Il domatore

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IL DOMATORE

Commedia in un atto

di ENRICO BASSANO

                                   

PERSONAGGI

FRANCESCO

MARCELLA

UN INSERVIENTE

IL CONTE

IL 1 CLOWN

IL 2 CLOWN

LA ZINGARA

IL CAVALLERIZZO

LA BALLERINA

IL FORZISTA

L’IMBONITORE (voce d.d.)

LA DONNA BARBUTA

TONY

L’EQUILIBRISTA

L’AMAZZONE

IL TORERO

Commedia formattata da

Tra le quinte del serraglio « Alla fossa dei leoni », attendato in un elegante luogo di villeggiatura alpe­stre. Pareti di tenda, con apertura a de­stra, a sinistra uno spezzato: la portici­na d'ingresso (non praticabile) di una carovana; sul fondo una gabbia per leo­ni, vuota, con porticina e in comunica­zione (corridoio non praticabile) con altre gabbie che non si vedono, entro le quali stanno rinchiusi i leoni del serraglio. All'aprirsi del velario si ode la voce di un imbonitore che arringa gli spettatori della « fossa». La scena è vuota.

La voce dell'Imbonitore         - E adesso, signore e signori, nella gabbia centrale, tra un superbo gruppo di leoni berberi, entrerà il re dei domatori, l'unico e autentico erede di Nouma Hava: il domatore Francois. Il pubblico è pregato di prestare attenzione nel massimo silenzio, essendo le belve molto suscettibili. Un attimo di distra­zione può essere fatale al prode domatore! Attenzione. Musica! (Una flebile marcetta rotola giù da un rauco grammofono; giungono distinti schiocchi di frusta e rug­giti di leoni).

Marcella                        - (entra cautamente da destra, passando di sotto la tenda sollevata. E' una bella e formosa creatura dall'aria aristocratica. Indossa una elegante toletta da sera, è abbondantemente ornata di gioielli. Non porta cappello. S'inoltra guardando curiosamente a dritta e a manca. Si ferma al centro della scena).

Un Inserviente              - (scamiciato, sbracato, viene da sini­stra; ha in mano un secchio di segatura, impugna con la destra una scopa. Alla signora, dopo averla squadrata) Desiderate?

Marcella                        - Ecco... cercavo del domatore... del signor Francois.

L'Inserviente                 - Fa «numero » adesso. E' dentro la gabbia!

Marcella                        - Lo so. (Pausa). Ne avrà per molto?

L’Inserviente                - Dipende: «e ha voglia ci resta mez­z'ora, oppure un'ora; altrimenti prende a calci i leoni, li ricaccia nella gabbia e si sbriga in dieci minuti. (Pau­sa). Ma voi chi siete? che volete?

Marcella                        - Niente, debbo parlargli per... una scioc­chezza. Volevo invitarlo a casa mia per un tè.           

 L'Inserviente                - (ride) Eh, l'idea non c'è male... Un tè a lui... ma per far che cosa?

Marcella                        - Così, per averlo come invitato. Una cu­riosità, un atto gentile, se volete.

L’Inserviente                - Come fosse, dovrebbe venire a fare il « numero » a casa vostra? Eh, ma non credo.

Marcella                        - Non verrà, dite?

L’Inserviente                - Ma! L'hanno invitato tante volte un po' dovunque. Ma non è mai andato da nessuno. Quando lo invitano o ride o li manda al diavolo.

Marcella                        - Spesso è di cattivo umore, vero?

L’Inserviente                - Eh... non c'è male.

Marcella                        - Forse gli affari non gli vanno sempre bene.

L'Inserviente                 - Macché! Soldi ne guadagna quanti ne vuole, e da ogni parte.

Marcella                        - Allora?

L’Inserviente                - Ma! Per il passato ha dovuto avere qualche grosso dispiacere perché parla poco e non è amico dì nessuno. Non parla. O parla solo con i leoni, qualche volta con « Mustafà », con « Nerone »; ci ra­giona appoggiando il capo tra le sbarre della gabbia.

Marcella                        - Interessante! E i leoni?

L’Inserviente                - Lo stanno a sentire come se capis­sero, e poi « Nerone » s'avvicina piano piano, e gli ap­poggia la fronte vicino alla sua fronte.

Marcella                        - Magnifico. Continuate!

L’Inserviente                - No, no... adesso ve ne dovete andare; tra poco avrà terminato il suo «numero » e «e ritor­nando mi trova che discorro con voi...

