Il duca di Mantova

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IL DUCA DI MANTOVA

Commedia in tre atti

di UGO FALENA

PERSONAGGI

MARIA FLORIAN

GIORGIO RENARD

ISIDORO LEBOURDEL

GIULIETTA

BEBE’

GIACOMO LECHAT

ROMEO

CHEVILLARD

VERNOUILLET

BOURDIEN

LA FLOURY

IL BUTTAFUORI

UN GIOVANE ATTORE

IL MAESTRINO

UN IMPIEGATO

UN’IMPIEGATA

DIONIGI

SUSANNA

ATTO PRIMO

Un salotto nel palazzo di Isidoro Lebourdel a Parigi. Giardino d'inverno in fondo, e co­mune. Porta a destra che da negli apparta­menti. Porta a sinistra, in primo piano, che da negli uffici. Altra porta, dalla stessa parte, che da nello studio di Isidoro. Da un lato, ta­volino con l'occorrente per scrivere. Caminetto con specchio a una delle pareti. Ostentazione di grande lusso. Mattino inoltrato. Primavera. Un’impiegata entra dalla prima stanza a sinistra, congestionata, facendosi vento col fazzoletto.

L'impiegata                   - Uff! Si soffoca!

(Un vecchio impiegato la segue, sbuffando, e s'affaccia al giardino d'inverno).

L'impiegato                   - Qui si respira!

L'impiegata                   - (vedendo apparire Romeo) Anche voi, signor Romeo?

Romeo                          - (respirando) Non se ne può più!

L'impiegata                   - Sempre finestre chiuse! Sem­pre finestre chiuse!...

L'impiegato                   - Gli uffici sembrano diventati uno stabilimento di cure termali.

L'impiegata             - Ma che idea ha avuta il si­gnor Lebourdel di assumere come impiegato della sua ditta quel signor Renard?

L'impiegato                   - E si accontentasse almeno di tenere le finestre chiuse, il signor Renard!

L'impiegata                   - Pretende che si sfacchini dal­la mattina alla sera!

L'impiegato                   - Sono venti anni che mi trovo nella casa Lebourdel, e i turaccioli si sono sem­pre smerciati ugualmente senza tante storie! Se continua così, vi garantisco che mi licenzio. Prima, avevamo da combattere soltanto col si­gnor Lebourdel. Uomo severo, eh? che ha an­che la cattiva abitudine di tenere casa ed uffici nello stesso palazzo. Per fortuna, lui, però, non sta quasi mai né in casa né in ufficio. Ma adesso, combattere anche col signor Renard!...

L'impiegata                   - E il signor Renard fosse qual­che volta amabile!

L'impiegato             - Con quella faccia da fune­rale?!

L'impiegata                   - Un uomo che se sente suonare un organino per la strada va in bestia!

Romeo                          - Che volete aspettarvi da un uomo che odia la musica?

L'impiegato                   - E, in due mesi, là: divenuto quasi il padrone! Il signor Lebourdel non par­la che per la sua bocca.

Romeo                          - Oh! Lo diverrà davvero il padro­ne, il signor Renard!

L'impiegata                   - Volete dire?

Romeo                          - Se ho ben potuto capire, si dev'essere maturato o si deve maturare un certo pro­getto!... Sarebbe un colpo! Sarebbe un colpo!

L'impiegata                   - Spiegatevi, signor Romeo.

L'impiegato                   - Spiegatevi.

L'impiegata                   - (trasalendo) Ah! Il signor Le bourdel! (Rientra di corsa in ufficio. L'impie­gato segue il suo esempio. Romeo vorrebbe fa­re altrettanto).

Isidoro                          - (è apparso da destra. E' un uomo maturo, esuberante e rumoroso, che non vuole invecchiare).

Romeo                          - Signor Lebourdel...

Isidoro                          - Caro Romeo, io vi trovo sempre fuori dell'ufficio, e spesso a gironzolare intorno al mio giardino d'inverno. .Volete dedicarvi alla floricoltura? E' vero che voi fate parte del­la mia ditta soltanto come apprendista e che io sono amico di vostro padre che può anche per­mettersi il lusso di non farvi imparare niente, ma... ma... non sono queste buone ragioni perché...

Romeo                          - (confuso) Gli è che... che... il si­gnor Giorgio Renard mi aveva ordinato di do­mandare se era giunta la posta.

Isidoro                          - Ah, se è il signor Renard che vi ha ordinato... Allora è un altro paio di mani­che! Andate. Andate.

Romeo                          - (rientra a sinistra, prima porta).

Isidoro                          - (chiamando) Dionigi!

Dionigi                          - (appare dal fondo. E' un cameriere assai distinto. E' in marsina).

Istporo                          - II mio amico Giacomo Léchat è arrivato?

Dionigi                          - Sì, signore.

Isidoro                          - E che aspettate ad avvisarmi? So­no tre anni che non lo vedo!

(Dionigi esce e introduce Giacomo Léchat).

Giacomo                       - (è un omino asciutto, molto tinto, dai buffetti impomatati. Pretese di eleganza) Caro Isidoro...

Isidoro                          - Tre anni che non ci si vede! La­scia che ti guardi! (L'osserva) Tal quale!

Giacomo                       - Tal quale anche tu.

Isidoro                          - Eh! La vecchia razza non si smen­tisce!... E in questi tre anni?...

Giacomo                 - Italia, Spagna, America...

Isidoro                   - Sempre giornalista?

Giacomo                 - Corrispondente di Gazzette melodrammatiche. E i tuoi affari?

Isidoro                          - A meraviglia. Camminano da se. Capirai, finché si berrà, i turaccioli occorre­ranno sempre. E ancora non si è trovato di che surrogarli. Quella che non cammina è la casa. A te posso dirlo: io logoro le giornate nel pen­siero dei miei due figlioli...

Giacomo                       - Ricco come sei, non comprendo quali preoccupazioni...

Isidoro                   - Perché tu non mi conosci tra le pareti domestiche! Nel santuario della famiglia, io sono un altro. Io mi logoro per lo sforzo di apparire un altro... Ah, beato tu che sei rima­sto scapolo fino ad oggi!... Vedi? In me, ci so­no due individui. Il padre e l'uomo. Debbo assolutamente soddisfare il primo per mettere in libertà il secondo. Perché il secondo, l'uomo, non ha mai avuto tanto bisogno di tutta la sua libertà come ora!... Sento in me una seconda primavera... un'esuberanza... (In così dire ha scosso Giacomo in tale moda da costringerlo a cadere seduto sopra una sedia).

Giacomo                       - Vedo!

Isidoro                          - (sedendosi anche lui) Ascoltami bene. Fino a due anni fa, non potevo lagnarmi della vita. Ero rimasto vedovo, mia figlia si trovava in collegio, mio figlio all'Università di Oxford. Ma, da due anni... addio libertà! Mia figlia è uscita di collegio, mio figlio è tornato dall'Università...

Giacomo                       - Sarà un'arca di scienza tuo figlio?

Isidoro                   - Un'oca! Figurati: ho voluto che si laureasse in scienze commerciali. Lo credi? Se gli domandi a bruciapelo quanto frutta una somma tot al cinque per cento in sei mesi, ti riporta la risposta l'indomani. Valeva la pena di farlo laureare! Vero che per farlo passare agli esami, ho dovuto pagare i suoi professori Dio sa quanto. Sarà servito perché almeno abbiano studiato loro. E ne avesse fatto una persona seria, il soggiorno di Oxford! Nossignori! Uno scavezzacollo!...

Giacomo                       - E' ben tuo figlio!

Isidoro                   - Sì... ma lui per ogni donna che vede, cade fulminato! Ha preso una cotta per una? Ne incontra un'altra: là, colpito! E' uno scavezzacollo sentimentale. Immagina! Lo chia­mano Bebé!

Giacomo                       - Bisogna compatirlo. Un ragazzo:

Isidoro                          - Un ragazzo?! Ha trentatrè anni, ohi? Ha impiegato dieci anni a laurearsi ad Oxford. Convengo che dimostrarne soltanto ven­ti, tolga dieci anni anche a me. Ma... ma ciò non impedisce... (Completa la frase con un ge­sto) E veniamo a mia figlia. Altro genere! Ven­ti anni. Intelligenza superiore... Preso del pa­dre. Di una rettitudine!... Tutta sua madre. Santa donna sua madre! Se ricordo che ha pas­sato la vita a perdonarmi, mi sento stringere il cuore. Ti giuro che avrei preferito mi avesse rotto un piatto sulla testa, a ogni mia infedeltà, Alzati, ti prego. (Si alza. Giacomo lo guarda senza capire) Alzati! (Anche Giacomo si alza) Quando ripenso a lei, sento il dovere di racco­gliermi in silenzio per un attimo. (Tutti e due restano un istante sull'attenti a capo chino) Torna a sedere. (Giacomo si siede di nuovo) Se marito mia figlia - mi sono sempre detto - mi resta Bebé. Che ne faccio di Bebé? Posso trascorrere la vita a corrergli dietro? Allora ho avuto un'idea luminosa. Ed è anche per questo, per comunicartela, che appena ho saputo il tuo ritorno, ti ho mandato a cercare. Io marito mia figlia, - ho continuato a dirmi - sì, ma con un uomo che possa anche supplirmi nei miei doveri di padre con Bebé. Mi capisci? Un uo­mo... non importa se squattrinato... (Giacomo istintivamente si esamina) non importa se un poco maturo... (Giacomo istintivamente guarda davanti a se) purché serio... (Giacomo istintiva­mente si alza e getta di sfuggita un'occhiata allo specchio per contemplarsi) distinto... (Gia­como getta di sfuggita una nuova occhiata allo specchio) e purché io ne conosca l'intimo come me stesso. (Giacomo guarda Isidoro con un im­provviso risolino di compiacenza) Che ne dici?

Giacomo                       - Ma tua figlia non mi ha mai ve­duto!

Isidoro                          - Non capisco perché dovrebbe ve­derti.

Giacomo                 - Se deve sposarmi!

Isidoro                   - Ah! perché credevi che io allu­dessi...

Giacomo                       - Avendomi tu parlato d'un'idea luminosa...

Isidoro                   - E tu chiameresti un'idea lumi­nosa...

Giacomo                       - Dato che avevi tanta urgenza di comunicarmela e che i requisiti rispondevano...

Isidoro                   - Ma specchiati!... Per un marito un po' maturo, non intendevo dire uno che avesse il triplo di età... o quasi, di mia figlia... Il marito ad hoc l'ho trovato. Giorgio Renard. Non conosci Giorgio Renard?! Qui dentro, non si parla che di lui! Ma già: sei stato assente tanto tempo! E' un nuovo impiegato che ho assunto da due mesi.

Giacomo                                 - Età?

Isidoro                          - Trentacinque anni.. secondo la luce. Ma un aspetto! personaggio celebre. Assomiglia a un uomo il­lustre.

Giacomo                                 - A chi?

Isidoro                                     - Non so. Ma io devo aver veduto un volto simile in qualche cartolina illustrata. Tutti dicono lo stesso. Chiunque lo vede, la prima volta, non può trattenere un « Ah! » di sorpre­sa. Quanto al morale... (Largo gesto elogiati­vo) Odia la musica. Odia il teatro. Odia i ri­trovi. Parla pochissimo. E' il primo ad entrare in ufficio e l'ultimo ad uscirne. Tutti qui ne hanno terrore, a cominciare da Bebé. Infine - particolare prezioso - odia le correnti d'aria. Il che è il migliore requisito per un marito. Un uomo che teme le correnti d'aria, difficilmente diserta il tetto coniugale. Concludendo: da ieri Giorgio Renard è il fidanzato di mia figlia. Fra due mesi sarà suo marito, ed io scaricherò sul­le spalle di lui, figlia, affari e Bebé. Perché, caro Giacomo, ho in vista un tale soggetto per occupare la imminente riconquistata libertà! Una donna!... Giacomo? Quanti anni credi che potrò ancora godere la vita?

Giacomo                       - Se non ti prende una sincope, credo che camperai...

Isidoro                          - (interrompendolo) Ma no, stupi­do! Domando quanti anni credi che potrò es­sere ancora un uomo valido.

Giacomo                       - Che vuoi ne sappia!

Isidoro                          - Mettiamo soltanto dieci. La donna su cui ho messo gli occhi addosso ne merite­rebbe di più. Ma non bisogna essere esigenti. Ti dirò, poi, chi ella sia, quando avrò ricevu­to una certa telefonata, tanto più che un gior­nalista del tuo stampo mi sarà necessario. E adesso lascia che ti presenti il mio futuro ge­nero. (S'avvicina alla prima porta a sinistra) Renard?... Renard?... (Giorgia Renard entra. Presentando) Il signor Giorgio Renard...

Giacomo                       - (ha un sobbalzo per la sorpresa)

(Anche Giorgio ha un moto di non gradita sorpresa che contiene subito fissando Giacomo come per suggestionarlo).

Isidoro                          - (a Giacomo) Anche tu, eh? come gli altri: «Ah! ». Trovi anche tu che rasso­migli...

Giacomo                       - Difatti, stranamente...

Giorgio                         - (sottovoce a Giacomo) Se dici una parola, ti strangolo!

Giacomo                       - A un personaggio cognito...

Isidoro                          - Ma non ricordi a chi... Risposta immancabile... E, nota: il signor Renard è di una tale modestia che non s'inorgoglisce per questo. Completo la presentazione. Il mio vec­chio amico: Giacomo Léchat. (Dai fondo appa­re Bebé, che subito si ferma contrariato. Mo­nocolo. Rasato. Capelli impomatati. E' in tuba, marsina, pastrano) Bebé!... (Bebé s'inoltra, mortificato. Il padre gli si avvicina, gli sbotto­na il pastrano) Alle undici del mattino ancora in abito da sera, Renard!

Giorgio                         - Ho già visto.

Isidoro                          - (furibondo) Oh, ma... (Non tro­vando le parole adatte) Parlategli voi, Renard!

Giorgio                         - (a Bebé, severo) Eravamo rimasti d'intesa che questa mattina, alle nove, vi sa­reste trovato in ufficio, signor Lebourdel.

Bebé                             - (non risponde).

Isidoro                          - Rispondi!... (A Giacomo) Questi è Bebé! Vedi? Avevo ben ragione! (.A Bebé) Rispondi!... Hai passato la notte al tavolo da giuoco, secondo il solito? (Bebé continua a non parlare. A Giorgio) Parlate, Renard!

Giorgio                         - Giuocare quando si è ricchi! Ma è inaudito! (Naturale) Capisco che giuochi chi abbia pochi danari. (Riprendendosi) Cioè... neanche chi non ne possegga affatto! Il giuoco è la rovina delle famiglie. E anche se non ro­vina le famiglie, assassina i singoli. Inaridisce i cervelli, dissecca i cuori...

Isidoro                          - (sottovoce, a Giacomo) Che ti dice, vo? Che uomo!

Bebé                             - (decidendosi a parlare) Sì, sì... Ma avrei voluto vedere voi, signor Renard, nei miei panni. Vi giuro che non avevo alcuna intenzio­ne di giuocare questa notte. Disgraziatamente, i miei amici facevano uno «chemin de fer » di inferno! Il mio amico Lepitier incrocia. Io avevo un cinque... Che avreste fatto voi?

Giorgio                         - (naturale) Avrei tirato.

Bebé                             - (soddisfatto) Oh!

Giorgio                         - (facendo la voce grossa) Dico così in teoria! ...

Bebé                             - Ma la teoria bisogna pure applicar­la quando si presenta un caso pratico! Io ho tirato e ho vinto.

Giorgio                                    - Peggio!

Isidoro                          - Scusate, Renard. Se ha vinto!"... Sarebbe la prima volta.

Bebé                             - Ho vinto cinquantamila franchi…

Giorgio                   - Peggio ancora!

Isidoro                   - Renard, se proprio ha vinto cin­quantamila franchi...

Bebé                             - Senonchè... Mentre mi accingevo a duplicare la somma eravamo in un salotto dell'Hotel Imperiale - ecco apparire una si­gnora... Rinuncio a descrivervela... Immagina­te tutto ciò che ci possa essere di più eccezio­nale...

Isidoro                   - (tra sè) All'Hotel Imperiale...? (A Bebé) Una signora magra?

Bebé                       - Eterea!

Isidoro                          - (a Giacomo, sottovoce) Che sia la donna di cui ti parlavo?... Abita all'Imperia­le... Non ci mancherebbe altro che il figlio cacciasse sulle peste del padre!... (A Bebé) E chi era codesta signora?

Bebé                       - Non so.

Isidoro                   - Le hai parlato?

Bebé                       - No. L'ho guardata semplicemente. Ma mi è bastato guardarla per distrarmi, e... ho perduto.

Isidoro                   - I cinquantamila franchi guada­gnati?

Bebé                       - E... altrettanto.

Giorgio                   - Ben vi sta!

Isidoro                   - Ma non sta bene a me, Renard, che dovrò pagare la differenza! (A Bebé) Va' di là! Va' di là... Non so chi mi tenga!...

Bebé                       - Papa, non è il caso di alterarsi. Ti restituirò la somma alla prossima occasione.

