Il dottor Knock ovvero il trionfo della medicina

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Tre atti di Jules Romains

Traduzione di S. D’Arborio e L. Motta

PERSONAGGI

Knock.

Il dottor Parpalaid.

Mousquet, il farmacista.

Bernard, il maestro di scuola.

Il tamburino del paese.

Primo Giovanotto.

Secondo Giovanotto.

Scipione.

Giovanni.

La signora Parpalaid.

La signora Remy.

La signora vestita di nero.

La nobil Donna.

La Cameriera.

 


ATTO PRIMO

L'azione si svolge dentro e attorno ad una vecchia automobile, tipo 1900-1902: carrozzeria enorme, ottoni vo­luminosi, piccolo cofano a forma di scaldapiedi. Durante una breve parte dell'atto questa carcassa d'automobile si sposta. Si potrà suggerire questo movimento: far girare le due ruote ver­so il pubblico, e far svolgere in fon­do, su due assi, un fondale di campa­gna, mentre al proscenio una striscia raffigurante la scarpata d'una strada maestra, con siepi, cespugli e pietre miliari, si muoverà con un lento mo­vimento di sali e scendi. Poco impor­ta del resto che l'illusione sia rag­giunta; qualunque altro mezzo, anche più semplice, è quindi buono. L'au­tomobile parte dai pressi di una pic­cola stazione ferroviaria per salire poi lungo una strada di montagna.

SCENA UNICA

Knock, il Dottor Parpalaid, la   signora   Parpalaid,   Giovanni.

Parpalaid. I bagagli ci son tutti, ca­ro collega?

Knock. Tutti, dottor Parpalaid.

Parpalaid. Giovanni vedrà di acco­modarli davanti accanto a lui. Noi po­tremo stare benissimo tutti e tre sul sedile di dietro. La carrozzeria è così spaziosa e i sedili pieghevoli così comodi! Ah, non è davvero la costru­zione ristretta di adesso.

Knock [a Giovanni]. Vi raccoman­do quella cassetta. V'ho riposto degli apparecchi piuttosto fragili.

[Giovanni comincia ad accatastare i bagagli di Knock].

Signora Parpalaid. Ecco una torpedo che rimpiangerei per un pezzo, se facessimo la corbelleria di venderla.

[Knock    guarda    il veicolo con sorpresa].

Parpalaid. Sì, se vogliamo, è una torpedo con tutti i vantaggi del vec­chio doppio phaéton.

Knock. Sì, sì...

[Tutta la parte davanti sparisce sotto il carico].

Parpalaid. Lo vedete come è stato facile collocare le vostre valige? Gio­vanni non avrà nessun disturbo... Pec­cato anzi che abbiate queste sole; vi sareste persuaso maggiormente della comodità della vettura.

Knock. San Maurizio è lontano?

Parpalaid. Undici chilometri. Nota­te che questa distanza dalla ferrovia è ottima per la fedeltà della clientela. I malati non vi giocano il brutto tiro di ricorrere ai medici del capoluogo.

Knock. Non c'è dunque una dili­genza ?

Parpalaid. Un calesse così trabal­lante che mette voglia di far la strada a piedi. Signora. Qui è impossibile fare a meno dell'automobile.

Parpalaid. Specialmente nella nostra professione.     

[Knock rimane cortese e impassibile].

Giovanni [a Parpalaid]. Dò la pressione?

Parpalaid. Sì, incominciate a dar la pressione, amico mio.        

[Giovanni intraprende tutta una serie di manovre; apertura del cofano, svitamento delle candele, inie­zioni   dì   benzina,    ecc.   ecc.].

Signora [a Knock]. Lungo il per­corso il paesaggio è delizioso. Zenaide Fleuriot l'ha descritto in uno dei suoi più bei romanzi... non rammento il titolo. [Sale in vettura; al marito] Tu ti abbassi il sedile, eh?... Il dottor Knock si metterà accanto a me per godere meglio la vista.

[Knock  si siede  alla sinistra della signora Parpalaid].

Parpalaid. La carrozzeria è abbastan­za ampia perché tre persone stiano comodissime sul sedile di dietro. Ma quando si contempla un panorama val meglio potersi distendere. [Si avvici­na a Giovanni] Tutto bene? èterminata l'iniezione di benzina?... Nei due cilindri?... Avete pensato ad asciugare un po' le candele? Sarebbe stato pru­dente, dopo una corsa di undici chi­lometri. Avvolgete bene il carburato­re... Credo che un fazzoletto sia me­glio che questo cencio... [Mentre tor­na indietro] Bene, bene, benissimo... [Sale in vettura] Mi siedo — pardon, caro collega — mi siedo su questo bel sedioncino che chiamerei quasi una poltrona pieghevole.

Signora, La strada è sempre in salita fino a San Maurizio. A piedi, con tutti questi bagagli, il tragitto sarebbe terribile. In auto, è un incanto.

Parpalaid. Una volta, caro collega, mi capitava di stuzzicare la musa. Mi ricordo di aver composto un sonetto di quattordici versi sulle magnificenze naturali che ammireremo fra poco. È miracolo se lo ricordo ancora: Profondità di valli, distese pastorali...

[Giovanni  gira  dispe­ratamente la manovella].

Signora. Alberto, da qualche anno tu ti  ostini  a dire « Profondità »...

« Abissi di valli » diceva una volta il tuo sonetto.

Parpalaid. Giusto, giusto... [Si sente uno scoppio] Sentite caro collega, co­me parte bene il motore?... Appena qualche giro di manovella per richia­mare il gas, e là, uno scoppio... un'al­tro... ci siamo... si parte! [Giovanni s'installa alla sini­stra della catasta dei bagagli; il veicolo si sposta; le ruote gi­rano, il paesaggio a poco a po­co si svolge; rapido o rallentando a seconda della velocità della vettura].

Parpalaid [dopo qualche istante di silenzio]. Credete, mio caro successo­re... [Botta familiare a Knock] Per­ché da questo momento voi siete il mio successore... Potete vantarvi d'aver fatto un buon affare... Sicuro, da que­sto momento la mia clientela è vostra. Se lungo la strada, un paziente, rico­noscendomi al passaggio, malgrado la velocità... [scoppiettio di motore] re­clamasse l'assistenza della mia arte, io mi farei indietro, dicendo: sbagliate, caro, eccolo qua il medico del paese. E vi giuro che non uscirei dal mio buco... [scoppiettii] se non invitato formalmente da voi ad un consulto contraddittorio... [scoppiettii] Ma voi potete chiamarvi fortunato di esservi imbattuto in un uomo che voleva fare una follia...

Signora. Mio marito s'era messo in testa di finire la sua carriera in una grande città.

Parpalaid. Lanciare il mio canto di cigno su una vasta scena!... Vanità un po' ridicola, non è vero? Il mio so­gno era Parigi, mi accontenterò di Lione.

Signora. Invece di continuare tran­quillamente a far fortuna qui...

[Knock di tanto in tanto osserva, medita, dà un'occhiata al paesaggio].

Parpalaid. Non vi burlate troppo di me, caro collega. Grazie a questo mio capriccio voi avete la mia clientela per un pezzo di pane.

Knock. Vi pare?

Parpalaid. È chiaro.

Knock. In ogni modo, io non ho mercanteggiato.

Parpalaid. Oh no! Ed ho ammirato questa vostra franchezza. Mi è piaciu­to anche il vostro modo di trattare per corrispondenza, venendo solo ad affare concluso e col contratto in tasca. Que­sto m'è sembrato cavalieresco, dirò meglio, americano. Ma posso congra­tularmi della bella fortuna, perché è proprio una vera fortuna... Una clien­tela costante, senza alti e bassi...

Signora. Nessun concorrente...

Parpalaid. Un farmacista che non esce mai dalla sua funzione...

Signora. Nessuna occasione di spen­dere...

Parpalaid. Nessuna distrazione co­stosa...


Signora. In sei mesi avrete rispar­miato il doppio di quanto dovete a mio marito.

Parpalaid. E vi accordo quattro sca­denze trimestrali per liberarvi... Ah, se non fossero stati i reumatismi di mia moglie, credo che avrei finito per dire di no.

Knock. La signora Parpalaid soffre di reumatismi?

Signora. Ahimè!

Parpalaid. Il clima, per quanto sa­lubre in generale, non le si confaceva.

Knock. Ci son molti in paese che soffrono di reumatismi?

Parpalaid. Dite pure, caro collega, che non abbiamo altro che reumatismi.

Knock. Ecco una cosa che mi sem­bra avere un grande interesse.

Parpalaid. Sì, per chi volesse stu­diare il reumatismo.

Knock [dolcemente]. Pensavo alla clientela.                          

Parpalaid. Per quella? Oh, no!... Questa gente pensa ad andare dal me­dico per un dolore reumatico, come voi ad andare dal curato per far pio­vere.

Knock. Ma è terribile questo.

Signora. Guardate, dottore, che splendido punto di vista. Sembra di essere in Svizzera.

[Scoppiettii accentuati].

Giovanni [si volta e all'orecchio di Parpalaid] Dottore, ci deve essere un guasto... Bisogna che smonti il tubo della benzina.              

Parpalaid [a Giovanni]. Sì, sì... [Agli altri] Appunto volevo proporvi una piccola fermata.

Signora.  Perché?

Parpalaid [con occhiate espressive]. Il panorama ehm... ne vale la pena...

Signora. Ma se vuoi fermarti, più su è anche più bello...          

[La vettura s'arresta di colpo. La signora comprende].

Parpalaid. Ebbene, ci fermeremo anche più su. Ci fermeremo due volte, tre volte, quattro volte se ci piace. Grazie a Dio, non abbiamo nessuno che ci corra dietro. [A Knock] Os­servate, caro collega, con quale dol­cezza si è fermata questa vettura, e come questo vi prova che voi restate costantemente padrone della vostra ve­locità. Punto capitale in un paese di montagna... [Mentre scendono] Vi convertirete alla trazione meccanica e più presto di quanto non pensiate. Ma guardatevi dalla robaccia che sifabbri­ca ora. Gli acciai, gli acciai, vi do­mando io, mostratemi gli acciai!

Knock. Se non c'è niente da fare coi reumatismi, bisogna almeno rifarsi con le polmoniti e le pleuriti.


Parpalaid [a Giovanni]. Approfit­tate di questa piccola sosta per spur­gare un po' il tubo di benzina. [A Knock] Dicevate, caro collega?... Le polmoniti e le pleuriti sono rare. Il cli­ma è duro, lo sapete. Tutti i neonati gracili muoiono generalmente nei pri­mi sei mesi, senza che il medico ab­bia ad intervenire, ben inteso. Quelli che sopravvivono son colossi duri a cuocersi. Abbiamo, nondimeno, apo­plettici e cardiaci. Ma non ci pensano nemmeno per un attimo e muoiono fulminati verso la cinquantina.

Knock. Non sarà certo col curare le morti improvvise che avrete potuto far fortuna.

Parpalaid. Naturalmente. [Cerca] Che altro ci rimane? La grippe. Non dico l'influenza banale di cui non si preoccupano affatto e che anzi accol­gono con favore perché pretendono che faccia uscir fuori gli umori vizia­ti. No, intendo dire le grandi epide­mie mondiali di grippe.

Knock. Ma allora, se mi tocca aspet­tare la prossima epidemia mondiale!...

Parpalaid, Io, che vi parlo, ne ho viste due: quella dell'89-90 e quella del 1918.

Signora. Nel 1918 abbiamo avuto una grande mortalità, relativamente maggiore a quella delle grandi città. [Al marito] Vero, eh ? Tu confronta­sti le cifre.

Parpalaid. Con la nostra percentuale superavamo ben ottantatre diparti­menti.

Knock E si fecero curare?             

Parpalaid. Sì, specialmente verso la fine.

Signora. E avemmo delle entrate bellissime a San Michele.

[Giovanni si distende lungo sotto l'automobile].

Knock. Come, come?...

Signora. Qui i clienti vi pagano a San Michele.

Knock. Ma... qual è il senso di que­sta espressione? È un equivalente del­le calende greche o della Pasqua di maggio?                

Parpalaid [di tanto in tanto sorve­glia con la coda dell'occhio il lavoro dello chauffeur]. Cosa andate pensan­do, collega mio? Il San Michele è una delle date più conosciute del calenda­rio. Corrisponde alla fine di settembre.

Knock [cambiando tono]. E siamo al principio d'ottobre. Ohilà!... Voi almeno avete saputo scegliere il mo­mento buono per vendere. [Fa qual­che passo, riflette] Ma via! se uno vi viene a trovare per una semplice vi­sita, vi pagherà bene seduta stante?

Parpalaid. No, a San Michele; è l'uso.

Knock. Ma se non viene che per una sola ed unica visita... se non lo rivedete più per tutto l'anno?


Parpalaid. A San Michele.

Signora. A San Michele.

[Knock li guarda. Silenzio.]

Signora. D'altronde, la gente viene sempre per un solo consulto.

Knock. Eh?!

Signora. Ma sì.   [Il dottor Parpalaid assume un'aria distratta].

Knock. E allora, che cosa ne fate dei clienti regolari?        

Signora. Quali clienti regolari?

Knock. Ebbene! quelli che si visi­tano più volte alla settimana o più volte al mese.

Signora [al marito]. Lo senti il dot­tore? Ti confonde col fornaio o il ma­cellaio che hanno i loro clienti abi­tuali. Il dottore è come tutti i debut­tanti: si fa delle illusioni.

Parpalaid [mettendo una mano sul braccio di Knock]. Credete a me, caro collega. Qui voi avete il miglior tipo di clientela: quella che vi lascia in­dipendente.

Knock. Indipendente? Ne avete delle buone...           

Parpalaid. Mi spiego. Voglio dire che voi non siete alla mercé di pochi clienti suscettibili di guarire da un giorno all'altro e che perderli signi­fica compromettere il vostro bilancio. Dipendete da tutti, non dipendete da nessuno. Ecco.

