Il fiore sotto gli occhi

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IL FIORE SOTTO GLI OCCHI

IL FIORE SOTTO GLI OCCHI

Commedia in tre atti

Di FAUSTO MARIA MARTINI

PERSONAGGI

SILVIO AROCA                        32      anni

ANDREA BASCHIERI              40      »

ALBERTO SANNA                             25      »

Il Prof. FALCINI                        60      »

Il Prof. MODUGNO                             55      »

GIORGIO FALESSI                             35      »

SANDRINO MODUGNO                    12      »

Un giovane studente di ginnasio          16      »

PIERO BARAVELLI                 30      »

GIOVANNA AROCA               27      anni

MARIA BALBI                          35      »

La Signora VOGLIA                  50      »

La Signora MODUGNO            55      »

La signorina FALCINI               30      »

MIMI' ALBIERI                         24      »

Un cameriere

Un giovane uomo

FRANCESCA, cameriera di casa Aroca

Una giovane donna.

Ai tempi nostri. Il primo e terzo atto a Roma; il secondo a Sorrento.

Commedia formattata da


ATTO PRIMO

Lo studio di Silvio Aroca, professore di ginnasio. Lo studio è una stanza piuttosto vasta con una porta nel fondo che mette nel resto del piccolo appartamento, una a destra che s'apre nella camera da letto di Silvio e di sua moglie e una grande finestra incassata in un vano a sinistra.

Larghi tendaggi alle due porte e alle finestre.

Libri e carte dovunque; nelle librerie, alle pareti, sulle sedie, sullo scrittoio, sul parapetto della finestra. Ma la stanza, per quanto sia uno studio, mostra 1 segni della mano femminile che ne ha cura. Due o tre portafiori, alti e capaci, sono agli angoli della stanza: qualche vasetto minuscolo qua e là lungo le librerie e un vaso di Signa sopra lo scrittoio.

Quando si alza la tela, sono ancora seduti sulle due poltrone, il Prof. Falcini e il Prof Modugno. Il Prof. Falcini, magro, ossuto, altissimo, porta una barbetta che comincia a imbianchire e gli occhiali a stanga, d'osso. Veste un vecchio krauss stinto. Il Prof. Modugno, più giovane e pienotto, veste anche lui in nero e tormenta continuamente l'ampia barba rossiccia come per un inguaribile tic nervoso.

SCENA PRIMA.

Silvio, il Prof. Modugno, il Prof. Fal­cini.

SILVIO                        - (si è alzato dalla scrivania e ac­compagna Verso il fondo i due pro­fessori che si sono alzati anche loro dalle poltrone appena hanno veduto muoversi Aroca: dopo aver conse­gnato un foglio che ha portato con se nelle mani di Modugno:) Il dif­ficile era chiudere l'espressione dei nostri sentimenti nella forma molto «incisa propria al genere.

 Prof. FALCINI           - (impalato nel mezzo del­la stanza). Magnifico! Uno stile ta­citiano! Noi la ringraziamo a nome di tutti i colleghi, (riavviandosi con grande soddisfazione di Silvio il qua­le sembra sospingere verso la porta i dite visitatori). Il Prof. Modugno, il quale oltre a. essere un valoroso scien­ziato è un disegnatore squisito, ha fatto della pergamena una autentica opera d'arte. Vedrà! (sorriso di com­piacenza del Prof. Modugno) Oh! il corpo degli insegnanti non poteva festeggiare con un dono più decoro­so il venticinquesimo dell'insegnamento del loro preside! (il Prof. Falcini si ferma l'ultima volta vicino al­la porta e rivolto a Silvio, gravemen­te) Venticinque anni di scuola! pen­si lei, che è così giovane! Le. nozze d'argento con la scuola! (Silvio in­tanto aspetta presso la porta come chi voglia evitare in ogni modo che un inutile colloquio si prolunghi) Di nuovo congratulazioni per il compo­nimento riuscitissimo!

(Finalmente il Prof. Falcini esce).

Prof. MODUGNO       - (uscendo anche lui, a Silvio:). E ossequi alla sua graziosa signora!

SILVIO                        - (inchinandosi dietro ai due). Non mancherò. Saluti.

SCENA SECONDA.

Silvio, poi Giovanna.

(Appena chiusa la porta, Silvio attraversa in fretta la stanza, corre alla finestra e la spalanca gridando:)

SILVIO                        - Aria, aria, aria!

(La stanza è subito allagata dalla luce calda del pomeriggio di aprile. Silvio sta ancora gridando: aria, aria, quando dalla stessa porta dalla quale sono usciti il Prof. Falcini e il Prof. Modugno, irrompe Giovanna. La mo­glie di Silvio è una creatura di una corretta, squisita, personale ele­ganza: dolce nello sguardo, vivacis­sima nel sorriso e nella Voce; si vede che ha fatto le scale di corsa perché l'impeto le avviva le guance. Appe­na Silvio la sente arrivare, prima di voltarsi :).

SILVIO                        - Potevi arrivare un po' prima e te li godevi anche tu. Sono stati un'o­ra, presso a poco e senza aver nien­te da dire!

GIOVANNA               - Quei due che sono usciti mentre entravo? Chi sono quei zulù?

SILVIO                        - Sono... il tuo Silvio di domani. Due professori di età indefinita. Ma tutti e due sopra ai cinquanta, cre­do. Uno, quello tutt'ossi, insegna sto­ria; l'altro, quello più pienotto, è il professore di fisica. Li hai visti? Che cosa li riduce la scuola! E sentire i ragazzi come li bollano! (accennan­do al Prof. Falcini) Quello è «Zeppo»; (accennando al Prof. Modugno) l'altro con quel sudicio pelame biondo: «barba dì rame »! Si sono pian­tati qui alle due, capisci, e solo quan­do Dio ha voluto», quando hanno fi­nito, Zeppo di lucidarsi gli occhiali, l'altro di masticarsi la barba, solo allora se ne sono andati! E io stavo dando aria alla casa, (annusando in­torno) Non senti odore di chiuso? Odore di scuola, puzzo di cartapeco­ra?

GIOVANNA               - Il rimedio ce l'ho io! Roma era piena di mandorli oggi e te ne ho comprati tanti da spezzarmi le braccia. Li ha Francesca di là. (Gio­vanna sguscia un attimo di scena e torna con una bracciata di rami di mandorli. Ci sono in mezzo anche al­tri fiorì. In breve tutta la stanza è fio­rita) Solo trovo che con tutta que­sta chiacchierata, a un bacio, che è un bacio, non ci hai ancora pensato!

SILVIO                        - Altro che uno! Capisci che bi­sogna riconsacrare la stanza, bisogna cancellare il quadro che ho avuto da­vanti agli occhi. Diventerebbe un in­cubo, se no! Li vedo ancora lì, sulle poltrone. Ma io, no! io mi ribello! professore sì, ma d'altro tempera­mento!

GIOVANNA               - Non ti vedrò mai con un vecchio krauss stinto come...

SILVIO                        - Come lo storico illustre, né co­me il fisico farò fare a mia moglie la bellezza di sei figli... (brivido d'or­rore di Giovanna) Un giovane io so­no ancora, cui la sorte ha dato in do­no una deliziosa mogliettina e che per cancellare il tuo squallido fanta­sma, Zeppo (seduto su una delle due poltrone) qui dove tu hai. posto i tuoi stinchi si prende la sua Giovan­na sulle ginocchia e le scocca un ba­cio sulla bocca (esegue) e qui (tra­scina di corsa Giovanna sull'altra poltrona) per dissipare la tua terri­ficante ombra,.barba di rame, solleva cornei un, giocattolo prezioso la padroncina di casa (esegue) la qua­le non si ribella, vedi, se il profes­sore di latino le versa sull'orecchio e sul collo una cascata di piccoli ba­ci minuti(Giovanna soffocata da un ridere nervoso fa per divincolarsi dal­le braccia di Silvio: ma Silvio la ri­mette in piedi di colpo, poi alzando­si, e soffiando sulle due poltrone vuo­te 🙂 Ora, il rito è compiuto, i due fantasmi sono svaniti!

(Bussano alla porta di fondo).

SCENATERZA.

Francesca, Silvio, Giovanna.

FRANCESCA              - (entrando con un biglietto da visita). Padrone, c'è questo si­gnore.

SILVIO                        - Qualche seccatura ancora! Il padre di qualche scolaro! (leggen­do) Falessi! Giorgio Falessi! Lui! Possibile che sia lui? E come mai a Roma? (a Francesca) Com'è? ma­gro, grasso? Alto, basso? Che età avrà?

FRANCESCA              - Un giovanotto: l'età sua, presso a poco...

SILVIO                        - Ah! è lui, proprio lui!

GIOVANNA               - Chi?

SILVIO                        - Compagno di collegio, prima; poi, compagno di bohème a Bologna, quando facevo l'Università.

GIOVANNA               - Studente di lettere anche lui?

SILVIO                        - No: lui era pittore, (avanzan­dosi verso la porta di fondo) Falessi! (a Francesca) Dove l'hai messo? Nel­la stanza da pranzo? (a un cenno affermativo di Francesca, Silvio sta per uscire dalla porta di fondo chia­mando) «Giorgio?, Giorgio! »

GIOVANNA               - (prima che Silvio esca). Lo fai venir qui?

SILVIO                        - Eh sfido! Figurati se quello non vuol conoscere il corpo del reato!

GIOVANNA               - Sarebbe a dire?

SILVIO                        - Ti spiegherò dopo...

(Esce dalla porta di fondo, rientra subito dopo con sotto braccio Gior­gio Falessi).

SCENA QUARTA.

Silvio, Giorgio,Giovanna

GIORGIO                    - (entrando, a Silvio). Proprio io! dopo quasi dieci anni! e vedi: sono arrivato; ieri e oggi ho già sco­vato nel suo rifugio il compagno spergiuro... (vede Giovanna: s'inchina davanti a lei)..

SILVIO                        - (presentandogliela). Le ho det­to che ti avrei mostrato il corpo del reato. Eccolo: mia moglie! (a Gio­vanna) Giorgio Falessi, il principe della nostra bohème bolognese. (Gio­vanna tende la mano a Giorgio: si Vede chiaramente che Giorgio è sor­preso e ammirato della grazia di GIOVANNA Egli l'osserva a lungo. Sil­vio se ne accorge e a Giorgio:) Che è? Mi stai cercando delle attenuanti?

GIORGIO                    - Non dire sciocchezze... Biso­gna piuttosto spiegare a tua moglie che... (Silvio fa cenno a Giorgio di parlare) Vede, signora: questo bel torno che le è oggi piombato in casa un giorno ha presieduto niente di meno che una società di celibi giu­rati. Ora suo marito;...

GIOVANNA               - Sogià. Mio marito che era uno dei soci più fervidi ha tradito il giuramento (cenno di consenso di Giorgio) E so anche che Silvio era, come dire? il teorico della loro fede.

GIORGIO                    - E sa. anche che aveva costrui­to cento teorie contro il matrimonio? e tutte una diversa dall'altra!

GIOVANNA               - So anche questo.

SILVIO                        - Oh! quelle sono in piedi anco­ra, ma per i soliti matrimoni! (a Giorgio) ma ti pare che la realtà di oggi urti con la teoria di allora (pren­dendo Giovanna vicino a sé) ti pare questa una di quelle mogli che ter­rorizzavano la nostra giovinezza?

GIORGIO                    - (sorridendo, galante). E’ chia­ro! siamo di fronte a quella tale eccezione...

SILVIO                        - (che ora si è messo Giovanna sulle ginocchia). Moglie sì, ma per gli occhi del mondo! Per me è la più deliziosa amante, che la mia, inquietudine d'eterno innamorato po­tesse sognare..

(Giorgio è rimasto sorpreso).

GIOVANNA               - (alzandosi: a Giorgio:) Lei i casca dalle nuvole! Le pare impos­sibile che un marito possa chiamare così la sua legittima moglie, un marito che è niente di meno che professore di latino!

GIORGIO                    - Oh! Silvio, signora! lo conoscevo prima di lei, sa!

GIOVANNA               - (quasi irritata della battuta di Giorgio). No, no: non è Silvio sol­tanto! che la pensa così. Io so quan­to lei e quanto Silvio quale pericolo per l'amore possa essere il matrimonio...

SILVIO                        - Vedi, Giorgio: quando noi ab­biamo sposato ci siamo detti: da og­gi comincia la nostra battaglia, (da questo punto in poi, durante la sce­na, poiché il loro tema li esalta, Gio­vanna e Silvio dicono con molto ca­lore le loro battute a Giorgio, stan­dogli, uno da una parte una dall'al­tra: come due che vogliono ad ogni costo persuadere un riluttante).

GIOVANNA               - (incalzando). Proprio una battaglia d'ogni giorno per difende­re la nostra felicità! Lei, che ha pre­sieduto un'associazione di celibi, sentiamo lei: qual'è il nemico più ter­ribile della felicità di due sposi?

GIORGIO                    - Ma... il loro stesso legame.

GIOVANNA               - Niente affatto, se è come il nostro un vero legame d'amore. Il grande nemico, caro signore, è l'abi­tudine della vita coniugale. (Silvio consente con un cenno del capo alle parole della moglie: Giovanna, esal­tata dal consenso di Silvio, prosegue accalorandosi) Lo sa lei che cosa gli combina l'abitudine? Ecco: lei è in­namorato pazzo. Sposa la; dorma amata, l'idolo della sua febbre (al­tro cenno di consenso di Silvio) Ebbene, un po' per volta, grazie all'a­bitudine, senza che lei se ne accorda, quest'idolo scompare... È come «e a poco a poco siano scesi dei veli sempre più fitti. Finche un giorno lei va a ricercarlo dietro a quei veli, l'i­dolo della sua passione, e chi ci tro­va? La solita moglie banale e noiosa. Ci aveva messo una rondine: c'è un pipistrello! ecco perché la battaglia di due giovani sposi che vogliono sal­vare la loro felicità è senza tregua: d'ogni giorno, e contro un nemico in­visibile!

SILVIO                        - (dall'altra parte, a Giorgio). Tu ci domanderai: ma quali sono i mezzi di questa difficile lotta?

GIOVANNA               - (insistente, presso Giorgio). I mezzi mi chiede lei? Oh! Ma sono infiniti... dai più imprevisti suggeri­menti della fantasia alle fughe disperate dai contagi dell'ambiente.

GIORGIO                    - (a Silvio). Tu poi con la tua professione...

GIOVANNA               - No, basta saper fare e si salva dal contagio la propria intimi­tà! Non le dico, eh! che qualche volta il lezzo della vita banale non arrivi fino al nostro nido. Sono quelle le nostre giornate più scure: ma stia sicuro, non cade la sera d'una di quelle giornate senza che una nuova fantasia di Silvio o mia non abbia pu­rificato la vita nostra dando un qual­che sapore d'ignoto all'indomani che ci aspetta. L'ha capito adesso, il no­stro segreto?

SILVIO                        - L'ha capito: ma non è persua­so...

GIOVANNA               - Io ho fatto del mio meglio. Ho impiegato tutto il tempo che avevo; adesso bisogna che scappi (a Silvio) è mercoledì, oggi, il mio gior­no, e ho appena il tempo di cambiar­mi (a Falessi) Arrivederci, Falessi (a Silvio) mio caro Rotschild, ricor­dati che se questo è il tuo studio, an­che tutti i miei saloni son qui. (Gior­gio sorride: poi s'inchina a Giovan­na che esce),

SCENA QUINTA.

Giorgio, Silvio

GIORGIO                    - (a Silvio). Deliziosa, sai! Qua la mano!

SILVIO                        - T'ha già convertito?

GIORGIO                    - Non dico questo! La ammiro ecco. In ogni modo tutto questo vuol dire che il passato è sepolto. Non ti ricordi neanche più, forse! Non mi domandi neppure che è accaduto dei compagni di allora! neppure di Ma ria mi domandi? L'hai dimenticata la biondissima? Eppure era stata una vera passione!

SILVIO                        - Ah! già Maria! Che fine ha fat­to? Ne hai notizie?

GIORGIO                    - Ne ho avute sì, di quando in quando. Lasciò quasi subito il teatro e fece bene... Non sarebbe mai stata una grande attrice. Era una bella donna, intelligentissima: ma fatta per vivere e amare più che per fingere1 le passioni sulla scena. Ha girato mez­zo mondo, ma si ricordava sempre di me, del suo pittore. Indovina con chi sta adesso? Sta a Sorrento con An­drea. Sai, Andrea Baschi eri, altro let­terato in erba a Bologna. Ma con lui pare sia una cosa seria. Si sono ri­trovati dopo qualche anno e... almeno da quello che scrive lei...

SILVIO                        - Hai notizie recenti, allora?

GIORGIO                    - Sì; le ultime notizie di Maria le ho avute pochi giorni fa, proprio' da Sorrento, dove i due colombi fi­lano il perfetto amore. Ma già, diva­gando, scordavo il meglio. C'è Sfer­ra a Roma. Abbiamo fatto il viaggio insieme.

SILVIO                        - Insegnerà greco in qualche li­ceo, scommetto! Aveva una passione per il greco!

GIORGIO                    - Ma che greco! Scrive. Scrive romanzi, commedie. È qui per un dramma che gli dà la Strigli.

SILVIO                        - Ha moglie?

GIORGIO                    - Niente moglie, lui! È l'amante della Strigli, da due anni

SILVIO                        - E perché non l'hai condotto qui?

GIORGIO                    - Non poteva. Ma mi aspetta. Anzi ci aspetta. Ho promesso che se ti trovavo ti portavo con me alle pro­ve, (guardando l'orologio) Soltanto, bisogna far presto;.

SILVIO                        - E andiamo. Stavo per uscire anch'io. Non hai inteso che ha detto Giovanna? (pausa: poi meditando) Proprio un tuffo nel passato, oggi! Falessi, Sferra, il ricordo di Maria!

GIORGIO                    - Non è certo un pericolo dopo i vostri discorsi!

SILVIO                        - Tutt'altro! è un eccellente tonico dell'amore! (affacciandosi alla porta di destra). Addio,

GIOVANNA               - Ti lascio liberi i tuoi saloni. Esco con Falessi (a Gior­gio) Andiamo via.

(Escono, entrambi dalla porta di fondo: la scena rimane qualche mo­mento vuota. Poi si vede Giovanna che è ancora in sottoveste e in pei­gnoir -  ha finito adesso di pettinar­si -  far capolino dalla portiera per accertarsi se c'è nessuno; poi entra­re, seguita da Francesca).