Isidoro                   - (furibondo) Ah!... Va'! Va'! (Be­bé esce a destra) Caro Renard, voi mi perdone­rete se io vi darò un cognato poco raccoman­dabile. Ma spero che col vostro esempio... Vi lascio soli, così farete meglio la conoscenza. Va­do un momento nel mio studio... (a Giacomo, sottovoce, strizzando l'occhio) ad aspettare la telefonata. (Ad entrambi) A fra poco. (Esce da sinistra, seconda porta).

Giacomo                 - (che a ogni parola di Giorgio non ha potuto fare a meno di fissarlo tra stupito e voglioso di ridere scoppia in una risata) Tu?! Portato ad esempio? Largitore di pater­nali? Scagliatore di fulmini contro i giuocatori? Ah! ah!

Giorgio                         - (guardandosi attorno) Vuoi tacere?

Giacomo                 - Mi spieghi come mai ti ritrovo qui sotto il nome falso di Giorgio Renard e le spoglie d'un severo impiegato? Tu? il celebre tenore Raoul Leroix?

Giorgio                   - Taci!... Anzitutto, niente falso nome. Il mio vero nome è Giorgio Renard. Raoul Leroix non era che il mio nome d'arte. Ti prego di dimenticarlo, come me ne sono dimenticato io, specie qui dentro. Hai capito?

Giacomo                       - Ho capito, ho capito. Ma, scusa, la cosa è talmente straordinaria, che tu devi compatire la mia curiosità. Possibile che il bel Raoul, l'acclamato cantante, colui che in arte chiamavano il Duca di Mantova per il modo delizioso col quale miniava La donna è mobile, sia trasformato d'improvviso in un... registra­tore di turaccioli?

Giorgio                         - Domandati piuttosto come mai un uomo serio quale Giorgio Renard abbia potuto per un decennio essere Raoul Leroix.

Giacomo                       - Eppure, non è un anno che ti ho lasciato a New York in pieno trionfo... Eh! non si abbandona una carriera come la tua senza una grave ragione... Hai forse perduto la voce?

Giorgio                         - Non ho mai avuto tanta voce co­me adesso! (S'accorge che la porta da cui è uscito Bebé, è rimasta aperta. Ha un gesto co­me per evitare la corrente d'aria) Lasciano sem­pre le porte aperte, costoro! (Corre a chiudere la porta).

Giacomo                       - (ironico) Vedo che te ne occupi ancora della voce!

Giorgio                         - Se ti fa piacere che io l'abbia per­duta, serviti pure. Ma non parlarmi più di Raoul Leroix!

Giacomo                       - (strizzando l'occhio) Neanche dì Marta Florian?

Giorgio                         - Soprattutto di lei! Morta anche lei!

Giacomo                 - Veramente lei campa e canta. L'ho udita un mese fa a Montecarlo. Cantava col tenore Dampierre.

Giorgio                   - Con Dampierre?!

Giacomo                 - Sì. Nel Rigoletto:

Giorgio                         - Dampierre, « duca di Mantova »? Con quella pancia? Lui che arriva appena - e non tutti i giorni - a prendere un sì bemolle? Che non ha mezza voce e si difende a furia di falsetti? Ah! Ah! Io non vado più a teatro, ma ti giuro che farei un'eccezione per sentirlo. La signorina Florian voleva un tenore sfiatato? L'ha trovato!

Giacomo                 - Certo che deve rimpiangerti.

Giorgio                         - (convinto del contrario) Non dico questo.

Giacomo                 - Perché un artista della tua figu­ra, del tuo temperamento, che sappia fraseggiare come fraseggiavi tu, non lo si trova facilmente. Anche nelle frasi meno importanti. Ricordo l'impressione che mi facevi quando ti accorgevi che Gilda è la figlia di Rigoletto...

Giorgio                         - (che s'è andato dimenticando) Ah! (Accenna istintivamente a cantare la breve fra­se) « Sua figlia! ». (Ma subito si riprende) Vuoi farmi il santissimo piacere di non parlar­mi più di questa roba?

Giacomo                       - Di' la verità: hai abbandonato l'arte per Marta Florian?

Giorgio                         - Desideri proprio che vuoti il sac­co? Ebbene, per lei e... non per lei.

Giacomo                       - Ti tradiva?

Giorgio                         - Ti pare che poteva tradire un uo­mo come me?... No. Nella vita era una crea­tura impareggiabile. Ma quando doveva canta­re, una vipera! Tu non sai che cosa significhi un soprano lirico celebre, con una voce d'uccellino!... Ah, amico mio!... Nei giorni di re­cita, l'inferno!... Anzitutto, dovevo occuparmi d'ogni cosa anche per lei, come se fossi stato il suo segretario: claque, giornalisti...

Giacomo                       - Difatti, io non ho mai avuto il piacere di esserle presentato.

Giorgio                         - I critici illustri, però, li riceveva.

Giacomo                       - Ah, sì?!... Lascia che mi capiti a tiro...

Giorgio                         - Ti suggerirò io, i suoi punti de­boli... Poi, nervi dalla mattina alla sera, e allo spettacolo, a ogni applauso che mi prendevo, gelosie, ire di Dio. Diceva che sforzavo la voce per farle fare brutta figura.

Giacomo                       - (con aria d'intenditore) Quanto a questo, tu la voce un po' la sforzavi.

Giorgio                                    - E come volevi che non la sforzassi, specie negli assieme, per dare l'illusione al pub­blico che ne mettesse fuori anche lei? Non ave­va, lei, che da aprir bocca per guadagnarsi sen­za fatica metà degli applausi! Se poi, a mia volta, da solo, ne guadagnavo unicamente per me, eh!, mi pare che lo meritavo. Io non ero come Dampierre che non può disporre di un do di petto!

Giacomo                                 - E' giusto.

Giorgio                         - Così passarono cinque anni tra li-tisi sempre più violenti. La cosa diventava in­sopportabile e non poteva durare. Bastava una goccia perché il vaso traboccasse. E traboccò a New York. Dovevamo cantare anche quella vol­ta nel Rigoletto. Inaspettatamente, lei cambiò tattica. Cominciò a dirmi alle prove, col tono più amabile, che la mia voce declinava; che mi sorvegliassi; che non mi sforzassi se non volevo dispiaceri. Tutto ciò non poteva che mettermi in uno stato d'orgasmo e di ripicca. Alla recita, messo sul punto, alla romanza dell'ultimo atto, sforzai sul serio, e... steccai... Il pubblico... mi rispettava troppo per far mostra d'accorgersene; ma... mancò l'applauso. Puoi immaginare il mio scorno e il mio dispetto nel veder lei tra le quinte che assaporava un sorriso di soddisfa­zione così incitoso!... Indubbiamente, era stata lei a portarmi disdetta. Tornati a casa, non potei fare a meno di rinfacciarglielo. Lei rimbeccò. Mi gridò che non ero un gentiluomo, che ero un cane, lo persi il lume degli occhi. Volarono bicchieri e stoviglie. Rottura! Il giorno dopo, abbassamento di voce sul serio... Eh! Con tutto quel litigio!... Risolsi il contratto. Per distrarmi mi detti al giuoco...

Giacomo                       - II tuo antico vizio.

Giorgio                         - Perdei quanto mi restava...

Giacomo                       - E doveva esserti rimasto ben poco date le tue prodigalità...

Giorgio                         - Me ne tornai a Parigi. Ripresi il mio vero nome. E, grazie a uno zio canonico che aveva avuto sempre in orrore la mia vita d'artista, ottenni l'impiego in cui mi trovi. Ecco tutto.

Giacomo                       - E non rimpiangi nulla?

Giorgio                         - Nulla! Ne avevo abbastanza d'una vita d'emozioni! Eppoi, oh?, tutti i tenori ce­lebri - Caruso, Stagno, Marconi, Tamagno... morti di mal di cuore, ed io il mio cuore vo­glio conservarmelo, anche perche...

Giacomo                       - (strizzando l'occhio) L'hai offer­to in dono.

Giorgio                         - (gesto fatuo di conferma).

Giacomo                       - Hai potuto offrirlo veramente li­bero, senza un ricordo?

Giorgio                         - Liberissimo!

Giacomo                       - E la tua fidanzata può reggere il confronto? Perché, sì, Marta Florian, come donna, era molto interessante.

Giorgio                         - Se può reggere il confronto?... (Largo gesto elogiativo). Figurati: si chiama Giulietta. Giulietta di nome e di fatto.

Giacomo                       - E ti ama?

Giorgio                         - (altro largo gesto elogiativo) Do­vresti vederla quand'è davanti a me! (Trasa­lendo) Eccola! (Giulietta appare da destra, con un librò in titano, per recarsi nel giardino d'inverno. Giorgio e Giacomo s'inchinano profonda, mente. Giulietta risponde appena con un cenno del capo).

Giorgio                         - Signorina... (Giulietta si ferma senza guardare). Permettete che vi presenti un vecchio amico di vostro padre: il signor Gia­como Léchat... La signorina Giulietta Lebourdel... (Giacomo s'inchina. Giulietta torna a ri­spondere appena con un cenno del capo. Silen­zio imbarazzante).

Giacomo                 - (guarda Giorgio, guarda Giulietta, un po' sorpreso del contegno di costei) Si­gnorina, sono ben felice di conoscervi, e... in una circostanza... (guarda Giorgio) così lieta... (Silenzio, anche più lungo del primo).

Giulietta                 - Compermesso? (Va nel giardi­no d'inverno senza guardare Giorgio).

Giacomo                       - (guarda la signorina che esce; guar­da Giorgio) Mi pare poco espansiva.

Giorgio                         - (con un gesto rassicurante) Vere­condia!

Romeo                    - (appare dalla prima porta a sinistra con un fascio di carte) Signor Renard, il con­tabile non sa che cosa rispondere alla ditta Lordonet.

Giorgio                         - Vengo, vengo. (A Giacomo, sot­tovoce) Vieni anche tu. Mi vedrai in funzioni. Qui non si muove un passo senza di me. Oh! Ti raccomando di non darmi del tu davanti agli altri!

Giacomo                       - Se il tuo futuro suocero venisse a scoprire ohi si nasconde sotto il nome di Gior­gio Renard...

Giorgio                   - Vuoi non parlarne più?! (En­trano a sinistra, prima porta).

Romeo                          - (che si era appartato, fingendo di con­sultare le carte portate con sé, guarda nel giar­dino, nel quale aveva già gettato qualche occhiata furtiva) Legge... (Come chi prenda una risoluzione, intasca i fogli, s'avvicina alla porta del giardino, esita, poi) Signorina!...

Giulietta                 - (appare).

Romeo                    - (molto commosso) Perdonatemi, signorina. Quello che faccio non è molto... come dire?... non so... Signorina, vi prego, datemi del coraggio. Io debbo farvi una domanda, e non voglio che vi offendiate. ,

Giulietta                 - Domandate.

Romeo                    - E' verala notizia?

Giulietta                 - Quale?

Romeo                          - Che voi vi siete fidanzata col signor Giorgio Renard?

Giulietta                 - Sì. Ieri mio padre mi ha fidan­zata con lui.

Romeo                    - E... voi avete detto di sì?

Giulietta                 - Mio padre non mi ha dato il tempo di dire di no.

Romeo                          - Ah! dunque, voi non vi siete im­pegnata?... Vi scongiuro! Non v'impegnate, resistete…

Giulietta                 - Sapete bene che con mio padre è difficile resistere...

Romèo                          - Ah, maledetta timidezza del mio carattere! Avrei dovuto parlare subito a vostro padre appena mi permisi di esternarvi il mio affetto! Sono sicuro che avrebbe scelto me. Anch'io mi do al commercio, e con questo in più: che io sono giovane ed ho un padre ricco. Nessuno avrebbe potuto dire che io aspirassi a una dote. Ah, signorina, se non vo­lete che io muoia di consunzione, promettetemi che non sposerete il signor Giorgio Renard!

Giulietta                        - Quando mi parlaste dei vostri sentimenti, io vi dichiarai che non avrei spo­sato che un uomo celebre.

Romeo                          - Ah! Allora non sposerete mai il signor Giorgio Renard. Lui non diverrà cele­bre davvero! Ditemi, almeno, che se vostro pa­dre vi avesse messa nell'alternativa di scegliere tra il signor Renard e me, avreste scelto me.

Giulietta                 - Sì.

Romeo                    - Ah, signorina Giulietta!

Giulietta                        - Ma avrei soggiunto quello che già vi dissi: diventate un uomo celebre e ne riparleremo. Perche io voglio diventare la mo­glie d'un uomo il cui nome sia ripetuto da tutti. Sento che solo così potrò sottrarmi alla meschinità della vita borghese.

Romeo                          - Signorina Giulietta, fate di tutto perché il vostro matrimonio con Giorgio Re­nard non avvenga, ed io vi giuro che diverrò qualcuno. Ho della volontà. Avete veduto? Voi amate la musica? Ebbene, da due mesi, io studio indefessamente la chitarra. Eppoi, il destino è dalla nostra. Io non mi chiamo Romeo? Voi non vi chiamate Giulietta? Anche i nomi co­spirano per la nostra felicità.

Giulietta                 - (trasalendo) Mio padre!

Romeo                          - (cavando subito i fogli) Appena lo vedo, addio coraggio!... Un uomo così austero!... Signorina, la mia vita è nelle vo­stre mani. Non vi dico altro. (Scappa a sinistra, prima porta).

Isidoro                          - (è allegrissimo e canticchia) Gia­como Léchat?

Giulietta                 - Non so.

Isidoro                   - (avviandosi) Dev'essere di là.

Giulietta                        - (fermandolo) Papa, giacche sei solo e di buon umore...

Isidoro                          - Se hai da chiedermi qualche cosa puoi farlo anche più tardi perché sarò di buon umore per un pezzo.

Giulietta                 - Ma giacché ti trovo solo...

Isidoro                          - Oh, benedetta figliola!... Via, spic­ciati. Hai bisogno di danaro?

Giulietta                 - No. Tu, ieri, mi hai fidanzata al signor Giorgio Renard.

Isidoro                   - Ebbene?

Giulietta                 - Non mi hai dato il tempo di darti una risposta.

Isidoro                          - Come non te ne ho dato il tempo? Quando io ti ho domandato: vuoi che tuo pa­dre pensi alla tua felicità? Tu mi hai risposto nel modo classico: «Sì, padre mio!». Come ve­di, la risposta me l'hai data in anticipo.

Giulietta                 - Ma io non sposerò mai il si­gnor Giorgio Renard!

Isidoro                          - Come!?... Bambina! Capita sem­pre così davanti a un uomo serio. Conseguenza della soggezione. Anche tua madre credi che mi buttasse subito le braccia al collo? Eppure, ciò non le impedì di amarmi per tutta la vita. Accadrà altrettanto di te.

Giulietta                 - Non accadrà perché io ho de­ciso di non sposare che un uomo celebre.

Isidoro                          - (ridendo) Un uomo celebre?... Se non è che questo!... Anzitutto, il signor Renard, sia pure di riflesso, gode una certa celebrità. Non dicono tutti che rassomiglia a un perso­naggio noto?

Giulietta                        - Ma rassomigliare non significa essere.

Isidoro                   - E, allora, se proprio ci tieni, glie ne creeremo una effettiva, di celebrità! Che cosa è la notorietà? La più larga diffusione del no­me o dell'effigie di una persona. Sai qual'è il ritratto più diffuso nel mondo? Quello di Gil­lette, l'inventore delle lame di sicurezza. Anch'io, senza essere Gillette, posso contare di ve­der riprodotta ogni anno la mia effigie sulle réchmes dei miei turaccioli, a migliaia, in tutti i paesi. Orbene, associo Renard, quando sarà tuo marito, al mio commercio, e vedrai che il mio nome correrà sulle bocche di tutti. Eppoi, l'importante è possedere del denaro, molto de­naro, per aver la possibilità di aprire i propri salotti non ad uno, ma a tutti i personaggi cele­bri... come ne avrai una prima prova, oggi, qui... Perché io sto preparando una tal sorpresa!... e tu che ami l'arte... Va', va' di là... Avrò biso­gno anche di te... E se sarà necessario, parle­remo ancora... Ma ora, va', va'... (La spinge e la fa uscire a destra) Tutta sua madre, ma ro­mantica come suo padre! (Corre a sinistra, chia­ma:) Léchat! Léchat! (Giacomo Léchat appare dalla prima stanza a sinistra) Giacomo? Guar­dami... Che ti pare?

Giacomo                                 - Sfavilli.

Isidoro                          - II che significa?

Giacomo                                 - Non saprei.

Isidoro                          - Giacomo, invecchi!... Non ti ave­vo detto che attendevo una telefonata?

 Giacomo                      - Ah, già!

Isidoro                          - La donna che ti accennavo sarà qui fra pochi istanti. Non avevamo potuto scam­biarci che poche parole, ier l'altro, all'Hotel Imperiale.

Giacomo                       - Una donna magra?

Isidoro                          - Come lo sai che è magra?!

Giacomo                       - Siccome dianzi tuo figlio...

