Il gabbiano Jonathan Livingston

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IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON

IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON

di Richard Bach

SE

PER IMPARARE A NUOTARE

BASTA TUFFARSI NELL’ACQUA

PER

IMPARARE A VOLARE BASTA

“TUFFARSI” NEL CIELO

Il Gabbiano

Jonathan Livingston

C’E’ RIUSCITO E CI INVITA A  VOLARE OLTRE  OGNI FALSO

LIMITE IMPOSTO DALLO STORMO, NEL TOTALE RISPETTO

DELLO STORMO, PER LO STORMO, E A MAGGIOR GLORIA DEL

GRANDE GABBIANO

PERSONAGGI:

IL GRANDE GABBIANO

LO STORMO

JONATHAN

MADRE

PADRE

GUIDA 1

GUIDA 2

SULLIVAN

CIANG

FLETCHER


Narratore:        Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A lui, al gabbiano Jonathan, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più di ogni altra cosa al mondo, a Jonathan piaceva librarsi nel cielo.

                        Passava intere giornate, tutto solo, dietro ai suoi esperimenti di voli planati a bassa quota. Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non era facile trovare amici fra gli altri uccelli. E tutto ciò affliggeva i suoi genitori.

                           (durante tale introduzione Jonathan è in scena ed accompagna la

                             narrazione con gestualità meditative…)

                           (prima se ne sente la voce da dietro le quinte e poi entreranno in

                             scena il padre e la madre)

Madre:             ma perché Jon, perché non devi essere un gabbiano come gli altri? Perché non lasci ai pellicani il volo radente? Non vedi come ti sei ridotto penne e ossa? Perché non mangi niente, figlio mio?

Jon:                  vedi mamma, m’importa poco se sono penne e ossa; a me importa soltanto imparare cosa si può fare su per aria e cosa no. A me preme soltanto di sapere. Capisci mamma?

Padre:              Stà un po’ a sentire Jonathan. Manca poco all’inverno, e tu sai bene come le barche sono oramai poche e i gabbiani molti. Se proprio vuoi studiare, studia la pappatoria e il modo di procurartela, perché questa faccenda del volo è bella e buona, ma non puoi mica sfamarti con una planata! Non scordarti, figlio mio, che si vola per mangiare.

                            (il padre e la madre escono. Jon prende una canna da pesca, si siede

                              sul bordo del proscenio e cala la lenza in mare mentre il narratore:)

Narratore:        Jonathan, nei giorni successivi, cercò di comportarsi come gli altri gabbiani; giostrava con lo stormo intorno ai moli, intorno ai pescherecci, gareggiando per acchiappare un pezzo di pane, un pesciolino, qualche avanzo. Insomma viveva e volava solo ed esclusivamente per mangiare. Ma a un certo punto non ne poté più:

                                                (Jon butta la canna in mare)

Jon:                  Ma che senso ha tutto questo? (butta in mare il pescato)

                         Perché sto qui a perdere tempo con vecchie acciughe che non mi interessano, quando potrei esercitarmi nel volo ed imparare tante cose!

Narratore:        Jonathan piantò lo stormo          (l’uscita dal tappeto può ben simboleggiarlo) e tornò solo sull’alto mare ad esercitarsi, affamato e felice. Studiava velocità ed in capo a una settimana ne sapeva più di tutti al mondo (paradossalmente potrebbero essere mimati lentamente alcuni esercizi di Qicong o tai ci).

Narratore:        ma più aumentava la velocità più perdeva il controllo delle ali, e, nel momento di risalire, cadeva in mare.

Jon:                  (battendo il pugno sul cubo) No e poi no! Così non ce la farò mai. Le mie ali sono ali di gabbiano. Se io fossi fatto per volare come il vento avrei l’ala corta del falcone e mangerei topi anziché pesci. No, devo scordarmi quello che ho imparato: sono proprio un gabbiano come tutti gli altri e non mi rimane che tornare allo stormo. Solo i falchi possono volare come il vento, perché loro hanno l’ala corta. (pausa, si porta la mano alla fronte e si dà un colpetto) L’ALA CORTA (gridando) 

                        LE ALI CORTE DI UN FALCO (ancora più forte). Ecco la soluzione: quello che occorre è solo un’ala corta? E allora basterà che tenga le mie ali raccolte, che le tenga ritirate e ne adoperi soltanto le estremità. Ali corte.

