Il fratel prodigo

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Gianluca Rovagna

Gianluca Rovagna

Il fratel prodigo

Commedia in due  atti

Gianluca Rovagna

Corso Enotria 37

12051 Alba – cn

gianlucarovagna@libero.it

3496025766

3332124197


Ambientazione:

1°ATTO:

-1^ parte: casa di Luigi e Silvia. Ammobiliata in maniera ricca. Due porte laterali, di cui una è l’uscita.

-casa del “Pazzo”. Spartana. Porta di uscita sul fondo e una uscita laterale per un altro ambiente. Anche solo la camera da letto.

2°ATTO: in tre ambienti

-strada,

-una nuova camera da letto

-tribunale

Personaggi:

ANDREA: commercialista. 40 anni.

GIULIA: moglie di Andrea. 35 anni ca.

LUIGI: imprenditore. 40.

SILVIA: moglie di Luigi.

IL PAZZO: fratello di Giulia.

una ragazza, amante di Andrea.

Donna per strada.

Un  poliziotto.

Un giudice.

L’avvocato del Pazzo.


I° ATTO

PRIMA PARTE

A scena aperta, entrano, tutti e quattro dalla stessa parte, prima Giulia e Silvia, quindi Andrea e Luigi. Le due donne si parlano sopra, dei fatti loro: lavoro, moda… i due uomini parlano al telefono, di lavoro e di sciocchezze. L’effetto di due voci femminili a cui si aggiungono gli uomini.

Quindi quattro voci in contemporanea. Confuse. Le donne entrano ed escono portando bottiglie, paste, vassoi, sedie, fiori.

Dopo un paio di minuti, un campanello suona. Tutto tace. Silvia esce sola e rientra con dei cartoni di cibo di ristorante cinese.

S. – Era il Shaolin. Hanno portato gli antipasti. –

G. – Bene. Ho una fame. –

A. – Offriamo noi! Giulia, hai tu la borsa con il mio portafogli? –

G. – No caro! Non credo di averlo preso. –

L. – Oh, non preoccuparti! Siamo noi che vi abbiamo invitati. –

A. – Appunto perché siamo ospiti, è giusto che siamo noi a pagare la cena. –

S. – Perché? Puoi chiamare cena una serie di antipasti del take-away? Saranno… che so… quindici euro a testa? –

L. – Boh, anche meno. Vengono 42 euro in tutto, da scontrino. –

A. – Hai lo scontrino? Fatti fare la fattura, la prossima volta. Te la scalo dall’IVA mensile! –

L. – Perché? Posso? –

A. – Lo fai passare come cena di lavoro. Sono il tuo commercialista, rientro nei tuoi stakeholders. –

S. -  Io questa parola non la so usare. Non mi è molto chiaro il suo significato. A proposito di scontrini, Giulia, devo pagarti il reggiseno che ti ho chiesto di comprarmi in Via. –

G. – Figurati! L’ho comprato in Via ma non è così caro. Te l’ho detto che l’ho preso in quel negozio che sta chiudendo. –

S. – Vabbè, ma comunque te lo pago. Quanto ti devo! –

G. – Veniva 98 euro, una briciola. Dammi 97,50 così non ti do il resto. –

A.- Amore! Se ti da 97 e 50 il resto lo dovrai ricevere. –

S. – Cara, pare anche a me! –

G. – No cara! Se mi dai 97 e 50, togli due colazioni, gli stivali che ho portato a risuolare, aggiungi il cinema di tre venerdì fa, il disco che ho comprato per Andrea.. raggiungiamo cifra tonda. –

A. – Datemi tutte le ricevute che li porto in ufficio a Letizia. Tiene i conti di tutti. –

G. – A proposito, a che dobbiamo questa cena? –

L. – Come? A che dobbiamo? Siamo amici e ci fa piacere restare a cena con voi. –

S. – No, dai Gigi! Fa sempre il modesto, lui. In realtà una motivazione c’è. Avanti, tesoro, diglielo! –

L. – Beh, Andrea lo sa già. Non gli ho detto che lo avrei invitato a cena, ma... Quest’anno, anzi, nel 2008, sono riuscito a risparmiare dal fisco 48 mila euro. –

G. – Davvero! Complimenti, è meraviglioso. Beh, posso fare anche una parte dei complimenti a mio marito, vero? –

Giulia e Andrea si baciano in modo appassionato e un po’ pesante.

S. – I complimenti a te, Andrea, non si discutono, però è mio marito che, mi dice, ha avuto l’intuizione di comprare quei locali commerciali, sfrattarne le attività e quindi dichiararli come “acquisto di attività in fallimento”. –

L. – Però è stato Andrea a decidere di far chiudere quei bar storici e quel negozio di primizie. Non era facile trovare due attività adiacenti in quello stato di precarietà. –

G. – Come avete fatto? –

A. – Sapevo che erano tutti dello stesso proprietario, un mio cliente; ho fatto aumentare gli affitti con la scusa degli adeguamenti ISTAT arretrati: praticamente li ho strozzati!! Non potevano andare avanti con quelle spese! Casualmente, passava di lì un acquirente che ha comprato. –

G. – Meraviglioso! –

S. – Ora che ne farete? –

L. – Niente! Li teniamo vuoti. Per cinque anni possiamo mettere a bilancio le perdite continuando per cinque anni a frodare l’Erario. –

A. – Sono orgoglioso di me! –

L. – Anch’io sono orgoglioso del nostro lavoro. Questo Stato, anziché aiutare la libera iniziativa commerciale, l’imprenditoria, uccide, massacra le persone meritevoli di stima. Noi, trattati come prigionieri, come criminali, da questo grande mostro. Noi, che  invece siamo portatori del progresso, dello sviluppo, della salute del pubblico. Noi dovremmo avere delle sovvenzioni, degli incentivi, e non delle tasse da pagare. Non è così? –

S. – Alle volte penso che dovrebbe entrare in politica. Non trovate? –

A. – Avrebbe il mio voto. –

G. – Anche il mio, ovviamente! Le ultime elezioni abbiamo votato quel ragazzetto che, mi dicevi, pucci, sembrava lanciato e ben appoggiato, invece… non ha ancora mantenuto le promesse che ci aveva fatto. Sbaglio? –

A. – Cucciolo, io ti avevo detto che il mio voto sarebbe stato sufficiente per la nostra famiglia; ti avevo lasciato decidere come preferivi. Poi, avrà dovuto fare tante di quelle promesse che.. chissà, magari arriverà a fare un favore anche a noi. –

G. – Pucci, lo sai che io di politica non capisco nulla. Tu mi dici che cosa devo fare e io lo faccio. –

A. – Mi hai firmato quelle carte, truti? –

S. – Non sopporto gli stranieri che , per parlare in italiano, improvvisano dallo spagnolo! –

L. – Come, scusa? –

S. -  Ho detto che non sopporto gli inglesi che improvvisano l’italiano dallo spagnolo. Ne sono arrivati oggi in ufficio e non li sopporto. Soprattutto quando dicono “gracias”! –

L. – Beh, è già qualcosa che provino a parlare… per loro, italiano, francese e spagnolo sono simili, e come tali comprensibili da tutti noi. –

G. – Gigi, non pensavo fossi così esperto di linguaggio! –

A. -  Truzi truzi, hai firmato quelle carte? Mi servono per domani. Piuttosto andiamo a casa e me le firmi. (rivolto agli altri) Anche noi abbiamo una novità da riferirvi: abbiamo deciso per la separazione. –

L. – Oh mio Dio! Non sapevo ci fossero dei problemi. Sissì, tu sapevi? –

G. – No! Non ci sono problemi tra noi. Assolutamente. Lo facciamo per motivi fiscali. Creando due nuclei familiari, ognuno ha il cinquanta per cento delle proprietà immobiliari, quindi si abbatte (cerca consenso verso il marito: ho usato il termine giusto?) il reddito dichiarato da entrambi. In più paghiamo l’ICI su tre appartamenti anziché su quattro. –

L. -  Geniale! Semplicemente geniale. Non l’avrei mai pensato. Sissì, hai sentito? Fantastico, no?! –

S. – (poca convinzione) Sì. Indubbiamente lo è. –

G. – Silvia, invece c’è un’altra novità che riguarda un po’ te. –

S. – Cosa intendi? –

G. -  Mio fratello verrà a vivere con noi per qualche giorno. –

S. -  Davvero? –

A. – Già. Il pazzo torna alla luce! –

L. – Non sapevo avessi un fratello, Giulia. –

A. – Ah sì. Un tipo strano. Taciturno, solitario. Uno che non ci stà molto con la testa. Ha sempre vissuto con i miei suoceri, ma ora, con la morte di sua madre, abbiamo deciso di vendere la casa. Era solo un vecchio cascinale, qui sopra Alba. Sono in parola con un costruttore che rileverà l’area e ne farà ciò che vorrà. –

S. – Bene! Se verrà a stare con voi, potrò fargli un saluto. Magari usciamo anche a cena, che ne dite? –

G. – Se ti va, non ci sono problemi. Starà con noi un mese o due. –

A. – Poi gli mettiamo a disposizione un alloggio. Tanto,  non abbiamo che da scegliere. –

G. – Gioia, non ho firmato le carte della separazione. Finisci il tuo vino e poi andiamo, così facciamo tutto con calma. –

S. – Questo è il Barolo che arriva dalle nostre vigne, vero? –

L. – Sì. Questo sì. Quello che mischio insieme alla cialapa che do ai miei fornitori esteri come regalo di Natale, tanto non sanno che cosa devono. –

A. – Possiamo andare ora, ju jù, ho già bevuto troppo vino. Se ci ferma la polizia, siamo in multa. –

G. – Che problema c’è? I punti li hai tutti, la multa la addebiti a qualche tuo cliente, no? –

A. – Ok. Il pollo lo si trova sempre tra i campagnoli, però i punti mi dispiace… -

G. – I punti li togliamo dalla patente di tuo papà. Tanto a ottantasei anni non gli serve più guidare. –

BUIO.

