Il diluvio

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Farsa in tre atti

di Ugo Betti

(su IL DRAMMA n. 397-398 del 1° e 15 marzo 1943)

PERSONAGGI

ARCIBALDO MATTIA, professore

CLELIA, sua moglie

VITTORIA ELISABETTA, sua suocera

GIACINTO, suo cognato

LEONIA, sorella di Vittoria Elisabetta

FATMA, figlia di Leonia

LINDORO POLTEN-BEMOLL, milionario

RAIMONDO, suo segretario

VINCENZA, domestica

IL TRATTORE

IL DROGHIERE

IL FARMACISTA

IL PADRONE DI CASA

UN CAMERIERE UN SIGNORE IN NERO.

L'azione ha luogo nella casa del professore Arcibaldo Mattia, nello spazio di un pomeriggio, ai nostri storni.

ATTO PRIMO

Studio-salottino in casa del professor Arcibaldo Mattia.

SCENA PRIMA

(Il professore, con uno scialle sulle spalle, in ciabatte, e canticchiando, sta correggendo i compiti. L'uscio alle sue spalle si apre. Appaiono la signora Leonia e la si­gnorina Fatma, rispettivamente zia e cugina del pro­fessore).

Leonia      (spingendo avanti Fatma) E' permesso? Caro nipote, vi dobbiamo dire una cosa. Si tratta di un favore.

Fatma       Piccolo piccolo.

Leonia      (modesta) Voi non avreste una marsina?

Arcibaldo  (sospettoso) Marsina?

Leonia      Dico una redingote. Cioè una finanziera.

Arcibaldo (condiscendente) Non è la stessa cosa, signora.

Leonia      Voglio dire un vestito un po' distinto. A dop­pio  petto.

Fatma       Sono così distinti, a doppio petto!

Leonia      Ce l'ha detto Vittoria Elisabetta, che ce l'avete.

Fatma       A doppio petto.

Arcibaldo (superiore) Sì, infatti. Un tempo ho fatto un po' di vita. Frequentavo.

Leonia      (ammirata) Eh, voi siete un uomo di prim'ordine. Un intellettuale.

Arcibaldo (amarognolo, superiore) Un professore. (Battendo sui compiti)  E per giunta di computisteria!

Leonia      No, no. Sappiamo tutto.

Fatma       Lo sappiamo, che scrivete.

Arcibaldo  (modesto) (Per  carità...

Leonia      Ma è vero? Che scrivete qualche cosa?

Arcibaldo Cosette. Uno svago innocente. (Compia­ciuto) Ma voi come lo sapete? Ma guarda un po'...

Leonia      Si tratta d'un dramma?

Fatma       D'un diario spirituale?

Arcibaldo (concessivo, benigno) Non so. Metto giù qualche scarabocchio, ogni tanto. Pensieri. Prima di cena; oppure la domenica.

Leonia      Se questa penna potesse parlare! Questa carta asciugante! Capolavori. Cose grandi.

Arcibaldo Bazzecole, signora. A tempo perso. In conclusione se l'abito a doppio petto... vi dovesse servire...

Leonia      Grazie.

Arcibaldo   (ripensandoci) Servire, a che?

Leonia      Per metterlo.

Fatma       (vezzosa, puntando l'indice) Voi.

Arcibaldo Vale a dire?

Leonia      Caro nipote, voi siete il genero di mia so­rella; io sarei vostra zia; Fatma sarebbe cugina. Siamo stretti parenti.

Arcibaldo  (faceto) Non lo nego affatto.

Leonia      Voi dovete capire quel che deve sodare una madre quando c'è una ragazza da maritare... le villeggia­ture, le spese...

Arcibaldo (penetrante) Un nomo... è entrato nella vita della fanciulla?

Leonia      Un uomo?  Un milionario!

Arcibaldo Al naturale? Vero?

Leonia      Ricco sfondato. Pare che abbia non so se due o tre bastimenti.

Fatma       « Yachts », mamma.

Arcibaldo E dove l'ha trovato?

Leonia      Quest'estate, ai bagni. Era una bella gior­nata; Fatma in costume da bagno: una visione; lei nuo­tava: e d'un tratto le mancano le forze. La poverina sviene, poi rinviene, e chi vede, curvo su lei?

Arcibaldo Il milionario.

Leonia      Quindici giorni, circa, li ho visti bagnarsi insieme. Spruzzi e fotografie, fotografie e spruzzi... (Se­vera) ... mia figlia non è stata capace di farlo decidere.

Arcibaldo Voi avevate dei programmi massimi, op­pure... minimi?

Leonia      (con spirito d'adattamento) Professore, dati i tempi... un uomo così ricco... Tutto sta a cominciare. Lo confesso, speravo.

Arcibaldo E invece... niente?

Leonia      Niente

Arcibaldo (col tono di un medico) La ragazza ha mancato  d'iniziativa.

Leonia      Lo ha lasciato partire, così.

Arcibaldo Lettere?

Leonia      (senza fiducia) Lettere. Ah, se avesse chiesto un parere a sua madre!

Fatma       (ha estratto un fazzoletto, preparandosi a por-tarlo agli occhi).

Arcibaldo (scientifico, passeggiando) Evidentemente è mancato il gancio, il cosiddetto gancio! Beninteso inno­cente.

Leonia      Me lo diceva il cuore; va' dal professore, Leonia.

Vincenza       (vecchia, tetra e risoluta domestica, è entrata nel frattempo; evidentemente è ora di sgombrare la ta­vola e di apparecchiare).

Arcibaldo (fulminandola con lo sguardo, recupera ap­pena in tempo il fascio dei compiti, poi con un sorriso superiore torna a volgersi a Leonia) L'uomo è un fantoccio, signora, di cui non è difficile toccare le molle. E' un piccolo congegno.

Leonia      Come le spiegate bene, voi, le cose!

Arcibaldo Ragiono un po'. (Con un gesto da oro­logiaio) Le cose io le smonto, signora. Le svito. Nella seconda parte  del « Diluvio »...

Leonia      Eh?

Arcibaldo Diluvio... universale. (Facendo cenno di tacere, ed estraendo da sotto un armadio una valigia spe­lacchiata) Ecco qua.

Leonia      E che c'è, dentro?

Arcibaldo I miei scarabocchi. Sono qui. Forse i tempi non sono favorevoli. L'intellettuale è trascurato. (Con un sorriso, battendo sulla valigia e facendone solle­vare un nuvolo di polvere) Non importa. Temo che qui ci sia della nitroglicerina.

Leonia      Del pessimismo?

Arcibaldo (condiscendente) Della logica. Oh, non escludo che si possa chiamarmi... un giustiziere. Un di­struttore. Eppure...

Leonia      Eppure?

Arcibaldo (in segreto) Eppure io credo nella vita, signora! Io ricostruisco!

Leonia      Eh, l'ho detto, che voi siete un grand'uomo.

Vincenza       (rientrata come un'ombra, è nuovamente ar­rivata sul fascio dei compiti).

Arcibaldo (riacciuffandolo, e cambiando tono) Non vedo, tuttavia, a che cosa possa servirvi quest'uomo ve­stito di nero.         

Leonia      Arriva lui!

Fatma      Il milionario.

Leonia      (agitando un telegramma) Oggi stesso.

Fatma      Bisogna offrirgli qualche cosa. Un tè con biscotti.

Arcibaldo E io che c'entro?

Leonia      Come, che c'entrate? Voi non siete il marito della figlia di mia sorella? Fatma non è mia figlia? Chi dovrebbe intervenire, se non intervenite voi?

Arcibaldo (scettico) In qualità di consorte della fi­glia della sorella  eccetera?

Leonia      (disinvolta) Oh Dio, magari... che ne so io... in qualità di padre.

Arcibaldo Padre?

Leonia      Di Fatma. Sì. Mio marito.

Arcibaldo Ma voi, vi sentite bene?

Leonia      Non sarà la fine del mondo.

Arcibaldo Un   dettaglio:  mia  moglie  Clelia,  mia suocera  Vittoria  Elisabetta  sono  informate?

Leonia      Certo! L'idea è loro.

Arcibaldo Ma è una bugia!

Leonia      Così piccola!

Fatma      Si fenderà così poco. Fra un treno e l'altro!

Leonia      Come si fa, professore, senza qualche bugia, di  questi tempi, a mantenere  il decoro,  il prestigio,  il rango; la dignità.

Arcibaldo Ma come, ma come! Padre diFatma! Marito vostro. Io sono marito di Clelia. Io sono una per­sona seria, un professore...

Leonia      Professore mio, se sapeste! (Alla figlia) Qua bisogna dirgli tutto.

Arcibaldo E cioè?

Leonia           Che ormai è fatta.

Arcibaldo Fatta?                         

Leonia      Sì. Quando abbiamo conosciuto il giova­notto. Per non creargli una brutta impressione.  Glielo abbiamo taciuto.

Arcibaldo Che cosa?

Leonia      (pudicamente) Il mio stato, diremo... sostan­zialmente... di vedova. Non gli si potevano spiegare tante cose. Gli invidiosi fanno presto. E' così bello, fa così buona impressione, un bello stato civile, chiaro, sicuro, di gente viva, con tanto di nome e cognome... e magari di fotografia! C'è scappato di dirgli che un padre, un marito, esisteva.

Arcibaldo (truce)E io sarei quello?

Leonia      Chi  se l'immaginava,  quest'estate, che lui sarebbe venuto qui! Se lui oggi s'accorge della piccola inesattezza, addio  tutto; povera Fatma.

Fatma      Gliel'abbiamo  data   davvero, la  fotografia!

Arcibaldo Mia? Pare di sognare.

Fatma      Non siete parente, voi?

Arcibaldo Non crediate di piegarmi.

Leonia      Ma non capite che con due minuti che voi gli parlate, lo affascinate?

Arcibaldo Due minuti. Ma poi? Il giovanotto, dite voi, risale in treno e va. Ma poi, dico io? Gli eventuali sviluppi?

Leonia      Creare il gancio, professore. Purché nasca l'affezione. Poi, quando è nata l'affezione, col tempo, a poco a poco, gli si dice tutto. Quello è milionario. Quello ha cinque o sei bastimenti.

Fatma      « Yachts », mamma.

Leonia      Quello è un mecenate! Voi che siete autore, vi rendete conto?  Un me-ce-na-te.

Arcibaldo (cominciando a passeggiare, non senza per­dere una ciabatta) Mi rendo conto. Creare, tac, l'im­pressione, affascinare il soggetto. (Cominciando a sorri­dere) Se dicessi che il gioco non mi stuzzica, non direi il vero. In fondo...

Vincenza       (riapparsa come un incubo, si riaccosta al fa­scio dei compiti).

Arcibaldo (mettendolo in salvo)...in fondo io sono, sarei, un nomo d'azione, signora. Forse io non ero nato per la computisteria.

Leonia      Professore, voi solo potete sistemare la cosa.

Arcibaldo (passeggiando e perdendo la ciabatta) Conosco un po' l'animo umano, ecco tutto. Forse, così, all'apparenza non lo si direbbe che io sia...

Leonia      Per me l'ho sempre detto.

Arcibaldo Ohé volete! La vita. Eppure, forse, io sono un uomo forte. (Con mistero, indicando la valigia) C'è qui al terz'atto, quando il protagonista, anche lui un ometto, a vederlo, dunque entra, lentamente, con un sor­riso sarcastico... Forte, signora mia. Volitivo. E magari la gente mi prende per un mezzo scimunito—

Leonia      Eh, la gente lo dice: che voi sembrate un mezzo  scimunito...

Arcibaldo  (lusingato)Sì, eh?  Lo dicono, vero?

Leonia      E che invece siete un furbone.

Arcibaldo Io stesso me lo dico: moderati, Arcibaldo; frenati; abbi pazienza. E magari dentro mi fa così! Quella povera Clelia, mia moglie, per esempio: io lo so che la tiranneggio. Povera cara. La stessa suo­cera, non lo si direbbe: ne faccio quel che voglio.

La voce di Vittoria Elisabetta (da dentro) Ma si può  sapere  che fa  quest'imbecille?

Arcibaldo (guardando Leonia di sottecchi) E' mia suocera.  Credo che mi desideri.

Vittoria Elisabetta (affacciandosi, ad Arcibaldo) Siete ancora lì, voi? (A Leonia) Non dargli corda, Leonia! Non fargli perdere tempo! (Accennando ad Arcibaldo, con disprezzo) E' un essere anche troppo moscio.  (Si ritira).

(Un silenzio).

Arcibaldo Arcibaldo abbi pazienza. Arcibaldo fre­nati. (Tetro) Vincenza! Il mio vestito a doppio petto. (A Leonia, amaro) La vita, cara signora; la vita qualche volta è meschina. Vincenza!  Le scarpe nuove.

Vincenza       (uscendo)Nuove! Quelle sono tutte sfon­date.

Arcibaldo (a Leonia, amaro, indicando Vincenza) Ecco, signora: sentite? La vita. Vai in ufficio, e trovi il collega, che fa lo spiritoso perché lui è cavaliere, e tu no; torni a casa, è il vicino, che fa il comodo suo, ru­mori incredibili, perché lui è un raccomandato, un pro­tetto: oppure è il portiere, che ti manca di rispetto, ti sevizia,  ti   conculca!

Vincenza       (gli ha buttato davanti, con malgarbo, un paio di scarpe).

Arcibaldo (intento a constatare lo stato di conserva­zione delle scarpe) Sicuro, ecco qua: buchi. Buchi dappertutto. Si avrebbe bisogno qualche volta, di una atmosfera un po' alta, elevata. Io non ho grandi desideri, in fondo. Mi piacerebbero le mele fritte, con lo zucchero. Mai una volta. Mai. Rape lesse e mortadella. (Tingendo con inchiostro una scucitura delle scarpe) Incongruenze, ingiustizie, storture. E il contatore della luce elettrica gira! Lo stagnaro! Il latte scremato! Le bollette del gas! L'immondezza! Il valore locativo! (Con una voce da congiurato e battendo sulla valigia) Cara signora, state pure tranquilla... c'è qualcuno che pensa... a raddrizzare; a mettere le cose a posto!                               

Vincenza (reca una giacca, scuotendola e coprendo Ar­cibaldo con una vera nuvola di naftalina) C'è un tan­tino  di naftalina.

Arcibaldo (tetro, con la giacca in mano, togliendosi di dosso la naftalina e accennando a Vincenza che esce)

Quella lo fa apposta. La vita. La serva che infierisce, che provoca. Il salumiere che ti maltratta, ti mortifica, ti vilipende ad alta voce, perché i tuoi acquisti sono limi­tati, ragionevoli. Il tipo aggressivo, in tranvai, che ti dà uno spintone, e guai a parlare. Perché lui ha le spalle così, e tu no. Credono che tutto sia finito lì, signora. Perché magari vedono che si usa prudenza, si fischietta. Poveretti! (Con mistero, indicando la valigia) Scrivo. Credono di trattarmi dall'alto e sottogamba? (Furbo) Lasciali fare. Scrivo! (Indicando la valigia) Che ven­dette raffinate, che lezioni, signora mia! Se lo sapessero, poveretti. Eh, una volta per uno; dovrà pur arrivare quel giorno! Nitroglicerina, signora. E nel tempo stesso con­cime. Entrate nel doppio senso? Concime, letame.