Narratore:        Il gabbiano Jonathan si portò subito a seicento metri di quota, sopra il mare, e si gettò in picchiata a capofitto. Dapprima piccoli, pescherecci e stormo, sulla sua traiettoria di volo apparivano sempre più grossi. Non poteva più fermarsi né a quella velocità poteva virare. Chiuse gli occhi e, come una saetta, passò nel bel mezzo dello stormo Buonappetito a 212 miglia orarie per riprendere quota un attimo dopo. Quello per lui fu un giorno memorabile e seguitò a esercitarsi fino a dopo il tramonto. Poi decise di tornare allo stormo.

Jon:                  quando lo sapranno, quando sapranno delle nuove prospettive da me aperte, impazziranno di gioia. Altro che battelli da pesca e pappatoria! Noi avremo una nuova ragione di vita. Lasceremo le tenebre dell’ignoranza per scoprirci intelligenti e abili. Saremo liberi e impareremo a volare!  (guarda entro il cerchio che rappresenta lo stormo) Eccoli là riuniti. Sicuramente aspettano me. (entra nel cerchio del tappeto) Devo comunicar…

                               (viene interrotto dalla voce dell’anziano)

Anziano:          Il gabbiano Jonathan Livingston si porti al centro dell’emiciclo!

Jon:                  ma io non voglio onori, voglio solo parteciparvi…

Anziano:          il gabbiano Jonathan Livingston viene messo alla gogna e svergognato al cospetto di tutti i suoi simili

Jon:                  ma non è possibile, io ho…

Anziano:          … per la sua temeraria e irresponsabile condotta; per essere egli venuto meno alla tradizionale dignità della grande famiglia dei gabbiani. Tutto ci è ignoto, e tutto della vita è imperscrutabile (o in conoscibile) tranne che siamo al mondo per mangiare, e campare il più a lungo possibile.

Jon:                  incoscienza, condotta irresponsabile? Ma fratelli miei, chi ha più coscienza di un gabbiano che cerca di dare un significato, uno scopo più alto all’esistenza? Per mill’anni ci siamo arrabattati per un tozzo di pane e una sardella, ma ora abbiamo una ragione, una vera ragione di vita… imparare, scoprire nuove cose, essere liberi. Datemi solo il tempo di spiegarvi quello che oggi ho scoperto…

Anziano:          non abbiamo più nulla in comune noi e te (vanno)

Narratore:        il gabbiano Jonathan visse il resto dei suoi giorni esule e solo. Volò oltre le scogliere remote, ed il suo maggior dolore non era la solitudine, era il rifiuto degli altri gabbiani a credere e aspirare alla gloria del volo. Si rifiutavano di aprire gli occhi per vedere. Imparò a venire giù in picchiata e ad andare sott’acqua. Imparò a dormire sospeso a mezz’aria dopo avere stabilito alla sera la sua rotta. Imparò a volare attraverso la nebbia e sopra le nuvole più alte. Imparò a sfruttare i venti d’alta quota, e a portarsi nell’entroterra per cibarsi d’insetti.

                        Egli imparò a volare, e non si rammaricò per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia, la paura e la rabbia a render così breve la vita di un gabbiano. Ma, con l’animo sgombro da esse, lui visse contento e a lungo.

                                    (entrano due gabbiani bianchissimi. Canzone… Jon li mette

                                      alla prova: ogni volta lui propone un simbolo e quelli lo

                                      completano)

Jon:                 Molto bene, ma… voi… chi siete?

Gabbiano:       veniamo dal tuo stormo, Jonathan. Siamo fratelli tuoi.

Jon:                 ma io non ho stormo, né patria. Io sono un reietto.

Gabbiano:       siamo venuti, Jon, per condurti più in alto. Per condurti a casa.

Jon:                 non ho casa, io, e più in alto di così, ve l’assicuro, non riuscirei a sollevare questo mio vecchio corpo.

Gabbiano:       sì che puoi riuscirci, vecchio Jonathan. Perché tu hai imparato tutto. Hai terminato un corso d’istruzione, e adesso ne cominci un altro.

                                  (Jon fa alcuni esercizi di centratura dopo aver purificato i

                                   due canali respirando alternativamente dalle due narici, e

                                   quindi)

Jon:                  sono pronto. Avete ragione voi: posso davvero volare più in alto.