Knock. In altri termini, io avrei fat­to bene a venire munito di ami e di una canna da pesca... Ma forse, tro­veremo tutto lassù. [Fa qualche passo, medita, si avvicina al vecchio trabic­colo, lo considera, lo tocca, poi vol­tandosi a metà] La situazione comin­cia a divenire limpida. Mio caro col­lega, voi mi avete ceduto per qualche biglietto da mille che vi devo ancora, una clientela simile, punto per punto a questa vettura [vi batte sopra affan­nosamente] di cui si può dire che a diciannove franchi non sarebbe cara, ma a venticinque è al di là del suo prezzo. [La guarda da amatore] Or­sù, siccome mi piace di fare le cose in grande, ve ne dò trenta. Parpalaid. Trenta franchi? Della mia torpedo? Non la lascerei per diecimila.

Knock   [con  aria afflitta]. Me lo aspettavo!    [Contempla la carcassa] Non potrò  dunque comprarla questa vettura.                           

Parpalaid. Mi faceste almeno un'of­ferta seria!

Knock. Peccato, pensavo di trasfor­marla in una credenza... [Torna sul davanti] In quanto alla vostra clien­tela, vi rinuncerei, con la medesima assenza d'amarezza, se sifosse ancora in tempo.

Parpalaid. Lasciatemi dire, caro col­lega, che voi siete vittima... di una falsa impressione.


 

Knock. Io? Crederei invece d'essere piuttosto vittima vostra,  dottore. Ba- sta, non sono uso a recriminare e quando mi son lasciato raggirare, me la prendo con me solo.

Signora. Raggirare! Protesta, amico mio, protesta.

Parpalaid. Vorrei soprattutto disin­gannare il dottor Knock...

Knock. Però le vostre scadenze han­no il torto d'essere trimestrali in un clima dove il cliente è annuale. Biso­gna modificare questo. In ogni modo non vi preoccupate per me. Detesto avere dei debiti. Ma insomma, è molto men doloroso d'una lombaggine, per esempio, o d'un semplice foruncolo alla natica.

Signora, Come, non ci volete pa­gare alle date convenute?

Knock. Ardo dal desiderio di pa­garvi, signora, ma non ho nessuna autorità sull'almanacco ed è cosa su­periore alle mie forze spostare il gior­no di San Gaudenzio.

Signora. Di San Michele.

Knock. San Michele.

Parpalaid. Ma avrete pure qualche risparmio?

Knock. Nessuno. Vivo del mio la­voro. O piuttosto, ho fretta di viver­ne. E tanto più deploro il carattere mitico della clientela che mi vendete in quanto contavo di applicarle metodi interamente nuovi. [Dopo un istante di riflessione e quasi fra sé] Vero è che il problema non fa che mutar d'aspetto.

Parpalaid. In tal caso, mio caro col­lega, voi sareste doppiamente colpe­vole di abbandonarvi ad uno scoraggiamento prematuro, che è, si può di­re, frutto della vostra inesperienza. Certo, la medicina è un campo ricco, ma le messi non vi crescono da sole. I vostri sogni di gioventù vi hanno un po' illuso.

Knock. Il vostro parlare, mio caro collega, formicola d'inesattezze. Pri­ma di tutto, io ho quarant'anni. I miei sogni, se ne ho, non sono sogni di gioventù.    

Parpalaid. Sia. Ma voi non avete mai esercitato.     

Knock. Altro errore.

Parpalaid. Come? Non mi diceste di avere svolto la vostra tesi l'estate scorsa ?

Knock. Sì, trentadue pagine in ot­tavo « sui pretesi stati di salute » con questa epigrafe che attribuii a Clau­dio Bernard : « Coloro che si credono sani, sono malati senza saperlo... ».

Parpalaid. Siamo d'accordo, caro collega.

Knock. Sul fondo della mia teoria?


Parpalaid. No, sul fatto che voi sie­te un principiante.

Knock. Prego! I miei studi sono infatti recentissimi. Ma il mio inizio nella pratica della medicina data da vent'anni.

Parpalaid. Cosa? Non facevate mi­ca il flebotomo? Da quel dì che non esistono più...

Knock. No, ero laureato.

Signora. In medicina?

Knock. Laureato in belle lettere, si­gnora.

Parpalaid. Avete dunque praticato senza titoli e clandestinamente?

Knock. Al cospetto di tutti, al con­trario. E non già in un angolo per­duto di provincia, ma su di uno spa­zio di circa settemila chilometri.

Parpalaid. Non vi capisco.

Knock. Eppure è semplice. Una ventina d'anni fa, avendo dovuto ri­nunciare allo studio delle lingue mor­te, mi ero adattato a fare il commes­so alle « Dame di Francia », di Marsiglia, reparto cravatte. Perdo il mio impiego. Passeggiando lungo il por­to, vedo un giorno annunciato che un piroscafo di 1700 tonnellate in par­tenza per le Indie, fa ricerca di un medico, senza esigere il grado di dot­tore. Che avreste fatto voi al mio po­sto?                

Parpalaid. Ma... niente, senza dub­bio.        

Knock. Si capisce, voi non avevate la vocazione. Io, invece, mi sono pre­sentato e siccome ho orrore delle false situazioni, entrando ho subito dichia­rato:« Signori, potrei dirvi ch'io sono dottore, ma io non sono dottore. E vi confesserò anzi qualche cosa di più grave. Non so ancora quale sarà il soggetto della mia tesi ».... Mi rispon­dono che al titolo di dottore non ci tengono e che del soggetto della tesi se ne infischiano completamente. Io replico: «Ma pur non essendo dot­tore, esigo, per ragioni logiche di pre­stigio e di disciplina, che a bordo mi si chiami dottore »... Mi rispondono che questa è cosa naturalissima; ma nondimeno, io continuo a spiegare per un buon quarto d'ora le ragioni che mi fan vincere i miei scrupoli e recla­mare questo appellativo di dottore al quale, in coscienza, non ho diritto. E così bene, che ci rimasero appena tre minuti per regolare la questione de­gli onorari.

Parpalaid. Ma non avevate realmen­te nessuna cognizione?

Knock. Intendiamoci! Fin da bam­bino, io ho letto sempre con passione gli annunci delle specialità mediche e farmaceutiche nelle quarte pagine dei giornali, come pure tutti quei fogli reclame con istruzioni, ecc, che stan­no avvolti nelle scatole di pillole o nelle bottiglie di sciroppi che compe­ravano i miei genitori. A nove anni, già sapevo a memoria filastrocche in­tere sulle funzioni imperfette del co­stipato. E oggi ancora, posso recitarvi una splendida lettera diretta nel 1897 dalla vedova P. di Bourghes alla Ti­sana Americana degli Shakers. Vo­lete?

Parpalaid. Grazie, vi credo.

Knock. Tutti questi testi mi han fa­miliarizzato per tempo con lo stile del­la professione. Ma, soprattutto, m'han lasciato intravedere il vero spirito e la vera destinazione della medicina che l'insegnamento delle Facoltà nascon­de sotto la farragine scientifica. Posso dire che a dodici anni io avevo già un sentimento medico corretto. Il mio metodo attuale ne è la conseguenza.

Parpalaid. Avete un metodo? Sarei curioso di conoscerlo.   

Knock. Non ne faccio propaganda. Del resto, son solo i risultati quelli che contano. Oggi — è la vostra stessa confessione — voi mi consegnate una clientela nulla.

Parpalaid. Nulla... ah, no, prego credere...                         

Knock. Tornate fra un anno a ve­dere che cosa ne avrò fatto: la prova sarà indiscutibile. Obbligandomi a partire da zero, voi accrescerete l'in­teresse dell'esperimento.

Giovanni.   Dottore, dottore...    [Il dott. Parpalaid va verso di lui] Credo che farei bene a smontare anche il carburatore.

Parpalaid. Fate, fate... [Torna] Vi­sto che la conversazione si prolunga, ho detto a questo giovinotto di pro­cedere alla pulitura mensile del car­buratore.

Signora. Ma quando vi siete trovato sul piroscafo come ve la siete cavata?

Knock. Le due ultime notti prima d'imbarcarmi le ho passate a riflettere. I miei sei mesi di pratica a bordo mi han servito a verificare le mie conce­zioni. Su per giù ho riscontrato la stessa maniera con la quale si suole procedere negli ospedali.

Signora. Avevate molta gente da curare?

Knock. L'equipaggio e sette passeg­geri di modestissima condizione. Tren­tacinque persone in tutto.

Signora. È una cifra.

Parpalaid. E avete avuto delle morti?

Knock. Nessuna. Sarebbe stato, d'altronde, contrario ai miei principii. Io sono per la diminuzione della mor­talità.                               

Parpalaid. Come noi tutti.

Knock. Anche voi? Toh! non avrei creduto... Insomma io stimo che, ad onta di tutte le tentazioni contrarie, noi dobbiamo adoperarci per la con­servazione del malato.

Signora. C'è del vero in quel che dice il dottore.

Parpalaid. E di malati ne avete avu­ti molti?


Knock. Trentacinque.

Parpalaid. Tutti?

Knock. Sì, tutti.

Signora. Ma allora il bastimento co­me è potuto andare avanti?

Knock. Un piccolo turno da stabi­lire.                                    

[Silenzio].

Parpalaid. Via, parliamoci franca­mente, siete realmente dottore? Per­ché qui il titolo è indispensabile e ci cagionereste delle noie. Se, realmente, non foste dottore, sarebbe meglio dir­celo  subito.

Knock. Sono realissimamente e dottorissimamente dottore. Quando ho vi­sto i miei metodi confermati dall'espe­rienza, non ho avuto che un desiderio: applicarli in terra ferma e in grande stile. Non ignoravo che il dottorato è una formalità indispensabile.

Signora. Ma non dicevate che i vo­stri studi erano recentissimi?

Knock.  Potei cominciarli solo da quel momento. Per vivere mi son do­vuto occupare per qualche tempo del commercio di arachidi.     

Signora. Che roba è?

Knock. L'arachide è quel frutto che comunemente si chiama nocciolina americana o pistacchio di terra. [Mo­vimento della Signora Parpalaid] Oh! signora, non crediate che andassi in giro col canestro vendendo cartoccini. Avevo aperto un magazzino cen­trale dove i venditori ambulanti veni­vano a rifornirsi. Sarei divenuto mi­lionario se avessi continuato per dieci anni questo commercio. Ma era assai fastidioso. Tutti i mestieri, a lungo andare, finiscono per venire a noia; me ne son reso conto anch'io. Decisa­mente, di vero non c'è altro che la medicina! Forse anche la politica, la finanza e il sacerdozio che non ho ancora sperimentati.

Signora. E pensate di applicarli qui i vostri metodi?

Knock. Se non lo pensassi, signora mia, me la sarei giàdata a gambe sfi­dandovi a riacchiapparmi. Natural­mente, avrei preferito una grande città.                                                    

Signora  [al marito]. Tu che vai a Lione, non potresti chiedere al dottore qualche piccola informazione sul suo metodo; senza impegno ben inteso. Parpalaid. Ma il dottor Knock non sembra tenere a divulgarlo.

Knock [dopo riflessione]. Per far­vi cosa grata, posso proporvi questo accomodamento : invece di pagarvi — Dio sa quando — in moneta, vi pago in natura; vale a dire, vi prendo per otto giorni con me e vi inizio ai miei modi di procedere.


Parpalaid [furbo]. Voi scherzate, caro collega. Credo piuttosto che fra otto giorni voi mi scriverete per do­mandarmi consiglio.

Knock. Non aspetterò tanto. Oggi stesso conto di ottenere da voi diverse indicazioni  utilissime.   

Parpalaid.  Disponete  di me,  caro collega.

Knock. In paese c'è ancora l'uso del banditore?

Parpalaid. Volete dire un uomo che va in giro col tamburo e fa gli annun­ci al pubblico?

Knock. Precisamente.

Parpalaid. C'è. Il municipio lo in­carica di certi avvisi. I soli privati che ricorrono a lui son per lo più in­dividui che han perduto il portafoglio o venditori venuti da fuori che vo­gliono liquidare stocks di piatti e por­cellane.

Knock. Bene. San Maurizio quanti abitanti fa?

Parpalaid. Tre mila e cinquecento il comune; credo circa seimila con le frazioni.

Knock. E tutto il cantone intero?

Parpalaid. Almeno il  doppio.

Knock. La popolazione è povera?

Signora. Molto agiata al contrario, ed anche ricca. Ci son grandi fattorie; molti vivono di rendita e del prodotto dei loro poderi.

Parpalaid. D'una avarizia sordida, del resto.

Knock. V'è industria?

Parpalaid. Pochissima.          

Knock. Commercio?

Signora. Non son certo le botteghe quelle che mancano.     

Knock. E i bottegai son molto as­sorbiti dai loro affari?

Parpalaid. Oh no! Per la maggior parte, il negozio è un soprappiù e, specialmente, un modo di impiegare il tempo.

Signora. In fondo poi, mentre la moglie bada al negozio, il marito se ne va a spasso.

Parpalaid. E viceversa.     

Signora. Convieni che è piuttosto il marito. Le mogli, in primo luogo, non saprebbero dove andare, mentre per gli uomini c'è la caccia, la pesca, il caffè...                   

Knock. E le donne, sono religiose? [Il dottor Parpalaid si mette a ridere] La domanda ha la sua importanza per me.

Signora. Molte vanno a messa.

Knock. Ma Dio tiene un posto con­siderevole nei loro pensieri quoti­diani?

Signora. Che idea!


Knock. Benissimo. [Riflette] Gran­di vizi ve ne sono?

Parpalaid. Vale a dire?

Knock. Oppio, cocaina, messe nere, sodomia, convinzioni politiche?

Parpalaid. Voi fate tutta una zuppa. Non ho mai inteso parlare né di oppio né di messe nere. Circa la po­litica, se ne discorre qui come dapper­tutto.