Isidoro                          - Che c'entra? Di donne magre an­che all'Hotel Imperiale ne capitano tante!... E' un'artista di teatro. Ed è per questo sopratutto che ti ho voluto vicino. Tu sei del mestiere, ed io con certe donne, almeno sulle prime, sono un collegiale. Figurati! Ti ho detto che ho scambiato con lei qualche parola. T'assicuro che non sarei riuscito ad aprir bocca se non avessi avuto un'idea geniale. Io, ogni anno, do una festa a beneficio dei miei operai: ciò che è anche utilissimo alla réclame dei miei prodotti. Quest'anno ho organizzato uno spettacolo tea­trale che avrà luogo alla Pepinière... Ma il programma non mi soddisfaceva. Mancava un pezzo forte musicale. E, allora, che ho fatto? Ho proposto alla signora di prendere parte allo spettacolo.

Giacomo                       - Perché... è un'artista di canto la signora?

Isidoro                          - Di canto. Lei mi ha chiesto tempo a riflettere, promettendomi che mi avrebbe da­ta una risposta oggi, per telefono. E, or, ora, mi ha telefonato annunciandomi non solo che accetta, ma che canterà il quarto atto del Rigo­letto e che sarà subito qui per prendere gli ac­cordi.

Giacomo                       - E questa signora si chiama?

Isidoro                          - Marta Florian.

Giacomo                       - Marta Florian?!

Isidoro                          - La conosci?

Giacomo                       - (gettando delle occhiate pietose in direzione degli uffici) No... personalmente, no... Ma... come artista... per averla udita...

Isidoro                          - Celebre, eh?

Giacomo                       - Celebre!... (c.s.) (E Raoul... cioè Giorgio... che non sospetta!...).

Isidoro                          - Non la trovi magnifica l'idea?

Giacomo                       - (c. s.) Magnifica!!!

Isidoro -                    - Le prove... la recita... tante occa­sioni per starle vicino e rompere il ghiaccio. Ma, chi?, fino a tanto che non riuscirò a rom­pere il ghiaccio, ti raccomando, stammi sem­pre cucito addosso. Posso contarci?

Giacomo                       - Sì, sì...

Dionigi                          - (dal fondo) La signora Marta Florian.

Giacomo                       - Bisogna avvisare Renard! (Fa per precipitarsi a sinistra).

Isidoho                         - (trattenendolo per le falde) Ed è così che mi stai cucito addosso? Te lo dirò io quando dovrai lasciarmi solo! (Dionigi intro­duce Marta) Signora... (Le bacia la mano).

Marta                            - Caro signor Lebourdel... Come ve­dete, ho detto di sì. E farmi dire di sì, appena ritornata a Parigi, e dopo diverso tempo che non canto a Parigi, credete, ha del miracoloso. Voi siete un seduttore.

Isidoro                          - (ringalluzzito, a Giacomo sottovoce) E' straordinaria!

Giacomo                       - (che vorrebbe cogliere l'occasione per correre da Renard, e ne fa l'atto sottovo­ce) Mi pare che posso lasciarti solo!

Isidoro                          - (trattenendolo, sottovoce) No! Per l'amor di Dio! Ancora no!

Marta                            - E quando deve aver luogo la recita?

Isidoro                          - Domani sera.

Marta                            - Domani sera!? Così? Su due pie­di? Oh! senza un po' di reclame!

Isidoro                          - Quanto a questo state tranquilla. Abbiamo qui l'amico Lèchat che in materia è maestro. A proposito... (Presenta) II signor Giacomo Léchat.

Giacomo                       - Corrispondente di Gazzette Melodrammatiche.

Marta                            - Oh!

Isidoro                          - La signorina Marta Florian.

Giacomo                       - Io ho avuto il piacere di ascol­tarvi e di scrivere su di voi, signorina. Non so dirvi che una parola - che, ahimè, oggigiorno si spende troppo spesso male: - voi siete un'artista!

Marta                            - Grazie, grazie.

Giacomo                       - Non dubitate, signorina, che in fatto di reclame, sarete più che soddisfatta.

Isidoro                          - Eppoi, avrete un pubblico! Tuttociò che c'è di più fine. Il teatro è già intera­mente venduto.

Marta                            - Già venduto?!

Isidoro                          - II programma è uscito da otto giorni!

Marta                            - Da otto giorni?! Quando non si poteva sapere che io avrei cantato?

Isidoro                          - Ma io, nel programma, ho fatto stampare che lo spettacolo riserbava una sor­presa.

Marta                            - Oh! cantare così, come un riem­pitivo... oh, no! Signor Lebourdel, voi igno­rate chi sia Marta Florian!

Isidoro                          - (spaventato) Signorina, vi scon­giuro... (A Giacomo) Lèchat, parla tu!

Giacomo                       - Signorina, pensate quale impres­sione farà sul pubblico la vostra riapparizione inaspettata sulle scene! Marta Florian, la ce­lebre Marta Florian, appena ritornata a Pa­rigi, prima di calcare le tavole d'un palcosce­nico regolare, vuole prodigare i tesori dell'arte sua, per un'opera altamente benefica...

Isidoro                          - E nazionale! Sì, nazionale, per­ché si tratta del bene di operai francesi... Eppoi, (guarda l'orologio) non è ancora mez­zogiorno. Tutto il tempo necessario per pub­blicare ampiamente la notizia sui giornali di questa sera e di domattina, e per lanciare un nuovo manifesto a lettere cubitali... (Sorridendo) Ciò che permetterà anche di chiedere un supplemento di prezzo sui biglietti.

Marta                            - Avete un modo dì prospettare le cose, signor Lebourdel, che non vi si può dire di no.

Isidoro                          - (a Giacomo) E' adorabile!

Marta                            - E le prove?... Almeno una ne oc­corre... Non per me. Oh! io posso andare in scena anche senza provare... Ma per le posi­zioni... Purtroppo, è doloroso dirlo, salvo rare eccezioni, i miei compagni d'arte sono cosi poco artisti!... Voi, signor Léchat, che siete del mestiere, dovete saperne qualche cosa...

Giacomo                       - (con intonazione d'intenditore) Oh!!

Isidoro                          - Proveremo domani a mezzo­giorno. Va bene?

Marta                            - Sì. E l'orchestra? I cantanti?

Isidoro                          - Profittando dell'occasione che do­mani l'Opera comique non ha recita né prova, avevo scritturato una parte dell'orchestra. La scritturerò tutta! Quanto ai cantanti, non avre­te che da indicare quelli che preferite tra i disponibili. Léchat vi aiuterà.

Marta                            - Ma tutto ciò vi costerà molto!

Isidoro                          - Costi quello che vuole!

Marta                            - Temo che non ricoprirete le spese.

Isidoro                          - Se non le ricoprirò, i miei operai avranno il loro beneficio ugualmente. Perché voi non sapete che propaganda facciano tali feste d'arte ai miei prodotti. Ora, se ne risen­tiranno un vantaggio dei prodotti meschini, immaginate quale vantaggio ne risentirete voi che siete il più bel prodotto della natura! (Marta ride).

Giacomo                       - Ve ne accorgerete dalla stampa. Vi dedicherà degli inni. Io stesso preparerò le recensioni.

Isidoro                          - Sì. Perché, vedete?, questo è il primo vantaggio della beneficenza. Si paga tutto. Anche là critica.

Marta                                       - E la critica ha tanto bisogno di suggerimenti! E' così distratta... quando non è incompetente...

Giacomo                                 - Ditelo a me!

Marta                            - Vai sarete rimasti sorpresi che io abbia scelto proprio il quarto atto del Rigoletto, dove, si, data la mia notorietà, la parte preminente non è quella della prima donna. Ma che volete? La scena della morte mi sedu­ce... Cantare, oh Dio!, è molto facile! Il dif­ficile è interpretare... Eppoi, le cantanti sono così grasse, in genere, e io... ho una figura... Dio mio...

Isidoro                                     - Eccezionale!

Marta                            - Per lo meno adatta ad apparire vestita da uomo... Vi assicuro che in abiti ma­schili, riporto un tale successo!

Isidoro                          - Immagino! (A Giacomo, ringal­luzzito) Da uomo, da uomo! Léchat!

Marta                            - Ma non mi avete detto ancora in quale teatro debbo cantare.

Isidoro                          - Dio mio... se avessi potuto sup­porre il vostro concorso... avrei cercato... Pur­troppo, il teatro è piccolo, piccolissimo... Il più piccolo di Parigi... La Pepinière...

Marta                            - Non importa... In ambienti grandi, spesso, certe finezze vanno perdute... Perché, vedete, la cosa più ardua non è di emettere delle grandi note... Dio mio... si grida... pre­sto tatto... Ma quella di ridurre la voce a quasi nulla, a un sospiro... appena percettibile... E un ambiente piccolo è il più propizio.

Isidoro                          - Allora siamo d'accordo in, tut­to?... Ali, signorina, io non so come ringra­ziarvi!... Permettete, ora, che vi presenti la mia famiglia. (Va a destra, chiama) Giulietta? (Giulietta appare) Mia figlia... La signorina Marta Florian, la grande artista lirica che do­mani sera canterà nel Rigoletto per i nostri operai... Ti avevo detto che avresti conosciuto dei personaggi celebri? (A Marta) Ed ora vi farò conoscere anche mio genero.

Giacomo                       - (sobbalzando) (Eh?!).

Marta                            - Come? Vostra figlia è maritata?

Isidoro                          - No. Volevo dire il mio futuro genero. (S'avvia a sinistra).

Giacomo                       - (pronto) Vado io!

Isidoro                          - Basta chiamarlo di qui!

Giacomo                       - Ma trovi proprio necessario...

Isidoro                          - Perché odia la musica?... (A Marta) Sapete, il mio futuro genero é un orso: uomo d'affari, non è molto tenero per la musica. Ma sono sicuro che quando vi avrà veduta e udita, modificherà le sue impressioni. (Chia­ma, a sinistra) Renard?

Giacomo                       - (Che accadrà adesso?) (Giorgio appare dalla prima Stanza a sinistra).

Isidoro                          - II mio futuro genero: Giorgio Renard.

Marta                            - (che stava parlando con Giulietta, si volge, e non può trattenere un gesto e un'escla­mazione di sorpresa. Anche Giorgio ha un moto di sorpresa che subito contiene) Ah!

Isidoro                          - (sorridendo) Me lo aspettavo! Anche voi, come gli altri: « Ah! » (Indicando Giorgio) E sono sicuro che aggiungerete anche che rassomiglia...

Marta                            - (fissando, ironica, Giorgio) Difatti, stranamente...

Isidoro                          - Ma non saprete dire a chi.

Marta                            - Al contrario!

Isidoro                          - Ah, finalmente sapremo a chi ras­somiglia il nostro Giorgio Renard!

Marta                            - Al celebre tenore Raoul Leroix.

Isidoro                          - Adesso capisco perché mi era parso di aver veduto una faccia simile su qualche cartolina illustrata!

Giorgio                         - (sottovoce, a Giacomo) Pezzo d'a­sino, potevi avvisarmi!

Marta                            - Un tenore che ha molto cantato con me... e che godeva una certa notorietà... per quanto appartenesse proprio a quella ca­tegoria di cantanti a cui accennavo dianzi. I Camera della voce.

Giorgio                         - (Mi vien proprio voglia di farlo il Camera!).

Marta                     - Ora credo che non canti più... a meno che non vada peregrinando in teatri di provincia... perché a voce deve stare maluccio.

Isidoro                          - E voi trovate che il nostro Renard rassomigli veramente a Leroix?

Marta                            - Sì. Benché Leroix apparisca più giovane... e porti un'ombra di baffetti sul labbro... (Che intanto s'è avvicinata a Giorgio come per esaminarlo; sottovoce) Siete pro­prio sceso all'ultimo guadino! Avete preso l'aspetto d'un comprimario!

Giorgio                         - (che trattiene a stento un moto di stizza; a Giacomo sottovoce) Con te, poi, faremo i conti dopo!

Giacomo                       - (sottovoce) Ma io posso giu­rarti...

Marta                            - (a Isidoro) Vogliamo, allora, fare una nota degli artisti?...

Isidoro                          - Sì, sì... Léchat?

Giorgio                         - La mia presenza mi pare inutile... (Inchinandosi a Marta) Signora... (Fa per av­viarsi).

Isidoro                   - No, no, restate, Renard. Anche voi dovete collaborare. Scriverete la nota. Avete una così bella calligrafia!

Giorgio                   - Ma siccome, di là, c'è un monte di cose da fare...

Isidoro                   - Lasciate che si accumulino! Se­dete!

Giorgio                         - (sedendosi alla scrivania) (C'è da morir dalla bile!).

Giacomo                 - (che ha preso posizione, in piedi, vicino a Giorgio; dettando) Gilda...

Isidoro                          - Scrivete: Gilda. (Con un sorriso melato) Marta Florian, si capisce.

Marta                     - Rigoletto... Chi può farlo?

Giacomo                 - C'è Duménil che è libero.

Marta                     - Oh! Una voce così reboante!

Giorgio                   - (sottovoce, a Giacomo) Quando uno ha voce, con lei, non c'è verso: per lo meno è reboante!

Giacomo                 - Vernouillet, allora?

Marta                     - Non ha molti mezzi. Ma sulla sce­na è un quadro. Sì, sì; lui!

Giorgio                         - (sottovoce a Giacomo) Un qua­dro che abbaia!

Giacomo                 - Maddalena... la Floury?

Marta -                   - Sì, sì... Per quello che ha da fare!

Giacomo                 - Sparafucile...

Marta                     - Oh, chi sia!

Giacomo                 - Paolo Bourdien... Ecco fatto... Manca il Duca di Mantova... Ci dimenticavamo del meglio... (Correggendosi) Dopo la signora... La parte potrebbe venire affidata...

Marta                            - II Duca di Mantova l'ho... Dampierre.

Giorgio                         - (sottovoce a Giacomo) Quel cap­pone ha sempre mirato a prendere il mio posto!

Marta -                          - Sentiranno! Un tenore che fila le note!...

Giorgio                         - (sottovoce, a Giacomo) Se le fila!...

Giacomo                       - (a Giorgio, dettando) Direttore d'orchestra: Chévillard. (A Marta) Va bene Chévillard?

Marta                     - Oh!... Tanto non deve cantare!

Isidoro                   - (prendendo il foglio scritto da Gior­gio e mostrandolo a Marta) Ecco la nota. Posso farla stampare?

Marta                            - (gettando un'occhiata al foglio) Sì, sì... Ah!... Scusatemi... Non per me... Per l'uso... Anche per la riuscita dello spettacolo... Volete far stampare più in grande il mio nome?... Se stesse in me... ma... che volete... bi­sogna .pur piegarsi... a certe stupide esigenze.

Giorgio                         - (che, frattanto s'è alzato, sottovoce a Giacomo) Ali! sempre così... Ti pare che avrei potuto continuare a vivere con una donna simile?... Lei il nome... (gesto) tanto alto,,. Io tanto... (gesto) piccolo... Convieni: c'è da I rivoltare lo stomaco!

Marta                            - (a Isidoro) Allora voi mi avviserete per la prova... (A Giulietta, salutandola) Si-ignoriina... Vogliate scusarmi se ho un poco rimpiccolito il vostro fidanzato con la storia della 1 rassomiglianza a Leroix. Immagino che il vostro ideale non sarebbe davvero un tenore.

Giulietta                        - E perché no? Se fosse celebre!

Marta                            - Se lo fosse!... Del resto, ho al­quanto esagerato con la rassomiglianza. Leroix possiede una cosa che manca assolutamente al signore...

Isiooro                    - Renard.

Marta                            - Renard... Il sorriso. Il bel sorriso stereotipato che sembrava una reclama da dentista e che Leroix portava sempre in giro come per annunciare: Eccomi qua! Raoul Le­roix! Il Duca di Mantova!... Se una rassomi­glianza sostanziale Leroix ha con il signor Renard, è quella di non aver voce.

Giorgio                         - (Mi vien voglia di scaraventarle un do di petto!...).

ìMarta                           - (agli altri, congedandosi) Signori...

Bebé                       - (appare da destra, di corsa)

Isidoro                          - Mio figlio. (Marta si volge).

Bebé                             - (non può trattenere un'esclamazione di sorpresa) Ah!

Marta                            - (a Bebé, ridendo per quell’« Ahi » di sorpresa) Trovate che anch'io rassomigli a qualcuno?

Bebé                       - A voi stessa!... Perdonate, signora, la mia sorpresa. Ma iersera vi ho veduta all'Imperiale, e incontrarvi qui...

Marta                     - Ah, eravate all'Imperiale, iersera?

Bebé                       - Sì, al tavolo da giuoco...

Marta                     - Vi ho, almeno, portato fortuna?

Bebé                       - Si, perché ho perduto. E chi perde al giuoco, signora, può sperare in ben altre vittorie!

'Marta                     - (ride) Mica male!

Isidoro                          - (che ha seguito arricciando le labbra le battute di Bebé, ai Giorgio) Renard, sor­vegliate Bebé!

Giorgio                         - (a Giacomo) Avrei dovuto sorve­gliare papa!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Il ridotto degli artisti nel piccolo teatro della Pepinière, la sera della recita. Tre camerini a sinistra, due a destra, con i relativi cartellini sulle porte. Nel fondo, arcata da cui s'intra­vede un angolo del palcoscenico. A destra, in primo piano, ingresso che comunica con la sala del teatro. Da un lato, pianoforte. Sul davanti, di fiancò, leggio di ferro con sopra uno spar­tito chiuso e la bacchetta del direttore. Poche seggiole.

