Il filosofo di campagna

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IL FILOSOFO DI CAMPAGNA

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade, da rappresentarsi

nel Teatro Grimani di S. Samuel l'Autunno dell'Anno . Dedicato

all'Eccellentissime Dame Veneziane.

PERSONAGGI PARTI SERIE

EUGENIA figlia nubile di Don Tritemio.

La Sig. Giovanna Baglioni. RINALDO gentiluomo amante d'Eugenia.

La Sig. Angela Conti Leonardi detta la Taccarini, e in suo

luoco la Sig. Antonia Zamperini.

PARTI BUFFE
NARDO ricco contadino detto il Filosofo.

Il Sig. Francesco Baglioni.
LESBINA cameriera in casa di Don Tritemio.

La Sig. Clementina Baglioni.
DON TRITEMIO cittadino abitante in villa.

Il Sig. Francesco Carattoli. LENA nipote di Nardo.

La Sig. Anna Zanini.CAPOCCHIO notaro della villa.

Il Sig. Giacomo Caldinelli.

La Musica è del celebre Maestro Sig. Baldassare Galuppi detto Buranello.

BALLERINI

La Sig. Giovanna Griselini              Il Sig. Giovanni Guidetti.

detta Tintoretta                           Il Sig. Alvise Taolato.

La Sig. Margherita Morelli              Il Sig. Vicenzo Monari.
La Sig. Anna Lapis.

La Sig. Felice Bonomi.                    Il Sig. Giovanni Balreoma.

La Sig. Elisabetta Morelli.               Il Sig. Domenico Morelli.

Inventore e Direttore de' Balli il Sig. Domenico Cupis detto Paita, e il Sig. Giovanni Guidetti.


MUTAZIONI DI SCENE

NELL'ATTO PRIMO

Giardino. Casa rustica in campagna. Salotto con diverse porte.

PER IL PRIMO BALLO Il Monte Parnaso.

NELL'ATTO SECONDO

Camera.

Casa rustica suddetta.

Camera suddetta.

PER IL SECONDO BALLO Vasta campagna.

NELL'ATTO TERZO Casa rustica suddetta.

Le Scene sono d'invenzione del Sig. Gio. Francesco Costa.

Il Vestiario e opera ed invenzione delli Sigg. Demetrio Grazioli

detto Guastalla, ed Antonio Maurizio.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Giardino in casa di Don Tritemio.

Eugenia con un ramo di gelsomini, Lesbina con una rosa in mano.

EUG.

Candidetto gelsomino,

Che sei vago in sul mattino,

Perderai, vicino a sera,

La primiera - tua beltà.

LESB.

Vaga rosa, onor de' fiori,

Fresca piaci ed innamori,

Ma vicino è il tuo flagello,

E il tuo bello - sparirà.

a due

Tal di donna la bellezza

Più ch'è fresca, più s'apprezza;

S'abbandona allorchè perde

Il bel verde - dell'età.

EUG.

Basta, basta, non più.

Ché codesta canzon, Lesbina mia,

Troppo mi desta in sen malinconia.

LESB.

Anzi cantarla spesso,

Padrona, io vi consiglio,

Per sfuggir della rosa il rio periglio.

EUG.

Ah! che sotto d'un padre

Asprissimo e severo,

Far buon uso non spero

Di questa età che della donna è il fiore.

Troppo, troppo nemico ho il genitore.

LESB.

Pur delle vostre nozze

Lo intesi ragionar.

EUG.

Nozze infelici

Sarebbero al cuor mio le divisate

Dall'avarizia sua. Dell'uomo vile,

Che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.

L'abborrisco, e mi scelgo anzi la morte.

LESB.

Non così parlereste

S'ei proponesse al vostro cor Rinaldo.

EUG.

Lesbina... oimè!...

LESB.

V'ho fatto venir caldo?

Vi compatisco; un cavalier gentile,

In tutto a voi simile

Nell'età, nel costume e nell'amore,

Far potrebbe felice il vostro cuore...

EUG.

Ma il genitor mi nega...


LESB.                    Si supplica, si prega,

Si sospira, si piange, e se non basta, Si fa un po' la sdegnosa, e si contrasta.

EUG.                     Ah, mi manca il coraggio.

LESB.                                                             Io vi offerisco

Quel che so, quel che posso. È ver che sono

In una età da non prometter molto;

Ma posso, se m'impegno,

Far valere per voi l'arte e l'ingegno.

EUG.                     Cara, di te mi fido. Amor, pietade

Per la padrona tua serba nel seno; Se non felice appieno, Almen fa ch'io non sia sì sventurata.

LESB.                    Meglio sola che male accompagnata!

Così volete dir; sì, sì, v'intendo.

EUG.                     Dunque da te qualche soccorso attendo.

Se perde il caro lido, Sopporta il mar che freme: Lo scoglio e quel che teme Il misero nocchier.

Lontan dal caro bene, Soffro costante e peno, Ma questo cuore almeno Rimanga in mio poter. (parte)

SCENA SECONDA Lesbina, poi don Tritemio

LESB.

Povera padroncina!

Affè, la compatisco.

Quest'anch'io la capisco.

Insegna la prudenza:

Se non si ha quel che piace, è meglio senza.

TRIT.

Che si fa, signorina?

LESB.

Un po' d'insalatina

Raccogliere volea pel desinare.

TRIT.

Poco fa v'ho sentito a cantuzzare.

LESB.

È ver, colla padrona

Mi divertiva un poco.

TRIT.

E mi figuro

Che cantate s'avranno

Canzonette d'amor.

LESB.

Oh, non signore.

Di questo o di quel fiore,

Di questo o di quel frutto,

Si cantavan le lodi.

TRIT.

Il crederò?

LESB.

Le volete sentir?

TRIT.

Le sentirò.


LESB.

(Qualche strofetta canterò a proposito...) (da sé)

TRIT.

(Oh ragazza!... farei uno sproposito). (da sé)

LESB.

Sentite, padron bello,

La canzonetta sopra il ravanello.

Quando son giovine,

Son fresco e bello,

Son tenerello,

Di buon sapor;

Ma quando invecchio,

Gettato sono;

Non son più buono

Col pizzicor.

TRIT.

Scaccia questa canzon dalla memoria.

LESB.

Una ne vuò cantar sulla cicoria.

Son fresca e son bella

Cicoria novella.

Mangiatemi presto,

Coglietemi su.

Se resto nel prato,

Radicchio invecchiato,

Nessuno si degna

Raccogliermi più.

TRIT.

Senti, ragazza mia,

Questa canzone ha un poco d'allegria.

Tu sei, Lesbina bella,

Cicorietta novella;

Prima che ad invecchiar ti veda il fato,

Esser colta dovresti in mezzo al prato.

LESB.

Per me v'è tempo ancora.

Dovreste alla signora

Pensar, caro padrone.

Or ch'è buona stagione,

Or ch'è un frutto maturo e saporito,

Non la fate invecchiar senza marito.

TRIT.

A lei ho già pensato;

Sposo le ho destinato, e avrallo presto.

LESB.

Posso saper chi sia?

TRIT.

Nardo è cotesto.

LESB.

Di quella tenerina

Erbetta cittadina

La bocca d'un villan non mi par degna.

TRIT.

Eh, la prudenza insegna

Che ogn'erba si contenti

D'aver qualche governo,

Purché esposta non resti al crudo verno.

LESB.

Io mi contenterei,

Pria di vederla così mal troncata,

Per la neve lasciar la mia insalata.

TRIT.

Tu sei un bocconcino


Per il tuo padroncino.

LESB.

Oh oh, sentite

Un'altra canzonetta, ch'ho imparata

Sul proposito mio dell'insalata.

Non raccoglie - le mie foglie

Vecchia mano di pastor.

Voglio un bello - pastorello,

O vuò star nel prato ancor. (parte)

SCENA TERZA

Don Tritemio, poi Rinaldo

TRIT.

Allegoricamente

M'ha detto che con lei non farò niente.

Eppure io mi lusingo

Che a forza di finezze

Tutto supererò,

Che col tempo con lei tutto farò.

Per or d'Eugenia mia

Liberarmi mi preme. Un buon partito

Nardo per lei sarà: ricco, riccone;

Un villano, egli è ver, ma sapientone.

RIN.

(Ecco della mia bella

Il genitor felice). (da sé, in disparte)

TRIT.

Per la villa si dice

Che Nardo ha un buono stato,

E da tutti filosofo è chiamato.

RIN.

(Sorte, non mi tradir). (da sé) Signor.

TRIT.

Padrone.

RIN.

S'ella mi permettesse,

Le direi due parole.

TRIT.

Anche quattro ne ascolto, e più se vuole.

RIN.

Non so se mi conosca.

TRIT.

Non mi pare.

RIN.