Knock. Capisco, ma ne conoscete di quelli che farebbero arrostire la pian­ta dei piedi del padre, della madre, a vantaggio dello scrutinio di questa o quella lista o quel partito?...

Parpalaid. Grazie a Dio, non arri­vano a tal punto.

Knock. E l'adulterio?

Parpalaid. Cosa?      

Knock. Ha preso uno sviluppo ec­cezionale costassù? èoggetto d'una attività intensa?  

Parpalaid. Voi mi fate delle do­mande straordinarie. Ci devono essere, come altrove, mariti ingannati, ma senza eccesso.    

Signora. Anzitutto, non è cosa pun­to facile. Tutti vi stanno con gli occhi addosso.                      

Knock. Bene. Non avete altro da segnalarmi? Per esempio, per quanto concerne le sètte, le superstizioni, le società segrete...

Signora. Ci fu un tempo in cui le signore si dilettavano di spiritismo.

Knock. Ah! ah!

Signora. Ci si riuniva in casa della notaressa e si facevano parlare i ta­voli a tre piedi.               

Knock.  Brutta cosa...  detestabile...

Signora. Ma credo che abbiano smesso.                  

Knock. Ah? meno male... E strego­ni? taumaturghi, neppure?... Nessun vecchio pastore, esalante odor di pe­corino, che guarisca previa imposizio­ne delle mani?

[Di tanto in tanto si vede Giovanni girare la manovella fino a perdere fiato, poi asciugarsi la fronte].

Parpalaid. Una volta forse, ma ora non più.

Knock [appare agitato, si frega le mani, cammina]. Insomma, l'età me­dica può incominciare. [Si avvicina alla vettura] Mio caro collega, sareb­be umano chiedere a questo veicolo un nuovo sforzo? Ho una smania in­dicibile di essere a San Maurizio.

Signora. Strano, vi è venuta tutt'assieme.

Knock. Ve ne prego, arriviamo su.

Parpalaid. Cosa c'è mai di sì poten­te che v'attrae?


Knock [va un po' su e giù in si­lenzio, poi]. Mio caro collega, ho la sensazione che voi quassù vi siate gio­cata una situazione magnifica e, per dirla nel vostro stile, abbiate fatto na­scere cardi là dove voleva crescere un verziere rigoglioso. Ma voi dovevate riandarvene ricoperto d'oro, con le re­ni sprofondate in un materasso d'obbligazioni. E voi, signora, con tre file di perle al collo... tutti e due in una fiammante limousine e non su questo monumento dei primi sforzi del ge­nio  moderno!...    

[Mostra la povera vettura].

Signora. Voi scherzate, dottore.

Knock. Lo scherzo sarebbe crudele, signora.

Signora. Ma allora è terribile!  Lo senti, Alberto?

Parpalaid. Sento che il dottor Knock è un chimerico e un ciclotimico per giunta. È il trastullo d'im­pressioni estreme. Un momento fa il posto non valeva due soldi. Adesso è una miniera d'oro... [Crolla le spalle].

Signora. Ma tu pure sei troppo si­curo di te. Quante volte non t'ho det­to che a San Maurizio, sapendo fare, c'era di meglio che vegetare.

Parpalaid. Be' be' be'... Tornerò fra tre mesi per la prima scadenza. Ve-dremo a che punto sarà il dottor Knock.  

Knock. Bravo. Tornate fra tre me­si. Avremo tempo di discorrere... Ma ve ne supplico, partiamo subito.

Parpalaid [a Giovanni timidamen­te]. Siete pronto?                

Giovanni [sottovoce]. Oh, per me sarei pronto. Ma questa volta non cre­do che arriveremo da soli a farla muo­vere.

Parpalaid. Come?                         

Giovanni [scuotendo la testa]. Ci vorrebbero uomini più forti...

Parpalaid. Se provassimo a spinger­la un poco?           

Giovanni [senza convinzione]. Forse...

Parpalaid. Ma sì. Ci sono venti me­tri in piano... Mi metto io al volante, voi spingete.

Giovanni. Proviamo...

Parpalaid. Poi cercate di salire al momento buono. [Torna verso gli al­tri] Dunque, in carrozza, caro colle­ga, in carrozza. Vi conduco io. Gio­vanni, che è un Ercole, vuol prendersi il gusto di metterci in moto senza bi­sogno di manovella... mediante una specie di pressione che si potrebbe chiamare automatica, per quanto l'energia elettrica vi sia sostituita da quella dei muscoli che è poi in fondo della stessa natura...


ATTO   SECONDO

Nell'ex domicilio di Parpalaid, ove Knock ha ora stabilito la sua dimora provvisoria. Tavolo, sedie, armadio, biblioteca, « chaiselongue », lavagna, lavabo. Qualche apparecchio (micro­scopio, ecc). Figure anatomiche e istologiche alle pareti..    

           

SCENA I.

Knock, il Tamburino.

Knock.  Siete voi  il  banditore  del paese?

Tamburo. Sissignore.

Knock.   Chiamatemi   dottore. Rispondete « sì, dottore », « no, dot­tore ».

Tamburo. Sì, dottore.

Knock. E fuori di qui, quando ave­te occasione di parlare di me, non vi scordate mai di esprimervi così : « Il dottore ha detto - Il dottore ha fat­to »; vi annetto molta importanza. Quando fra di voi parlavate del dot­tor Parpalaid, quali termini adopravate?

Tamburo. Dicevamo : E' un brav'uomo, ma non è una cima...

Knock, Non è questo che vi do­mando. Dicevate « il dottore »?

Tamburo. No, «il signor Parpalaid » o « il medico » e anche « Ravachol».

Knock. Perché Ravachol?       

Tamburo. Era un nomignolo che gli avevano dato, non ho mai saputo il perché.

Knock. E voi non lo giudicavate una cima?

Tamburo. Oh! per me era un brav'uomo, per altri pare di no.    

Knock. Curioso!                

Tamburo. Quando s'andava da lui, non trovava...   

Knock. Che cosa non trovava?

Tamburo. Quello che avevate. Nove volte su dieci vi rimandava via di­cendovi: Non è niente, domani sta­rete benissimo, amico mio...

Knock. Veramente?             

Tamburo. Oppure, vi stava appena a sentire, facendo : Sì, sì... E comin­ciava a saltare di palo in frasca, par­landovi, per esempio, della sua auto­mobile o che so io...

Knock. Come se uno venisse per questo!


Tamburo. E poi vi suggeriva ri­medi da quattro soldi, talvolta un sem­plice decotto. Figuratevi se la gente che paga otto franchi la visita vuol saperne di rimedi da quattro soldi. Il più idiota non ha bisogno del medico per bere una camomilla.

Knock. Voi mi dite cose che since­ramente mi addolorano... Ma vi ho chiamato per una piccola informazio­ne. Che prezzo facevate al dottor Parpalaid quando v'incaricava di fare un annuncio?      

Tamburo. Non mi ha mai incari­cato di fare annunci.

Knock. Oh! che mi dite! Da trent'anni che era qui?

Tamburo. Neppur l'ombra d'un an­nuncio in trent'anni, ve lo giuro.

Knock. Non posso crederci... In-somma, qual è la vostra tariffa?

Tamburo. Tre franchi il giro picco­lo e cinque il giro grande. Vi sem­brerà caro, ma c'è da faticare, sapete? Del resto, io consiglio al signore...

Knock. Al dottore.

Tamburo. Consiglio al dottore di non guardare ad una differenza di due franchi e prendere il giro grande che è molto più vantaggioso.

Knock. Che differenza c'è?

Tamburo. Col giro piccolo io mi fermo cinque volte: davanti al muni­cipio, davanti alla posta, davanti al­l'albergo della Chiave, al crocicchio dei Ladroni e all'angolo del mercato. Col giro grande invece, mi fermo un­dici volte e cioè...

Knock, Bene, bene, prendo il giro grande. Siete disponibile questa mat­tina?        

Tamburo. Subito, se volete.

Knock. Ecco qua il testo dell'an­nuncio... 

[Gli dà una carta].

Tamburo. Sono avvezzo a tutte le scritture, ma preferisco che vi diate una letta prima voi.

Knock [lentamente]. «Il dottor Knock, successore del dottor Parpalaid, saluta la popolazione della città e del cantone di San Maurizio ed ha l'onore di portare a sua conoscenza che, mosso da uno spirito filantropico e per arrestare il progresso inquietan­te delle malattie d'ogni specie che da qualche anno invadono le nostre re­gioni, così salubri un tempo...»

Tamburo. È vero.

Knock. ... « tutti i lunedì mattina, dalle nove e trenta alle undici e tren­ta, darà consulti interamente gratuiti riservati ai soli abitanti del contado. Per le persone estranee al contado, il consulto al prezzo abituale di otto franchi ».    

Tamburo [prendendo e rileggendo il foglio]. Ma è un'idea bellissima... Un'idea che sarà apprezzata... Un'idea da benefattore. Voi sapete che oggi è lunedì. Se faccio l'annuncio questa mattina, ve ne arriveranno fra cinque minuti.      

Knock. Credete?         

Tamburo. E non avete pensato che il lunedì è giorno di mercato. Mezzo cantone è qua. Il signor Parpalaid do­veva aspettare  il  lunedì  per vedere qualcuno. Se poi voi li ricevete gratis...

Knock. Capite, amico mio, io voglio innanzi tutto che la gente si curi. Se ba­dassi solo a far quattrini me ne sarei andato a stare a Parigi o a New York.                     

Tamburo. Ah! voi avete toccato giusto. Non ci si cura mai abbastanza. Si vuol fare i forti e si tira avanti a fatica. Quando il male v'ha preso, ci si sforza... Ma allora, tanto vale na­scere animale.

Knock. Voi ragionate con molto buon senso, amico mio.             

Tamburo. Sicuro che ragiono! Non sono istruito come dovrei, ma ce ne son di quelli più istruiti di me e che pure non oserebbero tenermi testa. Il Sindaco,  per non  nominarlo,  ne  sa qualche cosa. Se vi raccontassi che un giorno, signore mio...

Knock.. Dottore !        

Tamburo. Dottore! Che un giorno il Prefetto in persona si trovava in municipio nella grande sala dei ma­trimoni... potete anzi domandarlo alle persone presenti, all'assessore anziano, per non nominarlo, al signor Michalon... E allora...

Knock. E allora il Prefetto vide su­bito con chi aveva a che fare e capì che il tamburo era un tamburo che ra­gionava meglio di molti altri che non erano istrumenti ma che si credevano qualche cosa di più d'un tamburo. E chi restò a bocca chiusa senza saper cosa dire,  fu il sindaco!

Tamburo [estasiato] E' l'esatta verità! Non c'è una parola da mutare. Si direbbe che voi eravate nascosto in un cantuccio. 

Knock. Non c'ero, amico mio. Tamburo. Allora, ve l'ha raccontata qualcuno?... [Knock fa un gesto di riservatezza diplomatica] Dite la veri­tà, è stato il Prefetto?   [Knock si accontenta di sorridere].

Knock [alzandosi]. Dunque, conto su voi, amico mio. E con una bella voce piena, non è vero?

Tamburo [dopo diverse esitazioni]. Tornare più tardi non mi sarà possi­bile perché non arriverei in tempo... Abuserei forse della vostra bontà se vi chiedessi, giacché ci sono, una pic­cola visitina...

Knock. Ma... sì... Ma facciamo pre­sto perché aspetto il signor Bernard, il maestro di scuola e Mousquet il far­macista. Bisogna che li riceva prima che arrivino altri... Di che soffrite?


Tamburo [ridendo]. Aspettate che ci pensi... Ecco qua... Dopo pranzato, a volte mi piglia una specie di pru­rito, qui...  [indica l'alto del suo epigastrio] Mi prude... o piuttosto mi sol letica...

Knock [con aria di profonda concentrazione]. Attenzione! Non con­fondiamo... Vi prude, oppure vi sol­letica?

Tamburo. Mi prude... [Pensa] Ma mi dà anche un po' di solletico.

Knock.   Indicatemi esattamente il punto.

Tamburo. Per di qui...  

Knock. Per di qui... dove, per di qui?

Tamburo. Qui... o forse qui... tra i due punti.

Knock. Proprio fra i due?... Non è piuttosto un pochino... pochino po­chino più a sinistra, qui, dove mette il dito?

Tamburo. Mi pare.

Knock. Vi fa male quando affon­do il dito?

Tamburo. Sì, mi pare che mi faccia male.

Knock. Ah! ah! [Medita con aria cupa]. E non vi prude forse maggior­mente quando avete mangiato della te­stina di vitello in agro e dolce?

Tamburo. Non ne mangio mai... Ma mi pare che se ne mangiassi, ef­fettivamente, mi darebbe più prurito.

Knock. Ah! ah!... molto importan­te... Ah! ah!... Che età avete?

Tamburo Cinquant'un anno... vado pei cinquanta due.

Knock. Più vicino ai cinquanta due o ai cinquant'uno ? Tamburo   [si turba un poco]. Più vicino a cinquantadue. Li compio al 30 novembre.

Knock. Amico mio, oggi fate il vostro lavoro come il solito. Questa sera coricatevi di buon'ora. Domani mattina restate pure a letto. Passerò visitarvi. Per voi le mie visite saranno gratuite. Ma non lo dite. E' un favore.

Tamburo. Troppo buono, dottore. Ma è dunque grave?

Knock. Forse non è ancora grave. Ma era tempo che vi curaste. Fu­mate?                           

Tamburo. No, cicco.

Knock. Divieto assoluto di ciccare... Il vino vi piace?

Tamburo.   Bevo, ragionevolmente.

Knock. Non più una goccia di vi­no... Siete ammogliato ?       

Tamburo. Sì, dottore.

Knock. Astinenza assoluta da quel lato, eh?

Tamburo. Posso mangiare?