SCENA SESTA.

Giovanna e Francesca

(Tutta questa scena deve essere recitata febbrilmente nell'attesa che da un momento all'altro suonino alla porta di casa. Con una indiavolata rapidità Giovanna dà le disposizioni alla cameriera e gli ultimi tocchi per la trasformazione in salotto dello stu­dio di suo marito).

GIOVANNA               - (a Francesca). Sai che por­terei? Quel tavolinetto a tre piedi che è nella camera da pranzo, quello da lavoro.

FRANCESCA              - Anche il cestello porto?

GIOVANNA               - Sì, ma in fretta.

(Francesca esce e torna subito dal­la camera da pranzo con quello che Giovanna le ha chiesto. Giovanna in un batter d'occhio dispone il tavolinetto a tre gambe nel vano della fi­nestra, Vi stende sopra un bel centro ricamato, vuota il cestello degli uten­sili da lavoro e lo riempie di fiori che toglie qua e là dai Vasi troppo ricol­mi; apre completamente la tenda del­la finestra, dispone in perfetta sim­metria due piante di mughetti che sono sul davanzale in modo che, chiu­si i vetri, l'angolo che ella ha quasi improvvisato nel vano della finestra viva di una subita gaiezza floreale: poi, ritraendosi indietro a guardare l'opera sua, con legittima soddisfa­zione).

GIOVANNA               - Come jardin d'hiver è un pò lillipuziano: ma l'idea c'è! (a Fran­cesca). Quando ti suonerò per il tè, Francesca, tu entri con il tuo bravo vassoio e lo posi là, su quel tavoli-netto.

FRANCESCA              - (ammirata). Fa miracoli la signora! Pare che abbia slargato le pareti!

(Ora Giovanna ha preso in mano uno spruzzatore d'acqua di colonia che aveva portato dalla sua camera e sparge il profumo qua e là, per terra, sui mobili... Un lungo squillo di campanello).

GIOVANNA               - Ci siamo! (a Francesca) Senti: può darsi che la prima sia lei, la moglie del preside. La riconosci subito: porta la lorgnette e (ridendo piano) due baffetti all'americana. Se è lei sola, la fai accomodare sulla poltrona. Se sono in più lasci che si accomodino come credono', chiedi i nomi e avverti che la signora viene subito. Se invece aspettano un po', niente male! anzi, si usa! Mi racco­mando, Francesca! (Giovanna scappa via nella sua camera, mentre Fran­cesca va ad aprire).

SCENA SETTIMA.

La Signora VOGLIA, la Signora Modugno, la Signorina FALCINI, Francesca.

(Si vede che Francesca cerca tra le visitatrici la moglie del preside: appena l'ha riconosciuta da una fitta pelurie che la vecchia porta real­mente sul labbro superiore, le mo­stra la poltrona, dicendo 🙂

 FRANCESCA             - (alla signora Voglia) S'ac­comodi, prego, signora, (alla signora Modugno e alla Signorina Falcini:) S'accomodino anche loro. La mai padrona viene subito. Corro ad avver­tirla (particolarmente alla Signora Modugno e alla Signorina Falcini, come se la signora Voglia non ci fos­se) Chi debbo annunciare, prego?

Sig.ra VOGLIA            - La Signora Voglia   - (ma pare che Francesca non le badi. Me­raviglia della Signora).

Sig.ra MODUGNO      - La Signora Modugno.

Sig.na FALCINI          - La Signorina Falcini.

(Francesca esce. Durante questa breve scena come in quella che se­guirà, la signora Modugno e la signorina Falcini trattano con grande deferenza la Signora Voglia).

Sig.ra VOGLIA            - (annusando e guardan­do). Un po' troppi odori e colori per la casa di uno scienziato, d'un filologo! Non, le pare, signora Modu­gno?

Sigr.ra MODUGNO     - Ah! una stonatura! Che una mondana profumi la sua ca. sa! Ma un professore! Io, sa, sono entrata perché ho veduto entrare lei giù al portone. Ero incerta se salire b no, io! perché in fondo era lei che doveva venire da noi, la giovane signora, moglie del più giovane profes­sore. Ma Temistocle ha insistito tan­to e quando lui si mette in testa una cosa... pare che abbiano chiesto un favore al Prof. Aroca...

Sig.ra VOGLIA            - So, so...

Sig.na FALCINI          - Anch'io sono qui per papà. Se non fossi venuta gli avrei «lato un vero dolore.

Sig.ra VOGLIA            - Io non le nascondo, cara signora Modugno. che m'ha spinto anche una certa curiosità. Volevo conoscerlo da vicino, questo tipetto... L'ho visto di lontano, appena. E a vederla passare è un tipo tutt'altro che commendevole! Siamo giusti. Veste così la moglie di un professo­re? Sarà elegante quanto volete, ma quella non è una donna, è una trot­tola...

Sig.ra MODUGNO      - Anch'io volevo veder­la da vicino. Ne dicono già tante! L'altra sera l'hanno veduti, lei e suo marito, che si baciavano in quella straduccia dietro la scuola; tra il lusco e brusco, ma sulla pubblica stra­da! Lei era stata a prenderlo a scuola!

Sig.ra VOGLIA            - Capisco: ma facevano a tempo ad arrivare a casa (alla Si­gnora Modugno) non. le pare)

Sig.ra MODUGNO      - Oh anche Temistocle è rimasto scandalizzato!

Sig.na FALCINI          - A me han detto che si tinge la bocca e gli occhi come le donne di teatro. Da lontano non si capisce bene; ma da vicino non sfug­ge.

Sig.ra MODUGNO      - Anche questo sarà Aroca che lo vuole. Ma, dice il pro­fessore mio marito, se ognuno è pa­drone di far vestire la moglie coinè gli piace, bisogna anche badare al pesto che si occupa. Già quell'idea di farsi venire a prendere tutti i giorni a scuola dalla moglie! Via! non è serio! Ci sono anche dei giovanotti, specialmente al liceo! Mio marito non me l'ha permesso mai!

.

Sig.ra VOGLIA            - Si fa aspettare la si­gnora! È un pezzetto ormai che sia­mo qui. lo per me, se tarda ancora, le lascio il biglietto da visita e filo...

Sig.ra Modugno e la Sig.na FALCINI           - E noi con lei. Ma che impudenza! (ap­pare Giovanna).

SCENA OTTAVA.

Giovanna, la Sig.ra Voglia, la Sig.ra Modugno, la Sig.na Falcini.

GIOVANNA               - (col suo più grazioso sorri­so). Mi perdonino, signore. Ma co­me fare? queste benedette sarte vi piantano una filza d'occhielli di die­tro... come se ci si vedesse, di die­tro...

Sig.ra VOGLIA            - Si immagini, signora! Abbiamo avuto modo di ammirare il suo' nido fiorito' e odoroso. Come ci si sente lei, qui dentro, la sua gio­vinezza, la sua vivacità! Lo diceva­mo appunto fra noi... .

GIOVANNA               - (rivolgendosi di botto alla signora Voglia), Ho il piacere di par­lare con la signora dei Preside, è ve­ro!? (la Signora Voglia ha un gesto di meraviglia per essere stata subito riconosciuta. Giovanna se ne accor­ge e per giustificarsi) L'avevo già in­contrata una mattina che andavo a prendere Silvio (stringe graziosamen­te la mano che la Signora Voglia, composta e grave le tende. Poi alla Signora Modugno) E lei, è la signora del Prof. Modugno, insegnante di fi­sica e chimica? (la Signora Modugno fa un cenno di consenso) Oh! Silvio mi ha tanto parlato di suo marito! Sono già così amici che per me è un vero piacere aver lei in casa mia og­gi, conoscerla di persona.

Sig.ra MODUGNO      - Mi auguro che ci ve­dremo spesso anche noi, signora! Le mogli dei professori sono un po' col­leghe anche loro come i loro con­sorti, è vero?

GIOVANNA               - Quello che volevo dire io: me l'ha levato di bocca, signora!

Sig.na FALCINI          - Anche il mio papà, il professore di storia, è già stato in ca­sa sua, credo, e proprio quest’oggi.

GIOVANNA               - Sì, sì. anzi mi pare di averlo intravisto. Porta la barba, è vero? Silvio mi ha tante decantato il suo papà, lo storico insigne, il Prof. Fal­cini. Sig.na FALCINI con una falsa mode­stia). Oh conosciuto, è conosciuto an­che in Italia, ma la sua vera fama è all'estero. S'immagini! Non c'è rivi­sta tedesca di studi storici che non parli delle opere di papà. Apra un numero qualsiasi della « Vierteljahr-schijt fur Allgemeine Geschichte»e troverà citato il nome del Prof. Facci­ni, sempre!

(Mentre la Sig.na Falcini parla, Giovanna si accorge che ella le guar­da insistentemente gli occhi).

GIOVANNA               - Che guarda, signorina? Sta a vedere che c'è già un baffo! Quei lapis, signorina mia, non si ricono­scono più, non sono più quelli di una volta. E si che me l'hanno garantito per il bleu di Dorin, e me lo hanno fatto pagare, sa...

Sig.na FALCINI          - (interrompendola). Dicevo: e che termini usano per lui! Il meno che gli dicono: Prof. Falcini, ein fuhrender geist der geschichtlicher Worschung! Il meno!(rivolta alla signora Voglia e alla Si­gnora Modugno): Davvero che è una grande soddisfazione, anche se in Italia poi..

Sig.ra VOGLIA            - (gravemente). Nemo propheta in patria!

GIOVANNA               - Ben detto, signora! È una verità sacrosanta! (Si sente da certe lunghe pause nelle quali le ospiti e Giovanna sì guardano in faccia che la conversazione non va avanti. Giovanna tenta subito di portare il discorso su un terreno di più facile levatura. E di punto in bianco domanda alla Signo­ra Modugno). La Signora ha figliuoli, se non sbaglio?

Sig. ra MODUGNO     - Sei, signora.

GIOVANNA               - Immagino la sua vita...

Sig.ra MODUGNO      - Certo un po' di chias­so, lo fanno. Ma che vuole? Sono la felicità di Temistocle. Il professore è tutto casa e scuola. E poi due stu­diano, sa: e il più grande è già l'aiuto del babbo. Sveglio, signora mia... e una passione per la chimica! Ve­de? Sandrino ha appena dodici anni e già dà delle vere soddisfazioni. Si sente che è nato per la scienza quel ragazzo!

(Giovanna tace. Si capisce bene anche da certo annaspare nell'aria gli argomenti che non trova che ella non sa più che cosa dire. Saltando di pale in frasca come accade sempre quando la conversazione non è so­stenuta da un comune interessamen­to ella domanda alla signora Voglia)

GIOVANNA               - Giornate quasi estive, questa primavera romana! (Ma Giovanna ha trovato la via di scampo: suona il campanello che è alla parete accan­to alla scrivania: appare Francesca e le dice:) Vuoi portare il tè? Una tazza di tè, signore?

                                      - (Francesca entra col vassoio del tè e Giovanna versa su l'altro vassoio che era sullo scrittoio di Silvio paste e dolciumi chiusi in due pacchetti. Mentr'ella fa questo, la cameriera le si avvicina come per dirle qualche cosa sottovoce).

GIOVANNA               - (a Francesca; forte). Ma fal­la passare subito (sottovoce) È la salvezza, l'aiuto insperato!

(Francesca esce. Subito dopo ap­pare alla porta di fondo Mimì Albieri, una figurina bionda, tutta luce, tutta freschezza).

SCENA NONA.

Giovanna, la sig.ra Voglia, la sig.ra Mo­dugno, la sig.na Falcini, Mimì Al­beri.

GIOVANNA               - (presentando la nuova venu­ta). Mimì Albieri, una mia intima amica (reciproci convenevoli, strette di mano. Giovanna abbraccia Mimì e approfitta della stretta per dirle sottovoce): Salvami, per carità! Non so più come tirare avanti la conver­sazione, (poi forte 🙂 Arrivi a punti­no, Mimì! Aiutami a servire il tè, tu che sei di casa.

(Giovanna, e Mimì Versano il tè al­le signore le quali per un'istintiva simpatia, ora che è sopraggiunta un'estranea, si raccolgono tutte e tre nel vano della finestra. Giovanna e Mimì allora depositano dolci e teiera sul tavolino, intorno al quale si sie­dono la signora Voglia, la signora Mo­dugno e la signorina Falcini. Il grup­petto ripiglia subito affiatamento; Giovanna e Mimì si traggono a guar­darlo a una certa distanza fingendo di parlare fra di loro. Si sente la si­gnorina Falcini che dice alle sue vi­cine 🙂

Sig.na FALCINI          - Non è vero che quasi commuove il rispetto con cui gli scienziati tedeschi giudicano l'opera di un loro collega italiano? E con, che esattezza, in mezza colonna, è sunteggiata la materia dei tre volumi di papà!

GIOVANNA               - (a Mimì sottovoce). Senti, che allegria!

MIMÌ                            - (guardando l'abito che indossa Giovanna). È un modello della Fieschi, immagino.

GIOVANNA               - Ma che Fieschi! Sì! Model­lo Aroca: modello Jeannette Aroca: copiacchiato qua. e là: ma. fatto con le mie mani. Se no, povero Silvio! (La signorina Falcini ha tratto fuori dalla borsetta un ritaglio di giornale. La signora Voglia guarda tra­verso la lorgnette: anche la signora Modugno è intentissima a quello che dicono le sue vicine. Giovanna mor­mora a Mimì 🙂

GIOVANNA               - Guardale là, le tre disgrazie! E io dovrei farmela con quella gente! C'è da ammuffire in un anno!

MIMÌ                            - Ci guardano, sai? Bisogna che tu stia con loro...

GIOVANNA               - (a Mimì). Ma tu, una tazza, di tè? (Si avvicinano insieme al vano della finestra, quando sono accanto alle tre signore, Giovanna versa il tè a Mimì: poi alla signora Voglia:) Come? lei, signora, non ha assaggia­to di questi plumkake? (alla signora Voglia) E lei, neanche uno di questi favoriti? Sono deliziosi, sa; sono del Venzaghi: è il regalo d'ogni giorno di quell'amore di Silvio! Mi sa così ghiotta! Dia retta a me: ne assaggi una, signora! E anche lei signorina Falcini.

Sig.ra VOGLIA            - Grazie, signora: non prendo mai nulla con il tè. Eppoi, noi rischiamo di far tardi da lei. Io sono costretta a lasciarla. (Si alza. La si­gnorina Falcini e la signora Modugno accolgono l'offerta di Giovanna).

Sig.na FALCINI          - (prendendo uno dei bom-bons). Tanto per gradire.

Sig.ra MODUGNO      - (mentre ne prende uno a sua volta). Per me no, sa. Io non mangio dolci. Lo prendo per portar­lo a Sandrino. (E fa scivolare il dolce che ha in mano nella borsetta aperta).

GIOVANNA               - E gli altri cinque? Me li vuol lasciare a bocca asciutta! I più piccoli, poi! Le vuol far piangere, quel­le creature?

Sig.ra MODUGNO      - Proprio vero! Se si accorgono d'una preferenza a Sandrino, chi li tiene più, quelli! Poiché lei è così gentile, approfitto. (Mentre pren­de gli altri bombons che fa cadere nella borsetta, a uno a uno) Questo per Olindo, questo per la Checchina, questo per Galileo...

GIOVANNA               - Galileo?

Sig.ra MODUGNO      - Sì, il penultimo... tre anni! ma un amore!

(La signora Voglia è già vicina alla porta, tra la signora Modugno e la, signorina Falcini che l'hanno messa nel mezzo: saluti: inchini. Giovanna vuole accompagnare fino all'uscio di casa le visitatrici).

GIOVANNA               - (a Mimì). Scusami, Mimì.

Sig.ra VOGLIA            - Non si disturbi, la prego.

GIOVANNA               - Dover mio! (Si sentono an­cora delle Voci di là dalla porta. Poi Giovanna rientra, e saltando al collo di Mimì:) Deo gratias! Che zuppa! Chi mi avesse detto che ì favoriti di Silvio sarebbero finiti in bocca di Ga­lileo, oggi!

SCENA DECIMA.

Giovanna, Mimì, poi Silvio e GIORGIO

GIOVANNA               - (ha sentito qualche rumore nella stanza vicina: a Mimì che sta per aprir bocca, misteriosamente). Stt... stt... Silenzio! se non mi sba­glio, è lui che ritorna...

MIMÌ                            - Telepatia da innamorati! (Entrano Silvio e Giorgio).

SILVIO                        - (a Mimì). Signorina Albieri! (a Giorgio)

La signorina Albieri      - (a Mimì) Giorgio, Falessi.

(Giorgio s'inchina alla signorina Al­bieri, poi rivolto a Giovanna).

GIORGIO                    - Vede: ho voluto ricondurglielo io stesso. Eppoi, riparto stasera e non potevo lasciar Roma senza aver detto addio alla moglie di Silvio.

SILVIO                        - (a Giovanna). Ebbene?

GIOVANNA               - Per oggi, mi trovi ancora viva, ma ulna seconda volta non ga­rantisco.. .

 

SILVIO                        - Tutte e tre insieme?

GIOVANNA               - Tutte e tre, inesorabili!

MIMÌ                            - Faceva pena, povera Giovanna!

SILVIO                        - (mostrando un pacco di compiti che ha nella tasca). A ciascuno la sua croce, mia cara! Lo vedi, che c'era giù dal portiere? Li ha lasciati il bidello (gettandoli stilla scrivania) sono cinquantadue, quanti quei marmocchi! (A Giorgio e a Giovanna) e bisogna correggerli tutti stasera; se no, domattina, un'altra alzataccia.

GIOVANNA               - (a Silvio). E la promessa? Come? Non si esce insieme dopo pranzo?

MIMÌ                            - (a Giovanna). Lasciamolo lavo­rare, allora, lo me ne vado...

Giovanna                      - (a Mimì). No lui lavora; e che tu vuoi ritagliarlo, il modello Jcannette Aroca, vieni nella mia ca­mera. Facciamo in un momento.

MIMÌ                            - (mentre s'avvia con Giovanna a Silvio). lo la saluto, intanto, profes­sore.

GIOVANNA               - Ma che professore! Vuoi chiamarlo Silvio, si o no?

MIMÌ                            - (a Giorgio). Arrivederla, signore! (Giorgio s'inchina).

GIOVANNA               - (a Falessi). Grazie per esse­re ritornato a salutarmi, Falessi. Spe­riamo di ritrovarci presto.

