IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
Carlo Goldoni
Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade, da rappresentarsi
nel Teatro Grimani di S. Samuel l'Autunno dell'Anno . Dedicato
all'Eccellentissime Dame Veneziane.
PERSONAGGI PARTI SERIE
EUGENIA figlia nubile di Don Tritemio.
La Sig. Giovanna Baglioni. RINALDO gentiluomo amante d'Eugenia.
La Sig. Angela Conti Leonardi detta la Taccarini, e in suo
luoco la Sig. Antonia Zamperini.
PARTI BUFFE
NARDO ricco contadino detto il Filosofo.
Il Sig. Francesco
Baglioni.
LESBINA
cameriera in casa di Don Tritemio.
La Sig. Clementina Baglioni.
DON TRITEMIO
cittadino abitante in villa.
Il Sig. Francesco Carattoli. LENA nipote di Nardo.
La Sig. Anna Zanini.CAPOCCHIO notaro della villa.
Il Sig. Giacomo Caldinelli.
La Musica è del celebre Maestro Sig. Baldassare Galuppi detto Buranello.
BALLERINI
La Sig. Giovanna Griselini Il Sig. Giovanni Guidetti.
detta Tintoretta Il Sig. Alvise Taolato.
La Sig.
Margherita Morelli Il Sig. Vicenzo Monari.
La Sig. Anna Lapis.
La Sig. Felice Bonomi. Il Sig. Giovanni Balreoma.
La Sig. Elisabetta Morelli. Il Sig. Domenico Morelli.
Inventore e Direttore de' Balli il Sig. Domenico Cupis detto Paita, e il Sig. Giovanni Guidetti.
MUTAZIONI DI SCENE
NELL'ATTO PRIMO
Giardino. Casa rustica in campagna. Salotto con diverse porte.
PER IL PRIMO BALLO Il Monte Parnaso.
NELL'ATTO SECONDO
Camera.
Casa rustica suddetta.
Camera suddetta.
PER IL SECONDO BALLO Vasta campagna.
NELL'ATTO TERZO Casa rustica suddetta.
Le Scene sono d'invenzione del Sig. Gio. Francesco Costa.
Il Vestiario e opera ed invenzione delli Sigg. Demetrio Grazioli
detto Guastalla, ed Antonio Maurizio.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Giardino in casa di Don Tritemio.
Eugenia con un ramo di gelsomini, Lesbina con una rosa in mano.
EUG. |
Candidetto gelsomino, |
Che sei vago in sul mattino, |
|
Perderai, vicino a sera, |
|
La primiera - tua beltà. |
|
LESB. |
Vaga rosa, onor de' fiori, |
Fresca piaci ed innamori, |
|
Ma vicino è il tuo flagello, |
|
E il tuo bello - sparirà. |
|
a due |
Tal di donna la bellezza |
Più ch'è fresca, più s'apprezza; |
|
S'abbandona allorchè perde |
|
Il bel verde - dell'età. |
|
EUG. |
Basta, basta, non più. |
Ché codesta canzon, Lesbina mia, |
|
Troppo mi desta in sen malinconia. |
|
LESB. |
Anzi cantarla spesso, |
Padrona, io vi consiglio, |
|
Per sfuggir della rosa il rio periglio. |
|
EUG. |
Ah! che sotto d'un padre |
Asprissimo e severo, |
|
Far buon uso non spero |
|
Di questa età che della donna è il fiore. |
|
Troppo, troppo nemico ho il genitore. |
|
LESB. |
Pur delle vostre nozze |
Lo intesi ragionar. |
|
EUG. |
Nozze infelici |
Sarebbero al cuor mio le divisate |
|
Dall'avarizia sua. Dell'uomo vile, |
|
Che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte. |
|
L'abborrisco, e mi scelgo anzi la morte. |
|
LESB. |
Non così parlereste |
S'ei proponesse al vostro cor Rinaldo. |
|
EUG. |
Lesbina... oimè!... |
LESB. |
V'ho fatto venir caldo? |
Vi compatisco; un cavalier gentile, |
|
In tutto a voi simile |
|
Nell'età, nel costume e nell'amore, |
|
Far potrebbe felice il vostro cuore... |
|
EUG. |
Ma il genitor mi nega... |
LESB. Si supplica, si prega,
Si sospira, si piange, e se non basta, Si fa un po' la sdegnosa, e si contrasta.
EUG. Ah, mi manca il coraggio.
LESB. Io vi offerisco
Quel che so, quel che posso. È ver che sono
In una età da non prometter molto;
Ma posso, se m'impegno,
Far valere per voi l'arte e l'ingegno.
EUG. Cara, di te mi fido. Amor, pietade
Per la padrona tua serba nel seno; Se non felice appieno, Almen fa ch'io non sia sì sventurata.
LESB. Meglio sola che male accompagnata!
Così volete dir; sì, sì, v'intendo.
EUG. Dunque da te qualche soccorso attendo.
Se perde il caro lido, Sopporta il mar che freme: Lo scoglio e quel che teme Il misero nocchier.
Lontan dal caro bene, Soffro costante e peno, Ma questo cuore almeno Rimanga in mio poter. (parte)
SCENA SECONDA Lesbina, poi don Tritemio
LESB. |
Povera padroncina! |
Affè, la compatisco. |
|
Quest'anch'io la capisco. |
|
Insegna la prudenza: |
|
Se non si ha quel che piace, è meglio senza. |
|
TRIT. |
Che si fa, signorina? |
LESB. |
Un po' d'insalatina |
Raccogliere volea pel desinare. |
|
TRIT. |
Poco fa v'ho sentito a cantuzzare. |
LESB. |
È ver, colla padrona |
Mi divertiva un poco. |
|
TRIT. |
E mi figuro |
Che cantate s'avranno |
|
Canzonette d'amor. |
|
LESB. |
Oh, non signore. |
Di questo o di quel fiore, |
|
Di questo o di quel frutto, |
|
Si cantavan le lodi. |
|
TRIT. |
Il crederò? |
LESB. |
Le volete sentir? |
TRIT. |
Le sentirò. |
LESB. |
(Qualche strofetta canterò a proposito...) (da sé) |
TRIT. |
(Oh ragazza!... farei uno sproposito). (da sé) |
LESB. |
Sentite, padron bello, |
La canzonetta sopra il ravanello. |
|
Quando son giovine, |
|
Son fresco e bello, |
|
Son tenerello, |
|
Di buon sapor; |
|
Ma quando invecchio, |
|
Gettato sono; |
|
Non son più buono |
|
Col pizzicor. |
|
TRIT. |
Scaccia questa canzon dalla memoria. |
LESB. |
Una ne vuò cantar sulla cicoria. |
Son fresca e son bella |
|
Cicoria novella. |
|
Mangiatemi presto, |
|
Coglietemi su. |
|
Se resto nel prato, |
|
Radicchio invecchiato, |
|
Nessuno si degna |
|
Raccogliermi più. |
|
TRIT. |
Senti, ragazza mia, |
Questa canzone ha un poco d'allegria. |
|
Tu sei, Lesbina bella, |
|
Cicorietta novella; |
|
Prima che ad invecchiar ti veda il fato, |
|
Esser colta dovresti in mezzo al prato. |
|
LESB. |
Per me v'è tempo ancora. |
Dovreste alla signora |
|
Pensar, caro padrone. |
|
Or ch'è buona stagione, |
|
Or ch'è un frutto maturo e saporito, |
|
Non la fate invecchiar senza marito. |
|
TRIT. |
A lei ho già pensato; |
Sposo le ho destinato, e avrallo presto. |
|
LESB. |
Posso saper chi sia? |
TRIT. |
Nardo è cotesto. |
LESB. |
Di quella tenerina |
Erbetta cittadina |
|
La bocca d'un villan non mi par degna. |
|
TRIT. |
Eh, la prudenza insegna |
Che ogn'erba si contenti |
|
D'aver qualche governo, |
|
Purché esposta non resti al crudo verno. |
|
LESB. |
Io mi contenterei, |
Pria di vederla così mal troncata, |
|
Per la neve lasciar la mia insalata. |
|
TRIT. |
Tu sei un bocconcino |
Per il tuo padroncino. |
|
LESB. |
Oh oh, sentite |
Un'altra canzonetta, ch'ho imparata |
|
Sul proposito mio dell'insalata. |
|
Non raccoglie - le mie foglie |
|
Vecchia mano di pastor. |
|
Voglio un bello - pastorello, |
|
O vuò star nel prato ancor. (parte) |
|
SCENA TERZA |
|
Don Tritemio, poi Rinaldo |
|
TRIT. |
Allegoricamente |
M'ha detto che con lei non farò niente. |
|
Eppure io mi lusingo |
|
Che a forza di finezze |
|
Tutto supererò, |
|
Che col tempo con lei tutto farò. |
|
Per or d'Eugenia mia |
|
Liberarmi mi preme. Un buon partito |
|
Nardo per lei sarà: ricco, riccone; |
|
Un villano, egli è ver, ma sapientone. |
|
RIN. |
(Ecco della mia bella |
Il genitor felice). (da sé, in disparte) |
|
TRIT. |
Per la villa si dice |
Che Nardo ha un buono stato, |
|
E da tutti filosofo è chiamato. |
|
RIN. |
(Sorte, non mi tradir). (da sé) Signor. |
TRIT. |
Padrone. |
RIN. |
S'ella mi permettesse, |
Le direi due parole. |
|
TRIT. |
Anche quattro ne ascolto, e più se vuole. |
RIN. |
Non so se mi conosca. |
TRIT. |
Non mi pare. |
RIN. |
Di me si può informare; |
Son cavaliere, e sono i beni miei |
|
Vicini ai suoi. |
|
TRIT. |
Mi rallegro con lei. |
RIN. |
Ell'ha una figlia. |
TRIT. |
Sì signor. |
RIN. |
Dirò... |
Se fossi degno... Troppo ardire e questo... |
|
Ma... mi sprona l'amore. |
|
TRIT. |
Intendo il resto. |
RIN. |
Dunque, signor... |
TRIT. |
Dunque, signor mio caro, |
Per venir alle corte, io vi dirò... |
|
RIN. |
M'accordate la figlia? |
TRIT. |
Signor no. |
RIN. |
Ahi, mi sento morir! |
TRIT. |
Per cortesia, |
Non venite a morir in casa mia. |
|
RIN. |
Ma perché sì aspramente |
Mi togliete alla prima ogni speranza? |
|
TRIT. |
Lusingarvi sarebbe una increanza. |
RIN. |
Son cavalier. |
TRIT. |
Benissimo. |
RIN. |
De' beni |
Ricco son quanto voi. |
|
TRIT. |
Son persuaso. |
RIN. |
Il mio stato, i miei fondi, |
Le parentele mie vi mostrerò. |
|
TRIT. |
Credo tutto. |
RIN. |
Che speri? |
TRIT. |
Signor no. |
RIN. |
Ma la ragione almeno |
Dite, perché nemmen si vuol ch'io speri. |
|
TRIT. |
La ragion?... |
RIN. |
Vuò saper... |
TRIT. |
Sì, volentieri. |
La mia ragion è questa... Mi par ragione onesta. La figlia mi chiedeste, E la ragion voleste... La mia ragion sta qui. Non posso dirvi sì, Perché vuò dir di no. Se non vi basta ancora, Un'altra ne dirò: Rispondo: Signor no, Perché la vuò così. E son padron di dirlo: La mia ragion sta qui. (parte)
SCENA QUARTA
Rinaldo solo.