Knock. Oggi, siccome lavorate, po­tete prendere una minestrina. Doma­ni verremo a delle restrizioni più se­rie. Per il momento, attenetevi a quanto v'ho detto.


Tamburo. Non sarebbe forse me­glio che mi mettessi subito a letto? Non mi sento veramente come dovrei.

Knock [aprendo la porta]. Guar-datevene bene! Nel caso vostro, è male mettersi a letto tra il sorgere e il calar del sole. Fate i vostri annunci come se nulla fosse e aspettate tran­quillo fino a questa sera.     

[Il Tamburo esce].

SCENA II.

Knock, il Signor Bernard.

Knock. Buongiorno, professore, non vi ho troppo disturbato pregandovi di venire a quest'ora? 

Bernard. Ma no, dottore. Ho qual­che minuto. Il mio supplente sorve­glia la ricreazione.

Knock. Ero impaziente d'intrattener­mi con voi. Abbiamo tante cose da fare insieme, noi due, e così urgenti!

Non certo io lascerò interrompere la preziosa collaborazione che voi accor­davate al mio illustre predecessore.

Bernard. La collaborazione?...  

Knock. Vi faccio notare che io non son uomo da imporre le mie idee, né da far tabula rasa di quanto fu edifi­cato prima di me. Sarete dunque voi la mia prima guida.

Bernard. Non vedo bene...   

Knock. Non tocchiamo nulla per il momento. In seguito, miglioreremo se occorre.         

Bernard. Ma...                   

Knock. O che si tratti di propagan­da o di conferenze popolari, i vostri procedimenti saranno i miei, le vo­stre ore saranno le mie.

Bernard. Gli è, dottore, che io te­mo di non afferrare troppo bene a che cosa volete alludere.

Knock. Voglio dire semplicemente che io desidero di mantenere con voi intatto ogni vincolo, anche durante il periodo della mia sistemazione.

Bernard. Deve esserci qualche cosa che mi sfugge...

Knock. E via! Eravate bene in rap­porti costanti col dottor Parpalaid.

Bernard. Ci si vedeva qualche volta al caffè dell'albergo della Chiave. Ci capitava di fare qualche partitina a bigliardo... 

Knock. Non di queste relazioni vo­glio parlare.

Bernard. Non ne avevamo altre.

Knock. Ma... Ma... come vi era­vate ripartito l'insegnamento popolare dell'igiene, l'opera di propaganda nel­le famiglie... che so io, le mille pic­cole cose che il medico e il maestro di scuola non possono fare se non di comune accordo.

Bernard  Non ci eravamo ripartiti proprio nulla.

Knock. Come! Agivate ciascuno isolatamente?                      

Bernard. Ma no, la questione è molto più semplice: né l'uno né l'al­tro ci abbiamo mai pensato. Ecco la prima volta che si parla d'una cosa si­mile a San Maurizio.

Knock   [con  tutti  i  segni  d'una dolorosa   sorpresa].   Ahi... se non lo udissi dalla vostra bocca, vi assi- curo che non lo crederei. [Silenzio].

Bernard. Mi spiace darvi questa disillusione. Ma certo non potevo prendere io una iniziativa di tal ge­nere, lo ammetterete. Anche se mi fos-se venuta l'idea ed ammesso che la scuola mi lasci un po' di tempo li­bero...

Knock. Naturalmente, aspettavate un invito che non è venuto.

Bernard. Ogni qual volta m'han domandato un servigio, io ho cercato di renderlo.            

Knock. Lo so, signor Bernard, lo so. [Silenzio] Noi ci troviamo al co­spetto di una disgraziata popolazione abbandonata completamente a se stes­sa dal punto di vista igienico e pro­filattico.

Bernard. Lo credo bene!

Knock. Io scommetto che qua tutti bevono acqua senza pensare ai miliar­di di batteri che noi ingoiamo ad ogni sorso.                                                        

Bernard. Ma certamente!

Knock. Sanno almeno che cos'è un microbo?

Bernard. Lo dubito assai. Taluni co­noscono la parola, ma devono imma­ginarsi che si tratti d'una specie di mosca.

Knock. Terribile! Terribile!... [Si alza] Sentite, caro signor Bernard, noi, in due soli, non possiamo certo riparare in otto giorni ad anni ed an­ni di...  diciamo, di noncuranza. Ma

qualche cosa bisogna fare.

Bernard. Io non mi rifiuto. Temo solo di non esservi di grande aiuto.

Knock. Signor Bernard, delle per­sone ben informate sul vostro conto, m'han rivelato che voi avete un grave difetto: la modestia. Siete voi il solo ad ignorare che possedete un'autorità morale ed una influenza personale po­co comuni. Vi domando perdono di avervelo detto. Nulla di serio qui si farà senza voi.

Bernard. Voi esagerate, dottore.

Knock. Beninteso che senza di voi io potrò certo curare i miei malati. Ma la malattia, chi mi aiuterà a combat­terla, a scovarla? Chi istruirà questa povera gente sui pericoli di ogni istan­te che assediano il nostro organismo? Chi le insegnerà che non si può aspet­tare di essere morti per chiamare il medico?

Bernard. Sono trascuratissimi, non lo nego.

Knock [animandosi sempre più]. Incominciamo dal principio. Ho qui materia per parecchie « causeries » di volgarizzazione... note abbastanza complete, buoni clichés e una lanterna magica... Voi adatterete tutto quanto da quell'uomo abile che siete... Ecco qua, tanto per cominciare, una piccola conferenza, già tutta scritta, per for­tuna, e molto interessante, sulla feb­bre tifoide, le forme non sospette che prende, i suoi veicoli innumerevoli: acqua, pane, latte, frutti di mare, er­baggi, insalate, polvere, alito, eccete­ra... Le settimane ed i mesi durante i quali essa cova senza tradirsi... Gli accidenti mortali che scatena all'im­provviso, le complicazioni temibili che porta in seguito... il tutto allietato da belle illustrazioni: bacilli formidabilmente ingranditi, dettagli di escremen­ti  tifici, gangli infetti, perforazioni d'intestino e, badate, non in nero, ma a colori: rosa, marrone, giallo, bian­co, verdastro, come potete farvene un'idea...

Bernard [già nervoso e turbato]. Gli è che... io sono molto impressio­nabile... se mi ficco qua dentro, non potrò più dormire.       

Knock. Ma benone! Questo appun­to ci vuole! Voglio dire: è appunto questo l'effetto che dobbiamo ottenere sull'uditorio. Voi vi abituerete. Che gli altri non dormano! Giacché il loro torto è appunto quello di dormire in una sicurezza ingannatrice, da cui troppo tardi li risveglia il colpo ful­mineo della malattia.

Bernard [tutto scosso da brividi]. Io non ho una salute molto solida. Lo sanno i miei genitori tutte le pene che ebbero per allevarmi... Capisco be­nissimo che sui vostri clichés tutti quei microbi non sono che in riproduzio­ne... Ma insomma...

Knock [come se non avesse inteso nulla]. Per quelli poi che la nostra prima lezione avesse lasciati indiffe­renti, ho pronta un'altra lezioncina il cui titolo non ha l'aria di nulla: « I portatori di germi »... Vi è dimostra­to, chiaro come il giorno e compro­vato da casi osservati, che uno può andarsene a spasso con una bella fac­cia florida, una lingua rosea, un ap­petito eccellente, e celare in tutte le fibre del proprio corpo trilioni di ba­cilli della massima virulenza, capaci d'infettare un dipartimento intero. Forte della teoria e della pratica, io ho il diritto d'insinuare nel primo ve­nuto il sospetto di essere portatore di germi... Voi, per esempio, nulla mi prova che non siate uno di quelli.

Bernard. Io... dottore...


Knock. Sarei curioso di conoscere l'individuo che, uscendo da questa seconda conferenza, si senta in vena di fare dello spirito.

Bernard. Voi credete, dottore, che io sia un portatore di germi?...

Knock. Non dico voi specialmente. Ho preso un esempio... Ma sento la voce del signor Mousquet... A rive­derci presto, caro signor Bernard, e grazie della vostra adesione, della qua­le non potevo dubitare...

SCENA III.

Knock, Mousquet il farmacista.

Knock. Accomodatevi, caro signor Mousquet... Ieri ho avuto appena il tempo di dare un'occhiata alla vostra farmacia. Ma questo m'è bastato per constatare l'ordine meticoloso che vi regna e la modernità di ogni minimo particolare.                        

Mousquet [tenuta semplicissima, quasi trasandata]. Dottore mio, siete troppo indulgente.

Knock. È cosa che mi sta a cuore. Per me, il medico che non può ap­poggiarsi su di un farmacista di prim'ordine, è un generale che va alla battaglia senza artiglieria.        

Mousquet. Mi compiaccio di vedere che voi apprezzate l'importanza della professione.                        

Knock. Ed io di dire a me stesso che una organizzazione come la vostra de­ve trovare certamente la sua ricom­pensa. Credo bene che un minimo an­nuo di venticinquemila...

Mousquet. Di utili? Ah! ah!... Vo­lesse Iddio che ne facessi la metà.

Knock. Caro signor Mousquet, voi avete dinanzi, non già un agente del fisco, ma un amico e, oso dire, un collega.

Mousquet.  Dottore,  non  vi  faccio l'ingiuria di diffidare di voi. Disgrazia­tamente v'ho detto la verità. [Pausa] È già molto se arrivo a passare i die­cimila...

Knock. Ma è scandaloso. [Mousquet alza tristemente le spalle] In mente mia, la cifra di venticinquemila era un minimo... Eppure, non avete con­correnti.

Mousquet. Nessuno, a cinque leghe di distanza.

Knock. Allora, cosa? Nemici?

Mousquet. Non ne vedo.

Knock [abbassando la voce]. Qual­che piccolo guaio, in passato, forse? Una distrazione... cinquanta grammi di laudano invece di olio di ricino... si fa presto...

Mousquet. Mai il più piccolo erro­re, vi prego crederlo, in vent'anni di esercizio.


Knock. Allora, allora... mi ripugna di formulare altre ipotesi... Il mio pre­decessore... sarebbe stato inferiore al suo compito?

Mousquet. È una questione di punto di vista.                 

Knock. Ancora una volta, egregio signor Mousquet, noi siamo assoluta­mente fra noi.

Mousquet. Il dottor Parpalaid è una garbatissima persona, privatamente eravamo nei migliori rapporti.

Knock. Ma non si farebbe un gros­so volume con la raccolta delle sue ricette.

Mousquet. L'avete detto.

Knock. Quando penso a tutto ciò che ora so di lui, giungo a chiedermi se credeva nella medicina.

Mousquet. Nei primi tempi, io fa­cevo lealmente tutto il possibile. Ba­stava che uno venisse a lamentarsi da me e il caso mi sembrasse un po' gra­ve, perché io subito glielo mandassi. Felicissima notte! Non si rifaceva più vivo.

Knock. Quello che mi dite mi rat­trista profondamente. Noi esercitiamo, caro signor Mousquet, due fra i più bei mestieri che si conoscano. Non è una vergogna forse farli decadere a poco a poco dall'alto grado di pro­sperità e di potenza cui li avevan fatti giungere i nostri predecessori? La parola sabotaggio mi viene alle labbra.

Mousquet. Sì, certo. A parte ogni questione di danaro, ci vuole una bella coscienza a lasciarsi cadere al disotto dello stagnaio e del pizzicagnolo. Vi assicuro, dottore, che mia moglie ci deve pensare dieci volte prima di com­perarsi un cappellino o un paio di calze di seta che la moglie del pizzi­cagnolo sfoggia tutti i santi giorni.

Knock. Zitto, zitto, amico caro... mi fate male... È come se sentissi dire che la moglie del Presidente della Camera s'è ridotta a lavare i panni della sua fornaia per procacciarsi il pane.

Mousquet. Se la mia signora fosse qui le vostre parole le andrebbero al cuore.                      

Knock. In un paese come questo, voi ed io non dovremmo bastare.

Mousquet. Proprio così.

Knock. Io pongo per principio che tutti gli abitanti del cantone debbano essere « ipso facto » i nostri clienti designati.

Mousquet.  Tutti è pretendere troppo.

Knock. Dico tutti.

Mousquet. È vero che ciascuno, in vita sua, può divenire da un momento all'altro, nostro cliente occasionale.

Knock. Occasionale? Ma niente af­fatto. Cliente regolare, cliente fedele.


Mousquet. Bisognerà pure che si ammali!

Knock. Ammalarsi! Vecchia nozio­ne che non regge più dinanzi ai dati della scienza attuale. La salute è una parola che, senza alcun inconveniente, si potrebbe radiare dal nostro vocabo­lario. Per parte mia, io non conosco che gente più o meno affetta da ma­lanni più o meno numerosi, dalla evo­luzione più o meno rapida. Natural­mente, se voi andate a dir loro che crepano di salute, non domandano di meglio che credervi. Ma voi li ingan­nate. La vostra sola scusa è quella d'aver già troppi malati da curare per poterne assumere dei nuovi.

Mousquet. In ogni modo, è una bel­lissima teoria.

Knock. Teoria profondamente mo­derna, signor Mousquet, rifletteteci, e parente stretta della mirifica idea della nazione armata che fa la forza dei nostri Stati.                           

Mousquet. Siete un pensatore voi, dottor Knock, e i materialisti avran­no un bel sostenere il contrario: il pensiero conduce il mondo.

Knock. Ascoltatemi. [Tutti e due sono in piedi. Knock afferra le mani di Mousquet] Io sarò forse un presun­tuoso; forse le più amare delusioni mi son riservate. Ma se fra un anno, gior­no per giorno, voi non avrete guada­gnato i venticinquemila franchi che vi son dovuti; se la signora Mousquet non avrà vesti, cappelli e calze che la sua condizione esige, vi autorizzo a venirmi a fare una scenata, ed io tenderò le due guance perché voi de­positiate un ceffone su ciascuna.