SCENA SECONDA.

Stessa sera. Silvia e Luigi stanno spreparando dopo la festa.

S. – Hai sentito poi dei Grimaldi? Per l’anniversario si sono regalati a vicenda un Rolex: quello di Marta, otto mila e quello di Alfio dodici. –

L. – Sì. Ho sentito. Ero presente quando lo raccontavano. –

S. – Io non capisco. Orologi a movimento automatico che, se non lo porti anche di notte, al mattino dopo hai già perso cinque minuti. –

L. – Lo indosseranno anche di notte. Anche quando fanno la doccia. Dovrebbero essere impermeabili. –

S. – Che te ne fai? Dico io. Che te ne fai di un orologio che costa migliaia di euro e non ti segna l’ora esatta? –

L. – Perché è un Rolex. Si tratta di un gioiello e lo acquisti con quella funzione. –

S. – Qualche anno fa ti ho regalato un orologio a batteria e non  ho speso così tanto, benché fosse un gioiello anche lui. –

L. – Dietro quell’orologio automatico c’è tutta la meccanica di precisione, i materiali e la loro lavorazione, la ricchezza dei particolari,e il loro automatismo. È quello che fa il valore del pezzo. –

S. – Meccanica, automatismo, ricchezza.. ma non è preciso per nulla. –

L. -  Quanto la fai lunga! Perché ti riguardava il fatto che il cognato di Andrea vive con loro? –

S. – Il fratello di Giulia è stato mio fidanzato a vent’anni. Mi farebbe piacere rivederlo. –

L. -  Non me ne hai mai parlato. –

S. -  Non so perché! Non ho nessun motivo. Forse  perché non lo vedo da quando  ci siamo lasciati. –

L. – Non ti sei persa molto se è fuori di testa, come dice Andrea. –

S. - Non è matto. Andrea è un gran bastardo. Sarà un ottimo commercialista. Ci fa guadagnare un mucchio di soldi, però mi piace sempre meno. Anzi, mi è sempre piaciuto poco. –

L. – Cosè? Sei ancora gelosa del tuo ex? Sono passati vent’anni.. –

S. – (tremante per il nervoso)… non è un pazzo. O un malato di mente, o altro. Era del tutto normale, simpatico, intelligente, dolce. Buono. Era un buono. Un bravo ragazzo. Io ne ero innamorata. Poi, i suoi si ammalano, quasi in contemporanea, sia il padre che la madre. In teoria avrebbero dovuto occuparsene entrambi i figli, ma Giulia se ne sbatté tranquillamente e continuò la sua vita come se niente fosse, mentre suo fratello si chiuse in casa, soffocato dalla famiglia e dai suoi “doveri di figlio”. –

L. – Più che buono, a me sembra un po’ fesso! –

S. – No. No! Ti sbagli. È stato solo succube dei genitori e della sorella stronza. Lui mi ha lasciato perché si doveva occupare dei genitori. –

L. – Pensavo che Giulia fosse la tua migliore amica! –

S. – Figurati! Quella  è buona solo per sé stessa. Quando stavo con suo fratello la sopportavo: sai, eravamo compagne di scuola. Quando ha fatto, anzi, quando non ha fatto nulla, e con suo fratello ci eravamo lasciati, ho tagliato i ponti. Poi, col tempo, ci siamo ritrovate e su certe cose non sono più tornata, però, in fondo l’ho sempre saputo. Poi, lo hai sentito il tuo “commercialista di fiducia”? “il Pazzo torna alla luce”, come se… non so! E poi? “Gli mettiamo a disposizione un alloggio”, sai che cosa significa? Che, o gli danno un monolocale distrutto o, se lo mettono in un alloggio decente si faranno pagare l’affitto! O anche tutti e due! Con tutto quello che ha fatto per loro,  solo che per quei due.. lasciamo perdere! –

L. – Non lo so, cara. Sono quasi convinto che tu abbia ragione. Benché di Andrea mi sia sempre fidato ciecamente. –

S. – Gli vendono la casa dei suoi genitori. Quella dove ha vissuto per più di quarant’anni e lo spostano dove vogliono loro. Come se fosse un cane, una valigia. D’altro canto, quei due considerano anche noi delle bestie di cui servirsi. –

L. – Silvia, mi sa che stai un tantino esagerando. Forse non ti ricordi più che buona parte di ciò che noi siamo oggi e di ciò che siamo diventati lo dobbiamo a Andrea. Probabilmente noi due non siamo molto diversi da loro. –

S. – Eh no! Io, di separarmi per poterlo scalare dalle tasse, non lo farò mai! (guarda Luigi in maniera inquisitoria) Perché? Tu sì? –

L. – (dopo una pausa di riflessione) No. Direi di no. Mi sembra troppo, francamente. –

SECONDA PARTE.

Camera del Pazzo.

Entrano Andrea e Giulia. Qualche passo indietro il Pazzo. Ognuno ha con sé una valigia, o una borsa. È la prima volta che entrano in questa casa.

A. e G mettono a posto, sistemano, spostano il tavolo e, a un certo punto, Andrea va verso un lato del palco e guarda fuori  dalla finestra.

A. – Guarda! Guarda qua! Un giorno tutto questo sarà nostro. –

G. - È un appartamento un po’ spartano. Ce ne rendiamo conto ma tu sei da solo. E poi è comunque uno spazio maggiore di quello che avevi in casa di mamma e papà. –

P. – Era una casa di due piani, otto stanze in tutto. –

G. – Sì, ma lo spazio per te? Avevi solo una stanzetta in cima alle scale. Sacrificato! –

P. – Avevo tutta la casa a disposizione. –

G. – Sì, ma un ambiente tuo. Per i tuoi hobbies, la tua vita.. dove lo avevi? –

P. – Non ne sentivo il bisogno… –

A. – Sì, senti. Ora vivrai qui. La tua nuova vita va avanti qui. Non fare storie. –

P. – No, certo! Non faccio storie. Anzi, è molto grande come camera. Vi ringrazio di aver provveduto a me, con questa. –

G. – Qui potrai, poco alla volta, iniziare una nuova esistenza. Una nuova vita, come ti ho detto. Dovrai imparare a fare tutto da solo, ma dovresti già sapere lavare, stirare e cucinare. Non dovresti avere problemi. Un giorno, poi vedremo quando, ti aiuteremo a cercarti un lavoro, un’occupazione, un qualche cosa da fare. Per ora prenditi il tempo che vuoi. –

Andrea la guarda con aria di rimprovero. Lei fa un gesto come a dire “lascia perdere”.

P. – Non è facile, sai Giulia. Dopo vent’anni in cui ho vissuto in simbiosi con mamma e papà e poi quindici in cui sono stato tutto per la mamma: le sue gambe, le sue braccia, anche quello che vedeva. Ti ricordi come era attiva ed energica la mamma quando stava bene? –

G. – Sì, lo ricordo; ma ora la mamma non c’è più. –

A. – Le abbiamo fatto il funerale. E con lei, devi mettere sottoterra anche la tua vita fino ad oggi. –

P. – Non è facile. Ve l’ho detto. Comunque con questo non voglio dire che non apprezzi ciò che fate o che farete per me. Se Dio vuole ho un cervello.. –

A. – Esatto! Quindi vedi di farlo funzionare. Io e Truzi abbiamo poco tempo da perdere, quindi d’ora in avanti devi cavartela da solo. –

P. – La casa di mamma e papà? –

A. – Oh, penso che oggi abbiano già iniziato a tirarla giù. Dovranno raderla al suolo, rassodare, scavare le fondamenta, ricostruire tutto. Sarà un lavorane, lungo e costoso. Non potremmo farci nulla per almeno un anno e mezzo. –

P. – Ma io volevo ancora fare un giro per vedere se c’era qualcosa da tenere, da prendere. C’era ancora della roba mia lì dentro. –

A. – Non preoccuparti, tutto ciò che c’era da salvare lo abbiamo messo in deposito. Affittiamo anche uno spazio per tenerci due mobili e altra roba. –

G. – Se hai bisogno, poi ti porto a vedere se c’è qualcosa che vuoi portare via e tenere con te. –

P. – Magari c’è qualcosa della mamma che vuoi tenere come ricordo, Giulia. –

G. – No. Non credo di voler prendere qualcosa che apparteneva a mamma. Quello che non recuperi tu, lo buttiamo via. –

A. – Per i mobili, in deposito qualcosa c’è, ma vediamo di non portare troppo in qua, perché anche questo alloggio non è definitivo. –

P. – In che senso? –

G. – Intende dire che, quando ti sarai rimesso a posto, probabilmente non vorrai vivere più qui, ti cercherai un nuovo appartamento, più grande, spazioso. Insomma, più consono alle tue esigenze. –

P. – Beh, io qua, non pensavo che mi sarei trovato male. –

G. – Ehm, senti. Da quanto tempo non fai una vacanza? –

P. – Da che mi ricordi.. negli ultimi vent’anni non credo di averne fatte. Con la mamma in quello stato non era possibile allontanarsi, lo sai bene! –

G. – Sai, pensavo che, per tornare un po’ alla vita, potresti venire con noi a fare la prima settimana bianca della tua vita. Non credo tu l’abbia fatta, nemmeno prima che loro stessero male. –

