FOTOREPORTER IN PROVA
(Monologo)
Io sono un fotoreporter, volgarmente detto paparazzo, e per trovare lavoro vi giuro che mi sono fatto il mazzo. Dopo molti tentativi andati a vuoto sono stato finalmente assunto in prova dal Mercurio alato, un giornale che aspira a farsi spazio nel settore dell’informazione e dell’attualità. Io sono sempre disponibile, reperibile e con il cellulare in mano, pronto a raggiungere qualunque zona, anche la più remota, del paese per scattare le foto, che servono a documentare con le immagini fatti di cronaca nera o mondani. L’altro giorno, nel corso di una rapina andata a male, è stato ucciso un poliziotto, naturalmente di origini meridionali, figlio unico di madre vedova. Un caso di cronaca nera come tanti altri, al giorno d’oggi peraltro nemmeno tanto rari, direte voi. Un caso come tanti altri forse per chi fa un altro lavoro, ma non per me, che con questi fatti ci devo vivere e un domani mandare avanti anche la famiglia. Avendo il mio giornale la necessità di coprire nel migliore dei modi la notizia, sono stato convocato dal direttore. Dice: “ va tu a fare questo lavoretto, ma fallo bene, mi raccomando, perché da esso dipende la tua assunzione definitiva. Se fallisci in questa prova, perciò, sono cazzi tuoi ” , ha concluso a muso duro il direttore, battendomi una mano sulla spalla.
Il delitto aveva scosso l’opinione pubblica ed era necessario soddisfare la legittima curiosità dei nostri lettori, scandagliando ogni angolo oscuro della triste vicenda e dando il giusto spazio alle ragioni della parte offesa. In questi casi la gente ha bisogno di immedesimarsi nella tragedia umana oltre che interessarsi dei suoi aspetti giudiziari, perciò, bisogna battere anche il tasto dei sentimenti, come fa la televisione ogni sera con le sue trasmissioni di cronaca nera. “Domani ci sono i solenni funerali con l’intervento delle autorità locali e nazionali”, mi ha detto il direttore,” ed è necessario corredare il servizio di cronaca con un reportage fotografico sulle fasi più significative dell’evento. La cosa più importante” ha tenuto a precisare il direttore, “ è fotografare la madre della vittima mentre piange per dare ai nostri lettori il senso del dramma che lei sta vivendo”. In effetti il volto di una madre in lacrime è sempre un’immagine forte, che commuove i lettori, più di qualunque commento giornalistico anche se scritto bene. Stia tranquillo direttore perché a quello ci penso io. Pianterò l’obiettivo di questa macchina infernale addosso alla signora, sconvolta dal dolore, e non la mollerò nemmeno per un istante nell’intero arco della giornata. Sono sicuro che prima o dopo un pianto se lo farà. E’ una cosa naturale, Santo Iddio. Lo farebbe qualunque madre anche la mia, che non ha certo il cuore tenero. In chiesa o al cimitero la signora si scioglierà sicuramente in lacrime ed io “zac, zac, zac! Clic, clic clic!” scatterò le foto a ripetizione come una mitraglia per immortalare la scena madre. “Falle un bel primo piano”, mi ha raccomandato il direttore, “perché la gente deve leggere negli occhi di quella povera donna tutta la pena, che prova per la perdita dell’adorato figlio.” Stia tranquillo,
direttore, so fare il mio mestiere e, se ci sarà la possibilità di farlo, io le fotografo
anche l’anima a quella signora. Anche l’anima. Questa è l’occasione della mia vita e non me la farò sfuggire. Me la lavorerò a fuoco lento ma dal campo ci deve sortire la fossa.
Sono uscito dalla sede del giornale e mi sono recato nella vicina trattoria per fare la mia solita cenetta. Mi sono seduto ad un tavolo in fondo alla sala e solo soletto ho cominciato a pensare al lavoro, che dovevo fare l’indomani. Cosa vuoi che sia riprendere il volto di una madre mentre piange, sconsolata, per la morte di un figlio? Pensavo. Le sue lacrime sono scontate e non può essere diversamente. In questi casi il dolore è così forte che non può essere represso e le lacrime prima o dopo vengono fuori come sfogo naturale ed io sarò lì, pronto a catturare con il mio obiettivo quelle immagini, che mi faranno fare bella figura con il direttore. O la va o la spacca. Con questo servizio mi gioco il mio avvenire.
Pensando al funerale la notte ho dormito poco e male e appena si è fatto giorno ho preparato tutto l’occorrente, facendo per prova anche qualche scatto a vuoto. Ho aperto e chiuso più volte la macchina fotografica per essere sicuro che tutto fosse in ordine e che avevo messo bene anche il rullino. Apri e chiudi, apri e chiudi finché mi sono convinto che tutto andava bene e con il cuore pieno di speranza sono andato a lavorare.