Mousquet. Caro dottore, sarei un in­grato se non vi ringraziassi con effu­sione e un miserabile se non vi aiu­tassi con tutto il mio potere.

Knock. Sta bene, contate su me co­me io conto su voi.

SCENA IV.

Knock e la Signora vestita di nero.

Ha quarantacinque anni e respira l'avarizia paesana e la costipazione.

Knock. Ah! c'è già della gente per la consultazione... Una dozzina, di già?... Avvertite i nuovi arrivati che dopo le undici e mezza non posso ri­cevere più nessuno... per lo meno in visita gratuita... Siete voi la prima, signora? [Fa entrare la Signora vestita di nero e richiude la porta] Siete del cantone?  

Signora in nero. Sono del comune.

Knock. Proprio di San Maurizio?

Signora in nero. Abito nella grande fattoria che si trova sulla strada di Luchère.


Knock. È di vostra proprietà?   

Signora in nero. Sì, di mio marito e mia.

Knock. Se la coltivate voi stessa de­ve darvi molto da fare?         

Signora in nero. Pensate, dottore, diciotto vacche, due bovi, due tori, la giumenta e il puledro, sei capre, una buona dozzina di maiali senza contare il pollaio.

Knock. Diavolo! Avrete domestici?

Signora in nero. Sfido! Tre garzoni, una serva e le opere a giornata nella bella stagione.  

Knock. Vi compatisco. Non deve restarvi molto tempo per curarvi.

Signora in nero. Eh, no.

Knock. Eppure, vi sentite male.

Signora in nero. Non è che mi sen­ta proprio male. Provo della spossa­tezza.               

Knock. Già,voi la chiamate spossa­tezza... Mostratemi la lingua... Voi non dovete avere molto appetito.  

Signora in nero. No.

Knock. Siete costipata? [L'ascolta] Abbassate la testa... Respirate... tossi­te... Non siete mai caduta da una scala a pioli quando eravate bambina?

Signora in nero. Non mi ricordo.

Knock [la palpa, la batte lievemen­te sul dorso]. Non sentite dolore qui, alla sera, nel coricarvi? Una specie di indolenzimento?

Signora in nero. Sì, qualche volta...

Knock [continua ad ascoltarla]. Cercate di ricordarvi. Doveva essere una scala alta.

Signora in nero. Può darsi.

Knock [affermativo]. Era una sca­la di circa tre metri e cinquanta, ap­poggiata contro un muro. Voi siete caduta all'indietro. Per vostra fortuna siete andata a battere con la natica sinistra.                                         

Signora in nero. Sì?

Knock. Avevate già consultato il dottor Parpalaid ?

Signora in nero. No, mai.

Knock. E perché?     

Signora in nero. Non dava consul­ti gratuiti.

Knock. Vi rendete conto del vostro stato?                    

Signora in nero. No.

Knock [si siede di faccia a lei]. Tanto meglio... Avete voglia di guarire o non avete voglia di guarire?

Signora in nero. Ho voglia di gua­rire.  .

Knock. Preferisco dirvi subito che sarà un affare lungo e costoso.


Signora in nero. Ah, mio Dio! E perché?

Knock. Perché non si può guarire in cinque minuti un male che si trasci­na da quarant'anni.        

Signora in nero. Da quarant'anni?

Knock. Sicuro, dal giorno che ca­deste dalla scala.

Signora in nero. E quanto mi verrà a costare?                                     

Knock. A che prezzo stanno ora i vitelli?

Signora in nero. Dipende dai mer­cati e dalla grossezza. Ma un buon vitello si paga sempre dai quattro ai cinquecento franchi.

Knock. E i maiali grassi?

Signora in nero. Ce ne son di quel­li che fanno più di mille.

Knock. Ebbene! Vi costerà, su per giù, due porci e due vitelli.

Signora in nero. Ah! povera me! Quasi tremila franchi! E' una desola-zione!...

Knock. Se preferite di fare un pel­legrinaggio, padronissima.

Signora in nero. Oh! un pellegri­naggio costa caro lo stesso e non sem­pre riesce. [Silenzio] Ma che cosa posso aver mai di così terribile?

Knock [con una grande affabilità]. Ve lo spiego in un minuto alla lava­gna... Ecco qua il vostro midollo spi­nale... Traccio così alla buona non è vero?... Voi riconoscete qui il vostro fascio di Türck e qui la vostra colonna di Clarke. Mi seguite?... Ebbene! quando cadeste dalla scala, il vostro Türck e il vostro Clarke sono scivolati in senso inverso... [traccia delle frec­ce di direzione] diqualche decimo di millimetro. Voi mi direte che è po­chino, capisco. Ma non è mai regolare. E poi voi avete qui uno stiracchiamento continuo che si esercita sui multi­polari.                   [Si pulisce le dita].

Signora in nero. Dio mio! Gesum­maria!...

Knock. Pensate bene che non mor-rete dall'oggi al domani. Potete aspet-tare.                                   

Signora in nero. Ho fatto un bell'affare a cadere da quella scala!

Knock. Mi domando anzi se non sia meglio lasciare le cose come sono. Il denaro è così difficile a guadagnarsi.

Mentre degli anni di vecchiaia se ne ha sempre abbastanza. Per il gusto che danno!

Signora in nero. E facendo le cose... più... alla buona, non potreste guarir­mi ad un prezzo meno caro... purché riesca lo stesso, ben inteso?

Knock. Quello che posso proporvi è di mettervi in osservazione. Non vi costerà quasi niente. Da qui a pochi giorni vi renderete conto voi stessa della piega che prenderà il male, e vi deciderete.

Signora in nero. Sì... ecco...

Knock. Bene. Ora ve ne tornate a casa. Siete venuta in carrozza?      

Signora in nero. No, a piedi.

Knock [mentre redige la prescrizio­ne]. Sarà meglio che prendiate una vettura... Appena giunta, vi metterete subito a letto... Una camera dove sa­rete sola più che sia possibile... Fate chiudere le persiane e le tende per­ché la luce non vi dia fastidio. Proi­bite che vi si parli... Nessuna alimen­tazione solida per una settimana. Un bicchiere d'acqua di Vichy ogni due ore, e, al massimo, mezzo biscottino, mattina e sera, intinto in un dito di latte. Ma vi consiglierei di fare a me­no del biscotto. Questo sta a voi... Non mi direte che vi ordino rimedi costosi. Alla fine della settimana ve­dremo come vi sentirete. Se vi sentite in gamba, se avete riacquistata la forza e la gaiezza, vorrà dire che il male è meno serio di quanto credevo, ed io sarò il primo a rassicurarvi. Se poi proverete una debolezza generale, pe­santezza alla testa e una tal quale pi-grizia ad alzarvi, non vi sarà più da esitare, e cominceremo la cura. Siamo intesi?            

Signora in nero [sospirando]. Co­me vorrete.

Knock   [terminando   di  scrivere]. Ho ricordato le mie prescrizioni in questo foglietto. E verrò presto a tro­varvi.  [Le dà il foglio e l'accompa­gna; in quinta] Marietta, aiutate la si­gnora a scendere le scale e trovatele una vettura.

[Si scorge qualche viso di consultante che l'uscita del­la Signora vestita di nero col­pisce di timore e di rispetto].

SCENA V.

Knock e la Signora vestita di viola (La Nobil Donna).

Ha sessant'anni. Si appoggia con aria regale ad una specie d'alpenstock.

Nobil Donna [con enfasi]. Dovete essere molto sorpreso, dottore, nel ve-dermi qui.       

Knock. Un poco sorpreso, signora.

Nobil Donna. Che una signora Pons, nata Lempoumas, venga ad un consulto gratuito, è infatti una cosa alquanto straordinaria.

Knock. È una cosa, soprattutto, che mi lusinga in sommo grado.

Nobil Donna. Voi vi direte forse che è una delle conseguenze della con­fusione attuale, e che mentre si ve-dono tanti villanzoni e bottegai marciare in carrozza e bere champagne con le attrici, una damigella Lampoumas, la cui famiglia risale, senza interruzione, al tredicesimo secolo e possedette giàmezzo paese, imparentata con tutta la nobiltà e l'alta borghesia del dipartimento, si sia ridotta a far la coda con i poveri e le povere fem­minucce di San Maurizio. Confessate, dottore, che se ne son viste di più belle!

Knock. Ahimè! Sì signora.

Nobil Donna  [con una parlantina a tutto andare]. Non vi dirò che le mie rendite siano rimaste quelle d'una volta, né ch'io abbia conservato la pompa di sei domestici e di due pari­glie in scuderia, che erano di pram­matica in casa Lempoumas fino alla morte di mio zio. L'anno scorso mi dovetti anzi risolvere a vendere un possedimento di centosessanta ettari, la Michouille. Questo vocabolo di La Michouille ha delle origini greco la­tine, a quanto pretende il nostro cu­rato. Deriverebbe da Mycodio e vor­rebbe dire «odio del fungo» per la ragione che non si sarebbe trovato un solo fungo in quella tenuta come se il suolo ne avesse orrore. Vero è che tra le tasse e le riparazioni non ne traevo più che una somma ridicola. Ne avevo abbastanza. Non credete, dottore, che, a conti fatti, io abbia avuto ragione a disfarmene?

Knock [che non ha cessato di es­sere perfettamente attento]. Lo credo, signora, specialmente se vi piacciono i funghi e se, quel che più importa, avete saputo ben collocare il vostro denaro.    

Nobil Donna. Ahi! Avete toccato la piaga sul vivo! Giorno e notte io mi domando se l'ho collocato bene e ne dubito. Ho seguito i consigli di quel bestione di notaio, brav'uomo del re­sto, ma che io credo men lucido del tavolino di sua moglie, che un tempo, come saprete, servì da interprete agli spiriti... Sia detto in confidenza, ho acquistata una certa quantità di azioni carboniere. Che ne pensate, dottore?

Knock. Sono, in generale, ottimi ti­toli un po' speculativi, forse soggetti a rialzi inconsiderati, seguiti da ri­bassi inesplicabili.

Nobil Donna. Ah! mio Dio! Voi mi fate venire la pelle d'oca. Ho l'im-pressione di averli acquistati in pieno rialzo. E ne ho per cinquantamila franchi. È una pazzia!                  

Knock. Mi sembra infatti che in­vestimenti simili non dovrebbero rap­presentare più d'un decimo dell'avere totale.

Nobil Donna. Ah? Non più di un decimo? Ma allora non si può chia­mare una pazzia?

Knock. Non mi pare.

Nobil Danna. Voi mi rassicurate, dottore. Ne avevo bisogno. Non po­treste credere quali tormenti mi dà la gestione dei miei quattro soldi. Mi dico talvolta se non dovrei avere altri pensieri per scacciare quello. La na­tura umana è una povera cosa, dot­tore mio. È scritto che noi non pos­siamo far sloggiare un dolore se non col farne subentrare un altro. Ma poi, almeno, c'è tornaconto a cambiare? Non vorrei più pensare a tutte que­ste storie di affittuari, di contadini, di titoli. E tuttavia, non posso mica, alla mia età correre le avventure amorose, ah! ah! ah!... né intraprendere un viaggio attorno al mondo... Ma vi do­mando scusa, dottore, voi vi aspettate senza dubbio che vi dica il perché ho fatto la coda alla vostra consultazione gratuita.

Knock. Quale ne sia la ragione, si­gnora, è certamente eccellente.

Nobil Donna. Ebbene, ho voluto dare l'esempio. Avete avuto una bella e nobile ispirazione. Ma io la conosco questa gente e ho pensato: Non sono abituati, non andranno... E mi son detta: Se vedono che una Nobil Don­na Pons, nata Lempoumas, non esita ad inaugurare le visite gratuite, non avranno più vergogna a farsi vedere. Perché i miei più piccoli gesti sono osservati e commentati. E questo è na­turale.

Knock. Il vostro atto è lodevolissimo, signora, e ve ne ringrazio.

Nobil Donna [facendo atto di ritirarsi]. Felicissima, dottore, d'aver fat­ta la vostra conoscenza. Rimango in casa tutti i giorni dopo pranzo. Viene qualche persona. Facciamo circolo at­torno ad una vecchia teiera Luigi XV che ho ereditata da mia nonna. Vi sa­rà sempre da parte una tazza per voi. [Knock s'inchina; essa fa un passo verso la porta] Ma, mio Dio, tutti questi pensieri di fittavoli e di titoli, ci credete, dottore, che non mi lasciano riposare la notte? Ho delle notti in­quiete, agitate. È terribile! Non cono­scereste, dottore, un segreto per farmi dormire?         

Knock. È un pezzo che soffrite d'in­sonnia?                      

Nobil Donna. Da molto, molto tempo.

Knock. Ne avevate parlato al dottor Parpalaid?

Nobil Donna. Sì, parecchie volte.

Knock. E che cosa v'ha detto?

Nobil Donna. Di leggere ogni sera tre pagine del codice civile. Era uno scherzo. Il dottore non ha mai preso la cosa sul serio.

Knock. Forse ha avuto torto. Per­ché vi sono dei casi d'insonnia il cui significato è di una eccezionale gra­vità.

Nobil Donna. Davvero?     

Knock. L'insonnia può essere dovu­ta a un turbamento essenziale della circolazione intracerebrale e particolar­mente ad una alterazione dei vasi detta « a canna di pipa ». Voi signora, ave­te forse le arterie del cervello a canna di pipa.

Nobil Donna. Cielo! A canna di pipa! L'uso del tabacco, dottore, vi sarebbe per qualche cosa? Non disde­gno ogni tanto qualche presina.

Knock. E' un punto che bisogne­rebbe esaminare. L'insonnia può an­che provenire da un attacco profondo e continuo della sostanza grigia per effetto nevralgico.


Nobil Donna. Dev'essere terribile. Spiegatemi, dottore.

Knock [molto posatamente]. Immaginatevi un granchio o un polipo, o un gigantesco ragno che vi rosicchi, vi corroda e vi solletichi dolcemente il cervello.