Sciocca ragione indegna,
D'anima vil dell'onestà nemica.
Ma non vuò che si dica
Ch'io soffra un tale insulto,
Ch'io debb'andar villanamente inulto.
O Eugenia sarà mia,
O tu, padre inumano,
Ti pentirai del tuo costume insano.
Taci, amor, nel seno mio, Finché parla il giusto sdegno;
prendete ambi l'impegno
miei torti a
vendicar.
Fido amante, è ver, son io;
Ogni duol soffrir saprei, Ma il mio ben non soffrirei Con viltate abbandonar. (parte)
SCENA QUINTA
Campagna con casa rustica.
Nardo esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni Villani.
NAR. Al lavoro, alla campagna;
Poi si gode, poi si magna Con diletto e libertà. Oh che pane delicato, Se da noi fu coltivato! Presto, presto a lavorare, A podare, a seminare, E dappoi si mangerà; Del buon vin si beverà, Ed allegri si starà. (Partono i Contadini, restandone uno impiegato)
Vanga mia benedetta,
Mio diletto conforto e mio sostegno,
Tu sei lo scettro, e questi campi il regno.
Quivi regnò mio padre,
L'avolo, ed il bisavolo, e il tritavolo,
E fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
Nelle città famose
Ogni generazion si cambia stato.
Se il padre ha accumulato
Con fatica, con arte e con periglio,
Distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
Qui dove non ci tiene
Il lusso, l'ambizion, la gola oppressi,
Sono gli uomini ognor sempre gl'istessi.
Non cambierei, lo giuro,
Col piacer delle feste e dei teatri
Zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
SCENA SESTA
La Lena ed il suddetto.
LENA (Eccolo qui; la vanga
tutto il suo diletto). (da sé)
Se foste un poveretto,
Compatirvi vorrei, ma siete ricco.
Avete dei poderi e dei contanti;
La
fatica lasciate ai lavoranti.
NAR. Cara nipote mia,
Piuttosto che parlar come una sciocca,
Fareste
meglio maneggiar la rocca.
LENA Colla
rocca, col fuso e coi famigli
Stanca son d'annoiarmi:
Voi
dovreste pensare a maritarmi.
NAR. Sì, volentieri. Presto,
Comparisca un marito. Eccolo qui. (accenna un Villano)
Vuoi sposar mia nipote? Signor sì.
Eccolo, io ve lo do.
Lo
volete? Vi piace? (alla Lena)
LENA Signor no.
NAR. Va a veder se passasse
A caso per la strada
Qualche affamato con parrucca e spada. (al Villano, il quale parte ridendo)
Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
Povera vanarella,
Tu sposeresti un conte od un marchese,
Perché in meno d'un mese,
Strapazzata la dote e la fanciulla,
La nobiltà ti riducesse
al nulla.
LENA Io non voglio un signor, né un
contadino;
Mi basta un cittadino
Che stia bene...
NAR. Di che?
LENA Ch'abbia un'entrata
Qual a mediocre stato si conviene;
Che
sia discreto, e che mi voglia bene.
NAR. Lena, pretendi assai;
Se lo brami così, nol troverai.
Per lo più i cittadini
Hanno pochi quattrini e troppe voglie,
E non usano molto amar la moglie.
Per pratica comune,
Nelle cittadi usata,
È
maggiore l'uscita dell'entrata.
LENA Il signor don Tritemio
È cittadino, eppure
Così non usa.
NAR. È vero,
Ma in villa se ne sta
Perché nella città vede il pericolo
D'esser
vizioso o diventar ridicolo.
LENA Della figliuola sua
V'ha
proposte le nozze, io ben lo so.
NAR. Ed io la sposerò,
Perché la dote e il padre suo mi piace,
Con patto che non sia
Gonfia di vento, e piena d'albagia.
LENA L'avete ancor veduta?
NAR. Ieri solo è venuta;
Oggi la vederò.
LENA Dunque
chi sa
S'ella vi piacerà.
NAR. Basta non abbia
Visibili magagne;
Sono
le donne poi tutte compagne.
LENA Ammogliatevi presto, signor zio;
Ma voglio poscia maritarmi anch'io.
Di questa poverella Abbiate carità. Io son un'orfanella Che madre più non ha. Voi siete il babbo mio. Vedete, caro zio, Ch'io cresco nell'età. La vostra nipotina Vorrebbe, poverina... Sapete... m'intendete... Movetevi a pietà. (parte)
SCENA SETTIMA
Nardo solo.
Sì signora, non dubiti,
Che contenta sarà.
La si mariterà la poverina,
Ma la vuò maritar da contadina.
Ecco, il mondo è così. Niuno è contento
Del grado in cui si trova,
E lo stato cambiare ognun si prova.
Vorrebbe il contadino
Diventar cittadino; il cittadino
Cerca nobilitarsi;
Ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi;
D'un gradino alla volta
Qualchedun si contenta;
Alcuno due o tre ne fa in un salto,
Ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
Vedo quell'albero Che ha un pero grosso: Pigliar nol posso, Si sbalzi in su. Ma fatto il salto, Salito in alto, Vedo un perone Grosso assai più.
Prender lo bramo, M'alzo sul ramo, Vado più in su. Ma poi precipito Col capo in giù. (parte)
SCENA OTTAVA
Salotto in casa di Don Tritemio, con varie porte.
Eugenia e Rinaldo
EUG. Deh se mi amate, o caro,
Ite lontan da queste soglie. Oh Dio! Temo che ci sorprenda il padre mio.
RIN. Del vostro genitore
Il soverchio rigor vi vuole oppressa. Deh, pensate a voi stessa.
EUG. Ai numi il giuro:
Non sarò d'altri se di voi non sono. Ah, se il mio cuor vi dono, Per or vi basti, e non vogliate, ingrato, Render lo stato mio più sventurato.
RIN. Gradisco il vostro cor, ma della mano
Il possesso mi cale...