 (Di là dall'arco, via vai di macchinisti e di inservienti. Nel ridotto, il maestro Chévillard, Giacomo Léchat e il Buttafuori, Tutti e tre sono in marsina).

Chévillard                     - (al Buttafuori) Date ordini che si affretti il montaggio della scena. E' già tardi. Non vorrei che la Florian andasse sulle furie. Quei benedetti artisti di prosa hanno im­piegato due ore a svolgere il loro programma!

Il buttafuori                  - Subito...

Chévillard                     - E verificate che i riflettori sia­no a posto. Avete sentito? Dopo il temporale, la Florian vuole che l'investa un raggio di luna, nella scena della morte.

Buttafuori                     - Vado, vado. (Esce dal fondo).

Chévillard                     - Giacché era stato deciso di eseguire il quarto atto del Rigoletto, non si poteva sop­primere qualche numero della parte drammatica? Per quello che è valsa! Quando si mette di mezzo gente che non capisce di teatro! ...

Giacomo                       - E' quello che ho fat­to osservare anch'io!

Chévillard                     - (rivolto a destra) E voi... (Guardando in giro) Do­ve s'è cacciato il custode? Ci man­cava che sostituissero pure il cu­stode, questa sera!... Custode? (Il custode apparisce dal fondo. È un uomo dalla gran barba ne­ra, gli occhiali affumicati, e il berretto calcato sugli occhi) Non state a guardare la scena! Guar­date la porta! E dal di fuori! (Mentre il custode s'avvia all'ingresso a destra) E ora che princi­pia la parte musicale, che nessu­no entri se non addetto al palco­scenico! Vediamo che non si ri­peta lo sconcio di dianzi! Il ridotto degli artisti pareva divenu­to una piazza d'armi!

Giacomo                       - S'io fossi in voi, mae­stro, non farei passare anima viva.

Chévillard                     - (tra se) A cominciare dai gior­nalisti! (Esce dal fondo. Anche Giacomo risale e si ferma, di spalla, sulla soglia dell'arco, a vedere il via vai del palcoscenico. Dall'ingresso, appare Isidoro Lebourdel, sbuffante. Anche lui è in marsina).

Il custode                      - (con voce cavernosa, sbarrandogli il passo) Non si può!

Isidoro                          - Come non si può?

Il custode                      - Ordine del maestro,

Isidoro                          - Ma io sono come chi dicesse l'im­presario... Quello che paga.

Il custode                      - (indicando la porta) Allora, il posto del signore è nella sala.

Isidoro                          - Ma pagando un supplemento... (Gli da una moneta).

Il custode                      - (osserva la moneta) Posso non aver veduto il signore. (Esce).

Isidoro                          - (s'inoltra, vede Giacomo) Léchat? (Giacomo si volge e discende) Ah! non ho mai faticato come questa sera! T'assicuro che la mia fabbrica di turaccioli non mi da tanto da fare. Ne abbiamo avuti d'incidenti!

Giacomo                      - Pur troppo, gli artisti di prosa sono molto suscettibili,

Isidoro                         - Speriamo che non lo siano quelli di canto.

Giacomo                      - Oh! I cantanti sono disciplina­ti... Non lai che salire sul palcoscenico, eh, vec­chia volpe?

Isidoro                         - Che vuoi?... Ti giuro: mi batte il cuore come a vent'anni.

Giacomo                      - Intanto, quella povera tua figlio­la, deve bene annoiarsi lasciata sola continua­mente nel suo palco.

Isidoro                         - Oh! non è sola.

Giacomo                      - E' con Giorgio Renard?

Isidoro                         - Ti pare che Giorgio Renard sareb­be intervenuto a uno spettacolo teatrale?

Giacomo                      - (tra sé) Specie in questa circo­stanza!

Isidoro                         - Mia figlia è in mani anche più si­cure. Le tiene compagnia Romeo Nezier, un mio giovane impiegato serio ed innocuo.

Giacomo                      - E Bebé non s'è veduto?

Isidoro                         - No. Il mio allarme di iersera era ingiustificato. Dev'essere di nuovo all'Imperiale a giuocare. E, per questa sera, meglio che giuochi... Tanto, giacché siamo in ballo, spesa più spesa meno!... Credo che se avessi versato di­rettamente ai miei operai quello che mi costa questo spettacolo, mi avrebbero offerto un busto. (Trasalendo) Che cos'è?

Giacomo                      - I cantanti che provano la voce. (Difatti, s'ode qua e là qualche gorgheggio).

Isidoro                         - (sorridendo) Sembra un serraglio! (Indicando il primo camerino a sinistra) Lei è lì?

Giacomo                      - Lì.

Isidoro                         - (orecchia) Lei non prova la voce. E già: un'artista come lei...! Giacomo? Io busso.

Giacomo                      - Ti consiglierei di bussare dopo la recita.

Isidoro                         - Perché?

Giacomo                      - Perché mi è parso che la signo­rina sia alquanto nervosa.

Isidoro                         - Oh! Dianzi, una delle volte che sono salito inutilmente sul palcoscenico, mi ha fatto dire dalla cameriera: « Che venga a ve­dermi quando sarò vestita. » Non corrisponde­re all'invito, equivarrebbe a una mancanza di riguardo da parte mia; e, poi, voglio almeno essere il primo a vederla vestita da uomo! Sta­mattina, alla prova, clausura. All'albergo, riposava... Vedrai! con me non sarà nervosa. Quando saprà che sono riuscito a fare interve­nire anche il Segretario alle Belle Arti!... Io busso, Giacomo. (Ma mentre s'accinge a pic­chiare, la porta del camerino s'apre con violen­za e ne esce Susanna, la cameriera di Marta).

La voce di Marta               - (iraconda) Dite al mae­stro Chévillard che ne ho abbastanza! Se fra cinque minuti non si comincia, mi spoglio e me ne vado! (Isidoro che all'aprirsi violento del camerino, aveva fatto un passo indietro, indietreggia ancora) Non aveva altro da fare quel signor Lebourdel che trascinarmi in questa ba­racca! (La porta del camerino viene richiusa con violenza, e Isidoro indietreggia ancora conmaggiore spavento).

Giacomo                      - (a Isidoro) Non ci badare! Gli artisti fanno sempre così per montarsi!

Susanna                       - (che frattanto s'è avvicinata all'ar­co) Maestro? Maestro?

Chévillard                   - (riappare) Che c'è?...

Susanna                       - La signorina dice che se non ti comincia fra cinque minuti si spoglia e se ne va.

Chévillard                         - Aspetto io, non può aspettare lei?!... (Chiamando dall'arco) Meillard? Meillard? (Il Buttafuori appare) Andiamo in scena! Domandate agli artisti se sono pronti.

Il buttafuori                - (corre al secondo camerino a sinistra. Bussa) Signor Bourdien? Pronto?

La voce di Bourdien        - (da basso profondo) Pronto.

Il buttafuori                - (corre al terzo camerino a si­nistra) Signor Vernouillet? Pronto?

La voce di Vernouillet       - (iraconda) Da due ore!!

Il buttafuori                - (corre al secondo camerino a destra) Signorina Floury? Pronta?

La voce della Floury          - Prontissima!

Il buttafuori                - (corre al primo camerino) Signor Dampierre? (Silenzio. Picchia). Signor Dampierre? (Silenzio) Che si sia addormentato? (Apre il camerino) Non c'è.

Tutti                             - Non c'è?!

Chévillard                   - Come non c'è?

Il buttafuori                - (mostrando il camerino) I vestiti per la scena sono ancora appesi alla parete.

Chévillard                   - E' inaudito! E' la prima volta che mi accade una cosa simile nella mia car­riera! Un tenore che non è ancora sul palco­scenico al momento di alzare il sipario! Ma già, non avrei dovuto accettare di dirigere uno spet­tacolo simile! E' un diminuirsi!

Isidoro                          - (a Giacomo) Non è gentile!

Il buttafuori                  - Però, anche alla prova, Dampierre ha tardato.

Chévillard                     - La prova è la prova!

Isidoro                                     - Che gli sia capitata una disgrazia? Con quella costituzione...

Chévillard                     - Vi pare che sia il momento di fare tali pronostici? Eppoi se gli fosse capi­tata una disgrazia, qualcuno ci avrebbe avvi­sati!... E' inaudito! E' inaudito!

Il custode                      - (che, attratto dalle voci, è riap­parso, cava di tasca una lettera, come se sol­tanto ora si ricordasse di averla ricevuta) Si­gnor maestro... chi sa che questa lettera che mi hanno dato per voi un'ora fa... (Gli porge la lettera).

Chévìllakd                    - Un'ora fa!? (Glie la strappa di mono e l'apre) E' di Dampierre (Al custode furioso) E me la date adesso?!... (A Isidoro) Oh! avete un personale!... Fa schifo!

Isidoro                          - (timidamente) Ma è il personale che ho trovato!

Giacomo                       - (sottovoce, con tono d'esortazione) Non rispondere.

Chévillard                     - (che ha terminato di leggere la lettera) Malato! Malato! In letto! Nella im­possibilità di muoversi!... E, adesso, che si fa? (A Isidoro) Ah, sentite, signor Lefoourdel: quando si organizza uno spettacolo lirico biso­gna sorvegliarli i propri cantanti! Sopratutto, saperli scegliere!

Isidoro                          - Veramente, il signor Damoierre è stato scelto e portato dalla signorina Florian... Non si potrebbe fare a meno del tenore?

Chévillard                     - Sigiar Lebourdel!!

Giacomo                       - (sottovoce, c. s.) Sta' zitto!

Chévillard                     - Figurarsi adesso, la Florian!... Non c'è che un rimedio... Cantare qualche al­tra cosa con gli artisti che ci sono... Bisogna persuadere la signorina Florian... (A Isidoro) Parlatele voi.

Isidoro                          - Eh?! Io?!...

Chévillard                     - Siete o non siete l'impresa­rio? A chi volete che tocchi? A me? Le mie mansioni sono in orchestra, e ce n'è anche di troppo!

Isidoro                   - Ah! chiedetemi quello che vo­lete; ma questo, no!

Chévillard                     - Ho capito! Vedo che dovrò fare anche il buttafuori! (A Susanna) Chiamate la signorina. (Susanna entra nel camerino di Marta. Isidoro risale la scena fino all'arco, per occultarsi. A Giacomo) Che non si faccia pren­dere i nervi, adesso, perché vi assicuro che troverà pane per i suoi denti! (Marta appare. È in vestaglia. Si capisce che sotto la vestaglia porta il vestito maschile per la scena, poiché si scorgono gli speroni appuntati agli stivaloni. Subitamente gentile) Signorina, mi dispiace disturbarvi. Ma... Un piccolo incidente... Dam piene...

Marta                            - Ebbene?

Chévillakd                    - ... Non è in teatro.

Marta                            - Eh!?  E lo chiamate un piccolo in­cidente?... Perché... Dampierre non è in teatro?

Chévillard                     - E' malato.

Marta                            - E mi si avvisa soltanto adesso? (Furente) Dov'è il signor Lebourdel? Dov'è? (Isidoro pronto si nasconde dietro l'arco).

Giacomo                       - (cercandolo) Era qui...

Marta                            - Non io si vede mai quel signor Le­bourdel!

Isidoro                          - (facendo capolino di là dall'arco) E dire che l'ho cercata tutta la sera!

Marta                            - Orbene, dite al signor Lebourdel che lo ringrazio... che lo ringrazio infinitamente del magnifico scherzo... Ci voleva proprio lui e i suoi turaccioli per mettere in condizio­ni simili, Marta Florian! Signori, io mi spo­glio e me ne vado!

Giacomo                       - Signorina!...

Marta                            - Non pretenderete che io canti il quarto atto del Rigoletto senza tenore?

Chévillard                     - Ma si potrebbe cantare qual­che altro forano.

Marta                            - Cosa?!...

Chévillard                     - Per esempio... il duetto col            baritono al finale del secondo atto.

Marta                            - Oli! Vestita da uomo?... E siete voi, maestro, che mi proponete...? Marta Flo­rian non è artista che prometta una cosa per cantarne un'altra... Eppoi, ho il quartetto in gola... Vado a spogliarmi!

Giacomo                       - Signorina, riflettete: il teatro è rigurgitante di pubblico...

Marta                            - Ebbene, se ci tenete a soddisfare il vostro pubblico, mandate subito il medico di servizio da Dampienre... Ci sarà pure un me­dico di servizio! Almeno questo!... E ditegli che consigli il signor Dampierre a venire in tea­tro in qualsiasi condizione si trovi. Se soffrirà di un abbassamento di voce, ne daremo notizia al pubblico e noi ci sforzeremo per mascherare le sue deficienze. Ma se non viene - e che gli sia detto chiaro! io non canterò più con lui. Ne ho abbastanza di questi tenori che vogliono carotare con me soltanto per sfruttare la mia notorietà! (Rientra nel camerino, sbattendone la porta).

Chévillard                     - (al Buttafuori) Avete udito? Mandate subito con un taxi il medico di ser­vizio da Dampierre...

Isidoro                   - (che è riapparso) E fategli dire che, se verrà, ci sarà un regalo.

Chévillard               - Ma che regalo! Ci vorrebbe una buona dose di legnate! (Spinto da Chévil­lard, il Buttafuori esce dal fondo, a destra).

Isidoro                          - E se proprio il disgraziato non si potesse muovere?

Chévillard                     - Ho già detto che non si debbono fare cattivi pronostici in teatro!!

Isidoro                   - (tra sé) Ah! Io me la batto!... (Si avvia).

Chévillard                     - Bisogna ora guadagnar tempo! (Risale verso l'arco, con Giacomo).

Il custode               - (a Isidoro, che è giunto sull’in­gresso, sbarrandogli il passo) Non si può.

Isidoro                          - Ah, poi, anche per uscire!... (Ma, subito, cava due monete e glie le da). Ma avete ragione! L'uscita dall'inferno merita supplemento doppio! (Esce a precipizio).

Il custode               - (per osservar bene le monete, tira giù barba, baffi e occhiali, che sono tratte­nuti da un elastico, e appare la faccia di Be­bé). Oro. (Intascando il danaro e rimandan­do a posto la barba) Ed io che credevo mio pa­dre uno spilorcio!...

Chévillard                     - (chiamando qualcuno fuori dall'arco) Giovinetto? Giovanotto? (Appare un giovane artista drammatico dall'aria fatale; an­che lui, in marsina) Voi siete l'artista che ha, dianzi, recitato nel proverbio di De Musset?

Il giovane attore           - Sì. Una parte di favore.

Chévillard                     - Sentite. Accade un incidente. Bisogna ritardare lo spettacolo lirico. Volete essere così gentile di recitare qualcosa al pubblico?

Il giovane attore           - Io?!...

Chévillard                     - Un monologo.

Il giovane attore      - (storcendo la bocca) Oh!

Chévillard               - Due, se volete.

Il giovane attore           - No, no!... (Cesto di stizza di Léchat e di Chévillard) Ma, se v'aggrada, reciterò un'ode.

Chévillard               - Sì, sì. Purché sia lunga!

Il giovane attore           - Io non recito mai cose brevi.

Chévillird               - Venite, venite!

Il giovane attore           - Fate annunciare: Goffredo Jeffroy, secondo premio al Conservatorio.

Chévillard                     - Sì, sì! Andiamo! (Esce coni l'attore e Giacomo dall'arco, a sinistra).

Il custode                      - (Bebé) Che Babilonia!... E mio padre che... (Strizza l'occhio in direzione del camerino di Marta). Mi dispiace, data la pa­rentela, di dovergli giuocare un tiro birbone. Ma, anche per ragioni morali, è doveroso. (Tor­nando a guardare in direzione del camerino) Che donna!... Sono sicuro che appena saprà di che cosa sono stato capace per starle vicino, I non resisterà. (Si guarda in giro). Nessuno!..,! Ora sarà sicuramente vestita da uomo. (S'avvicina a piccoli passi alla porta del camerino per guardare dal buco dello, serratura. Giorgio Re­nard entra a precipizio dall'ingresso. E' in cap. pollo e pastrano; il bavero rialzato, il collo av­volto in una sciarpa).

Il custode                      - (Bebé) (si volge di scatto al ru­more dei passi di Giorgio) Non si può!

Giorgio                         - Andate al diavolo! (Vede Léchat, che riappare dall'arco) Léchat? Léchat? (Ab­bassa la sciarpa).

Giacomo                 - Tu?!!

Il custode                      - (Bebé) (che, frattanto, è ripassato vicino all'ingresso) (Giorgio Renard!).

Giorgio                         - Dov'è il camerino di Dampierre?

Giacomo                       - (indicando il primo camerino a destra) Lì.

Giorgio                   - Canto io! Annuncia pure che Raoul Leroix sostituisce Dampierre.

Giacomo                       - Eh? (S'accorge del custode. Fa cenno a Giorgio di tacere. Al custode) E voi che ' fate lì? Non vi ha detto il maestro di montare la guardia alla porta, dal di fuori? Uscite!