Di me si può informare;

Son cavaliere, e sono i beni miei

Vicini ai suoi.

TRIT.

Mi rallegro con lei.

RIN.

Ell'ha una figlia.

TRIT.

Sì signor.

RIN.

Dirò...

Se fossi degno... Troppo ardire e questo...

Ma... mi sprona l'amore.

TRIT.

Intendo il resto.

RIN.

Dunque, signor...

TRIT.

Dunque, signor mio caro,

Per venir alle corte, io vi dirò...

RIN.

M'accordate la figlia?

TRIT.

Signor no.


RIN.

Ahi, mi sento morir!

TRIT.

Per cortesia,

Non venite a morir in casa mia.

RIN.

Ma perché sì aspramente

Mi togliete alla prima ogni speranza?

TRIT.

Lusingarvi sarebbe una increanza.

RIN.

Son cavalier.

TRIT.

Benissimo.

RIN.

De' beni

Ricco son quanto voi.

TRIT.

Son persuaso.

RIN.

Il mio stato, i miei fondi,

Le parentele mie vi mostrerò.

TRIT.

Credo tutto.

RIN.

Che speri?

TRIT.

Signor no.

RIN.

Ma la ragione almeno

Dite, perché nemmen si vuol ch'io speri.

TRIT.

La ragion?...

RIN.

Vuò saper...

TRIT.

Sì, volentieri.

La mia ragion è questa... Mi par ragione onesta. La figlia mi chiedeste, E la ragion voleste... La mia ragion sta qui. Non posso dirvi sì, Perché vuò dir di no. Se non vi basta ancora, Un'altra ne dirò: Rispondo: Signor no, Perché la vuò così. E son padron di dirlo: La mia ragion sta qui. (parte)

SCENA QUARTA

Rinaldo solo.

Sciocca ragione indegna,

D'anima vil dell'onestà nemica.

Ma non vuò che si dica

Ch'io soffra un tale insulto,

Ch'io debb'andar villanamente inulto.

O Eugenia sarà mia,

O tu, padre inumano,

Ti pentirai del tuo costume insano.

Taci, amor, nel seno mio, Finché parla il giusto sdegno;


    prendete ambi l'impegno

  miei torti a vendicar.
Fido amante, è ver, son io;

Ogni duol soffrir saprei, Ma il mio ben non soffrirei Con viltate abbandonar. (parte)

SCENA QUINTA

Campagna con casa rustica.

Nardo esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni Villani.

NAR.                                Al lavoro, alla campagna;

Poi si gode, poi si magna Con diletto e libertà. Oh che pane delicato, Se da noi fu coltivato! Presto, presto a lavorare, A podare, a seminare, E dappoi si mangerà; Del buon vin si beverà, Ed allegri si starà. (Partono i Contadini, restandone uno impiegato)

Vanga mia benedetta,

Mio diletto conforto e mio sostegno,

Tu sei lo scettro, e questi campi il regno.

Quivi regnò mio padre,

L'avolo, ed il bisavolo, e il tritavolo,

E fur sudditi lor la zucca, il cavolo.

Nelle città famose

Ogni generazion si cambia stato.

Se il padre ha accumulato

Con fatica, con arte e con periglio,

Distrugge i beni suoi prodigo il figlio.

Qui dove non ci tiene

Il lusso, l'ambizion, la gola oppressi,

Sono gli uomini ognor sempre gl'istessi.

Non cambierei, lo giuro,

Col piacer delle feste e dei teatri

Zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.

SCENA SESTA

La Lena ed il suddetto.

LENA                    (Eccolo qui; la vanga

tutto il suo diletto). (da sé)


Se foste un poveretto,

Compatirvi vorrei, ma siete ricco.

Avete dei poderi e dei contanti;

La fatica lasciate ai lavoranti.
NAR.                     Cara nipote mia,

Piuttosto che parlar come una sciocca,

Fareste meglio maneggiar la rocca.
LENA                    Colla rocca, col fuso e coi famigli

Stanca son d'annoiarmi:

Voi dovreste pensare a maritarmi.
NAR.                     Sì, volentieri. Presto,

Comparisca un marito. Eccolo qui. (accenna un Villano)

Vuoi sposar mia nipote? Signor sì.

Eccolo, io ve lo do.

Lo volete? Vi piace? (alla Lena)
LENA                                                      Signor no.

NAR.                     Va a veder se passasse

A caso per la strada

Qualche affamato con parrucca e spada. (al Villano, il quale parte ridendo)

Vedi? Ride Mingone e ti corbella.

Povera vanarella,

Tu sposeresti un conte od un marchese,

Perché in meno d'un mese,

Strapazzata la dote e la fanciulla,

La nobiltà ti riducesse al nulla.
LENA                    Io non voglio un signor, né un contadino;

Mi basta un cittadino

Che stia bene...
NAR.                                             Di che?

LENA                    Ch'abbia un'entrata

Qual a mediocre stato si conviene;

Che sia discreto, e che mi voglia bene.
NAR.                     Lena, pretendi assai;

Se lo brami così, nol troverai.

Per lo più i cittadini

Hanno pochi quattrini e troppe voglie,

E non usano molto amar la moglie.

Per pratica comune,

Nelle cittadi usata,

È maggiore l'uscita dell'entrata.
LENA                    Il signor don Tritemio

È cittadino, eppure

Così non usa.
NAR.                                           È vero,

Ma in villa se ne sta

Perché nella città vede il pericolo

D'esser vizioso o diventar ridicolo.
LENA                    Della figliuola sua

V'ha proposte le nozze, io ben lo so.
NAR.                     Ed io la sposerò,

Perché la dote e il padre suo mi piace,

Con patto che non sia

Gonfia di vento, e piena d'albagia.


LENA                    L'avete ancor veduta?

NAR.                     Ieri solo è venuta;

Oggi la vederò.
LENA                                            Dunque chi sa

S'ella vi piacerà.
NAR.                                                Basta non abbia

Visibili magagne;

Sono le donne poi tutte compagne.
LENA                    Ammogliatevi presto, signor zio;

Ma voglio poscia maritarmi anch'io.

Di questa poverella Abbiate carità. Io son un'orfanella Che madre più non ha. Voi siete il babbo mio. Vedete, caro zio, Ch'io cresco nell'età. La vostra nipotina Vorrebbe, poverina... Sapete... m'intendete... Movetevi a pietà. (parte)

SCENA SETTIMA

Nardo solo.

Sì signora, non dubiti,

Che contenta sarà.

La si mariterà la poverina,

Ma la vuò maritar da contadina.

Ecco, il mondo è così. Niuno è contento

Del grado in cui si trova,

E lo stato cambiare ognun si prova.

Vorrebbe il contadino

Diventar cittadino; il cittadino

Cerca nobilitarsi;

Ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi;

D'un gradino alla volta

Qualchedun si contenta;

Alcuno due o tre ne fa in un salto,

Ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.

Vedo quell'albero Che ha un pero grosso: Pigliar nol posso, Si sbalzi in su. Ma fatto il salto, Salito in alto, Vedo un perone Grosso assai più.


Prender lo bramo, M'alzo sul ramo, Vado più in su. Ma poi precipito Col capo in giù. (parte)

SCENA OTTAVA

Salotto in casa di Don Tritemio, con varie porte.

Eugenia e Rinaldo

EUG.                     Deh se mi amate, o caro,

Ite lontan da queste soglie. Oh Dio! Temo che ci sorprenda il padre mio.

RIN.                      Del vostro genitore

Il soverchio rigor vi vuole oppressa. Deh, pensate a voi stessa.

EUG.                                                              Ai numi il giuro:

Non sarò d'altri se di voi non sono. Ah, se il mio cuor vi dono, Per or vi basti, e non vogliate, ingrato, Render lo stato mio più sventurato.

RIN.                      Gradisco il vostro cor, ma della mano

Il possesso mi cale...

EUG.

Oimè! Chi viene?

RIN.

Non temete; è Lesbina.

EUG.

Io vivo in pene.

SCENA NONA

Lesbina e detti.

LESB.

V'è chi cerca di voi, signora mia. (ad Eugenia)

EUG.

Il genitore?

LESB.

Oibò. Sta il mio padrone

Col suo fattore, e contano denari,

Né si spiccia sì presto in tali affari.

RIN.

Dunque chi è che la dimanda?

LESB.

Bravo!

Voi pur siete curioso?

Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.

RIN.

Come?

EUG.

Che dici?

LESB.

È giunto

Adesso, in questo punto,

Forte, lesto e gagliardo,

Il bellissimo Nardo; e il padre vostro

Ha detto, ha comandato,


Che gli dobbiate far buona accoglienza,

Se non per genio, almen per obbedienza.

EUG.

Misera, che farò?

RIN.

Coraggio avrete

Di tradir chi v'adora?

EUG.

È ver, son figlia,

Ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?