Marcella                        - (frugando nella borsetta e porgendo un po' di denaro) Tenete. E' molto interessante ciò che mi avete detto!

L’Inserviente                - Grazie. (Intascando) Troppo buona. (Fa per andarsene ma si ferma) Sicché voi adesso lo aspettate qua?

Marcella                        - Non mi manderà via, spero!

L’Inserviente                - E allora sgriderà me...

Marcella                        - Gli dirò che sono passata di nascosto sotto la tenda, come i ragazzini. (Giungono schiocchi di frusta, richiami a «  Nerone » e « Mustafà», poi due colpi di rivoltella, quindi una nutrita ovazione. Il « numero » è terminato. Marcella si ritira in fondo alla scena; l'in­serviente esce a sinistra).

Francesco                      - (entra da destra. E' in tenuta da spettacolo: giubba rossa con alamari neri, stivaloni oltre il ginoc­chio, abbondante medagliere al petto, una frusta fra le mani, viso classico da domatore, maschio, ardito, con un paio di baffi, da  « generale 1860 ». E' in tutto il «classico » tipo del domatore di fiera, passeggia in primo piano, battendosi lo scudiscio sui gambali) Dormono, quelle bestie! mi sembrano imbalsamate; si presentano nella gabbia come gatti frustati. Mangiano troppo! Pro­prio stasera uno spiritoso in abito da sera ha rifatto il miagolare dei gatti... La vedremo. (Va verso sinistra con l'intenzione di salire gli scalini della carovana).

Marcella                        -  Buona sera.

Francesco                      - (voltandosi) Chi è? (Scorgendo Mar­cella) Che c'è?

Marcella                        - Buona sera!

Francesco                      - E poi?

Marcella                        - (avanzandosi) Ho detto: buona sera.

Francesco                      - E io ho capito. Ma siccome a me delle sere buone o cattive non me ne importa niente...

Marcella                        - Sono venuta a trovarvi...

Francesco                      - A trovare me? Ma perché? sto all'ospe­dale? sono stato operato?

Marcella                        - Me l'avevano detto che non eravate punto gentile!

Francesco                      - Ve l'hanno detto e ci siete venuta lo stesso? Allora siete cocciuta. Vi piace di perdere tempo? E scommetto che non avete pagato nemmeno il biglietto.

Marcella                        - Sono entrata di lì (accenna di sotto la tenda).

Francesco                      - Proprio di li?

Marcella                        - Sì!

Francesco                      - E adesso, come siete venuta, così ve ne andate... (Chiamando) Carmelo! Dove s'è cacciato quel mascalzone! Gli farò assaggiare la frusta di «Nerone». Carmelo!

Marcella                        - (civettando) Inutile, il vostro inserviente non ne ha proprio nessuna colpa. Sono entrata di là (in­dica di sotto la tenda).

Francesco                      - Così? (accennando a quattro zampe).

Marcella                        - Così.

Francesco                      - Brava! E adesso che facciamo?

Marcella                        - Oh, eccovi diventato più affabile, ritor­nate ad essere un gentiluomo...

Francesco                      -  Me ne guarderei bene. Io sono con­tento di quello che sono.

Marcella                        -  Siete un tipo strano...

Francesco                      - Sì, sì, sono un tipo molto strano, un tipo come me non si trova neppure da « Upim ».

Marcella                        - Vengo tutte le sere a vedervi lavorare, là, nella gabbia...

Francesco                      - Pagando?

Marcella                        - Pagando, s'intende.

Francesco                      - Lo so, ho capito subito a quale categoria di spettatrici appartenete voi. Quelle che vengono nel baraccone per snobismo, in abiti come quelli che indos­sate adesso. Che ridete e parlate forte chiamando i leoni col muccimucci dei gatti, e aspettate, una sera o l'altra, il bel «numero » fuori programma che vi faccia spen­dere bene i soldi del biglietto: il pasto delle belve con la carne e le ossa del domatore.

Marcella                        - Non siete carino voi.

Francesco                      - Ma perché vi siete messa in testa che debbo essere per forza carino? Chi l'ha detto? dove sta scritto? Io non sono carino ne dentro né fuori. I vostri mariti sono carini, e i don pippetti, amici dei vostri mariti, li conoscete, quelli con i baffetti a virgola, che vi portate appresso nella barcaccia per farvi accarezzare il filo della schiena di nascosto, mentre io rischio la mia pellaccia per divertirvi. (Amaro) Chi sa, qualche sera-chi sa, qualche sera... apro la gabbia. Un macello...