Il custode                      - (Bebé) (Giorgio Renard, Raoul Leroix?... Ah! Ora non mi sorveglierà più!). (Esce).

Giacomo                       - Mi vuoi spiegare?...

Giorgio                   - Ti pare che non mi sarei presa la rivincita dopo quanto accadde a New York e dopo quanto ieri mi ha detto la signorina Florian? Ah! sono invecchiato? Non ho più voce? Le farò vedere! T'assicuro che questa sera la metterò fuori combattimento. Sarà il mio canto del cigno!

Giacomo                       - Ma se viene Dampierre?

Giorgio                         - Non verrà. Non può. E' nell'im­possibilità di muoversi. Sono io che l'ho messo in questa impossibilità. Imparerà anche lui a camminarmi sui piedi! L'ho pescato dopo la prova. L'ho invitato a colazione. L'ho fatto be­re, bere e bere. Bevuto il primo bicchiere, lui non li conta più. Sapevo che era ghiotto di car­ciofi. E non ignori che i carciofi per la voce sono un malanno. Glie ne ho fatti mangiare a crepapelle. Un'ora dopo, sudava, sudava... Sai? pesa un quintale l'amico! E se comincia a su­dare, diventa una fontana. Due ore dopo non aveva più neanche tanto fiato da dire: Grafie.

Giacomo                       - Ma il tuo futuro suocero ti rico­noscerà!

Giorgio                         - Non è ormai noto che Renard ras­somiglia a Leroix? Eppoi, tu impedirai che il signor Lebourdel, mentire canto, salga sul pal­coscenico. Del resto, questa sera, saprò essere Leroix, sia pure per l'ultima volta. E, vedrai, tra Raoul Leroix e Giorgio Renard, non s'avvertirà che una semplice rassomiglianza. Ora, va', va'! Annuncia che Raoul Leroix si trovava in teatro; che, saputo l'incidente, per cameratismo, prende il posto» di Dampierre...

Giacomo                       - Ma Marta Florian quando saprà che canti tu, rifiuterà di partecipare allo spet­tacolo!

Giorgio                         - Non diceva che ero un cane? Non le parrà vero d'illudersi d'emergere! Eppoi, la conosco. Ti sembra che rinuncerebbe a cantare in una sera in cui la beneficenza inette il bava­glio alla critica? Canterebbe con un compri­mario! Va'! Va'! (Entra nel primo camerino a destra. Dal fondo, di là dall'arco, appariscono Chévillard da sinistra e il Buttafuori da destra).

Chévillard                     - Ebbene?

Il buttafuori                  - II medico ha trovato Dam­pierre in condizioni disastrose!

Chévillard                     - (ha un gesto di rabbia.) Ah!

Giacomo                       - Ma lo spettacolo avrà luogo ugualmente. C'è chi sostituisce Dampierre... E' già a vestirsi...

Chévillard e il Buttafuori       - Eh?

Giacomo                 - Raoul Leroix che era in teatro, e, saputo dell'incidente, per cameratismo...

Chévillard                     - Bisogna subito avvisare la Florian... (Il Buttafuori s'avvia al camerino di Marta) No, no... Che l'avvisi il signor Lebourdel... Io ne ho abbastanza di sentirmi risponder male... Spetta a lui la responsabilità dell'orga­nizzazione dello spettacolo. (Al Buttafuori) Chiamatelo. E' qui nel palco di proscenio. (Il Buttafuori esce dall'ingresso a destra) Leroix che risbuca fuori! Figuriamoci in quali condi­zioni!...

Isidoro                          - (entra seguito dal Buttafuori. Con orgasmo) Che c'è di nuovo?

Giacomo                       - Buone notizie.

Isidoro                   - Dampierre ristabilito?

Giacomo                       - No.

Isidoro                   - E allora?

Giacomo                 - Abbiamo chi Io sostituisce.

Isidoro                          - Dio ti ringrazio!... Non se ne po­teva più. C'è quel ragazzo, alla ribalta, che non la finisce più con la sua ode! Mezzo teatro sbadiglia. E chi è il tenore che sostituisce Dampierre?

Chévillard               - Raoul Leroix.

Isidoro                   - II sosia di Giorgio Renard? E quello sciocco di Renard che non è venuto in teatro! Avrebbe potuto prendersi il gusto di vedere il suo fac-simile.

Chévillard               - Ora bisogna avvisare la si­gnorina Florian. (A Isidoro) Tocca a voi.

Isidoro                          - A me?

Chévillard               - Non siete l'impresario.?

Isidoro                   - Ma non vorrei... La signorina era così nervosa...

Chévillard               - Sarà ben lieta di cantare con chi ha cantato tante volte con lei.

Isidoro                   - Già.. Poiché sono affiatati... Ep­poi, se è vero che Leroix rassomiglia a Renard, la signorina avrà tutto da guadagnare, perché... quel Dampierre... Dio mio... (Disegnando col gesto attorno al proprio corpo l'adipe di Dam­pierre) sembra un palombaro!

Giacomo                       - (Speriamo che non pensi il con­trario!).

Chévillard                     - Se la signorina ci farà la gra­zia di acconsentire, avvisatemi! (Esce dal fondo).

Il buttafuori            - (picchiando al camerino di Marta) Signorina Florian?

Marta                            - (appare. E' sempre in vestaglia. Più accigliata che mai) Dampierre?

Il buttafuori                  - Non può muoversi dal letto.

Marta                            - (volge bruscamente le spalle) Buo­na sera, signori.

Isidoro                   - (sollecitato da Giacomo) Però...

Marta                            - (si volge e squadra con un'occhiata fulminante Lebourdel).

Isidoro                   - La recita ha luogo lo stesso.

Marta                     - Lo stesso?!... E chi ne ha dato l'ordine?

Giacomo                       - L'amico Lebourdel si è spiegato male. « Può » aver luogo lo stesso.

Isidoro                   - Ecco: può.

Marta                     - E come? Senza il tenore?

Isidoro                          - Il tenore c'è.

Marta                            - E chi?

Isidoro                   - Un compagno d'arte che...

Giacomo                       - Conosciuto l’incidente... per ca­meratismo... trovandosi in teatro...

Isidoro                          - Sostituisce il signor Dampierre. E' già a vestirsi.

Marta                            - Già a vestirsi? Senza consultarmi? Senza sapere se io canterei con lui? Ah, signor Lebourdel, si vede proprio che voi...

Isidoro                          - ...non capisco di teatro. Lo so! Lo so! Ma quando saprete chi sarà il Duca di Mantova...

Marta                            - Chi è?

Isidoro                          - Raoul Leroix.

Marta                            - Raoul Leroix?!

Giacomo                       - (Me l'aspettavo!).

Marta                            - E voi potete credere che io cante­rò con un Leroix?

Isidoro                          - Avete pur detto, ieri, che è un te­nore celebre.

Marta                            - Celebre? Chi ha detto che è cele­bre? Ho detto semplicemente che godeva di una certa notorietà perché cantava al mio fianco.

Giacomo                       - Appunto... dovendo ricantare al vostro fianco...

Isidoro                          - Ecco: ho voluto dire celebre per questo.

Marta                            - No! Non canterò con un terrore che urla come un ossesso!

Isidoro                          - Mi permetto di farvi osservare che ieri avete detto che Leroix non ha più voce... Parla tu, Giacomo!

Giacomo                       - Difatti... Ieri...

Marta                            - E volete che io mi sfiati per lui? No! No! Mi spoglio!

Isidoro                          - Signorina: pensate, il teatro è pieno...

Giacomo                       - Non si aspetta che voi...

Isidoro                          - II segretario alle Belle Arti è giunto a metà spettacolo per ascoltarvi...

Giacomo                       - Ho già mandato i resoconti ai giornali...

Isidoro                          - Eppoi, consentitemi di essere fran­co. Dampierre non avrebbe fatto una buona impressione sul pubblico. Il teatro è piccolo. Lui è così grande! Mentre, Leroix, sarà quel che sarà; ma come figura...

Marta                            - Perché... lo conoscete Leroix?

Isidoro                          - Non avete detto che rassomiglia al mio futuro genero?

Marta                            - (ironica) Ah, già... a vostro ge­nero...

Isidoro                          - (sottovoce al Buttafuori) Si dice che siano due gocce d'acqua.

Marta                            - (sottovoce, a Giacomo) Quasi quasi mi vien voglia di dire di sì e di giuocargli un tiro! Perché voi siete del complotto, eh? Sapete bene che si tratta di identità e non di rassomiglianza.

Giacomo                       - Se tutto ciò può decidervi... (Purché canti, poi accada quello che accada).

Marta                            - (ironica a Isidoro) Ci tenete pro­prio che io canti col vostro Leroix?

Isidoro                          - Fatelo per i miei operai.

Marta                            - Ebbene... no, no e no! Io non posso avere qualsiasi contatto col signor Leroix! Egli ha troppi conti da regolare con me!

Giacomo                       - Vi faccio osservare che voi non avrete alcun contatto con lui. Dimenticate che nel quarto atto del Rigoletto, Gilda canta da una parte, e il Duca dall'altra. C'è il muro di­visorio in! mezzo alla scena.

Isidoro                          - Già: il muro divisorio, che v'im­pedirà, persino, di vederlo.

Marta                            - Ma non m'impedirà di sentirlo!

Giacomo                       - Ciò vi spingerà a soverchiarlo, signorina! Come faceste a New York, l'ultima volta che cantaste insieme.

Marta                            - Ah! è giunta fin qui l’eco di quella sera? ...

Giacomo                       - Se è giunta!

Marta                            - Vi assicuro che non riesco a concepire come Leroix abbia il coraggio di rican­tare con me.

Giacomo                                 - (sottovoce a Isidoro) Abbocca! Abbocca! (A Marta) Eppoi, quel Dampierre merita una lezione. Ubriacarsi, quando aveva preso impegno di cantare con un'artista come voi!

Marta                            - Come? Ubriacato?

Giacomo                       - Ha bevuto più dell'onesto. Per questo è in condizioni di non potersi muovere!

Isidoro                          - Se avessi avuto, io, la fortuna di cantare con voi, ve lo giuro, oh!, sarei stato astemio... che dico?... digiuno! per quaranta giorni!

Marta                            - Ah, questi tenori!... Ebbene: canto!

Isidoro e Giacomo        - Ah!

Marta                            - Ma voi mi siete mallevadori che Leroix non si permetterà di rivolgermi la parola.

Giacomo                       - State tranquilla!

Isidoro                          - Possiamo, allora, dare ordini di cominciare? (Per avviarsi al fondo).

Marta                            - Un momento!...

Isidoro                          - (Dio! che ci ripensi!).

Marta                            - Una piccola prova... tanto per ac­cordarsi... è pur necessaria... Non per me...

Giacomo                       - Sì, sì... Tutto quello che volete!

Marta                            - (a Isidoro) Ma che Leroix non mi parli! Se mi parla, filo! (Entra bruscamente nel camerino).

Giacomo                       - (al Buttafuori) Chiamate il maestro. (Il Buttafuori esce dal fondo).

Isidoro                          - (a Giacomo) Ce n'è voluto! (Asciugandosi il sudore) E dicevi che i cantan­ti sono disciplinati?... Ah, io me la svigno! Perché fino a che non vedo alzato il sipario, non sono tranquillo. (Esce di corsa a destra).

Chévillard                     - (entrando col Buttafuori, a Gia­como) Si può andare, dunque?

Giacomo                       - Sì. Ma la Floriam vuole prima una piccola prova.

Chévillard                     - Che vuoi provare? Non ha mai cantato con Leroix?... (Al Buttafuori) Chiamate il sostituto.

Il buttafuori                  - Eccolo. (Difatti dal fondo appare un ometto di età, zazzeruto, che porta uno spartito sotto il braccio. Anche lui, in mar­sina).

Chévillard                     - Maestro, mettetevi al piano... E vi raccomando, quando andremo in scena, di stare attento alla mia bacchetta, al momento del temporale, per dare i segnali dei lampi e dei tuoni. L'ultima volta è stato un vero di­sastro!

Il Maestrino                  - (a Giacomo) Come non vo­lete sbagliarvi, signor Léchat? Sono cinquanta anni che ho lasciato il Conservatorie. Mi hanno fatto sempre dare i segnali per muovere i fon­dali e dirigere i rumori interni. C'è da increti­nirsi per forza!

Chévillard                     - (al Buttafuori) Chiamate gli artisti. (Il maestrino si siede al pianoforte, aprendo lo spartito. Chévillard apre a sua volta lo spartito sul leggio e vi prende la bacchetta).

Giacomo                       - Io vado a completare le recen­sioni. (Esce a destra).

Il buttafuori                  - (picchiando al camerino della Floury) Signorina Floury? Di scena! (C. s. a quello di Bourdien) Bourdien? Di scena! (C. s, a quello di Vernouillet) Signor Vernouillet?... Dev'essersi addormentato.

Chévillard                     - Dorme anche quando canta.

(Gli artisti escono. Sono tutti truccati con la esagerazione propria degli artisti lirici; Vernouillet con una cura meticolosa da oleografia, che vuoi mascherare ad ogni costo la rispetta­bile età. Egli indossa il vestito nero da Rigolet­to all'ultimo atto. Ha la piccola gobba; ma ora cammina con passo regolare, mettendo in mostra la sua figura massiccia. Bourdien veste da Sparafucile e sembra il più truce dei briganti. La Floury, che indossa l'abito zingaresco di Maddalena, è un donnone enorme non più gio­vane, ma truccata come una bambola).

Vernouillet                    - Ci siamo?... Non si vuoi ca­pire che fare aspettare gli artisti tanto tempo equivale a smontarli?... Si può andare?

Chévillard                     - Occorre ancora una piccola prova.

Vernouillet                    - Una prova?!

Chévillard                     - Siccome si è dovuto sostituire Dampierre...

La Flourt                       - Meno male! Perché farsi dire Bella figlia dell'Amore da quell'ippopotamo...!

Vernouillet                    - (sottovoce a Bourdien) Sen­ti chi parla!

La Floury                      - E chi sostituisce Dampierre?

Chévillard                     - Leroix.

Bourdien e La Flourt    - Leroix?!

Vernouillet                    - Canta ancora Leroix?

Il custode                      - (Bebé) (che è riapparso alle ul­time battute) Una prova? Voglio almeno godermela!

Bourdien                       - (vocalizza) A, a, o!

Vernouillet                    - Ma non ti sforzare! Per quello che hai da capitare! . .

Bourdien                       - Appunto perché debbo cantare poco, bisogna che mi alleni. A me la voce vie­ne dopo che ho cantato parecchio. Se, ogni vol­ta, potessi ricominciare a recita finita, sarei Chaliapine.

Chévillard                     - (seccato) Ma che fa questa prima donna che non viene? Tutte uguali! E' per lei che siamo qui a perdere tempo! (Furen­te al Buttafuori) Chiamatela! (Ma il Buttafuori non ha neanche il tempo di muoversi che Marta appare. Ora è completamente in abiti maschili, come si presenta Gilda all'ultimo atto del Rigo­letto. Subito, cambiando tono, cerimonioso) Signorina, siamo a vostra disposizione...

Marta                            - Oh! appena qualche minuto. Il tempo di accordarci sulle posizioni, a causa della sostituzione...

Il custode                      - (Bebé) E' deliziosa! Deliziosa!

Chévillard                     - (agli artisti) Allora, vogliate prendere posto. (Vernouillet e Marta passano a sinistra. Bourdien e la Floury a destra. Ché­villard si è posto vicino al leggio). E il tenore? Dov'è il tenore?

Marta                            - (tra i denti) Non è ancora pronto?

Chévillard                     - Ah, questi tenori! Tutti ugua­li! Sono nati per tua equivoco del Padre eterno che credendo di creare una donna, ha finito col trovarsi tra le mani un uomo! (Furente, al Buttafuori) Chiamatelo! (Ma, anche questa volta, il Buttafuori non fa in tempo a muoversi che Giorgio appare facendo mulinelli con lo scudiscio. Egli è vestito come il Duca di Mantova all'ultimo atto del Rigoletto. Ha una leg­gera sfumatura di baffi sul labbro e ostenta il più stereotipato sorriso tenorile. Porta una parrucca di capelli corti arricciati).

Veknouiixet                  - Caro Leroix...

Giorgio                         - Caro Veinouillet Signori...

Il custode                      - (Bebé) (E' più buffo di me, mio cognato!).

Vernouillet                    - (sottovoce alla Floury) Si conserva bene, ma deve portare la pancera.

Giorgio                         - (guardando con la coda degli occhi Marta che gli ha voltato le spalle) (Vestita, ieri, non sembrava così dimagrita!).

Marta                            - (E ho potuto amare un fantoccio simile!).

Giorgio                         - (Non mi guarda? Devo averle fat­to impressione!). (Rivolto a Chévillard) Mae­stro, se crede... (Lo invita a cominciare).

Marta                            - (sbuffando) (Da gli ordini, lui!) (.Si volge, vede il custode (Bebé) che la guarda con atteggiamento languido, e non le par vero dì scaricare su qualcuno la propria stizza) II signor Lebourdel? Dov'è il signor Lebourdel?... (Indicando il custode (Bebé): Chi è quel signore?