Il Pazzo annuisce

G. – In questo periodo stavamo giusto pensando questo: dove andare a sciare? Avevamo intenzione di andare noi, Luigi e Silvia a Davos in Svizzera. Fino all’anno scorso andavamo a les Deux Alpes ma ora troviamo che sia diventato un posto sgrauso… -

A. – (a parte) Come se uno che non si è mai mosso di casa interessasse che cos’è un posto sgrauso! –

G. – Davos è un po’ più caro ma sai, sono già trentamila persone anche d’inverno, è come una piccola Alba, a 1500 metri di altezza. Voglio dire, quando non scii ha comunque possibilità di fare altro. –

A. – Luigi e sua moglie avevano proposto il Trentino, ma sono veramente due pezzenti. Andrebbero anche loro in un posto sgrauso solo per spendere poco. Che diavolo vuoi muoverti di casa se non vedi gente e non hai mille-millecinquecento euro da spendere in una settimana? Se ti metti lì a contarli? –

P. – Io non so! Penso di poterli spendere mille euro in questa settimana ma non so se sia il caso… -

G. – Certo che lo è!  Te l’ho detto che ne hai bisogno, di uscire e vedere qualcosa e qualcuno. Ehi! Poi c’è Silvia! Te la ricordi? Siete usciti assieme fino all’università? –

P. – (illuminandosi) Sì, certo. Me la ricordo eccome. Ho un ottimo ricordo di lei. Era una bellissima ragazza. Ne ero innamorato, sai! –

A. – (in modo distratto) Bene, mi fa piacere! –

(suona il telefonino. Andrea si allontana per rispondere.)

G. - È diventata la mia migliore amica. Sai, non ci siamo mai allontanate del tutto. –

P. – Bene, sono felice di sentirtelo dire. Davvero. Magari…dici che possiamo vederli, lei e suo marito… -

G. – Certo che possiamo. Te l’ho detto che ci vediamo spesso. –

Rientra Andrea.

A. – Era Letizia. Devo tornare in ufficio per vedere dei clienti. (a Giulia) Vieni via con me o dai una mano a tuo fratello a sistemare le sue cose? –

G. – No. Vengo via con te, così mi dai un passaggio. Devo andare in Via a comprare delle cose. È il compleanno di Augusto, mio cugino. Lui non manca mai di farmi un regalo, quindi mi tocca ricambiare. –

P. – Oh, è molto che non vedo più Gusto. Al funerale di mamma è venuto? Lo hai visto tu? –

A. – Sì, sì. L’ho incontrato io. Meno male che non era tra i parenti prossimi alla cerimonia funebre: era vestito… un operaio appena uscito di fabbrica. –

P. – Era comunque sua zia. –

A. – Oh, non credere. Probabilmente cercava solo di farsi ricordare nella spartizione dei beni di vostra madre. Non è uno che ti faccia regali disinteressati, truzi! Non credere: è solo uno attaccato alla moneta. –

G. – (nel mentre si è vestita e si è avvicinata alla porta) Allora noi andiamo. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiama pure. Ci vediamo domani. Stasera sento Silvia e Gigi, combiniamo una serata e usciamo a mangiare assieme. Va bene? A domani. –

Andrea e Giulia escono.

La scena si riapre sulla casa del Pazzo  vuota. Entrano le due coppie di amici.

S. - ….sono contenta di rivederlo; dopo tanto tempo. –

G. – Non credo che sia cambiato molto da quando vi frequentavate! –

A. – Era già così allora? –

G. – Io intendo fisicamente. Non  è invecchiato molto. Ha ancora l’aria giovane. O giovanile. –

L. – Cosa intendi per “era già così”? –

A. – Beh… sai. È lì. Non ha argomenti, non parla di nulla… insomma, è uno che aspetta. Uno abituato a fare un cazzo da mattina a sera. –

S. – Non è uscito di casa per vent’anni. Forse bisogna capirlo. Poi, non mi sembra che abbia fatto nulla per vent’anni. Si è guardato i tuoi suoceri per vent’anni. –

A. – Sì. Ok. Ma noi si è lavorato in questo tempo. Io e tuo marito stiamo al lavoro tutto il giorno, dieci, dodici, anche quattordici ore. Tuo marito, molto spesso, alla domenica lavora. E non parliamo di quando lo fa gratis per evitare la finanza. Che questi, controlli, non controlli… Mio cognato, invece, vent’anni che prende la pensione dei miei suoceri, la spende chi, come, e in che cosa cazzo vuole. Noi? Zitti. Mai a dirgli… mai a chiedergli… fargli. Eh!? Tranquillo, lui. Poi ti senti ancora dire, da quegli stronzi dei cugini di mia moglie, al funerale di mia suocera… e l’ho sentito io, eh. Io! Manco a far finta di niente. Anzi, secondo me apposta. Volendo che io sentissi, cioè: al funerale di sua mamma! Che non abbiamo fatto niente per i due vecchi! Oh! Quello che loro avevano bisogno.. tutti e tre! Chiama. Si corre. Sei lì! Oh, capito? In ogni momento. Eravamo lì! –

S. – (interrogativa. Come a dire: intendi questo?) Sì… basta chiamare… Se non chiama, non ha bisogno…. Tutto bene… non c’è niente a cui pensare…. –

A. – Il problema è che, adesso, dopo vent’anni, non è più buono a comportarsi come… come… questo mi fa il disoccupato a vita! –

L. – (scioccato) No!!! Davvero?! –

G. – Le due pensioni di reversibilità dei miei le prendiamo noi, ora. –

A. – Non c’è più motivo che la incassi lui, no? Ha quarant’anni  soltanto, è ora che si dia da fare e cominci anche a lui a fare qualcosa. –

L. – Hai ragione in questo. Io la penso come te. Questo non è il governo Prodi dove chi non fa niente è assistito e coccolato. Qua o si lavora, o… si lavora, eh! –

G. – Che non voglia fare niente non mi sembra. Ci ha solo chiesto un po’ di tempo, tutto qui. –

S. – Poi, è una persona intelligente. Non è uno stupido. La laurea l’ha poi presa? –

G. – Sì. È laureato in lingue. Poi, ovvio, non l’ha mai sfruttata. Però mi ricordo che continua a leggere libri in inglese e tedesco. Si è tenuto in allenamento. –

(Silvia esce.)

A. – Uhm.. dove sarà andato a cacciarsi? –

L. – Arrivando qui, alle sei, io e Sizzi abbiamo incontrato quelle persone con i manifesti al collo… -

G. – Persone con i manifesti al collo? Ci sono degli uomini sandwich ad Alba? –

A. – Facevano pubblicità a qualche nuovo film? –

L. – No. Facevano pubblicità alla guerra. –

G. – Alla guerra? –

L. – Sì. Al fatto che la guerra non bisogna farla, che bisogna fare l’amore. Fiori nei cannoni. Vedove ai balconi… -

A. – Ah, le donne in nero vuoi dire! Mi sono sempre chiesto: se prendi a calci una donna in nero, lei può reagire? –

G. – Temo di no, trussi. Anche se non credo qualcuno si sia mai posto il problema. Sono così… come dire… -

A. – Non so.. che cosa intendi? Antipatiche? –

G. – No. Direi… pittoresche. Non credo che oramai, ci sia più un qualche petroliere che possa spendere soldi senza poterlo sbeffeggiare di fronte a loro. –

A. – Tu lo fai? –

(Rientra Silvia)

S. – Fai cosa? –

G. – Parlavamo delle donne in nero. Quelle che manifestano ogni sabato davanti a S. Damiano. –

S. – Ogni sabato? Io, se non era per Gigi che me lo diceva, non mi accorgevo nemmeno che c’erano. Manifestano per che cosa? –

L. – C’è qualche guerra in giro per l’Italia? –

G. – Non che io sappia. –

A. – Nemmeno io. –

S. – Idem. –

G. – Forse in qualche Paese arabo, se la saranno voluta. L’Italia non è coinvolta. –

Entra il Pazzo.

A. – O, alla buon ora? Dove sei stato? –

P. – Ho fatto un giro per Alba. Non ero più abituato al caos. Poi sono andato a messa. –

L. – Oddio. Uno che va in Chiesa… -

G. – Allora, ti ricordi di Silvia, vero? –

Il Pazzo e Silvia si baciano amichevolmente.

P. – Non sei cambiata per niente! Come allora! –

S. – Nemmeno per te gli anni sono passati. Sei rimasto… (imbarazzata) lo stesso anche tu. –

G. – Questo è Luigi, suo marito. –

P. – Molto piacere. –

L. – Lieto! –

P. – (a Silvia) Stasera mi dovrai raccontare un po’ della tua vita in questi ultimi… vent’anni? –

S. – Sì. Circa vent’anni. –

P. – Avete figli? –

S. – No. Non ne abbiamo voluti. –

L. – (a Andrea) Perché è andato a messa? –

A. – Che ne so. Si sentiva così. Tanto per fare. Credo. –

G. – (al Pazzo) Andavi sempre a messa? Quando papà e mamma non stavano bene? –

P. – No. Praticamente mai (Andrea e Luigi tirano un sospiro di sollievo).  La seguivo dalla tv. A Natale e a Pasqua venivano dei ragazzi dalla parrocchia a prendere la mamma e allora andavamo a messa, ma solo in quelle occasioni. –

L. – La messa di mezzanotte la prendiamo anche noi. Per il resto non andiamo mai. Non è che abbiamo sempre il tempo per… dovrebbero farla un altro giorno. La domenica uno ha il diritto di riposarsi. –

G. – Non dirlo a noi. Lavoriamo anche di domenica. –

P. – Sono passato davanti a un cortile, venendo a casa. C’erano dei tamburini e gli sbandieratori. Domenica prossima c’è il palio. –