Leonia      (non troppo edotta) Professore, voi siete un grand'uomo. (Con mistero) Sapete che ne abbiamo parlato molto, di voi? Con lui. Col milionario.

Arcibaldo Non è mica uno scherzo?

Leonia      Si interessava moltissimo.

Arcibaldo  (colpito) Si interessava... il milionario... Possibile?

Leonia      Gliene ho accennato, del coso, lì...

Arcibaldo Del « Diluvio »?

Leonia      Sì. Del « Diluvio ». Vedrete!

Arcibaldo Ma davvero?  Si informava?         

Leonia      E come!

Arcibaldo (trasformato)Sempre così. Certe cose, perché siano un pochino apprezzate, perché sveglino un tantino d'interesse, cosa ci vuole? L'estero. Il forestiero.

Leonia      Quello ha relazioni, aderenze. Quello vi lan­cia. Vedrete.

Arcibaldo (dandosi a vestirsi con entusiasmo) In conclusione, sapete che la cosa mi stuzzica? Sono uno spirito strano, ecco la verità, spregiudicato, dirò così sfaccettato. Nessuno mi conosce proprio addentro. (Tin­gendo un'altra scucitura delta scarpa e canticchiando) « Sono uno spiritello - Lieve lieve e pazzerello ». (Can­ticchiando e facendo dei movimenti ginnastici) « Mio tetto le stelle, mia casa lo spazio, sì, lo spazio ». Volete saperne un'altra? Per capire che tipo sono  io?

Leonia      Di che  si tratta?

Arcibaldo (dando un colpetto alla valigia, con mistero) Qui dentro... (ride) non c'è solo la mia opera.

Leonia      No?

Arcibaldo No. C'è qualche altra cosetta: una porti­cina; lo spiraglio; l'evasione. (Oratorio, con una scarpa in mano) Idolatro mia moglie e credo nella vita. Non partirò giammai, tranquillizzatevi. E tuttavia il pensiero che qui, vicino a me, c'è la valigia pronta... questo mi ossigena l'anima. Ci tengo il grosso del « Diluvio » e inoltre due camicie, quattro fazzoletti, due paia di peda­lini... Una innocente mania. Pronta, voi mi capite? Una porticina socchiusa verso l'infinito, l'avventura, la poesia, nella tetra muraglia della computisteria.

Clelia      (apparendo in atto di farsi le unghie) Ma Arcibaldo! Non sei mai pronto! Non dargli corda, zia, per carità.  (Sparisce).

Arcibaldo (estenuato) Che bambina! Mi ama. Avete visto il ricciolo che s'è lasciato qui? (Faceto) Ordunque, presto, voliamo. Senz'altra esitazione - andiamo alla sta­zione.

Leonia      (disinvolta)Professore, voi forse non avete capito. Il milionario...  viene qui.

Fatma      Ci fa una visitine.

Arcibaldo E' uno scherzo.

Leonia      Ma se eravamo d'accordo!

Arcibaldo D'accordo un cavolo, per così dire! Qui! Signora, riepilogando, voi prendete a prestito un vestito nero, un marito, uno stato civile! Adesso pretendete un focolare, i lari, la famiglia!  Mi pare troppo.

Leonia      Professore mio, se sapeste!

Arcibaldo Che cosa?

Leonia      Che ormai è fatta!  L'indirizzo!

Fatma      Gliel'abbiamo già dato!

Leonia      Potevo fargli indirizzare le lettere a casa nostra? Un quartiere, purtroppo, così volgare... friggi­torie... erbivendole... Per via del decoro. Del rango.

Arcibaldo (furente) Sicché le lettere?

Leonia      Qui, sono venute.

Fatma      Sempre.

Leonia      E siccome Fatma è timida, le risposte alle lettere, lo sapete chi le scriveva?

Fatma       (indicando Clelia che entra in questo momento) Clelia!

Arcibaldo Tu?

Clelia      (che sta facendosi le labbra) Che espressioni, se tu avessi sentito! Che lettere ardenti; cocenti. (Stiz­zita) Ma fatteli stirare, quei pantaloni, Arcibaldo! (Esce).

Arcibaldo Espressioni, espressioni! Ecco come nasce il disordine.

Leonia      Non siate tanto rigido, austero!

Arcibaldo E se io divento vostro marito, che di­venta mia moglie?

Leonia      Cugina. Anzi, no...

Fatma      Nuora.

Arcibaldo (fremendo) Sicché io divento suocero di mia moglie? E mia suocera?

Fatma       (cercando) Zia...

Leonia      Nuora...

Fatma      Nonna...

Leonia      (definitiva) Prozia.              

Arcibaldo Sicché io pronipote? E il cognato Gia­cinto? E la domestica? (Togliendosi una scarpa) Giam­mai.

Fatma       (si mette a piangere).

SCENA SECONDA

Clelia      (accorrendo) Ma Arcibaldo! Lo sai che sei un tiranno, un despota?

Arcibaldo (facendo il tiranno e togliendosi anche l'al-tra scarpa)Giammai.

Clelia      Non hai un filo di cuore. (Dando un calcio alla valigia) E sempre con questa miniera di microbi fra i piedi. Lo sai sì o no che non la voglio in casa? Do­mani la daremo allo spazzaturaio. Fa il bravo, mettiti le scarpe.

Arcibaldo (recuperando la valigia, spartano)E se io non me le metto?

Fatma       (raddoppia i suoi singulti).

Leonia      Voi non avete visceri, siete un cerebrale, ecco tutto.

Clelia      (dandosi della cipria)Ma pensa, un milionario, Arcibaldo! Non vedo l'ora... di vedere un po' come è fatto!

Giacinto (irrompe dentro saltando ed emettendo il grido di guerra dei selvaggi della Pampa oppure della Jungla) Arriva il milionario! Arriva il milionario! Arromarracurru! Arromarracurru!

(E' solito ragazzo troppo cresciuto delle farse; polpacci nudi e molto pe­losi, mani e orecchie enormi, vestiti di due anni prima).

Arcibaldo Ecco la mia rovina. Smettila Giacintino!

Giacinto (saltando)Arriva il milionario! Arromar-racurru!

Arcibaldo Smetti Giacintino! O ti anniento!

Giacinto (saltando a più non posso) Arriva il mi­lionario! Arromarracurru! Augh! Angh!

Arcibaldo Fallo pel magistrato, Giacinto. Fallo pel magistrato del piano di sotto!

Clelia      Finiscila, Giacinto.

Giacinto  Augh! Augh!

Arcibaldo Eccolo. Già lo sento. L'austero magi­strato del piano di sotto si prepara a battere... batte.

(Si forma miracolosamente un silenzio. Tutti si fermano in ascolto, leggermente inclinati come in un ballo mec-canico. Si odono, infatti, sepolcrali, i colpi battuti dal magistrato, inquilino del piano di sotto).

Una voce (remotissima, sotterranea)E' un abominio. Sono piovuti ben tre calcinacci nella minestra! Non fi­nirà così!

(Immediatamente il chiasso riprende con nuovo vigore).

Giacinto (riprendendo a saltare) Arriva il milio-nario! Arromarracurru, augh! Augh!

Fatma       (singhiozza a più non posso).

Arcibaldo (inseguendo il ragazzo) Fallo per me. Ti dò mezza  lira, Giacinto! Quindici soldi!  Una lira!

Giacinto  (girando intorno al tavolo per non farsi ac­chiappare) Arromarracurru. Arromarracurru. (D'un tratto fermandosi ed estraendo una rivoltella, la punta sul suo inseguitore) Capitano Black! Mani in alto! Vi brucio le cervella! (Preme il grilletto, uno zampillo d'acqua che poi muore in un flebile fischietto, va a cospargere la faccia di Arcibaldo).

Arcibaldo (asciugandosi la faccia) E' acqua, almeno? E' acqua? (D'un tratto, brandendo la scarpa) Dio onni­potente!  E se io... perdessi la pazienza?

Vittoria Elisabetta (entrando, imponente, eccitata, mentre si ristabilisce il silenzio) Che c'è Arcibaldo, che c'è?

Vincenza (affacciandosi dal fondo) Sono venuti il farmacista, il droghiere e il padrone di casa.

(Un si­lenzio).

Arcibaldo (che ha ottimi motivi per non volerli incon­trare, eclissandosi velocemente con gli indumenti) Io mi vado a vestire. Con permesso.

Vittoria Elisabetta (con supremo disprezzo) Natu­ralmente. Che essere!

SCENA TERZA

(Dalla porta di fondo, dietro Vincenzo, già sono spuntati il farmacista, il droghiere e il padrone di casa, i quali vengono avanti con sorrisi e inchini cerimoniosi).

Il Padrone di casa Ci dovete perdonare, signora. Mille scuse. Secondo voci insistenti... sembrerebbe, par­rebbe che dovrebbe arrivare un milionario.

Vittoria Elisabetta   (sventagliandosi)   Dovrebbe! Sarà qui da un momento all'altro.

Il Droghiere Un milionario! Qui?

Vittoria Elisabetta Qui.

Leonia      Qui.

Clelia      Qui.

Fatma      Qui.

Vittoria Elisabetta (superiore) Gli stiamo prepa­rando un ricevimentino fra intimi.

Il Padrone di casa Noi ci permettiamo di interes­sarci, signora, per via di quelle piccole... purtroppo, di­ciamo...

Il Droghiere ...pendenze!

Il Padrone di casa... a causa delle quali capirete quanto noi prendiamo a cuore, come condividiamo. Si tratta di un parente?

Vittoria Elisabetta Sì e no.

Leonia      (mostrando  la figlia) Fidanzato.

Il Padrone di casa (deluso) Ah! Fidanzato. Questo è tutto. Una semplice speranza. Speriamo.

Il Droghiere (con plebea brutalità) Io voglio i miei soldi! Qua, se non escono i soldi,  io non mi muovo!

Vittoria Elisabetta (dignitosa) Il professore mio genero regolerà quanto prima.

Il Farmacista (agro e menagramo) Un milionario... coi milioni? E' sicuro?

Il Padrone di casa Si aggirano numerosi lestofanti.

Vittoria Elisabetta (soffocata )Le... sto... fanti! Leonia!

Leonia      (mordace e superiore)Probabilmente, il si­gnore non frequenta gli ambienti. Il signore equivoca, ignora. Fatma, dillo tu, che uomo era!

Fatma       (contorcendosi) Oh, mammà!

Leonia      Che intelligenza! Che finezza! Che calze! Sei bastimenti.  (Severa) Mi baciava la mano.

Il Padrone di casa In conclusione, se fosse lecito, si potrebbe sapere come si chiama?

Leonia      Bemoll.

Il Droghiere  (allibito)Bemoll?

Il Farmacista Bemoll!

Il Droghiere           Avete detto proprio Bemoll?

Leonia      Ma sì, Bemoll.

Il Farmacista Adagio. Polten-Bemoll?

Leonia      Mi pare... Polten-Bemoll.

Il Droghiere (guardando il farmacista) Polten-Bemoll!

Il Farmacista (guardando il droghiere) Polten-Bemoll!

Arcibaldo (che faceva capolino in mutande, si avanza impressionato).

Il Farmacista Lindoro Polten-Bemoll, signori, non è un uomo ricco.

Tutti        Ah!

Il Farmacista E' un uomo ricchissimo. Mostruosa­mente ricco. Egli possiede banche, treni, ben più di sei bastimenti, metropoli, giornali quotidiani e settimanali, alberghi diurni, teatri d'arte, stati esteri e nazionali, è più di un re. Forse le nostre cambiali in scadenza sono nelle sue casseforti o in quelle di suo padre. Forse questo stesso palazzo non appartiene ad altri che a lui.

Il Padrone di casa (a scanso di equivoci) No, que­sto è roba mia.

Clelia      Sono tutta un brivido!

Fatma      E io?

Il Droghiere Però.

Vittoria Elisabetta Come, però?

Il Droghiere Questi personaggi, poi, sposano?

Arcibaldo Come si vede, caro droghiere, che voi non frequentate gli ambienti! Sposano, sposano moltis­simo, non fanno che sposare. Sposano e divorziano, di­vorziano e tornano a sposare. Sposano fanciulle e sposano spose, sposano nubili e sposano coniugate.

Clelia      Certo, anche coniugate.

Vittoria Elisabetta E del resto, sposare o non spo­sare, volete che ve la dica? Io per un uomo simile chiu­derei un occhio.

Clelia      Anche io.

Leonia      Io due.

Arcibaldo Io tre! Che dico! (Fra un improvviso si­lenzio, col tono di un conferenziere) Quando il visconte De La Tour Boisière apprese che sua moglie erasi final­mente coricata col Re di Francia, il visconte fu per soffocare. Sì, o signori, fu per soffocare di gioia. Fu al­lora che egli emise il suo immortale principio: un corno qualsiasi non è che un corno, ma un corno regale è una cornucopia.   (Benigno,  spiegando)   La pioggia d'oro!

Leonia      Ben detto.

Arcibaldo  (fatale)Così l'uomo che sa, col suo sor­riso conscio, svita la ruota dei relativi sopra il perno degli assoluti...

Vittoria Elisabetta Andate subito a vestirvi, Arcibaldo.

Arcibaldo (di sull'uscio, fra un battente e l'altro)...e la ruota degli assoluti sopra il perno dei relativi.. (Sparisce).

SCENA QUARTA

Vincenza (entrando « riprendendo fiato) Un'automobile alla porta!

Vittoria Elisabetta Misericordia!   Ha  anticipato!:

Leonia (guardando dalla finestra) Mi pare lui…

Vittoria Elisabetta (come un capitano sul ponte di una nave in pericolo) Clelia! Leonia! Vincenza! Fate sparire la scopa! Quel piatto sporco! Là, il fazzoletto della spesa. Giacinto, fa vedere le orecchie. Non met­terti mai di profilo. Le sedie rotte! Copritele coi vostri corpi! Arcibaldo? Siete morto?

Arcibaldo (entrando esterrefatto con la giacca a dop­pio petto in mano) E' incredibile! Non mi entra!

Giacinto  Eccolo!

Arcibaldo (con un balzo si acquatta dietro il corpo voluminoso di Vittoria Elisabetta).

Leonia      Sorridi, Fatma, sorridi.

Vittoria Elisabetta Clelia, il ricciolo! Attenta, ti si è scomposto il ricciolo!

Arcibaldo Morte e dannazione, le ciabatte. (Balza fuori a raccogliere le ciabatte rimaste sul pavimento).

Giacinto (dopo averle mandate con un calcetto in mez­zo alla stanza) Arromarracurru augh, augh!

