo.

Il Terzo Batlan              - Basta, basta con le chiacchiere... La scelta non sta neanche a Sender. Un fidanzato è il destino a proporlo. (La porta si apre all'im­provviso, entra una donna anziana, seguita da due bimbi, piangendo).

La Donna                      - Ahi! Ahi! Signore, aiutami! Apriamo l'Arca Santa, abbracciamo i rotoli della Torah! Non ci muoviamo finché l'Eterno non abbia sal­vato vostra madre! (Apre l'Arca, si getta dentro col capo e prega lamentandosi) Ahi! Ahi! Ahi! Dio di Abramo, Dio di Isacco e di Giacobbe, guarda­mi sventurata, guarda questi infelici e non li pri­vare della madre! Sante Leggi, madri amabili d'Israele, lottate per questa creatura, implorate voi per la mia povera figlia, andate dal Padrone del mondo, che non permetta sia sradicata la bella pianta, non sia tolta l'agnella al suo gregge e che questi uccellini non muoiano in un nido deserto. (Urlando) Con le mie grida aprirò la terra, squarcerò il cielo! Non mi muovo da qui se non mi rendi la figlia, corona della mia povera fronte! Oh, pietà!

Meir                              - (le si avvicina. La sfiora. Con voce quieta) Ester! Vuoi che aduni qualche fedele per recitare i salmi della salvezza?

La Donna                      - (guarda attonita) Ahi! Ahi! Ahi! Sì, presto! Riunisci qualche fedele, i salmi! I salmi! Ma presto, presto! Non c'è più tempo da perdere! Da due giorni è davanti alla morte.

Meir                              - Subito, subito... (Con voce più suadente) Solo bisogna dar loro qualcosa, sono povera gente...

La Donna                      - (frugandosi) Eccovi un rublo, ma ba­date che preghino!

Meir                              - Un rublo? Dieci copechi a testa? E' poco, sapete?

La Donna                      - (senza starlo a sentire, disperata) E' tutto quello che ho. Via, bambini! Andiamo a pregare anche in un'altra sinagoga! (Esce).

Il Messaggero               - All'alba una donna è venuta ed ha aperto l'Arca Santa perché sua figlia è in do­glie da due giorni e non riesce a partorire... Ora quest'altra vecchia implora per sua figlia che da due giorni lotta contro l'angelo della morte.

Il Terzo Batlan              - Che intendi dire?

Il Messaggero               - Quando l'anima di una creatura non ancora morta deve entrare in un corpo che non è ancora nato è la lotta: se nasce il bimbo muore l'inferma; ma se è il bimbo a morire, l'am­malata torna alla vita...

Il Primo Batlan             - Ahi! Ahi! Ahi! Ciechi siamo... Gli occhi vedono cose inutili. Le cose vere gli uomini le ignorano.

Meir                              - (accostandosi al tavolo) Andiamo a reci­tare i salmi per la guarigione della malata. Dio ha voluto compensarci. (Distribuisce i copechi).

Il Secondo Batlan         - (ai giovani che sonnecchiano) Venite a cantare i salmi. (Escono tutti, tranne il Messaggero. Dall'oratorio si eleva il canto del primo salmo: « Felice l'uomo che non segue il con­siglio degli empi ». Il Messaggero, immobile, conti­nua a fissare l'Arca. Entra Hanan).

Hanan                           - (stanco, come trasognato, si accosta all'Arca) Chi ha aperto di notte i battenti dell'Arca? (Contempla i fascicoli) Vi guardo, libri della Torah, l'uno accanto all'altro, immobili, se­reni. Eppure contenete tutte le voci, tutti i se­greti, tutti i misteri, dal primo giorno della Crea­zione, fino alla fine dei secoli. Come ottenere un segno? (Conta i rotoli) Uno, due, tre, quattro, no­ve libri! Questo numero contiene la verità. In ogni rotolo sono quattro impugnature. Di nuovo trentasei. Non passa giorno in cui non mi imbatta in questa cifra, di cui ignoro il significato, e che mi affascina... Sento che in essa è contenuto il traguardo... Trentasei. La somma delle cifre del nome della mia amata. Tre volte trentasei è la somma delle cifre del mio nome... Lea, significa: senza Dio. (Si mette a tremare) Che orribile pen­siero... Eppure mi affascina...

Heneck                          - (entrando) Hanan, che fai? sembri smar­rito da qualche tempo...

 

Hanan                           - (si avvicina lentamente ad Heneck) Mi­steri, senza fine. Intorno all'uomo tutto è mistero. Dov'è la vera salvezza? (Pausa) Il villaggio si chia­ma Kresné, e il nome del Rabbi è Elhanan...

Heneck                          - Che dici?

Hanan                           - (come destandosi) Io, niente. Stavo pen­sando...

Heneck                          - Vivi immerso nella Cabbala, Hanan. Da quando sei tornato, non hai aperto il Talmud.

Hanan                           - Il Talmud: freddo, arido. Come gli scrit­ti dei savi. (Esaltandosi) Sotto la terra c'è un mondo di cose infinite, vedi, come sopra la terra. Ci sono foreste e prati, oceani e deserti, città e villaggi. I deserti li squassa la tempesta, gli squali sprofondano negli abissi marini, e nella foresta geme l'angoscia. Una sola cosa manca al mondo sotterraneo: il cielo, con il sole e i suoi fulmini. Così è il Talmud. Un mondo senza cielo. Un mon­do che incatena l'uomo alla terra, lo priva delle ali stupende che anelano agli spazi. (In estasi) Ma la Cabbala svincola l'anima dal suolo... solleva l'uo­mo alle vette celesti, lo unisce ai misteri infiniti... (Si scuote) Non ho più forza, ahimé! ahimé!

Heneck                          - (serio) Forse questo è vero. Ma tu sai anche i pericoli che si celano in questo volo ar­dente. Alto è lo slancio, ma prossimo, il più nero abisso. Il Talmud, invece, innalza l'uomo lenta­mente, proteggendolo come un fedele guardiano. Lo riveste d'una corazza contro le tentazioni e poco a poco gli impedisce di deviare. La Cabbala, invece? (Cita dal Talmud cantilenando) Quattro saggi sono entrati nel giardino della Cabala. Ben Azai guardò e cadde folgorato. Ben Soma guardò e gli si smarrì la mente. Ben Achai guardò e ri­mase senza fede. Soltanto Ben Achilia è tornato da quel giardino.

Hanan                           - Questi esempi non mi spaventano. Con che intenzioni erano entrati? Curiosità, forse? Cer­to non per cercare il vero cammino. Altri, dopo di loro, vi sono penetrati senza perire.

Heneck                          - Ti paragoni a loro?

Hanan                           - No. Ma il mistero dell'anima mi attira irresistibilmente. La missione dei giusti sta nel mondare le anime umane da ogni peccato, affin­ché tornino alla loro fonte luminosa. Non è facile. Perché, come dice la Genesi, « il peccato sta in ag­guato a ogni porta ». Quando un'anima ha ritro­vato la sua purezza, ne arriva un'altra contami­nandola ancora di più, perché il genere umano si va corrompendo senza scampo. La potenza del male s'accresce, il numero dei Giusti s'assottiglia a ogni nuova stagione.

Heneck                          - Che fare, allora?

Hanan                           - Purificare, non lottare il peccato. Da dentro esprimerlo: come l'orafo fa con l'oro, dal fuoco. Come s'estrae il diamante dalla roccia, così bisogna mondare il peccato da ogni impurità, che ne residui solo ciò che è santo...

Heneck                          - La santità del peccato? Com'è possi­bile?

Hanan                           - Tutto quello che Dio ha creato racchiude in sé una parte di purezza.

Heneck                          - E' Satana, non Dio, che ha creato il peccato!

Hanan                           - E chi ha creato Satana? Dio l'ha creato.

Heneck                          - No, no. Tu deliri! (Lascia cadere la testa sul leggio).

Hanan                           - (piegato su di lui con voce tremante) Qual è la tentazione più forte, il peccato più in­tenso? Non è il desiderio della donna?

Heneck                          - Sì.

Hanan                           - Ora, questa colpa, se il fuoco la purifica da ogni macchia, diventa estasi sacra; come nel Cantico dei Cantici:

« Bella creatura, infinitamente bella

Dal tuo velo, gli occhi, languidi come della colomba

I tuoi capelli come un gregge nero

Sospeso alle pendici di Galaad ».

Meir                              - (esce dalla sala. Entrano nella sinagoga Lea, conducendo per mano Pradé, seguite da Ghitla. Si fermano vicino alla porta) Che onore! La figlia di Sender? Buona sera, Lea!