S. – Se ti va di andare, magari possiamo accompagnarti. (rivolta agli altri)Che ne dite? –

A. – Non guardare me. Le rievocazioni storiche, sono cose per turisti. –

L. – Domenica devo vedere i ragazzi della società. La settimana dopo c’è la discussione dell’appalto del nuovo ospedale. –

S. – Giulia? –

G. – Mi prendo fino a sabato per decidere. (rivolta al Pazzo) Vai a cambiarti così poi usciamo per cena. –

S. – Ok. Magari ti accompagno io sola. –

A. – Quest’anno gli sbandieratori avranno il sopravvento sul Palio. Nel Borgo delle Rane hanno Curzio Farinetti. Famoso per riuscire a far roteare la bandiera così (fa il gesto) per quattro giorni di fila. –

S., L., G. – Ohhhh!!! –

A. – Quest’anno si esibirà in uno spettacolo in cui sventola con otto bandiere in contemporanea. –

L. – Ma… come è possibile? –

A. -  Due con le ascelle! –

G. – Ci sarà anche quello del Borgo Moretta? –

A. – Oh sì. Penso di sì. –

P. – Che cosa ha fatto? Perché è famoso? –

A. – L’anno scorso, stava giocando con le sue bandiere, op… op….op…. e a un certo punto doveva lancia la bandiera in aria, e recuperarla con il piede… -

P. – Sì. Ebbene? –

A. – Ha sbagliato il lancio, la bandiera è andata oltre, lui è andato a prenderla con il piede ma ha tirato un calcio a un bambino. –

P. – Oddio! –

A. – È in coma da un anno. Però pare che si riprenderà. Tutto storto, con una cicatrice in volto, ma si riprenderà. –

G. – (al Pazzo) Sei pronto? Andiamo? –

P. – Solo un attimo. –

Il Pazzo esce. Nel mentre Andrea gli prende la giacca che il Pazzo aveva appoggiato su una sedia e ne sfila le chiavi di casa, prestando attenzione a che nessuno degli altri lo veda.

G. – (legge da una rivista che aveva in borsa)Val Badia… La nipote dello stilista Giorgio Armani e il ciclista di Striscia la notizia Brumotti sono inseparabili. Per festeggiare i sei mesi della loro relazione hanno scelto la più romantica delle vacanze, in Val Badia. La trovate romantica, voi la Val Badia? –

S. – Non eccessivamente. Trovo più romantica la Val Tournanche. –

L. – Non ci sei mai stata in Val Tournanche. –

S. – Non importa. Un posto vale l’altro. Il mio oroscopo diceva che quest’inverno avrei dovuto affrontare un viaggio. –

A. – Allora è deciso, di andare a Davos per la settimana bianca? Voi siete sempre dell’avviso? –

L. – Sì… avevamo detto di sì. Puoi ricordarmi quando andremo a spendere? –

A. – Viaggio in aereo… trasporto fino all’albergo, soggiorno, abbonamento alle piste… che vogliamo ancora metterci? I ristoranti dove andare a mangiare e a bere. Per le discoteche decidiamo sul momento.. duemila-duemilacinquecento euro? –

L. – (cerca la moglie con lo sguardo) Sì… direi che va bene. Vero, juju? –

Giulia annuisce riluttante.

Il Pazzo rientra.

P. – Eccomi. –

Si avviano tutti verso la porta con giacche e borse.

BUIO.

Al riaccendersi delle luci, rientrano il Pazzo e gli altri dietro.

P. – Non capisco dove possano essere!  Eppure ero sicuro di averle prese! –

G. – Non preoccuparti! Per stasera hai le mie. Domani con calma le cerchi. –

A. – Sì. Infatti. Le cerchi domani. Poi ne facciamo un’altra copia, piuttosto, (con rabbia) che vedi di non perdere più! Ora andiamo tutti a dormire. Siamo stanchi. Buonanotte. (prende la moglie e la spinge via) –

S. – Senti, ti chiamo domani. Se hai bisogno di una mano per fare un po’ di trasloco. –

P. – Ok. Buonanotte. E grazie!! –

BUIO.

Entrano il Pazzo e Silvia.

S. – …Anche Piero si è sposato, ora. Ha lavorato per qualche anno fuori da Alba. Provincia di Milano, e poi è tornato e ha conosciuto questa ragazza. Ora hanno un bellissimo bambino di nome Luca. Dovresti vederlo! Assomiglia da matti a Piero. –

P. – Mi farebbe piacere rivederlo. È dai tempi della squadra di pallavolo che non lo sento. Se è uguale al padre, non deve essere un granchè come bambino, però! –

S. – Cosa dici? Dai! –

P. – Davvero! Piero da bambino era un autentico mostro. Aveva otto anni ed era una foresta di capelli crespi, spettinati.. sembrava uno di colore, ma biondo, pallido… un albino, praticamente! Ce l’hai presente? Mia mamma buonanima aveva persino paura a farlo entrare in casa, da piccolo. –

S. – Non esagerare, dai! Io me lo ricordo da piccolo, Piero. –

P. – No! Tu lo hai conosciuto a quattordici anni… Ecco, da bambino era identico a come lo hai conosciuto, solo in un corpo di un metro e quindici, e coi brufoli. –

S. – Era il tuo migliore amico! –

P. – E che c’entra? Se era brutto, era brutto, anche se gli volevo bene. –

S. – Perché “quando gli volevo bene?” –

P. – Non lo so. Non lo vedo da tanti anni. Le cose cambiano. In questi anni, dei miei amici non si è fatto sentire nessuno. A te ti capisco… ti ho lasciato così, su due piedi. Non mi aspettavo certo che mi telefonassi o che, ma gli altri…. In più, Giulia non mi diceva mai nulla di loro. Qualcosa chiedevo, ogni tanto, ma lei non mi diceva mai nulla; poi ha smesso di vederli anche lei. –

S. – All’inizio mi sei mancato. Mi hai lasciato nel momento in cui ero innamorata cotta di te. Non è stato facile da comprendere, la tua scelta. –

P. – Mi avrai anche odiato? –

S. – No. Quello no. Mai! –

P. – Davvero? –

S. – Sì, davvero. Anche se non lo potevo comprendere o accettare, non ho mai pensato che tu facessi qualcosa di simile se non ne valeva la pena. –

P. –  Grazie! Anch’io ero innamorato di te, sai? –

S. – Sì. Lo so. Per questo non potevo odiarti. Ho sempre pensato che tu stessi facendo un sacrificio grande. (stanno in silenzio, in imbarazzo). Io un sacrificio per te… sono un po’ megalomane. –

P. – No. Non lo sei affatto. Puoi permetterti di tirartela. Come hai conosciuto Gigi? –

S. – Sul lavoro. Io ho lavorato come segretaria da tuo cognato, all’inizio. Quando ancora non conosceva Giulia e Luigi mi ha visto in ufficio: è stato uno dei  primi clienti di Andrea. Ha attaccato bottone, una cosa tira l’altra e siamo usciti a cena una sera. Tutti e quattro, pensa… dalla stessa cena ne siamo usciti due coppie di sposi. –

P. – Abbastanza classico. Figli? –

S. – Lui non ne vuole. Dice che non potrebbe permettersi di fare il padre: poco tempo. E non se la sente di addossare tutta la responsabilità della loro educazione su di me. –

P. – Tu però, ne vorresti, se non ricordo male? .

S. – Sì. Mi piacerebbe molto. Però mi rendo conto che non avrei molto tempo, in effetti. È meglio così. –

P. – Non lo so! Oh, scusa, non ho certamente diritto di giudicare la tua vita. Non ci conosciamo quasi più,ormai. –

S. – No. Non importa. Stai tranquillo. Piuttosto, a proposito di bambini. Sai, volevo dirti… non credo che dovresti andare in giro a fotografare bambini per la strada. Come hai fatto oggi! –

P. – Perché? Non ho mica fatto niente di male?! Ho visto quel bambino che cercava di abbracciare un orso di peluche che era grande quanto lui e l’ho trovato simpatico. Tutto qui! –

S. – Sì, ok. Ma devi capire che, come posso spiegarti…il tuo gesto, che è stato del tutto innocente… se qualcuno lo avesse notato…poteva dar adito a delle congetture… -

P. – Per caso mi stai chiedendo se sono pedofilo? No! Non ho nessun isitinto sessuale nei confronti dei bambini. –

S. – Sì. Lo so che non sei pedofilo. Ma gli altri non lo sanno e potrebbero pensare che tu scatti delle foto e le venda o le metta su internet, senza autorizzazione dei genitori del bambino. –

P. – Aspetta. Fammi capire: il dilemma è tra il reato di pedofilia e la violazione della privacy? Dovevo far firmare una liberatoria ai genitori del bambino perché era goffo nell’abbracciare un orso di pezza alto così e questo poteva ledere la sua immagine pubblica? Perché tra trent’anni avrebbe avuto dei problemi a candidarsi in un seggio elettorale? Tu hai sempre una liberatoria per la privacy in borsa? –

S. – No. Ma non vado in giro a fotografare i bambini. –

P. – Nemmeno io. Detto così sembra che lo faccia di lavoro! Ho anche fotografato una signora con il bassotto ieri, e oggi telefonavo davanti a una vetrina addobbata. E il mio cellulare fa le foto. Santo cielo! Così non se esce vivi! Si finisce per vedere crimini ovunque. –