Vittoria Elisabetta Fermi! Un po' più disinvolti. Cordialità! Deferenza! Così! (Tutto il gruppo, in posa, sorride, perfettamente immobile e muto, guardando di sbieco, angosciosamente, le ciabatte. La porta si spalanca, entra un signore in grigio).

Il Signore in grigio Il signor Polten-Bemoll, di cui io sono il fedele segretario, mi incarica di avvertire che una improvvisa e fausta combinazione, consentendogli di anticipare l'arrivo e di prolungare il soggiorno, gli per­metterà di godere con miglior agio la cara ospitalità dei signori. Egli potrà restare a pranzo, e forse forse, si spera, anche a cena. Sarà qui a mezzogiorno. I suoi gusti sono semplici. (Mentre sta inchinandosi profondamente, ha un sussulto).

Giacinto (fra il gran silenzio ha lanciato una ciabatta in mezzo alla tavola).

Il Signore in grigio (finisce il suo inchino, guarda an­cora la ciabatta, esce).

Arcibaldo (tetro) A pranzo, e forse forse, si spera, a  cena.

Vittoria Elisabetta Mio Dio.

Leonia      Che c'è?

Vittoria Elisabetta C'è che noi abbiamo... Cosa dob­biamo avere? Del manzo riscaldato.

Clelia      (nauseata) Del manzo riscaldato!

Vittoria Elisabetta Sedie la cui spalliera resta in mano,  piatti fessi, tovaglie col  buco...

Leonia      Che situazione!

Clelia      Che vita!  La colpa di chi è?

Vittoria Elisabetta   (a Arcibaldo) Vostra. Uomo senza risorse! Te lo dicevo,  figlia mia:   « ti sacrifichi: un deficiente simile si trova sempre, non aver paura ».

Arcibaldo Calma! Non divaghiamo. (Comprimendosi la sommità della fronte) Qua ci vorrebbe il lampo, l'idea!

Il Farmacista (avanzandosi,  dopo essersi consigliato coi compagni) Dato che la cosa si presenta seria  e proficua... forse forse noialtri... ci sarebbe anche il caso... che la si possa finanziare alquanto. Beninteso in natura.

Il Droghiere Noi presteremmo in sostanza l'abbel­limento del locale.

Il Padrone di casa Sedie in stile, stoviglie con l'orlo d'oro! Ve lo ricordate il mio tappeto, quello con Ramsete e la Sfinge? Cose da mille e una notte!

Il Farmacista Io gli posso prestare, al professore, un « tait » completo, da vero gentiluomo, con le code, di quando mi sposai!

Il Droghiere La tovaglia che ricamò mia moglie! « Abats-jours »  con la frangia!

Il Farmacista O un sì o un no!

Vittoria Elisabetta (energica)Qua non c'è un mo­mento da perdere. Portate tutto.

I tre Creditori Voliamo. (Escono di corsa).

Clelia      Sì, ma il pranzo? La cena?

Vittoria  Elisabetta  Genero  mio,  dovreste  andare a parlare al trattore.

Arcibaldo (fermo)Tutto, tranne questo. E' un uomo sprovvisto di idealità, volgarissimo.

Vittoria Elisabetta (con infinito disprezzo)Lo so, tremate alla sola idea di parlargli; per l'unica ragione che noi dobbiamo a quell'uomo qualche misero cente­simo.

Arcibaldo Ma egli mi guarda minacciosamente. E' un uomo nerboruto. (Abbassando la voce) Potrebbe prendermi a pedate.

Vittoria Elisabetta  (dopo averlo fulminato) Vincenza!

Vincenza   (si presenta).

Vittoria  Elisabetta  Scendete dal trattore,  ditegli che salga un momento: lo vuole il professore.

Vincenza       (esce, mentre Arcibaldo resta lì pietrificato).

SCENA QUINTA

(Il pandemonio dei preparativi è ormai al colmo. Chi entra, chi esce, chi incespica, chi dà zuccate. I tre creditori vanno e vengono portando arredi, ninnoli e oggetti raffi-natissimi. Essi attraversano la stanza di corsa, recando il tutto nella stanza vicina, cioè nella stanza da pranzo di casa Matita. Nel passare essi mostrano gli oggetti con consapevole orgoglio. Appaiono così man mano i ventagli antichi, le sete arabe, gli arazzi sardi, tappeti di Misurata, ceramiche umbre, sedie in stile, le maschere di Beethoveen, « abats-jours » con lo scialle, vasi giapponesi, na­ture morte coi pesci e le pere, « ragazze sedute » con le mani sulla pancia, candelabri chiesastici, lampade di ala­bastro, tigri di porcellana, cuoi dorati, terrecotte, bronzi, Bhudda, bruciaprofumi, nonché poltrone « stile novecento ».

Il buongusto del tempo in cui viviamo passacome un fiume in piena).

Il Padrone di casa (facendo vedere con orgoglio a Ar­cibaldo dei cuscini) Col patto espresso di non sedercisi sopra. Sono orientali.

Arcibaldo (è sempre lì pietrificato e con l'orecchio teso, come attendendo un tuono lontano).

Il Farmacista (mettendo sul braccio di Arcibaldo un vestito accuratamente piegato) Soprattutto avvertenza nel sedersi. (Tirando su i pantaloni ai ginocchi) Fate così.

Arcibaldo (lo guarda, sempre con l'orecchio teso. Un boato. Tutti s'interrompono. Arcibaldo si fa piccolo pic­colo).

Vittoria Elisabetta (disinvolta) Dev'essere il trat­tore.

Vincenza       (affacciandosi) E' lui, signora. Pare un po'  agitato.

Arcibaldo  (fa per eclissarsi).

Vittoria Elisabetta   (fermandolo) Fatevi sentire, Arcibaldo. Ma non eccedete.

 Arcibaldo Mi mi... conterrò.

SCENA SESTA

Il Trattore (dall'interno, con voce terribile) Dov'è? Dov'è, questo professore dei miei stivali?

(Si sparge un leggero panico. Il trattore appare sulla porta: è un uomo enorme, in grembiule, braccia nude e villose, voce im­pressionante)

Dov'è? Dov'è?

Vittoria Elisabetta (piano) Mettetelo a posto, Ar­cibaldo.

Arcibaldo (tremulo e forbito) Gli attuali momenti della finanza mondiale...

Il Trattore Basta. Sono informato di tutto. Voglio solo sapere, da uomo a uomo: l'affare è serio?

Arcibaldo (con la mano sul petto) Voi mi conoscete, signor Paride.

Il Trattore Tra la ragazza e il milionario c'èstata veramente qualche cosetta?

Arcibaldo (con la mano sul petto)Non mi forzate a chiarire. Vi dico solo che questo è il momento, per voi, di effettuare il recupero plenario di ciò che vi dobbiamo. Con un pranzetto e una cenetta che voi ci fornite...

Il Trattore Mai. Fornire mai. (Una pausa) Potrei forse prestare.

Arcibaldo Prestare un pranzo? Ma in quali condizioni potremo noi restituire?

Il Trattore Prestare. Ho appunto pronto il pranzo d'un battesimo. I piatti passano, le pietanze sfilano, il milionario spelazzica, pazienza: tutti gli altri non hanno appetito. Chiaro?

Arcibaldo (innocente)Ma io ho appetito.

Il Trattore (fulminandolo e tuonando)Tutti gli altri hanno mal di denti, inappetenza, travaglio di sto­maco, pensieri neri: il pranzo deve tornar giù tale e quale. Mando io il cameriere. Se per sciagurata combi­nazione mi torna giù una pietanza... non voglio dire in­taccata, ma soltanto graffiata, sfiorata con la punta di una forchetta... (emette un ruggito) si sentirà parlare di me. (A Vittoria Elisabetta) Sta bene?

Vittoria Elisabetta (solenne)Sta bene.

Il Trattore (voltandosi a cercare in giro Arcibaldo, con voce gravida di minaccia) Professore!

Arcibaldo   (arretra impressionato).

Il Trattore Non dimenticatevi mai che siete voi il responsabile.

Il Padrone di casa (avvicinandosi a sua volta) Inten­diamoci bene. Se per funesto caso dovessi ritrovare una gocciola d'unto sulla tovaglia che ricamò mia moglie... (ruggisce)  sareste  un  nomo   da  compiangere.

Il Farmacista Io non oso nemmeno pensare a quel che farei se la mia tigre di porcellana dovesse perdere una zampa.

Il Trattore I polli arrosto: per ogni buon fine vi mando quelli che tengo in vetrina. Sono di cartone rin­forzato, magnifici. (Fa per uscire, torna indietro) Vino. Attenzione. La bottiglia del vino per nulla al mondo do­vrà scostarsi dal milionario. Le altre bottiglie attenti a non toccarle: è acqua e inchiostro rosso.

Arcibaldo (affranto)Ma l'inchiostro è veleno!

Il Trattore E per questo ve lo mando. (Emette un ultimo ruggito ed esce, seguito dal farmacista e dal pa­drone di casa. La trasformazione del locale è ormai com­piuta).

SCENA SETTIMA

Vittoria Elisabetta Presto, coraggio, spicciatevi. Ci siamo. Siamo pronti?

Arcibaldo (che s'è infilato il « tait » del farmacista, viene avanti con gesti disperati e prudenti) Ho l'im­pressione che mi sia un po' stretto.

Vittoria Elisabetta (definitiva) Vi sta dipinto.

Arcibaldo (con voce di pianto) Sento che non resiste! Sento che si sdrucirà! (Fa per allontanarsi).

Vittoria Elisabetta (fermandolo) Basta che respi­riate poco. (Tendendo l'orecchio) Fermi tutti. Eccolo. E' lui. (Piccola confusione. Il droghiere che tarda a trovare l'uscio, resta bloccato).

Il Droghiere E io? Come faccio, ora?

Vittoria Elisabetta Voi sarete un amico.

Leonia      Sicuro, un amico nobile.

Clelia      Un conte.

Fatma      Dà molta più importanza, un conte, a tavola.

(Dalla pendola cominciano a suonare le 12. Colpo per colpo, come in un balletto, tutti riassumano la loro posa sorridente, disinvolta, deferente, elegante. L'ultimo colpo è suonato, si apre la porta, appare un giovane meraviglio­samente vestito: Bemoll. Egli è tra biondo e calvo, del tutto roseo, vagamente somigliante a un lombrico. Lo se­gue il segretario).

Leonia      (con voce tremante) Signor Bemoll.

Bemoll    (inchinandosi) Signora...

Leonia      (presentando Arcibaldo) Mio marito...

Arcibaldo (dopo aver tentato di inchinarsi, presentan­do a casaccio, prima la suocera poi gli altri) Mia... nonna! Il conte... Il conte « S'è-trovato ».

(Fa per pre­sentare Clelia che da un pezzo si divincola).

Bemoll    (prevenendolo, rapito) Oh! Signorina Fatma! E' tremendo! Siete ancora imbellita. (Avanza verso di lei con la mano tesa, si ferma. Tutti, con gesto sincrono, gli fanno cenno di no, indicando, poi, con l'indice, la vera Fatma). No? Un errore? Pardon. (Stringe la mano a Fatma, seguitando a rivolgere a Clelia il suo più sma­gliante sorriso; finalmente si volta al segretario) Raimondo?

(Il segretario, che ha in mano una grande sca­tola, la apre. Essa è piena di variopinti mazzolini che il segretario porge man mano a Bemoll. Costui ne consegna uno a Vittoria Elisabetta, un altro a Leonia; l'ultimo e più vistoso mazzolino sarebbe per Fatma. Ma Bemoll, dopo aver fatto in silenzio un piccolo tranquillo accurato confronto fra Fatma e Clelia, trova questa più di suo gusto, le fa un radioso sorriso e le consegna il mazzo. Fatma è rimasta costernata e a mani vuote, Leonia ri­media passandole il suo mazzo. Il segretario, non sapendo a chi dare la scatola vuota, la mette nelle mani di Arcibaldo. Finalmente Bemoll prende la parola, il suo ac­cento è di amabile e benevolo disincanto).

Bemoll    Mi è sembrato carino, portare qualche maz­zolino... e cercare così di farmi perdonare. E' il mio de­stino, ahimè, di essere biasimevole. Pensavo di recarmi al Nord... - là mi si attende -. Mio Dio: eccomi al Sud; credevo di avere per voi non più che alcuni istanti, può darsi che possa darvi qualche oretta. Ritenevo di bearmi del sorriso di Fatma e invece mi beavo del sor­riso...

Vittoria Elisabetta ... di Clelia, signor Bemoll.

Bemoll    Terribile, non è vero? L'ho detto. Sono di­vagato. Sono distratto. Mi distraggo. Sono così, così sono. Oh, ma la vita sarebbe ben increscevole, micidiale, stuc­chevole, se si dovesse sempre pensare a ciò che si fa... fare ciò che si pensa... pensare a ciò che si vuole... e ricordare... Raimondo?

Il Secretano (con tono professionale, assente, termi­nando) ...e ricordare ciò che non si è mai pensato, non si è mai voluto, e non si è mai fatto.

Bemoll    Io non penso granché; non faccio molto; non so ciò che voglio; e cerco di ricordare poco. Sono distratto. Eppure la vita, è indulgente con me, mi per­dona, e mi concede talvolta come a un'ape, dico bene, un'ape, di libare il suo miele.

Il Droghiere Ed ora, per fare una metafora, direi di metterci a tavola.

Giacinto  A tavola! A tavola!

Arcibaldo (tetro, guardando avanti a sé) A tavola.

(Tutti fissano Bemoll con ansiosa unzione. Egli ride. Al­lora tutti ridono. Quindi s'avviano in corteo verso la stanza da pranzo).

FINE DEL PRIMO ATTO


SECONDO ATTO

(La stanza da pranzo di casa Mattia trasformata. L'a­spetto di essa è impressionante. Sembra di trovarsi in una fiaba delle Mille e una notte messa in scena da un rigattiere maligno. Il luogo è talmente pieno di cose strane  e  incongrue,  che  sembra  difficile  respirare).

SCENA PRIMA

(Tutti sono a tavola. Polten-Bemoll è seduto tra Fatma e Clelia, ma le sue attenzioni, calorosamente ricambiate, vanno fin troppo palesemente a quest'ultima. Egli man­gia con buon appetito, gli altri tamburellano sulla tavola e dispongono le posate in artistiche simmetrie. Serve un cameriere dagli occhi di linee, il quale fa apparire e spa­rire le portate come un illusionista, anzi un fachiro. Ar­cibaldo, mezzo in piedi, mezzo seduto col suo « tait » sul punto di crepare, gira intorno sguardi preoccupati).

Bemoll    Questa è proprio buonina. Che differenza, divario, insomma, passa tra il vento dell'oceano (imita il vento dell'oceano) e il commesso viaggiatore in ma­glieria che sorbisce una minestra bollente al ristorante della stazione mentre il diretto delle 21 sta arrivando? Questa è buonina. Pensateci un tantino. Voi pensate e intanto io mangio.

Tutti         (si concentrano a pensare, incoraggiandosi a vi­cenda).

Bemoll    Nessuna. perché sia l'uno che l'altro ci soffiano su. (Ride molto).