Nobil Donna. Oh! [Cade abbattuta sulla poltrona]   C’è da svenire d'orrore! Ma ecco quello che ho! Lo sento! Lo sento! Dottore, ve ne prego, uccidetemi subito! Una puntura ! Una puntura!... E poi no, non mi abbandonate. Mi sento arrivare all'ultimo grado dello spavento!   [Un silenzio] Dev'essere un male assolutamente in­curabile? E mortale?

Knock. No.

Nobil Donna. C’è speranza di guarigione?

Knock, Sì, a lungo andare.   

Nobil  Donna.   Non   m'ingannate, dottore. Voglio sapere la verità.    

Knock. Tutto dipende dalla regola­rità e della durata della cura.  

Nobil Donna. Ma da che cosa si può guarire? Dalla canna di pipa o dal ragno? Perché io sento benissi­mo che, nel mio caso, si tratta piut­tosto del ragno.

Knock. Si può guarire dall'una e dall'altro. Forse non oserei dare que­sta speranza ad un povero malato qualsiasi, che non avesse né tempo né mezzi per curarsi secondo i metodi più moderni. Con voi la cosa è di­versa.

Nobil Donna. Oh! io sarò una ma­lata docilissima, dottore, sottomessa come un cagnolino. Passerò ove oc­corra passare, specialmente se la cura non sarà troppo dolorosa.       

Knock. Non sarà affatto dolorosa dal momento che si farà appello alla radioattività. La sola difficoltà è di avere la pazienza di seguire saggia-mente questa cura per due o tre anni e di avere sottomano un medico che si attenga ad una sorveglianza inces­sante del corso della guarigione, ad un calcolo minuzioso delle dosi radio­attive, nonché a delle visite quasi quo­tidiane.

Nobil Donna. Oh ! la pazienza non mi mancherà. Voi piuttosto, dottore, temo che non vorrete occuparvi di me quanto sarà necessario.

Knock. Volere, volere! Si tratta di potere. Abitate lontano?

Nobil Donna. Ma no, a due passi. La casa di rimpetto alla posta.

Knock. Cercherò di fare un salto tutte le mattine, eccetto la domenica e il lunedì per via dei consulti.

Nobil Donna. Ma sarà un interval­lo troppo lungo due giorni di seguito.

Knock. Vi lascerò istruzioni particolareggiate. E poi, quando troverò due minuti di tempo, passerò la do­menica mattina e il lunedì dopo pranzo.

Nobil Donna. Ah! meno male! meno male! [Si rialza] E subito che devo fare?

Knock. Tornare a casa e rimanere in camera. Verrò a trovarvi domani mattina e vi esaminerò più a fondo.

Nobil Donna. Non ho da prendere medicine per oggi?

Knock. Ma... sì... [Traccia una ri­cetta] Passate dal signor Mousquet e fatevi preparare subito questa prima ricettina.

SCENA VI.

Knock e i due Giovani del villaggio.

Knock [di dentro]. Ma, Marietta, che cos'è tutta questa gente? Avete annunciato che le consultazioni gratuite finivano alle undici e mezza?...

Voce di Marietta. L'ho detto, ma vogliono restare.

Knock. Chi è il primo?

[Due giovanotti del paese si avanzano. Frenano a stento il riso   dandosi  delle   gomitate. Strizzate d'occhi, scoppi di ri­satine. Dietro ad essi la folla prende gusto a vederli e si fa alquanto  rumorosa. Knock finge di non avvedersi di nulla].

Knock. Chi di voi due?

Primo Giovane. Ih! ih! ih!... Tutti e due... Ih! ih! ih!...

Knock. Non vorrete passare insieme, spero?

Primo Giovane. Sì, sì. Ih! ih! ih! sì, sì!...              

[Risa in anticamera].

Knock. Non posso ricevervi tutti e due alla volta. E poi, dico, poco fa non c'eravate. Ci sono altri prima di voi.

Primo Giovane. Ci han permesso di passare avanti... Ih! ih! ih!...

[Risa e suoni gutturali]

Secondo   Giovane   [fatto   ardito]. Noi due si va sempre insieme. Si fa il paio! Ih! ih! ih!...   

[Nuove risa in anticamera].

Knock [si morde il labbro e con tono più freddo]. Avanti! [Richiude la porta. Al primo giovanotto] Spo­gliatevi. [Al secondo, indicandogli una sedia] Voi, sedetevi là.

[I due giovani si scambiano ancora dei segni ed emettono suoni gutturali, ma con minore spontaneità,  anzi  con  sforzo].

Primo Giovane [in calzoni e mani­che   di   camicia].   Devo   spogliarmi nudo?


Knock. Toglietevi anche la camicia. [Il giovane appare in corpetto di fla­nella]   Basta  così.   [Gli si avvicina, gli gira attorno, palpa,  percuote col dito, ascolta, tira la pelle, rivolta le palpebre, ripiega le labbra poi va a prendere una lampada-specchio fron­tale, se l'applica lentamente alla testa, e d'improvviso, ne proietta la luce ac­cecante sul viso, la gola, gli occhi del giovane. Quando questi è domato, gli indica la « chaise-longue »] Distende­tevi qua... Su, piegate i ginocchi... [Palpa il ventre, applica qua e là lo stetoscopio] Allungate il braccio... [Esamina il polso; prende la pres­sione arteriosa] Sta bene, rivestitevi. [Silenzio; il giovanotto si riveste] Avete ancora vostro padre?

Primo Giovane. No, è morto.

Knock. Di morte improvvisa?

Primo Giovane. Sì.

Knock. Lo sapevo. Non doveva es­sere molto vecchio?

Primo Giovane. No, quarantanove anni.

Knock. Così vecchio??

[Lungo si­lenzio. Knock accenda una sigaretta. I due giovanotti non han più nessuna voglia dì ridere. Knock va a rovistare in un angolo della stanza, presso un mobile, e torna con un grande cartone illustrato che rappresenta i principali organi dell'alcolizzato avanzato e quelli dell'uomo normale. Si rivolge al primo giovane e con bel garbo gli spiega] Vi mostrerò in quale stato sono i vostri organi principali. Ecco qua i reni d'un uomo normale... Ed ecco i vostri... [Con delle pause] Ecco qua il vostro fegato... Ecco il vostro cuore... Ma in voi il cuore è già più malconcio di quanto non sia raffigurato qua sopra.

[Va tranquillo a rimettere a posto il quadro].

Primo Giovane [timidissimo]. Sarà forse bene che smetta di bere?

Knock.  Farete  come vorrete.

[Un silenzio].

Primo Giovane. C'è qualche rime­dio da prendere?

Knock. Non ne vale la pena. [Al secondo] A voi, ora.

Primo Giovane [timido, timido]. Se crede, signor dottore, posso torna­re per una visita a pagamento.

Knock. È proprio inutile.

Secondo Giovane [timoroso]. Io non ho nulla, signor dottore.   

Knock. Che ne sapete ?

Secondo Giovane [indietreggia tre­mando]. Mi sento benissimo, signor dottore.

Knock. E allora, perché siete ve­nuto?


Secondo Giovane   [c. s.]. Per ac­compagnare... l'amico...

Knock. Non era grande abbastanza per venire da solo? Via, spogliatevi! Secondo Giovane [va verso la por­ta]. No, no, signor dottore, oggi no... Tornerò, signor dottore...     

[Silenzio. [Knock apre la porta. Si sente il mormorio confuso della gente che si accinge a ridere. Knock lascia passare i due gio­vanotti che escono mogi mogi con facce diversamente smar­rite e atterrite e passano attraverso la folla fattasi d'un trat­to silenziosa come un funerale].


ATTO   TERZO

La grande sala dell'Albergo della Chiave. Vi si deve sentire l'Albergo del capoluogo in via di trasformarsi in « Medical-Hotel ». I calendari di liquoristi vi son rimasti. Ma i nichel, le vernici a smalto, le tele bianche dell'asepsi moderna vi appaiono.

SCENA I.

La Signora Remy e Scipione.

Signora Remy. È arrivata la car­rozza,  Scipione ?

Scipione. Sì, signora.

Signora Remy. Dicevano che la strada era impraticabile per via della neve.

Scipione. Bah! Quindici minuti di ritardo.                                              

Signora Remy. Di chi sono questi bagagli ?

Scipione. Di una signora di Livron che viene per farsi visitare.

Signora  Remy.   Ma   l'aspettavamo soltanto per questa sera.

Scipione. Ma no. La signora di questa sera viene da San Marcellino.

Signora Remy. E questa valigia?

Scipione. Di Ravachol.

Signora Remy. Come! Il signor Parpalaid è qui?

Scipione. È qui.  

Signora Remy. Che cosa viene a fare? Non per riprendere il suo po­sto, spero?                

Scipione. È probabile che venga a farsi visitare anche lui.

Signora Remy. Ma non abbiamo più che il 9 e il 14 disponibili. Serbo il 9 per la signora di San Marcellino. Al 14 cimetto la signora di Livron. Potevate dire a Ravachol che non ci restava più niente.    

Scipione. Ci restava il 14. Io non avevo istruzioni per scegliere tra la signora di Livron e Ravachol.

Signora Remy. Oh! questo sì che mi secca.

Scipione. Cercate di spicciarvela. Io bisogna che mi occupi dei malati.

Signora Remy. Ma niente affatto, Scipione. Aspettate il signor Parpalaid e spiegategli che non abbiamo più camere. Non posso dirglielo io.

Scipione. Mi dispiace, ma ho appe­na il tempo d'infilare la blusa. Il dottor Knock sarà qui a momenti. Ho da raccogliere le orine del 5 e dell'8, gli sputi del 2, la temperatura dell'1, del 4, del 12, del 17, del 18 e via di seguito. Non ho nessuna voglia di prendere un cicchetto.

Signora Remy. Non volete nemme­no portare di sopra i bagagli di que­sta signora?       

Scipione. E la cameriera? Sta infi­lando le perle? [Lascia la scena. Vedendo entrare Parpalaid, la Signora fa lo stesso].

scena ii

Parpalaid poi la Cameriera.

Parpalaid. Uhm!... Non c'è nessu­no?... Signora Remy... Scipione... Cu­rioso, la mia valigia è sempre qua... Scipione !

Cameriera [tenuta d'infermiera]. Signore?... Desidera?

Parpalaid. Vorrei vedere la pa­drona.  

Cameriera. Per che cosa? Scusi.

Parpalaid. Perché mi indichi la mia camera.

Cameriera. Io non so... Lei è uno degli ammalati annunciati?

Parpalaid. Io non sono un malato, signorina. Sono un medico.

Cameriera. Ah! viene ad assistere il dottore? È un fatto che ne avrebbe bisogno.

Parpalaid. Ma, signorina, non mi riconoscete? Camerièra. Affatto.           

Parpalaid, Il dottor Parpalaid. Fi­no a tre mesi fa ero io il medico di San Maurizio. Senza dubbio, voi non siete del paese?

Cameriera. Sì che lo sono. Ma non sapevo che vi fosse un medico prima del dottor Knock. [Silenzio] Con per­messo. La padrona verrà certamente. Bisogna che termini la sterilizzazione delle federe dei guanciali.           [Via].

Parpalaid. Quest'albergo ha preso un aspetto singolare.

SCENA III.

Parpalaid, la Signora Remy.

Signora Remy [sbirciando]. È an­cora qua! [Si decide] Buongiorno, si­gnor Parpalaid. Non venite per pren­dere alloggio, suppongo?

Parpalaid. Ma sì... Come state, si­gnora Remy ?

Signora Remy. E come si fa? Non ho più camere.

Parpalaid. È giorno di fiera, oggi?

Signora Remy. No, è un giorno co­me tutti gli altri.

Parpalaid. E in un giorno ordinario avete tutte le camere occupate?

Signora Remy. Tutto l'albergo è pieno di malati.

Parpalaid. Malati?


Signora Remy. Ossia, gente che se­gue una cura.

Parpalaid. E perché alloggiano qui?

Signora Remy. Perché a San Mau­rizio non ci sono altri alberghi. Qui del resto stanno benissimo. In attesa che sia pronta la nostra nuova instal­lazione, ricevono tutte le cure, e tutte le regole dell'igiene moderna sono os­servate.

Parpalaid. Ma da dove vengono ?

Signora Remy. Da qualche tempo ne vengono  dappertutto.  Sul  primo era quasi sempre gente di passaggio.

Parpalaid. Noncapisco.

Signora Remy. Sì, gente di fuori che si trovava a San Maurizio per af­fari. Sentivano parlare del dottor Knock e, per ogni buon fine, anda­vano a consultarlo. E buon per loro che la fausta stella li condusse a San Maurizio, altrimenti chi sa quan­ti ne sarebbero morti.

Parpalaid. E perché sarebbero morti?

Signora Remy. Perché, senza sospet­tare di nulla, avrebbero continuato a mangiare e bere e commettere cento altre imprudenze.

Parpalaid. E tutta questa gente è rimasta qui?

Signora Remy. Sì. Sul primo si fa­cevano visitare se ne ritornavano a casa per mettersi a letto e cominciare la cura. Oggi invece ci fanno il viag­gio apposta e preferiscono rimanere. Il male è che non abbiamo più posto. Faremo costruire.

Parpalaid. È straordinario!

Signora Remy. Capisco che a voi deve sembrare straordinario. Se aveste dovuto condurre la vita del dottor Knock, a quest'ora implorereste grazia.            

Parpalaid. Ah? Che vita conduce?

Signora Remy. Una vita da cane. Non ha finito d'alzarsi che è già in giro per le visite. Alle dieci passa al­l'albergo. Lo vedrete fra cinque mi­nuti. Poi, visite a casa sua. E visite dì nuovo da un capo all'altro del cantone. È vero che ha la sua auto­mobile, una bella vettura nuova che conduce lui stesso come un fulmine. Ma son sicura che gli accade spesso di pranzare con un sandwich.