Quando la povera donna è uscita di casa per recarsi in chiesa, seguendo a piedi il feretro, era sorretta da due sue amiche. Io l’ho tenuta d’occhio per tutto il percorso, scrutandone i movimenti del viso e tenendo sotto osservazione soprattutto i suoi occhi ma l’effetto, che speravo, purtroppo non si è verificato. Durante la cerimonia religiosa ho potuto invece scattare molte foto, cogliendo i momenti più drammatici della stessa. Mentre il prete officiante pronunciava il suo discorso in memoria della vittima innocente, le lacrime hanno cominciato prima ad affiorare e poi a sgorgare copiose dagli occhi di quella povera madre il cui volto, già pallido ed emaciato, diventava sempre più smunto come se non avesse più una goccia di sangue. Bene, ho pensato, bene, questo è il momento giusto per dimostrare le mie capacità. Questa è una vera manna dal cielo per un fotoreporter in prova come me. E zac, zac, zac! Clic, clic, clic! Non ho smesso mai di scattare per catturare ogni stilla di quelle lacrime preziose. Zac, za, zac! Clic, clic, clic! Di faccia, di profilo, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, non ho lasciato nulla di intentato. Zac, zac, zac! Clic, clic, clic! Il mio flash non ha fatto altro che lampeggiare per tutta la durata della triste funzione. Alla fine ero tutto sudato ma ero certo di avere fatto un buon lavoro. Ma la cosa non è finita lì.
Al cimitero, al momento dell’addio, la scena è stata parecchio straziante ed io ancora una volta mi sono scatenato, scattando foto a ripetizione. Zac, zac, zac! Clic, clic, clic …. con un accanimento, che a qualcuno è sembrato addirittura feroce, tanto da suscitare la giusta reazione di una amica di quella povera donna addolorata.
Alla fine, ero contento come una Pasqua e, sicuro di avere fatto un ottimo lavoro, sono rientrato subito a casa per controllare l’esito finale ma nella circostanza ho avuto una sgraditissima sorpresa. Ho dovuto, infatti, constatare che il rullino era
tutto bianco perché la fotocamera aveva preso luce. Potete immaginare la mia delusione! Mi sarei dato un morso in un orecchio! Forse nella frenesia di fare bene ho commesso qualche errore nel preparare la macchina fotografica e all’ultimo momento l’ho lasciata un poco aperta. Allora, detto fatto, sono tornato di corsa al cimitero con la speranza di trovarci ancora quella donna in lacrime ma si era fatto tardi ed al cimitero non c’era più nessuno.
Non sapevo più cosa fare per rimediare a quella imperdonabile leggerezza e mi sono seduto sconsolato davanti alla tomba della giovane vittima poco prima tumulata. Speravo che mi venisse in mente un’idea, un’ispirazione, che nel cervello mi si accendesse una luce, che m’aiutasse a risolvere il problema e senza nemmeno accorgermene ho cominciato io stesso a piangere per la disperazione. Le lacrime hanno iniziato lentamente a scorrere sul mio viso e al contatto con le labbra mi sono parse più salate del solito. Il custode del cimitero, vedendomi smarrito, ha cercato di consolarmi. “Hai perso per caso un tuo prossimo parente?” mi ha domandato.
No, ho risposto io.
“Un caro amico?” ha insistito il becchino.
No, ho detto io, scuotendo appena la testa.
“Allora hai perso un conoscente?”
No, no, no! Io sono un fotoreporter in prova e per errore mi sono perso le lacrime della madre di quel giovane poliziotto assassinato, gli ho risposto io, indicando con la mano il loculo ancora fresco di cemento, e per questo motivo ora rischio di perdere per sempre il mio lavoro.
“Perché non vai a trovare la donna a casa sua, sperando in un supplemento di lacrime ritardatarie?”
Buona idea, ho detto io e, seguendo il consiglio del custode, ho cercato di rintracciare subito la “signora del mio destino”. Signora, mi dispiace di disturbarla ma devo rivolgerle una preghiera, le ho detto ancora ansimante al citofono.
“Chi è lei e cosa vuole da me?” mi ha risposto.
Sono un inviato del Mercurio alato e le devo chiederle un favore.
“La prego di lasciarmi in pace, sono stanca e addolorata e non ho voglia di parlare con nessuno”.
Signora sia gentile, mi faccia entrare, è questione di vita o di morte, le spiegherò tutto in due minuti.
“Solamente due minuti perché io sto molto male, mi creda”, rispose la signora. Ottenuto il nulla osta mi sono catapultato in casa sua, munito del mio attrezzo di lavoro e con la speranza di scattare quelle foto, che mi servivano veramente come il pane. Quando mi sono accorto, però, che la donna si era oramai rasserenata mi è preso un colpo al cuore. Oddio, ho pensato, questo repentino cambiamento del suo umore per me può essere fatale. Devo cercare in ogni modo di indurla nuovamente a piangere per portare a termine la mia missione. Signora, le ho detto, io ho seguito il funerale di suo figlio, che è stato barbaramente assassinato, ed ho provato per lei una
gran pena.
“Lei è molto gentile, giovanotto, ma ancora non mi è chiaro il motivo di questa sua
visita a quest’ora”.