Tutti         (con entusiasmo)Ci soffiano  su!  Eh!  Eh! Uh! Uh!

Clelia      (contorcendosi)Mi fate sbellicare, lo sapete? Mi sbellico.

Leonia      Che arguzia!

Vittoria Elisabetta Com'è faceto!

Arcibaldo Com'è salace!

Bemoll    Mi vengono, così. (Ad Arcibaldo) Simpatiche queste cotolettine. Voi non trovate? Strano. Voi non trovate.

Arcibaldo (fulminando i commensali che eseguono oblique manovre verso le cotolettine) « De gustibus », signore. La cotoletta, nella nostra famiglia, è trascurata. Non appetiamo. « De gustibus ».

Bemoll    De gu... Raimondo?

Il Segretario « De gustibus ». Come sarebbe: « Dominus Vobiscum ».

Bemoll    Io appetisco, al contrario. Io amo l'appetito. Lo coltivo.

Il Droghiere (tamburellando in direzione delle coto­lette)Eh, quando ci sarebbe l'appetito...

Arcibaldo (gli dà un calcio sotto la tavola).

Bemoll    Certo. E' una sensazione... deliziosa, che fa amare la vita.

Arcibaldo Infatti... quando si ha appetito e si man­gia, si può amare la vita; ma con l'appetito... e senza mangiare... la si ama molto meno.

Bemoll  (a bocca piena)Un po' di sella, per esem­pio, un po' d'ippica, prima di colazione, ciò è quello che ci vuole, apre lo stomaco. Voi non cavalcate, professore?

Arcibaldo Sì, qualche volta, non sempre. Un po' di rado.

Bemoll    E perché? Strano. Male. (A Clelia, tra­volgente) Io ho  dato molto alla sella.

Clelia      (rapita) La sella?

Bemoll    E' su quel cuoio che si sposano i sudori del  quadrupede  e  quelli  del  gentiluomo. Tutto  è lì.

Clelia      Naturale, il gentiluomo sta lì.

Vittoria Elisabetta Quanto è il distinto il cavalcare!

Bemoll    (con mistero)Io monto con l'arto destro alla circassa e con l'arto sinistro alla tzigana. (Accenna una piccola dimostrazione pratica).

Clelia      (romantica)Alla tzigana!

Bemoll    (severo)E' una monta che non si insegna, bisogna averla in sé, nel sangue; nella natica.

Il Droghiere Lì, bisogna averla. Lì.

Bemoll    (reagendo minacciosamente al cameriere che vuol portargli via il piatto)Un momento. Ma guarda un po'. (Rasserenalo, agli altri) Parlavamo di appetito. Raimondo, com'è il mio appetito?

Il Segretario (sempre pensando ad altro)Eccellente.

Bemoll    Io non mangio, divoro.

Arcibaldo Oh, è un vero giubilo, per noi!

Il  Droghiere   (tornando  a tamburellare assai vicino alle cotolette) Sarebbe come dire che mi sento un po' d'appetito anch'io.

Arcibaldo (facendo lo gnorri e allontanando le coto­lette) Il tempo si rimette al bello.

Bemoll    Lo sapete, che differenza, divario, passa tra un gagliardo appetito e un aguzzo spillo su una pol­trona? Questa pure è buonina. Pensateci, pensateci. Io mangio.

Tutti         (concentrandosi) Dio, come dev'essere arguta!

Bemoll    Nessuna, perché né sull'uno né sull'altra è comodo soprassedere!   (Ride molto).

Tutti         (con entusiasmo) Sopras..sedere! Oh questa poi! Ma come fa, a trovarle!

Clelia      (dopo aver riso con gridolini e gorgheggi)Oh Dio, voi mi fate morire!

Bemoll    (sempre più galante) Per carità. La mia vita  perderebbe ogni scopo.

Fatma      Anch'io mi sento morire.

Bemoll    (indifferente) Bevete un dito d'acqua.

Arcibaldo (con un grido)Giacinto!

Bemoll    (che ha avuto uno scossone) Oilà!

Arcibaldo (moderandosi) Giacintino, rimetti nel suo posto quella cotolettina, da bravino.

Giacinto (lamentoso) Ne ho preso solo due!

Arcibaldo (costernato) Due? Due ne hai prese?

Vittoria Elisabetta  Ebbene, gliele ho date io. Deve crescere.

Bemoll    Giusto.

Arcibaldo (soffocando) Ma voi, Eccellenza, ignorate... quanto è cagionevole, lui! E' tanto delicato!

Bemoll    C'è l'appetito? Ciò è tutto. L'istinto: non sbaglia mai. State a vedere. (Empiendo il piatto del ra­gazzo) Là!  Là!  Oggi ti curo io, ragazzo mio!

Vittoria Elisabetta Di' grazie, Giacintino.

Giacinto (con unzione, a bocca piena) Grazie. Il si­gnore vi rimeriti.

Bemoll    L'istinto, caro conte. Ma voi, conte... conte...

Il Droghiere  (prova evidentemente dei crampi allo stomaco e non ode).

Tutti         (chiamando) Conte? Conte? Ma conte!

Il Droghiere (riscuotendosi) Eh, scusate.

Bemoll    Dicevo, voi, conte, non mangiate?

Il Droghiere (triste, gli occhi al cielo) Eh! Cosa volete.

Bemoll    Guardate per esempio questi pesciolini... (Empiendosi il piatto) Sono  simpaticissimi.

Arcibaldo (sudando)Piano, pardon. Questi pesci non temete che siano un po' pesantucci?

Bemoll    Pesantucci? (Porgendo il piatto sotto i nasi) Vi basti di sentirne il profumo. Sentite, conte, che aroma. Scende al cuore.

Il Droghiere  (fiutando con un gemito) Huuum—

Bemoll    Come sono questi pesci, Raimondo?

Il Segretario (come ripetendo un catechismo) Ama­rognoli, stuzzichevoli e croccanti. Fanno venire l'acquo­lina in bocca...

Il Droghiere (gemendo) Proprio così.

Il Segretario (continuando) ...tonificano, corrobo­rano, eccitano i succhi gastrici...

Il Droghiere (violento) Basta. A me quel piatto. (Aggredisce il cameriere che sta trafugando il piatto dei pesciolini).

Il Cameriere (si difende con violenza; breve lotta a chi tira di più non senza calci negli stinchi).

Arcibaldo (angoscioso) Conte! Che fate! Ricorda­tevi... del vostro stomaco!

Il Droghiere (rimasto vittorioso col piatto in mano) E' quel che faccio!

Vittoria Elisabetta (vezzosa) Quand'è così... un pesciolino Io  prendo  anch'io.

Leonia, Clelia, Fatma Anche io! - Anche io! - An­che io!

Giacinto  Lo voglio io pure un pesciolino! Lo voglio io pure un pesciolino!

Il Cameriere  (fa un ultimo tentativo per riprendere il piatto).

Vittoria Elisabetta Battista, dico. Avete perduto la testa? Voi siete il cameriere. Aspettate composto che i signori si servano.

Il Cameriere (si allontana lustrando un piatto minac­ciosamente, si china a bisbigliare trucemente all'orecchio di Arcibaldo) Professore, poi ve la vedete voi, col padrone!

Tutti         (mangiano a quattro palmenti, si odono parole pronunciate a bocca piena) Mastica, Giacinto. - Sono proprio saporiti.  Delicati.  Gustosi. - Fritti bene.

Arcibaldo (è rimasto pietrificato).

Bemoll    Voi, professore, siete anche artista, mi di­cono.

Arcibaldo (amaro, fatale, e sempre tenendo il sedere a un palmo della seggiola per non compromettere l'inte­grità del « tait ») Forse sono un illuso, signore.

Bemoll    Ecco gli artisti. Voi vi torturate. Voi siete unpensatore. Chi sa a che state pensando.

Arcibaldo (tetro, fra sé)Alle legnate del trattore.

Bemoll    (a bocca piena)Ci fu un altro pensatore... il quale pensava... che il pensiero in sostanza... Come dice, Raimondo?

Il Segretario (pensando ad altro) E' quel che esiste quando tutto deve cominciare ad esistere.

Bemoll    Cominciare ad esistere. Compreso?

Tutti         (con zelo e seguitando a mangiare a quattro pal­menti)Come è vero! - Che concezione! - Quanto è ver­satile!  Che mente!

Bemoll    (condiscendente) Oh sì. Confesso che sono un pochino pensatore anch'io, nei ritagli di tempo, pur­troppo. Quando mi rado la barba, ad esempio, penso. Molto. Già, già. L'arte. Suole dirsi che l'arte... Raimondo?

Il Segretario  (seccato) E' quel che resta, quando non resta più nulla.

Bemoll    (nostalgico) Quando non resta più nulla!

Clelia      Come le sento, io, queste cose!

Leonia      (alla figlia, dandole una gomitata) E tu? Tu non le senti?

Fatma      Le sento io pare. Io le tento di più.

Leonia      Fatma le sente tanto!

Vittoria Elisabetta Ma Clelia troppo. Lei vibra.

Bemoll    (a Clelia, vezzoso, offrendole del vino) E' questione  dell'animo  sensibile. Bevete, bevete.

Clelia      (vezzosa) Grazie. Come faccio, a dir di no a voi?

Arcibaldo Mio Dio. Il vino no, il vino no. Clelia! Non sei abituata!

Vittoria Elisabetta Non dico nulla io madre, mette il becco lo zio?

Bemoll    (versando altro vino) Bevete, signorina, be­vete. Questo attiva, ristora. (Con un sorriso travolgente) E' amabile.

Il Droghiere Ah? E' amabile? (Agli altri) Dice che è amabile.

Tutti        Ah! E' amabile.

Il Droghiere (afferrando la bottiglia e versandosi da bere) Vediamo un po'.

Tutti         (strappandosi l'un l'altro la bottiglia) Sicuro, vediamo un po' se è amabile. - Vediamo.  Voglio vedere anch'io.  Uno alla volta, uno alla volta.  Piano, perdio!

Giacinto (fa cadere rumorosamente un bicchiere pieno di vino; piccolo silenzio).

Arcibaldo (pacato, benché veda benissimo) Il bic­chiere si è rotto? Il vino ha fatto sul tappeto una bella macchia?                                                 

Bemoll    Non c'è male, sciocchezze! Allegria, allegria!

Voci         (mentre il droghiere, impegnando una nuova lotta col cameriere, rapisce a costui, da un tavolo vicino, qual­che altra bottiglia) Allegria! Allegria! - Questo è friz­zante!  Beviamo.  Evviva! - A me.  Un altro goccetto.

Arcibaldo (d'un tratto, scoppiando, con voce stentorea)

Allegria! Allegria!

Bemoll    Eccolo là! Gli artisti… Dal tormento al tri­pudio. Caro professore, mi han parlato della vostra opera. Mi hanno detto che è un'operona. Acqua, se ben ricordo,  doccia... acquazzone,  pediluvio...

Arcibaldo   (truce) Diluvio.  (Con intenzione) Universale.   (Esita,  prende  un bicchiere;   tragico,  solenne) Bevo anch'io.

Bemoll    Beviamo. (Alzando il bicchiere e volgendosi a Clelia) Al vostro affascinante sorriso.  (Volgendosi ad Arcibaldo) Al vostro « Diluvio universale ».

Tutti         (ormai molto allegri) Beviamo!

Bemoll     (ripensandoci) Diluvio. Universale. Forse ipocondria? Tinte fosche? Vedo laggiù dei pollastri. (Fingono di non udirlo).

Arcibaldo Ipocondria? No, signore. (Feroce) Io sono un ottimista! La vita è nn sollazzo, una festa. Bevo un altro bicchiere! (Esegue).

Clelia      (toccando il bicchiere col milionario) Evviva!

Il Droghiere E sempre evviva!

Giacinto  Allegria! Allegria!

Bemoll    Non disdegnerei quei volatili. (Fingono di non udirlo; finalmente, imperioso e stentoreo, il milio­nario grida) A me quei polli!  (Glieli portano).

Arcibaldo La vita è bella, signore. Non vorrei che distruggerla un pochetto, sterminarla un tantino; e poi ricostruire con calma.

Bemoll     Del terrorismo, comprendo. Oh, molto « chic »! (Si adopera a tagliare un pollo, il quale resiste stranamente) Io adoro il pericolo, il brivido. (A Clelia) Signora, ho sparato al leone.

Clelia      Al leone?

Bemoll    (tornando ad adoperarsi col suo pollo, ma in­vano) Sì. Nella pampa. A palla. Ho la palla infallibile.

Il Droghiere (brillo e impressionato) La palla? La pampa!

Clelia      Mio Dio, bo la pelle d'oca!

Il Droghiere La pelle! La palla! L'ho d'oca anch'io. (Ormai apoplettico e aggressivo, al cameriere) Giovinotto, che cosa aspettate a servirci lo spumante? (Le brame di tutti si svegliano, tutti gridano assieme).

Vittoria Elisabetta Ma certo, un po' di « dessert », che diamine!

Leonia      Un po' di frutta assortita!

Bemoll    Un liquorino lo gradirei.

Giacinto  Le fragole! Il gelato! Lo zabaglione!

Il Droghiere Qualche bicchierino, perbacco!

Clelia      (pazzerella) Io voglio le ciliegie sotto spirito.

Fatma       (pudica) Io il budino  di  crema vanigliata.

Arcibaldo    (d'un tratto) Sì, giovinotto. Budini, Cre­me! Liquori! Fragole! Gelati assortiti!  « Champagne »!

Il Cameriere (scoppiando) Gelati assortiti, budini! Ma signor professore, qua si farnetica!  Qua si mangia! Si beve! E smoderatamente, per giunta.

Arcibaldo (tra un silenzio sepolcrale) Smoderata­mente per giunta?

Il Cameriere  Smoderatamente per giunta.

Arcibaldo (pacato) Vi scaccio.

Il Cameriere  Come?

Arcibaldo Vi congedo. Vi licenzio. Vi pongo sul la­strico. Andate.

Il Cameriere (sbalordito, esterrefatto, arretra, esce, ri­mette dentro la testa) Professore, vo a chiamare il trattore. (Sparisce).

Tutti         (applaudono, dànno l'assalto alla credenza e al « dessert »; gridano, mangiano, bevono e fanno il diavolo a quattro).

Arcibaldo (vuota il bicchiere d'un fiato; d'un tratto si sente la sua voce, profetica) Ebbene, sì, io vi dico... che i fari si sono spenti, si brancola. No, la vita non va come dovrebbe. Le trombe! Si sentiranno le trombe dell'Apocalisse, signori. Le crepe! S'apriranno crepe su tutta la terra!

Bemoll    (impressionato, smettendo di affilare due col­telli e di aggredire il misterioso pollo)Che cosa è questo? Un pezzo del « Diluvio »?

Arcibaldo C'è della necrosi, signori: occorrerà am­putare qualche fetta di mondo. Anzi fettona. (Quasi in segreto) Forse portiamo un morto nella stiva... Dico me­glio: è qui, a tavola con noi. Noi nutriamo un cadavere. (Fa il gesto di porgere a un invisibile convitato il suo bicchiere, si decide a berlo egli stesso).