Chévillard                     - Ah! Il custode. (Furibondo al custode (Bebé): Vi ho detto di far la guardia fuori! Uscite! (Il Custode (Bebé) esce a preci­pizio).

Marta                            - Avete veduto che faccia da funera­le? Mettere davanti agli occhi degli artisti, al momento di andare in scema, simili porta sfor­tuna, è lo stesso che mandare al macello!

Vernouillet                    - E si potesse dire il fatto pro­prio nelle serate di beneficenza! Nossignori, bisogna trangugiare, e zitti. Non si è pagati, e bisogna fare le persone educate!

Chévillard                     - Cominciamo, cominciamo...

Marta                            - Come dicevo dianzi, basterà un ac­cenno di prova, più che altro di scena, dei pun­ti salienti,... dato che c'è un artista nuovo.

Giorgio                         - (Te lo farò sentire il nuovo!).

Marta                            - La prima parte si può saltare. L'im­portante è il quartetto.

Giorgio                         - Un momento, maestro! Una pic­cola raccomandazione... per la prima parte. Quando canto La donna è mobile, tener pre­sente che io smorzo il finale... Se, come acca­drà, chiederanno il bis... (Marta arriccia le labbra e batte impaziente i tacchi) ricordarsi che invece forzo. Se si chiedesse il trie...

Vernouillet                    - (Esagerato!) (Marta c. s).

Giorgio                         - Ricordarsi che dico il finale col rondò. (Accenna picchiettando le note) « E di pensier! ». Perché io canto in tre modi diversi la romanza. E in piedi, e seduto e a cavalcioni della sedia. (Guardando Marta con la coda dell'occhio) (Piglia su!).

Marta                            - (Saltimbanco!).

Giorgio                         - Proviamo, maestro.

Marta                                       - (che non sta più sulle mosse) Ma siamo in una piazza! Ci si vuoi massacrare! Non se ne può più dalle correnti d'aria! Ci sono delle finestre aperte!

Giorgio                         - (alla Floury) Se si suda!

Chévillard                     - (ai Buttafuori) Fate chiudere! (Il Buttafuotri esce dal fondo per rientrare su­bito).

Marta                            - (con intonazione ancor più larvata­mente autoritaria di quella adoperata da Gior­gio) Proviamo, maestro. (Tutti si pongono in posizione per la scena, Vernouillet fingendo di essere sciancato. Giorgio prende per la mono la Floury).

Chévillard                     - Basterà appena accertare.

Marta                            - E' sottinteso!

Giorgio                         - (alla Floury) Tanto lei accenna sempre! (A un cenno del maestro, U sostituto comincia a suonare. Giorgio comincia a cantare con un filo di voce come un autentico divo che provi più per gli altri che per se) «Un dì se ben rammentomi           - O bella t'intcontrai... » (S'interrompe) Un momento. (Fa cenno al so­stituto di fermarsi).

Marta                            - (sbuffa, e tra i denti) (Dirige lui!).

Giorgio                         - (alla Floury) Vi prego di pren­dere un atteggiamento da lusingata. Le stesse parole che dovete cantare lo dicono: «Ha un'aria il signorino - Da vero libertino ». Eh! Non bisogna dimenticare che nessuna donna resiste al Duca di Mantova! Il libretto parla chiaro. Senza contare quelle che non si conoscono, la contessa di Ceprano, la figlia di Monterone, e Gilda, sopratutto Gilda, che muore per lui.

Marta                            - (a Chévillard, stizzita) Maestro, ma non perdiamo tempo! Tanto più che, in questa scena, tutti gli occhi del pubblico saranno ri­volti a Gilda che piange... si dispera...

Giorgio                         - (tra sé) Vedrai come ti dispererai più tardi! (Al maestrino) Andiamo pure avan­ti. Attacchiamo addirittura: « Bella figlia dell'amore ». Conta così poco il resto!

Marta                            - (scattando) (Ma io voglio fissare un punto che conta assai! Quando canto: « Iniquo traditori ».

Giorgio                         - (fa un cenno di condiscendenza e una smorfia come a dire: « Ah sì, conta proprio! ». Il maestrino attacca. Giorgio, rivolto alla Flou­ry accenna) « Amabile figliuola! ».

Rigoletto                       - (accennando anche lui, a Marta) « E non ti basta ancor! ».

Marta                            - « Iniquo traditori ».

Giorgio                         - Forza! Forza, maestro! Non ba­date che io accenno appena.

Marta                            - No, no; piano, piano!

Giorgio                         - (di nuovo senza guardarla) Occor­re bene un crescendo se Gilda deve urlare: « Iniquo traditor! ».

Marta                            - (anche lei evitando sempre di guar­darlo) Non come la vedo io! Come ho inter­pretata sempre la parte! Per me Gilda non è una lavandaia! E' una fanciulla! Il suo grido deve partire dall'anima! Deve esse­re appena percepito. Un gemito! (Accenna con un filo di voce) « Ini­quo traditori ».

Giorgio                         - (tra sé) Se torna in vita Verdi, l'accoppa!

Marta                            - Siamo intesi, maestro?

Chevillard                     - Intesi. Intesi. (Fa cenno al maestrino di riattaccare, ma subito la Florian lo interrompe col gesto).

Marta                            - Ah! prima... maestro... Un'idea che m'è venuta per la scena della morte.

BourdIen                      - (alla Floury, sottovoce) Ci fosse un'opera dove la prima donna muoia al primo atto!

Chevillard                               - A proposito della morte... Bourdien?... Spafafueile?... Oggi, alla prova, quando dite a Ri­goletto: « E' qui spento il vostr'uomo », non siete entrato a tempo. Guardate la bacchetta!

Bourdien                                 - Come volete che fac­cia, maestro? Debbo trascinare il sacca, guardare Rigoletto... Non ho mica tre occhi!

ChéviLlard                             - (seccato) L'impor­tante è che guardiate la bacchetta! (A Marta) Allora, signorina?

Marta                                       - Ecco... Io vorrei morire non come muoiono tutte le Gii de... In un modo nuovo... Più artisti­co... Vernouillet, venite... Dopo cantato; « Non più... a lui... perdonate... », quando dico « Mio padre... Addio...!», vorrei sforzarmi ad alzarmi, aggrap­parmi a voi, e, tra «Mio padre » e l'« Addio!... », fissarvi negli occhi, scoppiare in singul­ti, e poi piombare in terra. La morte in piedi!

Vernouillet                    - Badate a non trascinarmi con voi perché io debbo fare lo sciancato!

Chevillard                     - Ma, signorina, non c'è lo spa­zio musicale sufficiente!

Marta                            - E’ questa la novità! La musica si arresterà per un attimo. L'effetto sarà irresistibile!

Giorgio                         - (alla Floury) Roba da far morire in piedi davvero!

Marta                            - « Mio padre». ….Ferma la musica!... M'alzo. « Addio!... ». Muoio. E giù!

Vernouillet                    - E io piombo sul vostro ca­davere.

Marta                            - Ma non addosso, se no divengo un cadavere sul serio!... Maestro, attaccate pure.

(Chévillard torna a far cenno al maestrino di riattaccare. Questi eseguisce).

Giorgio                         - (accennando; alla Floury) « Bella figlia dell'amore - Schiavo son dei vezzi tuoi ». Allargate i tempi, maestro! (Marta sbuffa) « Con un detto sol tu puoi - Le mie pe­ne...». Largo! Largo! (Marta sbuffa sempre più) «Le mie pene consolar ». Lento, maestro! Io i fiati li tengo!

Marta                            - Ma stringere, stringere quando si canta insieme! Perché allorché si soffre, come devo soffrir io, bisogna essere concitati, rapidi!

Giorgio                         - Per me, maestro, purché allar­ghiate quando canto scoperto.

Vernouillet                    - (tra sé) Si decidessero a met­tersi d'accordo!

Chévillard                     - Andiamo, andiamo.

                                      - (Giorgio, Marta, Vernouìllet e la Floury con­tinuano ad accennare il quartetto, intercalando via via le battute che seguono).

Giorgio                         - Largo! Largo!...

Marta                            - Stretto! Stretto!...

Giorgio                         - Forte! Forte!

Marta                            - Piano! Piano!

Giorgio                         - Lento!

Marta                            - Lesto!

                                      - (Man mano che canta, Marta, con l'atteggia-mento della più tradizionalista delle prime donne, s'inoltra. Giorgio, per non essere da meno, fa altrettanto. E tutti e due finiscono col lam­bire i lumi della ribalta, sorpassando Chévillard che batte il tempo, stizziti di non poter andare più oltre per soverchiarsi).

Chévillard                               - (Ma dove vogliono andare a finire, in platea? (Il quartétto termina. Qua­dro dei quattro. Chiudendo lo spartito) Ora, si può cominciare.

Marta                            - Un tocco al trucco, e in scena! (En­tra di corsa nel suo camerino).

Giorgio                         - Anch'io! (Entra di corsa nel suo camerino).

Chévillard                     - Io scendo in orchestra. Signori, in scena! (Va via, dal fondo, con la sua bac­chetta, seguito dal Buttafuori e dal maestrino).

Vernouìllet                    - (alla Floury, avviandosi anche lui, al fondo) Quando ripenso che ho can­tato con la Patti, assistere a tali smorfie!... (Esce).

Bourdien                       - (alla Floury, ridendo) Lui dice che ha cantato con la Patti; ma, di fatto, deve aver cantato con la Malibran! (Escono anch'es­si, dal fondo).

Il custode                      - (Bebé) (riapparendo da destra) Oh! Ora potrò ficcare l'occhio in qualche buco... (S'avvia verso il fondo; ma appare subito Isidoro, anche lui da destra, con un enorme mazzo di fiori).

Isidoro                          - Ehi? Buon uomo! (Il Custode; (Bebé) si volge) Sapete se è accaduto nessun nuovo incidente?

Il custode                      - (Bebé) Nessuno.

Isidoro                          - Tutto liscio?

Il custode                      - (Bebé) Come un olio.

Isidoro                          - Allora, fatemi un piacere. Conse­gnate questi fiori alla signorina Florian prima che vada in scena. (Il custode      (Bebé) prende ì fiori e tende l'altra mano) Ci ha preso gusto! (Gli da una moneta) E ditele: Da parte del si­gnor Isidoro Lebourdel. Non vi sbagliate. Lebourdel.

Il custode                      - (Bebé) Non ci sarà pericolo! (Isidoro torna ad uscire. Il camerino di Marta I si apre) Eccola. (Appare Marta seguita da Susanna, che porta il mantello nero di Gilda sulle braccia).

Marta                                       - (a Susanna) Stordita! Hai dimenticato di portare in teatro la mia mascotte. Se faccio un brutto incontro prima di entrare in I scena, mi capiterà di certo una sventura. (Si I avvia).

Il custode                      - (Bebé) (sbarrandole il passo e offrendole i fiori) Signora!

Marta                            - Ah! L'uomo dalla barba! Sono rovinata!

Il custode                      - (Bebé) No! (Togliendosi di colpo barba, occhiali e berretto) Perché io sono Lebourdel il piccolo, e il piccolo Lebourdel non porta sfortuna!

Marta                            - (ridendo rincorata e prendendo i fiori) Voi!?...

Il custode                      - (Bebé) (allargando le braccia come. a mostrarle in che modo si è conciato per lei) Per... voi!

Giorgio                         - (entra, sobbalza) Bebé!?

Il custode                      - (Bebé) Se dite una parola a mio padre, io vi smaschero, Giorgio-Raoul! (Esce di corsa).

Marta                            - Cominciate male, signor Renard!

Giorgio                         - II mio campo non è qui, signora, (Indicando la scena) E' lì!

Marta                            - Andiamo pure, signor Duca!

Giorgio                         - Andiamo, figlia... di Rigoletto!

                                      - (Girano sui tacchi, volgendosi le spalle, e s'avviano sulla scena impettiti e spavaldi, fa­cendo risuonare gli speroni).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO


La stessa scena del primo atto. La mattina dopo. Giorgio, accigliatissimo, sta sprofon­dato su una poltrona., tenendo un giornale in mono come se avesse terminato allora allora di leggerlo e avendone molti per terra).

Isidoro                          - (entra da sinistra. E' in giacca da camera) Oh! Renard!... Leggete la cronaca dello spettacolo di iersera?

Giorgio                         - No. Consulto le notizie di Borsa.

Isidoro                          - Fate male a non consultare anche la rassegna teatrale! Perché, iersera, la recita è riuscita un portento. Un tale successo!... Cre­do che pochi spettacoli di beneficenza abbia­no raggiunto un risultato simile. Non si sono avuti che ventimila franchi di «deficit ». Avete commesso una sciocchezza a non venire anche voi! Non fosse altro per vedere il vostro sosia... La rassomiglianza, innegabilmente, c'è; ma... ma... tanto mia figlia non ci sente... voi avete una figura meno giovanile, meno snella, meno vivace... Oh, non crediate, che io non preferisca la vostra faccia seria! Specialmente come l'avete questa mattina. Una vera faccia da uomo d'affari. Però... quanto a Leroix... ahimè!... il cantor non è più quello!... (Giorgio arriccia le labbra) Portamento... atteggiamenti... sì, sì...; ma... a voce... giù! Figuratevi, quando ha cantato La donna è mobile, ha vo­luto sforzare, e, il pubblico... zitto. Gli stessi giornali non hanno potuto, - con garbo! non farlo notare. « Raoul Leroix pur non possedendo i mezzi d'un tempo, è apparso quell'artista corretto, ec­cetera, eccetera ». E' stato Giaco­mo Léchat che ha scritto le recen­sioni.

Giorgio                         - Ah è stato Léchat...?

Isidoro                          - E' così amico!

Giorgio                         - (tra se) Che mi capiti!

Isidoro                          - Ma sono stato io che gli ho suggerito quella formula.

Giorgio                         - Ah, voi... (S'alza).

Isidoro                          - Mentre la Florian... Amico mio! Alla fine, il pubblico è balzato in piedi come un sol uo­mo per evocarla al proscenio a gran voce. Il povero Leroix se ne stava da un lato come un gatto fru­stato. Ero stato io che avevo sparso pel teatro cento operai fidati.

Giorgio                         - Eravate stato voi che...

Isidoro                          - Come si fa? Bisognava pure dimostrare la propria gratitudine!

Giorgio                         - (fra se) Se non dovesse divenire mio suocero, parola d'onore che...

Isidoro                          - (guarda l'orologio) Bisogna che vada a vestirmi. Ho un appuntamento, alle un­dici, con... con un cliente, per un affare così importante! (Entra a destra).

Giorgio                         - (più accigliato che mai) Mi sta bene! Dovevo aspettarmelo! Articoli scritti in precedenza... Claque spudorata... (Raccatta un giornale e torna a sedére. Legge:) «Raoul Leroix doveva cimentarsi a fianco di una trop­po grande artista per non trovarsi in una con­dizione d'inferiorità... ». Stomaca!

Bebé                             - (appare dalla comune. E' in abito da cavallo. Vede Giorgio. S'inoltra canticchiando) « La donna è mobile... »...

Giorgio                         - (balzando in piedi) Signor Lebourdel, io vi proibisco...

Bebé                             - Ora che so chi siete veramente, vi prego di non assumere più con me le arie del sorvegliante cerbero. Ditemi, piuttosto: debbo chiamarvi Giorgio o Raoul?

Giorgio                         - La smettete o volete che racconti a vostro padre chi era, iersera, il custode alla Pepinière?

Bebé                             - Sarebbe lo stesso che costringermi a dirgli chi era il Duca di Mantova. Siate buono, tanto più che debbo dirvi delle cose molto carine e molto serie. Se c'è uno che vi com­patisce sono proprio io. Non dovrei confessar­lo, dato il modo come mi trattate; ma io sono generoso. Io mi rendo perfettamente conto del­la causa del vostro infortunio di iersera...

Giorgio                         - Quale infortunio? !...

Bebé                             - Suggeritemi una parola che calzi meglio!

Giorgio                         - E chiamatelo pure infortunio, se vi talenta! Servitevi! Servitevi! Condividete pure le opinioni della stampa prezzolata!... Prezzolata!... Sapete chi ha scritto le recen­sioni?

Bebé                             - Léchat.

Giorgio                         - Orbene, a me non importa nulla di quello che è accaduto. Avevo deciso di non cantare più. La mia non è stata che una paren­tesi che non si ripeterà. Ma se quel Léchat mi venisse tra i piedi, vi giuro... (Giacomo Léchat appare dalla comune. Reca con sé un piccolo pacco) Ah! Di' un po'... (Lo afferra per un braccio e lo trascina avanti. Indicando i gior­nali sparsi sul pavimento) Sei stato tu che hai scritto quelle po' po' di asinerie?

Giacomo                       - Io?!

Giorgio                         - Tu, tu! Me lo ha detto il signor Isidoro Lebourdel. Parla, parla, tanto Bebé sa tutto.

Giacomo                       - Capirai, i momenti sono difficili, e, iersera, l'amico Isidoro mi ha affidato l'uf­ficio stampa della sua ditta.

Giorgio                         - E occupati allora di turaccioli e non di quello di cui non t'intendi!

Giacomo                       - Di cui non m'intendo?!

Giorgio                         - (a Bebé, indicando Giacomo) E dire che a New York, io l'ho sfamato!