S. – Forse hai ragione. Siamo abituati a vedere crimini ovunque. Anche nelle cose ingenue e innocenti. Non so perché. –

P. – Penso che sia la stanchezza. –

S. – La stanchezza? –

P. – Quando sei occupato in troppe cose, quando fai tutto, tutto assieme, accumuli cose, pensieri, persone e tutto lo ammucchi, come fossero numeri. Arrivi a saturarti. È quando sei pieno che ti senti stanco, costantemente stanco,  sempre e sempre, e il riposo non serve perché anche quello è oggetto di programmazione; quindi, la prima cosa che perdi, a cui rinunci è la voglia di pensare, di comprendere e allora reagisci, e tutto ciò che arriva di nuovo ti fa male, ti viene voglia di giudicarlo negativo, non lo accetti e quindi lo temi e il timore diventa paura. La paura non razionale, la paura di fondo: ti proteggi con la paura, perché la paura ti evita di pensare, di dare un giudizio, allontana ciò che vuole rubarti spazio, quello che vuole un pezzo della tua vita. –

S. – La stanchezza… hai ragione. Sono anni che mi sento stanca, sempre stanca. Quando riesco ad addormentarmi senza prendere dei sonniferi, sono già felice. Una volta dormivo sempre, dormivo benissimo. –

P. – Quando siamo stati in vacanza assieme, in campeggio, direi che dormivi anche troppo. Un paio di volte ho anche pensato di mollarti lì e andarmene. Dormivi in continuazione, non ho potuto fare nulla per una settimana! –

S. – Sei ingiusto! Un ingrato! Abbiamo visitato tantissimo nell’entroterra ligure. –

P. – Tutto in auto. Eravamo andati in campeggio per poter fare delle vacanze in trekking. –

S. – Questo non me lo ricordo! Te lo stai inventando tu ora! –

P. – Niente affatto.-

(ridono)

S. – Che farai ora? Intendo, ora che non sei più occupato con i tuoi? –

P. – Non lo so ancora. Mi devo cercare un lavoro, perché non credo che mi lasceranno stare qui a lungo. Pensavo di sfruttare la laurea in lingue che ho in tasca. –

S. - Sei poi riuscito a laurearti? Entrare a scuola come insegnante non è facile, sai?! –

P. – Lo so che entrare a scuola come insegnante è difficile. Non so… non so fare altro. Non credo che ci sia posto per me, non molto oggi. -

S. – Che significa? –

P. -  Non so come dire… è più che altro una sensazione. Un atmosfera neanche troppo nascosta. Mia sorella e mio cognato non hanno mai fatto finta di nasconderlo ma, fino a che avevo uno scopo, non ci badavo. Lo sopportavo. Pensavo fossero loro due a vedermi come uno che non c’entrava niente, e invece… In questi giorni ho notato come tutto sia simile a loro. Pensavo che tenermi aggiornato, seguire, studiare da casa bastasse, invece, tutto è diverso. –

S. – In che cosa è diverso? –

P. – Io prego. Tutte le mattine e tutte le sere, il primo gesto e l’ultimo atto di ogni mia giornata è chiedere la fede, è domandare di avere uno spirito. Mi pare, mi sembra che il mondo questo non lo capisca. Chi come me, va piano, non arriva da nessuna parte. Vincono quelli che vivono ogni giorno come se fosse l’ultimo della loro vita, spremendo a fondo ogni attimo, ogni gesto. –

S. – E allora? Che c’è di male in questo? –

P. – Che c’è di male? Non ti rendi conto che così non c’è più significato?! Io, te, quello che siamo, il nostro passato, un probabile futuro. –

S. – (si ritrae, fraintendendo) cosa stai dicendo?  Quale futuro assieme? –

P. – No! Vedi! Vedi che non hai compreso? Non sto parlando del futuro assieme. Sto parlando del futuro mio, tuo, e anche del nostro, sì… ma in un altro senso. Che voglia hai, o hanno tutti, di costruire qualcosa? Qualcosa che rimanga. Tu, io, i nostri gesti odierni, non sono vissuti che per un attimo, il nostro passato, è un ricordo inutile; una perdita di tempo. Bisogna cancellare tutto ciò che lascia una traccia, le tracce sono rifiuti. –

(pausa)

P. – Sono stanco. E confuso. Disorientato dalla mancanza di speranza. Dall’assenza di persone simili a me, qui intorno a me. –

S. – Non è vero. Io ci sono. C’è Giulia, tuo cognato, i tuoi vecchi amici. Noi ti vogliamo ancora bene. –

P. – Mi volete bene? No. Non credo. Tu forse sei illusa di essere simile a me, di volermi bene, e potrebbe essere vero; tra poco, tra qualche giorno, conoscendomi meglio. Giulia e Andrea dici? Sai, per molto tempo ho fatto finta di essere lo stupido che essi volevano vedere in me, perché, soprattutto per Andrea, li rassicurava, faceva loro credere di avere tutto, anche la mia vita, sotto controllo. Hai presente? “Qui comando io!”. A me bastava che mi lasciassero la mia libertà, che mi lasciassero badare ai miei genitori in santa pace. Ora però, è tutto diverso, è tutto cambiato. Il mondo ha deciso di lasciare poco spazio agli spirituali. A quelli che guardano al lungo periodo, chi pensa al futuro. Una volta le aziende facevano bilanci triennali, ti ricordi? Me lo dicevi tu, e io non capivo. Non capisco nemmeno adesso. Ma oggi, le stesse aziende fanno budget di tre mesi. E finiti i tre mesi? Si può anche chiudere e tutti a spasso? –

S. – Negli USA si fa così? –

P. – L’Unione Sovietica faceva piani quinquennali. Vedi, loro progettavano a lungo termine. –

S. – Sì. Però i comunisti sono scomparsi. –

P. -  Già. Sono scomparsi. Quando mi dai una mano per il trasloco? –

TERZA PARTE

Al buio sentiamo gridolini e rumorini di piacere, tipici di un amplesso. Entra il Pazzo, al buio.

P. – Ehi, ma che succede? C’è qualcuno in casa? (Si accendono le luci.) Che diavolo succede? Andrea.. tu?! –

A. – Sì. Io. Guarda, lo so che la situazione può sembrarti strana. Occorre che tu mi lasci parlare, però! (rivolto alla sua amante) Rivestiti, per oggi abbiamo finito. –

Si alza dal letto, semi-nudo. Si mette un accappatoio o un asciugamano intorno alla vita e si dirige verso le quinte, ed esce.

R. – Buonasera! –

P. – ‘Sera! –

R. – Bella casa la sua! –

P. – Non è mia. L’affitto da mia sorella. –

R. – Il reggiseno, se non le dispiace. –

Il Pazzo raccoglie il reggiseno e glielo porta.

R. – Lei e Andrea.. –

P. – È mio cognato. –

R. – Fratello di sua moglie… non lo avevamo… non eravamo mai venuti qui. –

P. – La vostra prima volta in un letto? –

R. – Oh no, non la prima. Cioè… voglio dire… non ci vediamo da molto. Non siamo amanti, è quello che intendo. –

Entra Andrea

R. – Io vado a cambiarmi.(esce) –

A. – Ok, ok. Lo so che cosa stai pensando. E ragionevolmente non ti si può dare torto. –

P. – Davvero sai che cosa penso? –

A. – Lo immagino. Anzi, lo so! E ti ripeto… ok, ci sta. È molto chiaro ed è molto intelligente quello che hai da dire. Quello che vorresti dire. Ma.. odio usare questa espressione: posso spiegarti tutto. –

P. – Come direbbero in un libro di Waugh: non sono sicuro di non essere curioso in modo enorme di volerti ascoltare. –

A. – Il mondo è cambiato in questi venti anni. Cose che tu non puoi comprendere perché hai vissuto in un mondo a parte. Ci sono cose che non sai, che non puoi sapere. Posso provare a spiegarti ma sarebbe inutile fino a che tu non ti rassegni a non giudicare secondo i tuoi principi, che sono datati, retrogradi. Posso capire, io, che tu veda il marito di tua sorella che la tradisce, ma devi concentrarti sul concetto di: Amore. Io ho sposato tua sorella, lo amata, da giovane ne sono stato innamorato. I sentimenti, tu non lo puoi capire, cambiano, si modificano, si evolvono. È difficile lo so, ma anche se a te non sembra, è un progredire, una modificazione in meglio. Quando questa modificazione aumenta la libertà, essa è positiva: il futuro non porta che al meglio.

Proverò a spiegartelo: io e tua sorella ci siamo amati, ora ci completiamo. Non ci bastiamo più. Quindi, ora, io e lei rivolgiamo la nostra esigenza d’amore verso altre persone. Semplice, no. Lineare. Non abbiamo nemmeno un’amante, io e lei. Ogni tanto, quando io o lei ne abbiamo bisogno, troviamo qualcuno con cui andare a letto.