Bemoll    (cambiando coltello e tornando al pollo, con nuova energia) E' l'igiene? Signore, io credo molto nell'igiene. La nostra epoca offre degli impianti igienici talmente progrediti...

Arcibaldo (con un tragico sorriso, asciugandosi la fronte) Ma il veggente che se ne fa, degli impianti igienici? Il veggente suda. (Toccandosi le parti retro­stanti del « tait », che stanno sdrucendosi) Egli sente dei cupi scricchiolii... Questo è il banchetto di Baldassarre, signori. (Tornando a bere, ormai completamente brillo) Bevi, cadavere. Bevi.

Tutti         (allegrissimi) Bravo! Viva il cadavere! Diluvio!

Bemoll    (scoraggiato, asciugandosi il sudore e abban­donando il pollo con un'ultima occhiata) Diluvio. Pro­fessore, parlateci della vostra concezione.

Arcibaldo (fatale) La mia concezione! Sarebbe que­sta: che l'universo è una piramide di miasmi, la quale porta sulla cima il miasma massimo e concentrato: (in­dicando prudentemente gli astanti e specialmente Bemoll) l'uomo.

Bemoll    E' un concetto profondo.

Arcibaldo (tirando fuori la valigia e battendovi sopra)Che cosa fa il mio eroe? Decide di disinfettare la vita. E qual è il suo sublimato corrosivo, il suo acido muriatico? (Sorride, fatale) Il sarcasmo. Il sorriso. La beffa mordace. L'ironia stritolatrice. Il suo segreto è di mettere davanti ad ogni essere uno specchio fatale in cui ciascuno, anziché se stesso, vede il suo proprio medesimo cadavere in stato di avanzata putrefazione. L'opera è simbolica, c'è l'idea immanente, l'idea trascendente, e l'idea pura.

Bemoll    Professore, siete grande! (Torna a dare un'occhiata al pollo).

Arcibaldo Shakespeare ha fatto parlare Amleto col teschio. A me mi basta nn osso. Un osso piccolo, un osso grande, un osso qualunque. (Cavando lo scartafaccio e preparandosi a leggere un brano) Questa è una delle scene più forti, un tantino macabra, se vogliamo, ma forte. (Leggendo.) Scena: tomba. Personaggi: il lenzuolo mortuario, il verme, la lapide, la cassa, ossame assortito. Abbiamo lo stinco, la scapola, il femore, la mandibola, la vertebra, il dente, la costola, l'osso sacro, a scelta. Il protagonista entra e ride: eh eh; poi prende un osso qualsiasi, mettiamo un osso-piede, e lo interpella. « Osso-piede, dove andasti tu? ». (Imita con la mano il movi­mento di un piede che cammina) L'osso-piede: (Imitando una vocina sepolta, flebile, lontana) « Sono andato a casa di Tizio e di Caio ». (Spiegando) Questi due, mettiamo, sono due individui turpi, viziosi e potenti. (Tornando a leggere) L'eroe: « Ah bravo. E che risultato ne hai avuto? ». Il verme: « Eh eh, eh eh ». (Spiegando) Sarebbe il verme che sghignazza. L'eroe prende un altro osso, mettiamo un dito: « Osso-dito, che toccasti tu? ». (Imita un dito che tocca; poi con la solita vocino flebile) « Ho toccato questo e quello ». Verme: « Eh eh, eh eh ». «Osso-dente, che mangiasti tu? ». (Con la solita vocina, ma con intenzione) « Ho mangiato cotolette, pesce, pol­lastri, mi sono scolato bottiglie ». « Bravo bravo, e che risultato ne hai avuto? ». Verme: « Eh eh, eh eh ». (Spie­gando) Ci mancherebbe questa, che uno, nella vita, si empie la pancia come un maiale, e poi niente, digerisce tranquillo e felice, alla barba di chi sta digiuno! Un di­luvio ci vuole.

Tutti         (quasi in coro) Un diluvio ci vuole.

Bemoll    Ma voi, professore, come fate a farlo succedere?

Arcibaldo Eh eh. Col rubinetto.

Tutti        Il rubinetto?

Arcibaldo Il rubinetto. Questa è la gran trovata. I nostri tempi scettici e aridi credono molto nel rubinetto. Ebbene: si apre il rubinetto, e l'acqua viene, l'acqua sale, l'acqua cresce. Lo capite, il sarcasmo, la beffa, il simbolo? Il diluvio che sgorga dal di dentro, dalle vi­scere  stesse,  dallo stesso cinico intestino della società!

Bemoll    Formidabile!

Arcibaldo (continuando) Il diluvio che viene dal rubinetto di cucina, della vasca da bagno, dal vatercloset...

Tutti        Bravo professore! Evviva!

Arcibaldo (continuando) ... dagli alberghi diurni, dai gabinetti di decenza...

Tutti         (tirandogli bucce di frutta o altro) Bene! Bravo!

Arcibaldo (continuando, eroico) ... dalla cloaca, dalle condutture, dal pozzo nero! La società sommersa dal di­luvio dei suoi medesimi liquidi! L'uomo che si dibatte e nuota nel gorgo del suo lolle positivismo e dei suoi escrementi...

Tutti         (al colmo dell'entusiasmo) Bravo! Viva!

Arcibaldo E nello stesso istante, mentre l'uomo nuo­ta, una voce, ammonitrice e beffarda - la mia - che lo chiama: « uomo »!

Giacinto  (fa un leggero pernacchio).

Arcibaldo (offeso, ripetendo con più forza) « Uomo »!

Il Droghiere (d'un tratto, al colmo dell'euforia, can­tando con gorgheggi) Evviva l'illustrissimo Arcibaldo Mattia...

Tutti         (in coro, inneggiando)Professore di compu­tisteria!

(Ma mentre tutti applaudono e cantano, Bemoll, data ancora un'occhiata al pollo, capisce che le cose non possono restare così. Vi è ormai fra il pollo e lui una questione da risolvere. Egli riafferra il coltello e si riac­costa decisamente al suo avversario. Si è sparso un im­provviso silenzio. Bemoll ha ripreso le operazioni, si mette in ginocchio sulla sedia e poi in piedi, sempre senza successo. Finalmente inferocito, grida)

Bemoll    Una scure, perdio! Una scure!

(Nello stesso istante il misterioso pollo gli schizza via dalla tavola. Tutti cercano di afferrarlo, ne segue una specie di partita di calcio, con tuffi, urli, rotture. Finalmente l'invitto pollo di cartone rinforzato finisce in mano a Bemoll che lo alza in aria trionfalmente mentre tutti inneggiano e tripudiano. D'un tratto tutti si fermano stupiti, in ascolto. Altri frago­rosi applausi ed evviva echeggiano dalla strada e dalle scale. Ed ecco irrompono dentro accaldatissimi il padrone di casa, il farmacista, il trattore ed altri. I nuovi venuti si fermano un attimo per orientarsi).

SCENA SECONDA

Un Signore in nero (estrae fulmineamente un foglietto, comincia a leggere un discorso) Allorché... la grande notizia, sussurrata dapprima con ardente ma inesausta speranza, per cui...

I  nuovi venuti Evviva il milionario!

Il  Signore  in  nero Inquantoché...  confermatasi la smagliante certezza che giungeva fra noi l'uomo nel cui...

Voci         (dalla strada) Viva Bemoll! Viva Bemoll!

Vincenza       (entrando, emozionata)La strada è piena di gente. Vogliono vedere il milionario!

Il Farmacista Affacciatevi. Vi hanno improvvisato una dimostrazione di affetto e ammirazione.

Il Padrone di casa C'è pieno di fotografi. Vi aspet­tano!

Bemoll    Raimondo!

Il Segretario (con mossa da giocoliere ha estratto una spazzola, ne dà un colpo sul cranio di Bemoll) Là!

Bemoll    Mio Dio. Ma sono le quattordici e trenta. Io  non posso presentarmi ai fotografi, alle quattordici e trenta, in giacca da mattina giallo salmone!

Il Segretario Tutto calcolato, Eccellenza. (Nelle sue mani è apparso un « tait »).

Bemoll    (infilandolo) Dov'è il balcone? Ovvero il balconcino?

Clelia      (pudica) Nella mia cameretta, Eccellenza.

Il Segretario (dando al milionario un'ultima spruzza­tala con uno spruzzaprofumi) La luce è a destra.

Bemoll    (avviandosi e cominciando a sorridere di colpo) Sorriderò di tre quarti.

(L'uscio si spalanca da solo, fra i clamori. Bemoll, con la mano nella mano di Clelia, e seguito da un piccolo corteo, esce solennemente diretto al balconcino. Si odono acclamazioni lontane).

SCENA TERZA

Arcibaldo (ha cominciato a battere gli occhi non cre­dendo ai medesimi:  il trattore, nonché il farmacista e il  padrone di casa, gli fanno dei cenni cordiali, gli sorri­dono, fanno per avvicinarsi).

Il Farmacista (giunto a tiro) La mano.

Arcibaldo Eh?

Il Farmacista Qua la mano.

Arcibaldo (la tende, con sospetto e timore).

Il Trattore (con affettuosa deferenza) E a me? Non me la date?

Arcibaldo (inghiottendo) Non so se avete appreso che il pranzo...

Il Trattore Appetitoso? Sentirete la cena!

(Acclamazioni lontane. Bemoll e il suo corteo stanno rientrando, fra una siepe di ammiratori).

Arcibaldo (un po' rinfrancato) Ma voi, l'avete vista, la tovaglia?  Il tappeto egiziano? Il vestito?

Il Padrone di casa Piccolezze.

Il Trattore (ammiccando verso Bemoll e facendo il ge­sto di stringere un fazzoletto in pugno) Ormai voi il milionario lo avete in mano così!

Tutti        Viva Polten-Bemoll!

L'Uomo in nero (tenace, proseguendo la sua orazione) Permodoché... un leggittimo nonché nobile orgoglio invade l'onesto petto della popolazione locale, laonde...

Tutti        Evviva il milionario!

L'Uomo in nero Dopodiché... un pensiero... natural-mente commosso... dovrà anche rivolgersi all'altro uomo... modesto e valoroso la cui qui presente dimora, ebbe l'o­nore  sublime...

Tutti        Viva l'uomo modesto e valoroso! Evviva il professore Arcibaldo Mattia!

Arcibaldo (quasi spaventato) Mio Dio... No... Troppo, troppo! Non merito. Per carità... Eccellenza! (Portando il fazzoletto agli occhi) ...Ho un nodo qui.

Bemoll    Cuore eccellente! (Apre le braccia al pro­fessore, i due, assai brilli, si abbracciano).

Tutti         (alzano i bicchieri e distruggono gli ultimi avanzi del pranzo).

Arcibaldo (cui han posto un bicchiere in mano, asciu­gandosi le lacrime) Io sono un nomo... comune! In­degno!

Bemoll    Voi mi piacete, state pure tranquillo; il pranzo mi è piaciuto; mi piace tutto!

Arcibaldo (avvedendosi che Leonia e Fatma gli fanno cenni semaforici) E Fatma? Fatma! Ve ne ricordate? Quella vi piace? Vorrei proprio che oggi andasse a posto ogni cosa!

Bemoll    Ebbene, ve lo posso dire? State pure tran­quillo anche su questo! La fanciulla mi piace assai.

Arcibaldo Voi mi levate nn peso dal cuore.

Bemoll    Pruriginosa, grassetta e scottante; una vera quaglia settembrina. (Abbassando la voce) A voi lo posso dire: a tavola siamo sempre stati con le gambe incollate. (Ride molto, soddisfattissimo).

Arcibaldo (fregandosi le mani) Benissimo! Sotto, Eccellenza, sotto! Non titubate!

Bemoll    Non tituberò.

(Ed ecco rimbombano nella via gli ottoni della banda municipale).

Clelia      (pallida d'emozione )Dio, anche la musica! (A Bemoll con un sorriso radioso) Venite.

(L'uscio torna a spalancarsi da solo. Il piccolo corteo quasi nuziale si ricompone e si avvia. La stanza resta vuota, tranne Arci-baldo e Giacinto, il quale già si accinge a frugare nella giacca di Bemoll).

SCENA QUARTA

Arcibaldo (d'un tratto, ebbro di giubilo, non sapendo come esplodere) Giacinto!

Giacinto (fa un salto, lasciando la giacca).

Arcibaldo (che ha bisogno d'essere generoso) Vieni qui, birbantello! Prendi, mezza lira! Che dico! Una lira.

Giacinto (prende e si eclissa).

Arcibaldo (cercando di orizzontarsi) Dio onnipo­tente! Sembra persino una favola! (Con gli occhi sulla giacca, nonché sugli oggetti che Giacinto ha estratti dall'indumento) Che taglio! Che morbidezza! Giallo salmone! I milioni. La vita. Le onorificenze. I profumi! (Fiutando un fazzoletto di Bemoll e sventolandoselo al naso) Pro­fumi inebrianti, tentatori. Ne acquisterò due bottiglie per Clelia, appena avrò l'aumento. Piano con le armi. (Mette sullo stipo la rivoltella di Bemoll capitatagli in mano. Gente a gruppetti comincia a venir fuori dalla stanza del balconcino. Prima di allontanarsi tutti si fermano un at­timo a guardare Arcibaldo, indicandoselo. Arcibaldo, spruzzandosi col minuscolo spruzzaprofumi del miliona­rio:) Sì, la vita è meno sudicia di quel che si opina. Quel famoso giorno è venuto... è venuto Bemoll! (Affascinato dagli oggetti raffinatissimi che popolano le tasche di Be­moll) Cuore squisito, accendisigari di lapislazzuli, sigarette col bocchino di sughero, nobile tempra di milionario! (Nuotando fra sogni e delizie) « Spliping-ear! Grand-hotel! steeplechase! Tabled'hote! ». (Cullandosi) E perché non potrei viaggiare anch'io e andare anch io in  spliping-car? ». (Commuovendosi) Io non sono cattivo. Ho lo sto­maco un po' dilatato, ma i sedentari, si sa. Sono un tan­tino peloso. La mia Clelia però mi sa comprendere.

Il Padrone di casa (gli si è accostato, lo sta osservando con interesse).

Arcibaldo (versandosi del liquore) Sì, signori. Se l'alba diquesto giorno non fosse sorta, io non avrei compreso che cosa è la vita, la computisteria e la pianta stabile mi avrebbero schiacciato. (Commosso) Invece la banda municipale suona, io son qui, su un sontuoso e soffice tappeto, qui c'è un liquore dal nome difficilissimo…

Il Farmacista (è sopraggiunto, ha bisbigliato qualche cosa al padrone di casa, prende lui pure a guardare Arcibaldo con affettuoso interesse).

Arcibaldo Signor Rinaldo, in tutta la mia vita io non ho avuto il più lontano sospetto che un simile liquore esistesse. E invece, sì, esisteva. Voi mi comprendete.