GIORGIO                    - Arrivederla, signora, (accen­nando a Silvio) Lo affido a lei...'"»

GIOVANNA               - (sorridendo). È in buone ma­ni, sa! (esce).

SCENA UNDECIMA.

Silvio e GIORGIO

GIORGIO                    - Sarà meglio che me ne vada subito anch'io. Tu hai da lavorare...

SILVIO                        - Eh! per correggere dei compi­ti, sì può lavorare e chiacchierare insieme (indicandogli una delle pol­trone) siediti lì.

Giorgio                          - (esitando). Ma...

SILVIO                        - (insistendo). Ti prego, Giorgio…. Fra uno sproposito e l'altro, un ricor­do di giovinezza è quello che ci vuo­le! Un po' di chiaro in un cielo tutto nuvolo (grave) perché s'è fatto mol­to nuvolo, ora, Falessi...

GIORGIO                    - Ma se è una primavera mera­vigli osa, oggi!

SILVIO                        - No: è nuvolo dentro. (Si batte sulla fronte) Che vuoi? Forse mi ha! dato alla testa il commediografo... perché, certo, mio caro, la sua stra­da è molto diversa dalla mia! Lui, una vita d'emozioni e un amante che tutti gli invidiano...

GIORGIO                    - Una bella donna, non c'è che dire...

SILVIO                        - E tutto quel biondo? Abbaglia­va quasi, tutto quel biondo, è vero?

GIORGIO                    - (indicando a Silvio il fascio dì compiti che ha sulla tavola). No. Silvio! Vedi che succede? Noi si chiac­chiera e tu non combini niente. Eppoi stasera non puoi uscire con tua moglie; e la colpa è mia. lo me ne vado (fa per alzarsi).

SILVIO                        - (mentre si avvia alla scrivania per trattenere Giorgio). No, no: mi ci metto subito (si siede, apre il pri­mo dei compiti che gli capita sotto mano e dopo aver impugnato con a-ria tra comica e grave ulna grossa ma­tita blu legge:) loquar plane, Cice­ro, quid sentiam (ma si vede che non ci sta col pensiero: a Giorgio) Però di': riconosci almeno che è ingiusto. Lui, tutte le soddisfazioni, lui, la vita come una continua avventura! lo in­vece! (con molta amarezza) a tren­tadue anni già il placido marito e professore che consuma la sua gio­vinezza sugli spropositi degli alunni! Ho un beli'affannarmi a dir di no, a combattere ogni giorno contro me stesso, contro la vita che faccio, con­tro le persone che mi circondano... povero' Silvio Aroca! Se lo vedessi tu, certe mattine d'inverno, seduto qui davanti, con lo zucchetto, in te­sta, la coperta sulle gambe e le pan­tofole ai piedi! Perché, qui, d'inver­no, non è come negli alberghi dove abita Sferra. Qui si gela! Se mi ve­dessi! Mi faccio pena da me. Ah! è triste, mio caro, è triste, allora...

GIORGIO                    - Ma no! che anche tu hai le tue gioie! Cominciamo: una mogliettina deliziosa, un fiore di grazia!

SILVIO                        - Sì, Giovanna! È una cara crea; tura: ma che vuoi? Per quanto io dica e faccia, è la moglie. L'ho sem­pre qui vicino, sempre davanti. Tu t'accorgi che è un fiore. Io> finisco per non accorgermene più, quasi. Mi capisci? L'ho troppo sotto gli occhi per vederla! (prende un fiore dal va­so di Signa) Ecco, portalo vicino agli occhi (lo avvicina ai suoi occhi). Non lo vedi più o vedi un'altra cosa quasi brutta: la polvere sui petali, le mille venature (allontanandolo di nuovo) lo allontani, e, ecco, ti ritor­na un fiore (lo sguardo gli cade sul compito rimasto aperto) Ah! già! vediamo dunque che cosa ha messo in bocca: a Cicerone questo signor... (guarda sul dorso del compito il no­me dello scolaro) Girolamo Cucchiarelli. Toh! e che c'è scritto qui sotto che poi è cancellato col pane? (legge a male pena) Morte a Zeppo! (ama­ramente) lo vedi, eh! ti sacrifichi tutta la vita e in fondo che trovi? Il bolscevico in erba, un Cucchiarelli qualsiasi che ti manda a quel paese...

GIORGIO                    - (prima ride e poi con un senso di tristezza anche lui). Ho capito; se non me ne vado, non te la cavi stasera... Eppoi, anch'io ho da sbri­gare un mondo di cose prima di par­tire. Mio caro Silvio, qua un abbrac­cio! (si abbracciano) E adesso che ci siamo riveduti, cerchiamo di non perderci più di vista. Scrivimi a Bo­logna. Ti lascio un po' turbato. Scrivimi che hai ritrovato il tuo buon umore. Addio, Silvio! (una buona stretta di mano, Giorgio esce).

SCENA DODICESIMA.

Silvio solo.

SILVIO                        - (cammina un po' su e già per la stanza, pei). Ma che ho stasera? Eppure bisogna filar dritto! Corag­gio, Silvio! (si siede di nuovo e riprende la lettura interrotta) « Excusatio propter cuius » (un grosso se­gno di matita blu sotto il latino dello allievo: poi forte) E ieri mi sono sgolato un'ora per far capire che «propter» regge l'accusativo! Zuc­cone! (Silvio dà involontariamente un colpo con la mano sul portafiori così che una pioggerella di fiori dì mandorlo cade sul compito aperto. Silvio toglie subito di sul foglio quei petali che gli impediscono di legge­re: poi 🙂 Si, sì, è proprio uno stra­falcione, anche veduto attraverso i mandorli di Giovanna (pausa: poi) Giovanna! (Ecco che Silvio fantastica dietro quel nome) Ma anch'io ho una donnina ideale, che m'infiora Perfino gli spropositi degli scolari! Eppure proprio non le sta bene quel nome: moglie! Giovanna: il vero tipo dell'amante, quella che tutti t'in­vidiano!... La moglie invece! (si ve­de che Silvio fantastica ancora e che sta perseguendo dentro di sé un pro­getto bizzarro) Proprio vero! I ritorni improvvisi del passato lo guastano, un uomo! E pensare che questa stra­na fantasia che mi ronza nel capo da oggi si potrebbe realizzare con nien­te! Due settimane di vacanza, due settimane di sogno!. ..

(Appare su la soglia Giovanna).

SCENA ULTIMA.

Silvio e GIOVANNA

(Giovanna è appena apparsa che Silvio già la investe con una ingiun­zione imperiosa, che non ammette re­plica).

SILVIO                        - Di' di sì, di' di sì!

GIOVANNA               - (niente affatto sorpresa). Sì, sì. Sarà un'altra pazza, certo. Ma se tu vuoi...

SILVIO                        - Allora, si parte: d'accordo?

GIOVANNA               - Partire? E la scuola?

SILVIO                        - Sabato, cominciano le vacanze di Pasqua. Noi l'anticipiamo di tre giorni. Non posso essermi ammalato in questi tre giorni?

GIOVANNA               - Prudenza, Silvio!

SILVIO                        - Ma che prudenza, quando si tratta della più squisita avventura di amore! Senti, senti. (Giovanna è su­bito presa nel fascino per lei irresistibile della parola di Silvio. Non di­scute. Ascolta. È una cosa nelle mani di lui, che nell'impeto della gioia la solleva da terra come un giuocattolo). Io mando al diavolo Cicerone, l'ac­cusativo, Girolamo Cucchiarelli, le nozze d'argento del preside e parto con te. Se ne andranno tutti i rispar­mi, se ne andrà l'assegno di tuo' pa­dre arrivato ieri, ma che importa? Se non ci godiamo' la vita finché siamo ragazzi!...

GIOVANNA               - Mi conosci, Silvio! Pronta sempre a godermi la vita!

SILVIO                        - Quindici giorni di primavera a, Sorrento! Soltanto.., È una partenza a, modo1 mio quella che ho pensato!

GIOVANNA               - Sto aspettando: aspetto che scoppi la bomba!

SILVIO                        - (esitando prima, poi deciso). Ec­co: questa volta parti con me, ma non sei mia moglie. Cioè lo sei fino alla stazione! di Roma. In treno suc­cede la metamorfosi. Tu diventi la signora tal dei tali, legittima moglie, mettiamo, d'un mio collega che è ri­masto a Roma per obblighi profes­sionali mentre tu che hai avuto una grave malattia nell' inverno vai a cu­rarti a Sorrento.

GIOVANNA               - E tu?

SILVIO                        - Io, un tuo corteggiatore imper­territo, innamorato pazzo di te, che ha saputo della tua partenza, e s'è messo in treno anche lui, sperando di vincere la tua fedeltà di moglie con le lusinghe del luogo e della sta­gione; sai, il cielo, il mare di Sorren­to, le vele, la primavera... A Sorren­to scendiamo allo stesso albergo. ma, ciascuno la sua stanza...

GIOVANNA               - Che pazzie, Silvio!

SILVIO                        - Vedrai, vedrai, che ti diverti alla tua parte. Ma non ci riflettere veh! Non ti ci faccio pensare fino a domattina. Ti porto via stasera. Prepara le valigie per due settimane. Io intanto scrivo una lettera al pre­side per giustificare 1’assenza. (Silvio fa per mettersi a scrivere. È alla scrivania. Giovanna esita) Come, non mi ubbidisci?

GIOVANNA               - (quasi triste). Gli è che in fondo tu mi porti a tradire... te stesso.

SILVIO                        - Ma che tradire me! Tu tradisci l’altro, tuo marito! Vai che è una gaia finzione!

(Silvio accenna con un gesto im­perioso della mano la stanza di Gio­vanna, Giovanna è già sulla soglia della camera. Qui si ferma un mo­mento. E di dietro la portiera guarda Silvio con civetteria).

SILVIO                        - Giovanna, che fa adesso tuo marito?

GIOVANNA               - Eh, poveretto! Sta correg­gendo i compiti degli alunni...

SILVIO                        - S'è messo il berretto da casa? Gli occhiali porta?

GIOVANNA               - Sì: gli occhiali a stanga; il berretto, quello blu: sai, per le cor­renti d'aria...

SILVIO                        - È, buffo, è vero? (appassionata­mente) Giovanna, ma come può una donnina come te, un fiore dì giovi­nezza e di eleganza, come può ama­re un professore? Guardalo lì. Sta a vedere che fra poco ci si addormen­ta su quei compiti?

GIOVANNA               - (guarda ancora nella stanza vicina, poi a Silvio con un filo di voce conte se temesse di destare qualcuno). Hai ragione! Si vede che la testa gli pesa dal sonno. Gli cade da una parte.

SILVIO                        - (avvicinandosi a Giovanna e offrendosi a lei con impeto). Giovan­na, c'è un uomo più degno di te che ti adora! Tu non puoi amare uno che dorme! Perché s'è addormentato ormai, è vero?

GIOVANNA               - (sempre con un fil di voce). Pare di sì, a guardarlo!

SILVIO                        - (anche lui sottovoce). In modo che se mi tiri un bacio, non ti vede?

GIOVANNA               - Ma che vedermi! Toh! (GU tira un bacio; poi 🙂 E che altro sa­pore un bacio dato così!. ..

Cala la tela.

ATTO SECONDO

La terrazza di un grande albergo a Sorrento. A destra una porta a vetri si apre su una vasta hall che mette in una sala da pranzo. La porta di sinistra è aperta sul bar per ove si accede nell'interno dell'albergo. Qua e là sulla terrazza, tavolini, sedie di vimini, chaises longues. L'illuminazione è molto velata in modo che siano visibili il cielo, il mare e qualche lumicino di barca amarrata sulla spiaggia. Una balaustra nel fondo piuttosto alta, rotta a sinistra da una scaletta che scende alla riva.

 

SCENA PRIMA.

Giovanna, Alberto Sanna, Piero Baravelli, due giovani signori.

(Giovanna è seduta presso la ba­laustra. Piero e Alberto che sono en­trati da sinistra con gli altri due gio­vani si dirigono verso di lei mentre i due, dopo essersi inchinati a Gio­vanna, restano in disparte come in attesa).

PIERO                          - (a Alberto). Approfittiamo dell'occasione, allora? Parlale tu che la conosci meglio di noi.

ALBERTO                   - No: sei tu l'organizzatore di tutto: devi parlare tu.

PIERO                          - (a Giovanna). Signora, perdoni la mia, la nostra audacia. Veramen­te noi avevamo pregato Sanna di parlare con lei; ma Sanna, preso da un accesso di timidità improvvisa, pretende che la preghiera debba venire da me...

GIOVANNA               - Dicano... dicano. Se posso essere utile in qualche cosa...

PIERO                          - Appunto. Si tratta di fare del bene e per questo io sono così au­dace (segni e sorrisi di approvazione dai due in disparte) Lei, saprà già, signora Vinci, che si è organizzato alla villa dei Pavoni che la principessa di Serano ha messo a nostra di­sposizione un garden party per i poveri di Sorrento.

GIOVANNA               - Sì: ho sentito dire. Ebbene?

PIERO                          - Ecco: il convegno si annuncia veramente superbo per il programma mondano che abbiamo potuto orga­nizzare. Ma lo scopo, signora, è di raccogliere molto danaro. E per questo la principessa ha ideato una vendita di coralli all'incanto nel parco sul mare. Ella stessa si è offerta co­me venditrice. Ma ci vuole anche un'altra signora. E la designata è lei. Accetta? Io la prego a nome della principessa e dei miei amici. Creda: con due venditrici, come la Serano e lei, noi siamo sicuri di fare affari d'oro! (A Alberto e agli altri come si fingesse l'incanto) Avanti: una spilla di corallo e un sorriso di donna Giovanna, chi offre di più?

UNO DEI GIOVANI  - Cento lire per il solo sorriso e lascio il gioiello alla bene­ficenza.

L'ALTRO GIOVANE - Raddoppio, se posso baciare la mano della venditrice.

PIERO                          - (sempre in tono scherzoso e in­calzando, a Alberto). E tu, Alberto per un sorriso della signora che sia solo per te?

ALBERTO                   - Non discuto più il prezzo. Mi lascio vuotare il portafogli volentieri.

PIERO                          - (trionfante a Giovanna). Lo ve­de? S'immagini poi, quando tutta Na­poli elegante si sarà data convegno alla villa dei Serano! Accetta dun­que, signora?

GIOVANNA               - Come si può dire di no, se si tratta di fare del bene?

PIERO                          - (a Giovanna). La ringrazio a nome di tutti (a Alberto e agli altri) E ora, a pranzo, se no rischiamo di non trovar più da mangiare al table d'hote.

(Tutti si inchinano a Giovanna e escono da destra. Alberto prima s'av­via anche lui, poi esita; infine, quan­do vede che i suoi amici sono usciti, ritorna decisamente Verso Giovanna).

 

SCENA SECONDA.

Giovanna, Alberto.

GIOVANNA               - E lei, Satina! Vuol perderlo davvero, il suo pranzo?

ALBERTO                   - Come? Mi caccia via? Se io avessi bisogno di parlare proprio con lei? Per una volta che la trovo sola!

GIOVANNA               - Io scacciarla? Le faccio ri­flettere soltanto che perdere un pran­zo per fare un po' di corte a una signora è una pazzia! (guardandolo con istintiva compiacenza) Si vede che è proprio un ragazzo! (bonariamente) Ma sentiamola, questa gran cosa che mi deve dire. Ha cominciato più d'una volta, mi pare....

ALBERTO                   - E già! Non c'è mai modo di parlarle a quattr'occhi. È sempre in mezzo a tanta gente! O se no, c'è vicino a lei un fortunato mortale, uno solo (sorriso significativo di Giovan­na) e questo fa ancora più paura. Ma io non devo darle, Donna Gio­vanna, che una notizia: il Tartarin è giunto. È là, vede, ancorato proprio davanti all'Albergo.

GIOVANNA               - E lei intende ricordarmi la promessa: è vero?

ALBERTO                   - Appunto. Lei mi ha data la sua parola che sarebbe stata la prima a rimettere il piede sullo yacht risor­to. Pensi: da oggi, il trabaccolo che era stato sommerso torna a nuova vita. Esce da una malattia quasi mortale, e come gli si potrebbe negare il battesimo di uno di quei chiari squilli di risa che lei prodiga a tutti qui dentro?

GIOVANNA               - (con uno squillo nella voce). Oh! guardi! Guardi come a Napoli si sanno fondere bene la superstizio­ne e la galanteria!

ALBERTO                   - Galanteria! È cattiva con. me, adesso! Ma dunque non si è accor­ta che da quando lei è qui, io non penso che a lei? Ma non l'immagina quale sarà il mio tormento fra poco, quando lei sarà in mezzo a tutti noi, mentre io avrei voluto' volerla sola accanto a me, in questa sera di sogno?

GIOVANNA               - (ribellandosi). Ah, no! non lo dica neppure, Sauna. Io ho promesso che sarei venuta coni tutti loro; ma sola con lei, noi! Non, mi carrubi le carte in tavola se vuole che manten­ga la promessa. E le faccio un'altra condizione, anche. Raggiunga subito i suoi amici. Che cosa penseranno, se no? Se lei soltanto manca alla loro tavola? Eppoi, vede: vien gen­te. Non facciamo malignare la gente!

ALBERTO                   - Ubbidisco, signora! (bacia la mano a Giovanna e esce da destra).

GIOVANNA               - (fra sé). Come si montano la testa presto questi ragazzi. Bel fi­gliuolo, però!

(Salgono dalla scaletta di fondo,. Andrea Baschieri e Maria Balbi).

SCENA TERZA.

Andrea, Maria e GIOVANNA

GIOVANNA               - (andando incontro ai due). Ben tornati, signori vagabondi! Chis­sà dove siete andati a nascondere il vostro idillio! Non vi ho veduti a pranzo stasera.

MARIA                        - Siamo stati tutto il giorno a Na­poli che abbiamo lasciato poco fa, appena pranzato. Siamo stati in città per commissioni.

ANDREA                     - Già: quei tali disastri per le tasche d'un pover'uomo che le signo­re chiamano con un elegante eufe­mismo ; commissioni! E Aroca? Co­me vanno le sue vacanze sorrentine? Dove ha passato questa giornata mi­racolosa?

GIOVANNA               - È stato con me e con altri amici tutto il pomeriggio sulla spiag­gia. Oggi Aroca si è rivelato un giuocatore eccezionale di tennis.

MARIA                        - Rivelato, signora? Ma lo era già allora: un giuocatore formidabile: dieci anni fa a Bologna, quando stu­diava con Andrea. ..