                                      (si smorzano le luci mentre il narratore)

Narratore:        Il gabbiano Jonathan Livingston fece prua verso l’alto, scortato dai quei due splendidi uccelli, e scomparvero insieme nella notte (altra canzone).

Fine prima parte


Seconda parte

                                  (Jon si osserva bene in un piccolo specchio)

Jon:              è cambiato qualcosa, eppure… (si osserva nello specchio) le penne sono diventate splendenti come la neve (fa un giro su se stesso) ed il mio volo è molto più veloce di quello (scandisce bene le parole mentre osserva il paesaggio) della terra: ma dove mi trovo? È bello qui. Il … paradiso! Sicuramente è il paradiso. (guarda in basso) Una scogliera bellissima, un mare stupendo, e dei gabbiani.

                        Perché sono così pochi? Il paradiso dovrebbe esserne pieno.

                        (si siede) e questa stanchezza? In un luogo così non ci si dovrebbe mai sentire stanchi. (guarda in alto con fare assonnato) come volano bene! Ho tanto da imparare qui sul volo: non solo la pensano come me e ne sento l’affetto, ma volano molto meglio di me. Sono …

                                 (entra il gabbiano Sullivan dopo un po’, prima lo osserva e poi)

Jon:              Sai Sullivan, questo nostro modo di parlare senza emettere suoni, questa nostra telepatia mi ricorda tanto il pianista: colui che “parla”, come un pianista muove, pigia dei misteriosi tasti in colui che ascolta, come su un pianoforte.

                     Dimmi Sullivan, perché siamo così pochi qui? Sai da dove vengo io, di gabbiani ce n’erano…

Sullivan:      a migliaia e migliaia, lo so. Cosa vuoi che ti dica? Mi sa tanto che tu, Jonathan, sei un uccello come se ne trova uno su un milione. Noialtri  passavamo da un mondo all’altro, ognuno quasi uguale al precedente, e subito ci si scordava da dove venivamo e dove fossimo diretti.

                    Prima di capire che c’è qualcos’altro che conta, oltre al mangiare, al beccarci, qualcos’altro oltre alla legge dello stormo, sono dovute passare mille, diecimila vite. E dopo questo primo barlume sono dovute trascorrere altre cento vite per capire che c’è una cosa chiamata perfezione e per adeguarci ad essa. Ecco cos’è lo scopo della vita: adeguarsi a questo ideale di perfezione. Adesso, finalmente, scegliamo il nostro mondo successivo in base a ciò che apprendiamo in questo. Se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima.

Jon:              dimmi Sullivan, è vero che presto il vecchio Ciang ci lascerà per andare in un mondo più evoluto?

Sullivan:      credo proprio di sì, Jonathan. Nello stormo non si parla d’altro, e pare che la cosa sia molto prossima. Guarda, pare che il vecchio Ciang venga da questa parte. Beh, ti lascio in buone mani Jon, io devo andare a provare delle nuove traiettorie di volo, ciao.

                               (entra il vecchio Ciang)

Jon:              Ciang…

Ciang:          che c’è figliolo?

Jon:              Ciang, questo posto non è il paradiso, dico bene?

Ciang:          non si finisce mai d’imparare, Jonathan.

Jon:              Ma allora, dopo di qui, cosa ci aspetta? Dove andremo?

                     E un posto come il paradiso c’è o non c’è?

Ciang:          no, Jonathan, un posto come quello, no, non c’è. Il paradiso non è mica un luogo. Non si trova nello spazio, e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti.

                    Tu sei uno che vola velocissimo, vero?

Jon:              Sì, mi piace andare forte.

Ciang:          Ebbene, raggiungerai il paradiso quando avrai raggiunto la velocità perfetta. Il che non significa mille miglia all’ora o un milione di miglia all’ora, né vuol dire volare alla velocità della luce. E sai perché? (Jon fa di no col capo) perché qualsiasi numero è un limite, e la perfezione invece non ha limiti.