Il Farmacista (affettuoso, accostandogli una sedia dopo averla lustrata) Professore, accomodatevi.

Il Padrone di casa (accostandogliene un'altra, dopo averla tastata) Forse questa è più comoda. Pigliate questa.

Arcibaldo (con le lacrime nella voce) Cari! Quanto siete buoni! E pensare che prima, sapete? Ero quasi si­curo... che mi voleste del male!

Il Padrone di casa (indignato) Del male noi?

Arcibaldo Per via di quelle piccole... pendenze...

Il Farmacista Per carità!

Arcibaldo (col fazzoletto agli occhi) Che bellezza, cari, volersi bene, andar tutti d'accordo... Dei buoni pran­zi! La gioia! Poltrone con le molle! Termosifone! Ed anche... (spruzzando a tempo di ballabile) un tantinello di follia!

Il Droghiere e il  Trattore (entrati a loro volta, hanno bisbigliato qualche cosa agli altri due).

Il Padrone di casa (con deferenza accresciuta) Mi raccomando a voi, avrei una numerosa famiglia!

Arcibaldo (protettore) Faremo il possibile. Ma certo! Ecco il segreto, cari: la filantropia. Il mio amico Bemoll... mi ama  molto.

Il Droghiere (scrutatore) Il signor Bemoll... (tos­sisce) sta di là...

Arcibaldo (allegrissimo) So tutto. Il signor Bemoll è occupato. Con una personcina.

Il Farmacista Ma voi...

Arcibaldo Sorrido. E spruzzo!   (Spruzza).

Il Droghiere (con intesa e mistero) Noialtri, a fin di bene, abbiamo creduto opportuno... lasciarli soli... di là. In camera  vostra.

Arcibaldo (compiaciuto) Si mostravano... teneri?

Il Trattore Discretamente.

Arcibaldo (commosso) Cari. Benone. Benissimo. (Folleggiando) Chiudeteli a chiave!

Il Droghiere Accidenti.

Arcibaldo Così, passando, come per equivoco, distrat­tamente. Due buoni giri di chiave!

Il Droghiere Due?

Arcibaldo Due, quattro, cinque, finché ce ne sta. Voi dovete capirmi. Lo faccio a fin di bene. Creare il « gancio »!

Il Padrone di casa Ma certo. Naturale.

Il Droghiere (è già corso, ha già chiuso).

Arcibaldo (ridendo, saltellando e facendo movimenti ginnastici) Sono uno spiritello - lieve lieve e paz­zerello...

Il Droghiere (di ritorno) Fatto.

Arcibaldo (cavando l'orologio e ammiccando, con l'aria di fare dei computi) Benone, benissimo, speriamo. Po­verina, sarà una gioia, per lei. E la sarà anche per me.

Il Farmacista (con ammirazione)Ma questo è vera­mente un grand'uomo!

Il Padrone di casa Io l'ho sempre detto, che era di grande levatura!

Il Trattore (violento) Levatura? Un vero artista.

Il Farmacista (al droghiere) Voi conoscete il « Di­luvio »?

Il Droghiere (offeso) Io non conoscevo il « Di-luvio »?

Il Padrone di casa (offeso )Noi non conoscevamo quell'opera?

Arcibaldo (timidamente) Il « Diluvio »... sicché... dunque... il « Diluvio » non vi dispiace?

Il Trattore Voi scherzate.

Il Farmacista E' l'opera più importante dalla sco­perta dell'America in qua.

Il Droghiere (incollerito) In qua e in là. Che cosa c'era prima? Porcherie.

Arcibaldo (commosso) Cari! (Modesto) Da un certo punto di vista, non avete tutti i torti, è un lavoro me­ditato. (Con mistero) Sennonché, viceversa, la questione è un'altra! La questione è che il « Diluvio », oggi come oggi, non mi aderisce più così completamente: dovrò apportare a quell'opera qualche modifica, qualche ritocco.

I Creditori Possibile?

Arcibaldo A che negarlo? Forse un precipitato troppo amarognolo si era sedimentato nel fondo del mio subcosciente! Eh, adesso ve lo posso confessare! Qua e là nel « Diluvio » era colata qualche goccia acidetta, cattiva! (Lacrimoso, con un piccolo rutto) Che brutta cosa! Fare gli spiritosi, i sarcastici, sparlare della natura; ed anche del governo. Che brutta cosa! No, figli miei, non c'è nes­sun bisogno di fare diluvi, di aprire il rubinetto, di met­tere ordine. Niente! Ma se c'è già l'ordine! E come! Sì, Eusebio. Il nostro bel piattino di mele fritte con lo zuc­chero, nella vita, finisce sempre per arrivare, a tutti! Il bene, il male: sapete cosa sono? Ma il basso e l'alto di un medesimo basso ovvero altorilievo, punti di vista, mo­menti, dialettica. (Alzandosi, autoritario e vacillante) Sì, cari; l'ordine c'è, esiste. Ma guardatevi soltanto intorno, ciechi! (Indicando qua e là, su e giù) La farfalla sui prati, la piccola ape che ronza, l'uccelletto che cinguetta nel bosco... la montagna, la nuvoletta, la natura, signori miei, la natura! E poi l'uomo che si terge il sudore... Voglio dire il progresso. Gli istituti benefici, le invenzioni... E le pesche di beneficenza? Dal più modesto insetto o pesciolino, fino, che posso dirvi, fino... alle stelle, lassù, quelle belle stelle d'estate, quando si va fuori di porta a prendere il gelato, lassù, piccole piccole... che bella cosa,  che poesia... che pensieri...  (Si interrompe).

SCENA QUINTA

Leonia      (è entrata convulsa, s'è piantata davanti a lui; d'un tratto) Imbecille!  (Pausa) E siete anche ubriaco.

Arcibaldo Perché? (Ammicca e spruzza la donna, bisbigliando) Va  tutto bene, benissimo

Leonia      E come no. Il milionario vi si becca la moglie, e vi becca.

Arcibaldo (agli altri) Che cosa dice?

Leonia      (terribile) Dico che voi siete miope.

Arcibaldo Dev'esserci un equivoco. (Al droghiere, leggermente incerto) Ma dite un po' Leopoldo, la persona che avete chiuso insieme al milionario coi due giri di chiave...

Il Droghiere (agli altri) Ora fa l'ingenuo.

Arcibaldo (ci ha pensato un attimo, e già ride rassi­curato) Cleliuccia mia? Sì, brava. Crederei piuttosto che il sole... (Si interrompe, sbarra gli occhi).

Fatma       (è entrata, naturalmente in lacrime).

Arcibaldo (come a un fantasma) Fatma, tu non sei là?

Fatma      No, sono qua.

Arcibaldo (d'un tratto strillando e saltando) La chia­ve! Presto! La chiave! Che fate lì? Voi siete responsabili! La chiave!

Il Droghiere (cui il farmacista ha dato di gomito) Non si trova più, la chiave. (Giacinto, Vittoria Elisabetta, ed altri, attratti dalle voci, si affacciano).

Arcibaldo Come, non si trova! E cercatela! Giacinto! Sei stato tu che l'hai nascosta? La chiave! (La cerca a quattro gambe sotto i tavoli) Ma che questo sia un sogno? Leopoldo, ditemelo ancora:  chi c'è la dentro?

Il Droghiere Vostra moglie!

Arcibaldo La chiave! Un fabbro! Presto, un fabbro!

Giacinto Arromarracurru. Angh. Augh.

Arcibaldo Non posso sopravvivere! Un veleno. Un potente veleno. Datemi la cicuta. Cicuta!

Vincenza       (andandosene) Non ne abbiamo, in casa, cicuta.

Arcibaldo Andate a comperarne mezzo chilo, idiota!

Vittoria Elisabetta Bruto.

Leonia      (prorompendo) Losco figuro. Mi sento fre­mere. Fatma, allontaniamoci. (Esce furibonda con la figlia).

Vittoria Elisabetta L'avete spinta in un tranello, quell'angelo. Adesso è fatta. (Se ne va).

Arcibaldo Fatta? (Corre verso l'uscio; ma un timore reverenziale più forte di lui, lo ferma; si volta agli altri angosciato) Ma voi che fate? Fate del chiasso, disturba­teli, almeno! Aiuto. Aiuto. (Cerca di origliare ma senza accostarsi troppo all'uscio).

Giacinto  (andandosene pei fatti suoi) Arromanacurru. Augh. Augh.

Arcibaldo (scostandosi dall'uscio, sfinito, affranto) Silenzio sepolcrale. E' finito tutto! Il veleno... me l'hai portato,  Vincenza?

Il Trattore (battendogli sulla spalla) Bravo!

Arcibaldo Eh? Che c'è?

Il Trattore Là, là. Ci siamo intesi. Bravissimo.

Il Droghiere           Questo si chiama un colpo!

Il Trattore Voi siete bell'e diventato... amministra­tore capo, a dir poco.

Il Padrone di casa Intendente!

Il Droghiere Factotum!

Arcibaldo  (esausto) Sto per impazzire, lo sento.

Il Farmacista Voi siete l'uomo più furbo del secolo.

Il Padrone di casa Vi metteranno nelle enciclopedie popolari.

Arcibaldo (prostrato, al trattore)Ma chiamatelo dunque, questo fabbro...

Il Trattore (dolce, persuasivo) E perché un fabbro? Adagio. Dar tempo al tempo. (Affettuoso) Professore! Qua non c'è il creditore: c'è il fratello. Non è già il cointeresse. E' l'affetto.

Il Farmacista Voi questi strilli li dovete fare, ci vuole: per il decoro, il rango, l'occhio del mondo...

Il Droghiere Disperatevi: bene. Fate vedere che sie­te arrabbiato. Rompete qualche cosa, quel vaso etrusco, per  esempio.

Il Padrone di casa Sfogatevi, fracassate.

Il Trattore Noi permettiamo.               

Il Farmacista E come no. Autorizziamo!

Il Padrone di casa (con mistero) Professore, non ca­pite che vi si sta spalancando un avvenire radioso?

Il Trattore (mentre le lampade a poco a poco si accen­dono e si ode dalla strada una marcia trionfale)Le mangerete tutti i giorni, le mele fritte con lo zucchero...

Il Droghiere Riceverete lettere dall'estero, il « Dilu­vio » avrà un successo trionfale...

Il Farmacista Vi farete rimettere i due denti, riac­quisterete l'esse...

Il Padrone di casa Diventerete un fenomeno!

I Creditori (tutti assieme )Seducente! - Importante! - Affascinante! - Giovane! - Erculeo! - Bello!

Arcibaldo (d'un tratto, con gli occhi sbarrati, a bassa voce) Rape lesse e mortadella. Passavano le cotolette, il pesce fritto, zabaglioni, pollastri... (Con indignazione) E perché io sempre le cravatte comperate sui carrettini? (Al colmo dell'indignazione) Mi buttano sul terrazzino dei sorci morti, capite? Gli scolari mi portano in classe delle lucertole! Mi tirano pallottole di carta tinte d'inchiostro! (Addirittura urlando) Io ho un titolo di studio! Io ho degli ideali e diritto a pensione! (Precipitandosi verso l'uscio) Lasciatemi! Levatevi! Lo sfondo io quell'uscio!

Il Trattore (fermandolo con violenza e quasi malme­nandolo, e poi schierandosi con gli altri creditori davanti all'uscio) No, professore. Tutto; ma l'uscio no, l'uscio mai! Davanti a quest'uscio noi monteremo la guardia.

(Dalle stanze interne, dalle scale, dalla strada si spar­gono veramente trionfali gli squilli della banda e il coro: « Evviva l'illustrissimo Arcibaldo Mattia  Professore di computisteria »).

FINE SECONDO ATTO

TERZO ATTO

(La stessa stanza dell'atto precedente. Sono accese tutte le lampade, comprese quelle prestate; luce eccessiva, ab­bagliante, spettrale. Poco tempo è trascorso dal secondo atto).

SCENA PRIMA

Arcibaldo (passeggiando avanti e indietro e dirigendo il filo dei suoi pensieri con una matita) Perdere la calma, signori, e prestare orecchio alla perfidia del mon­do: ecco l'errore. Oh, m'è bastato ragionarci qualche at­timo; e già sono qui a domandarmi come poté, poco fa, sfiorarmi le meningi che la mia Clelia... Dovrei arros­sirne. Lo capirebbe un lattante. Una giovane donna segre­gata mezz'ora, per un banale incidente, nella stanza di un uomo... calvo. Mio Dio, la storia è piena di questi casi. Ma io, signori, voglio divertirmi a prospettare le più funeste illazioni, le più sciagurate ipotesi. La donna è incline. E con ciò? Quale mai inclinazione, e diciamo ma­gari vocazione, non rientra e svapora ove s'accorga d'es­sere non altro che lo zimbello di un trabocchetto sata­nico? Mi spiego. Ci si figuri l'attimo dei due giri di chiave, quando le due persone cui alludo, nella stanza fatale, udirono, tric-trac, la serratura 'girare. Che sussulto! Che gelo! Che paralisi! Non basta. Il più bello è dopo, quando, alle prime schermaglie, lui fa: « Signora, non dovete titubare. Abbiamo il parere favorevole ». « Di chi? » dice lei. « Del professor Arcibaldo! ». « Possi­bile? Lui!? Mio marito! ». Altro sussulto, altro gelo, altra paralisi. Scoprirsi presi dentro l'ingranaggio di un oscuro tranello, sentirsi inchiodare da un invisibile sguardo dominatore, sarcastico: il mio. Che salto indietro! Che crollo! Ecco l'inclinazione e magari la tentazione, se mai vi fu, cauterizzata, sterilizzata, anzi rovesciata in che cosa? In repulsione. E' matematico. Ed io insensato che avevo potuto immaginare, supporre... Povera Clelia!  Povera bambina! La verità, viceversa, è che io sono un de­spota; sono io, che sono troppo aguzzo, conscio e crudele! Ho dei rimorsi. Troppo, troppo diabolico. Ma pensate sol­tanto alla mossa aggirante dei due giri di chiave. Mossa infernale! Napoleonica! Venuta poi così, senza pensarci, quasi per caso: il fiuto dello stratega nato. Rovesciare il danno in profitto. Figuratevi un fico d'India: voleva pun­germi, il bricconcello! E io che cosa faccio? Cavo le spine e mangio il fico.

Vincenza       (entrando) Sono tornati il trattore, il far­macista, il droghiere e il padrone di casa.

Arcibaldo Strozzini, melma, gentucola! La quale pro­babilissimamente mi crede... (abbassando la voce) un ma­rito infelice... e fortunato. Insetti! Ed è anche possibile che se pure io m'affannassi a chiarire, a spiegare, a docu­mentare... questa canaglia non mi crederebbe; persiste­rebbe a credermi un marito (abbassando la voce) fortu­nato e infelice. Vermi! Che fare? Una strage? Fiumi di sangue? Eccoli là: convinti, sicuri, ilari. Già fanno a go­mitate per offrirmi dei pranzi a credito e delle somme in prestito! E io che faccio? Mi vendico! Li prendo! I pranzi e i prestiti. Uh, che mossa, anche questa! Mi si vuol conficcare un altro spino, e velenoso, nell'animo? Sorrido. Vi schernisco, vi punisco... cavo gli spini e man­gio un altro fico d'India. (A Vincenza) Fateli entrare.