ANDREA                     - Si diverte, eh? L'impenitente! Maria e io l'abbiamo trovato tale e quale, l'ineffabile professore. Gli an­ni non passano per lui. Elegante, vi­vace, innamorato della vita, sempre. Dov'è adesso? In albergo?

GIOVANNA               - L'ho lasciato di là alla sua tavola, alle prese con un arrosto im­ponente. Si sta rifacendo delle fati­che della giornata. Lo vedrete certo fra poco, se vi fermate qui.

MARIA                        - (a Andrea). Resta tu se vuoi. Tu non hai bisogno di cambiarti. Ma una signora... Io salgo subito su. So­no ancora in uno stato...

ANDREA                     - No, vengo via con te. Mi fer­mo a scrivere nella sala di lettura. Voglio che la lettera a Algranati par­ta stasera (a Giovanna) A dopo, si­gnora. MARIA (a Giovanna). A più tardi.

(Andrea e Maria escono da sini­stra. Giovanna rimasta sola è ora im­mobile presso la balaustra. Appena Andrea Baschieri e Maria Balbi sono usciti, Silvio entra dalla porta di destra e attraversa la terrazza diretto verso Giovanna che egli ha subito scorto. Silvio ha un'aria trionfante. Dietro di lui sono usciti anche un gio­vane uomo e una giovane donna che attraversano la scena quasi di corsia e un vecchio signore inglese, lento e ar­cigno che ha un libro sotto braccio. La giovine donna è così incerta nel passo che poco manca non urti Silvio. Si trae in disparte per lasciarla passare e si ferma accanto a Giovan­na a guardare la coppia quasi ebbra. Il signore inglese si siede a uno dei tavolini. Un cameriere che è entrato da sinistra gli si avvicina subito).

SCENA QUARTA.

Silvio, Giovanna, Un giovane uomo, Una giovane donna,

Un vecchio si­gnore inglese, Un cameriere.

CAMERIERE              - (al signore inglese). Deside­ra, signore?

SIG. INGLESE            - (con accento marcatamen­te esotico). Un whisky and soda, su­bito!

                                      - (Il signore apre il libro che porta sotto braccio e tenta di leggere qual­che cosa alla luce della lampada).

GIOVANE DONNA   - (appoggiandosi al brac­cio dell'uomo). Mi hai fatto bere un po' troppo! Mi gira la testa...

GIOVANE UOMO     - Scendi alla spiaggia con me. Vedrai che ti passa all'aria aperta.

GIOVANE DONNA   - Ma in, barca di notte, no! Sai! Ho paura...

GIOVANE UOMO     - (traendola verso la sca­letta). Paura, tu con me, amore mio! Questa sì che è nuova! Paura tu nel­le mie braccia!

(Il signore inglese a queste parole, dà segni evidenti di fastidio. I due scompaiono nel fondo. Giovanna e Silvio seguono con lo sguardo la cop­pia che è passata).

SILVIO                        - (respirando l'aria d'intorno). Ah! si sente che sono passati due amanti! (Rientra il cameriere con il wiskhy per il signore inglese che lo tracanna d'un fiato e tenta di riprendere la lettura interrotta. Silvio osserva lo sconosciuto ridendo: poi a Giovanna con molta galanteria).

SILVIO                        - La signora vuol fumare?

GIOVANNA               - (con un esagerato languore nella voce, prendendo una sigaretta dall'astuccio che Silvio le porge). Grazie, amico mio.

SILVIO                        - Accidenti! Ti sei messa a fuma, re in un modo! Anche a tavola, prima!

GIOVANNA               - Silvio, con questo tu,! Se ti ci abitui, un, giorno o l'altro mi com­prometti! (accenna al signore ingle­se) Chissà che cosa già dicono di noi qui dentro!

(Il signore inglese si alza, eviden­temente infastidito della presenza dei due e se ne va borbottando).

SILVIO                        - Che dicono? C'è da domandar­selo? Non la senti tu, la curiosità che destiamo attorno a noi? Ma adesso... poco fa... (attenzione viva di Giovanna) E, parlavano proprio di me (Silvio assapora quello che sta per dire) Per uscire dalla salle à manger sono passato accanto a quella tavola di elegantoni, là, sotto la finestra d'angolo. Ho inteso benissimo. Uno ha detto: «ti garantisco che quello è l'amante! »

GIOVANNA               - Già: potevano parlare di te come di cento altri. Contale un po' le coppie: qua dentro!

SILVIO                        - (con un sicuro tono orgoglioso). No, cara. Quello sono io. Saranno quante vuoi le coppie. Ma la coppia tipo ormai siamo noi. Più noi, vedi, che Andrea e Maria che ho tanto in­vidiato da lontano! L'amante-tipo, l'amante per antonomasia, eccolo qui: il collega di Zeppo e di Barba di rame! Lo riconosci tu?

GIOVANNA               - Come hai detto? L'amante per... come sei tu?.

SILVIO                        - Taci e ammira! Il professore si è definito, (riprendendo, gioioso) Se mi sbagliavo! Ma c'è di più! Ce n'è un'altra più gustosa! Figurati che mentre uno di loro diceva così, un altro ha sogghignato: « E pensare, quel povero marito! » Hanno riso tut­ti! Ridevano di lui, però! Me, m'invi­diavano. Si sentiva benissimo

GIOVANNA               - (tra ironica e triste). Que­ll'altro poi aveva torto davvero! « Po­vero marito! » Non si può proprio di­re, oggi!

SILVIO                        - (irritato e insieme supplichevo­le). Giovanna!

GIOVANNA               - Che c'è?

SILVIO                        - C'è che io comincio a non ca­pirti più. Va bene che prima di parti­re t'ho detto: «con questa pazzia, Giovanna, io voglio rivivere l'emozio­ne della conquista. Tu sei cosa mia, ormai. Ebbene, io t’allontano un po­co da me per vederti come allora, per riavere la voluttà e l'orgoglio di con­quistarti, Giovanna» Ricordi? Furono queste le precise parole.

GIOVANNA               - No, dicesti anche: (scandi­sce le sillabe) « Quanto più difficile sarà la conquista, tanto più alta sarà la mia gioia! »

SILVIO                        - Sicuro: ma non bisogna pren­derle troppo alla lettera, queste pa­role! Giovanna! (E Silvio fa per cin­gerle con un braccio la vita).

 GIOVANNA              - (ritraendosi austeramente da lui). Ah! no! Io sto ai patti! Io non sono, signore, che l’onesta moglie di Silvio! Il mio pensiero, signore, è an­cora tutto per lui!

SILVIO                        - (accalorandosi). Ma se è proprio lui che ti supplica! È Silvio che ti scongiura di' non chiudergli più la porta in faccia come, chissà perché, hai osato ieri sera!

GIOVANNA               - (ritraendosi in una rigidità di donna quasi offesa e respingendo il marito). No, non dica eresie. Silvio è lontano! È là, nella sua casetta di Roma. E mentre lei, signore, con uri'impudenza che supera ogni immaginazione, lei si serve dell'ora, del cielo, del mare, di tutto questo paradiso d'amore, come lei lo chiama, per aggredire una piccola cosa senza difesa, Silvio' è là, solo... (Giovanna è quasi commossa mentre parla e ad­dita a Silvio con un cenno della ma­no la visione immaginaria) Pensi: solo! Ha finito adesso la sua cena. Eh! Quando la moglie non c'è a casa, gli tocca di mangiare in trattoria... Ma rifletta, signore: dopo tutta una giornata di scuola, cenare solo, leg­gendo il giornale! (pausa, poi) E che cosa crede? Che se lo permetta, uno svago? Non so: un teatro, un cinematografo? Mai più! (Ora pare che Giovanna lo abbia proprio da­vanti agli occhi) Eccolo lì. È uscito dalla trattoria. Dieci minuti a zonzo: ma dieci minuti, veh! Proprio per l'igiene: perché il suo latino lo co­manda: post prandium stabis, post....

SILVIO                        - post coenam ambulabis...

GIOVANNA               - Sa: è una delle poche cose che ho imparato dal latino di Silvio! (riprende il tono commosso di pri­ma) Dieci minuti dunque, eppoi difilato a casa! E a quest'ora, vede, mentre lei fa il bellimbusto a Sorren­to, mentre lei fa la corte alle signore sole, quel tesoro di marito è già nel suo studio, curvo sulla scrivania a sfo­gliare vocabolari... Dio! Come gli pe­sa il lavoro stasera! Proprio non ci riesce. Vede? Si alza... gira per la casa... Che cerca? (trionfante con uno squillo nella voce) Ah! me l'immaginavo! È andato nella sua came­ra a prendere il ritratto della moglie! Tieni, tesoro! (Giovanna fa cenno di tirare un bacio all'assente. Silvio è visibilmente commosso). Ha bisogno di tenerselo lì, sullo scrittoio! Non può lavorare senza! Ma che amore di marito! Ora, mi risponda lei: con quale coraggio si può tradirlo, un uomo così?

SILVIO                        - (con una velatura di commozio­ne nella voce). M'ha quasi commos­so! (riprendendosi subito) Va bene: tutto questo è giusto, Giovanna! Sim­paticissimo, quel marito! Non lo ne­go. Delizioso, anche! Ma è un assente. E gli assenti hanno torto sem­pre: è fatale! (carezza una mano di Giovanna) Lasciamolo un po' stare lui, Giovanna! Parliamo di noi ades­so, di questa, delizia! Giovanna, che cielo! (Giovanna e Silvio appoggiati alla balaustra guardano nell'ombra. Giovanna ha la sigaretta accesa. Sil­vio che ha Veduto qualcuno nell'om­bra, proprio sotto l'albergo, a Gio­vanna di scatto) Giù giù! Ti vedo­no! Vedono il fuoco della sigaretta.

GIOVANNA               - (si rannicchia ai piedi di Sil­vio che resta affacciato a spiare e dal basso chiede sottovoce al marito). Silvio, che fanno, si vedono ancora?

SILVIO                        - (con una palese irritazione nella voce). Ma guarda che sfacciati! Si sono dati un altro bacio e pieno, e tondo, sai. Proprio qui sotto. S'è sentito scoccare! (Silvio imita il rumore del bacio).

GIOVANNA               - Che dicono? Si sentono par­lare di qui. Che dicono?

SILVIO                        - Stt, stt... (fa cenno a Giovanna di tacere) Mi sembra che pianga lei. (Si protende dalla balaustra per ve­dere meglio).

GIOVANNA               - (indignata). Far piangere una donna in una sera come questa! Lo vedete di che siete capaci voialtri uo­mini?

SILVIO                        - (si riaffaccia; poi, a Giovanna). Piange? Ride? E chi ci capisce più niente? Ma che piangere? Strilla perché lui le fa il solletico. (Silvio scim­miotta la voce della ignota passante) « Non così! Mi fai il solletico, Alber­to» Sono andati via... Vanno verso le barche (Giovanna torna ad affac­ciarsi accanto a Silvio che le indica con la mano tesa la coppia) Eccoli là, guarda.!

GIOVANNA               - Quei due, in fondo?

SILVIO                        - No: l'altra coppia; quella che passa ora accanto alla barca. Li vedi nel chiaro del lume adesso, (fuori di sé) Eh! un altro! Ma basta! È il terzo in pochi minuti. Non posso pro­prio vedere! Mi fa male, stasera! (supplichevole e insinuante alla mo­glie) Ma non t'accorgi di quello che succede qui attorno, Giovanna? Non la senti, che smania di baci per aria? Giovanna, non vorrai mica che io im­pazzisca questa sera! Non mi ripete­rai il cattivo scherzo di ieri! Il patto va bene: ma qui si tratta di forza maggiore! (Giovanna sorride. Silvio coglie quel sorriso e incalza trionfan­te) Ah! Ridi? Buon segno! C'è qua­si sempre un, bacio in cima a un sor­riso di donna! (Giovanna ora ride di un riso nervoso. Silvio le si avvicina sempre più) È vero, Giovanna: perché una bocca che ride come potreb­be dire di no? Giovanna, amore mio! (E Silvio sfiora con la sua bocca la bocca della moglie).

GIOVANNA               - (liberandosi da Silvio). Ah! Canaglia! Mi hai preso alla sprovvi­sta, eh? (Ma Silvio non s'appaga di un bacio. Ecco infatti che egli esa­sperato dall' atteggiamento della mo­glie e esaltato dalle lusinghe dell'ora, l'assale con una furia di baci e non la lascia, finché Giovanna, come at­territa dall'impeto di Silvio e dall'an­sia che da un moménto all'altro en­tri qualcuno, si svincola da lui ener­gicamente, gridandogli) Ma Silvio! Impazzisci? Che fai? Non vedi? Vien gente!

(C'è gente infatti nella hall di là dalla porta di destra. Giovanna fugge via da sinistra, lasciando Silvio solo.

Silvio resta un attimo assorto come se egli stesso non si renda ragione di quello che è accaduto. Da un gruppo che si intravedeva nella hall di là della porta di destra si stacca ora una figura di donna che entra in scena. È MARIA È già in abito da sera).

SCENA QUINTA.

Silvio e Maria.

SILVIO                        - (ricomponendosi dallo stupore nel quale lo ha lasciato la fuga precipitosa di Giovanna). Come, già qui? E Andrea?

MARIA                        - Siamo tornati tutti e due qual­che momento fa. Abbiamo già vedu­to la signora Vinci, le abbiamo già parlato di te e abbiamo saputo le tue prodezze di sportman, mio1 bel latini­sta, e campione di tennis! Ebbene come va la scappata a Sorrento? Ti godi la, vita eh, in queste giornate di... (con ironia) piena libertà.

SILVIO                        - (schermendosi). Dio!... Si fa quel che si può. Ma dimmi tu: Come è andata la tua gita piuttosto?

MARIA                        - Eh! la mia gita! Tomo con un grande segreto, Silvio! Ma con un, vecchio compagno di giovinezza co­me te non è possibile tacere. D'altronde anche Andrea m'ha detto di parlartene, appena t'avessi veduto. Vuole che tu lo sappia per primo. Silvio, c'è una novità nella vita no­stra: d'Andrea e mia. Un avvenimento eccezionale...

SILVIO                        - (incuriosito). Racconta, raccon­ta! Che cosa state almanaccando?

MARIA                        - No: devi indovinare tu. Te la lascio indovinare fra mille.

SILVIO                        - Eh.! Con due tipi come Andrea e te tutto l'immaginabile può acca­dere. Io vi conosco bene. Come vuoi che indovini?

MARIA                        - Silvio, ci sposi amo!

SILVIO                        - (attonito). Vi sposate?

MARIA                        - Proprio sì. Nel mese prossimo. (Appare da sinistra Andrea).

SCENA SESTA.

Andrea, Silvio e Maria.

SILVIO                        - To': eccolo! Proprio lui! (una stretta di mano) Parlavamo di te!... anzi di voi. Me ne combinate delle carine!

ANDREA                     - Che è, Silvio? La notizia ti fa cader dalle nuvole?

SILVIO                        - Non dico questo: ma.., capi­rai: è inaspettata! Un matrimonio combinato in una gita dalla mattina alla sera!

ANDREA                     - Ah! no! Hai avuto l'annuncio stasera. Ma ci pensavamo già da tem­po noi due. Oggi ne abbiamo parlato più a lungo e ci siamo decisi. Ci era­vamo domandati già molte volte che ragione ci fosse di vivere così. In fondo, dà cinque anni io e Maria vi­viamo come marito e moglie senza. nessuno dei vantaggi e dei diritti che ci verrebbero dal matrimonio, perché... il matrimonio, abbiamo finito per persuadercene, ha i suoi enormi vantaggi e gli amanti perfetti, credi­mi, si chiamano con questi due vec­chi nomi: moglie e marito!

MARIA                        - (persuasiva, a Silvio che le pa­role dei due amici umiliano come quelle che sgretolano la sua recente follia). Silvio, siamo qui tre vecchi amici: di prima giovinezza! Parlia­moci francamente: tu non puoi ca­pirlo quello che stiamo per fare noi due, perché sei nella febbre d'un'avventura galante, (sorriso di Silvio) Non, hai voluto confessarci che fra te e la signora Vinci... Chissà? Forse per un barlume di rimorso o di ri­spetto verso tua moglie. Non hai osa­to dirlo: ma, credimi, salta agli occhi di tutti... Ebbene, io sono certa che a farti dire la verità, tu riconoscere­sti che le vere gioie della tua vita, le autentiche sai, le hai trovate solo a casa tua, proprio accanto a la mo­glie, che tu. libertino impenitente, tradisci senza scrupoli. Il resto è paz­zia. Il resto è una delusione, sempre, che finisce per riattaccarti di più alla donna che hai scelto per tutta la vita. Persuaditi, Silvio: qualunque cosa tu faccia, il vero amore è solo per lei! (Silvio ascolta muto, a capo chino).

ANDREA                     - Ohe! Che fai? Che pensi?

SILVIO                        - Niente... rifletto.

(Intanto la terrazza si viene affol­lando. Escono da destra Alberto San­no, Piero Bar avelli e i due giovani che erano con loro al principio dell'atto. Alberto e Pigerò, assorti in un loro discorso e tenendosi sotto brac­cio salutano con un cenno del capo Andrea, Maria, Silvio, ancora seduti presso la balaustra nel fondo e si avanzano soli verso il proscenio. Gli altri due salutano anch'essi con un inchino e occupano un tavolo a par­te. Un cameriere si avvicina a loro.

SCENA SETTIMA.

Maria, Silvio, Andrea, Piero, Alberto, Due Giovani Signori, Un Cameriere.

ALBERTO                   - (a Piero). Credi, c'è da per­dere la testa. Perché... gentile, è gentilissima. Ma... niente più. Quel­la sua vivacità farebbe immaginare chissà che cosa! Invece, poi! E al­lora, capisci che uno di noi si butta a capo fitto! lo ragiono: il Rubicone tra la fedeltà e l'infedeltà d'una mo­glie come tra il marito e il primo amante, non tra questo e un altro amante probabile. Ora la signora Gio­vanna l'ha bell'e passato, il suo Rubicone. C'era l'amico, là, sull'altra riva...

UNO DEI GIOVANI  - (poiché un cameriere aspetta ancora presso il tavolo intor­no al quale i due si sono seduti). Che t'ordiniamo per te, Sanna? E per te, Baravelli?

ALBERTO                   - (distrattamente). Quello che prendete voi.

Piero                              - (agli amici). Per me, un cock­tail.