LESB.

Ambi pietà mi fate;

A me condur lasciate la faccenda.

Ritiratevi presto.

EUG.

Vado. (in atto di partire)

RIN.

Anch'io. (in atto di seguitarla)

LESB.

Con grazia, padron mio;

Ritiratevi, sì, questo mi preme;

Ma non andate a ritirarvi insieme.

Voi di qua; voi di là: così va bene.

EUG.

Soffrite, idolo mio. (si ritira in una stanza)

RIN.

Soffrir conviene. (si ritira in un'altra stanza)

SCENA DECIMA

Lesbina, poi Nardo

LESB.

Capperi! s'attaccava

Prestamente al partito.

Troppo presto volea far da marito.

Ecco il ricco villano;

Ora son nell'impegno:

Tutta l'arte vi vuol, tutto l'ingegno.

NAR.

Chi è qui?

LESB.

Non ci vedete?

Per ora ci son io.

NAR.

Bondì a vossignoria.

LESB.

Padrone mio.

NAR.

Don Tritemio dov'è?

LESB.

Verrà fra poco.

Potete in questo loco

Aspettar, se v'aggrada.

NAR.

Aspetterò.

Voi chi siete, signora?

LESB.

Io non lo so. (affettando modestia)

NAR.

Sareste per ventura

La figliuola di lui, venuta qui?

LESB.

Potria darsi di sì.

NAR.

Alla ciera mi par...

LESB.

Così sarà.

NAR.

Mi piacete davver.

LESB.

Vostra bontà.

NAR.

Sapete chi son io?

LESB.

No, mio signore.

NAR.

Non ve lo dice il core?


LESB.

Il cor d'una fanciulla,

Se si tratta d'un uom, non sa dir nulla.

NAR.

Eh furbetta, furbetta. Voi mi avete

Conosciuto a drittura.

Delle fanciulle al cor parla natura.

LESB.

Siete forse...

NAR.

Via, chi?

LESB.

Nardino bello?

NAR.

Sì, carina, son quello;

Quello che vostro sposo è destinato.

LESB.

Con licenza, signor, m'hanno chiamato.

NAR.

Dove andate?

LESB.

Non so.

NAR.

Eh restate, carina.

LESB.

Signor no.

NAR.

Vi spiace il volto mio?

LESB.

Anzi... mi piace...

Ma...

NAR.

Che ma?

LESB.

Non so dir... che cosa sia.

Con licenza, signor; voglio andar via.

NAR.

Fermatevi un momento.

(Si vede dal rossor ch'è figlia buona). (da sé)

LESB.

(Servo me stessa, e servo la padrona). (da sé)

Compatite, signor, s'io non so.

Son così, non so far all'amor.

Una cosa mi sento nel cor,

Che col labbro spiegar non si può.

Miratemi qua,

Saprete cos'è.

Voltatevi in là,

Lontano da me.

Voglio partire, mi sento languire.

(Ah! col tempo spiegarmi saprò). (parte)

SCENA UNDICESIMA

Nardo, poi don Tritemio

NAR.

Si vede chiaramente

Che la natura in lei parla innocente.

Finger anche potrebbe, è ver, purtroppo;

Ma è un cattivo animale

Quel che senza ragion sospetta male.

TRIT.

Messer Nardo dabbene,

Compatite se troppo trattenuto

M'ha un domestico impaccio;

Vi saluto di core.

NAR.

Ed io vi abbraccio.

TRIT.

Or verrà la figliuola.


NAR.

È già venuta.

TRIT.

La vedeste?

NAR.

Gnor sì, l'ho già veduta.

TRIT.

Che vi par?

NAR.

Mi par bella.

TRIT.

È un po' ritrosa.

NAR.

La fanciulla va ben sia vergognosa.

TRIT.

Disse niente? Parlò?

NAR.

Mi disse tanto

Che sperare mi fa d'esser amato.

TRIT.

È vero?

NAR.

È ver.

TRIT.

(Oh il ciel sia ringraziato). (da sé)

Ma perché se n'andò?

NAR.

Perché bel bello

Amor col suo martello

Il cor le inteneriva,

E ne aveva rossore.

TRIT.

Evviva, evviva.

Eugenia, dove sei?

Facciamo presto;

Concludiamo l'affar.

NAR.

Per me son lesto.

TRIT.

Chi è quella?

NAR.

È mia nipote.

SCENA DODICESIMA La Lena e detti, poi Lesbina

NAR.

Che volete voi qui? (alla Lena)

LENA

Con sua licenza,

Alla sposa vorrei far riverenza.

TRIT.

Ora la chiamerò.

NAR.

Concludiamo le nozze.

TRIT.

Io presto fo. (parte)

LENA

Signor zio, com'e bella?

NAR.

La vedrai. È una stella.

LENA

È galante e graziosa?

NAR.

È galante, è graziosa ed è amorosa.

LENA

Vi vorrà ben?

NAR.

Si vede

Da un certo non so che

Che l'ha la madre sua fatta per me.

Appena ci siam visti,

Un incognito amor di simpatia

Ha messo i nostri cuori in allegria.

Son pien di giubilo,

Ridente ho l'animo,

Nel sen mi palpita


Brillante il cor.

LENA

Il vostro giubilo

Nelle mie viscere

Risveglia ed agita

Novello ardor.

LESB.

Sposino amabile, (esce da una camera)

Per voi son misera,

Mi sento mordere

Dal dio d'amor.

NAR.

Vieni al mio seno,

Sposina mia.

LENA

Signora zia,

A voi m'inchino.

a tre

Dolce destino,

Felice amor!

LESB.

Parto, parto: il genitore.

NAR.

Perché parti?

LESB.

Il mio rossore

Non mi lascia restar qui.

(entra nella camera di dove è venuta)

NAR.

Vergognosetta

La poveretta

Se ne fuggì.

LENA

Se fossi in lei,

Non fuggirei

Chi mi ferì.

TRIT.

La ricerco, e non la trovo.

Oh che smania in sen io provo!

Dove diavolo sarà?

NAR.

LENA       } a due        Ah, ah, ah. (ridono)

TRIT.

L'ho cercata su e giù:

L'ho cercata qua e là.

NAR.

LENA       } a due        Ah, ah, ah. (ridono)

TRIT.

Voi ridete? come va?

NAR.

Fin adesso è stata qua.

TRIT.

Dov'è andata?

LENA

È andata là. (accenna ov'e entrata)

TRIT.

Quando è là, la troverò,

E con me la condurrò. (entra in quella camera)

NAR.

Superar il genitore

Potrà ben il suo rossore.

LENA

Non è tanto vergognoso

Il suo core collo sposo.

a due

Si confonde nel suo petto

Il rispetto - con l'amor.

LESB.

Presto, presto, sposo bello, (esce di nuovo)

Via, porgetemi l'anello,

Che la sposa allor sarò.

LENA

Questa cosa far si può.

NAR.

Ecco, ecco, ve lo do. (le dà un anello)

LESB.

Torna il padre, vado via.


NAR.

Ma perché tal ritrosia?

LESB.

Il motivo non lo so.

LENA

Dallo sposo non fuggite.

LESB.

Compatite, - tornerò. (torna nella camera di prima)

NAR. LENA

} adue

Caso raro, caso bello!

Una sposa coll'anello

Ha rossor - del genitor.

TRIT.

Non la trovo.

NAR. LENA

} adue

Ah, ah, ah. (ridendo)

TRIT.

Voi ridete?

NAR. LENA

} adue

È stata qua.

LENA

Collo sposo ha favellato.

NAR.

E l'anello già le ha dato.

TRIT.

Alla figlia?

NAR. LENA

} adue

Signor sì.

TRIT.

Alla sposa?

NAR. LENA

} adue

Messer sì.

TRIT.

Quel ch'è fatto, fatto sia.

a tre

Stiamo dunque in allegria, Che la sposa - vergognosa Alta fin si cangerà; E l'amore - nel suo core Con piacer trionferà. (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Camera di Don Tritemio.

Eugenia e Lesbina

LESB.                    Venite qui, signora padroncina,

Tenete questo anello;

Ponetevelo in dito.

Fate che il genitore ve lo veda;

Lasciate che la sposa egli vi creda.
EUG.                     Tu m'imbrogli, Lesbina, e non vorrei...

LESB.                    Se de' consigli miei

Vi volete servir, per voi qui sono.

Quando no, vel protesto, io v'abbandono.
EUG.                     Deh, non mi abbandonare; ordina, imponi;

Senza cercar ragioni,

Lo farò ciecamente:

Ti sarò, non temer, tutta obbediente.
LESB.                    Quest'anello tenete.

Quel che seguì, sapete;

E quel che seguirà

Regola in avvenir ci porgerà.
EUG.                     Ecco mio padre.