Lea                                - (timida) Buona sera, Meir. Mi avete pro­messo di mostrarmi gli antichi ricami dell'Arca, non è vero? (Appena si sente la sua voce, Hanan interrompe il canto, guardando Lea con gli occhi estatici. Rimane così per tutta la scena).

Pradé                             - Mostrale i vecchi ricami, Meir. Lea vuol ricamare una tenda per l'Arca e sarà pronta per l'anniversario della morte di sua madre. La rica­merà con fili d'oro sopra un bel velluto, coi dise­gni dei tempi antichi, aquile e leoni. E quando la tenda verrà posata sull'Arca, l'anima virtuosa di sua madre s'allegrerà in paradiso.

Lea                                - (guarda intorno; scorge Hanan e resta così, ansiosa).

Meir                              - Volentieri, Pradé. Vi mostrerò le più belle, le più antiche. (Va verso un cofano e ne estrae qualche tenda ricamata).

Pradé                             - Non hai paura a quest'ora, nella sinagoga?

Lea                                - E' la prima volta che la vedo di notte. Come tutto appare triste!

Pradé                             - Bisogna che un tempio sia triste. Nel cuore della notte vengono qui i morti per pregare e lasciano sui muri la traccia della loro pena.

Lea                                - Nonna, non parlare di morti. Ho paura.

Pradé                             - Tutte le mattine, all'alba, l'Eterno piange sulle rovine del Tempio di Gerusalemme e le sue sante lacrime cadono su ogni sinagoga. Per que­sto più sono antiche, più umide all'alba sono le loro mura. Non si deve imbiancarle. O allora la collera le invade e le mura si mettono a lanciare pietre.

Lea                                - Com'è vecchia, questa! Dall'esterno non sembra.

Pradé                             - Sì, piccola, molto vecchia. Si dice, per­fino, che fu trovata già costruita, ma non da mano d'uomo... La città l'hanno più volte invasa e distrutta, hanno tutto ridotto in cenere, ma la sinagoga è rimasta intatta. Una volta soltanto, il tetto stava incendiandosi, ma un volo di co­lombe, all'improvviso, venne a fiorire nel cielo e il battito delle loro ali spense il fuoco.

Lea                                - (senza ascoltarla) E sale una tristezza infi­nita attorno. Eppure come queste mura mi attrag­gono. Ho voglia di stringerle al cuore... di pog­giarvi contro la guancia... Chiedere: perché tanto calme e dolenti? Perché siete così tristi, povere mura?

Meir                              - (porta le tende) Ecco le più antiche; que­sta ha più di duecento anni. E la si toglie dal cofano solo per la Pasqua.

Pradé                             - Guarda, Lea, che splendore. Rami di man­dorlo e colombe. Oggi non si trova più né stoffa né fili di metallo così preziosi.

Lea                                - (accarezza e bacia la tenda) Com'è bella! Ma anche la stoffa è triste.

Ghitla                            - Lea, osserva là, c'è un giovane che ti guarda. Che volto strano!

Lea                                - E' un allievo della scuola talmudica. Si chiama Hanan, mangiava qualche volta alla nostra tavola.

Ghitla                            - Ti guarda come se volesse chiamarti con gli occhi. Forse vorrebbe avvicinarsi, ma non osa.

Lea                                - Vorrei sapere perché è tanto pallido e tri­ste. Dev'esser stato malato...

Ghitla                            - Ma non è triste; guarda come brilla lo sguardo...

Lea                                - I suoi occhi splendono sempre. Quando mi parla è come se il respiro gli mancasse, e anche a me sembra mancare il respiro. Non so. Non sta bene per una ragazza parlare con uno straniero.

Pradé                             - Meir, permetteteci di onorare la santa Torah, giacché siamo nella casa di Dio.

Meir                              - Certo, certo. Venite. (Va verso l'Arca se­guito da Ghitla che conduce Pradé. Dietro loro, Lea. Nel passare accanto ad Hanan, Lea si ferma un istante).

Lea                                - (con voce calma) Buona sera, Hanan. Ec­covi tornato.

Hanan                           - Sì... sì.

Pradé                             - Vieni, Lea, a baciare la santa Torah.

Lea                                - (si avvicina e bacia i libri con fervore).

Pradé                             - Basta, figliola. Non bisogna restar troppo vicino alle cose sacre. I rotoli contengono la Santa Legge che fu scritta con fuoco nero su fuoco bianco. (D'improvviso, timida) Oh, com'è tardi! Com'è tardi! A casa figliole. Andiamo. E' notte alta. Lea... Lea... (Escono in fretta. Meir chiude l'Arca ed esce con loro).

Hanan                           - (sta in piedi, gli occhi serrati, si rimette a salmodiare il Cantico dei Cantici) « Bella, creatura, infinitamente bella I tuoi capelli come un gregge nero Sospeso alle pendici del Galaad... ».

Heneck                          - (levando il capo) Che reciti, Hanan? (Silenzio) I tuoi riccioli sono bagnati. Sei stato ancora al bagno rituale?

Hanan                           - Sì.

Heneck                          - E digiuni da un sabato all'altro? Non ti indebolirai troppo?

Hanan                           - Ho perduto ogni voglia di cibo. (Pausa).

Heneck                          - (affettuoso) Ma perché queste prove? Perché ti torturi? Che speri di ottenere dalla Cabbala?

Hanan                           - Possedere un diamante per renderlo molle come la cera. Poterlo fondere, dopo, in una lacrima e che la mia anima lo bevesse. Allora irradierei d'una luce accecante, quella della terza dimora della terza sfera, che è la sfera della gloria. (Improvvisamente eccitato) Sì, mi occor­rono due sacchetti d'oro, per colui che solo s'in­teressa del peso dell'oro...

Heneck                          - Che dici? Attento, Hanan. Sei sopra una voragine. Non è dalle potenze sante che ot­terrai quel che stai chiedendo.

Hanan                           - E se lo chiedessi ad altre potenze, che alle sante?

Heneck                          - (spaventato) Mi fai paura. Ho paura di starti accanto. (Esce in fretta. Hanan con espressione di sfida, ride. Dalla porta di strada entra Meir, da quella della stanza vicina, il Primo Batlan).

Il Primo Batlan             - Ho recitato diciotto salmi. Basta. Non vorrete che li recitiamo tutti per un rublo. (Entra Ascher) Eppure seguitano a can­tare!

Meir                              - Sono meglio di te, vedi... La malata così potrà guarire...

Asher                            - Amici, ho incontrato al crocicchio Bazzuch, il sarto. Tornava da Klimovka dove Sender è andato a conoscere la famiglia del fidanzato, ma pare che non si siano messi d'accordo. L'avevo detto io a Sender, la dote offerta pareva troppo magra. E così si sarebbero lasciati.

Meir                              - E' la quarta volta che si ripete.

Il Primo Batlan             - E la festa, anche stavolta... (Fa un cenno per indicare che tutto è sfumato).

Il Messaggero               - (con un sorriso) L'avete detto voi stesso che si sposa solo chi ci è destinato.

Hanan                           - Ho vinto ancora io... (Cade esausto sulla panca e vi rimane seduto con espressione di fe­licità).

Il Messaggero               - (preparando una lanterna) E' tempo di riprendere il cammino!

Meir                              - Perché tanta fretta?

Il Messaggero               - Il mio mestiere è di viaggiare. I messaggi che reco non possono attendere. Il tempo non m'appartiene.

Meir                              - Aspettate almeno fino all'alba.

II Messaggero               - L'alba è ancora lontana, amico, e il mio cammino è lungo. Debbo partire ora.

Meir                              - La notte è livida, non ci si vede affatto.

Il Messaggero               - Preparo la lanterna per illumi­ nare il sentiero. (Escono dalla sala i due Batlan).

Il Secondo Batlan         - Che l'Onnipotente voglia sal­ vare la moribonda.

Tutti                              - Amen.

Il Primo Batlan             - Ora, con questo rublo, va' a comperare vino e qualcosa da mettere in bocca.

 

Meir                              - Ho preparato già tutto. (Tira dalla tasca una bottiglia e qualche galletta. S'apre la porta. Sender appare, allegro, seguito da qualche ebreo). Tutti - O reb Sender, benvenuto!

Sender                           - Passando davanti al tempio ho avuto voglia di vedere che facessero gli amici. Vi imma­ginavo in preghiera o assorti nello studio. (Scorge la bottiglia) Eccolo il testo che studiate. (Ride rumorosamente).