(Vincenza esce).

Arcibaldo (solo) Arcibaldo, sorridi! Che cosa è l'uomo? Un povero congegno.

SCENA  SECONDA

I Creditori   (entrano, si schierano davanti ad Arcibaldo).

Arcibaldo (superiore e faceto) Vi informo che a pranzo è mancato lo spumante. Che non sia così a cena.

Il  Trattore  (grattandosi)Professore, a noi, invece, ci sarebbe venuto un dubbio.

Arcibaldo  (colpito) Un dubbio. E quale?

Il Farmacista (funebre) Professore, le nostre spese crescono di minuto in minuto.

Arcibaldo (faceto) Giusto e ben detto.

Il Padrone di casa La speranza nostra qual è?

Il Farmacista Che Bemoll s'affezioni...

Il Droghiere ... alla famiglia...

Il Padrone di casa ... a voi...

Il Trattore (scivolando) ...a vostra moglie!

Arcibaldo Non sarò io a negarlo.

Il Trattore Ebbene, professore, c'è venuto il dubbio che quest'affezione, là dentro, non sia arrivata... a quel punto... diciamo risultato...

Il Padrone di casa ... concreto, positivo...

Il Trattore ... che possa tranquillizzare dei com­mercianti onesti...

Il Farmacista ... dei padri di famiglia...

Il Droghiere ... i quali hanno investito nella cosa i loro sudati risparmi.

Il Padrone di casa Pensate alla crisi.

(Breve si­lenzio).

Arcibaldo (inquieto) Sicché... voi nutrite dei dubbi?

Il Droghiere Non è per cattiveria...

Il Padrone di casa Noi abbiamo riflettuto. Queste signore sono talmente complicate...

Il Droghiere (istruito) Questione della psiche.

Il Padrone di casa ... questi personaggi si dice che la prendano talmente per le lunghe.

Il Farmacista ... che non c'è da farci affidamento, capite?

Arcibaldo Sicché... voi non credete... alla mia, dicia­mo, sventura?  (A parte) Arcibaldo, sorridi!

Il Trattore (insospettito dal tono ambiguo di Arcibaldo) Ma scusate, dove le abbiamo, noi, le garanzie?

Il Farmacista Le prove scientifiche?

Il Droghiere Che cosa abbiamo, in mano?

Il Padrone di casa Voi, poi, lì fuori, facevate un tal chiasso! Esageravate, sapete?

Il Trattore (violento, sospettoso) Sì, troppa messin­scena!

Il Farmacista (ai compagni) Anche ora: ho l'im­pressione che faccia un po' di commedia.

Arcibaldo (scosso) Sicché, le vostre promesse, i prestiti, i pranzi... la cena di stasera... l'avvenire radioso... tutto sospeso?

Il Farmacista Naturale.

Il Padrone di casa Per forza. Qua bisogna chiarire.

Il Trattore Ci prendete per broccoli?

Il Droghiere Noi siamo fuori con le spese, capite?

Il Trattore Ci vuole altro che chiacchiere e poesie!

Arcibaldo (costernato) E il « Diluvio »? Anche il « Diluvio »  cesserebbe dal piacervi?

Il Trattore Il « Diluvio »! Ma finitela! (Un si­lenzio).

Arcibaldo (con un sorrisetto furbo )Lo sono.

Il Droghiere Che cosa?

Arcibaldo Marito infelice.

Il Trattore Si fa prestino, a dirlo.

Arcibaldo (un po' stupito) Nemmeno ora credete?

Il Trattore Dirlo non basta. Potrebbe essere una vanteria.

Arcibaldo (a parte, un po' sudato) Strano. Divertentissimo. (Al trattore, abbassando la voce) La cosa è si­cura. Non costringetemi a rivelare circostanze... delicate e... segrete.

Il Trattore Rivela pure, rivela.

Arcibaldo Voi mi conoscete, Paride.

Il Trattore Io non conosco nessuno.

Arcibaldo Ma se vi dico che lo sono!

Il Trattore (implacabile) Professore! Poche storie! Noi dobbiamo essere tranquilli!

Arcibaldo (d'un tratto) Bemoll mi ha nominato am­ministratore.

Il Farmacista Di che cosa?

Arcibaldo Di tutto. Sono amministratore universale.

Il Farmacista Davvero?

Il Padrone di casa (scettico) L'avrebbe detto prima. Perché non l'ha detto prima?

Il Trattore (minacciosamente mellifluo) Professore...

Arcibaldo (impressionato) Lo sono!

Il Trattore (accostandosi) Non vorrai mica por­tarci a spasso pel naso?

Arcibaldo Lo sono...

Il Trattore Non vorrai mica che io ti pigli pel collo?

Arcibaldo Lo sono, lo sono, lo sono... (Si interrompe).

(Roseo e sorridente appare Bemoll).

SCENA  TERZA

Il Padrone di casa (dando di gomito al trattore) Domandiamolo a lui.

Il Trattore (mielato, avvicinandosi al milionario) Eccellenza, scusateci.

Il Farmacista Si vorrebbe sapere... (ammiccando) come state.

Bemoll     (euforico) Bene. Molto bene. Grazie.

Il Trattore (ammiccando)E' andato tutto... bene»? Vi sentite... contento?

Bemoll    Mi sento vigoroso, snello ed elastico.

Il Trattore Ah, elastico.

Bemoll    Lo credereste che sento già, di nuovo, un zinzino d'appetito? Non credo che vi sarà un lungo in­dugio per la cena. E' per via dei succhi gastrici. Sì, amici miei, mi sento forte, generoso, longanime, munificente e soddisfatto della vita.

Il Trattore Ah, della vita.

Il Padrone di casa E del resto? Siete soddisfatto della... insomma (con intenzione) dell'accoglienza?

Il Farmacista ... del trattamento?

Il Padrone di casa ... del ricevimento?

Bemoll    Sono stato ricevuto a braccia aperte.

Il Trattore Sì, ma vi siete divertito... di là?

Bemoll    Di là... e di qua. Di qua... e di là. (Con mi­stero) C'è stata poi una cosa... che mi ha fatto toccare il cielo col dito!

I  Creditori (illuminati) Ah! Ecco! Bene! Col dito!

Bemoll    (sorridendo) ... la musica. Non c'è che lei, quei concenti, per sollevare lo spirito dopo pranzo. Op­pure prima di cena.

Il  Farmacista (ammiccando) E il tempo, Eccellenza, il tempo, come l'avete passato, l'avete passato bene?

Bemoll    Il tempo? A me il tempo mi predilige. Mi vizia. Mi coltiva come una pianticella. Per me il tempo è rugiada. Ogni ora che passa mi annaffia, mi umetta, mi fa più bello. Io sono un garofano. Io sono una rosa, un petalo.

Il Trattore (che non resiste più e vuole dei dati con­creti) Insomma, Eccellenza, c'è qui questo signore...

Bemoll    L'eccellente Arcibaldo? Il nostro artista?

Il Trattore Sì, lui. Vuol dire che voi, che l'Eccel­lenza vostra... Dice che l'avete nominato amministratore universale dei fondi.

Bemoll    Eh, eh. Noi gli dobbiamo molto, l'amiamo assai.

Il Trattore Lo è, amministratore?

Bemoll    Eh, eh. Ma certo, oh Dio. Se ciò gli fa pia­cere! Questo va senza dirlo. Eh eh. (Avviandosi, elastico e roseo, ad Arcibaldo) Lo siete. (Agli altri) Lo è. (Esce).

I Creditori (con vere grida di gioia e di sollievo) Lo è. - Lo è. - Lo è. - Dio sia lodato. (Escono insieme eccitati, felici).

SCENA QUARTA

Arcibaldo (perplesso) Lo è. Cioè lo siete. Cioè lo sono. Lo è. Lo sono. Lo siete. Quell'uomo non è stato affatto chiaro. Non si arriva a capire che cosa abbia vo­luto  dire. Lo sono. Lo siete. Lo è. Qui si fa della confusione.  (Avviandosi a una porta e chiamando) Clelia! Cleliuccia!

Clelia      (è già entrata dalla porta opposta, nervosetta)  Mi cercavi?

Arcibaldo Clelia, sta succedendo qualche cosa di strano. Mi domando persino se sogno; o viceversa son desto. (Grave) Clelia, debbo parlarti.

Clelia      (triste e romantica) Ma Arcibaldo! Non ti sei accorto che sono nervosa?

Arcibaldo E tu non ti sei accorta che sono pallido e agitato? (Con intonazione vecchio dramma) Ascolta, Clelia. Un uomo è entrato oggi in questa casa. (Indican­doli solennemente) I suoi indumenti, i suoi oggetti, i suoi ingredienti parlano il linguaggio della mollezza, della dissipazione e della voluttà. Fra i detti oggetti vi è la sua rivoltella, Clelia; la sua rivoltella, non so se mi sono spiegato. Vieni, bisogna che io ti guardi negli occhi. Dimmi qualche cosa, Cleliuccia; pensa alla rivoltella; giustificati.

Clelia      (triste e fatale) Ma Arcibaldo, non ti sei accorta che sono offesa? (Breve pausa) Arcibaldo: è stata colpa tua.

Arcibaldo Clelia, tu pure non sei affatto chiara. Che cosa hai fatto, sciagurata?

Clelia      E tu? Che cosa hai fatto? Tre giri di chiave!

Arcibaldo No, due.

Clelia      Tre. Che indelicatezza!

Arcibaldo Mi punirò. La mia vita sarà rosa dal tarlo di un inesorabile rimorso. Lo scatto di quella serratura  -  tric, trac - mi trapanerà l'animo. Credo che possa ba­starti.

Clelia      Oh, Arcibaldo. Troppo tardi!

Arcibaldo (agitato) Clelia, tu seguiti a non esser chiara. Mio Dio, io vedo che il tuo sguardo mi sfugge... Clelia, tu vuoi lasciarmi! Qualche cosa me lo dice, lo sento.

Clelia      (dignitosa e fatale, alza le spalle).

Arcibaldo Clelia, ebbene sì, te la compro, la volpe platinata!  (Correggendosi) Uso platinata, da sbagliarcisi.

Clelia      (ha un triste sorriso).

Arcibaldo Clelia, non te l'avevo detto, per farti una sorpresa: m'affideranno una gestione contabile: sì, il friggitore! Sessanta lire al mese!

Clelia      (ha un altro triste sorriso).

Arcibaldo    Clelia, ascolta. La situazione è confusa. E se tuttavia io... ti perdonassi? Io sembro così, rude, violento. Ma comprendo. Potrei perdonarti.

Clelia      (con un nuovo amaro sorriso) Perdonarmi!

Arcibaldo Rettifico. Clelia cara, sei tu che devi perdonarmi. Sono un essere abbietto. Ma tu non vorrai che quest'essere muoia di consunzione, oppure di car­diopalma...

Clelia      (sentimentale e triste) Non insistere, Arcibaldo. Sforzati di comprendermi.

Arcibaldo Mi vuoi spingere dunque agli estremi? Lo sai che io potrei... (atterrito lui stesso) potrei anche partire, ritirarmi in volontario esilio? Lo sai che la va­ligia è qui sotto? Clelia, ti rendi conto? Guarda che ora la prendo, la valigia! Clelia? La prendo. L'ho presa. (Ha preso fuori la tarlata valigia, l'ha messa sotto il naso della moglie).

Clelia      (dolce vittima del destino) Non insudiciarmi, Arcibaldo. Porta via quella valigia e dalla allo spazzaturaio.

Arcibaldo (estraendo solennemente da un cassetto un paio di pedalini e depositandoli nella valigia)Ecco la mia risposta. Un paio di pedalini. Ora li metto nella va­ligia. Parto. Ecco fatto.

Clelia      (alza le spalle).

Arcibaldo Clelia! Non dici nulla? Io ho messo i pedalini nella valigia e tu non dici nulla? Guarda che io ci metto pure le bretelle.

Clelia      (fatale) Metticele, Arcibaldo. E lascia che il destino si compia.

(Un silenzio).

Arcibaldo Mio Dio, tu seguiti a non spiegarti. Mi balena persino il sospetto... che tu non mi ami più! Clelia, sta attenta, perché io mi sento sconvolgere. Sento svegliarmisi istinti oscuri sanguinari. Per carità, non ri­spondo di me, potrei fare qualche sciocchezza. Guar­dami, Clelia: hai visto che cosa ho in mano? (Ha preso di tra gli oggetti di Bemoll la rivoltella, la brandisce con prudenza) Ammansiscimi, Clelia, ammansiscimi! Esci dal tuo spietato mutismo! Dio onnipotente, non so più quel che faccio.... Sparo! (Chiudendo gli occhi e con molta paura, spiana la rivoltella verso un angolo e preme il grilletto; dalla rivoltella parte un piccolo zampillo d'acqua che va morendo in un flebile fischietto; Arcibaldo riapre gli occhi, esamina l'arma, la butta via in­ferocito) Giacinto, sempre lui! Ha messo le mani anche qui. (D'un tratto, con voce flebile, da eroe di commedia intimista) Clelia, Cleliuccia. Sì. V'è qualche aspetto in me, lo capisco, che può lasciare perplessi. Come se non potesse capitare a tutti, d'andare qualche volta coi polsini, qui, sfilacciati! Quello che conta è il tormento interiore. E anche la posizione. Ce n'è così che farebbero cose da pazzi per avere la posizione che ho io! Se io mi sforzavo di fare un tantino il pensatore, sai per chi era? Per te, Cleliuccia. Sì, per l'ascendente. Perché tu fossi un tan­tino fiera, di me, lo capisci?

Clelia      (d'un tratto, al colmo del disprezzo)Ma guardati, Arcibaldo! Non c'è vestito che non ti penda davanti!

Arcibaldo Pende davanti! O bella, che c'entra ora il vestito? Lo vedi che si tratta di un malinteso?

Clelia      (nauseata)Ma non lo capisci, alla fine, che per una donna è umiliante?

Arcibaldo (indignato)Questo è un vestito finissimo. Roba che non se ne fa più. Rivoltato una sola volta...

Clelia      Non lo capisci che è disgustoso, è colpevole?

Arcibaldo Che cosa?

Clelia Ma essere così, senza rendite, poveri! Non usa più. Vecchio, vecchio: ecco che cosa sei. In un'epoca in cui nessuno invecchia più, tu sei vecchio.

Arcibaldo (esulcerato e toccandosi il sincipite) Lo vedi il malinteso? Vecchio! Ma io sono nel fiore! Lo sanno tutti che una leggera calvizie accresce molto il fascino dell'uomo!

Clelia      Più che vecchio, stantio. Rancido.

Arcibaldo (esulcerato) Rancido! Rancido perché penso e mi macero? Ecco l'equivoco.