LESB.                                               Presto;

Ponetevelo al dito.
EUG.                     Una sposa son io senza marito. (si mette l'anello)

SCENA SECONDA Don Tritemio e dette.

TRIT.                     A che gioco giochiamo? (ad Eugenia)

Corro, ti cerco e chiamo;

Mi fuggi e non rispondi?

Quando vengo da te, perché ti ascondi?
EUG.                     Perdonate, signor...

LESB.                                                   La poveretta

È un pochin ritrosetta.
TRIT.                                                         Oh bella, affé!

Si vergogna di me, poi collo sposo

Il suo cuore non è più vergognoso.
LESB.                    Vi stupite di cio? Si vedon spesso

Cotali meraviglie.


Soglion tutte le figlie

Ch'ardono in sen d'amore

La modestia affettar col genitore.
TRIT.                     Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti

Dallo sposo l'anello? (ad Eugenia)
LESB.                                                      Signor sì.

TRIT.                     Parlo teco. Rispondi. (ad Eugenia)

EUG.                                                       Eccolo qui. (mostra l'anello a don Tritemio)

TRIT.                     Capperi! È bello assai.

Non mi credeva mai

Che Nardo averse di tai gioje in dito.

Vedi se t'ho trovato un buon marito?
EUG.                     (Misera me, se tal mi fosse!) (da sé)

TRIT.                                                                   Oh via,

Codesta ritrosia scaccia dal petto;

Queste smorfie oramai mi fan dispetto.
LESB.                    Amabile sposina,

Mostrate la bocchina un po' ridente.
EUG.                     (Qualche volta Lesbina è impertinente). (da sé)

TRIT.                     È picchiato, mi par.

LESB.                                                   Vedrò chi sia.

(Ehi, badate non far qualche pazzia). (piano ad Eugenia, e parte)

SCENA TERZA Don Tritemio, Eugenia, poi Lesbina che torna.

EUG.

(È molto, s'io resisto). (da sé)

TRIT.

Affé, non ho mai visto

Una donna di te più scimunita.

Figlia che si marita

Suol esser lieta, al suo gioir condotta;

E tu stai lì che pari una marmotta?

EUG.

Che volete ch'io dica?

TRIT.

Parla o taci,

Non me n'importa più.

Sposati, e in avvenir pensaci tu.

LESB.

Signor, è un cavaliero

Col notar della villa in compagnia,

Che brama riverir vossignoria.

TRIT.

Vengano. (Col notaro?

Qualchedun che bisogno ha di denaro). (da sé)

LESB.

(È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio

D'evitar il periglio). (piano ad Eugenia)

EUG.

(Andiam, Lesbina). (a Lesbina)

Con licenza. (s'inchina a don Tritemio)

TRIT.

Va pure.

EUG.

(Ahi, me meschina!) (da sé, e parte con Lesbina)


SCENA QUARTA Don Tritemio, poi Rinaldo e Capocchio Notaro.

TRIT.                     Se denaro vorra, gliene darò,

Purché sicuro sia con fondamento,

E che almeno mi paghi ii sei per cento.

Ma che vedo? È colui

Che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?

Col notaro che vuol? che far intende?
RIN.                      Compatite, signor...

TRIT.                                                    La riverisco.

RIN.                      Compatite se ardisco

Replicarvi l'incomodo. Temendo

Che non siate di me ben persuaso,

Ho condotto il notaro,

Il qual patente e chiaro

Di me vi mostrerà

Titolo, parentela e facoltà.
TRIT.                     (È ridicolo in vero). (da sé)

CAP.                                                     Ecco, signore,

L'istrumento rogato

D'un ricco marchesato;

Ecco l'albero suo da cui si vede

Che per retto cammino

Vien l'origine sua dal re Pipino.
TRIT.                     Oh capperi! che vedo?

Questa è una cosa bella in verità.

Ma della nobiltà, signor mio caro,

Come andiamo del par con il denaro?
RIN.                      Mostrategli i poderi,

Mostrategli sinceri i fondamenti. (a Capocchio)
CAP.                      Questi sono istrumenti

Di comprede, di censi, di livelli.

Questi sono contratti buoni e belli.

(mostrando alcuni fogli a guisa d'istrumenti antichi)

Nel quattrocento Sei possessioni; Nel cinquecento Quattro valloni; Anno millesimo Una duchea, Mille trentesimo Una contea Emit et cœtera. Case e casoni, Giurisdizioni, Frutti annuali, Censi e cambiali. Sic et cætera Cum et cætera. (parte)


SCENA QUINTA Don Tritemio e Rinaldo

TRIT.

La riverisco et cætera.

Vada, signor notaro, a farsi, et cætera.

RIN.

Ei va per ordin mio

A prender altri fogli, altri capitoli,

Per provarvi di me lo stato e i titoli.

TRIT.

Sì, sì, la vostra casa

Ricca, nobile, grande ognora fu.

Credo quel che mi dite, e ancora più.

RIN.

Dunque di vostra figlia

Mi credete voi degno?

TRIT.

Anzi degnissimo.

RIN.

Le farò contradote.

TRIT.

Obbligatissimo.

RIN.

Me l'accordate voi?

TRIT.

Per verità,

V'è una difficoltà.

RIN.

Da chi dipende?

TRIT.

Ho paura che lei...

RIN.

Chi?

TRIT.

La figliuola...

RIN.

D'Eugenia non pavento.

TRIT.

Quando lei possa farlo, io son contento.

RIN.

Ben, vi prendo in parola.

TRIT.

Chiamerò la figliuola.

S'ella non fosse in caso,

Del mio buon cuor sarete persuaso.

RIN.

Sì; chiamatela pur, contento io sono;

Se da lei son escluso, io vi perdono.

TRIT.

Bravo! Un uom di ragion si loda e stima:

S'ella non puole, amici come prima.

Io son di tutti amico, Son vostro servitor. Un uomo di buon cor Conoscerete in me. La chiamo subito; Verrà, ma dubito Sconvolta trovisi Da un non so che. Farò il possibile Pel vostro merito, Che per i titoli, Per i capitoli, Anche in preterito Famoso egli è. (parte)


SCENA SESTA Rinaldo, poi don Tritemio ed Eugenia

RIN.

Se da Eugenia dipende il piacer mio,

Di sua man, del suo cor certo son io.

Veggola che ritorna

Col genitore allato;

Della gioia vicino è il dì beato.

TRIT.

Eccola qui; vedete se son io

Un galantuomo.

RIN.

Ognor tal vi credei,

Benché foste nemico ai desir miei.

TRIT.

Eugenia, quel signore

Ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?

EUG.

Tra le donne felici

La più lieta sarò, padre amoroso,

Se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.

TRIT.

Brava, figliuola mia,

Il rossor questa volta è andato via.

RIN.

L'udiste? Ah, non tardate (a don Tritemio)

Entrambi a consolare.

TRIT.

Eppur pavento...

RIN.

Ogni timor è vano:

In faccia al genitor mi dia la mano.

TRIT.

La mano? In verità

S'ha da far, s'ha da far... se si potrà.

Dammi la destra tua. (ad Eugenia)

EUG.

Eccola.

TRIT.

(Le prende la mano)             A voi. (chiede la mano a Rinaldo)

Prendetela... bel bello,

Che nel dito d'Eugenia evvi un anello.

Ora che mi ricordo,

Nardo con quell'anello la sposò;

E due volte sposarla non si può.

RIN.

Come!

TRIT.

Non è così? (ad Eugenia)

EUG.

Sposa non sono.

TRIT.

Ma se l'anello in dono

Prendesti già delle tue nozze in segno,

Non si può, figlia mia, scioglier l'impegno.

Voi che dite, signor? (a Rinaldo)

RIN.

Dico che tutti,

Perfidi, m'ingannate;

Che di me vi burlate e che son io

Bersaglio del destin barbaro e rio.

TRIT.

La colpa non è mia.

EUG.

(Tacer non posso).

Udite: ah, svelar deggio

L'arcano, onde ingannato...


SCENA SETTIMA Lesbina e detti.

LESB.

Signor padron, voi siete domandato.

EUG.

(Ci mancava costei!) (a don Tritemio)

TRIT.

Chi è che mi vuole? (a Lesbina)

LESB.

Un famiglio di Nardo.

TRIT.

Sente, signor? Del genero un famiglio

Favellarmi desia;

Onde vossignoria,

S'altra cosa non ha da comandare,

Per cortesia, se ne potrebbe andare.

RIN.

Sì, sì, me n'anderò, ma giuro ai numi...

Vendicarmi saprò.

EUG.

(Destin crudele!)

Rinaldo, questo cor...

RIN.

Taci, infedele.

Perfida figlia ingrata,

Padre spietato indegno,

Non so frenar lo sdegno,

L'alma si scuote irata.