Il Primo Batlan             - Favorite bere, con noi, reb Sender.

Sender                           - Sono io che v'invito a bere, amici! Con­gratulatevi con Sender. Perché? Ha fidanzato sua figlia!

Hanan                           - (pallido si leva dal banco).

Tutti                              - Evviva! Evviva! Oh, la bella notizia!

Meir                              - Ma come? Ci avevano raccontato poco fa che non se n'era concluso nulla tra voi e i parenti del giovanotto...

Il Primo Batlan             - « Una triste notizia » abbiamo tutti ripetuto, ed invece...

Sender                           - Per poco, per poco e ancora era vero,.. Ma infine ce l'ho fatta. Hanno ceduto. Le mie con­dizioni le accettano, in pieno, e il patto è già pron­to, firmato, qui. (Si batte la tasca).

Hanan                           - E' possibile? E' stato tutto inutile, allora: formule, digiuni, preghiere. E adesso? Che fare, ora? dove? con che mezzi? (Si preme angosciosa­mente il petto, poi leva lento la testa. Il volto è raggiante, estatico) Ah, ah, ah. Ora appare chiara la duplice verità del controsenso. La contemplo. Ho vinto, ho vinto... (Cade al suolo esamine).

Il Messaggero               - (accende la lanterna) La fiamma s'è spenta, bisogna accenderne un'altra... (Silenzio angoscioso).

Sender                           - Meir, perché è tanto buio? Accendi un'al­tra candela. (Meir accende un cero).

Il Messaggero               - Così vi siete messi d'accordo sul matrimonio!

Sender                           - (un poco stupito) Sì, non m'avete sen­tito?

Il Messaggero               - Capita a volte che si prendano impegni che poi non si rispettano. Bisogna esser prudenti!...

Sender                           - (turbato) Chi è quest'uomo? Non lo conosco.

Meir                              - Non è di qui. E' un passante, porta missive da una contrada all'altra.

Sender                           - Che ha voluto dire... d'impegni trasgre­diti?

Meir                              - Non so.

Sender                           - (riprendendosi) Asher. Sai che devi fa­re? Corri a casa! E' tardi, ma scuotili lo stesso... Mi preparino il vino caldo e i biscotti. Sono inti­rizzito. (Asher esce correndo) Resto ancora un mo­mento con voi. Sediamoci. C'è qualcuno che può raccontarmi qualche parola nuova del nostro Rab­bi? Un aneddoto, un altro miracolo? Ogni gesto che fa è più prezioso di una perla.

Il Primo Batlan             - (a Meir) Metti da parte la bot­tiglia, servirà per domani.

Sender                           - E allora lasciatela raccontare a me una delle sue sentenze. Un giorno un ebreo tra i più ricchi e avari, come solo un ricco può essere, viene a vedere il Rabbi. Il Rabbi lo prende sottobraccio e lo avvicina alla finestra: « Che vedi ora? » gli chiede. « Oh! bella, risponde l'altro, vedo il mon­do ». Poi il Rabbi lentamente s'avvia verso un'altra parete della stanza, dove c'era uno specchio. « E ora cosa vedi? ». L'altro sorrise: « Vedo me stesso, Rabbi ». Al che il rabbino lo fece sedere e gli spie­gò: « Lo specchio e la finestra son fatti dello stes­so vetro. Ma dietro allo specchio c'è un velo d'ar­gento e tanto basta perché chi guarda non riesca più a scorgere il mondo, ma solamente se stesso ».

Il Terzo Batlan              - Ahi, ahi, ahi! Parole più dolci del miele.

Il Primo Batlan             - Sono parole sante.

Sender                           - Io gli dissi allora: è a me che fate al­lusione, per caso?

Il Messaggero               - Mi guardi Iddio.

Sender                           - Rispose proprio così: mi guardi Iddio!

Il Secondo Batlan         - Se si cantasse qualcosa... In onore del nostro santo Rabbi... (/ tre Batlan; in­tonano una melodia dolce, mistica; tutti li accom­pagnano battendo le mani).

Sender                           - (lascia bruscamente la sedia) Bisogna ballare ora... (Eseguono in cerchio).

Il Secondo Batlan         - Heneck, dove siete? Hanan! Venite anche voi...

Sender                           - (turbato) Già c'è anche Hanan. Chia­matelo. Che venga, che venga a ballare con noi.

Meir                              - (scorge Hanan disteso al suolo) S'è addor­mentato per terra... Digiuna troppo, è sfinito.

Sender                           - Sveglialo. Deve ballare con noi!

Meir                              - (lo scuote) Non riesco a svegliarlo!

Il Primo Batlan             - (accorrendo) E' morto!

Il Secondo Batlan         - (raccattando un libro vicino al corpo) Vedete, dalla mano gli è caduto il libro dell'angelo Raziel... il libro della Cabbala. (Tutti si guardano sgomenti).

Il Messaggero               - Ha contemplato il segreto... L'han­no ucciso le potenze malvage.

ATTO SECONDO

(Una piazza nel villaggio di Brinitza. Al centro, la vecchia sinagoga. A sinistra, nel fondo, il cimi­tero e più avanti una tomba con la stele. A destra, cortile della casa di Sender. Nella corte sono le tavole apparecchiate. Attorno ad esse sono seduti poveri, mendicanti, infermi, che mangiano e tra­cannano avidamente, strappando le vivande dai vassoi che i servi portano attorno. Dalla casa di Sender si sente musica di danze-, e conversazione animata. E' il tramonto. Due Batlan, uno giunto da lontano, discorrono davanti alla sinagoga).

 

Il Primo Batlan             - Avete una bella sinagoga. De­ve allegrare l'Onnipotente. E' antica, certo?

Il Secondo Batlan         - Oh, sì. I nostri vecchi dicono che i loro nonni ignoravano il tempo in cui fu edificata.

Il Primo Batlan             - E che cos'è questa stele, nel mezzo del villaggio?

Il Secondo Batlan         - Due secoli fa questa con­trada fu invasa da un feroce Bogdàn e dai suoi cosacchi. Misero a ferro e fuoco il villaggio e uc­cisero metà degli ebrei. Quel giorno si celebra­vano le nozze di due giovani. Caddero lì ed erano ancora sotto il baldacchino nuziale. Li hanno se­polti nella stessa tomba, la ragazza e il suo gio­vane sposo, qui proprio dove sono caduti. (A voce più bassa) Da allora ogni volta che si celebra un matrimonio davanti alla nostra sinagoga, si ode da questa tomba esalare come un sospiro. Per questo, a ogni nuovo matrimonio, è usanza del villaggio che il corteo venga attorno alla tomba con canti e balli, per rallegrare gli sposi sepolti...

Il Primo Batlan             - E' una bella usanza.

Meir                              - (esce dalla corte di Sender e si avvicina ai due) Che banchetto! Che belle vivande servite ai poveri! Una meraviglia!

Il Secondo Batlan         - Non c'è da stupirsi. Figlia unica d'un riccone!

Meir                              - Trote, arrosto, dolci a profusione, per tutti! E acquavite prima e alla fine del pranzo! Si vede che ha un sacco di soldi, che ce ne vuole per tutto questo... Sender ha speso un patrimonio... vi dico.

Il Secondo Batlan         - Sender sa quello che fa. Non si dà torto a ricever male un ospite ricco; al più, potrà indispettirsi. Ma accoglier male il povero, questa sì che è gran colpa... Non si sa mai chi può celarsi sotto gli stracci d'un mendicante.

Meir                              - Il profeta Elia. Gli piace vestirsi dei pan­ni degli straccioni.

Il Messaggero               - (entrando col suo sacco in spalle) Bisogna aver riguardo per tutti, non solo per i poveri. Di nessun uomo si può sapere chi sia ve­ramente, né perché sia venuto al mondo...

Meir                              - Schalòm Aleichèm. Eccovi ritornato.

Il Messaggero               - M'hanno ancora inviato in que­sto villaggio.

Meir                              - Oggi è festa grande: uno sposalizio ric­chissimo.

Il Messaggero               - Se ne parla per l'intera contrada. Ne ho avuto notizie lungo il cammino.

Meir                              - Non avete incontrato, per caso, i parenti dello sposo? Tardano ad arrivare!

Il Messaggero               - Lo sposo arriverà in tempo. (En­tra nella sinagoga. Il secondo Batlan e Meir si dirigono verso la casa di Sender. Mendicanti, don­ne e uomini irrompono in scena).

La Donna                      - Ho ballato con la sposa, io...