Parpalaid. Proprio come a me, a Lione.

Signora Remy. Ah! Eppure qui avevate saputo procurarvi una piccola vita tranquilla. Vi ricordate le belle partite a bigliardo al nostro caffè?

Parpalaid [toccato]. Segno che ai miei tempi c'era più salute.

Signora Remy. Non dite questo, si­gnor Parpalaid. A nessuno allora ve­niva in mente di curarsi. Ci son ta­luni che s'immaginano che noi gente di campagna viviamo ancora come sel­vaggi, che ci trascuriamo e aspettiamo la nostra ora per crepare come cani. Rimedi, regimi, apparecchi, progressi, è tutta roba fatta pei signori e le gran­di città. Errore, signor Parpalaid! Noi ci apprezziamo né più né meno di ogni altro, e per quanto tirati nello spendere, non esitiamo a procacciarci il necessario. Voi, signor Parpalaid, vedete ancora il contadino d'una vol­ta, avvezzo a spaccare il soldo in quat­tro e che avrebbe preferito perdere un occhio o una gamba piuttosto che buttare un franco dal farmacista. I tempi sono mutati, grazie a Dio.

Parpalaid. Insomma, se la gente è stufa di star bene e vuol pagarsi il lusso di star male, padronissima, si accomodi... Tanto di guadagnato per il medico, dopo tutto.

Signora Remy [animandosi tutta]. In ogni modo non potrete mai dire che il dottor Knock sia un interessato. A lui si devono le consultazioni gra­tuite che qui non s'erano mai sognate. Per le visite fa solo pagare le persone che han mezzi — sfido io! altrimenti sarebbe un brutto affare, convenite — ma non accetta nulla dai poveri. Lo si vede correre per tutto il cantone, sprecare magari dieci franchi di ben­zina per fermarsi con la sua bella vet­tura davanti alla casupola d'una po­vera vecchia che non ha da dargli nemmeno una ricottina di capra. E mente chi insinua che scopre malanni a chi non ne ha. Io per la prima, mi sarò fatta visitare dieci volte dacché viene in albergo. E sempre m'ha det­to che non avevo niente, che stessi tranquilla e continuassi a badare alle mie faccende... E non c'è stato mai verso di fargli accettare un centesimo. La stessa cosa per il signor Bernard, il maestro di scuola, che s'era messo in testa di portare addosso dei germi e non si poteva dar pace. Per rassi­curarlo il dottor Knock è giunto per-sino ad analizzargli gli escrementi tre volte... Ma ecco appunto il signor Mousquet che viene col dottore a fa­re una presa di sangue al 15. Potrete discorrere insieme. [Dopo riflessione] Basta, datemi pure la vostra valigia, vedrò di trovarvi un cantuccio.

SCENA IV.

Parpalaid e Mousquet.

Mousquet [che ora veste più a mo­do]. Non c'è ancora il dottore?... Ah! il dottor Parpalaid! E come va da queste parti? Era un pezzo che non ci si vedeva...

Parpalaid. Un pezzo? Appena tre mesi.

Mousquet. Ma già! Tre mesi! È ve­ramente prodigioso! [Protettore] E, siete contento a Lione?                  

Parpalaid. Contentissimo, grazie.


Mousquet. Ho piacere... Avevate forse una clientela già bell'e fatta laggiù?

Parpalaid. Mah... L'ho già accre­sciuta d'un terzo... E la signora Mou­squet sta bene?

Mousquet. Sì, ha molto migliorato.

Parpalaid. È stata male?

Mousquet. Come? non ricordate che andava soggetta ad emicranie... Voi,  è vero, non vi  davate importanza. Il dottor Knock ha subito dia­gnosticato una insufficienza di secre­zioni ovariche ed ha prescritto un trattamento opoterapico che ha fatto miracoli.

Parpalaid. Ah! non ne soffre più?

Mousquet. Delle emicranie d'una volta? Ma niente affatto. Le pesan­tezze alla testa che risente ancora di tanto in tanto provengono unicamente dal troppo strapazzo. Perché adesso abbiamo un da fare del diavolo... Mi toccherà anzi prendere un giovane di farmacia. Non avete nessuno da rac­comandarmi?           

Parpalaid. No, ma ci penserò.

Mousquet. Ah! non è più davvero la vita noiosa di una volta. Per quan­to mi corichi tutte le sere alle undici e mezzo, non faccio in tempo a spedire tutte le ricette.

Parpalaid. Insomma, è il Perù?

Mousquet. Una cosa è certa, ed è che ho quintuplicato la mia cifra d'af­fari e non me ne lagno davvero. Ma ci son ben altre soddisfazioni che que­sta. Io, mio caro dottor Parpalaid, amo il mio mestiere e godo nel sentirmi utile. Trovo più piacere a tirare il col­lo che a rodere il freno. Semplice questione di temperamento... Ma ecco qua il dottore.       

SCENA V.

Detti e Knock.

Knock. Signori... Buongiorno, dot­tor Parpalaid. Pensavo a voi. Avete fatto buon viaggio?

Parpalaid. Eccellente.

Knock. Siete venuto con la vostra automobile?    

Parpalaid. No, col treno.

Knock. Ah! bene... Si tratta della scadenza, non è vero?

Parpalaid. Vuol dire che profitterò dell'occasione...

Mousquet. Vi lascio, signori...

[Al dottor Knock]  Salgo dal 15.       

    


SCENA VI.

Parpalaid e Knock.

Parpalaid. Adesso non mi accusate più di avervi raggirato?

Knock. L'intenzione c'era, collega mio caro.

Parpalaid. Non mi negherete però che vi ho ceduto il posto e il posto valeva qualche cosa.

Knock. Oh! avreste potuto rima­nervi. Non sarebbe stato che un pic­colo disturbo per entrambi... Il signor Mousquet vi ha parlato dei nostri pri­mi risultati?

Parpalaid. Me ne ha parlato.

Knock [frugando nel suo portafo­glio] . A titolo puramente confidenzia­le, posso comunicarvi qualcuno dei miei grafici. Non durerete fatica a riannetterli alla nostra conversazione di tre mesi fa. I consulti prima di tutto. Questa curva esprime le cifre ebdomadarie. Partiamo dalla vostra stessa cifra che io ignoravo, ma che ho fissata approssimativamente a cin­que.

Parpalaid. Cinque consulti alla set­timana? Dite arditamente il doppio, caro collega.

Knock. Sia pure. Ecco qua le mie cifre, — ben inteso, non conto le consultazioni gratuite del lunedì. Metà Ottobre, 37; fine Ottobre, 90; fine Novembre, 128. Fine Dicembre, non ho ancora fatto il computo, ma pas­siamo i 150. D'altronde, per man­canza di tempo, devo ormai sacrificare la curva dei consulti a quella delle cure continuate. Per se stesso, anzi, il consulto non ha più per me che uno scarso interesse. Èun'arte alquan­to rudimentale, una specie di pesca alla rete. Ma la cura continuata è la piscicoltura.

Parpalaid. Scusatemi, caro collega. Le vostre cifre sono rigorosamente esatte?

Knock. Rigorosamente.                 

Parpalaid. In una sola settimana, si son potute trovare nel cantone di San Maurizio, 150 persone che da casa loro si siano disturbate per venire a far la coda, pagando, alla porta del medico? Immagino che non ci sarà voluta la forza, né altra imposizione qualunque?

Knock. Non ci son voluti né i gen­darmi, né la truppa.

Parpalaid. È davvero inesplicabile.

Knock. Passiamo alla curva delle cure regolari. Primi d'Ottobre, è la si­tuazione che voi mi lasciaste: Malati in cura regolare a domicilio: zero, non è vero? [Parpalaid accenna una de­bole protesta] Fine Ottobre, 32; fine Novembre 121. Fine Dicembre, la no­stra cifra si terrà tra i 245 e i 250.

Parpalaid. Ho l'impressione che voi abusiate della mia credulità.

Knock. Io non trovo la cifra enorme. Non dimenticate che il cantone comprende 2853 focolari domestici, e su questi, 1502 redditi reali che sor­passano i dodici mila franchi.

Parpalaid. Che cosa c'entrano i red­diti?      

Knock [si accinge a lavarsi le ma­ni]. Voi non potrete certo imporre il peso d'un malato in permanenza ad una famiglia il cui reddito non rag­giunga i dodici mila franchi. Sarebbe abusare. E nemmeno per gli altri si potrebbe stabilire un regime uniforme. Io ho quattro categorie di trattamento. La più modesta, per i redditi da dodici a ventimila, non comporta che una visita per settimana e cinquanta fran-chi di spese farmaceutiche al mese. Su, in cima, il trattamento di lusso per redditi superiori ai cinquantamila franchi, mi porta ad un minimo di quattro visite alla settimana e di tre­cento franchi al mese di spese diverse: raggi X, radio, massaggi elettrici, ana­lisi, assistenza medica, ecc.

Parpalaid. Ma come li conoscete i redditi dei vostri clienti?

Knock [comincia a lavarsi minu­ziosamente le mani]. Non certo dagli agenti del fisco, vi assicuro. E per for­tuna! Io enumero mille e cinquecentodue redditi superiori ai dodicimila; l'agente delle Imposte ne calcola di­ciassette. Il reddito più grosso della sua lista è di ventimila. Il più gros­so della mia è di centoventimila. Non concordiamo mai. Bisogna riflettere che lui lavora per lo Stato.

Parpalaid. E le vostre informazioni da dove provengono?

Knock [sorridendo]. Da parecchie fonti. È stato un lavoro punto facile, sapete? Mi ci volle quasi tutto il me­se d'ottobre e continuo sempre a mo­dificarlo. Guardate qua! Bello, nevvero?

Parpalaid. Si direbbe una carta del cantone. Ma che significano questi punti rossi?           

Knock. È la carta della penetrazione medica. Ogni punto rosso indica l'ubi­cazione d'un ammalato regolare. Un mese fa, qui avreste visto un'enorme macchia grigia: la macchia di Chabrière.

Parpalaid. Come?

Knock. Sì, dal nome del casale che ne forma il centro. Il mio sforzo di queste ultime settimane venne con­centrato principalmente su questa zo­na. Oggi la macchia non è scomparsa, ma è di molto rimpicciolita, non e vero? La si nota appena.    [Silenzio].

Parpalaid. Se anche volessi nascon­dervi il mio sbigottimento, mio caro collega, non ci arriverei. Non posso certo mettere in dubbio i vostri risul­tati. Mi furono confermati da diver­se parti. Voi siete un uomo stupefa­cente. Altri si asterrebbero dal dirvelo; lo penserebbero o non sarebbero medici. Ma mi permettete di farvi una franca domanda?

Knock. Ve ne prego.

Parpalaid. Se io possedessi il vostro metodo, se l'avessi sulla punta delle dita come voi...  se non mi restasse" altro che metterlo in pratica...

Knock. Sì.      

Parpalaid. Non proverei forse scru­polo?  [Silenzio] Rispondetemi.

Knock. Sta a voi rispondere, mi pare.

Parpalaid. Notate che io non faccio nessuna opposizione. Sollevo un punto estremamente delicato. [Silenzio].

Knock. Vorrei comprendervi me­glio.                               

Parpalaid. Voi direte che io voglio atteggiarmi a moralista... che vado cer­cando il pelo nell'uovo... Ma nel vo­stro metodo, l'interesse del malato non è forse un poco, subordinato all'inte­resse del medico?

Knock. Dottor Parpalaid, voi di­menticate che c'è un interesse supe­riore a questi  due.    

Parpalaid. Quale?

Knock. Quello della medicina. È il solo di cui io mi preoccupo.

[Silenzio. Parpalaid medita].

Parpalaid. Già, già, già...

Knock. Voi mi date un comune po­polato di migliaia di individui neutri indeterminati. Il mio compito è quello di determinarli, di indurli all'assisten­za medica. Li metto a letto, e guardo che cosa ne potrà venir fuori: un tu­bercoloso, un neuropatico, un arterio-sclerotico, quel che si vuole, ma qual­cuno, vivaddio, qualcuno! Non c'è co­sa che mi urti come quell'essere né carne né pesce che voi chiamate un uomo sano.        

Parpalaid. Non potete tuttavia met­tere a letto tutto un contado.

Knock [mentre si asciuga le mani]. Questo si potrebbe discutere... Perché io, proprio io, ho conosciuto cinque persone della stessa famiglia, malate tutte in una volta, a letto tutte in una volta, e che pure si sbrogliavano benissimo. La vostra obiezione mi fa pensare a quei famosi economisti che pretendevano che una grande guerra moderna non potesse durare ormai più di sei settimane. La verità è che noi manchiamo tutti d'audacia e che nessu­no, io nemmeno, oserà andare sino in fondo e mettere a letto tutta una po­polazione per vedere, per vedere! Ma sia pure. Vi accorderò che la gente sa­na ci vuole, non fosse altro che per curare gli altri, o formare, dietro ai malati in attività, una specie di riserva. Quello che non posso soffrire è che la salute assuma delle arie di pro­vocazione, perché allora, convenite, si va agli eccessi. Noi chiudiamo gli oc­chi su troppi casi, lasciamo a troppa gente la loro maschera di prosperità. Ma se poi ci vengono davanti a pavoneggiarsi, a farci tanto di naso, io mi arrabbio sul serio!... È quanto m'è accaduto col caro signor Raffalens...

Parpalaid. Ah! il colosso, quello che si vanta di portare sua suocera a braccio teso.                

Knock. Già. M'ha sfidato per quasi tre mesi. Ma l'ho servito!   

Parpalaid. Che?

Knock. Sta a letto. Le sue bravate cominciavano ad affievolire lo spirito medico della popolazione.

Parpalaid. Sussiste tuttavia una se­ria difficoltà.

Knock. Quale?            