Empio, crudele, audace,

Pace per me non v'e. (or all'una, or all'altro)

E tu che alimentasti (a Lesbina)

Sin ora il foco mio

Colla speranza (oh Dio!),

Così tu m'ingannasti?

L'offeso cuor aspetta

Vendetta - anche di te. (parte)

SCENA OTTAVA

Eugenia, don Tritemio e Lesbina

LESB.

(Obbligata davver del complimento!) (da sé)

TRIT.

(Ho un tantin di paura). (da sé)

EUG.

(Ahi che tormento!) (da sé)

TRIT.

Orsù, signora pazza,

Ho capito il rossor che cosa sia.

Quel che voglia colui, vado a sentire;

Poi la discorrerem. S'ha da finire. (in atto di partire)

LESB.

Sì signor, dite bene. (a don Tritemio)

TRIT.

E tu, fraschetta, (a Lesbina)

Tu alimentasti dell'amante il foco?

Vado, e ritorno; parlerem fra poco. (parte)


SCENA NONA

Eugenia e Lesbina

EUG.

Ah Lesbina crudele!

Solo per tua cagion sono in periglio.

LESB.

Loderete nel fine il mio consiglio.

Questa cosa finor mi pare un gioco;

Non mi perdo, davver, per così poco.

EUG.

Prenditi questo anello.

LESB.

Eh no, signora mia.

EUG.

Prendilo; o giuro al ciel, lo getto via.

LESB.

Ma perché?

EUG.

Fu cagione

Che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida;

Quest'anello omicida

Dinanzi agli occhi miei soffrir non vuò.

LESB.

Se volete così, lo prenderò.

Eccolo nel mio dito.

Che vi par? Mi sta bene?

EUG.

Ah, tu sei la cagion delle mie pene.

SCENA DECIMA

Don Tritemio e dette.

TRIT.

Oh genero garbato!

Alla sposa ha mandato (mostra un gioiello)

Questo ricco gioiello.

Prendilo, Eugenia mia; guarda s'è bello.

EUG.

Non lo curo, signore...

TRIT.

Ed io comando

Che tu prender lo debba; il ricusarlo

Sarebbe una insolenza.

EUG.

Dunque lo prenderò per obbedienza. (prende il gioiello)

Ma... vi chiedo perdono,

Non mi piace, nol voglio; a te lo dono. (lo dà a Lesbina)

LESB.

Grazie.

TRIT.

Rendilo a me.

LESB.

Signor padrone,

Sentite una parola.

(Se la vostra figliuola

È meco generosa,

Lo fa perché di voi mi brama sposa). (piano a don Tritemio)

TRIT.

(Lo crederò?) (a Lesbina)

LESB.

Signora,

Non è ver che bramate

Che sposa io sia? Nel darmi queste gioje,

Confessatelo pur, vostro pensiero

Non è che sposa sia Lesbina?

EUG.

È vero.


TRIT.                     E tu che dici?

LESB.                                          Io dico

Che se il destino amico

Seconderà il disegno,

Le gioje accetto, e accetterò l'impegno.

Una ragazza Che non è pazza, La sua fortuna Sprezzar non sa.

Voi lo sapete, Voi m'intendete: Questo mio core Si scoprirà.

Anche l'agnella, La tortorella, Il suo compagno Cercando va. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Eugenia e don Tritemio

TRIT.                     Dunque, giacché lo sai, tel dico anch'io;

È questi il pensier mio:

Dopoché tu sarai fatta la sposa,

Anch'io mi sposerò questa fanciulla.

Piangi? sospiri? e non rispondi nulla?

Son stanco di soffrirti.

Oggi darai la man. S'ha da finire.

Se sei pazza, non vuò teco impazzire. (parte)
EUG.                     Pazza a ragion mi chiama

Il genitor crudele,

Se in faccia al mio fedele, al mio diletto,

Ho tradito l'affetto

Per velar follemente in sen l'arcano;

Ed or mi lagno, ed or sospiro invano.

Misera, a tante pene Come resisto, oh Dio! Il crudo affanno mio Ah, tollerar non so.

Dov'è l'amato bene? Dove s'asconde, o cieli? Amor, se non lo sveli, Più vivere non vuol. (parte)

SCENA DODICESIMA


Campagna.

Nardo suonando il chitarrino e cantando, e poi Rinaldo

NAR.

Amor, se vuoi così,

Quel che tu vuoi, farò;

Io mi accompagnerò

In pace e sanità.

Ma la mia libertà

Perciò non perderò.

Penare: signor no;

Soffrir, gridare: oibò.

Voglio cantare,

Voglio suonare,

Voglio godere

Fin che si può.

RIN.

Galantuom, siete voi

Quello che Nardo ha nome?

NAR.

Signor sì.

RIN.

Cerco appunto di voi.

NAR.

Eccomi qui.

RIN.

Ditemi: è ver che voi

Aveste la parola

Da don Tritemio per la sua figliuola?

NAR.

Sì signore, l'ho avuta;

La ragazza ho veduta;

Mi piace il viso bello,

E le ho dato stamane anco l'anello.

RIN.

Sapete voi qual dote

Recherà con tai nozze al suo consorte?

NAR.

Ancor nol so...

RIN.

Colpi, ferite e morte.

NAR.

Bagattelle, signor! E su qual banco

Investita sarà, padrone mio?

RIN.

Sul dorso vostro, e il pagator son io.

NAR.

Buono! Si può sapere,

Almen per cortesia,

Perché vossignoria

Con generosità

Allo sposo vuol far tal carità?

RIN.

Perché di don Tritemio

Amo anch'io la figliuola,

Perché fu da lei stessa

La sua fede promessa a me suo sposo,

Perché le siete voi troppo odioso.

NAR.

Dite davver?

RIN.

Non mentono i miei pari.

NAR.

E i pari miei non sanno

Per puntiglio sposare il lor malanno.

Se la figlia vi vuol, vi prenda pure.

Se mi burla e mi sprezza, io non ci penso:

So anch'io con la ragion vincere il senso.


Vi ringrazio d'avermi
Avvisato per tempo;
Ve la cedo, signor, per parte mia,
Che già di donne non v'è carestia.
RIN.                       Ragionevole siete

Giustamente dal popolo stimato;

Filosofo chiamato con ragione,

Superando sì presto la passione.

Voi l'avete ceduta.

A don Tritemio

La cosa narrerò tutta com'è,

E se contrasta, avrà da far con me. (parte)

SCENA TREDICESIMA Nardo, poi Lesbina

NAR.                     Pazzo sarei davvero,

Se a costo di una lite,

Se a costo di temere anche la morte,

Procurar mi volessi una consorte.

Amo la vita assai;

Fuggo, se posso, i guai;

Bramo sempre la pace in casa mia

E non intendo altra filosofia.
LESB.                    Sposo, ben obbligata;

M'avete regalata.

Anch'io, quando potrò,

Qualche cosetta vi regalerò.
NAR.                     No, no, figliuola cara,

Dispensatevi pur da tal finezza.

Quand'ho un poco di bene, mi consolo,

Ma quel poco di ben lo voglio solo.
LESB.                    Che dite? Io non v'intendo.

NAR.                                                                Chiaramente

Dunque mi spiegherò:

Siete impegnata, il so, con altro amico;

E a me di voi non me n'importa un fico.
LESB.                    V'ingannate, lo giuro. E chi è codesto,

Con cui da me si crede

Impegnata la fede?
NAR.                                                  È un forestiero

Che mi par cavaliero,

Giovane, risoluto, ardito e caldo.
LESB.                    (Ora intendo il mister: sarà Rinaldo).

Credetemi, v'inganna.

Vostra sono, il sarò, ve l'assicuro;

A tutti i numi il giuro:

Non ho ad alcuno l'amor mio promesso;

Son ragazza, e ad amar principio adesso.
NAR.                     Eppure in questo loco,


Tutt'amor, tutto foco,

Sostenne il cavaliero

Che voi siete sua sposa.
LESB.                                                          Ah, non è vero.

Di mendace e infedel non vuò la taccia:

Lo sosterrò di tutto il mondo in faccia.

Qualch'error vi sarà, ve lo protesto.

Tenero cuore onesto

Per voi serbo nel petto;

Ardo solo per voi di puro affetto.
NAR.                     (Impossibile par ch'ella m'inganni). (da sé)

LESB.                    Tenera sono d'anni,

Ma ho cervello che basta, e so ben io

Che divider amor non può il cor mio.

Voi siete il mio sposino;

E se amico destino a voi mi dona,

Anche un re lascierei colla corona.
NAR.                     S'ella fosse così...

LESB.                                                 Così è purtroppo.

Ma voi siete pentito

D'essere mio marito;

Qualch'altra donna amate,

E per questo, crudel, mi discacciate.
NAR.                     No, ben mio, no, carina,

Siete la mia sposina; e se colui

O s'inganna, o m'inganna, o fu ingannato,

Dell'inganno sarà disingannato.
LESB.                    Dunque mi amate?