La Zoppa                      - Anch'io, con questa gamba secca...

Lo Zoppo                      - Perché solo con le donne? Mi chiedo perché la sposa può ballare solo con le donne. Mi piacerebbe darle una strizzatina un momento fra queste braccia... (Pizzica una donna che scappa... Dalla casa escono Pradé, Ghitla e Batia).

Pradé                             - (inquieta) Lea balla ancora coi poveri. ...Finirà col girarle la testa. Portatela qua, figliuo­le! (Si siede. Le due escono e portano Lea).

Ghitla                            - Basta di ballare, Lea. Ora vieni con noi.

Bassia                            - Ti verrà la vertigine. (Vogliono liberare Lea, ma le mendicanti la circondano piagnuco­lando).

La Donna                      - No, no, non me la portate via! E io sono peggio d'un'altra! Tocca a me, vecchiaccia! No, ora è a me che deve il ballo...

La Vecchia Cieca          - Ha fatto sette giri con la gob­ba e neppure uno con me!

Meir                              - (viene da destra e con tono solenne, in piedi su uno sgabello) Attenti alla distribuzione del denaro: dieci copechi a testa.

I poveri                         - (urlando!) Dieci copechi! A me! No, prima io! Largo!... (Escono).

La Vecchia Cieca          - (circondando Lea con le brac­cia) Me ne fotto dei dieci copechi, io. Io voglio ballare con te. Un giro solo. O, come ballavo bene nei tempi lontani! (Abbraccia Lea e la trascina) Ancora! Ancora! (Turbinano sempre più svelte).

Ghitla                            - (strappa Lea dalla vecchia. Insieme a Pradé trascinano la giovinetta verso una sedia).

Pradé                             - Sei pallida più della tua veste, Leula adorata! T'hanno stancata, è vero?

Lea                                - (gli occhi chiusi, la testa rovesciata all'indie­tro, come in sogno) Mi circondavano, m'hanno toccata con le dita fredde e ossute... con i loro artigli. Mi girava la testa, mi sentivo mancare... Poi qualcuno è venuto e m'ha portata via lontano... lontano m'ha rapita nell'aria, lassù, in alto!...

Ghitla                            - T'hanno gualcita la veste... Come farai adesso?

Lea                                - (sempre come in sogno) Non bisogna la­sciar sola la fidanzata prima delle nozze... ven­gono gli spiriti maligni e la portano via...

Pradé                             - (sconvolta) Taci, Lea, sciocchina. Porta male evocare gli spiriti! Stanno dappertutto in agguato, vedono ogni cosa... ci scrutano. Appena qualcuno pronunzia il loro nome impuro, se ne impadroniscono. (Sputa).

Lea                                - (aprendo gli occhi) Non sono spiriti ma­ligni...

Pradé                             - Non bisogna fidarsi degli spiriti, sono sempre pronti a nuocere.

Lea                                - (con forza) No, no. Ci circondano anche gli spiriti puri: le anime di coloro che sono morti.

Pradé                             - Cosa dici? Di quali anime parli? L'uomo nasce a una vita lunga e piena.

Lea                                - Se sparisce prima che la sua ora sia suo­nata, dove va l'esistenza che non ha vissuta? che diventano le sue gioie e i dolori? i pensieri che non ha avuto il tempo di meditare? gli atti che non ha compiuti? Ah; Pradé! C'era un giovane dall'animo nobile, dallo spirito profondo che aveva davanti a sé tutta una vita. E, all'improvviso, più nulla. Il buio. L'hanno sepolto lontano da casa sua. (Tristemente) Dove sono i giorni, dove sono le parole che non ha pronunciato? le sue preghiere interrotte, il respiro... Dove?

Pradé                             - (scuotendo la testa) Sono cose da non chiedere, Lea. Iddio solo sa quel che fa e noi vi­viamo nelle tenebre. (S'avvicina il Messaggero e si ferma, non visto, vicino alle donne).

Lea                                - (senza dar retta a Pradé) No, Pradé, tutto può perdersi, ma non una vita d'uomo. Se uno muore prima della sua ora, la sua anima deve tornare in terra per vivere quel che gli rimane di sofferenze e di gioie. (Pausa) La mamma è morta giovane, nemmeno lei ha avuto il tempo d'andare ai limiti del suo destino. Voglio, /davanti alla sua stele, chiederle che venga e mi conduca assieme al padre sotto il baldacchino nuziale. Voglio che balli con me, povera mamma, come hanno bal­lato gli altri. (Sottovoce) Pradé, sai, volendo con tutte le nostre forze, le anime possiamo vederle... Lo so... (Indica la tomba) Vedo il volto di due sposi che giacciono là. Giovani e belli avanzano verso la festa, la musica... quando le fiamme, le urla, le spade... Eccoli uniti per sempre... sereni... all'infinito... (Si alza e s'accosta alla tomba) O santi sposi! Vi invito alle mie nozze. Anche voi statemi vicino. (Musica festosa che s'avvicina. Lea spaventata barcolla).

Ghitla                            - Non aver paura. E' il fidanzato che ar­riva. L'accolgono all'ingresso del villaggio.

Bassia                            - (eccitata) Vado a guardarlo di nascosto.

Ghitla                            - Anch'io. E verremo a dirti com'è. Vuoi?

Lea                                - No.

Bassia                            - Ma non temere, sciocca. Non lo diremo a nessuno. (Escono correndo, Pradé e Lea tornano verso casa).

Il Messaggero               - (avvicinandosi) Sposa!

Lea                                - Che volete?

Il Messaggero               - Le anime tornano in terra, ma non sono spiriti senza corpo. Passano l'uno dopo l'al­tro per diverse sostanze create, fino alla purifi­cazione ultima. Le anime colpevoli si incarnano prima in corpi di animali, di pesci, d'uccelli, ed attendono che un Giusto le liberi e le sollevi dalla loro caduta. Altre anime più chiare riprendono vita nel corpo dei neonati e cercheranno la sal­vezza mediante i loro atti.

Lea                                - Ancora... parlatemi ancora...

Il Messaggero               - Ci sono anime erranti che non arrivano a trovar pace. Esse s'incarnano, come « dibbuk », nel corpo di altre persone viventi. E così attendono la loro salvezza. (il Messaggero esce. Lea resta attonita. Entra Sender).

Sender                           - Che fai qui sola, Lea?

Pradé                             - Ha ballato coi mendicanti. Ha fatto la gioia dei poveri, sapete... Si riposa un istante.

Sender                           - E' una buona azione. Ma ora bisogna affrettarsi. Lo sposo è arrivato assieme a suo padre. Siete pronte?

Pradé                             - Lea deve andare ancora alla stele di sua madre.

Sender                           - Va' figlia. Dille che l'invito al tuo matri­monio e che mi stia al fianco nel momento in cui sposiamo la nostra unica bambina. Dille che ho dedicato a te tutta la mia vita come mi aveva chiesto prima di morire. T'ho allevata come una cara figlia d'Israele, e t'ho scelto un marito one­sto e bravo. Va' figlia mia... (Si asciuga le ciglia e rientra in casa).

Lea                                - Pradé, posso invitare qualcun altro assie­me a mia madre?

Pradé                             - Solo stretti parenti: il nonno, reb Efraim, la zia Mirele...

Lea                                - Vorrei invitare un'altra persona, ma non è parente...

Pradé                             - No, Lea, meglio di no; se inviti un estra­neo, quelli che non inviterai potrebbero offendersi e, Dio ne liberi, farti .del male.

Lea                                - Non è un estraneo... è stato presso di noi, come uno di famiglia...

Pradé                             - Oh, figlia, si dice che abbia fatto una brutta fine... non so dove sia sepolto e non sta bene chiederlo.

Lea                                - Ho visto la tomba in sogno, ed anche lui ho visto...

Ghitla e Bassia              - (entrando allegre, correndo) L'abbiamo visto, l'abbiamo visto!

Lea                                - Chi avete visto?

Bassia                            - Ma il tuo fidanzato: ha i capelli neri...

Ghitla                            - Ma no, se è biondo... biondo ti dico...

Bassia                            - Ma che biondo, sciocca, neri ti dico, neri... (A Ghitia) Torniamo a vederlo meglio... sono al mulino, stanno arrivando...

Pradé                             - Andiamo, Lea. (Lea indossa uno scialle nero ed esce con Pradé da sinistra. Si ode il suono dei violini. Entra da sinistra il corteo nuziale, i musicisti che si allineano lungo la sinagoga, poi Ghitla e Bassia che precedono, battendo le mani, il futuro sposo. Entrano Nachmann, il fidanzato Menasce e Mendel suo precettore. Menasce è un giovanotto magro, dall'aria smarrita. Sender esce da casa e viene loro incontro).