Gacomo                        - Ah! invitare a colazione tu lo chiami sfamare?

Giorgio                         - A colazione e a pranzo! (A Bebé) Allora scriveva che ero un dio, che non potevo temere confronti... (A Giacomo) Venduto!

Giacomo                       - (scattando a sua volta) Ah! giac­ché la prendi su questo tono, ti dirò che ho attenuato perche tu alla romanza hai sgarrato.

Giorgio                         - Sgarrato?! (A Bebé) Dite voi se ho sgarrato?

Giacomo                       - (a Bebé) Perché... voi c'era­vate?

Bebé                             - C'ero e non c'ero... Sgarro proprio no... ma un piccolo strappo...

Giacomo                       - (soddisfatto) Oh!

Giorgio                         - Avrei voluto vedere chiunque al mio posto! (A Giacomo) E se tu t'intendessi sul serio di musica e di canto, avresti dovuto rilevarlo. Anzitutto, quell'affrettare i tempi per far piacere alla signora, avrebbe messo nel. l'impossibilità di sfoggiare anche domineddio. Eppoi, quel maestro Chévillard... Che oca! Lo avevo prevenuto che nella romanza, la prima volta, avrei smorzato il finale. Lui, invece, al­za il tono, ed io ho dovuto picchiare. E a pic­chiare d'improvviso...

Bebé                             - C'è da farsi picchiare dagli altri.

Giacomo                       - Dopo tutto non t'hanno fischiato.

Giorgio                         - E ci voleva pure questo! Non so chi mi tenga... (Fa per afferrare il pacchetto che Giacomo distrattamente ha deposto sopra un mobile).

Giacomo                       - (prevenendolo spaventato e affer­rando lui il pacchetto) Per l'amor del Cielo.

Giorgio                         - Del resto, la colpa è tua! Sì! Per­ché io avevo deciso di non cantare più... Vive­vo felice... Avevo trovalo una famiglia... Se tu, ier l'altro, mi avessi informato della pre­senza di Marta Florian, non sarei stato tentato, non mi sarei esposto...

Giacomo                       - Ma giacché sapevi di non avere più voce...

Giorgio                         - Ah, io non ho più voce?! Mi fa­resti venire la voglia di far sentire a te e a tutti gl'incompetenti tuoi pari, se ne ho ancora della voce! cantando da solo! senza appoggiar. mi ad alcuno... cioè, senza che alcuno si appog­giasse a me! Ringrazia Dio che di là c'è una fanciulla che adoro e che mi adora... (Passeg­gia furibondo).

Giacomo                       - (tra se) Non ci mancherebbe al­tro che tornasse a cantare! Se Isidoro venisse a scoprire che io sapevo..., addio ufficio stam­pa! (A Bebé) Vostro padre è nel suo apparta­mento?

Bebé                             - Sì.

Giacomo                       - Grazie. (Sgattaiola a destra).

Giorgio                         - (avvicinandosi di colpo a Bebé) Sentite, caro Bebé..,

Bebé                             - Vi prego di non chiamarmi Bebé. Io da parecchie ore non sono più Bebé.

Giorgio                         - Ma io non conosco il vostro nome di battesimo.

Bebé                             - Mi chiamo Temistocle.

Giorgio                         - Temistocle?!

Bebf                              - Trovate strano che io mi chiami Te­mistocle?

Giorgio                         - No!... Sentite, caro Temistocle, voi dovete promettermi che non rivelerete mai a vostra sorella che tra me e Leroix esista null'altro che una vaga rassomiglianza.

Bebé                             - Rassicuratevi. Mia sorella ne è così persuasa che trova Leroix assai migliore di voi.

Giorgio                         - Meglio! Meglio! E, allora, una preghiera. Vostro padre ha manifestato l'in­tenzione di unirci in matrimonio fra un paio di mesi. Vogliate persuaderlo ad affrettare la data. Io non ho altro desiderio che di porre al più presto una pietra sul mio passato pros­simo e remoto.

Bebé                             - Prima di rispondervi, consentitemi di riprendere il discorso interrotto all'arrivo di Léchat, e col quale vi promettevo cose molto carine e molto serie. Cose, aggiungo adesso, che hanno qualche attinenza con la vostra pre­ghiera. Vi dicevo che mi rendevo perfettamen­te conto della causa del vostro... quasi infor­tunio di iersera.

Giorgio                         - E dagli con l'infortunio!

Bebé                             - Ho detto: quasi... Voi eravate trop­po commosso.

Giorgio                         - Commosso? ! Per essere tornato ralla scena? Io che ho calcato i principali tea­tri del mondo? Ah, voi non mi conoscete!

Bebé                             - No, no... Commosso per esservi ri­trovato vicino a Marta Florian.

Giorgio                         - A Marta Florian?!

Bebé                             - Confessate: l'amate ancora.

Giorgio                         - Io?!... Chi vi ha detto che io ab­bia amato...?

Bebé                             - Se così non fosse, iersera non vi sa­reste travestito anche voi pur di starle vicino.

Giorgio                         - Vi faccio notare, anzitutto, che tra i nostri travestimenti c'è qualche piccola differenza. In secondo luogo, che se quella don­na m'interessasse ancora, vi pare che io avrei lasciato passare sotto silenzio, il fatto, appun­to, di avervi trovato, iersera, accanto a lei, con tanto di barba? Sono cinque minuti che ci tro­viamo faccia a faccia, ve ne ho parlato? Vi ho mosso un rimprovero? E ne volete una prova di più? Andate, correte da lei: io stesso vi con­siglio: ne sarò lietissimo!

Bebé                             - Mi dispiace di non potervi servire. Oh! iersera vi avrei servito molto volentieri... Perché, è vero, lo confesso, alla vista della si­gnorina Florian ero stato percosso come da un colpo di fulmine... ed è anche vero che, se avessi voluto, lei non mi avrebbe resistito.

Giorgio                         - Ah, no?

Bebé                             - Mi è bastato guardarla due volte per capirlo.

Giorgio                         - Ah, sì?

 Bebé                            - Ma... all'uscita del teatro, è acca­duto l'imprevisto. Avevo dimenticato di rimet­tere a posto la barba. Un signore dall'accento americano, mi ha scambiato per un fattorino del teatro, a Ragazzo? mi ha gridato       - La mia automobile! Garryk ». E mi ha messo in mano una moneta d'oro... Non ho mai gua­dagnato al giuoco, quanto ho incassato ierse­ra... Ho chiamato l'automobile, ho aperto lo sportello... e, prima del signore, è salita sulla vettura, una signorina...! Ah, Renard!... So­no rimasto così abbagliato da tanta bellezza, che la signorina non ha potuto fare a meno di ridere... Mi avete visto mai in abito da cavallo, al mattino?

Giorgio                         - Sempre in marsina.

Bebé                             - Da questo valutate quanto sia seria la cosa. Poiché m'ero informato, ieri sera stes­sa, che la signorina fa regolarmente ogni mat­tina la sua trottata ai Champs Elysées, alle ot­to, ho inforcato il migliore dei nostri cavalli, e via! Quando lei mi ha visto, non ha potuto fare a meno di lasciar sfuggire un « Ah! » di sorpresa, ne più né meno di come fanno tutti con voi quando vi vedono. Mi aveva ricono­sciuto. Le ho detto che m'ero travestito ierse­ra per vederla, che l'amavo, e lei...

Giorgio                         - Lei?

Bebé                             - Oh! Americana novecentista! Mi ha risposto domandandomi che rendita possiede mio padre. Conclusione: io sposerò la signo­rina Garryk. Oggi stesso ne parlerò a mio padre.

Giorgio                         - Ah! Ecco l'occasione propizia per dirgli anche di sollecitare le mie nozze!

Bebé                             - Scusate: non ho ancora esaurito il reparto cose serie. Considerato che nulla più vi lega alla signorina Florian, dal mio canto, sono felice che sposiate mia sorella, per quan­to avrei desiderato per lei un marito... come dire?... meno attempato...

Giorgio                         - Siccome non dovete sposarmi voi...

Bebé                             - D'accordo. Ma col mio matrimonio verrebbe a mancare lo scopo principale del vostro.

Giorgio                         - Non capisco.

Bebé                             - Mio padre dando un marito alla fi­glia voleva soprattutto dare un papa al figliolo.

Giorgio                         - Siete figlio naturale?

Bebé                             - Ma no! Intendo dire: voleva un ge­nero che esercitasse la più rigorosa sorveglian­za su di me. Senza che ve ne accorgeste, non vi aveva spinto su questa strada?

Giorgio                         - Ah! io avrei dovuto...

Bebé                             - Aveva scelto bene!...

Giorgio                         - Sarei capitato bene anch'io!

Bebé                             - Orbene, bisogna che lo scopo prin­cipale delle vostre nozze non venga a mancare.

Giorgio                         - Sorvegliare ancora?

Bebé                             - Appunto.

Giorgio                         - Ah, già! Date le vostre disposi­zioni, c'è sempre pericolo che la vista di un'al­tra donna vi procuri un nuovo colpo di ful­mine.

Bebé                             - No! Perché fino a tanto che io non avrò sposato, non uscirò di casa. Bisogna sem­plicemente spostare la sorveglianza da un sog­getto all'altro.

Giorgio                         -? !...

Bebé                             - Vi ho detto che non sono più Be­bé. Poiché ho deciso di provvedere seriamen­te al mio avvenire, voglio essere tranquillo sull'andamento della casa e della ditta. A questi patti, io vi renderò il servigio che mi chiedete. Bisogna che voi portiate la sorveglianza da me su mio padre.

Giorgio                         - Fare il papa al signor Lebourdel?

Bebé                             - Credete, ne ha più bisogno di me. Io ho saltato la cavallina, ma lui la salta ancora. Voi credete che il quarto atto del Rigoletto, iersera, sia stato eseguito per i nostri operai? E' stato eseguito perché mio padre s'è innamorato follemente della signorina Florian.

Giorgio                         - Eh?! Vostro padre...?!

Bebé                             - Che cosa credete contenga il piccolo pacco che portava Léchat? Un gioiello per lei.

Giorgio                         - Ah! quel piccolo pacco...

Bebé                       - Perché credete che mio padre stia a vestirsi? Per andare a colazione con lei, in campagna.

Giorgio                         - Con lei? In campagna?

Bebé                             - Ho sentito con i miei orecchi, ieri sera, la signorina fissare l'appuntamento.

Giorgio                         - E lui lo chiamava un appunta­mento d'affari!... Ah! le donne! Io capisco che una donna possa anche perdersi con voi... ma con vostro padre!...

Bebé                             - Non vorrei che egli... alla sua età... esuberante com'è... Sapete? l'emozione... ci vuoi poco... Una sincope...

Giorgio                         - Dio volesse!... Dico, sarebbe sem­pre meno grave che vederlo precipitare... Pen­sate! La mia ex amante che diventa l'amante di mio suocero...

Bebé                             - ... E che stava per diventare l'aman-te di vostro cognato...

Giorgio                         - Oh! Un incesto!...

 Bebé                            - Cominciate con l'impedire che mio padre vada alla colazione

Giorgio                         - State tranquillo.

Bebé                             - E il mio appoggio non vi mancherà. (Esce a destra).

Giorgio                         - Ed io ho potuto amare una don­na simile?... Con Lebourdel...?! Ah! E do­vrei impedire... Ah, no, no! Che vada il signor Lebourdel! Impedire, equivarrebbe a confes­sare a me stesso che quello stuzzicadenti di donna m'interessa ancora. Meglio, meglio ele­vare una barriera!... (Trasalendo) Eccolo! (Si apparta un poco).

Isidoro                          - (appare da destra con Léchat. E' elegantissimo. Fiore all'occhiello) Caro Lechat, adesso è giunto il momento di lasciarmi solo. Tu mi accompagnerai sino all'albergo,.. La condurrò ad Armenonville. Ho già fissato un gabinetto particolare, e t'assicuro che oggi il Duca di Mantova lo faccio io.

Giorgio                         - (che non può frenarsi, sbatte la sedia su cui s'era appoggiato. Giacomo e Isidoro sobbalzano).

Isidoro                          - (volgendosi) Ah! Il nostro Re­nard... Che fate lì in quella posa da spiritato? (A Giacomo) Già, lui quando non ha da fa­re!... Oggi ho dato vacanza a tutti gl'impiegati per commemorare l'avvenimento di iersera, e il nostro Renard non sa come impiegare il tempo! (A Giorgio) Ma andate a far quattro passi anche voi! Vi distrarrà.

Giorgio                         - (fra sé) No!... non lo mando... (A Lebourdel) Ho bisogno di parlarvi, signor Lebourdel.

Isidoro                          - D'affari?

Giorgio                         - D'affari.

Isidoro                                     - Vi ho già detto che ne ho uno ur-gentissimo. (Strizzando l'occhio a Giacomo) E v'assicuro che non ammette dilazioni.

Giorgio                         - (con un sorriso verde) Ah, non ammette dilazioni?

Isidoro                          - (a Giacomo) Guardalo adesso che sorride, Léchat. Non pare proprio Leroix quando si accinge a cantare una cabaletta?

Giorgio                         - ... Andate! Andate!

Isidoro                          - Addio, Renard. (Esce saltellante dalla comune).

Giorgio                         - (afferrando Giacomo mentre sta perseguire Isidoro) H signor Lebourdel non ti ha assunto soltanto per l'ufficio stampa, eh?...

Isidoro                          - (di dentro) Léchat?

Giacomo                       - (corre alla comune, ma prima di varcarne la soglia, si volge e grida a Giorgio) Cane! (E sparisce, mentre Giorgio fa l'atto di tirargli una sedia).

Giorgio                         - Non è piacevole pensare che fra pochi minuti... Ma è necessario! (Sì siede. Frattanto, cautamente, Marta è sgusciata dal giardino, e, senza far rumore, si è seduta di fac­cia a lui. La vede. S'alza di scatto) Voi?!...

Marta                            - (alzandosi a sua volta) Io.

Giorgio                         - (rimettendosi; duro, mordente, sere-la guardarla) Non avete incontrato il signor Lebourdel?

Marta                            - Sono passata dal giardino.

Giorgio                         - Allora, se volete, potete ripassa­re dal portone, perché il signor Lebourdel è venuto al vostro albergo.

Marta                            - E' per questo che sono qui. Per essere sicura di non incontrarlo. Ho intravedu­to, dal giardino, che montava in auto...

Giorgio                         - Preferite, forse, vedere il figlio?

Marta                            - No. Volevo vedere voi.

Giorgio                         - Oh! Ci siamo visti abbastanza iersera!

Marta                            - Non molto. C'era di mezzo il muro divisorio.

Giorgio                         - Vi faccio osservare che qui c'è qualcosa di più divisorio che un muro. Qui non c'è Leroix, Qui c'è soltanto Renard.

Marta                            - Ah, già! Perché voi avete cambia­to nome.

Giorgio                         - Il mio vero nome è Renard.

Marta                            - Vedete che razza di mentitore sie­te! Per cinque anni, mi avete taciuto le vo­stre vere generalità. Avete forse commesso qualche fallo in gioventù?

Giorgio                         - Signora, se io non potessi porta­re à fronte alta il mio nome, vi pare che po­trei entrare a far parte della famiglia Le­bourdel?

Marta                            - Difatti, dimenticavo che state per sposare la signorina Lebourdel.

Giorgio                         - Oh! Sembra che la famiglia Le­bourdel attiri tutti!...

Marta                            - Stupido!

Giorgio                         - (risentito) Signora, vi prego...

Marta                            - ... di ricordarmi che parlo al si­gnor Renard e non al signor Leroix. E, allora, signor Renard, fatemi il piacere di dire al si­gnor Leroix che, siccome io sono una buona compagna d'arte... (moto di Giorgio) una ec­cellente compagna d'arte..., ero venuta a manifestargli tutto il mio rammarico per... la sua... come dire?... disavventura di iersera...

Giorgio                         - II signor Leroix vi risponderebbe che potevate risparmiarvi il disturbo...

Marta                     - Lasciatemi finire... signor Re­nard... E di aggiungere che il mio rammarico è tanto più grande, perche... a mio modestis­simo parere... il signor Leroix, iersera, ha cantato veramente bene.

Giorgio                         - (non può astenersi dal rivolgerle un'occhiata, tra stupito e diffidente).

Marta                     - E non è soltanto il mio parere. C'è un piccolo giornale che lo condivide. Ho il ritaglio dell'articolo con me. Sentite, sentite. (Cava e legge il ritaglio d'un giornale) cc II te­nore Raoul Leroix ci ha riserbato una gradita sorpresa ». (Giorgio, suo malgrado, si gonfia) « Noi che, in altre occasioni, non gli avevamo lesinato censure per certi eccessi di emis­sione... »...

Giorgio                   - (tra i denti) Idiota!

Marta                            - a... abbiamo rilevato con soddisfazione, come egli sia divenuto padrone della propria voce, sappia contenerla, adoperando toni delicati, anche se a scapito del facile ap­plauso ».

Giorgio                         - (con un mezzo sorriso involontario) Intelligente!

Marta                            - (porgendogli il ritaglio) Tenete, tenete. E' un nuovo giornale che esce a Parigi e che dev'essere sfuggito alla collaborazione volontaria del signor Léehat.