Tu, questo, non lo puoi capire. Cosa ne sai tu, che non hai mai fatto l’amore con una donna o con un uomo? Cosa ne sai tu che non sei mai uscito di casa in vent’anni, se non per la messa? Cosa ne sai tu che non hai toccato mai un seno o un sedere? Cosa ne sai tu che non hai mai sofferto? Vita facile la tua, sempre le stesse cose, gli stessi gesti, mai un dubbio, mai una variazione dalla tuo solito tran tran; tranquillo, sicuro: un rito. La tua vita è stata un rito tranquillo per anni, senza conflitti, senza problemi, senza confronti con persone o realtà diverse da te. Non hai mai conosciuto lo stress, la tensione, il rifiuto! Non sei mai stato rifiutato! Dalle altre persone, dal lavoro, dalla famiglia, dagli amici. Te, ti hanno sempre voluto tutti bene! Che ne sai tu? Tu sei vergine di tutto! –

P. – Quindi, io sono sbagliato. Mentre tu hai ragione? –

A. – Vuoi farmi sentire sporco? –

P. – L’alternativa è tra: fare sentire sporco te o sentirmi sbagliato io. Comportarsi in maniera pulita, perché rinnegare ciò che sono, che mi è stato insegnato. Lasciarmi influenzare dagli altri, cancellare, dimenticare quello che sono, che sono stato perché “in fondo non c’è niente di male!”. “Perché è umano!” Perché? In me c’è qualcosa di male? Come se fosse facile essere forti, non cedere, alla voglia di… in fondo è più facile. Ti ripeto: perché? Nel mio essere così, v’è qualcosa di sbagliato? C’è qualcosa di male? Come se questi “famigerati” e “spaventosi” sensi di colpa fossero solo negativi. Se fossero il tentativo, la volontà, il piacere di essere per gli altri un qualcosa, un qualcosa di diverso; se anche fossero solo deleteri, sono quello che sono. Negarli e nasconderlo sarebbe un delitto fatto a me stesso. Non conosco amore, tu dici? Per quale ragione? Non ho occhi? Non sento le parole e , non le comprendo? Non ho una bocca per sentire e un naso per gli odori? Non ho mani? Con le quali toccare? Non ho forse un organo perché occhi, olfatto, mani, carne non mi possano eccitare? Il mio cuore non conosce rabbia, stanchezza, ira, affetto, amicizia, forse? Non mi nutro con lo stesso cibo? Non sono soggetto alle medesime malattie, curato dagli stessi rimedi, riscaldato e raffreddato dalla stessa estate e dallo stesso inverno? Se ferito, non sanguino? Se solleticato, non rido? Non mi avvelenano le stesse cose tue? –

Andrea scoppia in una fragorosa risata di scherno.

– Perché? Tu vuoi forse farmi credere che sei come noi? Tu credi veramente di poterti paragonare? a noi? Tu adesso mi dirai anche che sei felice, vero? (schiaffetto) Pirlotto! Scemotto! Veh, cretinetti! Dì un po’? adesso mi dirai che sei felice? Che tu puoi darci lezioni? – – Sì. Penso di essere felice! – – (serio) Non dire cazzate! Tu non sei niente! Sei meno di niente. Tu, la fuori, non servi neppure per raccogliere l’immondizia dalle strade. Vuoi venire qui, in casa mia, ad insegnarmi a vivere? Tu, che sei filosofo, che hai letto libri per vent’anni, al caldo, al sicuro, tu che preghi, (sfottendolo) L’hai detta la preghierina per la tua sorellina, stasera? Io sono trent’anni che mi sbatto per il mio lavoro, per essere qualcuno, perché vale solo ciò che fai per te stesso e che cosa sanno di te. Non quel che sei. –

P lo guarda, aspettando in silenzio

– Sai che ti dico? (tira fuori il portafoglio) Toh, prenditi dieci euro e fatti fare un pompino. Anzi, visto che è la tua prima volta, ne bastano cinque. (ride) –

P. – Sì. Ora credo di essere felice. –

– Sei felice? Bene, e allora ti insegno io che cosa è la vita. Tu domani te ne vai di qua. Finita la solidarietà. Vediamo come campi. –

P. – Lo avevo già intuito che non potevo rimanere qui! –

Andrea gli tira uno schiaffo.

Entra la Ragazza.

R. – Che cosa c’è? –

A. – (cantando) C’è che mi sono innamorato di te / c’è che non mi importa niente  / di tutta l’altra gente… -

Poco alla volta rientrano tutti ballando. Si crea una grande confusione.

II° ATTO

In scena, a palco vuoto, entra una ragazza (L). Si aggira su palco lentamente. Sta guardando qualcosa come al supermercato, o davanti alle vetrine dei negozi. Molto elegante negli abiti e nel portamento. Entra quindi il Pazzo. La nota.

P. – E quella donna? Chi sarà? Non è del quartiere e nemmeno l’ho mai vista ad Alba. Non che abbia girato molto in questi anni però, non l’ho mai vista. Come è bella! Bionda, alta, le labbra rosse,non mi sono mai piaciute le labbra fini in una donna, sanno di persona falsa. Nemmeno troppo grosse, tipo canotto. Da quanto tempo non bacio una donna? Faccio in fretta a saperlo, da quando stavo con Silvia, ecco da quando. Deve avere un bel seno, si vede che ha un bel seno; magari è il reggiseno ma è ben fatta. Si muove in maniera elegante, in maniera femminile, con grazia. Deve essere una persona molto gentile, fine. Se mi avvicino, possiamo… (le si avvicina alle spalle) posso sentire il suo profumo. Ha un buon profumo, non di quegli spray da supermercato; forse ne mischia anche un paio, per avere una fragranza propria, sua, personale. Che belle gambe! È una donna in carriera, penso che stia molto in piedi, non deve essere  una sedentaria: lei è una donna che fa sport. Assolutamente.

Mi viene voglia di toccarla! Di baciarla, sì, di toccarla. Sono vent’anni che non abbraccio una donna, venti che non la bacio. Sono quarant’anni che non faccio l’amore. Forse.. forse con questa donna, pensare di andarci a letto è fantasia, ma conoscerla. Conoscerla non è vietato. Se ci faccio amicizia, posso sperare di poterla… ma sì! Anche di poterla stringere, toccarla, sentirla nel palmo delle mani, accarezzare la sua pelle. Sì, in fondo  non ho proprio nulla di cui vergognarmi. Non ho nulla che non vada; nonostante ciò che dicono in famiglia. (Fa per rivolgerle la parola, poi si blocca. Lei se ne accorge e si sposta un po’. Ne è divertita). Sì, ma le dico? Bella giornata, oggi! Oppure… ciao. Posso baciarti sul collo? Non fraintendere, solo per sentire il profumo che hai addosso! Sembro malato, un perfetto malato di mente. (si rivolge a lei) Signorina, lei è di queste parti? –

L. – Ma che? Ci stai provando? Guarda che con me non attacca. –

P. – No! Non intendevo provarci! –

L. – Sì! Tu? Con quella faccia? Guarda che l’ho notato che è dieci minuti che mi giri intorno. Mettiamolo subito in chiaro: ci stai provando o hai altre intenzioni? –

P. – Ci sto provando o ho altre intenzioni? Che significa scusi? –

L. – Senti bello, vedi di smammare in fretta perché io mi so difendere da quelli come te, chiaro? –

P. – Non voglio farle del male, voglio solo… voglio solo chiederle se c’è una pizzeria qui intorno. Lo giuro, tutto qui. –

L. – (gridando spaventata) Aiuto! Aiuto! Aiutatemi! C’è un pazzo qui! Aiuto! –

Il Pazzo esita un po’ e quindi scappa via spaventato. La ragazza rimane in scena. Una mano al petto. Respiro affannato per lo sforzo dell’urlo.

Entra un poliziotto (C).

C. – Signorina, sta bene? Che cosa le è successo? –

L. – Sì, sì. Sto bene! È passato, ora. Un tizio, uno sconosciuto, con una faccia che non le dico. Uno fuori di testa, completamente, ha tentato di violentarmi. –

C. – Oh mio Dio. Ma è sicura di star bene? Vuole che chiami un’ambulanza? –

L. – No. Non è il caso. Solo un gran spavento. Ma niente di più. Non si preoccupi, grazie. –

C. – Vuole fare la denuncia? L’accompagno in caserma. Lo ha visto bene, lo può descrivere? –

L. – No. Non è necessario, guardi. Non mi ha neppure toccato. È scappato subito appena ho urlato. Forse era anche impotente. Poi, così, su due piedi, non lo saprei nemmeno descrivere nei dettagli. –

C. – (la tocca sul braccio) È sicura quindi di star bene? –

L. – Sì, sì. Certo. Grazie mille per il suo intervento. –

C. – Possiamo trovare un modo per dimostrare la tua gratitudine.

La stringe forte e la bacia, lei si divincola ma non riesce a liberarsi, urla e lui le copre la bocca, quindi cadono a terra, lui sopra.

L. – Mi lasci, maledetto! Bastardo. Schifoso! –

Continuano a lottare.

C. – Stai ferma! Che tanto lo so che ti piace. Non fare la verginella con me. L’ho capito che tipo di donna sei. –

L. – Aspetta un attimo. Che possiamo trovare un accordo. –

La stringe a terra ma si alza per ascoltarla.

C. – Che cosa vuoi dire? Che significa trovare un accordo? –

L. – Quanto hai nel portafoglio? –

C. – Nel portafoglio?  Cinquanta euro, credo. –

L. – Dammeli. Io abito qui vicino. Se dobbiamo scopare, facciamolo nel mio letto, almeno. –

C. – (si rialza e tira fuori una banconota dal portafoglio) Vedi, lo sapevo che non mi sbagliavo su voi donne? Siete tutte uguali. –

Lei prende i cinquanta euro, lo mette in tasca, poi da terra gli tira un calcio tra le gambe. Lui cade a terra, mentre lei si rialza.

L. – No! Sulle donne, voi, vi sbagliate sempre. –

Esce.

Il poliziotto rimane a terra. Rientra il Pazzo, ignaro di ciò che è successo. Lo aiuta a rialzarsi.

P. – Che è successo? È stato aggredito? –

C. – Sì. Sono stato aggredito da un rapinatore. –

P. – Crede di avere qualcosa di rotto? È ferito?–

C. – Solo nell’orgoglio. Il dolore passerà. –

P. – Venga. La aiuto a camminare. –

C. – Grazie. È molto gentile da parte sua. –

Escono.

SECONDA PARTE.

La scena si apre con Luigi e Andrea seduti al tavolo di un locale. Entrambi leggono un giornale.