Sender                           - Schalòm Aleichèm, siate il benvenuto. E lo sposo?

Nachmann                     - Eccolo. (Si baciano. Poi Sender ba­cia Menasce e saluta gli altri parenti).

Sender                           - Com'è andato il viaggio, reb Nachmann?

Nachmann                     - Pessimo. Abbiamo sbagliato strada e il cocchiere non riusciva a trovare quella giusta. Ci siamo perduti in mezzo ai campi. E per finire il carro s'è infossato dentro a un pantano, ch'è un miracolo se ce l'abbiamo fatta a tirarlo fuori. Ho pensato per un momento che ci si fosse mes­so il diavolo a giocarci tanti scherzi bizzarri. In­fine, grazie a Dio, eccoci qua.

Sender                           - V'occorre un po' di riposo, ne sono certo...

Nachmann                     - No, no, bisogna anzitutto concludere il contratto, i regali, le spese... Dopo ripose­remo.

Sender                           - (entra con loro in casa. Restano in scena Mendel e Menasce).

Mendel                          - Tuo padre è entrato dalla sposa. Ascol­ta bene, a tavola devi star fermo. Un vero gio­vane onesto. Non devi alzar gli occhi e non dirai niente. Neppure una parola. Capito? Solo al mo­mento opportuno, alla fine del pranzo, qualcuno dirà: « La parola è allo sposo ». Allora ti alzerai in piedi. Dirai le frasi con voce lenta e chiara. Co­mincerai con le citazioni del Talmud. Soprattutto non ti mettere a balbettare! Più parlerai forte e meglio sarà. Intesi.

Menasce                        - Intesi, Rabbi, ma ho paura.

Mendel                          - Hai dimenticato il discorso?

Menasce                        - No, no, ricordo tutto. Ma da quando ho lasciato la porta di casa, ho paura. Una paura maledetta. E' tutto così strano, le facce, la gente... Vorrei essere solo, in un angolo...

Mendel                          - Ahi, ahi, ahi! Che cosa t'impressiona?

Menasce                        - Ma, tutto... E specialmente il pensiero di dover incontrare la fidanzata...

Mendel                          - Oh, Dio ci protegga! A questo gli dà di volta il cervello, ora... Su, coraggio. Finirai col di­menticare il discorso. Vieni alla locanda. Lo ripe­teremo ancora una volta. (Escono. Dal cortile di Sender affluiscono i mendicanti con le provviste, le bende, le grucce, ed escono da sinistra).

Una Donna Pallida       - Finita la festa dei poveri. Eppure ricomincerei subito a mangiare.

Lo Zoppo                      - Avevano promesso di servircene an­cora un piatto e invece, toh! (Gesto osceno).

Il Gobbo                       - Non ci hanno dato quasi nulla... Bi­scotti secchi!

Una Donna Pallida       - Non finisco mai d'aver fame. Mangerei le pietre...

Lo Zoppo                      - I ricchi... che la peste li stermini tutti….Tutti uguali... Boria e fumo. Quanto a regali... Cre­dete che si sarebbe rovinato dandoci una pagnotta intera a ciascuno?

Una Donna Pallida       - Per gli ospiti ricchi, oche, cappone, il tacchino ripieno, li ho toccati con que­ste mani... una montagna di carne...

Il Gobbo         - E a noi... biscotti secchi.

Lo Zoppo        - E lasciali ingozzare... tanto, dopo la morte, i vermi ci pensano loro. Sarà la volta loro di essere divorati, dopo aver mangiato tanto... (Escono).

(La scena resta vuota un istante. Passa il Messag­gero ed entra nella sinagoga. Si fa buio. Entrano Sender, Ghitla e Bassia).

Sender                           - Dov'è Lea? Dov'è la vecchia? Perché non tornano? Che succede? (Da sinistra entrano quasi correndo Lea e Pradé).

Pradé                             - Presto, presto, Lea, perché t'ho obbedi­to? E' così tardi, ora...

Sender                           - Ma che avete fatto? Perché tanto tardi? (Escono le donne di casa).

Le Donne                      - Presto. La sposa deve accendere le candele. (Conducono Lea dentro la casa).

Pradé                             - (a Ghitla) E' svenuta. Sono appena riu­scita a farle riprendere coscienza. Ancora ne tremo!

Ghitla                            - Ah! Misericordia! Il digiuno di tanti giorni l'ha troppo indebolita.

Bassia                            - S'è molto commossa sulla tomba della madre?

Pradé                             - E' stata una scena terribile, non doman­darmelo!

(Le donne fanno entrare Lea e la inducono sedere su uno scanno vicino alla porta di casa. Da sini­stra, a suon di musica, entrano Nachmann, Mendel, Menasce. Quest'ultimo regge con le mani un velo bianco con il quale deve coprire il volto della fi­danzata. Dalla sinagoga esce il Messaggero).

Lea                                - (balza in piedi, strappa il velo, respinge Me­nasce, grida) Tu no! Non sei tu lo sposo! (La gente fa cerchio, costernata).

Sender                           - Figlia, che hai? Che succede?

Lea                                - (si svincola. Corre alla tomba degli sposi) Sante vittime proteggetemi, salvatemi! (Cade. Si accorre. La sollevano. All'improvviso si guarda in­torno fieramente e grida con la voce del Dibbuk) Mi avete sepolto sotto terra. Pazzi, pazzi, se cre­dete di domarmi: ora io sono tornato a lei. Sono tornato dalla mia sposa. E non la lascerò mai.

Il Messaggero               - Nella sposa è entrato il Dibbuk.

ATTO TERZO

Primo Quadro

(L'azione è a Miropol. Casa del rabbi Ezriele. Gran­de stanza: di fronte, al centro, la porta d'ingresso. A sinistra una lunga tavola coperta d'una tovaglia bianca e, all'estremo, la poltrona del Rabbi. A de­stra un altare, un'Arca e un breve podio per il cantore. Di fronte, qualche tavolo, dei banchi. E' la sera del sabato. Vari fedeli in piedi o appoggia­ti, vicino al Messaggero, seduto accanto all'Arca. Si odono voci di donna cantare, sottovoce: « Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe »).

Il Primo Chassid           - Sono strane storie... Storie che fanno paura...

Il Secondo Chassid       - Perché paura?

Il Primo Chassid           - Sembrano nate dal buio... da un mistero incomprensibile...

Il Terzo Chassid            - (al Messaggero) Diteci ancora qualcosa.

Il Messaggero               - No, è tardi. Sono stanco.

Il Primo Chassid           - Il Rabbi. (Tutti zittiscono e si levano in piedi. Il rabbi Ezriele entra. E' un ve­gliardo vestito d'un lungo abito bianco e un alto berretto candido, ornato di una pelliccia di volpe. Lentamente e stancamente s'avvicina al tavolo e si lascia cadere sul seggio. Michael sta in piedi alla sua destra. I vecchi siedono. I giovani restano, ri­spettosi, in piedi, Michael offre il pane).

Ezriele                           - (salmodiando) Questo è il pasto di Davide, re e Messia. (Tutti rispondono sotto­voce) Amen. (Il Rabbi benedice il pane e mormora un canto mistico senza parole. Poi, dopo un lungo sospiro, prende il capo tra le mani e s'immerge in profonde meditazioni. Lungo silenzio) Raccon­tano del santo Baalchem, che un giorno i saltimbanchi vennero nel suo villaggio a Madjboj. E te­sero una lunga corda sopra il fiume attraverso due querce, sulle rive opposte, e uno dei saltim­banchi passò per quella fune con grande destrez­za. E dal villaggio e dalla campagna intorno tutti accorsero a contemplare l'intrepido uomo, alto j sulla fune... E in mezzo alla folla era anche il ! santo Baalchem. I suoi discepoli si stupivano vedendolo contemplare i saltimbanchi. E allora egli rispose: « Volevo vedere un uomo passare sopra una profonda voragine. E ho pensato, guardan­dolo: se l'uomo esercitasse l'anima come sa fare del corpo, quali abissi profondi, che insidie po­trebbe vincere il filo sottile della vita! ». (Sospira).

Il Primo Chassid           - Che pensiero ammirevole!

Il Secondo Chassid       - Che saggezza!

Ezriele                           - (a Michael) Ce n'è uno fra voi, che non conosco.