EUG. |
Oimè! Chi viene? |
RIN. |
Non temete; è Lesbina. |
EUG. |
Io vivo in pene. |
SCENA NONA |
|
Lesbina e detti. |
|
LESB. |
V'è chi cerca di voi, signora mia. (ad Eugenia) |
EUG. |
Il genitore? |
LESB. |
Oibò. Sta il mio padrone |
Col suo fattore, e contano denari, |
|
Né si spiccia sì presto in tali affari. |
|
RIN. |
Dunque chi è che la dimanda? |
LESB. |
Bravo! |
Voi pur siete curioso? |
|
Chi la cerca, signore, è il di lei sposo. |
|
RIN. |
Come? |
EUG. |
Che dici? |
LESB. |
È giunto |
Adesso, in questo punto, |
|
Forte, lesto e gagliardo, |
|
Il bellissimo Nardo; e il padre vostro |
|
Ha detto, ha comandato, |
Che gli dobbiate far buona accoglienza, |
|
Se non per genio, almen per obbedienza. |
|
EUG. |
Misera, che farò? |
RIN. |
Coraggio avrete |
Di tradir chi v'adora? |
|
EUG. |
È ver, son figlia, |
Ma sono amante ancor. Chi mi consiglia? |
|
LESB. |
Ambi pietà mi fate; |
A me condur lasciate la faccenda. |
|
Ritiratevi presto. |
|
EUG. |
Vado. (in atto di partire) |
RIN. |
Anch'io. (in atto di seguitarla) |
LESB. |
Con grazia, padron mio; |
Ritiratevi, sì, questo mi preme; |
|
Ma non andate a ritirarvi insieme. |
|
Voi di qua; voi di là: così va bene. |
|
EUG. |
Soffrite, idolo mio. (si ritira in una stanza) |
RIN. |
Soffrir conviene. (si ritira in un'altra stanza) |
SCENA DECIMA |
|
Lesbina, poi Nardo |
|
LESB. |
Capperi! s'attaccava |
Prestamente al partito. |
|
Troppo presto volea far da marito. |
|
Ecco il ricco villano; |
|
Ora son nell'impegno: |
|
Tutta l'arte vi vuol, tutto l'ingegno. |
|
NAR. |
Chi è qui? |
LESB. |
Non ci vedete? |
Per ora ci son io. |
|
NAR. |
Bondì a vossignoria. |
LESB. |
Padrone mio. |
NAR. |
Don Tritemio dov'è? |
LESB. |
Verrà fra poco. |
Potete in questo loco |
|
Aspettar, se v'aggrada. |
|
NAR. |
Aspetterò. |
Voi chi siete, signora? |
|
LESB. |
Io non lo so. (affettando modestia) |
NAR. |
Sareste per ventura |
La figliuola di lui, venuta qui? |
|
LESB. |
Potria darsi di sì. |
NAR. |
Alla ciera mi par... |
LESB. |
Così sarà. |
NAR. |
Mi piacete davver. |
LESB. |
Vostra bontà. |
NAR. |
Sapete chi son io? |
LESB. |
No, mio signore. |
NAR. |
Non ve lo dice il core? |
LESB. |
Il cor d'una fanciulla, |
Se si tratta d'un uom, non sa dir nulla. |
|
NAR. |
Eh furbetta, furbetta. Voi mi avete |
Conosciuto a drittura. |
|
Delle fanciulle al cor parla natura. |
|
LESB. |
Siete forse... |
NAR. |
Via, chi? |
LESB. |
Nardino bello? |
NAR. |
Sì, carina, son quello; |
Quello che vostro sposo è destinato. |
|
LESB. |
Con licenza, signor, m'hanno chiamato. |
NAR. |
Dove andate? |
LESB. |
Non so. |
NAR. |
Eh restate, carina. |
LESB. |
Signor no. |
NAR. |
Vi spiace il volto mio? |
LESB. |
Anzi... mi piace... |
Ma... |
|
NAR. |
Che ma? |
LESB. |
Non so dir... che cosa sia. |
Con licenza, signor; voglio andar via. |
|
NAR. |
Fermatevi un momento. |
(Si vede dal rossor ch'è figlia buona). (da sé) |
|
LESB. |
(Servo me stessa, e servo la padrona). (da sé) |
Compatite, signor, s'io non so. |
|
Son così, non so far all'amor. |
|
Una cosa mi sento nel cor, |
|
Che col labbro spiegar non si può. |
|
Miratemi qua, |
|
Saprete cos'è. |
|
Voltatevi in là, |
|
Lontano da me. |
|
Voglio partire, mi sento languire. |
|
(Ah! col tempo spiegarmi saprò). (parte) |
|
SCENA UNDICESIMA |
|
Nardo, poi don Tritemio |
|
NAR. |
Si vede chiaramente |
Che la natura in lei parla innocente. |
|
Finger anche potrebbe, è ver, purtroppo; |
|
Ma è un cattivo animale |
|
Quel che senza ragion sospetta male. |
|
TRIT. |
Messer Nardo dabbene, |
Compatite se troppo trattenuto |
|
M'ha un domestico impaccio; |
|
Vi saluto di core. |
|
NAR. |
Ed io vi abbraccio. |
TRIT. |
Or verrà la figliuola. |
NAR. |
È già venuta. |
TRIT. |
La vedeste? |
NAR. |
Gnor sì, l'ho già veduta. |
TRIT. |
Che vi par? |
NAR. |
Mi par bella. |
TRIT. |
È un po' ritrosa. |
NAR. |
La fanciulla va ben sia vergognosa. |
TRIT. |
Disse niente? Parlò? |
NAR. |
Mi disse tanto |
Che sperare mi fa d'esser amato. |
|
TRIT. |
È vero? |
NAR. |
È ver. |
TRIT. |
(Oh il ciel sia ringraziato). (da sé) |
Ma perché se n'andò? |
|
NAR. |
Perché bel bello |
Amor col suo martello |
|
Il cor le inteneriva, |
|
E ne aveva rossore. |
|
TRIT. |
Evviva, evviva. |
Eugenia, dove sei? |
|
Facciamo presto; |
|
Concludiamo l'affar. |
|
NAR. |
Per me son lesto. |
TRIT. |
Chi è quella? |
NAR. |
È mia nipote. |
SCENA DODICESIMA La Lena e detti, poi Lesbina
NAR. |
Che volete voi qui? (alla Lena) |
LENA |
Con sua licenza, |
Alla sposa vorrei far riverenza. |
|
TRIT. |
Ora la chiamerò. |
NAR. |
Concludiamo le nozze. |
TRIT. |
Io presto fo. (parte) |
LENA |
Signor zio, com'e bella? |
NAR. |
La vedrai. È una stella. |
LENA |
È galante e graziosa? |
NAR. |
È galante, è graziosa ed è amorosa. |
LENA |
Vi vorrà ben? |
NAR. |
Si vede |
Da un certo non so che |
|
Che l'ha la madre sua fatta per me. |
|
Appena ci siam visti, |
|
Un incognito amor di simpatia |
|
Ha messo i nostri cuori in allegria. |
|
Son pien di giubilo, |
|
Ridente ho l'animo, |
|
Nel sen mi palpita |
Brillante il cor. |
|
LENA |
Il vostro giubilo |
Nelle mie viscere |
|
Risveglia ed agita |
|
Novello ardor. |
|
LESB. |
Sposino amabile, (esce da una camera) |
Per voi son misera, |
|
Mi sento mordere |
|
Dal dio d'amor. |
|
NAR. |
Vieni al mio seno, |
Sposina mia. |
|
LENA |
Signora zia, |
A voi m'inchino. |
|
a tre |
Dolce destino, |
Felice amor! |
|
LESB. |
Parto, parto: il genitore. |
NAR. |
Perché parti? |
LESB. |
Il mio rossore |
Non mi lascia restar qui. |
|
(entra nella camera di dove è venuta) |
|
NAR. |
Vergognosetta |
La poveretta |
|
Se ne fuggì. |
|
LENA |
Se fossi in lei, |
Non fuggirei |
|
Chi mi ferì. |
|
TRIT. |
La ricerco, e non la trovo. |
Oh che smania in sen io provo! |
|
Dove diavolo sarà? |
|
NAR. LENA } a due Ah, ah, ah. (ridono) |
|
TRIT. |
L'ho cercata su e giù: |
L'ho cercata qua e là. |
|
NAR. LENA } a due Ah, ah, ah. (ridono) |
|
TRIT. |
Voi ridete? come va? |
NAR. |
Fin adesso è stata qua. |
TRIT. |
Dov'è andata? |
LENA |
È andata là. (accenna ov'e entrata) |
TRIT. |
Quando è là, la troverò, |
E con me la condurrò. (entra in quella camera) |
|
NAR. |
Superar il genitore |
Potrà ben il suo rossore. |
|
LENA |
Non è tanto vergognoso |
Il suo core collo sposo. |
|
a due |
Si confonde nel suo petto |
Il rispetto - con l'amor. |
|
LESB. |
Presto, presto, sposo bello, (esce di nuovo) |
Via, porgetemi l'anello, |
|
Che la sposa allor sarò. |
|
LENA |
Questa cosa far si può. |
NAR. |
Ecco, ecco, ve lo do. (le dà un anello) |
LESB. |
Torna il padre, vado via. |
NAR. |
Ma perché tal ritrosia? |
|
LESB. |
Il motivo non lo so. |
|
LENA |
Dallo sposo non fuggite. |
|
LESB. |
Compatite, - tornerò. (torna nella camera di prima) |
|
NAR. LENA |
} adue |
Caso raro, caso bello! |
Una sposa coll'anello |
||
Ha rossor - del genitor. |
||
TRIT. |
Non la trovo. |
|
NAR. LENA |
} adue |
Ah, ah, ah. (ridendo) |
TRIT. |
Voi ridete? |
|
NAR. LENA |
} adue |
È stata qua. |
LENA |
Collo sposo ha favellato. |
|
NAR. |
E l'anello già le ha dato. |
|
TRIT. |
Alla figlia? |
|
NAR. LENA |
} adue |
Signor sì. |
TRIT. |
Alla sposa? |
|
NAR. LENA |
} adue |
Messer sì. |
TRIT. |
Quel ch'è fatto, fatto sia. |
|
a tre |
Stiamo dunque in allegria, Che la sposa - vergognosa Alta fin si cangerà; E l'amore - nel suo core Con piacer trionferà. (partono) |
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera di Don Tritemio.
Eugenia e Lesbina
LESB. Venite qui, signora padroncina,
Tenete questo anello;
Ponetevelo in dito.