Marcella                        - (piccolo grido di spavento) Siete terribile. Ma mi piacete lo stesso. Forse mi piacete per questo. (Lo guarda languidamente e gli si avvicina).

Francesco                      - Distanza.

Marcella                        - Avete paura di me?

Francesco                      - Sto tremando come una foglia!

Marcella                        - Fanciullo!

Francesco                      - Sì, avete ragione, mi sento come un fanciullo, poppante addirittura.

Marcella                        - Siete un sognatore?

Francesco                      - Ad occhi aperti sogno sempre.

Marcella                        - Anche poeta?

Francesco                      - E vaccinato; ecco qua, guardate. (Rim­bocca la manica).

Marcella                        - (toccandogli il braccio) Siete forte. Io amo gli uomini forti.

Francesco                      - E io le donne deboli.

Marcella                        - Tutte le donne debbono sentirsi deboli dinanzi a voi!    

Francesco                      - Debolissime. Certe volte si squagliano addirittura.

Marcella                        - E voi?

Francesco                      - Resisto più che posso!

Marcella                        - E poi?

Francesco                      - E poi mi squaglio pure io!

Marcella                        - Suvvia: non vi piaccio?

(Francesco                     - No, no, mettiamo le cose a posto, voi siete bella. (In tono lirico) Voi siete la più bella donna che io abbia mai incontrata sul mio lungo cammino di nomade.

Marcella                        - Direte a tutte così.

Francesco                      - Oibò, sarei un vagheggino, un vanesio. Sono un domatore!

Marcella                        - E piacete alle donne?

Francesco                      - Non mi posso lamentare!

Marcella                        - Molte amanti?

Francesco                      - (accenna con la mano) Uh... così...

Marcella                        - Molte avventure?

Francesco                      - Molte, molte. Una carretta di avventure. Un autocarro di avventure. (Pausa). E voi?

Marcella                        -  Ma che dite?

Francesco                      - (inchinandosi) Oh, scusate tanto, signora contessa.

Marcella                        - Come fate a sapere che sono contessa?

Francesco                      - Ho indovinato. Tutte le volte che dico una insolenza ad una signora della vostra qualità, lei invece di darmi due schiaffi, mi risponde semplicemente «ma che dite? » oppure «ma come osate? ». Io la chiamo contessa... e nove volte su dieci indovino.

Marcella                        - (minacciando col dito) Potrebbe essere una grossa scortesia quello che mi dite...

Francesco                      - Sangue della miseria scornacchiata! Ma guarda un po'!

Marcella                        - Ma io vi perdono!

Francesco                      - Abbiamo avuto la grazia sovrana!

Marcella                        - (civettando) E non mi chiedete perché vi perdono?

Francesco                      - Non ci penso nemmeno.

Marcella                        - Ve lo dirò lo stesso.

 Francesco                     - E io l'ho detto che siete caparbia. (Ah larga le braccia rassegnato) E allora dite...

Marcella                        - Perché ho sentito emanare da voi un fa­scino strano, quasi un richiamo della natura stessa, una forza atavica e misteriosa, un soffio di umanità puro e libero, allo stato selvaggio. Avrei potuto scrivere dei versi, dopo il primo istante che vi ho veduto. Non l'ho fatto.

Francesco                      - Mannaggia la miseria scornacchiata! Devo essere sempre sfortunato!

Marcella                        - Avrei potuto scrivervi una lunga lettera, dettata da un sentimento nuovo, potente, irrefrenabile: ho soffocato il mio istinto, la mia sete di arte, il bisogno di cose belle e pure. (Avvicinandoglisi ancor più) Ho voluto vedervi da vicino, respirare il vostro profumo che sa di selvaggio, di belva.

Francesco                      - (annusandosi una manica) E' naftalina!

Marcella                        - Non rompetemi l'incanto!

Francesco                      - Quello che vi volevo dire pure io: è brutto quando uno rompe l'incanto a un altro.

Marcella                        - Eccomi qui, senza volontà, senza difesa. Sono una cosa vostra. (Portandosi le mani alle tempie) Che cosa mi fate fare, mio Dio...

Francesco                      - (dopo un istante di perplessità l’asseconda comicamente nel giuoco. L'afferra per un braccio) E sia! Anch'io vi desidero. Siete carne di prima qualità. Vitella di Sorrento. Avete un profumo di cosa buona... venite. (La trascina verso l'ingresso della carovana. Ma ad un tratto si ferma. Un pensiero gli ha attraversato il cervello. Un ghigno si disegna sul volto. Rapidamente, mentre la donna giuoca la commedia e si difende con la mano sugli occhi, Francesco muta strada, porta la donna accanto alla gabbia vuota che è sul fondo, rapi­damente apre lo sportello, e fa entrare Marcella nella gabbia, rinchiudendo la porta. Quadro).