Michael                         - E' un messaggero, credo.

Ezriele                           - E che notizie ha portato?

Michael                         - Non so. Debbo dirgli di andarsene?

Ezriele                           - Oh, no! Offrigli di riposarsi... (Michael offre una sedia al Messaggero. Tutti continuano la melopea, a bocca chiusa) Il mondo creato da Dio è grande e santo. E la terra più santa è quella d'Israele. E in questa terra il luogo più santo è Gerusalemme. E di Gerusalemme, la parte più santa è il Tempio e in questo Tempio si trovava il Santo dei Santi. Ogni luogo da cui un uomo volge il suo sguardo al cielo, è un luogo eccelso: il tempio dell'Eterno si leva dinnanzi ai suoi oc­chi. Ogni giorno della vita umana è giorno d'espia­zione. Ogni parola che sale dal fondo d'un cuore puro è parola di Dio. Ma ogni azione indegna com­messa dall'uomo trae con sé la perdita dell'uni­verso intero. Col digiuno e la sofferenza, con le migrazioni e le incarnazioni, le metamorfosi infi­nite, l'anima sempre più in alto s'eleva. Ma dal sommo può anche precipitare, e allora più tre­menda, più ineluttabile sarà la sua rovina... Ogni volta che un'anima cade, va in cenere il mondo, il palazzo del Signore si oscura, e le dieci « Sfere » esalano il loro lamento... (Come destandosi).

Michael                         - Il Rabbi è molto stanco... (Gli uomini si levano ed escono) Rabbi...

Ezriele                           - (leva appena il volto, sfinito).

Michael                         - Rabbi... Sender di Brinitza è venuto... Ti aspetta...

Ezriele                           - Lo so... Sender di Brinitza...

Michael                         - Rabbi... Una sciagura grande l'ha col­pito... Sua figlia è preda di un Dibbuk...

Ezriele                           - Un Dibbuk è entrato nel corpo... lo so... lo so...

Michael                         - L'hanno condotta qui da voi, Rabbi...

Ezriele                           - Da me? Perché l'hanno portata da me? Chi sono, io?

Michael                         - Da voi vengono tutti. Siete il messo di Dio, Rabbi.

Ezriele                           - Lo dicono, e io non lo so. Sono soltanto un vecchio stanco e debole. Pecore cieche che se­guono un pastore cieco... Il mio corpo anela al riposo, alla solitudine. Io stesso ho bisogno di aiuto.

Michael                         - Rabbi! Ricordo! Una volta, a mezza­notte, siete venuto a battere alla mia porta e sino all'alba recitammo preghiere, bagnando di lacrime le pagine dei salmi.

Ezriele                           - Sono stanco di ascoltar sofferenze. Ogni lamento entra in me come una spina, mi morde le carni, profondamente. Oh, pace! pace!

Michael                         - Rabbi, ricordate le generazioni giuste e sante da cui discendete...

Ezriele                           - Mio padre cui per tre volte apparve il profeta Elia! (Riprendendosi) Chiama Sender.

Michael                         - (esce e torna con Sender).

Sender                           - Pietà, Rabbi! Salva mia figlia Lea! Sal­vala, tu solo puoi salvarla!

Ezriele                           - Racconta...

Sender                           - E' accaduto il giorno del matrimonio, nell'istante in cui lo sposo s'avvicinava col velo...

Ezriele                           - Non è questo che ti domando. Ti chie­do: come è potuto accadere?

Sender                           - Non so...

Ezriele                           - I figli pagano, qualche volta, le colpe altrui...

Sender                           - Non credo d'esser colpevole, Rabbi, di peccato...

Ezriele                           - E' stato chiesto al Dibbuk chi egli sia e perché è penetrato nel corpo di Lea...

Sender                           - Rifiuta di rispondere. Ma dalla voce ab­biamo riconosciuto un giovane, un allievo della scuola talmudica. Qualche mese fa è morto, all'im­provviso, mentre pregava nella Sinagoga.

Ezriele                           - L'hanno ucciso quali potenze?

Sender                           - Quelle malvagie, dicono...

Ezriele                           - Lo conoscevi?

Sender                           - Sì, è stato ospite nella mia casa, un tempo...

Ezriele                           - L'avete scacciato? Umiliato forse? Par­la! Cerca di ricordare...

Sender                           - Non so... Non so. (Piangendo) Rabbi, era­vamo così felici! Sono un povero uomo, Rabbi... Abbi pietà.

Ezriele                           - Fate entrare la donna... (Sender esce e ritorna con Pradé che conduce per mano Lea. Que­sta non vuole varcare la soglia).

Sender                           - (a Lea) Entra, Lea, entra... Abbi pietà di me! Non umiliarmi davanti al Rabbi!

Pradé                             - Entra, Leiele, entra colomba...

Lea                                - Non posso entrare... Vorrei entrare... Non posso...

Ezriele                           - Lea di Sender, ti comando di entrare. (Lea passa la soglia e si avvicina alla tavola) Siedi.

Lea                                - (siede ubbidiente. D'improvviso si leva d'un balzo e grida con la voce del Dibbuk) Lasciate­mi! Vi ordino di lasciarmi! (Cerca di fuggire, Sen­der e Pradé la trattengono).

Ezriele                           - Dibbuk, dimmi chi sei? Chi sei?

Lea-Dibbuk                   - Rabbi, tu sai bene chi sono... Il mio nome tu lo conosci...

Ezriele                           - Non è il tuo nome che chiedo, ma la tua essenza...

Lea-Dibbuk                   - Sono di quelli che cercano un diverso cammino...

Ezriele                           - Solo chi ha perduto il cammino giusto bestemmia come tu stai facendo. Dibbuk, perché sei entrato nel corpo di quest'innocente?

Lea-Dibbuk                   - Ero destinato a lei.

Ezriele                           - I morti non hanno diritto di stare fra i vivi!

Lea-Dibbuk                   - Non sono più morto, ora.

Ezriele                           - Hai lasciato la terra e non potevi tor­narvi, fino al giorno in cui squilleranno sull'abisso le trombe del Signore. Dibbuk, ti ordino di abban­donare il corpo di Lea, figlia di Sender!

Lea-Dibbuk                   - (gridando) Rabbi di Miropol! Co­nosco il tuo potere. Puoi comandare agli Angeli e ai Cherubini. Ma non a me. Non so dove andare. Davanti a me tutte le vie sono chiuse, tutti i sen­tieri sbarrati. (Singhiozzando) C'è il cielo e la terra, ci sono i mondi innumerevoli e le infinite costellazioni, e dovunque, dovunque, per me non esiste riposo. Ora che ho trovato il mio asilo, ora volete ancora scacciarmi? Pietà, Rabbi, pietà!

Ezriele                           - Anima errante, anima perduta, ti com­piango profondamente, ma ti ordino di abbando­nare il corpo di questa creatura...

Lea-Dibbuk                   - (scossa da convulsioni) Non lo ab­bandonerò!

Ezriele                           - (a Michael) Michael, fa entrare gli uo­mini della sinagoga. (Michael esegue e fa entrare dieci uomini che si mettono di lato) Santa Adu­nanza mi date il potere e il diritto di scacciare dal corpo di questa figlia di Israele, in nome vo­stro, lospirito che se n'è impadronito? Gli ebrei          - Sì, Rabbi.

Ezriele                           - (si leva in piedi) Dibbuk, nel nome e col potere di questa Santa Comunità, io Ezriele, figlio di Madossa, ti impongo di abbandonare il corpo della giovane Lea, figlia di Hanna. Se non ti sottometti, procederò contro di te, con tutti gli anatemi, con tutte le maledizioni, con la forza della mia mano protesa... E se invece cedi, giuro di fare appello divino per riscattare il tuo tor­mento e disperdere gli spiriti distruttori che ti circondano...

Lea-Dibbuk                   - (gridando) Non temo le tue mano­vre, non credo alle tue promesse! Non c'è forza al mondo che possa aiutarmi. Non esiste un luogo più santo di questo in cui mi trovo. Non abban­donerò questo corpo adorato.

Ezriele                           - Michael, che tutti indossino le vesti di penitenza. Fai portare sette corni d'argento, sette ceri neri, e togli dall'Arca sette rotoli della Torah. (Lunga pausa. Michael porta i corni e i ceri. E' se­guito dal Messaggero che reca i camici bianchi).

Il Messaggero               - Ce n'è uno di più... (Si guarda intorno).