NAR.                                                  Sì, v'amo di core.

LESB.                    Siete l'idolo mio.

NAR.                                                  Siete il mio amore.

SCENA QUATTORDICESIMA La Lena e detti.

LENA                    Signor zio, signor zio, che cosa fate?

Lontano discacciate

Colei che d'ingannarvi ora s'impegna:

D'essere vostra sposa non è degna.
LESB.                    (Qualche imbroglio novello). (da sé)

NAR.                                                                   Ha forse altrui

Data la fè di sposa?
LENA                                                   Eh, signor no.

Quel ch'io dico lo so per cosa vera:

Ella di don Tritemio è cameriera.
LESB.                    (Ah maledetta!)

NAR.                                             È ver quel ch'ella dice? (a Lesbina)

LESB.                    Ah misera, infelice!

Compatite, se tanto

Amor mi rese ardita.


Finsi il grado, egli è ver, perché v'adoro.

Per voi languisco e moro.

Confesso il mio fallire,

Ma voglio essere vostra oppur morire.
NAR.                     (Poverina!) (da sé)

LENA                                       Vi pare

Che convenga sposare

A un uomo, come voi, femmina tale?
NAR.                     Non ci vedo alcun male.

Per me nel vostro sesso

Serva, o padrona sia, tutt'è lo stesso.
LESB.                    Deh, per pietà donate

Perdono all'error mio.
NAR.                     Se mi amate di cor, v'adoro anch'io.

Per me sostengo e dico,

Ed ho la mia ragione,

Che sia la condizione un accidente.

Sposar una servente

Che cosa importa a me se è bella e buona?

Peggio è assai, s'è cattiva, una padrona.

Se non è nata nobile,

Che cosa importa a me?

Di donna il miglior mobile

La civiltà non è.

Il primo è l'onestà;

Secondo è la beltà;

Il terzo è la creanza;

Il quarto è l'abbondanza;

Il quinto è la virtù,

Ma non si usa più. Servetta graziosa,

Sarai la mia sposa,

Sarai la vezzosa,

Padrona di me. (parte)

SCENA QUINDICESIMA Lesbina e la Lena

LENA                    (Mio zio, ricco sfondato,

Non si puole scordar che vile è nato). (da sé)
LESB.                    Signora, mi rincresce

Ch'ella sarà nipote

D'una senza natali e senza dote.
LENA                    Certo che il zio poteva

Maritarsi con meglio proprietà.
LESB.                    Che nella nobiltà

Resti pregiudicato,

Certamente è un peccato. Imparentarmi

Arrossire dovrei


Con una contadina come lei.
LENA                    Son contadina, è vero,

Ma d'accasarmi spero

Con un uom civil, poiché del pari

Talor di nobiltà vanno i denari.
LESB.                    Udita ho una novella

D'un somar che solea

Con pelle di leone andar coperto;

Ma poi dal suo ragghiar l'hanno scoperto.

Così voi vi coprite

Talor con i denari,

Ma siete nel parlar sempre somari. (parte)

SCENA SEDICESIMA

La Lena sola.

Se fosse in casa mia

Questa signora zia, confesso il vero,

Non vi starei con essa un giorno intero.

Sprezza la contadina,

Vuol far da cittadina,

Perché nata in città per accidente,

Perché bene sa far l'impertinente.

Eppur, quando ci penso,

Bella vita è la nostra ed onorata!

Sono alla sorte ingrata

Allorché mi lamento

D'uno stato ripien d'ogni contento.

La pastorella al prato

Col gregge se ne va,

Con l'agnelline allato

Cantando in libertà. Se l'innocente amore

Gradisce il suo pastore,

La bella pastorella

Contenta ognor sarà. (parte)

SCENA DICIASSETTESIMA

Camera in casa di Don Tritemio.

Don Tritemio e Lesbina

TRIT.                     Che ardir, che petulanza!

Questo signor Rinaldo è un temerario. Gli ho detto civilmente Ch'Eugenia è data via;


Egli viene a bravarmi in casa mia?
LESB.                    Povero innamorato!

Lo compatisco.
TRIT.                                             Brava!

Lo compatisci?
LESB.                                            Anch'io

D'amor provo il desio:

Desio però modesto;

E se altrui compatisco, egli è per questo.
TRIT.                     Ami ancor tu, Lesbina?

LESB.                                                        Da questi occhi

Lo potete arguire.
TRIT.                     Ma chi?

LESB.                                   Basta... (guardando pietosamente don Tritemio amoroso)

TRIT.                     Ma chi?

LESB.                                   Nol posso dire. (mostrando vergognarsi)

TRIT.                     Eh t'intendo, furbetta; Basta,

Lesbina, aspetta

Ch'Eugenia se ne vada

A fare i fatti suoi,

Ed allor penseremo anche per noi.
LESB.                    Per me, come per lei,

Si potrebbe pensar nel tempo stesso.
TRIT.                     Via, pensiamoci adesso.

Quando il notaro viene,

Ch'ho mandato a chiamar per la figliuola,

Farem due cose in una volta sola.
LESB.                    Ecco il notaro appunto,

E vi è Nardo con lui.
TRIT.                                                       Vengono a tempo.

Vado a prender Eugenia; in un momento

Farem due matrimoni e un istrumento. (parte)

SCENA DICIOTTESIMA Lesbina, poi Nardo e Capocchio Notaro, poi don Tritemio

LESB.                    Oh, se sapessi il modo

Di burlar il padron, far lo vorrei.

Basta, m'ingegnerò;

Tutto quel che so far, tutto farò.
NAR.                     Lesbina, eccoci qui; se don Tritemio

Ci ha mandati a chiamar perch'io vi sposi,

Lo farò volentier; ma non vorrei

Che vi nascesse qualche parapiglia,

Qualche imbroglio novel tra serva e figlia.
LESB.                    La cosa è accomodata;

La figliuola sposata

Sarà col cavalier che voi sapete,

Ed io vostra sarò se mi volete.
NAR.                     Don Tritemio dov'è?


LESB.

Verrà a momenti.

Signor notaro, intanto

Prepari bello e fatto

Per un paio di nozze il suo contratto.

CAP.

Come? Un contratto solo

Per doppie nozze? Oibò.

Due contratti farò, se piace a lei,

Ché non vuò dimezzar gli utili miei.

LESB.

Ma facendone un solo

Fate più presto, e avrete doppia paga.

CAP.

Quand'è così, questa ragion m'appaga.

NAR.

Mi piace questa gente

Della ragione amica,

Ch'ama il guadagno ed odia la fatica.

LESB.

Presto dunque, signore:

Finché viene il padrone,

A scriver principiate.

CAP.

Bene, principierò.

Ma che ho da far?

LESB.

Scrivete, io detterò.

CAP.

In questo giorno et cœtera,

Dell'anno mille et cœtera,

Promettono... si sposano...

I nomi quali sono? (a Lesbina)

LESB.

I nomi sono questi...

(Oimè, vien il padron). (da sé)

TRIT.

Ehi, Lesbina.

LESB.

Signore.

TRIT.

Eugenia non ritrovo.

Sai lo dov'ella sia?

LESB.

No certamente.

TRIT.

Tornerò a ricercarla immantinente.

Aspettate un momento,

Signor notaro.

LESB.

Intanto

Lo faccio principiare. Io detto, ei scrive.

TRIT.

Benissimo.

NAR.

La sposa

Non è Lesbina? (a don Tritemio)

LESB.

Certo;

Le spose sono due:

Una Eugenia si chiama, una Lesbina.

Con una scritturina

Due matrimoni si faranno, io spero:

Non è vero, padrone?

TRIT.

È vero, è vero. (parte)

LESB.

Presto, signor notar, via, seguitate.

NAR.

Terminiamo l'affar.

CAP.

Scrivo, dettate.

In questo giorno et cœtera,


Dell'anno mille et cœtera, Promettono... si sposano... I nomi quali sono?

LESB.

I nomi sono questi: Eugenia con Rinaldo Dei conti di Pancaldo.

NAR.

Dei Trottoli Lesbina Con Nardo Ricottina.

CAP.

Promettono... si sposano... La dote qual sarà?

LESB.

La dote della figlia Saranno mille scudi.

CAP.

Eugenia mille scudi Pro dote cum et cœtera.

NAR.

La serva quanto avrà?

LESB.

Scrivete. Della serva La dote eccola qua. Due mani assai leste, Che tutto san far.

NAR.

Scrivete. Due mila Si puon calcolar.

LESB.

Un occhio modesto, Un animo onesto.

NAR.

Scrivete. Sei mila Lo voglio apprezzar.

LESB.

Scrivete. Una lingua, Che sa ben parlar.