Marcella                        - (stupita, allarmata, senza capire il perché di quello strano gesto, si afferra alle sbarre, protende il viso, chiede con voce che tradisce l'emozione) Ma perché? Cosa vi salta? Siete impazzito?

Francesco                      - (passeggia dinanzi alla gabbia, ghignando e schioccando la frusta) Oplà! Oplà!...

Marcella                        - Ma siete pazzo, vi dico? Lasciatemi uscire.

Francesco                      - (c. s.) Accuccia e zitta. Se no... (accenna a frustarla).    

Marcella                        - (scuotendo le sbarre) E' uno stupido scherzo. Ve ne pentirete. Lasciatemi uscire. (Urlando) Vi dico di lasciarmi uscire subito.

Francesco                      - No, no, adesso dovete tacere, altrimenti apro lo sportello dei leoni e ve la sbrigate voi con « Mustafà » e « Nerone ».

Marcella                        - (strillando) Aiuto! (Dalla destra, di sotto il tendone entrano due clowns, un cavallerizzo).

Il 1° Clown                   - Che c'è stato?

Il 2° Clown                   - Facciamo un altro spettacolo?

Francesco                      - Venite, venite! Un poco di divertimento pure per noi: che diavolo, lavoriamo sempre.

Il Cavallerizzo               - (vedendo la donna nella gabbia) E che fa quella lì dentro? Chi è?

Francesco                      - E' una belva nuova che viene ad arric­chire il nostro serraglio.

La Ballerina                  - (entra seguita da una zingara che la copre con un accappatoio) Lascia stare.

 La Zingara                   - Prenderai un raffreddore.

Francesco                      - Il pubblico aumenta, lo spettacolo sarà quanto mai interessante. (Entrano: un equilibrista, il forzista, l'amazzone, Tony, un altro clown e un'altra zin­gara) Un momento signori, lo spettacolo deve essere completo. Prendete posto. (Dispone a forma di circolo sedie e sgabelli; tutti guardano incuriositi la donna e le si avvicinano). Allontanatevi, è proibito molestare le be­stie. (Guardando verso la destra) Donna Concetta, venite anche voi, vi divertirete. (Entra la donna barbuta).

La Donna barbuta         - Ho altro per la testa che diver­tirmi. (Tutti si sono seduti e ridono fra loro senza capire che cosa Francesco voglia fare).

Francesco                      - Oplà! (Schiocca la frusta). Domani sera vi faccio fare il «numero». Una grande attrazione: «La bella e le belve ». Denari a palate. Lo spettacolo più sensazionale del mondo. Avanti, signori, avanti; vedere per credere. Oplà!

Marcella                        - Basta, basta, non reggo più, lasciatemi uscire!

Francesco                      - Ma neanche per sogno; adesso mi devo divertire io.

Marcella                        - (supplicando) Ve ne prego, vi scongiuro, vi compenserò come vorrete, sono ricca.

Francesco                      - Io pure. (Le tira una manata di soldi. Pausa).

Marcella                        - Mio marito è il conte Casimiri.

Francesco                      - (salutando con la frusta) Saluto le corna del signor conte! (Tutti ridono).

Marcella                        - Vi farò dare ciò che vorrete, ma lascia­temi uscire di qui, lo scherzo è durato abbastanza.

Francesco                      - Dove si trova adesso tuo marito? Già, dove si trova... al Casinò, al tavolo del baccarà certa­mente. (Chiamando) Carmelo!

L'Inserviente                 - (entrando da sinistra) Comandate. (Vede la donna) Uh, l'avete messa li dentro? Questa è bella veramente!

Francesco                      - Sono affari che non ti riguardano. Vieni qua. (Porta Carmelo in primo piano e gli dice qualche cosa all'orecchio. Carmelo esce correndo).

Marcella                        - (come presentendo il tiro) Spero che vor­rete agire da gentiluomo!

Francesco                      - Me ne guarderei bene. Se fossi un gentil­uomo come tu dici, ti avrei portata nel mio carrozzone. Ma quella mia casa là (indica con la frusta), è più pulita della tua.

Marcella                        - Insolente!

Francesco                      - (inchinandosi e salutando con la frusta) Signora contessa!