Ezriele                           - Sì è vero: su l'ultimo esorcismo debbo avere il parere del Rabbi. Michael, corri qui ac­canto dal rabbino Sansone e pregalo di venire qui. (Agli uomini) Voi aspettate qui a fianco un istan­te... (Michael e gli uomini escono).

Lea                                - Pradé, Pradé, ho paura. Che vogliono fare di lui? Che vogliono fare di me?

Pradé                             - Non aver paura, Lea. Il Rabbi non può farti male... (Pradé e Sender portano via Lea).

Ezriele                           - (profondamente scosso nei suoi pensie­ri) E se anche in cielo fosse stato deciso altri­menti, io muterò la sentenza. (Entra il rabbi Sansone).

Sansone                         - Schalòm!

Ezriele                           - (si alza e si accosta a rabbi Sansone) Schalòm! (Siede) Sedetevi. Debbo parlarvi d'un av­venimento grave...

Sansone                         - Sono al corrente.

Ezriele                           - Non ci rimane che l'ultimo mezzo: la scomunica. Chiedo il vostro consenso. Sansone - Terribile castigo per i vivi; per un mor­to, atroce. Voi, creatura impeccabile l'avete de­ciso: non deve darsi altro rimedio. Vi concedo l'as­senso. Ma, prima, devo rivelarvi un segreto... Sta­notte ho avuto una visione: m'è apparso tre volte in sogno... Ricordate quel mercante di Brinitza, Nissan, figlio di Rebecca?

Ezriele                           - Il « chassid » che, cinquantanni fa, fer­vente di entusiasmo veniva tra queste medesime mura, in preghiera? Dicono sia morto vecchio, lontano dalla sua terra, in Polonia.

Sansone                         - Stanotte quest'uomo m'è apparso tre volte in sogno. « Il mio corpo è ormai dissolto in polvere, ha detto, ma chiamo in giudizio Sender. E' Sender che ha fatto morire mio figlio. Voglio sia giudicato dal Tribunale della Santa Torah ».

Ezriele                           - Ma che legame ha tutto questo con il Dibbuk?

Sansone                         - Dicono che sia suo figlio.

Ezriele                           - Come?

Sansone                         - Dicono che il defunto entrato nel corpo di Lea e Hanàn, siano la stessa persona. Dicono anche d'un antico giuramento, fatto da Sender, non mantenuto: per questo il morto, padre del Dibbuk, chiama in giudizio un vivo.

Ezriele                           - Nessuno può rifiutare questo giudizio. Convochiamo Sender e Nissan davanti al Tribu­nale della Santa Torah. Dopo il verdetto, poiché ne ho avuto il consenso, lancerò l'anatema sul Dibbuk.

Sansone                         - Voi stesso dovete presiedere al primo giudizio.

Ezriele                           - Lo farò. Riuniremo al proposito il Tribunale. Michael! (Entra Michael) Vada un mes­saggero a cavallo fino a Brinitza, per convocare il fidanzato e suo padre. Dica loro che le nozze saranno celebrate appena il Dibbuk avrà abban­donato il corpo della giovane. Dica loro che verrà presto il giorno di giustizia. (Suona mezzanotte).

Secondo Quadro

(Stessa scena del quadro precedente. La lunga ta­vola a sinistra è sostituita da un tavolo più pic­colo, posto vicino alla ribalta. A questo tavolo siede il rabbi Ezriele su una poltrona. Indossa il mantello da preghiera e i filatteri. Ai lati della tavola un giudice rabbinico. Accanto al tavolo il rab­bi Sansone, in piedi. Sul fondo, in piedi, Michael).

Sansone                         - Che solo i sogni puri rispondano...

Ezriele                           - (e i due giudici in coro) Il vostro è stato un sogno puro! Rabbi Sansone! Abbiamo accor­dato la benedizione al vostro sogno. Ora potete sedervi tra noi come giudice. (Rabbi Sansone si siede accanto a rabbi Ezriele) Convochiamo Nis­san. Ma prima traccerò il cerchio. (Traccia un cerchio verso l'angolo opposto della stanza) Da qui gli è interdetto uscire. (Torna al tavolo. En­trano due ebrei che sollevano un drappo davanti al cerchio tracciato sul suolo) Che entri Sender! (Entra Sender) Sender, tra poco sarà convocato un morto che ha chiesto un confronto con te da­vanti alla Santa Torah.

Sender                           - Chi m'ha chiesto?

Ezriele                           - T'ha chiesto, in sogno, un tuo antico compagno, Nissan, figlio di Rebecca. Accetti di passare in giudizio?

Sender                           - Lo accetto.

Ezriele                           - Mettiti alla mia destra. (Sender esegue) Nissan, morto in purezza, figlio d'Israele, io Ezriele, figlio d'Israele, ti cito davanti al Tribunale della Santa Torah. Verrà qui tra poco un essere del mondo della verità, perché fra di lui e un essere del mondo della vanità sia fatta giustizia. Questo è possibile perché le leggi della Santa Torah reg­gono l'intera creazione, con un potere assoluto sui morti e sui vivi. (Lunga pausa. Si guarda intorno inquieto. Per la finestra semiaperta si ode il bron­tolio del tuono. Due giudici prendono posto al tavolo al fianco del rabbi Ezriele).

I Giudici                       - E' già qui!

Sansone                         - E' arrivato!

Ezriele                           - (rivolto al drappo) Nissan, morto in pu­rezza, figlio di Rebecca, il Tribunale della Santa Torah ti proibisce di varcare la barriera che ti è stata assegnata. E ora parla: perché chiedi giu­dizio contro Sender, figlio di Henié? Di che cosa lo accusi? (Silenzio angoscioso. Tutti restano im­mobili).

II Primo Giudice           - Sembra rispondere.

Il Secondo Giudice       - Sento una voce, ma non di­stinguo le parole.

Ezriele                           - Sender, figlio di Henié, il defunto Nis­san, figlio di Rebecca dichiara che al tempo della giovinezza, quando eravate seduti sullo stesso banco di scuola, avete scambiato, in segno d'ami­cizia, il giuramento di sposare tra loro i vostri figli.

Sender                           - (con voce tremante) E' vero. E' vero.

Ezriele                           - Nissan, figlio di Rebecca, dice ancora che sua moglie diede, presto, alla luce un bam­bino che ebbe nome Hanan. Poi Nissan partì e morì senza più rivedere la sua casa. (Pausa) Sen­der frattanto era divenuto ricco, e il figlio di Nis­san era povero. Il ricco l'accecarono la potenza e l'orgoglio. Hanan cadde nella disperazione, di­venne preda delle forze tenebrose che gli tesero intorno le proprie reti e presto lo rapirono alla impossibile vita. Poi, senza riposo ha errato fra l'uno e l'altro mondo, quando finalmente la sua anima s'è incarnata come Dibbuk nel corpo della sposa che gli era stata predestinata. Ma senza di­scendenza e senza ricordo, nessuno dice più per lui le preghiere dei morti. La luce s'è spenta per sempre, la corona è scivolata dal suo capo ed è rotolata nel fondo degli abissi. (Pausa) Sender, figlio di Henié che puoi rispondere?

Sender                           - E' vero. Tutto questo è vero. Sono col­pevole. E' vero. L'avevo dimenticato. Ho trasgre­dito il mio giuramento. Ma non agii in malafede. Nissan era partito e non seppi mai che avesse avuto un figlio. Non udii mai più parlare della sua famiglia... Tanti anni erano trascorsi...

Ezriele                           - Ma perché non l'hai cercato? Nissan ti chiede perché quando il giovane sedette alla tua tavola, non gli chiedesti il nome di suo padre.

Sender                           - Non so. Non so...

Ezriele                           - Nissan, figlio di Rebecca, ti accusa di aver riconosciuto nel fondo del tuo cuore suo figlio, ma che mosso dall'avarizia e dall'orgoglio evitavi di chiedergli chi fosse. Cercavi per tua figlia il denaro e precipitavi l'altro, incolpevole, nell'abisso, (Sender piange, I giudici si consul­tano. Rabbi Ezriele si leva in piedi).

Ezriele                           - Il tribunale della Santa Torah ha inteso le due parti. Ecco la sentenza: Sender darà metà della sua fortuna ai poveri. Inoltre onorerà, per il resto della sua vita, la morte di Nissan e di suo figlio, come fossero suoi propri familiari. Il Tribunale prega Nissan di perdonare la sua colpa a Sender. Gli chiede infine come padre, con tutta la propria autorità di ordinare al figlio che ab­bandoni il corpo della vergine Lea, figlia di Hanna, affinché non si dissecchi questo tenero ramo dell'albero di Israele.