Fate che il genitore ve lo veda;
Lasciate che la sposa
egli vi creda.
EUG. Tu m'imbrogli, Lesbina, e non
vorrei...
LESB. Se de' consigli miei
Vi volete servir, per voi qui sono.
Quando no, vel
protesto, io v'abbandono.
EUG. Deh, non mi abbandonare; ordina,
imponi;
Senza cercar ragioni,
Lo farò ciecamente:
Ti
sarò, non temer, tutta obbediente.
LESB. Quest'anello
tenete.
Quel che seguì, sapete;
E quel che seguirà
Regola
in avvenir ci porgerà.
EUG. Ecco mio padre.
LESB. Presto;
Ponetevelo al dito.
EUG. Una sposa son io senza marito. (si
mette l'anello)
SCENA SECONDA Don Tritemio e dette.
TRIT. A che gioco giochiamo? (ad Eugenia)
Corro, ti cerco e chiamo;
Mi fuggi e non rispondi?
Quando
vengo da te, perché ti ascondi?
EUG. Perdonate,
signor...
LESB. La poveretta
È
un pochin ritrosetta.
TRIT. Oh bella, affé!
Si vergogna di me, poi collo sposo
Il
suo cuore non è più vergognoso.
LESB. Vi stupite di cio? Si vedon spesso
Cotali meraviglie.
Soglion tutte le figlie
Ch'ardono in sen d'amore
La modestia affettar
col genitore.
TRIT. Basta; veniamo al fatto. È ver
che avesti
Dallo
sposo l'anello? (ad Eugenia)
LESB. Signor sì.
TRIT. Parlo teco. Rispondi. (ad Eugenia)
EUG. Eccolo qui. (mostra l'anello a don Tritemio)
TRIT. Capperi! È bello assai.
Non mi credeva mai
Che Nardo averse di tai gioje in dito.
Vedi
se t'ho trovato un buon marito?
EUG. (Misera me, se tal mi fosse!) (da
sé)
TRIT. Oh via,
Codesta ritrosia scaccia dal petto;
Queste
smorfie oramai mi fan dispetto.
LESB. Amabile sposina,
Mostrate la bocchina un
po' ridente.
EUG. (Qualche volta Lesbina è
impertinente). (da sé)
TRIT. È picchiato, mi par.
LESB. Vedrò chi sia.
(Ehi, badate non far qualche pazzia). (piano ad Eugenia, e parte)
SCENA TERZA Don Tritemio, Eugenia, poi Lesbina che torna.
EUG. |
(È molto, s'io resisto). (da sé) |
TRIT. |
Affé, non ho mai visto |
Una donna di te più scimunita. |
|
Figlia che si marita |
|
Suol esser lieta, al suo gioir condotta; |
|
E tu stai lì che pari una marmotta? |
|
EUG. |
Che volete ch'io dica? |
TRIT. |
Parla o taci, |
Non me n'importa più. |
|
Sposati, e in avvenir pensaci tu. |
|
LESB. |
Signor, è un cavaliero |
Col notar della villa in compagnia, |
|
Che brama riverir vossignoria. |
|
TRIT. |
Vengano. (Col notaro? |
Qualchedun che bisogno ha di denaro). (da sé) |
|
LESB. |
(È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio |
D'evitar il periglio). (piano ad Eugenia) |
|
EUG. |
(Andiam, Lesbina). (a Lesbina) |
Con licenza. (s'inchina a don Tritemio) |
|
TRIT. |
Va pure. |
EUG. |
(Ahi, me meschina!) (da sé, e parte con Lesbina) |
SCENA QUARTA Don Tritemio, poi Rinaldo e Capocchio Notaro.
TRIT. Se denaro vorra, gliene darò,
Purché sicuro sia con fondamento,
E che almeno mi paghi ii sei per cento.
Ma che vedo? È colui
Che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
Col
notaro che vuol? che far intende?
RIN. Compatite,
signor...
TRIT. La riverisco.
RIN. Compatite se ardisco
Replicarvi l'incomodo. Temendo
Che non siate di me ben persuaso,
Ho condotto il notaro,
Il qual patente e chiaro
Di me vi mostrerà
Titolo, parentela e
facoltà.
TRIT. (È
ridicolo in vero). (da sé)
CAP. Ecco, signore,
L'istrumento rogato
D'un ricco marchesato;
Ecco l'albero suo da cui si vede
Che per retto cammino
Vien
l'origine sua dal re Pipino.
TRIT. Oh capperi! che vedo?
Questa è una cosa bella in verità.
Ma della nobiltà, signor mio caro,
Come
andiamo del par con il denaro?
RIN. Mostrategli
i poderi,
Mostrategli
sinceri i fondamenti. (a Capocchio)
CAP. Questi
sono istrumenti
Di comprede, di censi, di livelli.
Questi sono contratti buoni e belli.
(mostrando alcuni fogli a guisa d'istrumenti antichi)
Nel quattrocento Sei possessioni; Nel cinquecento Quattro valloni; Anno millesimo Una duchea, Mille trentesimo Una contea Emit et cœtera. Case e casoni, Giurisdizioni, Frutti annuali, Censi e cambiali. Sic et cætera Cum et cætera. (parte)
SCENA QUINTA Don Tritemio e Rinaldo
TRIT. |
La riverisco et cætera. |
Vada, signor notaro, a farsi, et cætera. |
|
RIN. |
Ei va per ordin mio |
A prender altri fogli, altri capitoli, |
|
Per provarvi di me lo stato e i titoli. |
|
TRIT. |
Sì, sì, la vostra casa |
Ricca, nobile, grande ognora fu. |
|
Credo quel che mi dite, e ancora più. |
|
RIN. |
Dunque di vostra figlia |
Mi credete voi degno? |
|
TRIT. |
Anzi degnissimo. |
RIN. |
Le farò contradote. |
TRIT. |
Obbligatissimo. |
RIN. |
Me l'accordate voi? |
TRIT. |
Per verità, |
V'è una difficoltà. |
|
RIN. |
Da chi dipende? |
TRIT. |
Ho paura che lei... |
RIN. |
Chi? |
TRIT. |
La figliuola... |
RIN. |
D'Eugenia non pavento. |
TRIT. |
Quando lei possa farlo, io son contento. |
RIN. |
Ben, vi prendo in parola. |
TRIT. |
Chiamerò la figliuola. |
S'ella non fosse in caso, |
|
Del mio buon cuor sarete persuaso. |
|
RIN. |
Sì; chiamatela pur, contento io sono; |
Se da lei son escluso, io vi perdono. |
|
TRIT. |
Bravo! Un uom di ragion si loda e stima: |
S'ella non puole, amici come prima. |
Io son di tutti amico, Son vostro servitor. Un uomo di buon cor Conoscerete in me. La chiamo subito; Verrà, ma dubito Sconvolta trovisi Da un non so che. Farò il possibile Pel vostro merito, Che per i titoli, Per i capitoli, Anche in preterito Famoso egli è. (parte)
SCENA SESTA Rinaldo, poi don Tritemio ed Eugenia
RIN. |
Se da Eugenia dipende il piacer mio, |
Di sua man, del suo cor certo son io. |
|
Veggola che ritorna |
|
Col genitore allato; |
|
Della gioia vicino è il dì beato. |
|
TRIT. |
Eccola qui; vedete se son io |
Un galantuomo. |
|
RIN. |
Ognor tal vi credei, |
Benché foste nemico ai desir miei. |
|
TRIT. |
Eugenia, quel signore |
Ti vorrebbe in isposa; e tu che dici? |
|
EUG. |
Tra le donne felici |
La più lieta sarò, padre amoroso, |
|
Se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo. |
|
TRIT. |
Brava, figliuola mia, |
Il rossor questa volta è andato via. |
|
RIN. |
L'udiste? Ah, non tardate (a don Tritemio) |
Entrambi a consolare. |
|
TRIT. |
Eppur pavento... |
RIN. |
Ogni timor è vano: |
In faccia al genitor mi dia la mano. |
|
TRIT. |
La mano? In verità |
S'ha da far, s'ha da far... se si potrà. |
|
Dammi la destra tua. (ad Eugenia) |
|
EUG. |
Eccola. |
TRIT. |
(Le prende la mano) A voi. (chiede la mano a Rinaldo) |
Prendetela... bel bello, |
|
Che nel dito d'Eugenia evvi un anello. |
|
Ora che mi ricordo, |
|
Nardo con quell'anello la sposò; |
|
E due volte sposarla non si può. |
|
RIN. |
Come! |
TRIT. |
Non è così? (ad Eugenia) |
EUG. |
Sposa non sono. |
TRIT. |
Ma se l'anello in dono |
Prendesti già delle tue nozze in segno, |
|
Non si può, figlia mia, scioglier l'impegno. |
|
Voi che dite, signor? (a Rinaldo) |
|
RIN. |
Dico che tutti, |
Perfidi, m'ingannate; |
|
Che di me vi burlate e che son io |
|
Bersaglio del destin barbaro e rio. |
|
TRIT. |
La colpa non è mia. |
EUG. |
(Tacer non posso). |
Udite: ah, svelar deggio |
|
L'arcano, onde ingannato... |
SCENA SETTIMA Lesbina e detti.