A. – I NAS dei Carabinieri hanno chiuso sette locali della città per cibo avariato nei frigoriferi. –

L. – Chiusa la libreria di via Mazzini per fallimento. Al suo posto apre un negozio di abbigliamento. –

A. – A Verona chiude l’ultimo panettiere del Veneto. Da domani nessuna attività commerciale privata di piccole dimensioni sarà più presente in città. Due grossi centri commerciali, uno periferia nord e uno periferia sud, serviranno tutta la popolazione. Tutto si compra lì. –

L. – Dai giornali alla ferramenta, agli alimentari. Così non ti confondi più. Meglio!! –

A. – Scontri tra polizia e carabinieri a Genova. –

L. – Qua dice che è per l’apertura del terzo stadio da calcio da trentamila posti. –

A. – Il vescovo ha dovuto dimettere un’ala della chiesa del Duomo. –

L. – Dove? –

A. – Qui ad Alba. Perché nel Trecento fu costruita su terreno non libero. L’ha dovuta vendere. Tirano giù un pezzo del muro esterno e nella cappella di Santa Cristina aprono una videoteca hard. –

L. – Qua c’è il testo del proclama terroristico. Sai, quel gruppo di sinistra. –

A. – Sì. Ho capito chi sono. –

L. – Lo hanno fatto sentire l’altra sera in tv. Hanno intercettato la registrazione. “Compagni, l’importante è colpire. Uccidere. Non importa chi, non importa dove, importa che ognuno di noi uccida. Un morto a testa, uno al giorno, senza motivo. Uomini, donne e bambini sono tutti nostri nemici. Sono tutti nostri sacrifici utili alla nostra causa! Omicidio rapido, omicidio senza motivo! Con ogni arma e con ogni mezzo. Voi sarete la mano del dio che colpisce tra la folla. Perché voi siete il giusto e chi muore è solo colpa. –

A. – Forte! Questa però… ah no, questa poi! Luigi, tu lo sai, non c’è nulla che mi indigna, ma questa è la più brutta notizia di tutte. I parcheggi blu vengono  dieci centesimi in più all’ora. –

L. – No! Cazzo! Questo è comunismo! Questo è veramente l’ultimo baluardo della libertà violata, da parte della nostra amministrazione. Adesso, io te lo dico, adesso, attuo la mia rivolta e parcheggio senza mettere il biglietto. –

Escono.

Entrano il Pazzo e il poliziotto. Entrando possono tirare un telo, per dividere il palco e cambiare la scena.

C. – Si vede che sei una brava persona! Ti ringrazio per poco fa. –

P. – Figurati, dai. Lo avrebbero fatto tutti. –

C. – Non tutti… e così tu hai passato vent’anni della tua vita chiuso in casa a guardare i tuoi vecchi. –

P. – I miei genitori, sì. Chiuso in casa? Ho scelto io di accudirli mentre non stavano bene. –

C. – Tu, così, da vent’anni non… voglio dire… non conosci la donna? –

P. – No. Sono vent’anni che non vado a letto con una donna. –

C. – E come hai resistito? Ci hai dato dentro con le riviste? Chiuso in bagno, in camera tua… -

P. – Non avevo molti stimoli per crearmi delle fantasie erotiche. No, si resiste, sai… -

C. – Andiamo.. vuoi farmi credere che si resiste alla figa? Impossibile! –

P. – Ti dico che ce la si fa. –

C. – Dì un po’, sarai mica…, oppure impotente? –

P. – No. Etero e del tutto funzionante. –

C. – Dai, non me la racconti giusta! Non c’è niente di meglio di una scopata e tu mi dici che sei normale? Che non hai desiderio? –

P. – No. Il desiderio c’è, certo. Ma se non è arrivato o non arriva si resiste senza fatica. –

C. – Senti, qui vicino abita una mia amica. È una che non si tira indietro e che non si fa pagare. –

P. – Ti ringrazio, ma va bene così. –

C. – Come preferisci. Ti saluto ora, io vado nella direzione opposta. –

P. – Ok, ciao. –

Si stringono la mano e il Pazzo se ne va. Il poliziotto lo osserva uscire.

C. – No. Quello decisamente non sta bene. Prima o poi bisognerà tenerlo d’occhio. –

Esce portandosi via il telo.

TERZA PARTE.

Un’altra camera da letto, nuova stanza del Pazzo.

Pazzo e Silvia.

P. – Purtroppo non ho nulla da offrirti. –

S. – Non devi preoccuparti. Sono qui solo per vedere che stai bene. –

P. – Io sto bene. Te l’ho detto che mi adatto e qui è bellissimo. Sei sicura che non ti da fastidio? –

S. – Te l’ho detto, stai qui quanto ti pare. Non dai fastidio a nessuno. Anzi, mi dispiace che non posso recuperare niente dei tuoi effetti personali. Gli stronzi, non trovo parole migliori, ti avranno già buttato via tutto quello che non sei riuscito a recuperare. –

P. – C’è qualcosa che vorrei salvare, se fosse possibile, ma ci metto una pietra sopra. D’altro canto, sono dovuto andare via di corsa da quell’appartamento. –

S. – Che carogne! Buttarti in mezzo a una strada, così, senza pensarci due volte. E tua sorella, che non è neanche intervenuta in tua difesa. Non li sopporto più quei due! Andrea è anche il migliore amico di mio marito. Ci divento matta. Non capisco come faccia tu a rimanere così tranquillo! –

P. – Tranquillo?! Credi veramente che io sia tranquillo e calmo? Che non sia furibondo? L’unica, l’ultima persona della mia famiglia che mi è rimasta al mondo sta letteralmente distruggendo tutto il mio passato. E lo fa perché questo non rappresenta niente per lei, e quindi ci passa sopra come se fosse nulla. Nulla per chiunque. Davvero pensate tutti che io non soffra? –

S. – Scusami! Sono una scema. Hai ragione. Hai ragione, tu. Uno ti vede e dà per scontato che tu stia bene. In fondo, hai fatto qualcosa di ammirevole: sacrificare tutta la tua vita per l’amore dei tuoi genitori. E uno si aspetta che tu sia invulnerabile. –

P. – Già. Me ne sono accorto. Pare che la gente sia intimorita da questo. –

S. – Anche Gigi è spaventato da te. Lui che non ha mai paura di nulla, è in realtà spaventato dall’avere dei bambini e dal mio migliore amico. –

P. – Migliore amico? Sono io il tuo migliore amico? Non ci vediamo da sedici anni. –

S. – Lo so che non ci vediamo da quando eravamo ragazzi, ma da quando ti ho rivisto, per me è come se non fossero passati tutti questi anni. Sono tornata a parlare con te come se lo avessi sempre fatto. –

P. – Ti sto creando dei problemi in casa, con tuo marito? –

S. – No. Non c’è nessun problema. Non devi preoccuparti e poi tu non mi hai mai creato dei problemi. –

Silvia lo accarezza sul viso. I due si guardano e poi gli si avvicina e lo bacia. Il Pazzo risponde al bacio, iniziano a toccarsi e a spogliarsi fino a che il Pazzo si ferma.

P. – Ferma. Aspetta. Non è giusto. Sono uno stupido, lo so, ma di fare l’amore con te, così… tu sei sposata e io non sono sicuro che… -

S. – Tu non sei sicuro di amarmi! –

P. – O che tu ami me, Silvia. Sono stato nulla nella tua vita per vent’anni e posso essere il tuo migliore amico, questo sì, ma che tu sia innamorata di me non lo credo. –

S. – Sì, forse, hai ragione. (mentre parla si trucca, si sistema) Certe cose si possono fare solo se l’uomo e la donna sono innamorati. Tu e i tuoi valori. –

P. – Silvia, non giudicare… -

S. – No! Ascolta. Io posso comprendere, posso accettare, e rispetto te, la tua fede e la tua persona, ma anche io sono umana, anche io ti ho amato e credo di continuare a farlo. Ho bisogno di entrare in contatto con te. Mi hai lasciato sola e ho affrontato tutto, in questi anni, da sola. Sono cambiata, non sono quella che voglio essere. E non mi piace. Io ho bisogno di parlare con te e lo faccio così. Lo faccio con il contatto fisico. Se solo tu non fossi sempre stato così lontano, se tu aprissi una porta e mi lasciassi entrare, lo capiresti. (si avvia e sulla  porta, si volta ancora) Ma che cosa credi? Che sia semplice essere quello che si vuole essere? –

Esce.

P. – Credi che sia facile essere quello che si vuole essere? No. Lo so perfettamente che è tremendamente complicato. (volge lo sguardo al cielo) Signore, ma non avrai sbagliato qualcosa? Non sarà che ci hai dato delle sfide troppo difficili da affrontare? Questo mondo non gira nel verso giusto, inseguiamo tutti dei valori errati, o fraintesi, o camuffati. Sì, camuffati, poiché in base a questi valori siamo portati a guardarci gli uni gli altri come nemici. Alla fine siamo tutti perseguitati o persecutori. –

Si sentono degli spari da fuori e poi delle urla sguaiate. Silvia è stata uccisa.

Buio.

QUARTA SCENA.

VOCE FUORI CAMPO. – I’m a drama queen.

                                            I’m Steve Mc Quinn.

                                            I’m a soldier and a lawyer.

                                            I’m a farmer I’m a liar.

                                           A sender and a runner.

Al bar, Andrea e Luigi.