Il 1° Clown                   - Ma aspettate, io la signora la conosco.

Il 2° Clown                   - Io pure; la vedo quasi ogni sera in barcaccia!

Tutti                              - La signora della barcaccia.

Il Forzista                      - Se ho capito bene, la signora è ve­nuta qui...

Il Cavallerizzo               - Perché siccome il marito fa colle­zione di corna, gliene voleva comprare un altro paio. (Tutti ridono).

Marcella                        - Ma perché tutto questo?

Francesco                      - Tengo un conto sospeso.

Marcella                        - E con chi? Con me no di sicuro.

Francesco                      - Se non proprio con te, con qualcuno che ti somiglia.

Marcella                        - Ma che cosa volete dire?

Francesco                      - Aspetta, un poco di pazienza, lo spetta­colo avrà inizio tra poco.

La Zingara                    - (prendendo per mano la ballerina) Que­sto è spettacolo da far vedere ad una creatura innocente? (A Marcella) Ti meriteresti davvero la frusta, cattiva fem­mina. (Alla sua bambina) Vieni, piccina mia, e fatti il segno della croce. (Facendosi il segno della croce con la bambina, entra nel suo carrozzone).

Francesco                      - Molto bene. (Applaude e tutti fanno eco al suo applauso). Adesso prepariamo la scena madre. (Si rassetta la giubba, liscia i baffi, e lustra le medaglie con la manica).

Marcella                        - Vi farò pagare caro questo stupido scherzo!

Francesco                      - Scherzo? Quella lo chiama scherzo! Tra poco te ne accorgerai se è uno scherzo!

Marcella                        - Vi denunzierò per sequestro di persona. Voglio uscire di qui, voglio uscire.

Francesco                      - (accostandosi alla parete destra della gabbia e accennando ad aprire l'uscio di comunicazione con quello accanto) « Nerone »!  «Mustafà »!

Marcella                        - (impaurita) No, no, per carità!

Francesco                      - E allora silenzio. (Chiude la gabbia con una tenda davanti). Ecco fatto. La sorpresa ci vuole!

L’Inserviente                - Viene. Corre come una lepre!

La Donna barbuta         - Va bene, ma ora lasciatela stare: mi sembra troppo.

Francesco                      - Voi state zitta, altrimenti vi strappo la barba.

Il Conte                         - (in abito da sera, senza cappello. Quando parla arrotonda la « r. ». Porta il monocolo, elegantis­simo) Che c'è? E' inaudito. Mi si manda a cercare al Casinò dall'inserviente di un serraglio. Dico io, che cosa succede?

Francesco                      - (salutando con la frusta) Saluto il signor conte. (Fragoroso applauso di tutti).

Il Cavallerizzo               - Bene!

Il 2° Clown                   - Bravo!

Il 1° Clown                   - Mi raccomando, non lavorate svo­gliato!

Il Conte                         - Insomma siete voi che vi permettete di mandarmi a chiamare. Roba da matti!

Francesco                      - Vi chiedo mille scuse, signor conte, ma l'affare è urgente. Voi inavvertitamente avete lasciato qui un oggetto di vostra proprietà. Io l'ho trovato, l'ho conservato e ora lo rimetto in vostre mani!

Il Conte                         - (toccandosi il portafogli, l’orologio e l'a­nello) Che cosa? Non mi manca nulla!

Francesco                      - Cercate bene!

Il Conte                         - (cercando) Non saprei.

Francesco                      - (scopre la gabbia e mostra con la frusta) Ecco...

Il Conte                         - (guardando in direzione) Be'? E che si­gnifica questo? (Fa l'atto di correre verso la gabbia).

Francesco                      - (interponendosi) Un momento; per il momento è ancora roba mia.

Il Conte                         - Ma siete pazzo? Ti 'dò io la lezione, grandissimo pagliaccio buffone. (Fa l'atto di frugare nella tasca posteriore dei calzoni).

Il 1° Clown                   - (senza muoversi dal suo posto, con un fionda ha lanciato una piccola pietra che ha colpito in pieno la mano del conte)  Là... là...

Il Conte                         - (ritraendo la mano, con un grido di dolore) Ahi

Francesco                      - Avete visto? Date retta a me. Non vi con­viene. La rivoltella lasciatela a domicilio, se no mi co­stringete a mettere pure voi nella gabbia vicino a vostra moglie, e poi faccio entrare i leoni.

Il Conte                         - (fa per uscire, come per correre a chiamare aiuto).