Le spiego tutto, cara signora. Durante il funerale io le ho fatto qualche foto per accontentare il direttore del mio giornale, ma ho commesso purtroppo un grave errore e sono rimasto a mani vuote.
“Ho capito” disse lei rassegnata. Se è venuto per questo, faccia pure. Comprendo le esigenze dei giornali ma poi mi lasci andare subito a riposare, per favore, perché non ce la faccio più a stare in piedi”.
Le foto, che le ho scattato stamattina la ritraevano, però, piangente, cara signora.
“Piangente? Eh, no, caro signore. Se è così mi dispiace ma non la posso accontentare. Ho pianto tanto in questi giorni e ora, mi creda, non ho più lacrime da versare”.
Dico: un piccolo sforzo non lo potrebbe fare?
“Ma lei pretende forse di farmi piangere a comando? Mi ha risposto la vecchia risentita.
Io le chiedo due lacrime soltanto per fare qualche scatto frettoloso. Due lacrime, due soltanto.
Dice: lei è matto o insolente. La prego di lasciarmi in pace con il mio dolore e di cambiare atteggiamento.
Signora, io non voglio approfittare di lei ma, con le buone o con le … cattive due lacrime me le deve versare se no io perdo il posto di lavoro.
“Mi dispiace per lei ma le ripeto che non la posso accontentare”, rispose infastidita.
Dico: è possibile che pensando a suo figlio, giovane, bello, assassinato da un delinquente, lei non riesca a versare due lacrime supplementari per salvaguardare il mio posto di lavoro?
“I miei occhi sono asciutti perché ho già versato tutte le lacrime che avevo”.
Dico: signora, se lei non decide di piangere spontaneamente mi costringe a farle del male anche contro il mio volere.
“Lei è capace di farmi del male per amore di farmi piangere?”
Sissignora. Non ne posso fare a meno.
“Allora lei è un mascalzone?”.
Non sono un mascalzone sono un fotoreporter ancora in prova.
Dice: “se non se va subito da casa mia mi costringe a chiamare la polizia”.
Prima di vederla piangere non posso andare via perché ne va del mio avvenire. Perciò, mi perdoni se insisto ma non è colpa mia se il sistema mi spinge a fare questo.
“Se lei non se ne va io mi metto subito a strillare per attirare l’attenzione dei miei vicini di casa” minacciò la donna.
Ah, si? Vecchiaccia maledetta, non ti azzardare a farlo altrimenti ti concio per le feste. Allora sei una donna egoista e pensi solo a te stessa? Ma … lo sai che ti dico? Tuo marito è morto di crepacuore perché non ti sopportava più.
“Non dica queste cose, screanzato”.
Se ne è andato all’altro mondo per la disperazione di averti ancora accanto.
“Questo non è vero, non è vero”.
Sì che è vero. Lo sanno tutti che è vero.
“Lei è cattivo ed in mala fede e sta infangando anche la memoria di mio marito.
E se ora ti hanno ammazzato il figlio, hanno fatto bene perché sei egoista e di animo
cattivo. Che te ne fai delle lacrime, che ti sono avanzate, se non hai più nessuno su cui versarle? Buttali fuori da quegli occhi di ghiaccio perché questo è il momento giusto e non ti fare più pregare.
“Non dica queste cose perché mi fanno troppo male. Se continua così finisce che lei mi fa piangere davvero. Mi fa piangere davvero ….
Si, si è tutta colpa tua se hai perso prima il marito e poi anche il figliolo, ho ripetuto io, incoraggiato da quelle sue parole, che mi facevano bene sperare.
“Vada via, vada via da questa casa” urlava la signora. Lei è un diavolo, non un giornalista e mi sta mettendo in croce per raggiungere il suo scopo” e, così dicendo, si accasciò sul divano e scoppiò improvvisamente a piangere, maledicendo fotoreporter, cronisti e direttori di giornali.
Dai, dai, piangi, vecchiaccia maledetta, piangi, gioia, piangi, amore mio, che il traguardo si avvicina. Piangi, piangi e … finalmente ho potuto scattare le foto che mi servivano …. zac , zac, zac! Clic, clic, clic! Piangi, piangi, gioia, versa tutte le lacrime che hai e zac, zac, zac”! Clic, clic, clic! Non mi sono fermato un momento e, mentre lei giaceva inerme sul divano, ho fatto tutte le foto che ho voluto. Ah! Sono stato davvero fortunato, pensai. E, prima che il direttore mandasse alle stampe il giornale, gli ho consegnato, ancora calde di lacrime e sviluppo, le foto che lui si aspettava, meritandomi il suo elogio ed i complimenti di tutta la redazione del Mercurio alato per le immagini belle, crude e realiste, che mi ero procurato in esclusiva. Zac, zac, zac… clic, clic, clic … e finalmente sono passato di ruolo. Poi è accaduto quello che non mi sarei aspettato mai: sono stato contattato per “La vita in diretta” addirittura dalla RAI.
Italo Schirinzi