 L. – Bella questa canzone. Che cosa dice? –

A. – Uhm, parla di avvocati. –

L. – Ne parlerà male.  In Spagna sono aumentati i disoccupati. La Grecia non riparte. –

A. – Non devi preoccuparti. Tu hai tutto investito in Russia e Brasile. Come sta tua moglie? –

L. – È morta. La settimana scorsa. –

A. – Sì. Lo sapevo. Intendo dire, è seppellita? –

L. – Certo. Mercoledì o giovedì. Hanno fermato tuo cognato per l’omicidio. –

A. – L’ho saputo, sì. Quando lo processano il Pazzo? –

L. – Il ventidue. Ti hanno invitato? –

A. – Sì. Ma non ci andiamo. Né io né Giulia. Sai, il lavoro… -

L. – Ti hanno intervistato i giornalisti? A me un tipo di una tv privata è venuto a fare delle domande. Dovrebbero averla già trasmessa. Sapevi che tuo cognato comprava droga? –

A. – No. Non lo credo però. Non fumava neppure. –

L. – Eppure mi hanno detto che lo hanno arrestato per l’omicidio di Silvia, ma contro di lui c’è l’aggravante di averlo visto dare dei soldi a uno spacciatore. –

A. – Te l’ho detto. Non lo credo possibile, ma la cosa non mi riguarda. Divertiti, al processo. –

BUIO.

Aula del tribunale.

A centro palco, il giudice con un tavolo davanti. A sinistra del palco l’avvocato, seduto mentre legge una rivista, distratto, non ascolta. A destra un capannello di persone, il pubblico dell’udienza. Attraverso di loro entra il Pazzo, con le mani legate e il poliziotto che lo accompagna.

G. – Quindi, dopo aver letto le sue dichiarazioni, vuole, per favore, dire anche alla gente qui presente e a chi registra, la sua versione dei fatti? –

P. – Signor giudice, è molto semplice. Io non ho ucciso la signora Silvia. Era mia amica e non ne avevo motivo. –

G. – Questo non ci interessa, ora. Vogliamo che lei ripeta la sua versione in merito all’accusa di spaccio. –

P. – Ribadisco la mia innocenza, signor giudice. Non ho mai acquistato droga, né da quell’uomo né da altri. Se ho dato a lui dei soldi, l’ho fatto solo perchè ne conoscevo la condizione di indigente e disoccupato. –

G. –Vuole farci credere che lei elargisce soldi a sconosciuti perchè sono disoccupati? Che casualmente sono anche piccoli pusher che poi, sempre casualmente, quando vengono arrestati, la accusano di essere acquirenti di hashish. –

P. – Signor giudice, non so perchè lo abbia fatto. Le garantisco però che da quell’uomo non ho acquistato nulla. Gli ho solo dato duecento euro per mangiare. –

Dal pubblico iniziano a urlare cose del tipo “Dalli anche a me duecento euro!” “Io ho bisogno per mio figlio.” “Devo cambiare il Suv a mia figlia.”

G. – E mi dica: lo fa con tutti? –

P. – No. Signor giudice. Non lo faccio con tutti. Conosco quell’uomo, la sua famiglia. Sì, conosco la sua attività di piccolo spacciatore. So che aveva fame; che sua moglie e i suoi figli avevano fame, e senza che me lo chiedesse gli ho prestato duecento euro. –

G. – Prestato? Non regalato? Signor avvocato, qui sugli atti, c’è scritto “donato” non prestato. –

AVV. – (senza alzare lo sguardo dal giornale) Lo so, sì. Perchè il mio cliente non chiede interessi. Duecento ha donato al negro e duecento chiedeva indietro. È un testone. Se si fosse fatto processare come usuraio, a quest’ora sarebbe fuori e processo finito. Ma è onesto! –

G. – Duecento euro prestati e non chiede nemmeno un centesimo di interesse? (risate dal pubblico) Ma chi è lei, Gesù Cristo? Passiamo all’accusa di omicidio perchè qui mi sento preso in giro. Perchè l’ha uccisa? –

P. – Signor giudice, non l’ho uccisa! –

G. – Perchè l’ha uccisa? –

P. – Signor giudice, non l’ho uccisa! –

Lo ripetono per cinque volte, in maniera automatica.

G. – Va bene, non c’è il movente dell’omicidio, ma non ci serve perchè è sospettato di essere stato sotto l’uso di stupefacenti. –

P. – Signor giudice, non ho mai fatto uso di stupefacenti. Avvocato, posso fare richiesta di essere sottoposto all’esame clinico per rilevare il consumo di stupefacenti. –

G. – Non si può. È inutile. Oramai la polizia scientifica non rileva più tracce di alcolici o stupefacenti su nessuno. L’esame non ha più validità, oramai. Ci basiamo solo sulle testimonianze dei trafficanti. –

P. – Ma se il togolese… -

G. – Chi? Ah, il negrone! –

P. – Se il togolese mentisse perchè gli viene promessa la libertà in cambio di una delazione? –

G. – Non possiamo più interrogarlo, oramai. È libero. –

P. – Signor giudice, io sono quindi accusato dell’omicidio di una mia amica senza motivo, senza prove? Perchè un uomo di colore ha mentito in una dichiarazione? –

G. – Ma se è lei il primo che si è fidato di lui. Gli ha dato duecento euro senza pretendere nulla in cambio! Che, se questo qui è veramente alla fame, ma chi gli ha detto di venire in Italia con due mogli? Che se ne stia in mezzo alla giungla! Che non faccia figli in giro! E pure lei… qui ad Alba non c’è nessuno che garantisca per lei. Non ha amici, non ha proprietà, se ne va in giro a dire di essere ancora come mamma l’ha fatto

PUBBLICO – (rumoreggia) “Che schifo!” “Secondo me è un pedofilo!” “A me hanno detto che l’ha stuprata prima di ucciderla!” “Non mi piacciono le sue mani!” –

G. - Silenzio! Lei aveva due amici, una l’ha ammazzata e l’altro l’accusa di aver acquistato droga da lui medesimo. –

PUBBL. – È gia stato rinchiuso vent’anni. Perché lo hanno fatto uscire? –

G. – Sente che cosa dicono di lei? –

P. – Io non ho ucciso nessuno. Non ho mai consumato droga e nemmeno ne ho mai acquistata. Non ho fatto vent’anni in prigione, bensì vent’anni chiuso in casa a badare ai miei genitori anziani. Non è stato divertente. L’ho fatto perché lo ritenevo giusto. La mia coscienza mi diceva che era giusto. Così come trovavo giusto dare dei soldi a quel ragazzo per far mangiare lui e la famiglia. Ogni volta che ero stanco, ogni volta che ero dubbioso, nel mio cuore sapevo di stare facendo qualcosa di giusto e andavo avanti. Nella mia vita non ho salvato nessuno, non i miei genitori, non mia sorella, non la famiglia di quel pusher togolese, non Silvia. Nemmeno salverò me stesso. Ma tutto questo è giusto. Non mentirò a lei per beccarmi meno anni, come mi è stato suggerito dall’avvocato. Perché io non voglio raccontare menzogne. Io non rubo e men che meno uccido, e non perché sta scritto nella Bibbia, perché così ogni uomo deve comportarsi. Non è furbo truffare gli altri ma è solo scorretto, è solo distruzione. Io, nel mio bigottismo, come lo chiamate voi, nella mia fede come la chiamo io, credo in un Dio che parla di rispetto, di comunione e di unione. Io vivo nella speranza di un mondo che costruisce. Nella certezza di un Aldilà che io, lei e tutti quanti ci stiamo lentamente costruendo. Non credo negli uomini superbi, credo nell’umiltà, in chi si mette al servizio degli altri perché dagli altri riceverà lo stesso. Credo negli uomini liberi e nella libertà degli uomini, quelli che vivono conquistandosi il rispetto ogni giorno e non acquistandolo al mercato, come l’ultimo bene di cui non hanno ancora deciso il prezzo. Credo nell’Amore, sì, uso questa parola, questa frase usata ovunque, fritta, riscaldata: ma questo è! Cerco Amore negli altri e cerco di dare agli altri, con i miei limiti, i miei errori, Amore. Comprensione, affetto, amicizia, rispetto, vicinanza e lontananza, stima, interesse agli altri; io ascolto gli altri e ci perdo proprio tempo (dal pubblico “Sei inutile!”). Sì (al pubblico), sono inutile, hai ragione. Ma gli altri hanno bisogno di me, anche di me. –

G. – Ha finito? Erano anni che non sentivo parole così. Così antiquate e incomprensibili. Così inconcludenti. Ringrazio mio padre di non avermi mandato a scuola. Comunque. (si alza in piedi) Nel nome del popolo italiano, io, Italo Qualunque, giudice di Cassazione, I° tribunale, II^ classe, IV° collegio arbitrale, la dichiaro colpevole di tutti i reati ascrittile. La condanno, data opportuna valutazione del danno economico arrecato alla società, a giorni sette di reclusione. Avendo però, lei, già passato trenta giorni in carcere, la dichiaro libero e le assegno un risarcimento danni per ingiusta detenzione. –

Il pubblico mormora disappunto.

G. – Silenzio! Silenzio o faccio spegnere le telecamere. –

Silenzio di colpo.

G. – Così, va meglio. Dunque, lei è ora libero. Può andare dove vuole e fare ciò che vuole, ma le ricordo che questo è uno stato laico, quindi, tutte le espressioni religiose, di qualsivoglia tipo, di qualsivoglia natura, secondo una recente interpretazione della parola “stato laico” sono ritenute illegali. Domani ho due processi, uno per far chiudere una moschea e uno per far chiudere un locale che gli arancioni tibetani stanno utilizzando. Lei è libero, prenda i suoi quattro stracci, due preti, due suore che incontra per la strada e andatevene fuori dalle scatole. Noi non abbiamo bisogno di voi. –

 

 

Alba, 15-09 / 17-10-2009

Appendice 17-01-2010

Variazione Fenoglio 13-02-2010

II°ATTO 15-01 / 19-02-2011

Gianluca Rovagna.