ALBERTO                   - (a Piero, proseguendo il di­scorso interrotto). È possibile, mi domando, che io non riesca a farle fare quel breve passo senza guado, avanti sulla sua stessa strada che me la dovrebbe spingere fra le braccia? Se poi penso all'uomo che quella donna mi preferisce, mi pare che sia in giuoco anche la mia dignità. Vedi: son proprio quei tipetti lì che fan­no accadere l'imprevisto. Si comin­cia scherzando e un giorno ci si ac­corge che si è innamorati sul serio. (Alberto ritorna verso il fondo con Piero, Vede Andrea, Silvio e Maria e va a salutarli, mentre Piero si siede al tavolo dei due amici) Ben torna­to. Baschi eri! I miei ossequi!; signo­ra! (Andrea, Silvio, Maria rispondono al saluto di Alberto. Andrea lo invita a sedersi con loro. Alberto si siede, mentre gli altri seduti a un tavolo di fronte parlano fra loro e sorbiscono le bevande che il camerie­re ha portato nel frattempo).

ALRERTO                   - (rivolto ad Andrea). Lei, Baschieri, rimane a Sorrento in questi giorni?

ANDREA                     - Noi contiamo di non muover­ci più per tutto il mese.

Alberto                          - (a Silvio). E lei, signor Aroca si fermerà a lungo all'Hotel?

SILVIO                        - Ma... non potrei dirle nulla di preciso ; Non lo so neppur io: di­pende...

(Giovanna entra da sinistra: ha una lettera in mano).

SCENA OTTAVA.

Andrea, Silvio, Maria, Alberto, Giovanna

GIOVANNA               - (a Alberto che s'inchina). Buona sera, Sanna, (a Silvio) Aroca, lo crederebbe lei? In: dieci giorni so­lo stasera ho trovato modo di scrive­re due righe a una mia amica. Sem­bra un assurdo. Ma quanto è diffi­cile trovare un po' di tempo, quando non c'è nulla da fare!

ALBERTO                   - Niente da fare, lei? Ma se è bersagliata da tutto l'albergo! Non si fa nulla più senza la signora Vin­ci! (controscena significativa di Sil­vio) E io stesso... perché crede che l'aspetti al varco? Aspettavo proprio lei, sa. E in attesa con me sono tutti i miei amici. Per farle pagare il suo debito! Sono un creditore inesorabi­le! Pensi: domani è venerdì e l'in­cantesimo sarebbe spezzato.

GIOVANNA               - E sia! Visto che lei ha una fede cieca in queste cose!

ALBERTO                   - Se ci credo! Me lo trovi lei un napoletano che non sia supersti­zioso...

(Da questo momento in poi, du­rante la scena Giovanna appare ani­mata da una sempre crescente viva­cità come se ella subisse il contagio dei suoi giovani amici. Silvio sulle prime la guarda attonito; pare che egli non riconosca più la moglie nel­la donnina che si lascia travolgere da questo manipolo di scapigliati viveurs e a un certo punto ne è addirittura alla testa. Poi Silvio è preso da un turbamento sempre più vivo che cer­ca di nascondere, senza riuscirvi af­fatto, in una naturalezza esagerata­mente disinvolta).

GIOVANNA               - (a Silvio, Andrea e Maria). Dunque, il signore è convinto che io sia niente di meno che una mascotte e esige che io per la prima, alla te­sta- dei suoi amici, rimetta il piede 6ul suo yacht che ri naviga oggi per la, prima volta e ha gettato l'ancora in questa spiaggia. Quale donna non sarebbe lusingata di questo attributo di porta fortuna? Ho accettato dun­que di essere la madrina del Tartarin risorto a nuova vita! (a Alberto) Si va, allora? E i suoi amici?

ALBERTO                   - Aspettano un suo cenno, (a Piero e agli altri) Baravelli, Dauria, venite? Donna Giovanna è con noi.

GIOVANNA               - (vivacissima, mentre gli ami­ci di Alberto entrano da destra, ai sopraggiunti). Non corre pericolo d'un bagno, la vostra mascotte, a quest'ora?

Uno DEI GIOVANI    - (galantemente e Gio­vanna). Signora, garantiamo sulla nostra parola che questo suo gene­roso ardore non sarà spento nell'ac­qua!

PIERO                          - Sosterremo la passerella a forza di braccia finche la fata non sia sa­lita a bordo!

ALBERTO                   - (quasi prendendo Giovanna per mano). Andiamo dunque, madrina del Tartarin risorto!

GIOVANNA               - (a Andrea e Maria). Mi perdonate voi due: ma era un debito di coscienza. L'avevo promesso, (a Sil­vio, con aria disinvolta) Lei permette, Aroca? Intanto si torna subito; non è vero, Sanna?

ALBERTO                   - Oh! da qui alla spiaggia in un salto...

SILVIO                        - (a denti stretti). Ma s'immagini signora!

ANDREA                     - (a Giovanna che ora è sulla scaletta di fondo, vedendole ancora la lettera in mano). Da impostare? Dia a me, signora; ne ho una anch'io che deve partire stanotte.

GIOVANNA               - (consegnando la lettera a Andrea). Grazie, Baschi eri. A pre­sto! (Giovanna e gli altri scompaio­no nel fondo).

ANDREA                     - (a Maria). Sai, ho scritto a Algranati. Faccio ancora a tempo se imposto all'ufficio. Ci vado io stes­so. Addio, Maria, (a Silvio). Ci rivediamo,

SILVIO                        - (Esce da sinistra, mentre di sotto la balaustra salgono le voci e lo stre­pito della comitiva che è uscita or ora: battimani, un motivo di canzo­netta napoletana intonato in coro da tutti. Maria rimane sola con Silvio che ora è visibilmente turbato).

SCENA NONA.

Maria, Silvio

MARIA                        - (vedendo Silvio muto e pensie­roso). Che hai, Silvio? Dio, che aria da funerale! Siamo innamorati davvero dunque? O saremmo niente niente gelosi? (affettuosa) Con me puoi parlare, Silvio! Io credo d'aver diritto a ogni tua confidenza. Siamo stati ragazzi insieme!

SILVIO                        - (quasi timoroso di parlare, av­vicinandosi a Maria). Maria, l'uo­mo che tè vicino non. è troppe di­verso dal ragazzo che hai conosciuto tu! Ne ha fatta una delle sue, ma grossa stavolta, la più grossa di tut­te! E adesso ci soffre.

MARIA                        - Soffrire, tu? E di che?

SILVIO                        - Di che? Lo vedi? Appena un « permette Aroca » e nient'altro!

MARIA                        - Ebbene? Non può dunque an­dare dove le pare la signora Vinci? Anche se ha una simpatia per te, anche se ti vuol bene, non puoi pre­tendere che non ti lasci un momen­to! Ecco subito l'egoismo dell'uomo innamorato,.. La signora è così giovane, così vivace! Niente di più na­turale che stia volentieri con i suoi giovani amici e esca con loro come esce tante volte con te...

SILVIO                        - (con voce turbata). Maria, ma c'è... c'è che io non t'ho confessata ancora la mia pazzia (abbassando la testa e la voce come un ragazzo ver­gognoso di quello che dice) Maria, quella donna è... mia moglie!

MARIA                        - (incredula). Silvio, che dici?... La signora...

SILVIO                        - Sì: è mia moglie, è proprio lei... E io, capirai...

Maria                             - (trasecolata). Ah! Questa poi è incredibile! Ma

SILVIO                        -. . (Silvio non risponde pia, piega la testa in silen­zio. Maria lo guarda un poco con un'espressione tra di meraviglia e di pietà, poi:) Tale e quale! Eccolo lì. (bonariamente insieme e in tono di rimprovero) È vecchio ormai e ripete le sciocchezze dei vent'anni! Allora, te lo ricorderai - eravamo due sbarazzini io e te -  si partì in­sieme da Bologna per un viaggio di nozze, e tutto il mese di Fiesole, al Beau sejour, mi facesti passare per tua moglie! Oggi, l'inverso, Ma lo sai che mi commuovi quasi con la tua confessione, perché ti rivedo» ra­gazzo e un po' ringiovanisco anch'io. (Silvio non osa guardare Maria) Oh, questa si che è grossa! Alza la fac­cia, ragazzaccio' scapestrato e dimmi come t'è saltata in testa una simile pazzia.

SILVIO                        - (scusandosi come un fanciullo).. .. Che vuoi che ti dica? Non lo so neanch'io come e perché l'ho fatto! È stato un richiamo dei vent'anni! Ma, i un, richiamo improvviso, verti­ginoso quasi! Quando meno me l'a­spettavo, s'è aperta di colpo, come per un'improvvisa ventata, una gran finestra sulla mia giornata di profes­sore di latino e si sono affacciati lo­ro, i vent'anni, tali e quali, col mon­do d'allora, le persone d'allora, le idee d'allora: tutto come se il tempo non fosse trascorso... Ho ritrovato Falessi, Sferra; mi hanno detto che tu e Andrea eravate qui, amanti innamorati e felici, amanti ancora e vagabondi, come uno studente e la sua amichetta. Ho voluto vederla da vicino, questa vostra felicità supersti­te: da ragazzi ancora... E per non essere da meno di voi, ho finto l'av­ventura. Sentivo che la vita stava ma­turando in me, giorno per giorno, la persona seria imponeva sempre più grave alla mia giovinezza il giogo del­la sua austerità... In un momento di ribellione ho voluto scuoterlo da me, quel giogo, magari con una pazzia: questa! (le ultime parole di Silvio sono pronunciate da lui con una voce quasi commossa come se egli avesse pietà di sé stesso).

MARIA                        - Proprio lui! Scommetto che te la sei rapita da te, tua moglie! Chis­sà che trucco hai inscenato!

SILVIO                        - Non mi domandare di più: mi umili!

MARIA                        - Non importa: immagino bene tutto! (poi, con un accento di affettuosità quasi commossa) E adesso, capisco, hai come paura della tua stessa pazzia... (Silvio china di nuo­vo il capo. Lunga pausa, quindi:) Ora, sentimi, Silvio: se tua moglie ti ha seguito senza, ribellarsi, in una stravaganza come questa tua, ti deve volere un gran bene: è certo. Ma lo sai tu che cosa rischi cedendo all'età tua a questa smania di ragazzate, al­terando così, attraverso un'avventura sia pure immaginaria, il tono della tua vita coniugale? La fortuna t'ha regalato una mogliettina adorabile e tu rischi di svegliare in lei un temperamento che ignori, che oggi, se vuoi, procura una nuova febbre ai tuoi sensi e spezza la monotonia delmatrimonio, ma domani potrebbe riserbarti qualche amara sorpresa.

SILVIO                        - (insorgendo in difesa della mo­glie). Ah! no! Giovanna, mai! Gio­vanna non oserebbe mai! Mi ama troppo Giovanna:!

Maria                             - (ironica e bonaria insieme) Sil­vio, non ti fidare tanto di te! Fin­ché sei il marito di tua moglie, hai dalla tua tutti i diritti e tutte le pos­sibili difese; ma quando rinunci a questo privilegio e ti offri a tua mo­glie come un amante, è fatale che davanti ai suoi occhi tu subisca il confronto con tutti quelli che si of­frono nella stessa veste a una signo­ra giovane e bella come tua moglie. Silvio, dai ascolto a una danna che conosce le sue simili! Non svegliare in Giovanna un temperamento che è anche in lei perché dorme in fondo alla migliore di noi! (affettuosa) Ap­pagati di quello che la vita ti dà, ra­gazzo mio! Che bisogno c'è di met­tere sempre un po' d'ignoto nella propria esistenza? A diciotto anni, è naturale che si facciano simili co­se: a trenta e più è una colpa! Quan­do meno te l'aspetti, quell'ignoto che tu stesso hai cercato può prendere un volto, una voce, diventare qual­cuno insomma: un nemico! (si sente la voce di Alberto da sotto la balau­stra).

Voce di ALBERTO     - Buona notte, donna Giovanna!

Voce di GIOVANNA  - A domani Sauna! Buon sonno a bordo!

Altre VOCI                  - Buona notte, signora!

(Lo squillo delle risa gioconde di GIOVANNA Silvio assume un'espressione tra di sgomento e di rabbia che non sfugge a Maria).

MARIA                        - (con energia, a Silvio). Che cos'è questa faccia? Vorresti prendertela con lei farse? Ricordati che tutta la colpa è tua e che la gelosia è proprio fuori di posto adesso. Bisogna farsi perdonare; e salo l'amore, la passione ti possono giovare. Ti lascio con lei,

SILVIO                        - Sii suo marito che parla! Cerca di riconquistare tua moglie... (imperiosa) E dopo, subito a casa, ragazzi.

(Esce).

SCENA DECIMA.

Silvio poi GIOVANNA        

SILVIO                        - (solo, fra sé). A casa! Come dir­glielo adesso? Non so di dove incominciare... (Silvio piega la testa umiliato. Giovanna è in fondo alla sce­na: Vede Silvio, gli si avvicina sorridendo).

GIOVANNA               - Signor Aroca, che splendo­re quello yacht di Sauna, se vedesse! (con una giocondità quasi puerile) C'è la sala da pranzo, il fumoir, per­sino la passeggiata sopra-coperta. Ah, così la capisco, vede, la vita! Si sta sei mesi in città, in una gran­de città e alla bella stagione si navi­ga sul proprio yacht! Ah! essere ric­chi, tanto ricchi! Avere uno yacht anche noi! (ma Silvio tace ostinata­mente: sembra intento a un'altra vo­ce) Mia perché non dice niente? Aroca? Io parlo e pare che lei pensi ad altro. (Giovanna s'accorge del turbamento di Silvio, e cambiando subito tono, tra scherzosa e insinuan­te 🙂 Silvio, che forse la mia gita fi­no alla spiaggia, t'abbia dato ai ner­vi? E mi tieni il broncio per questo? Ma tu lo capisci; è vero? Dire di no, non si poteva. Sarebbe stata una ve­ra sgarberia! Né potevo dire a Sanna e ai suoi amici: « portiamo con noi anche il sig Aroca! »

SILVIO                        - Ci sarebbe mancato questo! Non sano mica una mascotte, io!

GIOVANNA               - Eppoi da parte nostra sa­rebbe stato come confessare che fra noi due... S'è sempre detto: che l'immagini no, va bene! Ma davanti agli occhi del mondo, ciascuno deve stare alla sua parte.

SILVIO                        - (con un principio di irritazione). Macché! Per chi m'hai preso dun­que? Mi credi cosi provinciale, così professore da noni capirle, le esigen­ze della vita mondana, della vita che facciamo adesso? (con autentica indignazione) Mi crederesti forse gelo­so?

GIOVANNA               - E allora, questa faccia?

SILVIO                        - (con uno scatto d'ira che è pale­semente più contro se stesso che contro Giovanna). Questa faccia! Perché? Che faccia ho?

GIOVANNA               - Scura,

SILVIO                        - Scura come laggiù, (indicando il buio nel fondo. Poi con tenerezza quasi carezzevole nella voce) Avanti, sii franco: che cosa vuol dire questa cera stranita?

SILVIO                        - Ebbene: vuoi proprio che te lo dica? La colpa è tua, perché tu, og­gi, senza saperlo forse, mi hai messo in uno stato d'animo angoscioso... tu, vedi, proprio tu hai spezzato l'in­cantesimo della nostra avventura d'amore.

GIOVANNA               - Io, e quando, e come?

SILVIO                        - (incalzando e come orgoglioso della piega che ha saputo dare alla disputa con la moglie). Tu, proprio tu, poco' fa, quando per giustificare una tua strana fedeltà improvvisa ai patti conchiusi mi hai fatto per la pri­ma volta ripensare a quell'altro là (scimmiotta la voce di Giovanna nel­la scena di poco prima) a quel po­vero diavolo che mangia in trattoria, che non può lavorare e ha bisogno del tuo ritratto sotto gli occhi e solo si annoia e si tormenta solo là nella sua casetta di Roma!... (con un su­bito tono melodrammatico) Ah! se sapessi il male che m'hai fatto con quel tuo fantasticare benedetto! {Gio­vanna segue l'invettiva di Silvio atto­nita. Pare che ella non capisca a che tenda il discorso di suo marito. Silvio insiste con impeto sempre più ac­ceso e tentando di commuovere la moglie) Da quel momento, Giovan­na, da quel momento io non ho pace più! Me lo vedo sempre vicino, quel pover'uomo! È qui, vedi, fra noi due anche adesso, mentre parlo! Tu dici che mangia male, che si tormenta, che sfoglia invano i suoi libri. Eb­bene; io ti dico di più. Non dorme neanche più, la notte, quel disgra­ziato! Ecco, io già penso con vero terrore e fra poco... quando dovrò entrare nel mio letto e posare la te­sta sud cuscino perché anche lì ci sa­rà lui con quel suo terribile pensiero fisso, lui che avrà bisogno di sfogarsi ancora una volta e mi ripeterà le pa­role che mi diceva poco fa mentre tu decantavi lo yacht di Sanna e pa­reva che io non t'ascoltassi neppu­re... No, Giovanna, non pensavo a chissà che cosa, io! Ero tutto preso dalla voce di lui che diceva: « Male, fa male Giovanna a fare così... Perché è andata sullo yacht con quell'imbecille e con i suoi amici? S'ubriaca troppo di chiacchiere e di lus­so! La conosco bene io! Me la può guastare tutto questo! » (con auten­tica commozione) E supplicava qua­si: «Portala via da quel mondo, Sil­vio! Riportala a casa mia, a ripren­dere la vita nostra. S'era tanto feli­ci! Portala via subito! Me la fai per­dere, se no! »

GIOVANNA               - (ridendo). Dio! che parolo­ni! Perdermi io, per così poco?

SILVIO                        - Sorridi eh? Proprio vero che non l'hai sentita tu, la sua voce che piange quando dice: « Riportami a casa Giovanna! » Non l'hai veduta la sua faccia, quando la sera entro nella mia camera, e lui è là, nel mio spec­chio, e sento che lo traversano im­peti d'ira e che se potesse si scaglie-rebbe contro di me perché dice che sono stato io, io capisci? a turbare la sua pace, e avvelenargli la vita... (nella voce di Silvio è, ora, una com­mozione profonda e persuasiva. An­che Giovanna ne è turbata. Silvio se ne accorge e tenta di approfittare del turbamento della moglie. Le prende tutte e due le mani e carezzandole le braccia e le spalle e poi stringendola a se le mormora 🙂 Giovanna, ritorna a lui! Giovanna, perdonalo, il tuo Silvio! Giovanna, partiamo domani!