Giorgio                   - Ah! Se quell'animale avesse la­sciato scrivere i veri critici! Vedete? Quando ce n'è uno competente!

Marta                            - Competente relativo! Perché scam­bia per virtù, una necessità. Non si con­tiene quello che non c’è più. Anzi, a questo proposito, vorrei aggiungere alle mie manife­stazioni di rammarico, un consiglio. Ma vor­rei darlo direttamente al signor Leroix... Si­gnor Renard, volete compiacervi di mandarlo qui e... di filare?... (Con civetteria) Signor Re­nard... (Giorgio istintivamente fa un passo e si ferma) Non lo mangerò mica il vostro Le­roix!

Giorgio                         - (arrendendosi, ma brusco) Par­late!

Marta                     - Se vi saltasse il ticchio di tornare a cantare, io vi consiglio di mettervi sempre in condizioni da farvi scrivere degli articoli co­me quello che vi ho letto.

Giorgio                   - Ma siccome non canterò più...

Marta                            - Peccato!

Giorgio                   - Peccato, perché?

Marta                            - Perché ora siete veramente un can­tante perfetto... E non è soltanto il mio pa­rere. Un'ora fa, Robin, il grande impresario, era da me. « Sapete? mi diceva - quel Le­roix iersera m'ha fatto una eccellente impres­sione. Ha un accento, una mezza voce! (Gior­gio involontariamente torna a gonfiarsi) E' ve­ro che s'aiuta spesso coi falsetti... (Giorgio ar­riccia il naso) Ma ciò non impedirà che possa divenire un tenore di grazia di cartello, se continuerà ad allenarsi. Io ne ho ad usura di cantanti di forza! Vedete? Io vi ammiro... ». Robin parlava a me... « Io vi ammiro sopra­tutto perché voi riuscite ad ottenere i più gran­di effetti con i minimi mezzi. Un poco che si sforzi, e Leroix farà altrettanto! Ah, cara Marta, che peccato non stiate più insieme, ora che formereste una coppia ideale!... Bastereb­bero due o tre opere soltanto... Marta?... Sa­pete che io non mi rimangio mai la parola... Vogliamo concludere un affare? Vi scritturo tutti e due per sei mesi... Una tournée... Eu­ropa, America... Dite voi la cifra...

Giorgio                         - (che s'è andato montando) Euro­pa... America? ...

Marta                     - Europa, America.

Giorgio                   - Dire noi la cifra?...

Marta                            - Dire noi la cifra... E, per l'Ame­rica, dollari.

Giorgio                         - (brusco) Mi duole per il signor Robin. Sapete bene che non sono più libero di me.

Marta                            - Ali, come vi compiango, se rifletto alla monotonia affliggerne che vi prepara l'av­venire! Perché voi amate l'arte. L'avete la­sciata soltanto per farmi dispetto...

Giorgio                   - E vi sembra che non sia stata una ragione sufficiente per lasciarla? Credete che abbia dimenticato le vostre ingiurie a ogni andata in scena?

Marta                            - Dovevo pur montarmi! Di chi vo­levate mi servissi? Della mia cameriera? Del mio bull-dog?

Giorgio                         - Quando ripenso che avete osato dirmi: cane!

Marta                     - Oh! Ha la stessa importanza che se una moglie, in un momento d'ira, dicesse becco al marito.

Giorgio                         - Ma siccome i mariti, spesso, lo so­no, becchi!...

Marta                            - Anche i cantanti possono, spesso, essere cani. (Ride) Non andate in collera!... Sentite, Raoul...

Giorgio                         - Non mi chiamo Raoul!

Marta                            - Sentite, Renard...

Giorgio                         - Non mi chiamate Renard! E' un nome che non vi appartiene.

Marta                            - Sentite,... sconosciuto.

Giorgio                         - (ha uno scatto; poi) Che faccia tosta!

Marta                            - Tre difficoltà v'impediscono di ac­cogliere la proposta Robin. Prima, che non siete più libero.

Giorgio                         - Difficoltà insormontabile che as-sorbe le altre e vi può dispensare dall'illustrarle.

Marta                            - Se permettete, la discuteremo do­po, la prima... Seconda difficoltà: la possibilità di nuovi litigi, se... parlo accademica­mente... si tornasse a cantare insieme. Ora, siccome è venuta a cessare la ragione che po­trebbe provocarli...

Giorgio                         - Cioè è sopravvenuta quella che a voi farebbe comodo. Un compagno senza voce. Ammesso anche che siate nel vero, sappiate che io non amo i cantanti senza voce.

Marta                            - Avete torto, (perché adesso sono in grande voga. Terza difficoltà... Io... Non l'arti­sta, la donna. Se proprio avete ripulsa per la donna, non occorre che vi leghiate di nuovo a lei per cantare con l'artista.

Giorgio                         - Perché io vi veda andare ad Armenonville con un Lebourdel qualsiasi?

Marta                            - Vi faccio osservare che iosono qui e non ad Armenonville.

Giorgio                         - Oppure far la svenevole con degli smidollati come Bebè?

Marta                            - Ah, sentite: si vede proprio che state per prendere moglie, per diventare, cioè, uno scemo completo!

Giorgio                                    - Signora!

Marta                            - Vi pare che una donna come me, non troverebbe di meglio che la ditta Le­bourdel? Ma se nella mia carriera, dovessi con­cedermi a tutti quelli che mi corteggiano, non mi resterebbe neanche tanto fiato da fare la protagonista nella Muta dei Portici!

Giorgio                         - Difatti, se si dovesse giudicare...

Marta                            - Non tentate di difendervi con dello spirito!... La verità è che anche la terza diffi­coltà non esiste, poiché se voi dovreste cantare con l'artista, non vi sentireste l'animo di ri­nunciare alla donna.

Giorgio                         - Io?... Scordate la prima, delle difficoltà! Quella che annulla la vostra supposizione. Io sto per prendere moglie.

Marta                            - Già. Una donna che non amate.

Giorgio                         - Che non amo?!

Marta                            - Sì: che non amate! Altrimenti, iersera, le sareste stato al fianco, nel suo palco, invece di salirei sulla scena a fare il pavone.

Giorgio                         - II pavone!?

Marta                            - II pavone, il pavone! E' vero che c'era di mezzo il muro divisorio, ma io, come Gilda, dovevo pur guardarvi dalle fessure della porta. Eravate impagabile! Noni facevate che fare la ruota: ansare, agitarvi, battere lo scu­discio sulle cosce, far tintinnare gli speroni, come per richiamare la mia attenzione su di voi. Ogni vostro atteggiamento pareva che di­cesse: « Ah, sei lì? Mi vedi? Soffri! » E non v'accorgevate, mio povero Leroix, che chi dava uno spettacolo di sofferenza pietosa eravate proprio voi,

Giorgio                         - Ah, voi credete che io sia salito sulla scena per offrirvi un simile spettacolo?

Marta                            - Non mi darete a bere che ci siate salito per farmi sentire, come a New York, del­le stecche.

Giorgio                         - Ah! (Ma subito si trattiene) Si­gnora, non abbiamo altro da dirci.

Marta                            - Mi dispiace... Io credevo' di ren­dervi un servigio... Pazienza!... Vuoi dire che andrò a portare la proposta di Robin a Dampierre. (S'avvia).

Giorgio                         - A Dampierre?!

Marta                            - A Dampierre.

Giorgio                                    - ....Andate pure. (Non può fare a meno di volgersi) Siete ancora lì?

Marta                            - Prima di andarmene, poiché ho esaurito il colloquio col signor Leroix, vorrei rivedere il signor Renard per salutarlo e dirgli due parole... Non lo mangerò amica il vostro Renard!

Giorgio                         - L'ho detto: come faccia tosta!... (Esita) Spicciatevi.

Marta                            - (gli si avvicina) Guardatemi, si­gnor Renard... Non fate come il signor Leroix che ha preso la cattiva abitudine di non guar­dare mai in faccia... Guardatemi bene... (Con grande civetteria) Voi la lascereste andar via una donnina come me?

Giorgio                         - (vuoi resistere, non può) Siete insopportabile!

Marta                            - II che vuoi dire che non mi lasci andar via!

Giorgio                   - Ma io non ho detto affatto...

Marta                            - Sciocco, non capite che io voglio salvatevi? Ma specchiatevi. Un tenore ha sem­pre la tendenza ad apparire giovane. Guarda­tevi! Da che non cantate più, andate perdendo la linea, ingrassate. Se ci mettete anche il ma­trimonio, diverrete come Falstaff!... Eppoi, vo­lete che vi dica la mia franca opinione? La vo­stra fidanzata non deve amarvi neanche lei!

Giorgio                         - Questo, poi...

Marta                            - Ne volete una prova? Ha saputo che eravate voi a cantare?

Giorgio                         - Non ci sarebbe mancato altro!

Marta                            - E non vi ha riconosciuto?

Giorgio                         - Come poteva riconoscermi? I baffi, il trucco, la parrucca...

Marta                            - Orbene, se vi amava doveva rico­noscervi! Non vi ho riconosciuto, io, subito?

Giorgio                         - Ma voi mi avete visto al naturale!

Marta                            - E deve essere anche stupida la vo­stra fidanzata. Sì, perché per amarvi al natura­le, ci vuole un certo coraggio.

Giorgio                         - E coinè avete potuto amarmi voi?

Marta                            - Perché quando vi ero- vicino, chiu­devo gli occhi e non vedevo che Faust, Lchengrin, De Grieux... (Con grande civetteria, sfio­randolo quasi) Convenite: ogni volta che... chiudevo gli occhi, non ero disprezzabile.

Gioagio                         - (vinto) Ah, maliarda! No! Era­vate deliziosa! Perché, ogni volta, eravate di­versa. Margherita, Manon, Mimi... Peccato, solo, che di tanto in tanto sbucasse fuori Mar­ta Florian.

Marta                            - Ma Marta Florian, d'ora in avanti, sarà buona. Vedete? E' venuta a prendervi per impedirvi di commettere due grandi sciocchezze: lasciare l'arte e sposare urna fanciulla a cui potreste fare il papa.

Giorgio                         - E avessi dovuto farlo soltanto a lei!

Marta                            - Allora, si va da Robin?

Giorgio                         - Si va da Robin.

Marta                            - E, repertorio leggero?

Giorgio                         - Repertorio leggero.

Marta                                       - (sorridendo, nel vederlo muoversi gaio e trasformato) Guardatelo lì, non si ri­conosce più! Pare un cavallo che senta l'odore della polvere.

Giorgio                         - Ah, sì!... H pubblico... la scena,.., e, sulla scena, con voi... Perché, ora posso dirvelo, non resistevo più. Parlavo con la mia fi­danzata? Vedevo dietro di lei affacciarsi il vo­stro musetto malizioso. Non potevo udire un organino, un disco fonografico, senza sentire la vostra voce, anche a traverso quella d'un, basso,

Marta                                       - Ih!

Giorgio                         - La vostra voce d'uccellino che scende al cuore...

Marta                            - D'uccellino?!

Giorgio                         - L'usignolo non è il re dei can­tori?

Marta                            - Cominciate a ragionare... Adesso non vi esaltate. Pensiamo all'opera di debut­to... La « Traviata... » Non è leggerissima,..

Giorgio                         - Per leggera, una traviata...

Marta                            - Stupido! Parlo della musica!.., Non è leggerissima, ma trattandosi d'una ma­lata, e di petto, bisogna renderla leggera, la musica, per la verità. Smorzare, smorzare...

Giorgio                         - Vi faccio notare, però, che Alfredo è sano.

Marta                            - E che vuoi dire? Sarebbe ingeneroso da parte sua umiliare una povera morente.

Giorgio                         - (assumendo istintivamente la posa tradizionale del tenore, prende per la vita e per la mono Marta, e accenna con un fil di voce) «Parigi, o cara, noi lasceremo... »

Marta                            - (interrompendolo) Così, così.,. L'insieme....

Marta e Giorgio            - (insieme) « La mia-tua salute rifiorirà ».

Marta                            - Più cinguettato e più piano... Ci, ci, ci... (Gli chiude la bocca con una mano) Il pubblico deve indovinare!

Giorgio                                    - Cantare così presenta delle difficoltà... ma da anche delle soddisfazioni se procura degli articoli come quello che mi avete letto!

Marta                            - Ve ne scriverò degli altri.

Giorgio                         - Ah, siete stata voi?... Siete una vera canaglia!

Marta                            - Ma una canaglia intelligente, per­ché ho capito due grandi verità. L'arte più difficile è quella di mascherare le proprie defi­cienze. Per ottenere molto bisogna dar poco.

Giorgio                         - Sì, sì... mia dar poco quanto a voce... (Afferrandola a sé e strizzando l'occhio) perché per il resto... non occorre cantare nean­che a mezza voce.

Marta                            - Stupido!... Andiamo...

Giorgio                         - Un momento!... Io non posso an­darmene così senza almeno restituire la mia parola a quella poveretta... Sono stato trattato con tanti riguardi... Non mi comporterei da gentiluomo... Parlare al fratello, no... Il pa­dre non c'è... Sapete che faccio... Spiattello alla ragazza chi è il vero Renard...

Marta                            - E' un'idea!

Giorgio                         - Volevano farle sposare un uomo serio, e quando lei saprà...

Marta                            - ...che razza di uomo serio...

Giorgio                   - (suona un campanello. A Dionigi che appare dal fondo)Volete dire alla si­gnorina Giulietta che desidererei parlarle? (Dionigi entra a destra).

Marta                            - Io mi nascondo nel giardino. Fate presto, (entra nel giardino e scompare).

Giorgio                         - E' doloroso disilludere una fan­ciulla innamorata; ma, d'altronde... (Giulietta appare seguita da Dionigi che torna ad uscire dal fondo) Signorina... (Giulietta risponde ap­pena con un cenno del capo senza guardarlo. (Però ha un contegno strano... Che Manta ab­bia ragione: non mi ami?... Sarebbe poco lu­singhiero, ma utilissimo...) Signorina... vo­gliale scusarmi se vi disturbo... ma me lo impone la necessità di compiere un dovere... Io debbo darvi un grande dolore... farvi una con­fessione penosa... ma voglio sperare che... in premio della mia lealtà... vorrete perdonarmi in precedenza; (Potrei fare anche l'attore. Ho parlato come un Dio). Signorina Giulietta, io... non sono Giorgio Renard... (Giulietta lo guar­da) Cioè, io sono realmente Giorgio Renard, ma... (E siccome nel dire le ultime parole ha cercato di renderle accette col più serafico dei sorrisi e ha preso un atteggiamento che ricorda quelli del Duca di Mantova, Giulietta ha un improvviso sobbalzo).

Giulietta                        - Fermatevi!... Non vi muovete! Scarmigliatevi i cappelli... (Gli si avvicina e gli scompone i capelli) Ah! Voi siete Leroix?

 Giorgio                  - (allargando le braccia come a dire a purtroppo ») Leroix.

Giulietta                 - Ed io che non lo avevo capi­to!... Ah, Giorgio... Perdonatemi voi, se sol­tanto ora vi chiamo semplicemente Giorgio!... Se vi sono apparsa tanto fredda... Voi? Leroix? Un uomo celebre? Quello che sognavo! Che cercavo!... E dire che io, iersera, stavo per porgere ascolto a un'altra voce che non era la vostra! Ah insensata!... No, no, Giorgio, non parlate! Non dite nulla! Lasciate che io mi riabbia dall'emozione... Che mi raccolga un istante con me stessa... Giorgio... Giorgio... (Fugge, commossa, da dove è venuta. Giorgio che ha ascoltato trasecolato, resta immobile come pietrificato).

Marta                     - (riapparendo) Ebbene?

Giorgio                   - (si scuote, non riesce a parlare).

Marta                            - Scappata come una borghesuccia davanti al diavolo?

Giorgio                   - Nooo! Per poco non ami cadeva tra le braccia. Quando le ho detto che ero Le­roix,, ha perduto la testa...

Marta                     - Buonanotte!

Giorgio                         - E adesso come fare?

Marta                     - Come fare? Recitare sul serio la vostra parte preferita.

Giorgio                   -?

Marta                     - Fuggire! Il Duca di Mantova non lascia dietro a se una scia di sedotte e di tradite?

Giorgio                   - Ah, già!

Marta                            - Del resto, non dubitate. Qualcuno conforterà la vostra ultima vittima. E, se non vi riuscirà, per guarirla, le faremo sapere che siete stato fischiato.

Giorgio                   - A patto che non lo sia davvero!

Marta                     - II vostro pastrano?

Giorgio                   - E' in anticamera...

Marta                     - (prendendolo sottobraccio e avvian­dosi alla comune) Andiamo!... (si ferma) Ah, quel povero LeJbourdel che aspetta al mio albergo... Almeno, un colpo di telefono.

Giorgio                         - Non vi preoccupate di lui. Se tar­derà a rientrare, ci sarà chi andrà a ripren­derlo per un orecchio e a mettergli giudizio.

Marta                     - Chi?

Giorgio                   - Suo figlio!... Eppoi, fate anche voi come il Duca di Mantova...

Marta                     - Ah, questo, se sarà necessario, lo farò con voi! (Escono).

                                                 

FINE