Francesco                      - (facendo schioccare la frusta) Fermo con le gambette. Un minuto di silenzio,' come quando metto la testa in bocca a « Mustafà ».

Il Conte                         - Marcella! (Marcella non risponde, ag­grappata alle sbarre, allucinata e spaventata insieme).

Francesco                      - Quella roba, signor conte, vi appartiene. E' appunto perché io ho un grande rispetto della pro­prietà che l'ho chiusa nella gabbia. Contro la tenta­zione, in guardia dai disguidi!

Il Conte                         - Ma io dico... (ripete il gesto c. s.).

Il 1° Clown                   - (ripete il lancio con la fionda) Là... Ih..,--(Altro grido del conte).

Francesco                      - (autoritario, facendo schioccare la frusta)

                                      -        Basta. Devo dire qualche- cosa a tutti e due, e sta­ temi bene a sentire. (Calmo, quasi sotto voce, come se raccontasse un fatto senza importanza) Questa vostra donna, non più tardi di mezz'ora fa, è entrata di na­scosto qua dentro, mi ha aspettato, e mi si è offerta.

(Proteste di Marcella e stupore del conte).

Francesco                      - (frusta) Zitti. Dopo, se ne avrete an­cora la forza, parlerete. Mi si è offerta, dicevo, e, se­condo me, non dev'essere il primo caso. (Tutti ridono e applaudono). Silenzio, signori. Si capisce e si vede subito, al primo colpo d'occhio, che non è alle prime armi. Io avrei potuto servirmene e giuocarci un po': è carne fina; e poi rimandarvela a casa vostra, beata e soddisfatta. Ma non sono tipo per la signora, io. Io vivo con i leoni; e poi... Ma sentite: dieci anni fa          - (parlando a tutti i suoi compagni), questo lo ignorate anche voi, e qualche volta vi sarete domandato il perché del mio carattere. E allora state a sentire: dieci anni fa avevo ancora con me la mia compagna, mia moglie, una donna della mia razza, alla quale volevo bene più della mia vita. Le volevo bene con questo (si batte il petto verso il cuore), come sappiamo volere bene noi. Un giorno quella disgraziata si lasciò abbindolare da uno del vostro ceto. Le si mise appresso un don pippetto, un cocò... e tanto fece... Per lui fu un capriccio, ma intanto fece perdere la ragione a mia moglie. Chi sa quante pro­messe... io fiutai subito. (Man mano il silenzio intorno diventa assoluto. Tutti quei compagni lo guardano con commiserazione e rispetto insieme) Li acchiappai tutti e due. Don Pippetto fuggì come un coniglio, e mandai via lei... Non l'ho vista più. E' finita male... Nella mia casa non è tornata più. Ma mi è rimasta nel sangue, sta qui (si batte il petto). Vengono certe notti che mi vien fatto di gridare come un lupo, come tutte le belve del serraglio messe insieme. (Pausa). Ho sempre spe­rato di vendicarmi pescando una donna che agisse male come la mia; vendicarmi di qualcuna che appar­tenesse al bel mondo, dove le mogli fanno le graziose con l'autista, perché la cosa è originale; di dove è venuto fuori quel bellimbusto che ha rovinato me e distrutta la mia casa. Giurai di vendicarmi, e il momento è venuto; se l'avessi colta l'occasio­ne, mi sarebbe rimasto il desiderio di vendetta sullo stomaco per tutta la vita. Allora ho pensato di man­darvi a chiamare, per farvi vedere ancora una volta che bel mobile ave­te in casa, e per farvi capire che tra noi, gente che vive nelle case con le ruote, le donne non si rubano. E chi sbaglia paga. E perché poi, alla fine, troppe mani l'hanno toccata. Io la donna non la divido. E adesso via. siete libera, madama la contessa; il mio « numero » è finito. (Schiocca la frusta, apre la gabbia. Marcella esce; il marito le si fa incontro, ma Fran­cesco gli impedisce di toccarla. La voce dell'imbonitore di fiera):

L'Imbonitore                 - L'uscita da quella parte!...

Il Conte                         - (s'incammina a fianco della moglie, ma fatti pochi passi è preso da un'ira subitanea. Si ferma, la guarda) Questa volta te ne andrai!...

Francesco                      - (accorre di un balzo fra i due, fa un gesto melodrammatico per trattenere il conte) Ah, no. mai... Non si bastona una donna... qui... (Porge la frusta al conte con un inchino compito) A casa, con vo­stro comodo...

FINE