LESB. |
Signor padron, voi siete domandato. |
EUG. |
(Ci mancava costei!) (a don Tritemio) |
TRIT. |
Chi è che mi vuole? (a Lesbina) |
LESB. |
Un famiglio di Nardo. |
TRIT. |
Sente, signor? Del genero un famiglio |
Favellarmi desia; |
|
Onde vossignoria, |
|
S'altra cosa non ha da comandare, |
|
Per cortesia, se ne potrebbe andare. |
|
RIN. |
Sì, sì, me n'anderò, ma giuro ai numi... |
Vendicarmi saprò. |
|
EUG. |
(Destin crudele!) |
Rinaldo, questo cor... |
|
RIN. |
Taci, infedele. |
Perfida figlia ingrata, |
|
Padre spietato indegno, |
|
Non so frenar lo sdegno, |
|
L'alma si scuote irata. |
|
Empio, crudele, audace, |
|
Pace per me non v'e. (or all'una, or all'altro) |
|
E tu che alimentasti (a Lesbina) |
|
Sin ora il foco mio |
|
Colla speranza (oh Dio!), |
|
Così tu m'ingannasti? |
|
L'offeso cuor aspetta |
|
Vendetta - anche di te. (parte) |
|
SCENA OTTAVA |
|
Eugenia, don Tritemio e Lesbina |
|
LESB. |
(Obbligata davver del complimento!) (da sé) |
TRIT. |
(Ho un tantin di paura). (da sé) |
EUG. |
(Ahi che tormento!) (da sé) |
TRIT. |
Orsù, signora pazza, |
Ho capito il rossor che cosa sia. |
|
Quel che voglia colui, vado a sentire; |
|
Poi la discorrerem. S'ha da finire. (in atto di partire) |
|
LESB. |
Sì signor, dite bene. (a don Tritemio) |
TRIT. |
E tu, fraschetta, (a Lesbina) |
Tu alimentasti dell'amante il foco? |
|
Vado, e ritorno; parlerem fra poco. (parte) |
SCENA NONA |
|
Eugenia e Lesbina |
|
EUG. |
Ah Lesbina crudele! |
Solo per tua cagion sono in periglio. |
|
LESB. |
Loderete nel fine il mio consiglio. |
Questa cosa finor mi pare un gioco; |
|
Non mi perdo, davver, per così poco. |
|
EUG. |
Prenditi questo anello. |
LESB. |
Eh no, signora mia. |
EUG. |
Prendilo; o giuro al ciel, lo getto via. |
LESB. |
Ma perché? |
EUG. |
Fu cagione |
Che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida; |
|
Quest'anello omicida |
|
Dinanzi agli occhi miei soffrir non vuò. |
|
LESB. |
Se volete così, lo prenderò. |
Eccolo nel mio dito. |
|
Che vi par? Mi sta bene? |
|
EUG. |
Ah, tu sei la cagion delle mie pene. |
SCENA DECIMA |
|
Don Tritemio e dette. |
|
TRIT. |
Oh genero garbato! |
Alla sposa ha mandato (mostra un gioiello) |
|
Questo ricco gioiello. |
|
Prendilo, Eugenia mia; guarda s'è bello. |
|
EUG. |
Non lo curo, signore... |
TRIT. |
Ed io comando |
Che tu prender lo debba; il ricusarlo |
|
Sarebbe una insolenza. |
|
EUG. |
Dunque lo prenderò per obbedienza. (prende il gioiello) |
Ma... vi chiedo perdono, |
|
Non mi piace, nol voglio; a te lo dono. (lo dà a Lesbina) |
|
LESB. |
Grazie. |
TRIT. |
Rendilo a me. |
LESB. |
Signor padrone, |
Sentite una parola. |
|
(Se la vostra figliuola |
|
È meco generosa, |
|
Lo fa perché di voi mi brama sposa). (piano a don Tritemio) |
|
TRIT. |
(Lo crederò?) (a Lesbina) |
LESB. |
Signora, |
Non è ver che bramate |
|
Che sposa io sia? Nel darmi queste gioje, |
|
Confessatelo pur, vostro pensiero |
|
Non è che sposa sia Lesbina? |
|
EUG. |
È vero. |
TRIT. E tu che dici?
LESB. Io dico
Che se il destino amico
Seconderà il disegno,
Le gioje accetto, e accetterò l'impegno.
Una ragazza Che non è pazza, La sua fortuna Sprezzar non sa.
Voi lo sapete, Voi m'intendete: Questo mio core Si scoprirà.
Anche l'agnella, La tortorella, Il suo compagno Cercando va. (parte)
SCENA UNDICESIMA
Eugenia e don Tritemio
TRIT. Dunque, giacché lo sai, tel dico anch'io;
È questi il pensier mio:
Dopoché tu sarai fatta la sposa,
Anch'io mi sposerò questa fanciulla.
Piangi? sospiri? e non rispondi nulla?
Son stanco di soffrirti.
Oggi darai la man. S'ha da finire.
Se
sei pazza, non vuò teco impazzire. (parte)
EUG. Pazza
a ragion mi chiama
Il genitor crudele,
Se in faccia al mio fedele, al mio diletto,
Ho tradito l'affetto
Per velar follemente in sen l'arcano;
Ed or mi lagno, ed or sospiro invano.
Misera, a tante pene Come resisto, oh Dio! Il crudo affanno mio Ah, tollerar non so.
Dov'è l'amato bene? Dove s'asconde, o cieli? Amor, se non lo sveli, Più vivere non vuol. (parte)
SCENA DODICESIMA
Campagna.
Nardo suonando il chitarrino e cantando, e poi Rinaldo
NAR. |
Amor, se vuoi così, |
Quel che tu vuoi, farò; |
|
Io mi accompagnerò |
|
In pace e sanità. |
|
Ma la mia libertà |
|
Perciò non perderò. |
|
Penare: signor no; |
|
Soffrir, gridare: oibò. |
|
Voglio cantare, |
|
Voglio suonare, |
|
Voglio godere |
|
Fin che si può. |
|
RIN. |
Galantuom, siete voi |
Quello che Nardo ha nome? |
|
NAR. |
Signor sì. |
RIN. |
Cerco appunto di voi. |
NAR. |
Eccomi qui. |
RIN. |
Ditemi: è ver che voi |
Aveste la parola |
|
Da don Tritemio per la sua figliuola? |
|
NAR. |
Sì signore, l'ho avuta; |
La ragazza ho veduta; |
|
Mi piace il viso bello, |
|
E le ho dato stamane anco l'anello. |
|
RIN. |
Sapete voi qual dote |
Recherà con tai nozze al suo consorte? |
|
NAR. |
Ancor nol so... |
RIN. |
Colpi, ferite e morte. |
NAR. |
Bagattelle, signor! E su qual banco |
Investita sarà, padrone mio? |
|
RIN. |
Sul dorso vostro, e il pagator son io. |
NAR. |
Buono! Si può sapere, |
Almen per cortesia, |
|
Perché vossignoria |
|
Con generosità |
|
Allo sposo vuol far tal carità? |
|
RIN. |
Perché di don Tritemio |
Amo anch'io la figliuola, |
|
Perché fu da lei stessa |
|
La sua fede promessa a me suo sposo, |
|
Perché le siete voi troppo odioso. |
|
NAR. |
Dite davver? |
RIN. |
Non mentono i miei pari. |
NAR. |
E i pari miei non sanno |
Per puntiglio sposare il lor malanno. |
|
Se la figlia vi vuol, vi prenda pure. |
|
Se mi burla e mi sprezza, io non ci penso: |
|
So anch'io con la ragion vincere il senso. |
Vi ringrazio d'avermi
Avvisato per tempo;
Ve la cedo, signor, per parte mia,
Che già di donne non v'è carestia.
RIN. Ragionevole siete
Giustamente dal popolo stimato;
Filosofo chiamato con ragione,
Superando sì presto la passione.
Voi l'avete ceduta.
A don Tritemio
La cosa narrerò tutta com'è,
E se contrasta, avrà da far con me. (parte)
SCENA TREDICESIMA Nardo, poi Lesbina
NAR. Pazzo sarei davvero,
Se a costo di una lite,
Se a costo di temere anche la morte,
Procurar mi volessi una consorte.
Amo la vita assai;
Fuggo, se posso, i guai;
Bramo sempre la pace in casa mia
E non intendo altra filosofia.
LESB. Sposo, ben obbligata;
M'avete regalata.
Anch'io, quando potrò,
Qualche
cosetta vi regalerò.
NAR. No, no, figliuola cara,
Dispensatevi pur da tal finezza.
Quand'ho un poco di bene, mi consolo,
Ma
quel poco di ben lo voglio solo.
LESB. Che dite? Io non v'intendo.
NAR. Chiaramente
Dunque mi spiegherò:
Siete impegnata, il so, con altro amico;
E a me di
voi non me n'importa un fico.
LESB. V'ingannate, lo giuro. E
chi è codesto,
Con cui da me si crede
Impegnata la fede?
NAR. È un forestiero
Che mi par cavaliero,
Giovane, risoluto, ardito e caldo.
LESB. (Ora intendo il mister: sarà
Rinaldo).
Credetemi, v'inganna.
Vostra sono, il sarò, ve l'assicuro;
A tutti i numi il giuro:
Non ho ad alcuno l'amor mio promesso;
Son ragazza, e ad
amar principio adesso.
NAR. Eppure
in questo loco,
Tutt'amor, tutto foco,
Sostenne il cavaliero
Che voi siete sua
sposa.