GIOVANNA               - Partire? Lasciare Sorrento subito?

SILVIO                        - (con disperata energia). Sì, do­mani: è necessario perché Silvio ri­trovi la sua pace!

GIOVANNA               - Come? E gli impegni che abbiamo? Non. te li ricordi già più? Domani la gita in mare: sabato il pranzo coi Baschi eri in campagna (incalzando) E il garden-party alla villa dei Seramo? Sai: ho dovuto accettare anche il garden-party! M'ha fatto invitare la principessa, in per­sona: la principessa, capisci? Che fi­gura! Dio mie! Pensa tu che direbbe la gente.

(Rientra in questo momento lo stes­so signore inglese che s'è veduto già prima durante l'atto. È sempre solo e arcigno con il solito libro sotto braccio. Fa anche questa volta il suo bravo inchino assai ossequioso a Sil­vio e a Giovanna: ma i due non gli badano neppure. Il signore inglese ha un moto istintivo di meraviglia perché non si è risposto al suo saluto, bor­botta qualche parola fra ì denti, poi si siede tranquillamente a uno dei tavolini presso la porta di destra e di nuovo apre il libro alla luce della lampada).

SILVIO                        - (a voce alta). Che m'importa di quello che dice la gente? Che cosa dico io, che cosa voglio io, questo importa soltanto, adesso!

GIOVANNA               - (quasi sbigottita dell'eccita­zione dì Silvio e accennando al vec­chio inglese). Silvio, c'è quello là. Mi comprometti! Ci roviniamo così.

SILVIO                        - (sempre più eccitato, gridando quasi). Ma che rovinarci! Ci salvia­mo! Io me ne infischio della gente! Toh! (le si avvicina e fa per scoc­carle un bacio sulla gola, Giovanna tenta di sfuggire, ma Silvio esaltato vieppiù dalla paura istintiva della donna la afferra vigorosamente e la bacia senza ritegno). Dicano, poi, quello che vogliono! lo me ne rido! Vorrei, vedi, che non soltanto quell'idiota lì, ma tutti fossero qui, tutto l'albergo, a vedere come Silvio si tenga la sua Giovanna fra le braccia e se la bacia a piacer suo e a dispet­to di tutti!

(Nell'impeto della sua improvvisa e quasi folle esaltazione Silvio scocca altri due o tre baci sul viso di Gio­vanna che non riesce a trattenerlo. Il signore inglese il quale aveva assi­stito attonito alle prime espansioni di Silvio ora sì alza sdegnato e si avvia verso la porta. Ma la voce di Silvio ha richiamato gente. Qualcuno si av­vicina ai due, incuriositi di quello che accade. Fra i primi a accorrere è Ma­ria: ella guarda Silvio, stupita, poi 🙂

MARIA                        - Ma Silvio, che accade?... Che c'è?

SILVIO                        - (urlando, al colmo dell' esaspera­zione). C'è... che è mia moglie, è mia, e me la riprendo e me la porta con me!

Cala la tela.

ATTO TERZO

La stessa scena de! primo atto. Una calda giornata di Giugno. Le due del pomeriggio.

SCENA PRIMA.

Silvio, Giovanna, il Prof. Falcini, il Prof. Modugno,

la signorina FALCINI, Mimì Albieri, Sandrino Modugno, FRANCESCA

(Appena sì alza la tela, si vedono dalla porta di fondo avanzare con un passo comicamente austero e lento le coppie degli ospiti che hanno lasciato adesso la sala da pranzo. Come è d'uso ancora nelle famiglie della pic­cola borghesia quando ci sono stati invitati alla mensa familiare, ogni si­gnora è al braccio del cavaliere. Pri­ma fra tutti entra Giovanna al brac­cio del prof. Falcini, più ossuto e più tetro che mai nel suo tait nuovo. La Signora Modugno vien subito dopo al braccio di SILVIO Mimì Albieri è al braccio del Prof. Modugno. Ulti­ma in fondo la Signorina Falcini, oc­chialuta e arcigna. Ella tiene per ma­no Sandrino Modugno con poca gioia del ragazzo a quanto sembra dall'a­ria stranita di lui. Sul volto di tutti gli ospiti è quell'espressione quasi volatizzata di soddisfazione gioiosa che danno ai commensali i cibi e i vini d'una colazione abbondante. Solo i padroni di casa non dividono questa esaltazione gioiosa: Giovanna appa­re stanca, assente e preoccupata di nascondere la nausea della gente che ha in casa, Silvio intento a vigilare il contegno della moglie verso i suoi ospiti. Appena questi sono entrati nello studio di Aroca, Sandrino si li­bera con uno strappo sgarbato dalla mano della accompagnatrice e corre a intrufolarsi tra Giovanna e il Prof. Falcini. La Signora Modugno che ha la­sciato il braccio di Silvio per andarsi a sedere su un divano presso l’avanscena sorprende il gesto del figliuolo e si mostra visibilmente contrariata dal fatto che Sandrino abbia lasciata sola la signorina Falcini. Entra ora Francesca con il vassoio del caffè. Depone il vassoio e esce. Le signore si son tutte sedute tranne la signori­na Falcini che curioseggia tra i libri di Silvio e Mimì Albieri che comin­cia a Versare il caffè alle signore. Gli uomini fumano in piedi. Giovanna è seduta vicino alla signora Modugno e Sandrino se ne sta con aria, tra beata e sorniona, attaccato alla padrona di casa).

Sig.ra MODUGNO      - (a Sandrino, che final­mente ha a portata di mano 🙂 Bada, Sandrino! Quando la mamma ordina qualche cosa, bisogna ubbidire. T'ho' detto di offrire il braccio alla signo­rina Falcini e tu invece, sempre in­trufolato fra la signora   - (allude a Gio­vanna) e il suo cavaliere! Ma quante volte ti si deve dire che non sta bene disturbare le persone che parlano fra di loro? Avanti, sentiamo: perché non hai offerto il braccio alla signo­rina Falcini come t'ho detto io?

SANDRINO                - (puerilmente, sottovoce 🙂 Perché è brutta... con gli occhiali... Non mi piace, mamma!

Sig.a MODUGNO       - (atterrita dalla sfron­tatezza del ragazzo:) Silenzio, villa-naccio! Ma sentitelo qua! (a Giovan­na, che ha sorriso all'uscita di San­drino) Lo perdoni, per carità, Si­gnora! Proprio mi pento d'averglielo» portato a casa... I ragazzi troppo svelti alle volte, sono delle vere di­sperazioni... S'immagini se la signo­rina Falcini l'avesse inteso! (al ra­gazzo). Ah, Sandrino, Sandrino! Li­na scena simile in casa della signo­ra Aroca! (Ma Sandrino resta immobile e muto a guardare estatico GIOVANNA. La Signora Modugno lo inve­ste) Avanti, chiedi perdono prima alla signora, poi a tua madre.

GIOVANNA               - Perdono a me, signora Mo­dugno! (a Sandrino) Qua un bel ba­cione invece, e non mettere il bron­cio, veh! (Giovanna attira a sé il ra­gazzo e lo bacia sulla fronte. Ma Sandrino è preso come da un subito impeto di tenerezza per la padrona di casa, tenerezza che il ragazzo aveva chiuso fino allora nella sua mu­ta ammirazione e risponde con due o tre baci che scoccano sulle guancie dì

GIOVANNA                  - Giovanna alle prime rimane un po' sorpresa, poi rivolta alla Signora Modugno esclama) :Ah! sveglio, è sveglio, non c'è che dire!

(Mimì Albieri intanto passa con la zuccheriera davanti a ciascuno degli ospiti).

MIMÌ                            - (alla signorina Falcini, che ora ella si trova vicina). Quanti pezzi, signorina?

Sig.na FALCINI          - È, una vecchia abitudi­ne; lo bevo amaro.

MIMÌ                            - E lei, professore?

Prof. Modugno             - Per me piuttosto dol­ce...

(Intanto Silvio e il prof. Falcini si sono tratti in disparte Verso il Vano della finestra. Silvio è tutto intento a quello che gli dice Falcini. Gli al­tri ospiti disposti qua e là nello stu­dio parlano fra loro).

Prof. FALCINI            - (a Silvio). Ti dico che quella lettera anonima fu una gioia pel preside. La fece leggere a tutti! Poco mancò che non ne desse lettura anche agli scolari! Pensa: m entrò in. di'asse durante la lezione, fece sta­re in piedi la scolaresca quasi una decina di minuti per dirmi sottovoce che gli era giunta una lettera da Na­poli gravissima: la denuncia che tu e la signora Giovanna non erava­te sposati! Capisci che lui non te la perdona, d'essere mancato tu solo, alle; sue nozze d'argento! E quella: lettera gli faceva buon giuoco...

 

SILVIO                        - Che imbecille! Prestar fede a una lettera anonima!

(Intanto il Prof. Modugno che fi­nora parlava con la signorina Falci­ni si avvicina a Silvio, da una parola che coglie a volo capisce di che par­lano ì suoi colleghi e entra subito nell'argomento):

Prof. Modugno             - C'è costato, sai, persua­dere Voglia! Appena saputo dove eri, voleva venire a interrogarti lui stesso, voleva fare un'inchiesta da se, capisci, prima che lo scandalo scoppiasse, diceva lui, per salvare il buon nome dell'Istituto! Ce n'è voluto, t'assicuro, per persuaderlo che quella lettera non poteva essere altro che l'invenzione di qualche sco­laro bocciato.

(Ora Sandrino, che Giovanna ha preso a sedere su le sue ginocchia si agita in modo così sconveniente che la signora Modugno è costretta a sgridarlo di nuovo) :

Sig.ra MODUGNO      - (a Sandrino). Ma che hai oggi? L'argento vivo. Qua, buo­no! Se no, chiamo il professore (poiché il Prof. Modugno viene in questo momento verso di lei) Temistocle, ma non lo vedi, Sandrino? Digli qualche cosa tu, almeno!

Prof. Modugno             - (severamente). Avan­ti, Sandrino, scendi subito di lì! Non dare fastidio alla signora! (lo pren­de per una mano e lo trascina rilut­tante accanto alla signorina Falcini che nel fondo discorre con Mimì. Poi torna e si siede a destra di Giovanna mentre lo. Signora Modugno siede sullo stesso divano a sinistra della padrona di casa. Silvio è Fal­cini riprendono il discorso interrotto nel vano della finestra).

Prof. FALCINI            - (a Silvio mostrandogli i coniugi Modugno, che premono d'o­gni parte la povera Giovanna). Ma vedo che hai imparato a vivere! È. stato un vero gesto politico invitare la trinità Modugno per il tuo com­pleanno! La signora Costanza e la si­gnora Voglia sono legate a fil dop­pio: e in casa del preside, il nuvolo e il sereno, io fa proprio lei, la moglie! Anzi avverti la signora Giovanna di non trascurare la vec­chia se vuol farti una vita possibile al ginnasio. È il consiglio d'un ami­co che conosce l'ambiente.

Sig.a MODUGNO       - (a Giovanna). Ecco: adesso che è qui lui, voglio che glielo dica lui stesso, (al marito) È vero, Temistocle che la signora pareva li conoscesse, i tuoi gusti? Perché... Non che il professore sia goloso: ma, in fatto di culinaria ha anche lui le sue predilezioni...

(Il Prof. Modugno fa cenno alla moglie di non insistere, ma elio, in­fervorata com'è non se ne accorge e prosegue): Vede, signora: quel brodino di spinaci con gli interiori di pollo... ci va matto, creda, il profes­sore! (altro cenno dì dispetto da parte del Prof. Modugno poi) :

Prof. Modugno             - Ma che dici mai, Co­stanza?

Sig.ra MODUGNO      - Niente di male, ca­ro! Anzi io trovo che quando la pa­drona di casa indovina così a mera­viglia i gusti degli ospiti, è peccato nasconderglielo! Perché è una cosa rara (a Giovanna). È vero, signora?

GIOVANNA               - (che è evidentemente tedia­ta dalle chiacchiere della sua vici­na) Ma...

Sig.ra MODUGNO      - S'immagini! Temisto­cle non ci mette mai piede, in cuci­na. Ma se sa che ho fatto gli spina­ci con, gli interiori, la tentazione è più forte di lui e, una capatina fra le pentole, ce la dà anche il profes­sore.. .

Prof. Modugno             - (infastidito dalle paro­le della moglie). Ancora, Costanza?

GIOVANNA               - (fra ironica e scherzosa al Prof. Modugno). Ma la lasci: è de­lizioso! Vuol dire che tutti questi bei complimenti io li passo a Francesca perché il merito, se mai, è tutto suo. (In questo momento Mimì si è av­vicinata a

GIOVANNA                  - Mimì ha seguito con una controscena efficacissima le battute dì Giovanna e della signora Modugno la quale ora si alza per deporre la tazza dei caffè che le era rimasta in mano e si avvicina a Sil­vio: in modo che Mimì e Giovanna restano per un momento appartate in quell'angolo della scena).

MIMI                            - (a Giovanna). Che pena mi fai, povera Giovanna! E anche Silvio come ci soffre anche lui! si vede!

GIOVANNA               - (sottovoce). Non ne posso più, credi. Mi hanno preso nella mor­sa, moglie e marito! Chissà? Hanno bevuto un po' forse tutti e tre i Modugno, perché così... movimentati non li sapevo...

Sig.ra MODUGNO      - (dall'altra parte dello studio a Silvio con un'aria di prote­zione). Anche stasera, professore, vedrò la signora Voglia. Anche sta­sera parlerò di Giovanna alla moglie del preside. Glielo dirò proprio quan­to è stata cara oggi! Che amore di donna! Ma creda, professore, la si­gnora Voglia ha una, vera simpatia per

GIOVANNA               - Specialmente adesso che la tempesta è passata. Anzi, sen­ta. Perché non persuade Giovanna a venire con noi la sera, all'oratorio de­gli Orfanelli, alla Società delle pie signore che la Voglia presiede? Fa­rebbe un'impressione ottima ai Vo­glia, marito e moglie!

SILVIO                        - Ma certo. È vero, Giovanna, è vero che andrai all'oratorio degli Orfanelli?

GIOVANNA               - (un po' riluttante). Se pro­prio ci tieni!

Sig.a MODUGNO       - (insinuante, a Giovan­na). Sa, sì: venga, signora. Passia­mo a prenderla noi stesse, io e la si­gnorina Faccini. Stasera alle sei, d'ac­cordo?

(Giovanna guarda con un occhio supplichevole

SILVIO                          - Ma Silvio dice con ostentata freddezza) :

SILVIO                        - Bisogna che tu vada, GIOVANNA

GIOVANNA               - (chinando il capo umiliata). Andrò se ti fa piacere...

Sig.ra MODUGNO      - Ma sì che verrà anche la signora Aroca! Ormai la signora è una delle nostre e ci penseremo noi a non lasciarcela sfuggire. D'ora innanzi io conto dì vederla sempre Faremo delle lunghe passeggiate in­sieme. Verrà anche a casa mia, spesso.

GIOVANNA               - Certamente, signora...

Sig.ra MODUGNO      - Ci troverà un po' dì chiasso con quei sei diavoletti! Ma ormai è bene che impari. Un bel gior­no toccherà anche a lei (con aria scherzosa a Silvio): Non è vero, professore?

SILVIO                        - Questo è nelle mani del desti­no!

Sig.ra MODUGNO      - Che c'entra il destino? È un dovere per due giovani sposi! Una famiglia senza figliuoli è una ve­ra e propria immoralità (a Giovanna) È vero, signora, che vogliamo vederlo presto fiorito, il nido (amorosamen­te, dopo una breve esitazione) Par­don! Ma quel lei è proprio una stona­tura. Permetti, eh? Diamoci del tu... Comincio io... È un privilegio che mi dà l'età....

GIOVANNA               - Ma si figuri!... (riprendendosi subito) figurati!...

Sig.ra MODUGNO      - Cara... cara... lo sen­to che diverremo intimissime presto!

Prof. FALCINI            - (a Silvio). A casa tua, Silvio, si resterebbe delle giornate senza accorgersene. Ma io ti ricordo che domattina continuano gli orali d'italiano. Bisognerà che ti mandi le tesi che ho già preparato perché tu aggiunga Le tue. Sai che bisogna la­sciarle in segreteria prima di sera? Te le mando, allora subito.

SILVIO                        - No, non me le mandare tu, ven­go io a prenderle. Casa tua da qui è a unpasso. Voglio uscire un po'. Se non s'esce dopo colazione, a mettersi a lavorare subito, piglia quella son­nolenza... specialmente in questa sta­gione.. .

Prof. FALCINI            - Volevo risparmiarti la strada.

SILVIO                        - No: preferisco.

Prof. FALCINI            - Allora, andiamo (inchi­nandosi a Giovanna). Infinite grazie, cara signora! (alla figlia) Sei pron­ta, Gretchen?

 Sig.na FALCINI         - Metto il cappello e il velo, babbo.

Prof. Modugno             - Bisognerà andare an­che noi, Costanza!

(La Signora Modugno si avvia con la signorina Falcini verso la stanza da letto di Giovanna: prima d'entra­re, a Giovanna) :

Sig.ra MODUGNO      - Noi andiamo a vestir­ci,

GIOVANNA               -

GIOVANNA               - Vi accompagno.

(Giovanna, la signora Modugno, la signorina Falcini, via dalla porta di destra).

Prof. Modugno             - (a Silvio). Ci avete re­galato veramente ima mattinata deli­ziosa, tu e la signora. Ancora a cen­t'anni e auguri di una luminosa car­riera scolastica!. ..

(Entrano dalla porta di destra Gio­vanna, la signora Modugno, la signo­rina Falcini ; le due ultime col cap­pello e la Veletta).

Sig.ra MODUGNO      - (a Silvio). Lei esce con noi, professore?

SILVIO                        - Sì, signora.

Sig.na FALCINI          - (stringendo la mano dì Giovanna). Di nuovo, ringraziamen­ti infiniti, Signora! E a più tardi. (Si avviano verso la porta di fon­do: sulla soglia la Signora Modugno si volge a Giovanna): Dammi un ba­cio, cara. Allora intesi? A stasera alle sei.

GIOVANNA               - (bacia la Signora Modugno freddamente e borbotta fra i denti): Sì, cara! (I coniugi Modugno, Sandrino, padre e figlia Falcini tendo­no la mano a Mimì che sta vicino a Giovanna e scambiano con lei saluti d'uso. Giovanna saluta Silvio il qua­le esce cogli altri).

SCENA SECONDA.

Giovanna, Mimì.