Parpalaid. Voi non pensate che al medico. Ma il resto? Non temete che generalizzando l'applicazione dei vo­stri metodi, ne consegua un certo ri­lassamento delle altre attività sociali, alcune delle quali sono, malgrado tut­to, interessanti?

Knock. Questo non mi riguarda. Io faccio della medicina.

Parpalaid. E’ vero che quando co­struisce la sua linea ferroviaria, l'in­gegnere non si domanda che cosa ne pensi il medico condotto.

Knock. Perdinci!

[Risale verso il fondo e s'accosta ad una finestra. Da questo punto in poi l'illuminazione della scena deve assumere a poco a po­co e fino al termine dell'atto, le ca­ratteristiche della « Luce Medica » la quale, come si sa, è più ricca in raggi verdi e violetti che non la semplice luce terrestre].

Venite un po' qui, dottor Parpalaid... Voi conoscete la vista che si gode da questa finestra. Tra due partite di bigliardo chi sa quante vol­te l'avrete ammirata... Laggiù, in fon­do, il Monte Aligre segna i limiti del cantone. I villaggi di Mesclat e di Trebures si scorgono a sinistra; e da questo lato, se le case di San Mauri­zio non formassero una specie di go­mito, avremmo la vista di tutta la val­lata punteggiata di ville e di casola­ri... Ma voi in tutto questo non avete dovuto afferrare se non le bellezze na­turali che avete cantato poeticamente... Era un paesaggio rude, appena umano, quello che voi contemplavate. Oggi, io ve lo mostro tutto impregnato di medicina, animato e percorso dal fuo­co sotterraneo della, nostra arte... Quando arrivai qui per la prima vol-ta non ero molto fiero; sentivo come la mia presenza non pesasse gran che. Questo vasto territorio sembrava dire chiaramente che avrebbe fatto volen­tieri a meno di me e dei miei pari. Ma oggi io mi ci sento talmente a mio agio quanto l'organista dei grandi organi davanti alla tastiera. In due­centocinquanta di queste case — non le vediamo tutte a causa della lonta­nanza e del fogliame, ma non  im­porta — ci sono duecentocinquanta ca­mere in cui qualcuno fa confessione di medicina;   duecentocinquanta letti in cui un corpo disteso sta a testimo­niare che la vita ha un senso e, in grazia mia un senso medico... Di not­te, lo spettacolo è ancora più bello perché ci sono le luci. E quasi tutte le luci sono mie. Coloro che non so­no malati dormono nelle tenebre. So­no soppressi. Ma i malati han lasciato acceso il loro lumino da notte o la lampada. Tutto ciò che resta a mar­gine della medicina, la notte me ne sbarazza, me ne cela il fastidio e la sfida. Il cantone fa largo a una specie di firmamento di cui io sono il crea­tore continuo... E non vi parlo delle campane. Pensate che per tutta questa gente, il loro primo ufficio è quello di ricordare le mie prescrizioni, ch'es­se sono la voce delle mie ricette. Pen­sate che fra  qualche istante...   [con­sulta l'orologio] suoneranno le dieci... che per tutti questi malati le dieci vo­gliono dire la seconda presa di tem­peratura  rettale,   e  che   fra   qualche istante...  duecentocinquanta termome­tri penetreranno tutti in una volta... [I rintocchi delle dieci suo­nano all'orologio del paese]. Parpalaid [con emozione, afferran­dogli il braccio]. Mio caro collega, vorrei proporvi una cosa.

Knock. Che cosa?

Parpalaid. Un uomo come voi non è al suo posto in un capoluogo di pro­vincia.  Per voi ci vuole la grande città.

Knock. L'avrò presto o tardi.

Parpalaid. Attento. Voi siete giunto all'apogeo delle vostre forze. Fra qual­che anno declineranno. Credete a me che ho esperienza.

Knock. Allora?    

Parpalaid. Allora, non dovreste più attendere.

Knock. Avete una situazione da offrirmi ?

Parpalaid. La mia. Ve la regalo. Meglio di così non potrei provarvi la mia ammirazione.

Knock. Sì, sì... E voi, che ne sa­rebbe di voi?                     

Parpalaid. Io! Mi contenterei di nuovo di San Maurizio.     

Knock. Già.

Parpalaid. E vi dirò di più.. Quei pochi biglietti da mille che mi dovete ve ne faccio dono.

Knock. Già... in fondo, voi non siete poi quello stupido che tutti pre­tendono.

Parpalaid. Come?


Knock. Producete poco, ma sapete comperare e vendere. Sono le qualità del commerciante.                 

Parpalaid. Vi assicuro che...

Knock. Siete anche, per questo, buon psicologo. Voi indovinate che, dal momento che guadagno molto, non tengo più al denaro e la pene­trazione medica di uno o due quar­tieri di Lione, mi farebbe presto di­menticare i miei grafici di San Mau­rizio. Oh! non ho certo l'intenzione d'invecchiare qui, ma da questo a get­tarmi a capofitto nella prima occasio­ne venuta...

SCENA VII.

Detti e Mousquet.

Mousquet attraversa discretamente la sala

per raggiungere l'uscita. Knock lo ferma.

Knock. Avvicinatevi, caro amico. Sapete che cosa mi propone il dottor Parpalaid? Un cambiamento di resi­denza. Io dovrei prendere il suo posto a Lione, e lui tornerebbe qui.

Mousquet    [riso ebete].    È    uno scherzo...    

Knock. Affatto. Un'offerta serissima.  

Mousquet [si siede]. Mi cascano le braccia... Ma, naturalmente, voi ri­fiutate?

Parpalaid.   Perché   dovrebbe   rifiutare?

Mousquet. Perché quando in cam­bio d'un fucile a retrocarica da due mila franchi, si offre una pistola ad aria compressa, marca « Eureka » chi ha due dita di cervello, per solito, ri­fiuta... Perché non proponete al dot­tore anche un baratto d'automobili?

Parpalaid. Vi prego di credere che a Lione io posseggo una clientela di prim'ordine. Son succeduto al dottor Merlu che godeva una grande riputa­zione.

Mousquet. Già, ma son passati tre mesi. E in tre mesi se ne fa del cam­mino. E più ancora in discesa che in salita. [A Knock] Anzitutto, caro dot­tore, la popolazione di San Maurizio non accetterebbe mai.

Parpalaid. La popolazione non ci ha nulla a vedere. Nessuno le domanda il suo parere.

Mousquet. Ve lo darà. Non dico che farà le barricate. Non sono più di moda e poi non abbiamo strade selciate. Ma potrebbe rimettervi sulla strada di Lione.   [Scorge la Signora Remy] Del resto, giudicherete subito.

[Entra la Signora Remy con una piccola  catasta di  piatti].


SCENA VIII.

Detti e la Signora Remy.

Mousquet. Signora Remy, vi dò una buona notizia. Il dottor Knock ci la­scia e ritorna il dottor Parpalaid.

[Essa lascia cadere la cata­sta dei piatti, ma li riprende a tempo e li tiene contro il petto a forma di rosone].

Signora Remy. Ah! ma no! Non succederà mai, ve lo dico io. [A Knock] O allora bisognerà che vi por­tino via di notte in aeroplano, perché io avvertirò tutto il paese e non vi lascerà partire, a costo di bucarvi i copertoni della vettura... In quanto a voi, signor Parpalaid, se siete venuto per questo, mi dispiace, ma non mi rimane più una camera libera e, ben­ché siamo al quattro di gennaio, vi toccherà dormire di fuori.

[Va a mettere i piatti sul tavolo].

Parpalaid [nervosissimo]. Bene! bene!... Il contegno di questa gente verso un uomo che le ha consacrato venticinque anni della sua vita, è uno scandalo!... Dal momento che a San Maurizio non c'è più posto che per il ciarlatanismo, preferisco guada­gnarmi onestamente il pane a Lione; onestamente e lautamente, del resto... Se ho pensato per un momento a ri­prendere la mia vecchia residenza, è stato, lo confesso, a cagione della sa­lute di mia moglie che non si può abituare all'aria della grande città... Dottor Knock, regoleremo i nostri af­fari al più presto possibile. Riparto questa sera.

Knock.  Voi non  ci  farete questo affronto, mio caro collega... La signo­ra Remy, nella sorpresa d'una notizia, d'altronde inesatta, e nello spavento provato di mandare a terra i suoi piat­ti, non ha potuto serbare il controllo del suo linguaggio. Le sue parole han tradito il suo pensiero... Vedete, ora che le sue stoviglie sono al sicuro, la signora Remy ha ritrovata la sua be­nevolenza naturale e i suoi occhi non esprimono ormai se non la gratitudine che divide con tutta la popolazione di San Maurizio per i vostri venticinque anni di apostolato silenzioso.

Signora Remy. Certo, il signor Parpalaid è stato sempre una garbatissima persona. E fin tanto che noi potevamo fare a meno del medico, che ci stesse lui o un altro al suo posto, era lo stesso... L'affare si faceva serio solo quando c'era un'epidemia... Perché voi non mi verrete a dire che un vero me­dico avrebbe lasciato morire tanta gen­te ai tempi della spagnola!


Parpalaid. Un vero medico! Che mi tocca sentire!... Ma sul serio, si­gnora Remy, voi credete che un vero medico possa combattere un'epide­mia mondiale? Aspettate la prossima e vedrete se il dottor Knock se la caverà meglio di me!

Signora Remy. Il dottor Knock... Sentite, signor Parpalaid, io con voi non mi metto a discutere d'automobili perché non me ne intendo. Ma oggi incomincio a sapere che cos'è un ma­lato. Ebbene, posso dirvi che in una popolazione, dove tutte le persone gra­cili sono già a letto, la si aspetta a pie' fermo la vostra epidemia mon­diale ! La cosa più terribile, come spie­gava anche l'altro giorno alla confe­renza il signor Bernard, è un fulmine ciel sereno.

Mousquet. Caro dottore, non vi consiglio un contraddittorio. Lo spirito medico - farmaceutico corre le vie. Le nozioni abbondano. E il primo venuto vi terrebbe testa.

Knock. Non ci perdiamo in dispute di scuola. La signora Remy e il dottor Parpalaid possono differire nei loro concetti e serbare nondimeno i rapporti più cortesi. [Alla signora Remy] Avrete pure una camera per il dottore?

Signora Remy. Non ce n'ho. Se si presentasse un malato riuscirei forse a dargli posto, facendo l'impossibile, perché è mio dovere...

Knock. E se vi dicessi che il dot­tore non è in istato di ripartire su­bito dopo pranzato e che, medical­mente parlando, un riposo d'un gior­no almeno, gli è necessario?

Signora Remy. Ah! sarebbe altra cosa... Ma il signor Parpalaid non è venuto per farsi visitare.

Knock. Se anche fosse venuto per questo, la discrezione professionale m'impedirebbe forse di dichiararlo pubblicamente.

Parpalaid. Che cosa andate cercan­do! Riparto questa sera, e basta.

Knock [guardandolo]. Mio caro collega... io vi parlo seriamente, un riposo di ventiquattr'ore vi è indispen­sabile. Sconsiglio la partenza per oggi, e, a buon bisogno, mi oppongo!

Signora Remy. Bene, bene, dotto­re... Non sapevo. Il signor Parpalaid avrà un letto, state pure tranquillo... Bisognerà prendergli la temperatura?

Knock. Di questo ne riparleremo poi.           

[La signora Remy si ritira].

Mousquet. Vi lascio un momento, cari signori. [A Knock] Mi si è rotto un ago e vado in farmacia a pren­derne un altro.

[Via].


SCENA IX.

Knock e il dottor Parpalaid.

Parpalaid. Dite un po', avete voluto scherzare? [Piccolo silenzio] In ogni modo, vi ringrazio. Mi allettava poco di dover rifare stasera otto ore di treno. [Piccolo silenzio] Non ho più vent'anni, e me ne accorgo. [Silenzio] È una cosa ammirevole come voi sa­pete mantenervi serio. Avete avuto un'espressione... Avevo un bel dir­mi che lo dicevate per celia e cono­scere i trucchi del mestiere... Si, sì, un'espressione e un occhio... come se m'aveste scrutato fin nel fondo dei miei organi... Mah! non ci capisco più niente...

Knock. Cosa volete, lo faccio un po' mio malgrado. Basta che io mi tro­vi alla presenza di qualcuno, perché nella mia mente si accenni una dia­gnosi, pur sapendo che è perfetta­mente inutile e fuor di proposito. E a tal punto che, da qualche tempo, evito di guardarmi allo specchio.

Parpalaid. Ma... una diagnosi... che volete dire? Una diagnosi di fanta­sia... Oppure?...

Knock. Come, di fantasia? Vi sto dicendo che, mio malgrado, quando incontro un viso, il mio sguardo, senza nemmeno ch'io vi pensi, si getta su un'infinità di piccoli segni imper­cettibili... la pelle, la sclerotica, le pu­pille, il pelo, che so io... e il mio apparecchio atto a costruire diagnosi, funziona di per sé solo. Bisognerà che mi sorvegli, altrimenti la cosa diventi ridicola.   

Parpalaid. Ma è che... scusate se in­sisto, ma ho le mie ragioni... Quando m'avete detto che avevo bisogno d'un giorno di riposo, era per semplice giuoco, oppure...? Ancora una volta, se insisto è perché ciò corrisponde a certe piccole preoccupazioni ch'io pos­so avere. Non vi nascondo che da qualche tempo mi è parso osservare su me stesso questa o quella cosa... e, non fosse altro che dal punto di vista pu­ramente teorico, sarei stato curioso di sapere se le mie osservazioni coinci­dono con quella specie di diagnosi involontaria di cui parlate.

Knock. Mio caro collega, lasciamo stare per il momento... [Consulta l'orologio] Si fa tardi e bisogna che faccia il mio giro... Faremo colazione insieme, se volete darmi questa prova d'amicizia. Per quanto poi riguarda il vostro stato di salute e le decisioni che, forse, richiederà, ne parleremo con più comodo nel mio gabinetto...

F I N E