LESB. Ah, non è vero.
Di mendace e infedel non vuò la taccia:
Lo sosterrò di tutto il mondo in faccia.
Qualch'error vi sarà, ve lo protesto.
Tenero cuore onesto
Per voi serbo nel petto;
Ardo solo per voi di
puro affetto.
NAR. (Impossibile par ch'ella
m'inganni). (da sé)
LESB. Tenera sono d'anni,
Ma ho cervello che basta, e so ben io
Che divider amor non può il cor mio.
Voi siete il mio sposino;
E se amico destino a voi mi dona,
Anche
un re lascierei colla corona.
NAR. S'ella fosse così...
LESB. Così è purtroppo.
Ma voi siete pentito
D'essere mio marito;
Qualch'altra donna amate,
E
per questo, crudel, mi discacciate.
NAR. No, ben mio, no, carina,
Siete la mia sposina; e se colui
O s'inganna, o m'inganna, o fu ingannato,
Dell'inganno
sarà disingannato.
LESB. Dunque mi amate?
NAR. Sì, v'amo di core.
LESB. Siete l'idolo mio.
NAR. Siete il mio amore.
SCENA QUATTORDICESIMA La Lena e detti.
LENA Signor zio, signor zio, che cosa fate?
Lontano discacciate
Colei che d'ingannarvi ora s'impegna:
D'essere vostra sposa
non è degna.
LESB. (Qualche imbroglio novello). (da
sé)
NAR. Ha forse altrui
Data la fè di sposa?
LENA Eh, signor no.
Quel ch'io dico lo so per cosa vera:
Ella
di don Tritemio è cameriera.
LESB. (Ah
maledetta!)
NAR. È ver quel ch'ella dice? (a Lesbina)
LESB. Ah misera, infelice!
Compatite, se tanto
Amor mi rese ardita.
Finsi il grado, egli è ver, perché v'adoro.
Per voi languisco e moro.
Confesso il mio fallire,
Ma
voglio essere vostra oppur morire.
NAR. (Poverina!) (da sé)
LENA Vi pare
Che convenga sposare
A
un uomo, come voi, femmina tale?
NAR. Non ci vedo alcun male.
Per me nel vostro sesso
Serva,
o padrona sia, tutt'è lo stesso.
LESB. Deh, per pietà donate
Perdono all'error mio.
NAR. Se mi amate di cor, v'adoro
anch'io.
Per me sostengo e dico,
Ed ho la mia ragione,
Che sia la condizione un accidente.
Sposar una servente
Che cosa importa a me se è bella e buona?
Peggio è assai, s'è cattiva, una padrona.
Se non è nata nobile,
Che cosa importa a me?
Di donna il miglior mobile
La civiltà non è.
Il primo è l'onestà;
Secondo è la beltà;
Il terzo è la creanza;
Il quarto è l'abbondanza;
Il quinto è la virtù,
Ma non si usa più. Servetta graziosa,
Sarai la mia sposa,
Sarai la vezzosa,
Padrona di me. (parte)
SCENA QUINDICESIMA Lesbina e la Lena
LENA (Mio zio, ricco sfondato,
Non si puole
scordar che vile è nato). (da sé)
LESB. Signora,
mi rincresce
Ch'ella sarà nipote
D'una
senza natali e senza dote.
LENA Certo che il zio poteva
Maritarsi
con meglio proprietà.
LESB. Che nella nobiltà
Resti pregiudicato,
Certamente è un peccato. Imparentarmi
Arrossire dovrei
Con
una contadina come lei.
LENA Son contadina, è vero,
Ma d'accasarmi spero
Con un uom civil, poiché del pari
Talor
di nobiltà vanno i denari.
LESB. Udita ho una novella
D'un somar che solea
Con pelle di leone andar coperto;
Ma poi dal suo ragghiar l'hanno scoperto.
Così voi vi coprite
Talor con i denari,
Ma siete nel parlar sempre somari. (parte)
SCENA SEDICESIMA
La Lena sola.
Se fosse in casa mia
Questa signora zia, confesso il vero,
Non vi starei con essa un giorno intero.
Sprezza la contadina,
Vuol far da cittadina,
Perché nata in città per accidente,
Perché bene sa far l'impertinente.
Eppur, quando ci penso,
Bella vita è la nostra ed onorata!
Sono alla sorte ingrata
Allorché mi lamento
D'uno stato ripien d'ogni contento.
La pastorella al prato
Col gregge se ne va,
Con l'agnelline allato
Cantando in libertà. Se l'innocente amore
Gradisce il suo pastore,
La bella pastorella
Contenta ognor sarà. (parte)
SCENA DICIASSETTESIMA
Camera in casa di Don Tritemio.
Don Tritemio e Lesbina
TRIT. Che ardir, che petulanza!
Questo signor Rinaldo è un temerario. Gli ho detto civilmente Ch'Eugenia è data via;
Egli
viene a bravarmi in casa mia?
LESB. Povero innamorato!
Lo compatisco.
TRIT. Brava!
Lo compatisci?
LESB. Anch'io
D'amor provo il desio:
Desio però modesto;
E
se altrui compatisco, egli è per questo.
TRIT. Ami ancor tu, Lesbina?
LESB. Da questi occhi
Lo
potete arguire.
TRIT. Ma chi?
LESB. Basta... (guardando pietosamente don Tritemio amoroso)
TRIT. Ma chi?
LESB. Nol posso dire. (mostrando vergognarsi)
TRIT. Eh t'intendo, furbetta; Basta,
Lesbina, aspetta
Ch'Eugenia se ne vada
A fare i fatti suoi,
Ed
allor penseremo anche per noi.
LESB. Per me, come per lei,
Si
potrebbe pensar nel tempo stesso.
TRIT. Via, pensiamoci adesso.
Quando il notaro viene,
Ch'ho mandato a chiamar per la figliuola,
Farem
due cose in una volta sola.
LESB. Ecco il notaro appunto,
E vi è Nardo con lui.
TRIT. Vengono a tempo.
Vado a prender Eugenia; in un momento
Farem due matrimoni e un istrumento. (parte)
SCENA DICIOTTESIMA Lesbina, poi Nardo e Capocchio Notaro, poi don Tritemio
LESB. Oh, se sapessi il modo
Di burlar il padron, far lo vorrei.
Basta, m'ingegnerò;
Tutto quel che so far,
tutto farò.
NAR. Lesbina, eccoci qui; se don
Tritemio
Ci ha mandati a chiamar perch'io vi sposi,
Lo farò volentier; ma non vorrei
Che vi nascesse qualche parapiglia,
Qualche
imbroglio novel tra serva e figlia.
LESB. La
cosa è accomodata;
La figliuola sposata
Sarà col cavalier che voi sapete,
Ed
io vostra sarò se mi volete.
NAR. Don Tritemio dov'è?
LESB. |
Verrà a momenti. |
Signor notaro, intanto |
|
Prepari bello e fatto |
|
Per un paio di nozze il suo contratto. |
|
CAP. |
Come? Un contratto solo |
Per doppie nozze? Oibò. |
|
Due contratti farò, se piace a lei, |
|
Ché non vuò dimezzar gli utili miei. |
|
LESB. |
Ma facendone un solo |
Fate più presto, e avrete doppia paga. |
|
CAP. |
Quand'è così, questa ragion m'appaga. |
NAR. |
Mi piace questa gente |
Della ragione amica, |
|
Ch'ama il guadagno ed odia la fatica. |
|
LESB. |
Presto dunque, signore: |
Finché viene il padrone, |
|
A scriver principiate. |
|
CAP. |
Bene, principierò. |
Ma che ho da far? |
|
LESB. |
Scrivete, io detterò. |
CAP. |
In questo giorno et cœtera, |
Dell'anno mille et cœtera, |
|
Promettono... si sposano... |
|
I nomi quali sono? (a Lesbina) |
|
LESB. |
I nomi sono questi... |
(Oimè, vien il padron). (da sé) |
|
TRIT. |
Ehi, Lesbina. |
LESB. |
Signore. |
TRIT. |
Eugenia non ritrovo. |
Sai lo dov'ella sia? |
|
LESB. |
No certamente. |
TRIT. |
Tornerò a ricercarla immantinente. |
Aspettate un momento, |
|
Signor notaro. |
|
LESB. |
Intanto |
Lo faccio principiare. Io detto, ei scrive. |
|
TRIT. |
Benissimo. |
NAR. |
La sposa |
Non è Lesbina? (a don Tritemio) |
|
LESB. |
Certo; |
Le spose sono due: |
|
Una Eugenia si chiama, una Lesbina. |
|
Con una scritturina |
|
Due matrimoni si faranno, io spero: |
|
Non è vero, padrone? |
|
TRIT. |
È vero, è vero. (parte) |
LESB. |
Presto, signor notar, via, seguitate. |
NAR. |
Terminiamo l'affar. |
CAP. |
Scrivo, dettate. |
In questo giorno et cœtera, |
Dell'anno mille et cœtera, Promettono... si sposano... I nomi quali sono? |
||
LESB. |
I nomi sono questi: Eugenia con Rinaldo Dei conti di Pancaldo. |
|
NAR. |
Dei Trottoli Lesbina Con Nardo Ricottina. |
|
CAP. |
Promettono... si sposano... La dote qual sarà? |
|
LESB. |
La dote della figlia Saranno mille scudi. |
|
CAP. |
Eugenia mille scudi Pro dote cum et cœtera. |
|
NAR. |
La serva quanto avrà? |
|
LESB. |
Scrivete. Della serva La dote eccola qua. Due mani assai leste, Che tutto san far. |
|
NAR. |
Scrivete. Due mila Si puon calcolar. |
|
LESB. |
Un occhio modesto, Un animo onesto. |
|
NAR. |
Scrivete. Sei mila Lo voglio apprezzar. |
|
LESB. |
Scrivete. Una lingua, Che sa ben parlar. |
|
NAR. |
Fermate. Cassate. Tre mila per questo Ne voglio levar. |
|
CAP. |
Due mila, sei mila, Battuti tre mila, Saran cinque mila... Ma dite di che... |
|
LESB. |
} adue |
Contenti ed affetti, |
NAR. |
Diletti - per me. |
|
CAP. |
Ciascuno lo crede, |
|
} atre |
Ciascuno lo vede, |
|
NAR. |
Che dote di quella |
|
Più bella - non v'è. |
||
TRIT. |
(torna) |
Corpo di Satanasso! Cieli, son disperato! Ah! m'hanno assassinato. Arde di sdegno il cor. |
} a due Il contratto - è bello e fatto. |
LESB.