GIOVANNA               - (a Mimì, con esagerata esul­tanza come se ella non credesse alla felicità dì essere rimasta sola con l'amica) Finalmente! Di'; se ne sono andati, proprio tutti? Non ne potevo più. Senti, Mimì: fammi il piacere; fatti guardare bene, passeggiami un po' davanti, passeggia su e giù per la stanza... Ch'io veda una donna da­vanti a me! Hai inteso eh! che ro­ba! (scimmiottando la signora Modugno e fingendo la stessa voce e gli stessi gesti di lei) a Qua, Sandrino! buono Sandrino! Se no, chiamo il pro­fessore! » E tutta quella storia della cucina! D'io come erano buffi! (si siede dove la signora Modugno era seduta poc'anzi e riprende a scim­miottarla) « Temistocle sa, ha una ve­ra e propria passione per il brodino di spinaci con gli interiori perché, sa, anche il professore in fatto di culinaria.. . »

(Mimì consente subito allo scher­zo cui Giovanna l'invita. Ora ella è in piedi proprio là dove era il professor Modugno, poco prima, quando redarguiva la moglie, rigida, nell'at­teggiamento del professore, risponde a Giovanna, con voce maschia e roca).

MIMÌ                            - « Ma che dici, Costanza? Ma per carità, Costanza! »

GIOVANNA               - (insistendo e sempre più ca­ricaturale) « No, no. voglio che glie­lo dica proprio il professore... È ve­ro, Temistocle? Non è un miracolo trovare una padrona di casa che in­dovini così bene i gusti degli invita­ti?»

MIMÌ                            - (come sopra). «Andiamo, via, Costanza! Ma ti pare che sia il caso di parlare di questa roba? »

GIOVANNA               - (riprende il tono normale). E che sfacciata, anche! Chi gliel'aveva chiesto quel tuo e quel bacio? (con un gesto di ribrezzo) Deve fiutare il ta­bacco quella a casa sua, scommet­to! Beh vedi: loro son fatti così e va bene; Ma io, che non capisco, è Silvio! Dì: lo riconosci tu Silvio? perché è lui che lo vuole tutto que­sto! È lui che se A tira in casa. Che bisogno c'era d'invitarli a colazione oggi? (pausa, poi) Dio! quanto è mutato! Prima, ti ricordi? Ne avevo quasi paura. Adesso invece la sua felicità è tutta qui: vedermi accanto alla Signora Voglia, alla signora Modugno, a quel coso con gli occhiali, là! L'hai sentito, il ragazzo? Pensa: si fanno ribrezzo anche fra loro! E io dovrei essere regata alle gonne di quelle megere? (ironicamente) M'a­spetteranno al sodalizio delle pie Si­gnore, stasera!

MIMÌ                            - Ma no, Giovanna, esageri... credi che ci si diverta lui con quella gente? Io lo guardavo poco fa. Se avessi veduto che faccia. E anche durante il pranzo!... Non ha parlato quasi mai. E sempre gli occhi giù... gli dava fa­stidio, anche a lui, vederseli intorno, credi!

GIOVANNA               - E adora a che scopo tutto questo? Se anche lui,...

MIMÌ                            - Perché non vuoi riflettere un po­co, Giovanna? Ma è così naturale quello che è accaduto a Silvio! In un momento di esaltazione, di pazzia d'a more, ti ha trascinato lui stesso in un'avventura scapigliata, da ragazzi quasi... Poi s'è accorto d'aver fatto una grossa corbelleria e adesso... dà macchina indietro! È così chiaro.

GIOVANNA               - Quello che è certo è che dalla nostra famosa gita a Sorrento in poi la vita con quest'uomo è tutt'altra cosa! Non vuole vedere che la gente di oggi, capisci? Con gli altri mette subito un muso... Gli danno ombra tutti, d'allora! Ma pensa le figure che mi fa fare con quel ragazzo, con Sanna! L'abbiamo conosciuto laggiù: lo sai. Ora è venuto a pas­sare un mese a Roma. È venuto a trovarci e ha ripreso anche qui a usar­ci un mondo di cortesie. Ebbene: va­gli a parlare di Sanna; diventa intrat­tabile. Figurati che s'è messo in testa di non riceverlo più, neppure...

MIMÌ                            - (sempre scherzosa). Ti farà un po' di corte forse?

GIOVANNA               - Ma no, per carità! È gentile, è giovane, è elegante... Non è un seccatore insomma come questi. Be­ne: gli dà così ai nervi che non gli vuol neppure parlare. Ora domando io: perché trattare così una persona che ha il solo difetto di essere corte­se, di essere un vero signore?

MIMÌ                            - Nervosismi dell'amore! Ma è cosa di un momento: gli passerà, cer­to, vedrai...

GIOVANNA               - Non so se gli passerà e quan­do! Ma senti: bene glie ne voglio e tu lo sai! Però, se lui crede di sa­crificarmi tra la moglie e le figlie dei suoi colleghi si sbaglia... T'assicuro che si sbaglia. Messa la vita nostra su questo tono, io non rispondo più del mio affetto per lui.

MIMÌ                            - Giovanna, che diavolo dici?

GIOVANNA               - Ma... Sono disgustata dav­vero! Proprio non mi sento la forza di piegarmi a queste sue manie im­provvise! O lui ritorna il Silvio che era, il Silvio che ho amato e che amo, ancora affettuoso', fiducioso, magari capace di una pazzia per amore o lui rischia di perdermi sul serio! Tutte le pazzie vedi, le ammetto: ma que­sto squallore di vita, no! Questo squallore da un momento all'altro, senza una ragione...

(Francesca entra dalla porta di fondo con una lettera e un gran maz­zo di rose).

SCENA TERZA.

Giovanna, Mimì, FRANCESCA

FRANCESCA              - Signora, un ragazzo ha por­tato queste rose e questa lettera (con­segna una lettera a Giovanna).

GIOVANNA               - Lascia qui i fiori e dai qual­che soldo al ragazzo.

FRANCESCA              - (mentre dispone le rose nel portafogli). Che splendore di rose, Signora! Comanda altro?

GIOVANNA               - No: vai pure (Francesca esce).

SCENA QUARTA.

Giovanna, Mimì.

GIOVANNA               - (guarda la soprascritta della lettera che ha in mano ancora chiusa, abbozza un sorriso, poi a Mimì). Sai di chi sono quei fiori? Sono di Alberto Sauna.

MIMÌ                            - Un po' di corte dunque te la fa? Confessa!

GIOVANNA               - Per un mazzo di rose, via! Se fosse Falcini a mandarle, vorreb­be dire che lo storico illustre è stato preso -  Dio ci scampi e liberi! -  da una pazzia d'amore fulminante per me; ma nel mondo di Sanna un omaggio di fiori a una signora è una cosa senza alcuna importanza... (Gio­vanna si sforza di sembrare indifferente, ma è chiaro che il dono di Al­berto l'ha subito messa come in uno stato di fantasticheria romantica. Si vede da tutto quella che fa. Prende una sigaretta dalla scatola che è sulla scrivania di Silvio, ne offre un'altra a Mimì) Prima non si poteva! E ne avevo una voglia! Ma... Se quelle là m'avessero veduta fumare, sai lo scan­dalo! C'era da far perdere il posto a

SILVIO                        -. . (fuma a boccate lente e e-guali come per assaporare tutta la vo­luttà della recente liberazione) Ah! Mi sembra di essere ancora laggiù! (legge forte l'indirizzo della lettera) « Donna Giovanna Aroca » (si com­piace del donna, medita un poco, poi a Mimì). Donna, capisci? Ah! Si re­spira un'altra aria! Siamo in un mon­do diverso     - (pausa: Giovanna scorre rapidamente la lettera: poi con uno scatto quasi puerile di gioia) Pensa, pensa, Mimì: ha avuto un palco di primo ordine per il concerto di sta­sera al Costanza. Una serata eccezio­nale! Ci sarà tutta Rema! E l'offre a noi ci offre di accompagnarci. Ora,, dimmi tu se non è veramente gentile? sa che adoro la buona musica! Ebbe­ne: vuoi vedere che dovrò rinunciare anche a questa serata? Dovrò mette­re qualche scusa; che sono sofferente o che Silvio è occupato stasera (decisamente) Senti, Mimì: se mi fa mancare questa occasione insperata, è la volta che mi ribello davvero!

MIMÌ                            - (guarda un momento ironicamen­te l'amica, poi trattenendo una risata). Giovanna che si ribella! Non sei tu, mia cara, la donna che si ribella! Perché tu oggi accora, come ieri, co­me sempre, sei tanto innamorata di Silvio quanto- lui di te... Soltanto, que­sto è un momento in cui il vostro pa­radossale amore vi fa quasi nemici. Ma a una donna non manca mai mo­do di risolvere certe crisi d'amore. Ricordatene e domina i tuoi nervi, so­pratutto...

GIOVANNA               - Non è così facile, sai. Perché anch'io mi sento un poi' mutata. Decido di regolarmi in un modo: poi, quando sono di fronte a lui, non so, è il mio temperamento che mi tra­scina...

MIMI                            - (nel tono scherzoso e ironico dì poco prima). Come? Abbiamo anche un temperamento adesso!? E da quando?...

GIOVANNA               - (ambigua). Ma... chissà? Da allora forse!... (Giovanna resta un momento pensosa: poi di scatto ri­volgendosi a Mimì) Mimì; se andia­mo, vieni anche tu con noi? Capirai: se dico a Silvio d'averti invitata c'è una probabilità di più che si decida.

MIMÌ                            - E Sanna? Che dirà Sanna?

GIOVANNA               - Oh! Ne avrà piacere anche lui! È così gentile con tutti! L'avver­tirò io stessa d'altronde.

MIMÌ                            - (alzandosi per andarsi a mettere il cappello) Mi telefoni allora, se ci andate? (esce dalla porta di destra e rientra subito dopo col cappellino in mano: si avvia verso Giovanna e l'ab­braccia). Addio, cara.

GIOVANNA               - Te ne vai? (baciando Mimì) Addio, Mimì. Ti telefono io al­lora.

(Mimì esce dalla porta di fondo).

SCENA QUINTA.

Giovanna, poi FRANCESCA           

(Giovanna è rimasta sola. Ella è in preda a un nervosismo che non rie­sce a dominare. Gira su e già per la stanza, prende due o tre libri nelle mani senza riuscire a fermar l'at­tenzione su nessuno dì essi, accende un'altra sigaretta, tuffa a lungo la testa nel fascio delle rose. Si capisce che l'odore intenso di quei fiori la fa fantasticare. Finalmente Giovan­na ha un'idea, suggeritale evidente­mente dalle rose di Sanna, che le dà una subita vampata di gioia quasi fanciullesca. Suona il campanello. Appare Francesca).

GIOVANNA               - Francesca, dammi l'abito di charmeuse nera, l'abito da teatro che ha portato ieri la sarta. E portami quella rosa di velluto che è nel pri­mo cassetto del comò. E l'ago e il filo nero.

FRANCESCA              - Subito, signora. (France­sca esce e ritorna subito dopo con quello che Giovanna le ha chiesto).

GIOVANNA               - Posa lì su quella poltrona, e vai pure.

(Francesca esegue e esce).

SCENA SESTA.

Giovanna, poi SILVIO

(Appena Francesca esce Giovan­na distende con cura l'abito sulla pol­trona, depone la rosa sulla spalla dell'abito -  come se volesse studiar­ne l'effetto, poi tra se e se con un sorriso di soddisfazione).

GIOVANNA               - Ci sta che è una delizia! È un po' eccentrico, ma per una sera­ta di gala! (Ella sta per mettersi al lavoro, quando dalla porta di fondo entra Silvio).

SILVIO                        - Di chi sono quei fiori?

GIOVANNA               - (indifferente). Li hi manda­ti Sanna. C'è anche una lettera

SILVIO                        - (subito rabbuiato). Che vuole?

GIOVANNA               - Ha potuto avere un palco al Costanzi per questa sera; per quel grande concerto... E ci invita, (lun­ga pausa: Giovanna spia sul volto di Silvio l'impressione che gli fa la proposta: poi dolcemente) Vogliamo andarci se non sarai stanco?...

SILVIO                        - Proprio stasera... dopo una giornata...

GIOVANNA               - (tra ironica e bonaria come se prevedesse e ripetesse le solite scu­se di Silvio) Gli esami eh! Il lavoro per domani? (si vede che ella esita tra il monito dì Mimì e la subita ri­bellione che il suo temperamento le suggerisce. Borbotta a denti stretti) E va bene... Non andremo neppure stasera. Chi deve decidere sei tu! (Ma l'impeto di rabbia ha già preso il sopravvento su ogni proposito dì dolcezza. Ora l'agitazione nervosa in te è acuita dallo sforzo che fa per non reagire alla Volontà di SILVIO. Cammina su e giù per la stanza) Va bene... Va bene... Faremo come vuoi tu! (a un certo punto ella si ferma davanti a Silvio e con una vo­ce nella quale la rabbia soffocata si mescola alla bonarietà indifferente che vorrebbe imporsi) Solo ti faccio notare, mio caro, che al Costanzi ci sarà tutta Roma stasera.

SILVIO                        - (tra ironico e aspro) E chi ti di­ce di no? Mancheranno Silvio Aroca e la sua signora... Credi che riman­deranno il concerto per questo?

GIOVANNA               - Ma un palco, Silvio, è un miracolo averlo trovato E mi vorresti far perdere un'occasione simile? Ho invitato anche Mimì!

SILVIO                        - (freddo). Hai fatto male! Avre­sti dovuto immaginare che non avremmo potuto accettare!

GIOVANNA               - (insinuante). Eppure sai quanto sono appassionata per la mu­sica!

SILVIO                        - E io mi ci annoio mortalmente. Eppoi, alla sera di una giornata co­me questa, ho diritto di andarmene a letto'.

GIOVANNA               - (insistendo e con una voce quasi puerile, cerca di commuovere Silvio). Inaugurerei stasera l'abito da teatro che mi ha portato la sarta ieri... (accennando all'abito disteso sulla poltrona) È lì pronto; è fatto come quelli che piacevano tanto a te, SILVIO

SILVIO                        - (quasi ironico) Se è per metterlo, lo puoi mettere lo stesso all'o­ra di cena... Lo metterai per tuo marito invece che per gli altri...

GIOVANNA               - (fatta subito aggressiva dall'ironia di Silvio). No, Silvio: tu non vuoi accettare l'invito di Sanna per una sola ragione, perché ti dà, ai nervi lui, Sauna!

SILVIO                        - (indispettito e sdegnoso) Non ti rispondo neppure!

GIOVANNA               - (insistendo ironica e rabbio­sa). È la verità: questa è la verità, Scommetto che se Modugno o Falcini, i tuoi riveriti colleghi, ti avessero proposto d'andare con loro magari su in loggione, avresti detto subito di sì... Anzi l'idea ti sarebbe sembrata geniale! Saresti ritornato a casa trionfante, m'avresti preso con mille moi­ne, m'avresti detto « Sai, Giovanna, la, magnifica idea di Modugno? Si va tutti al concerto stasera! Tutti quanti in carovana; Modugno, Falcini, il coso con gli occhiali, la signora Co­stanza, magari anche Sandrino... Sta­sera sì che ci divertiamo! » Allora niente stanchezza, niente sonno nien­te malessere... Invece con Alberto Sanna e con Mimì in un palco di prim'ordine, no! Eppure a Sorrento è stato così un buon amico nostro, San. ha! (ora ella tenta di toccare Silvio col ricordo di Sorrento e ripete con, la voce sottile, persuasiva) A Sorren­to, quando io e te, SILVIO. .

SILVIO                        - (esasperato dal ricordo inoppor­tuno). Sorrento! Quella è stata la sciocchezza di un'ora sfortunata! Sa­rebbe bene seppellirla una buona volta! ce n'è costata abbastanza di guai! Lo vedi che cosa sono costretto a fare per riguadagnarmi le simpatie dei colleghi e del preside? Ma perché credi che io li tratti in questo modo? Credi che mi ci diverta io con quella gente? Lo faccio per farmi perdonare la scappata di Sorrento!

GIOVANNA               - Che proprio tu hai ideata e voluta!

SILVIO                        - (amaramente). Lo dici come un rimprovero. Lo so che quella pazzia è nata qui (battendosi con rabbia sulla fronte). In questo cervello esaltato di ramanti coi! Ma non c'è nessuna ragione che tu me ne faccia, una colpa! (con vero dolore) Ci ho sofferto e ci soffro abbastanza, mi pare!

GIOVANNA               - (ironica). E va bene! Niente Costanzi stasera! Andrò al sodalizio delle pie signore ... Ma prima, visto che siamo nell'argomento, io vorrei sapere da te se si dovrà sempre vive­re a questo modo da ora innanzi. Io vorrei, Silvio, che tu tranquillamente rispondessi a una sola domanda; perché devo condurre una vita come questa io, alla mia età, io che non ho commesso1 nessun torto verso di te- e verso il nostro amore mai, io che ti ho seguito sempre, in tutto quello che tu stesso hai voluto? Perché? E tu hai il diritto di seppellirmi come in una prigione, fra gente che tu stesso aborrivi, così, per un ca­priccio improvviso? Parliamoci a cuore aperto, Silvio! Ch'io sappia alme­no che cosa, hai contro di me!

SILVIO                        - Nulla contro di te... (secco) Non voglio più tra i piedi quel si­gnore...

GIOVANNA               - Contro di lui, allora, ma in modo offensivo per me! (Pausa; poi molto gravemente) Silvio, tu abusi del bene che ti voglio e fai male perché da questo il mio amore può uscire mutato!...