NAR.

Fermate. Cassate. Tre mila per questo Ne voglio levar.

CAP.

Due mila, sei mila, Battuti tre mila, Saran cinque mila... Ma dite di che...

LESB.

} adue

Contenti ed affetti,

NAR.

Diletti - per me.

CAP.

Ciascuno lo crede,

} atre

Ciascuno lo vede,

NAR.

Che dote di quella

Più bella - non v'è.

TRIT.

(torna)

Corpo di Satanasso! Cieli, son disperato! Ah! m'hanno assassinato. Arde di sdegno il cor.

} a due        Il contratto - è bello e fatto.

LESB.

NAR.

CAP.                               Senta, senta, mio signor.

TRIT.                              Dove la figlia è andata?

Dove me l'han portata? Empio Rinaldo, indegno, Perfido rapitor.

CAP.                               Senta, senta, mio signor

TRIT.                              Sospendete.


Non sapete?

Me l'ha fatta

Il traditor.

LESB.

Dov'è Eugenia?

TRIT.

Non lo so.

NAR.

Se n'è ita?

TRIT.

Se n'andò.

CAP.

Due contratti?

TRIT.

Signor no.

CAP.

Casso Eugenia cum et cœtera,

Non sapendosi et cœtera,

Se sia andata o no et cœtera.

TUTTI

Oh che caso, oh che avventura!

Si sospenda la scrittura,

Che dappoi si finirà.

Se la figlia fu involata,

A quest'ora è maritata.

È presente - la servente;

Quest'ancor si sposerà. (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Luogo campestre con casa rustica di Nardo.

Eugenia e Rinaldo

EUG.                     Misera! a che m'indusse

Un eccesso d'amor? Tremo, pavento.

Parlar mi sento al core,

Giustamente sdegnato, il genitore.
RIN.                       Datevi pace; alfine

Siete con chi v'adora;

Siete mia sposa.
EUG.                                                Ah, non lo sono ancora.

RIN.                       Venite al tetto mio; colà potrassi

Compire al rito, e con gli usati modi

Celebrare i sponsali.
EUG.                                                       Ove s'intese

Che onesta figlia a celebrare andasse

Dello sposo in balìa nozze furtive?

No, non fia ver, Rinaldo:

Ponetemi in sicuro,

Salvatemi l'onore,

O pentita ritorno al genitore.
RIN.                       Tutto farò per compiacervi, o cara;

Eleggete l'albergo ove pensate

D'essere più sicura.

L'onor vostro mi cale, io n'avrò cura.

SCENA SECONDA La Lena di casa, e detti.

LENA                    Questa, se non m'inganno,

Di don Tritemio è la figliuola.

EUG.                                                                     Dite,

Pastorella gentile, è albergo vostro Questo di dove uscite?

LENA                                                        Sì, signora.

EUG.                     Altri vi son?

LENA                                          Per ora

Altri non v'è che io Ed un uomo da ben qual a mio zio.

EUG.                     Siete voi maritata?

LENA                    Sono fanciulla ancora,

Ma d'esserlo son stanca.


RIN.                       (Sia malizia o innocenza, ella è assai franca). (da sé)

EUG.                     D'una grazia pregarvi

Vorrei, se nol sdegnate.
LENA                    Dite pur, comandate.

EUG.                     Vorrei nel vostro tetto

Passar per un momento.
LENA                    Sola passate pur, che mi contento.

RIN.                       Perché sola? Son io,

Pastorella gentile, il di lei sposo.
LENA                    Davvero? Compatite;

Ho ancor qualche sospetto.

Perché non la menate al vostro tetto?
RIN.                       Vi dirò...

EUG.                                    Non ancora

Son contratti i sponsali.

(Correr una bugia lasciar non voglio). (da sé)
LENA                    Me n'avvidi che v'era un qualche imbroglio.

EUG.                     Deh, per pietà, vi prego...

LENA                    Che sì, che al genitore

L'avete fatta bella?
EUG.                     Amabil pastorella,

Voi non sapete al core

Quanto altero comandi il dio d'amore.
LENA                    (Mi fa pietà). (da sé) Sentite,

V'offro l'albergo mio, ma con un patto,

Che subito sul fatto,

In mia presenza e d'altro testimonio,

Si faccia e si concluda il matrimonio.
EUG.                     Sì, sì, ve lo prometto:

Andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
LENA                    Precedetemi voi; quella è la strada.

EUG.                     Andiam, Rinaldo amato;

L'innocente desio seconda il fato.

Che più bramar poss'io?

Che più dal cielo aspetto?

Andrò col mio diletto

La pace ad incontrar. Del genitore al fine

Si placherà lo sdegno.

Amor prenda l'impegno

Quest'alme a consolar. (entra in casa di Nardo)

SCENA TERZA Rinaldo e la Lena

RIN.                       Ninfa gentile, al vostro cor son grato.

In braccio al mio contento Per voi andrò... (in atto di partire)

LENA                                            Fermatevi un momento.


Se grato esser volete,

Qualche cosa potete

Fare ancora per me.
RIN.                                                      Che non farei

Per chi fu sì pietosa a' desir miei?
LENA                    Son contadina, è vero,

Ma ho massime civili e buona dote;

Son di Nardo nipote;

Maritarmi vorrei con civiltà.

Da voi, che siete un cavalier compito,

Secondo il genio mio

Spero un marito.
RIN.                       Ritrovar si potrà.

LENA                    Ma fate presto;

Se troppo in casa resto

Col zio, che poco pensa alla nipote,

Perdo e consumo invan la miglior dote.

Ogn'anno passa un anno,

L'età non torna più;

Passar la gioventù

Io non vorrei così.

Ci penso notte e dì. Vorrei un giovinetto,

Civile e graziosetto,

Che non dicesse un no,

Quand'io gli chiedo un sì. (entra nella casa suddetta)

SCENA QUARTA

Rinaldo solo.

Di Nardo nell'albergo,

Che fu già mio rival, ci porta il fato:

Ma Nardo ho ritrovato

Meco condiscendente, e non pavento;

Ed ho cuor d'incontrare ogni cimento.

Guerrier che valoroso

Nell'assalir si veda,

Quand'ha in poter la preda,

Perderla non saprà. Pianti, fatiche e stenti

Mi costa l'idol mio.

Barbaro fato e rio

Tormela non potrà. (entra nella casa suddetta)

SCENA QUINTA


Don Tritemio e poi la Lena

TRIT.

Figlia, figlia sgraziata,

Dove sei? Non ti trovo.

Ah, se Rinaldo

Mi capita alle mani,

Lo vuò sbranar come fa l'orso i cani.

Invan l'ho ricercato al proprio albergo.

Sa il cielo se il briccon se l'ha nascosta,

O se via l'ha menata per la posta.

Son fuor di me; son pieno

Di rabbia e di veleno.

Se li trovassi, li farei pentire.

Li vuò trovar, se credo di morire.

LENA

Signor, che cosa avete,

Che sulle furie siete?

Fin là dentro ho sentito

Che siete malamente inviperito.

TRIT.

Ah! son assassinato.

M'han la figlia involato;

Non la trovo, non so dov'ella sia.

LENA

E non vi è altro?

TRIT.

Una minchioneria!

LENA

Eugenia vostra figlia

È in sicuro, signor, ve lo prometto.

È collo sposo suo nel nostro tetto.

TRIT.

Là dentro?

LENA

Signor sì.

TRIT.

Collo sposo?

LENA

Con lui.

TRIT.

Ma Nardo dunque...

LENA

Nardo, mio zio, l'ha a caro.

Per ordin suo vo a prender il notaro. (parte)

SCENA SESTA

Don Tritemio, poi Nardo

TRIT.

Oh questa sì ch'è bella!

Nardo, a cui l'ho promessa,

Me l'ha fatta involar?

Per qual ragione?

Sì, sì, l'ha fatta da politicone.

Eugenia non voleva...

Rinaldo pretendeva...

Ei l'ha menata via.

Anche questa sarà filosofia.

NAR.

Io crepo dalle risa.

Oh che caso ridicolo e giocondo!

Oh che gabbia di pazzi è questo mondo!

TRIT.

(Eccolo qui l'amico). (vedendo Nardo)


NAR.

(Ecco il buon padre).

TRIT.

Galantuomo, che fa la figlia mia?

NAR.

Bene, al comando di vossignoria.

TRIT.

Rapirmela mi pare

Una bella insolenza.

NAR.

La cosa è fatta, e vi vorrà pazienza.

TRIT.

E lei, quella sfacciata,

Cosa dice di me?

NAR.

Non dice niente.

TRIT.

Non teme il padre?

NAR.

Non l'ha né anco in mente.

TRIT.

Basta, chi ha fatto il male,

Farà la penitenza.

Dote non ne darà certo certissimo.