Tutti                              - Amen!

Ezriele                           - Sender, figlio di Henié, accetti la sen­tenza?

Sender                           - Accetto.

Ezriele                           - E tu, defunto Nissan, morto in purez­za, accetti la sentenza? (Silenzio) Nissan, morto in purezza, torna al riposo eterno. (Traccia col ba­stone un cerchio al posto di prima, ma da destra a sinistra, attorno al drappo. Si porta un bacile e tutti si lavano le mani).

Il Primo Giudice           - Guardate come il rabbi Ezrie­le è sconvolto...

Il Secondo Giudice       - Gli tremano le mani...

Ezriele                           - (a rabbi Sansone) Il nostro compito è finito, possiamo andare. (/ giudici escono) Sa­rete voi a celebrare, dopo, le nozze... (Rabbi San­sone sospira e siede in disparte a testa bassa. Lun­ga pausa) Dio onnipotente! Arcane e impenetra­bili le tue vie. Ma la fiamma della tua santa vo­lontà illumina la strada che sto percorrendo e da cui non devierò. (Pausa) Michael, sono arrivati il padre e il fidanzato? Lea ha indossato l'abito da sposa? (Sender esce, rabbi Ezriele si spoglia dei paramenti).

Il Terzo Giudice            - (ch'era rimasto alla soglia) Ave­te notato che Nissan non ha detto d'accettare la sentenza?

Sansone                         - Sì l'ho notato.

Il Terzo Giudice            - E' un segno terribile. (Esce).

Ezriele                           - Fate entrare la sposa. (Entra Lea, con­dotta da Sender e da Pradé. E' in abito bianco da sposa e porta sulle spalle uno scialle nero. La fan­no sedere. Rabbi Sansone si mette accanto a rab­bi Ezriele) Dibbuk, in nome del Rabbino Maggio­re, qui presente, in nome della Santa Assemblea, in nome del gran Sinedrio di Gerusalemme, io Ezriele, figlio di Hadàssi, per l'ultima volta ti ordi­no di abbandonare il corpo della vergine Lea.

Lea-Dibbuk                   - Non uscirò.

Ezriele                           - Dibbuk, devi cedere.

Lea-Dibbuk                   - Non cederò...

Ezriele                           - Michael, chiama gli uomini, e porta i sudari, i corni d'oriente e i ceri velati di nero. (Torna Michael, con gli uomini, tra cui il Messag­gero. Si distribuiscono fra essi gli arredi sacri) Prendete i rotoli della Santa Torah  - (Michael pren­de i sette rotoli e li distribuisce). Spirito ribelle, tu rifiuti di sottometterti al nostro volere, ti ri­metto nelle mani potenti degli Spiriti Celesti, per­ché ti strappino con la forza da questo corpo in­nocente. Suonate il Tekià C). (Suonano).

Lea-Dibbuk                   - Lasciatemi! Non torturatemi! Non posso! Non voglio uscire.

Ezriele                           - Poiché gli Alti Spiriti non possono vin­certi, ti rimetto fra le mani di spiriti più duri affinché ti estraggano con la loro crudeltà... Suo­nate Shevarìm. (Suoni intermittenti).

Lea-Dibbuk                   - (con voce fievole) Le potenze del mondo s'accaniscono contro di me, o infelice! Gli spiriti più tremendi mi perseguitano! Quelli che non conoscono pietà... Ma io sono legato al corpo di Lea, della mia donna. Non vincerete...

Ezriele                           - Si rimettano i rotoli nell'Arca Santa e si appenda un drappo nero! Si accendano i ceri neri. Tutti indossino i sudari! (Eseguono. Rabbi Ezriele si alza in piedi e, con le braccia protese) Levati, Eterno, e come sabbia al vento si disperdano al tuo cospetto i nemici! Spirito ribelle e colpevole! In nome di Dio Onnipotente, in nome della Santa Torah, spezzo io, Ezriel, figlio di Israele, tutti i tramiti che ti legano al mondo dei viventi...

Lea-Dibbuk                   - Me sventurato!

Ezriele                           - E per l'anatema Cheirèm ti rigetto dal­la comunità d'Israele. Suonate teruàh!

Lea-Dibbuk                   - Ahimé, ahimé. Non posso più com­battere...

Ezriele                           - (fa un cenno e le trombe tacciono) Ti arrendi ora?

Lea-Dibbuk                   - (con voce fievole) Avete vinto...

Ezriele                           - Prometti di lasciare volontariamente il corpo di Lea e di non sfiorarla mai più?

Lea-Dibbuk                   - Lo prometto.

Ezriele                           - In nome delle eterne potenze e in virtù della divina autorità ritiro l'anatema. Dio di pietà e di grazia, chinati su quest'anima errante, allon­tana da lui tutti gli angeli distruttori, non incol­lerirti per i suoi peccati e che solo i suoi atti di carità e le sue ultime sofferenze ascendano verso di te come l'incenso. Accordagli il riposo eterno nel tuo palazzo di gloria. Amen.

Tutti                              - Amen! (Gli uomini si spogliano dei ca­mici, depongono i ceri ed i corni d'oriente).

Lea                                - Eccomi al termine.

Ezriele                           - (si toglie il camice, dopo aver tracciato un cerchio da sinistra a destra intorno a Lea. Pren­de il bastone) E ora andiamo tutti incontro al fidanzato. E' giorno di festa, ormai. (A Sender) Andiamo incontro ai parenti...

Lea                                - (come destandosi) Chi è vicino a me? Sei tu, Pradé? Mi sento male. Il cuore mi pesa come un macigno. Aiutami... Accarezzami...

Pradé                             - (accarezzandole le guance) Calmati, fi­glia cara, le idee tristi svaniscono come la nebbia quando l'inonda la luce... Hai il cuore pesante? Si?! Pesante sia al gatto nero, o alla cicogna im­pura, ma il cuor della mia Lea dev'essere leg­gero come una piuma, come un fiocco di neve. (Giungono da lontano i suoni della marcia nu­ziale).

Lea                                - (prendendo la mano di Pradé) Senti, vanno per rallegrare gli sposi morti!

Pradé                             - Non tremare, colomba, non aver paura! Sessanta eroi ti circondano per difenderti con le loro spade scintillanti. Il Patriarca Abramo e la tua povera madre Sara sorridono per la tua gior­nata di nozze. Senti la musica? Porta infine la gioia. (Esce).

Lea                                - (come tendendo l'orecchio) Chi sospira così profondamente...

Hanan                           - Io.

Lea                                - Sento la tua voce ma non ti vedo...

Hanan                           - Sei separata da me per il cerchio ma­gico...

Lea                                - La tua voce è come il pianto di un violino nella notte... Chi sei? Chi sei?...

Hanan                           - Il tuo amore è più inebriante del vino!

I tuoi seni sono come due cuccioli di gazzella;

Come un nastro purpureo le tue labbra,

I tuoi capelli come un gregge di capre

Sospeso sulle pendici di Galaad!

Lea                                - Chi sei?

Hanan                           - L'ho dimenticato. Ma ricordo di me at­traverso i tuoi pensieri.

Lea                                - Ti rivedo. I tuoi capelli parevano bagnati di lacrime, gli occhi erano languidi e tristi, le tue mani magre e sottili. Ti ho atteso giorno e notte. Perché m'hai di nuovo abbandonata?

Hanan                           - Ho superato tutti gli ostacoli, ho vinto la morte, ho infranto le leggi dell'universo. Ho lottato contro potenze immense e spietate. T'ho abbandonata, ma per tornare ancora.

Lea                                - (serenamente) Torna verso di me, sposo adorato! Mio destinato! Ti porterò infinitamente e nei nostri incontri notturni culleremo insieme i nostri figli che non nasceranno mai. (Piange).

Dormite, dormite,

Senza culla

Senza vestiti

Nudi, che non siete nati...

(Nelle quinte, la marcia nuziale echeggia più forte).

Lea                                - Vogliono darmi a uno straniero. Aiutami, sposo mio!

Hanan                           - Con me, in eterno.

Lea                                - Il cerchio è spezzato! Ti vedo... ti vedo...

Hanan                           - Avvicinati...

Lea                                - O mani di luce! O sposo. Con te più in alto! Più in alto! (Cade dopo essersi tolto lo scialle nero).

(La musica è diventata altissima. Entrano il Mes­saggero, Sender e Pradé).

Sansone                         - O Signore, o Giudice di Verità.

Ezriele                           - L'anima, anche se è discesa negli abissi può riprendere il volo!

FINE