SILVIO                        - (tace un momento come umi­liato dalle ragioni della moglie che egli nel suo intimo non può discono­scere; poi con un tono quasi suppli­chevole di voce). Giovanna, com’è vero che tu non mi guardi più con gli occhi d'allora! Hai sempre avuto l'anima mia nelle tue mani, e ora l'hai perduta se non ti rendi ragione tu stessa del mio cambiamento! Tu, prima e meglio di me! (nelle parole di Silvio è un'intonazione sempre più commovente e persuasiva) Come posso spiegarti Giovanna, quello che m'accade, se ho perduto completamente la mia pace, se non mi riconosco quasi più io stesso, se non riesco a discernere più, io, i miei sentimenti? (incalzando perché s'ac­corge che la sua sincera commozione arriva al cuore di Giovanna) Giovan­na, che errore ho commesso a spin­gere fino a quella aberrazione il no­stro amore, a staccarti un momento da me, sia pure per giuoco! Che sba­glio imperdonabile ubriacare d'av­ventura la nostra vita serena! Vedi in che modo ne sono punito, oggi! Eri il mio possesso sicura, eri la mia tranquilla felicità, eri l'amore senza ombra! E oggi invece! Oggi, per aver voluto rivivere un'emozione che non è lecito risuscitare quando si vuole, oggi mi tormento nel dubbio di averti perduta da allora! Da allora tutto mi dà ombra.... Dovunque, capisci? vedo un'insidia: nelle mi­nime cose persino! Basta un tuo sorriso adesso, basta il segno di una tua nuova eleganza a turbarmi! Perché mi domando subito: « A chi, a che cosa sorride Giovanna? Per chi ella aggiunge questo fascino nuovo alla sua grazia?» Prima non m'acca­deva mai di tormentarmi così! (prende Giovanna per le braccia e fissan­dole la fronte) Vedi; se oggi la tua fronte, questa tua bella fronte chia­ra, s'illumina d'una luce improvvisa, io non posso fare a meno di chie­dermi: «È solo per me quel pen­siero che ha attraversato adesso la mente di Giovanna e ha acceso la sua fronte?» Allora, ti ricordi? nella nostra buona vita d'allora, bastava che io ti passassi la mano leggermen­te sotto i capelli e lungo le tempie (le accarezza leggermente la fronte e le tempie) e mi pareva di toccarli con le mie dita, uno per uno, i tuoi pensieri... Era un cieco d'amore e li leggevo così...

(Lunga pausa. Giovanna è presa dalle parole di Silvio).

GIOVANNA               - Ma nulla è mutato, SILVIO... La tua fantasia soltanto può farti sof­frire senza ragione...

SILVIO                        - Non so... la mia fantasia, O for­se la luce stessa della tua giovinez­za! Dopo aver voluto, proprio io, che si avvampasse; di un bagliore più vivo, ho paura di quello che ho osato!! Penso che la vita che t'ho lasciato intravedere appena ti sia apparsa co­me la tua, vera vita e che tu, non possa più amarmi in questa che abbiamo ripresa e che sarà la nostra per sempre. È allora, Giovanna, che arrivo addirittura alla pazzia e sento quasi il bi sogno di soffocarlo, nel contagio di questo vecchiume, l'im­peto prepotente di vita che trabocca da tutta te stessa... Ma credimi: so­lo il mio nuovo tormento mi fa sem­brare cattivo con, te.

GIOVANNA               - (con molta dolcezza). Fan­tastichi, fantastichi, Silvio!,..

(Appare Francesca dalla porta dì fondo).

SCENA SETTIMA.

Silvio, Giovanna e FRANCESCA

FRANCESCA              - Professore c'è di là un ra­gazzo per lei. Dice che è un suo scolaro e che ha bisogno di parlarle. Due parole soltanto.... dice. (Silvio è ancora così assorto nel suo pensiero che non risponde a FRANCESCA. Pausa. Poi).

GIOVANNA               - (a Silvio). Bisogna riceverlo, Silvio?

SILVIO                        - Non ho ancora cominciato a trascrivere le tesi; e Falcini le sue, Ve ha già pronte! Eppure: come vuoi fare? Bisognerà riceverlo, lo scolaro! (a Francesca) Fallo passare questo ragazzo.

(Francesca esce).

GIOVANNA               - (avviandosi anche lei). Ti la­scio solo con lui, allora?

SILVIO                        - (trattenendola). Ma no! Che vuoi che abbia da dirmi un, ragaz­zo? Non sarà mica un segreto... Ver­rà a raccomandarsi per gli esami! Siediti e lavora. (Mettendole un li­bro fra le mani) leggi... Intanto lo sbrigo subito. Anzi, ho piacere che tu mi veda in funzioni professorali...

SCENA OTTAVA.

Silvio, Giovanna, e il Giovane scolaro.

(Francesca introduce il visitatore. Lo scolaro è un ragazzo sui sedici anni, che Giovanna guarda con com­mossa curiosità. Egli cammina im­pacciato tenendo il cappello in ma­no e senza osare di guardare in faccia il professore. Si vede che la presen­za di Giovanna aumenta la soggezio­ne del ragazzo, che si inchina goffa­mente davanti a lei e aspetta immo­bile la parola di Silvio, Francesca esce. Giovanna risponde al saluto dello scolaro e finge di leggere attentamente il libro che Silvio le ha mes­so tra le mani). .

SILVIO                        - Venite avanti: sedetevi lì! (ac­cenna a una sedia, ma il ragazzo re­sta in piedi, continua a guardarsi la punta delle scarpe e a tormentare la falda del cappello) Sentiamo dun­que: che: cosa volete dal Vostro pro­fessore? Voi siete...

GIOV. SCOLARO      - Sono Zappala, quel­lo dell'ultimo banco a destra, vicino all'invetriata...

SILVIO                        - Ah! si, ricordo benissimo, vi ho dovuto riprendere più d'una volta perché invece di stare attento alla lezione guardavate fuori dalla finestra, studiavate... le nuvole! Che co­sa aspettavate? Che la scienza vi pio­vesse dall'alto come la manna? (se­veramente) Ho già capito: e adesso che siamo agli esami, che siamo al redde ratìonem, adesso siete: venuto a raccomandarvi. È, vero? Ma è tar­di, ragazzo mio! Bisognava essere più seri prima, durante l'anno, studiare di più prima....

(Giovanna sorride; poi guarda di sottecchi Silvio come per supplicar­lo dì avere un'aria meno burbera. Silvio finge di non accorgersi dell'oc­chiata della moglie e Giovanna riprende a leggere).

GIOV. SCOLARO      - No, signor professore, non sono venuto per questo... Sono venuto da lei perché... lei solopuò farmi perdonare... lei è il più giovane dei professori... Il più buo­no, anche...

SILVIO                        - Perdonare! Ma che cosa dun­que? Parlate!

GIOV. SCOLARO            - Lei è nella commis­sione per l'esame d'italiano: è vero?

SILVIO                        - Sì. ebbene?

GIOV. SCOLARO            - L'altro giorno, agli esami scritti, ho fatto una mezza pazzia. Ma il tenia era così poetico, così pieno di sentimento! M'hanno detto che l'ha dato lei, quel tema: è vero?

SILVIO                        - (scattando). Insomma?

GIOV. SCOLARO            - (a testa china). Mi sono entusiasmato e invece di svol­gere il componimento in, prosa ho scritto una poesia su quel teina. E adesso ho paura che il preside non mi ammetta agli orali.

SILVIO                        - (ha una voglia matta di ridere, ma si domina e con un tono esageratamente severo che assume a forza). Male, avete fatto male assai! Non c'è che dire! Intanto il vostro gesto è una grave colpa d'indiscipli­na e voi sapete che il preside bada sopratutto alla disciplina, nella scuola!

(Lunga occhiata significativa tra Silvio e Giovanna che un'altra volta il tono adirato del marito ha distratta dalla lettura).

GIOV. SCOLARO      - Ma si prestava tanto a essere svolto in versi quel tema!...

SILVIO                        - Sarà: ma un ragazzo serio prima di prendersi una libertà simile, riflette se quello che sta per fare sia o no poco rispettoso per i suoi professori.

GIOV. SCOLARO      - Professore, io non ho riflettuto. Ho ubbidito alla mia fan­tasia soltanto...

Silvio                             - (scattando esageratamente). Sì: chiamatela come volete: fantasia, poesia! Ma in fondo a tutto questo non c'è che la maledetta vanità, la causa prima di tutte le nostre scioc­chezze. Sicuro: vanità e leggerezza, mio caro! La smania di ribellarci al compito che la vita ci assegna, di uscire sempre dalle nostre rotaie! La vita ci avverte « passa di qua ». E noi, zucconi di là, sempre; dalla, via storta! (Il giovane guarda attonito Silvio come se non intendesse le sue parole) Poi, un giorno ci si accorge che si è perduta la; strada per sem­pre; e allora tormenti, rimorsi, dispe­razioni! (Il tono della voce di Silvio rivela chiaramente come lo colpisca­no a fondo le sue stesse parole che egli profferisce incalzando sempre di più nell'invettiva. D'un tratto il suo sguardo gli cade sul volto sorridente di Giovanna che ha ascoltato immo­bile la paternale di Silvio e su quello smarrito dello scolaro. Allora Silvio si accorge che ha divagato, si ripren­de subito e conchiude con tono se­vero) E allora, si corre dal profes­sore perché ci aggiusti le faccende! Brutti segni all'età vostra, ragazzo mio! Quando si comincia così, si fi­nisce male quasi sempre. Si fanno corbellerie più grosse in seguito, sciocchezze irreparabili dopo, quan­do si è uomini maturi... Caro Zap­pala, della poesia bisogna guarire all'età vostra se non volete che Va realtà un giorno...

(Il GIOV. SCOLARO che non si, at­tendeva la filippica del maestro tace allibito: Giovanna supplica per lui da Silvio una parola affettuosa con uno sguardo molto espressivo).

SILVIO                        - (osserva un po' il giovane; poi bonariamente). Andate adesso. Ve­drò di aiutarvi; ma col preside sarà una cosa difficile: vi avverto. Quan­ti anni avete Zappala?

GIOV. SCOLARO      - Quasi sedici, profes­sore.

SILVIO                        - (scrolla il capo: poi si alza e accompagna il ragazzo fin su la porta tenendogli quasi paternamente la mano sulla spalla. Lo scolaro fa un nuo­vo inchino a Giovanna prima di usci­re). Arri vederci, Zappalà! E siate più serio d'ora innanzi! (Il GIOV. SCOLARO esce).

 

SCENA NONA.

Silvo, Giovanna, poi FRANCESCA

SILVIO                        - (riavviandosi versò la scrivania). Giovanna, sai chi è uscito da quella porta adesso? Silvio a sedici anni! Quanti ne avevo diversi an­ch'io sulla coscienza a sedici anni!

FRANCESCA              - (entrando). Signora, c'è il signor Sanna di là.

SILVIO                        - (a Francesca). Hai detto che era­vamo in casa?

FRANCESCA              - Ha chiesto della signora.

GIOVANNA               - (a Francesca). Hai detto che ero in casa?

FRANCESCA              - Sì, signora.

GIOVANNA               - (guarda un attimo Silvio, poi ambigua). Non, ci si va, dunque?

SILVIO                        - (alzandosi e avviandosi Verso la porta di destra). Guarda: metto giudizio. Fai tu!

GIOVANNA               - Che è quanto dire che noni ci andiamo. Almeno resta a dirglielo tu stesso1.

SILVIO                        - (già sulla porta). Ma no... Lascio te arbitra. Quello che fai tu è ben fatto. Di' che non ci sono io... (Silvio esce da destra. Giovanna fa cenno a Francesco di introdurre San­na. Francesco esce).

SCENA DECIMA.

Giovanna - Alberto.

(Appena entrato Alberto s'inchina galantemente a Giovanna poi mentre s'avvia a baciarle la mano, con esa­gerata vivacità).

ALBERTO                   - Vengono dunque? A che ora devo essere alba porta con la mac­china, stasera?

GIOVANNA               - Ehi! Come corre!

ALBERTO                   - (ridendo). Cento chilometri all'ora quando si fila verso il più lu­minoso sorriso che si conosca! .

GIOVANNA               - Calma, calma! Anzitutto io la ringrazio per i magnifici fiori, ma non vorrei che lei si disturbasse così spesso... Ogni due o tre giorni m'in­fiora tutta la casa!

ALBERTO                   - (tra enfatico e scherzoso). Ma io vorrei mettere i fiori di tutti ì giar­dini di Roma ai suoi piedi.

GIOVANNA               - (sorride all'enfasi di Alber­to, poi). In quanto poi al suo cortese invito per questa sera, Silvio e io sa­remmo stati veramente felici di ac­cettare se l'avessimo saputo ieri. Ma; proprio stamattina abbiamo promes­so ai Voglia che saremmo andati da loro. E Silvio non può mancare all'invito del suo preside. Ci sarebbe da far succedere l'ira di Dio...

ALBErTO                     - Ebbene, senta: facciamo co­sì. Il professore va dai Voglia e lei viene al Costanzi. Inviti lei chi vuo­le: non so, qualche sua amica. Non vorrà perdere un'occasione come questa!

GIOVANNA               - Come si vede che i'ei non conosce il nostro ambiente, Sanna! Crede lei che la moglie d'un profes­sore possa mandare il marito solo a un ricevimento dove saranno tutti i colleghi e rispettive consorti e lei an­darsene dove vuole? Crede che se i Voglia si vedessero arrivare Silvio solo, non ci troverebbero niente a ridire? Non siamo mica più a Sor­rento!

ALBERTO                   - Non c'è il professore? Vuol vedere che se ci parlo io persuado a mandare il preside a quel paese?

GIOVANNA               - Silvio è uscito. Ma creda non lo' persuaderebbe, certo!

ALBERTO                   - Donna Giovanna, se sapesse che pena mi fa!

GIOVANNA               - Eh! Lo capisco. Povero Sil­vio! Dopo tutta una giornata di lavoro andare a passare la serata in casa dei Voglia!

ALBERTO                   - No: che pena che mi fa lei!

GIOVANNA               - Io pena: e perché?

ALBERTO                   - Ma. sì, lei: è possibile che una donna come lei giovane, tutta vita, consumi la propria giovinezza di vivere addirittura I Una donna gio­vane come lei ha diritto a ben. altro! È tanto sa che penso tutto questo: da quando li ho veduti qui a Roma lei e suo marito, e ho capito che razza di esistenza è costretta a con­durre qui. Ma via! Una donnina co­me la signora Giovanna è un piccolo' delizioso idolo che si ha il dovere di adorare in ogni momento: senza tregua! E chi ha la fortuna di viver­le accanto deve avere un. solo pen­siero: quello1 di crearle intorno tutto un sorriso di vita! E non sacrifi­carla tra vecchie mummie che faran­no appassire anche questo fiore! (ap­passionatamente) Donna Giovanna, io non dovrei violare i segreti della sua vita e del suo cuore; ma pensi che da quando è partita da Sorrento io non ho potuto! più vivere lontano da lei e... sono corso qui.

GIOVANNA               - (cerca di volgere in ischerzo l'appassionata confessione di Alber­to). Eh! Eh! Proprio in quarta ve­locità! (e Giovanna tende la mano verso Alberto nel gesto di calmare l'impeto delle parole di lui).

ALBERTO                   - (afferra la mano di Giovanna e incalza con ardore sempre più acceso). Giovanna, pensi che accanto a lei in questo momento c'è un gio­vane che sacrificherebbe volentieri tutte le lusinghe della giovinezza per una felicità d'un attimo e immensa, per salire con le sue labbra da questa piccola mano su, su... (Alberto si protende verso il Volto impallidito di GIOVANNA. Ma la sua stessa audacia arma di una freddezza glaciale la donna che si ritrae da Alberto e lo fissa per un attimo immobile. Alber­to si scosta da Giovanna e mormora senza alzare la testa) Mi perdoni!

GIOVANNA               - Arrivederla, Sanna! (e s'av­via verso la porta di destra).

ALBERTO                   - (bacia la mano di Giovanna con esagerato ossequio ed esce).

(Giovanna resta un attimo dubbio­sa come se fosse incerta su quello che deve fare; poi dalla porta di destra chiama 🙂

GIOVANNA                       - Silvio, Silvio! (Appare Silvio).

SCENA ULTIMA.

Giovanna,  SILVIO

GIOVANNA               - Ti ho ubbidito, SILVIO Ho detto che non saremmo andati que­sta sera perché avevamo già un im­pegno.

SILVIO                        - (quasi commosso dalla remissi­vità della moglie). Giovanna!

GIOVANNA               - L'ho fatto Silvio, perché ti voglio bene davvero e ho sentito, poc'anzi tutto il tuo tormento. Solo ti chiedo in cambio una promessa.

SILVIO                        - Parla!

GIOVANNA               - Io ti chiedo di aiutarmi a guarirti. Io voglio che tu metta tutta la tua buona volontà per ritornare il Silvio che eri una volta. Noi abbiamo ceduto a una esasperazione d'amore che è stata lì lì per distruggere la nostra felicità. Ne siamo stati puniti tutti e due: tu dai questa ossessione di sospetti e di dubbi che avvelenano la tua vita, io dalla stessa naturale ri­bellione della mia dignità di donna che i tuoi sospetti hanno offeso' più di una volta. Ora tutti e due dobbiamo ricomporla, la nostra pace perduta, dobbiamo' ritornare Silvio e Giovan­na quali erano prima della loro ulti­ma pazzia, fiduciosi, abbandonati l'uno a l'altra, orgogliosi e felici di conoscersi a fondo senza più torbide smanie di mettere sempre un po' di ignoto nella loro esistenza.

SILVIO                        - (nell’abbandono della tenerez­za). Riconosco la mia colpa. Io ti ho spinta fino sul limite...

GIOVANNA               - (con significato). Sul limite estremo, Silvio Siamo stati come due ragazzi che giuocano sul ciglio del precipizio, si sospingono a vicenda, a vicenda si traggono- indietro e si divertono al rischio di ogni minuto. Ma il più sventato dei due sei stato tu! E io la più assennata. Così as­sennata che, vedi, ma sento in diritto di prendere per mano ili discolaccio e di guidarlo d'ora innanzi io stessa finché non abbia ritrovato la sua stra­da... La via. diritta per sempre... (e Giovanna tende la mano a Silvio).

SILVIO                        - (condiscende al giuoco di Gio­vanna). E il ragazzo sventato non chiede di meglio: ecco la sua mano: sì lascia guidare da te!

(Giovanna prende la mano che Silvio le porge come quella di un fanciullo. Ora i due sono nel mezzo della stanza. Giovanna guida Silvio verso la sua scrivania, ma s'accorge che la mano del marito invece di se­guire la sua, tende a trascinare lei verso la camera attigua).

 GIOVANNA              - (maliziosa e energica). No, caro! Là a tavolino! Al lavoro ades­so, se no davvero non farai a tempo stasera. E poiché Silvio resiste anco­ra, ella lo spinge scherzosamente come si fa con un ragazzo fino alla scriva­nia, lo fa sedere quasi per forza, gli apre davanti le carte, che Silvio ha sul tavolo, gli dice con un cenno gra­ve della mano) Il vostro posto è quello, professore!

SILVIO                        - Con te, qui?

GIOVANNA               - Con me!

(Giovanna si siede con un libro in mano davanti alla scrivania e Silvio comincia a scrivere mentre cala la tela).

FINE