NAR.
CAP. Senta, senta, mio signor.
TRIT. Dove la figlia è andata?
Dove me l'han portata? Empio Rinaldo, indegno, Perfido rapitor.
CAP. Senta, senta, mio signor
TRIT. Sospendete.
Non sapete? |
|
Me l'ha fatta |
|
Il traditor. |
|
LESB. |
Dov'è Eugenia? |
TRIT. |
Non lo so. |
NAR. |
Se n'è ita? |
TRIT. |
Se n'andò. |
CAP. |
Due contratti? |
TRIT. |
Signor no. |
CAP. |
Casso Eugenia cum et cœtera, |
Non sapendosi et cœtera, |
|
Se sia andata o no et cœtera. |
|
TUTTI |
Oh che caso, oh che avventura! |
Si sospenda la scrittura, |
|
Che dappoi si finirà. |
|
Se la figlia fu involata, |
|
A quest'ora è maritata. |
|
È presente - la servente; |
|
Quest'ancor si sposerà. (partono) |
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Luogo campestre con casa rustica di Nardo.
Eugenia e Rinaldo
EUG. Misera! a che m'indusse
Un eccesso d'amor? Tremo, pavento.
Parlar mi sento al core,
Giustamente
sdegnato, il genitore.
RIN. Datevi pace; alfine
Siete con chi v'adora;
Siete mia sposa.
EUG. Ah, non lo sono ancora.
RIN. Venite al tetto mio; colà potrassi
Compire al rito, e con gli usati modi
Celebrare i sponsali.
EUG. Ove s'intese
Che onesta figlia a celebrare andasse
Dello sposo in balìa nozze furtive?
No, non fia ver, Rinaldo:
Ponetemi in sicuro,
Salvatemi l'onore,
O
pentita ritorno al genitore.
RIN. Tutto farò per compiacervi, o
cara;
Eleggete l'albergo ove pensate
D'essere più sicura.
L'onor vostro mi cale, io n'avrò cura.
SCENA SECONDA La Lena di casa, e detti.
LENA Questa, se non m'inganno,
Di don Tritemio è la figliuola.
EUG. Dite,
Pastorella gentile, è albergo vostro Questo di dove uscite?
LENA Sì, signora.
EUG. Altri vi son?
LENA Per ora
Altri non v'è che io Ed un uomo da ben qual a mio zio.
EUG. Siete voi maritata?
LENA Sono fanciulla ancora,
Ma d'esserlo son stanca.
RIN. (Sia malizia o innocenza, ella è assai franca). (da sé)
EUG. D'una grazia pregarvi
Vorrei,
se nol sdegnate.
LENA Dite pur, comandate.
EUG. Vorrei nel vostro tetto
Passar per un momento.
LENA Sola passate pur, che mi
contento.
RIN. Perché sola? Son io,
Pastorella
gentile, il di lei sposo.
LENA Davvero? Compatite;
Ho ancor qualche sospetto.
Perché
non la menate al vostro tetto?
RIN. Vi dirò...
EUG. Non ancora
Son contratti i sponsali.
(Correr
una bugia lasciar non voglio). (da sé)
LENA Me n'avvidi che v'era un qualche imbroglio.
EUG. Deh, per pietà, vi prego...
LENA Che sì, che al genitore
L'avete
fatta bella?
EUG. Amabil pastorella,
Voi non sapete al core
Quanto
altero comandi il dio d'amore.
LENA (Mi fa pietà). (da sé) Sentite,
V'offro l'albergo mio, ma con un patto,
Che subito sul fatto,
In mia presenza e d'altro testimonio,
Si
faccia e si concluda il matrimonio.
EUG. Sì, sì, ve lo prometto:
Andiam
nel vostro tetto, se vi aggrada.
LENA Precedetemi voi; quella è la strada.
EUG. Andiam, Rinaldo amato;
L'innocente desio seconda il fato.
Che più bramar poss'io?
Che più dal cielo aspetto?
Andrò col mio diletto
La pace ad incontrar. Del genitore al fine
Si placherà lo sdegno.
Amor prenda l'impegno
Quest'alme a consolar. (entra in casa di Nardo)
SCENA TERZA Rinaldo e la Lena
RIN. Ninfa gentile, al vostro cor son grato.
In braccio al mio contento Per voi andrò... (in atto di partire)
LENA Fermatevi un momento.
Se grato esser volete,
Qualche cosa potete
Fare ancora per me.
RIN. Che non farei
Per
chi fu sì pietosa a' desir miei?
LENA Son contadina, è vero,
Ma ho massime civili e buona dote;
Son di Nardo nipote;
Maritarmi vorrei con civiltà.
Da voi, che siete un cavalier compito,
Secondo il genio mio
Spero
un marito.
RIN. Ritrovar si potrà.
LENA Ma fate presto;
Se troppo in casa resto
Col zio, che poco pensa alla nipote,
Perdo e consumo invan la miglior dote.
Ogn'anno passa un anno,
L'età non torna più;
Passar la gioventù
Io non vorrei così.
Ci penso notte e dì. Vorrei un giovinetto,
Civile e graziosetto,
Che non dicesse un no,
Quand'io gli chiedo un sì. (entra nella casa suddetta)
SCENA QUARTA
Rinaldo solo.
Di Nardo nell'albergo,
Che fu già mio rival, ci porta il fato:
Ma Nardo ho ritrovato
Meco condiscendente, e non pavento;
Ed ho cuor d'incontrare ogni cimento.
Guerrier che valoroso
Nell'assalir si veda,
Quand'ha in poter la preda,
Perderla non saprà. Pianti, fatiche e stenti
Mi costa l'idol mio.
Barbaro fato e rio
Tormela non potrà. (entra nella casa suddetta)
SCENA QUINTA
Don Tritemio e poi la Lena
TRIT. |
Figlia, figlia sgraziata, |
Dove sei? Non ti trovo. |
|
Ah, se Rinaldo |
|
Mi capita alle mani, |
|
Lo vuò sbranar come fa l'orso i cani. |
|
Invan l'ho ricercato al proprio albergo. |
|
Sa il cielo se il briccon se l'ha nascosta, |
|
O se via l'ha menata per la posta. |
|
Son fuor di me; son pieno |
|
Di rabbia e di veleno. |
|
Se li trovassi, li farei pentire. |
|
Li vuò trovar, se credo di morire. |
|
LENA |
Signor, che cosa avete, |
Che sulle furie siete? |
|
Fin là dentro ho sentito |
|
Che siete malamente inviperito. |
|
TRIT. |
Ah! son assassinato. |
M'han la figlia involato; |
|
Non la trovo, non so dov'ella sia. |
|
LENA |
E non vi è altro? |
TRIT. |
Una minchioneria! |
LENA |
Eugenia vostra figlia |
È in sicuro, signor, ve lo prometto. |
|
È collo sposo suo nel nostro tetto. |
|
TRIT. |
Là dentro? |
LENA |
Signor sì. |
TRIT. |
Collo sposo? |
LENA |
Con lui. |
TRIT. |
Ma Nardo dunque... |
LENA |
Nardo, mio zio, l'ha a caro. |
Per ordin suo vo a prender il notaro. (parte) |
|
SCENA SESTA |
|
Don Tritemio, poi Nardo |
|
TRIT. |
Oh questa sì ch'è bella! |
Nardo, a cui l'ho promessa, |
|
Me l'ha fatta involar? |
|
Per qual ragione? |
|
Sì, sì, l'ha fatta da politicone. |
|
Eugenia non voleva... |
|
Rinaldo pretendeva... |
|
Ei l'ha menata via. |
|
Anche questa sarà filosofia. |
|
NAR. |
Io crepo dalle risa. |
Oh che caso ridicolo e giocondo! |
|
Oh che gabbia di pazzi è questo mondo! |
|
TRIT. |
(Eccolo qui l'amico). (vedendo Nardo) |
NAR. |
(Ecco il buon padre). |
TRIT. |
Galantuomo, che fa la figlia mia? |
NAR. |
Bene, al comando di vossignoria. |
TRIT. |
Rapirmela mi pare |
Una bella insolenza. |
|
NAR. |
La cosa è fatta, e vi vorrà pazienza. |
TRIT. |
E lei, quella sfacciata, |
Cosa dice di me? |
|
NAR. |
Non dice niente. |
TRIT. |
Non teme il padre? |
NAR. |
Non l'ha né anco in mente. |
TRIT. |
Basta, chi ha fatto il male, |
Farà la penitenza. |
|
Dote non ne darà certo certissimo. |
|
NAR. |
Sì, sì, fate benissimo. |
Stimo que' genitori |
|
Cui profittan dei figli anco gli errori. |
|
TRIT. |
Dov'è? La vuò veder. |
NAR. |
Per ora no. |
TRIT. |
Eh, lasciatemi andar... |
NAR. |
Ma non si può. |
TRIT. |
La volete tener sempre serrata? |
NAR. |
Sì, fino ch'è sposata. |
TRIT. |
Questa è una mala azion, che voi mi fate. |
NAR. |
No, caro amico, non vi riscaldate. |
TRIT. |
Mi riscaldo perché |
Si poteva con me meglio trattare. |
|
Se l'aveva promessa, |
|
Lo sposo aveva le ragioni sue. |
|
NAR. |
Gli sposi erano due; |
V'erano dei contratti, onde per questo |
|
Quel che aveva più amor fatto ha più presto. |
|
TRIT. |
Io l'ho promessa a voi. |
NAR. |
Ma lei voleva il suo Rinaldo amato. |
TRIT. |
Ma questo... |
NAR. |
Orsù, quello che è stato, è stato. |
TRIT. |
È ver, non vuò impazzire; |
L'ho trovata alla fine, e ciò mi basta; |
|
Dopo il fatto si loda; |
|
Chi l'ha avuta, l'ha avuta, e se la goda. |
|
Da me non speri |
|
D'aver un soldo, |
|
Se il manigoldo |
|
Vedessi lì. |
|
Se se n'è andata, |
|
Se si è sposata, |
|
Da me non venga, |
|
Non verrò qui. |
|
Chi ha avuto ha avuto, |
|
Chi ha fatto ha fatto. |
|
Non son sì matto, |
|
Non vuò gettare, |
Non vuò dotare La figlia ardita, Che se n'è gita Da me così. (parte)
SCENA SETTIMA Nardo, poi la Lena e Capocchio Notaro.