NAR.

Sì, sì, fate benissimo.

Stimo que' genitori

Cui profittan dei figli anco gli errori.

TRIT.

Dov'è? La vuò veder.

NAR.

Per ora no.

TRIT.

Eh, lasciatemi andar...

NAR.

Ma non si può.

TRIT.

La volete tener sempre serrata?

NAR.

Sì, fino ch'è sposata.

TRIT.

Questa è una mala azion, che voi mi fate.

NAR.

No, caro amico, non vi riscaldate.

TRIT.

Mi riscaldo perché

Si poteva con me meglio trattare.

Se l'aveva promessa,

Lo sposo aveva le ragioni sue.

NAR.

Gli sposi erano due;

V'erano dei contratti, onde per questo

Quel che aveva più amor fatto ha più presto.

TRIT.

Io l'ho promessa a voi.

NAR.

Ma lei voleva il suo Rinaldo amato.

TRIT.

Ma questo...

NAR.

Orsù, quello che è stato, è stato.

TRIT.

È ver, non vuò impazzire;

L'ho trovata alla fine, e ciò mi basta;

Dopo il fatto si loda;

Chi l'ha avuta, l'ha avuta, e se la goda.

Da me non speri

D'aver un soldo,

Se il manigoldo

Vedessi lì.

Se se n'è andata,

Se si è sposata,

Da me non venga,

Non verrò qui.

Chi ha avuto ha avuto,

Chi ha fatto ha fatto.

Non son sì matto,

Non vuò gettare,


Non vuò dotare La figlia ardita, Che se n'è gita Da me così. (parte)

SCENA SETTIMA Nardo, poi la Lena e Capocchio Notaro.

NAR.                     A Rinaldo per ora

Basterà la consorte;

Poi dopo la sua morte il padre avaro

A suo dispetto lascierà il denaro.
LENA                    Venite a stipulare

Delle nozze il contratto. (a Capocchio)
CAP.                      Eccolo qui, l'avevo mezzo fatto.

NAR.                     Andate in casa mia;

L'opera terminate.

L'ordine seguitate

Di due sponsali in un contratto espressi

Colle stesse notizie e i nomi stessi.
CAP.                      Sì, signor, sì farà.

Ma poi chi pagherà?
NAR.                                                       Bella domanda!

Pagherà chi è servito e chi comanda.
LENA                    Sentite: se si fanno

Scritture in casa mia,

Voglio la senseria.
CAP.                                                     Come?

LENA                                                               Dirò:

Se mi mariterò,

Come spero di farlo prestamente,

La scrittura m'avete a far per niente. (entra in casa)

SCENA OTTAVA

Nardo e Capocchio

CAP.                      Vostra nipote è avara come va!

NAR.                     Credetemi, lo fa senza malizia;

Delle donne un costume è l'avarizia.
CAP.                      Son lente nello spendere,

Egli è vero, ma son leste nel prendere.

Voi che filosofo Chiamato siete, Dirmi saprete Come si dia Di simpatia


Forza e virtù. La calamita Tira l'acciaro. Tira l'avaro L'oro ancor più. (entra in casa)

SCENA NONA Nardo, poi Lesbina

NAR.                     Nato son contadino,

Non ho studiato niente,

Ma però colla mente

Talor filosofando a discrezione,

Trovo di molte cose la ragione.
LESB.                    Ma capperi! Si vede,

Affé, che mi volete poco bene.

Nel giardino v'aspetto, e non si viene?
NAR.                     Un affar di premura

M'ha trattenuto un poco.

Concludiam, se volete, in questo loco.
LESB.                    Il notaro dov'è?

NAR.                                                Là dentro. Ei scrive

Il solito contratto,

E si faranno i due sponsali a un tratto.
LESB.                    Ma se Eugenia fuggì...

NAR.                                                         Fu ritrovata.

Là dentro è ricovrata,

E si fa con Rinaldo l'istrumento.
LESB.                    Don Tritemio che dice?

NAR.                                                            Egli è contento.

LESB.                    Dunque, quand'e così, facciamo presto.

Andiam, caro sposino.
NAR.                     Aspettate, Lesbina, anche un pochino.

LESB.                    (Non vorrei che venisse...) (da sé)

NAR.                                                                A me badate;

Prima che mia voi siate,

A voi vuò render note

Alcune condizion sopra la dote.
LESB.                    Qual dote dar vi possa

Voi l'intendeste già:

Affetto ed onestà,

Modesta ritrosia

Ed un poco di buona economia.
NAR.                     Così mi basta, e appunto

Di questo capital che apprezzo molto,

Intendo ragionar.
LESB.                                               Dunque vi ascolto.

NAR.                     In primis, che l'affetto

Non sia troppo, né poco,

Perché il poco non basta e il troppo annoia;


È la mediocrità sempre una gioia.
LESB.                    Com'ho da regolarmi

Per star lontana dagli estremi?
NAR.                                                                     Udite:

Per fuggir ogni lite,

Siate amorosa se il marito è in vena;

Non lo state a seccar se ha qualche pena.
LESB.                    Così farò.

NAR.                                      Sul punto

Della bella onestà,

Non v'e mediocrità. Sia bella o brutta,

La sposa d'un sol uom dev'esser tutta.

Circa l'economia, potrete qui

Regolarvi così:

Del marito il voler seguire ognora,

E non far la padrona e la dottora.
LESB.                    Così farò, son della pace amica;

Obbedirvi sarà minor fatica.
NAR.                     Or mi sovvien che un altro capitale

M'offeriste di lingua.
LESB.                                                      È ver.

NAR.                                                                   Se questo

Mi riuscirà molesto,

In un più necessario il cambierò.
LESB.                    Ho inteso il genio vostro.

Non vi sarà pericolo

Che vi voglia spiacer né anche in un piccolo.
NAR.                     Quand'è così, mia cara,

Porgetemi la mano.
LESB.                                                   Eccola pronta.

NAR.                     Del nostro matrimonio

Invochiamo Cupido in testimonio.

LESB.                             Lieti canori augelli

Che tenerelli amate, Deh, testimon voi siate Del mio sincero amor.

NAR.                              Alberi, piante e fiori,

I vostri ardori ascosi
Insegnino a due sposi

II naturale amor.
LESB.                             Par che l'augel risponda:

Ama lo sposo ognor.
NAR.                              Dice la terra e l'onda:

Ama la sposa ancor.
LESB.                             La rondinella,

Vezzosa e bella,

Solo il compagno

Cercando va.
NAR.                              L'olmo e la vite,

Due piante unite,

Ai sposi insegnano

La fedeltà.


LESB.

NAR.

LESB.

NAR.

a due


Io son la rondinella,

Ed il rondon tu sei. Tu sei la vite bella,

Io l'olmo esser vorrei. Rondone fido,

Nel caro nido

Vieni, t'aspetto. Prendimi stretto,

Vite amorosa,

Diletta sposa. Soave amore,

Felice ardore,

Alma del mondo,

Vita del cor. No, non si trova,

No, non si prova

Più bella pace,

Più caro ardor. (partono, ed entrano in casa)


SCENA DECIMA

Don Tritemio solo.

Diamine! Che ho sentito?

Di Lesbina il marito

Pare che Nardo sia.

Che la filosofia

Colle ragioni sue

Accordasse ad un uom sposarne due?

Quel che pensar non so;

All'uscio picchierò. Verranno fuori;

Scoprirò i tradimenti e i traditori.


LENA TRIT.

LENA

TRIT. LENA

TRIT.


SCENA ULTIMA

Lena e detto, poi Eugenia, poi Rinaldo, Nardo e Lesbina

Chi è qui?

Ditemi presto: Cosa si fa là dentro? Finito è l'istrumento: Si fan due matrimoni. Tra gli altri testimoni, Che sono cinque o sei, Se comanda venir, sarà anco lei. Questi sposi quai son?

La vostra figlia Col cavalier Rinaldo. Cospetto! mi vien caldo.



LENA

E l'altro, padron mio,

È la vostra Lesbina con mio zio.

TRIT.

Come? Lesbina? oimè! no, non lo credo.

LENA

Eccoli tutti quattro.

TRIT.

Ahi! cosa vedo?

EUG.

Ah, genitor, perdono...

RIN.

Suocero, per pietà.

LESB.

Sposa, signor, io sono.

NAR.

Quest'è la verità.

TRIT.

Perfidi, scellerati,

Vi siete accomodati?

Senza la figlia mesto,

Senza la sposa resto.

Che bella carità!

LENA

Quando di star vi preme

Con una sposa insieme,

Ecco, per voi son qua.

TRIT.

Per far dispetto a lei,

Per disperar colei,

Lena mi sposerà.

TUTTI

Sia per diletto,

Sia per dispetto,

Amore al core

Piacer darà.

Fine del Dramma Giocoso.