Clelia      (persuasiva)Arcibaldo mio, sesapessi come mi sono annoiata, qui, in questa casa, questi anni!

Arcibaldo La vedi, la contraddizione? Tu mi amavi! Tu mi chiamavi biscottino! E' vero sì o no, che mi chia­mavi biscottino?

Clelia      Ma, caro, è stato prima di sposarci.

Arcibaldo (indignato e affannoso)Per tua regola, mia mamma, da bambino, mi diceva sempre che ero tanto sveglio, simpatico, carino, che ero il suo cocco...

Clelia      Ma lo diceva per farti coraggio, per tenerti su. Cocco. Con quelle orecchie!

Arcibaldo (toccandosele)Le orecchie...

Clelia      Con quella bocca!

Arcibaldo (c. s.)La bocca—

Clelia      E quel torace meschino? E l'odore? (Riso­luta) Sì, te lo devo dire, hai un odore speciale.

Arcibaldo (fiutando)Io? Io ho un odore?

Clelia      Sì. (Scientifica) Un odore di imbottitura di vecchia poltrona ammuffita.

Arcibaldo ...di vecchia poltrona...?

Clelia      ...Ammuffita. Non te ne sei mai accorto che per strada ti camminavo sempre qualche passetto discosta? Speravo che non lo capisse, la gente, che venivo con te. Si va al caffè, tu chiami, mai una volta che il cameriere ti dia ascolto, e quando si decide, ha l'aria di compatirti. Avere a fianco un uomo che non ha intuito, che non ha magnetismo, che non ha dinamismo, che non ha il passo elastico, che non incute, che non ha ardimento, che non osa nemmeno fare dei veri debiti, che non è nemmeno capace d'essere perverso, non sei mai stato capace nem­meno di darmi ano schiaffo! Alla lunga non se ne può più, fa disgusto. (Severissima) E quei foruncoli?

Arcibaldo (affannoso)Tutti ne hanno, Clelia, ti assi­curo. Anche Bemoll. Avrà il passo elastico, non discuto, ma i foruncoli gli escono pure a lui. I foruncoli sono uguali per tutti.

Clelia      (con severità)Ci sono foruncoli e foruncoli. E la dilatazione di stomaco? E il pisolino dopo pranzo? E i geloni? E la cessione del quinto? E le galosce? E l'ovatta nelle orecchie? Anche l'ovatta nelle orecchie, capite? Ah basta, Arcibaldo, basta. E' finito. Ti resterà il « Diluvio ». (Spinge verso Arcibaldo il fascicolo del « Diluvio »  che cade a terra scompaginandosi - e se ne va).

SCENA  QUINTA

Arcibaldo (ha un primo moto per raccogliere i fogli sparsi, poi ci ripensa, e annuncia) Non fa niente: mi ammazzo e così ridiamo. (Cominciando a singhiozzare) Ingrati, ingrati tutti! Non mi meritavate, ecco tutto, ero sprecato per voi! Avete fatto bene a smascherarvi, ora ci penso io, ve ne accorgerete.

(Ha estratto dalla valigia una corda già predisposta, ne fa un nodo scorsoio, se lo mi­sura intorno al collo, ben deciso a impiccarsi; intanto piange con abbondanza)

Voglio proprio prendermi una soddisfazione, voglio proprio ridere.

(Con voce improvvi­samente funerea, mentre compie una specie di toeletta, togliendosi un granello di polvere dal vestito, caricando l'orologio come quando si va a letto, facendo uscire ben bene il collo dal colletto)

Ignoranti! Non avete voluto ascoltare la mia voce, ascolterete la voce dei vostri ri­morsi! (Con altra voce) Per me è uno spasso, un diverti­mento, una festa. Vorrei solo vedere la faccia che fa­ranno! (Di nuovo oratorio e funereo) Ma non sarete più in tempo! Io sarò fredda polvere, ma il mio spettro verrà a tirarvi il lenzuolo.

(Si è dato a cercare sulla parete un chiodo sicuro, ma nessun chiodo di casa Mattia è abba­stanza forte perché un uomo posso appiccarvisi)

 

Che razza di muri! Ma di che sono fatti?

(D'un tratto vede con la coda dell'occhio qualcosa che si muove e si volta di scatto: la corda, che egli ha lasciato su una sedia, s'è mossa, è caduta a terra:, che sta succedendo?).

Giacinto (mentre Arcibaldo era volto al muro, è en­trato furtivo, ha legato la corda con un filo di refe, e ora, facendo capolino da dietro la porta e tirando il filo, fa saltare la corda qua e là).

Arcibaldo (impressionato, s'adopera ad acchiapparla come farebbe con un grillo, poi, senza nemmeno voltarsi, sicuro, esausto) Giacinto! Sempre lui.

Giacinto (da fuori, con un ultimo strattone fa sparire la corda).

Arcibaldo (nel mezzo della stanza, al colmo della di­sperazione e del furore, alza i pugni al cielo; nello stesso momento si volta).

SCENA  SESTA

Il Padrone di casa (sta entrando circospetto, seguito dagli altri creditori; ammicca ad Arcibaldo, gli fa dei cenni rispettosi e amichevoli, agitando, ma con discre­zione, una busta, che finalmente infila nelle mani di Ar­cibaldo) Signor amministratore generale, non è per offendervi. Avevamo deciso di farvi un regaluccio, ma ignorando noi i vostri gusti... abbiamo pensato che a ti­tolo di modesto presente... voi potreste accettare...

Il Droghiere (imitando il padrone di casa) ... un'ine­zia, professore. Penserete voi a comperarvi... ciò che vorrete.

Il Farmacista (imitando il droghiere) Un doveroso omaggio...

Il Trattore (imitando il farmacista) ... per espri­mere al nostro idolatrato amministratore...

Il Farmacista ... la nostra devozione...

Il Droghiere ... il nostro attaccamento...

Il Trattore ... le nostre speranze.

Il Farmacista Piccolezze, signor amministratore. (Abbassando la voce) Se voi voleste, noi saremmo lieti di favorirvi ben altro...

Arcibaldo (con gli occhi sbarrati, tendendo la mano) Fuori il ben altro.

I Creditori (imbarazzati, tossicchiando e mettendo va­gamente la mano verso il portafoglio) Voi permettete?

Arcibaldo (stravolto) Ho deciso di permettere tutto. Coraggio.

I Creditori (esplorano pudicamente i propri portafogli e si accingono, uno dopo l'altro, a far scivolare in mano ad Arcibaldo bigliettoni piegati e assai unti).

Arcibaldo (buttando ogni cosa nella valigia del « Di­luvio ») Sono sì o no l'amministratore? Sì. E che vuol dire questo? Che io gratterò qualche piccola somma a voi, e darò modo a voi di grattare qualche grossa somma a lui.

Il Trattore (affettuoso) Proprio così, protettore bello!

Il Droghiere Tutti insieme e d'accordo!

Il Farmacista Il commercio è commercio.

Il Padrone di casa Bisogna saper vivere, no?

(Co­mincia, fuori, una marcia trionfale della banda locale).

Arcibaldo (rauco e sudato) Come trovate i miei foruncoli?

Il Padrone di casa Sapete che vi stanno bene, vi donano?

Arcibaldo E il mio torace?

Il Farmacista Sembra quello d'Apollo.

Arcibaldo Come mi sta il vestito?

Il Farmacista e il Droghiere Dipinto!

Arcibaldo E il mio odore? Parlatemi del mio odore.

Il Droghiere e il Trattore Una fragranza!

Arcibaldo E che ne dite del mio magnetismo?

Il Trattore e il Padrone di casa Professore: voi possedete un vero fascino personale.

Arcibaldo Lo so: il mio comprendonio, finalmente s'è aperto. (Accennando intorno, la casa) Qual era la vostra forza? Quella di essere e di sapere di essere ciò che realmente siete: (ammiccando e toccandoli tenera­mente col gomito) dei mariuoli. Mentre io...

Il Droghiere (terminando, fraterno)  Mentre voi lo eravate... ma non lo sapevate!

Arcibaldo Bravo. (Lo abbraccia) Sei una mente supe­riore. Non sei stato tu che hai avuto il pensiero di mi­gliorare lo zucchero col gesso, e il pepe con la segatura?

Il Droghiere (premuroso) Si digeriscono meglio, meno piccanti.

Arcibaldo (al trattore) E non sei tu che fabbrichi le crocchette di pollo con della carne d'asino morto di fa­tica e di vecchiaia?

Il Trattore (allarmato) Sono molto più sostanziose.

Arcibaldo (al padrone di casa) E tu, non hai car­pito un qualche testamento a qualche vecchia prozia mummificata e rimbecillita? Non sei tu che raccogli le lire false per darle in elemosina?

Il Padrone di casa Ma i poveri spendono anche quelle!

Arcibaldo (al farmacista)E non sei tu che vendi acqua sporca in boccette dicendo che fa ricrescere i ca­pelli?

Il Farmacista (turbato)Male non fa.

(Sono apparse Leonia, Vittoria Elisabetta e Fatma, mentre i creditori, piuttosto disorientati, cominciano a scambiarsi occhiate mormorando).

I Creditori Ma a che ha voluto alludere? - Questa non la capisco. - Deve esserci un equivoco.

Arcibaldo (continuando senza interruzione, a Leonia)E voi, cara zia: sapete che cosa vadicendo di voi mia suocera? Che avete i capelli finti, che campate di raggiri e che avete il fiato guasto. (A Vittoria Elisabetta) E di voi, cara suocera, sapete che va dicendo vostra so­rella? Che avete cercato di sedurre il garzone del lattivendolo, ma che l'onesto giovane ha preferito fare il tonto.  (A Fatma) Quanto a voi, sventurata fanciulla, vi autorizzo a correre da Bemoll e a dirgli che voi non siete mia figlia, né mia moglie mia nipote, né mia suocera mia zia, ma che mia figlia è mia cugina, mia zia mia suocera, e mia nipote mia moglie. Correte!

Fatma (corre via esterrefatta. Intorno il chiasso e la costernazione sono al colmo).

Il Padrone di casa (prorompendo, ad Arcibaldo) In­somma! Io dico: insomma! Ci volete spiegare che cosa succede?

Arcibaldo Che finalmente i miei occhi si sono aperti. Vedo!

Il Padrone di casa E che cosa, vedete?

Arcìbaldo Il Diluvio, signore. Ma sopra il Diluvio l'arca! Una bella barca, un barcone, lustro, grande; e sulla barca, noi. L'ammiraglio sono io. Il timone, la bus­sola, le vele: tutte bugie, imbrogli, fandonie e trappole. Il mare: un mare di buscherature, di cabale, di trucchi, di mercanzie tarlate, bilance addomesticate, cuscini orien­tali fatti a Monza, trabocchetti, cavilli, intrighi, banca­rotte, foruncoli, milionari, professori cornuti, ladri, ruf­fiane, libri mastri ammaestrati, marachelle, pasticci, im­picci, intrugli, guazzabugli, imposture e fregature. Noi navigheremo su questo mare e faremo stupire il mondo! (S'interrompe).

SCENA  SETTIMA

(E' entrato Bemoll, seguito da Fatma piangente, da Clelia inferocita, e da Raimondo. Approfittando dell'emo­zione, Giacinto, divertitissimo, ghermisce non visto la valigia del « Diluvio », esce furtivamente con quella).

Bemoll    (reggendosi la fronte)Ella non è la figlia del fratello della zia del marito, egli non è il nipote della nuora della cugina del suocero... (Ad Arcibaldo) Signore! Voi andate dicendo cose disgustose e cercate anche di occultare il vostro stato civile. Lo sapete che io potrei farvi privare dei diritti civili e politici, dell'illu-minazione, del gas, del diritto a pensione e dell'acqua potabile? Che potrei ridurvi un nudo verme? (Con forza) In conclusione: chi siete voi?

Arcibaldo Non lo so più, signore. Ma so chi siete voi.

Bemoll    E cioè?

Arcibaldo Il più ripugnante personaggio che abbia mai calpestato il globo. Voi siete un deficiente.

Bemoll    Non capisco.

Arcibaldo Il contemplarvi mi suscita una violenta nausea. Voi e tutti i vostri miliardi mi create l'idea di non so quale oggetto ripugnante, un apparecchio sanitario, qualcosa di grandiosamente schifoso.

Bemoll    Io non credo alle mie orecchie.

Arcibaldo (ispirato, saltabeccando e ruggendo) Siete stato voi, voi soprattutto, che avete sconquassato e subis­sato ogni cosa! Te li dò io gli impianti igienici perfe­zionati! (Gli dà un buffetto sulla punta del naso, senza che l'altro osi reagire) Te la dò io, la rugiada e il pe­talo! Putredine! Enteroclisma. (Gli dà uno schiaffo, poi un calcio) Ed ora, addio, signori! Ci penserà il « Dilu­vio », per voi... Dio onnipotente. La valigia! Dove avete messo la valigia? La valigia! (Un silenzio, con voce pa­cata ed esausta) Giacinto, sei stato tu?

Giacinto  Arromarracurru augh augh. Era tanto sporca. L'ho  regalata  allo  spazzaturaio.

Arcibaldo (sbarra gli occhi; d'un tratto, con vero spa­vento, voltandosi verso il pubblico del teatro) Io dico: si può andare avanti così? Si può andare avanti, vedendo che tutto evapora e passa allo stato gassoso? (Spiegando) Il manzo è asino morto, il vino è una mistura venefica, gli ideali perdono la colla, non c'è più religione e tutti si in­fischiano di noi. Dove sono i princìpi? Le parole ci sono, ma il guaio è che non ci sono più le cose! Non c'è un chiodo che tenga. La confusione è al colmo. Che cosa fan­no i giornali? Perché non si prendono dei provvedimenti? Tutto si squaglia, si liquefa, non si sa più dove posare il piede. C'è persino il sospetto che lo stesso Arcibaldo altro non sia... che una parvenza, un'astrazione, un'ombra, e che il vero Arcibaldo non ci sia. Che ci resta? (Prendendo la rivoltella di sul tavolo, palleggiandola con disprezzo e spianandola verso il soffitto) Più nulla. Nessuna via di uscita. Anche le rivoltelle, per colmo, non sparano che acqua, la quale...

(Si interrompe, un fragoroso colpo è partito dalla rivoltella verso il soffitto. Tutti con un grido, arretrano, fuggono. Accanto ad Arcibaldo, che è caduto al suolo, è rimasto, impassibile, Raimondo, il segretario di Bemoll).

SCENA ULTIMA O EPILOGO

Il Segretario (chinandosi sul caduto e scuotendolo) Coraggio, professore.

Arcibaldo Non sono morto?

Il Segretario No. Siete del tutto incolume. L'avete scampata bella.

Arcibaldo (rialzandosi a mezzo, cortesemente) Muoio ugualmente, signore. Il mio cuore era debole. (Con un filo di voce) Credo che possiate andare a ordinarmi le esequie. 

(Si ricorica sul pavimento e muore).

FINE DELLA FARSA