NAR. A Rinaldo per ora
Basterà la consorte;
Poi dopo la sua morte il padre avaro
A suo dispetto lascierà il denaro.
LENA Venite a stipulare
Delle
nozze il contratto. (a Capocchio)
CAP. Eccolo qui, l'avevo mezzo fatto.
NAR. Andate in casa mia;
L'opera terminate.
L'ordine seguitate
Di due sponsali in un contratto espressi
Colle
stesse notizie e i nomi stessi.
CAP. Sì,
signor, sì farà.
Ma poi chi pagherà?
NAR. Bella domanda!
Pagherà
chi è servito e chi comanda.
LENA Sentite: se si fanno
Scritture in casa mia,
Voglio la senseria.
CAP. Come?
LENA Dirò:
Se mi mariterò,
Come spero di farlo prestamente,
La scrittura m'avete a far per niente. (entra in casa)
SCENA OTTAVA
Nardo e Capocchio
CAP. Vostra nipote è avara come va!
NAR. Credetemi, lo fa senza malizia;
Delle
donne un costume è l'avarizia.
CAP. Son lente nello spendere,
Egli è vero, ma son leste nel prendere.
Voi che filosofo Chiamato siete, Dirmi saprete Come si dia Di simpatia
Forza e virtù. La calamita Tira l'acciaro. Tira l'avaro L'oro ancor più. (entra in casa)
SCENA NONA Nardo, poi Lesbina
NAR. Nato son contadino,
Non ho studiato niente,
Ma però colla mente
Talor filosofando a discrezione,
Trovo
di molte cose la ragione.
LESB. Ma capperi! Si vede,
Affé, che mi volete poco bene.
Nel
giardino v'aspetto, e non si viene?
NAR. Un
affar di premura
M'ha trattenuto un poco.
Concludiam,
se volete, in questo loco.
LESB. Il
notaro dov'è?
NAR. Là dentro. Ei scrive
Il solito contratto,
E si faranno i due sponsali a un tratto.
LESB. Ma se Eugenia fuggì...
NAR. Fu ritrovata.
Là dentro è ricovrata,
E si fa con Rinaldo l'istrumento.
LESB. Don Tritemio che dice?
NAR. Egli è contento.
LESB. Dunque, quand'e così, facciamo presto.
Andiam, caro sposino.
NAR. Aspettate, Lesbina, anche un
pochino.
LESB. (Non vorrei che venisse...) (da sé)
NAR. A me badate;
Prima che mia voi siate,
A voi vuò render note
Alcune
condizion sopra la dote.
LESB. Qual dote dar vi possa
Voi l'intendeste già:
Affetto ed onestà,
Modesta ritrosia
Ed
un poco di buona economia.
NAR. Così mi basta, e appunto
Di questo capital che apprezzo molto,
Intendo ragionar.
LESB. Dunque vi ascolto.
NAR. In primis, che l'affetto
Non sia troppo, né poco,
Perché il poco non basta e il troppo annoia;
È
la mediocrità sempre una gioia.
LESB. Com'ho da regolarmi
Per star lontana dagli
estremi?
NAR. Udite:
Per fuggir ogni lite,
Siate amorosa se il marito è in vena;
Non lo state a
seccar se ha qualche pena.
LESB. Così farò.
NAR. Sul punto
Della bella onestà,
Non v'e mediocrità. Sia bella o brutta,
La sposa d'un sol uom dev'esser tutta.
Circa l'economia, potrete qui
Regolarvi così:
Del marito il voler seguire ognora,
E
non far la padrona e la dottora.
LESB. Così farò, son della pace amica;
Obbedirvi sarà minor
fatica.
NAR. Or mi sovvien che un altro
capitale
M'offeriste di lingua.
LESB. È ver.
NAR. Se questo
Mi riuscirà molesto,
In
un più necessario il cambierò.
LESB. Ho inteso il genio vostro.
Non vi sarà pericolo
Che vi voglia
spiacer né anche in un piccolo.
NAR. Quand'è così, mia cara,
Porgetemi la mano.
LESB. Eccola pronta.
NAR. Del nostro matrimonio
Invochiamo Cupido in testimonio.
LESB. Lieti canori augelli
Che tenerelli amate, Deh, testimon voi siate Del mio sincero amor.
NAR. Alberi, piante e fiori,
I vostri ardori ascosi
Insegnino a due sposi
II naturale amor.
LESB. Par che
l'augel risponda:
Ama
lo sposo ognor.
NAR. Dice la terra e l'onda:
Ama
la sposa ancor.
LESB. La rondinella,
Vezzosa e bella,
Solo il compagno
Cercando va.
NAR. L'olmo e la vite,
Due piante unite,
Ai sposi insegnano
La fedeltà.
LESB.
NAR.
LESB.
NAR.
a due
Io son la rondinella,
Ed il rondon tu sei. Tu sei la vite bella,
Io l'olmo esser vorrei. Rondone fido,
Nel caro nido
Vieni, t'aspetto. Prendimi stretto,
Vite amorosa,
Diletta sposa. Soave amore,
Felice ardore,
Alma del mondo,
Vita del cor. No, non si trova,
No, non si prova
Più bella pace,
Più caro ardor. (partono, ed entrano in casa)
SCENA DECIMA
Don Tritemio solo.
Diamine! Che ho sentito?
Di Lesbina il marito
Pare che Nardo sia.
Che la filosofia
Colle ragioni sue
Accordasse ad un uom sposarne due?
Quel che pensar non so;
All'uscio picchierò. Verranno fuori;
Scoprirò i tradimenti e i traditori.
LENA TRIT.
LENA
TRIT. LENA
TRIT.
SCENA ULTIMA
Lena e detto, poi Eugenia, poi Rinaldo, Nardo e Lesbina
Chi è qui?
Ditemi presto: Cosa si fa là dentro? Finito è l'istrumento: Si fan due matrimoni. Tra gli altri testimoni, Che sono cinque o sei, Se comanda venir, sarà anco lei. Questi sposi quai son?
La vostra figlia Col cavalier Rinaldo. Cospetto! mi vien caldo.
LENA |
E l'altro, padron mio, |
È la vostra Lesbina con mio zio. |
|
TRIT. |
Come? Lesbina? oimè! no, non lo credo. |
LENA |
Eccoli tutti quattro. |
TRIT. |
Ahi! cosa vedo? |
EUG. |
Ah, genitor, perdono... |
RIN. |
Suocero, per pietà. |
LESB. |
Sposa, signor, io sono. |
NAR. |
Quest'è la verità. |
TRIT. |
Perfidi, scellerati, |
Vi siete accomodati? |
|
Senza la figlia mesto, |
|
Senza la sposa resto. |
|
Che bella carità! |
|
LENA |
Quando di star vi preme |
Con una sposa insieme, |
|
Ecco, per voi son qua. |
|
TRIT. |
Per far dispetto a lei, |
Per disperar colei, |
|
Lena mi sposerà. |
|
TUTTI |
Sia per diletto, |
Sia per dispetto, |
|
Amore al core |
|
Piacer darà. |
|
Fine del Dramma Giocoso. |