                    Velocità perfetta, figlio mio, vuol dire solo esserci, esser là. (Ciang fa un saltello e scompare virtualmente alla vista di Jon)

Jon:              (tastando l’aria) Ciang, non ti vedo più. (gridando) Ciang dove sei? (Ciang ricompare con un saltello che lo riporta al punto di prima) (Jon lo rivede) per mille gabbiani! Come fai a far questo? Com’è che… (Ciang risaltella e riscompare) oh no, ancora… per favore… Ciang! (ricompare)

Ciang:          pare un giochetto, vero?

Jon:              Ma come fai? E che effetto fa? Fin dove puoi arrivare? Come…

Ciang:          (interrompendolo) puoi arrivare da qualsiasi parte, nello spazio e nel tempo, dovunque tu desideri. Io mi sono recato in ogni luogo possibile e immaginabile, in ogni dove e in ogni quando. È buffo. Quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte, e vanno piano. Quelli invece che aspirano alla perfezione, anche senza intraprendere alcun viaggio, arrivano dovunque e in un baleno. Ricordati Jonathan, il paradiso non si trova né nello spazio, né nel tempo, poiché spazio e tempo sono privi di senso e di valore. Il paradiso è…

Jon:              Potresti insegnarmi a volare così?

Ciang:          se lo desideri, non c’è problema.

Jon:              lo desidero e come! Quando si comincia?

Ciang:          ma, anche adesso, se ti va.

Jon:              se mi va? Dimmi cosa devo fare, e come.

Ciang:          per volare alla velocità del pensiero verso un qualsiasi luogo, tu, devi innanzitutto persuaderti che ci sei già arrivato, o meglio che ci sei già. Perché devi sapere che la tua natura, la tua vera natura vive contemporaneamente dappertutto nello spazio e nel tempo.

Jon:              vuoi dire che non devo considerare me stesso prigioniero di un corpo, ma una parte di un Perfetto Tutto inseparabile?

Ciang:          una parte di un Perfetto Tutto inseparabile, proprio così.

                     Su, vediamo che sai fare.

                        (Jon fa un saltello, ma non scompare. Ne fa tanti altri, ma rimane là)

                    Lascia perdere la fede. Non t’è mica servita la fede per volare. Usa l’intelletto: devi solo capire la faccenda.

                    Su, riprova, facendo come faccio io.

                    (Ciang salta e Jon lo imita per un po’ di volte senza riuscire. Poi finalmente riesce)

                    Eccolo là!

Jon:              Ciang, ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta. Tu sei un gabbiano perfetto, mi sono detto, non hai limiti, né limitazioni: la tua vera natura è l’oceano di Vita che contiene queste quattro penne. E poi mi sono gridato: vai! Ed eccoci qua.      (si guarda intorno)

                     a proposito ma… dove siamo?

Ciang:          finalmente hai capito il principio, ecco perché ce l’hai fatta ad arrivare fin qui.

Jon:              ma qui, dove?

Ciang:          quello che posso dirti è che siamo su qualche pianeta (batte i piedi a terra) con un cielo verde (lo addita) e due soli (li indica in due punti distanti)

Jon:              (alzando le braccia al cielo) FUNZIONA! FUNZIONA! (saltellando di gioia)

Ciang:          Certo che funziona. Funziona sempre quando sai quel che fai. Ma adesso che ce l’hai fatta occorre non fermarsi e andare avanti. È giunto il momento di occuparci del fattore tempo. E ci si lavora su fino a che sei in grado di volare nel passato e nel futuro. Poi, dopo, uno è pronto per la parte più difficile, ma anche più piacevole di tutte: volare verso le alte sfere per capire il segreto della bontà e dell’amore. E poi…

                    (mentre il narratore comincia a parlare Ciang e Jon camminano per il palcoscenico mimando insegnamenti e apprendimenti)

Narratore:    Un giorno che il vecchio Ciang parlava al gruppo, esortando tutti a non desistere mai dallo studio, a perseverare nelle esercitazioni, e soprattutto ad approfondire la conoscenza di quel perfetto invisibile Principio che governa la vita dell’universo, quand’ecco che, mentre parlava così, le sue penne divennero tanto splendenti che nessuno dei gabbiani poté sostenerne la vista.

Ciang:          Jonathan, tu seguita a istruirti sull’amore.

Narratore:    E quelle furono le sue ultime parole, perché quando i gabbiani aprirono gli occhi Ciang non c’era più.

                        (in scena rimane il solo Jon in una posizione fantasticante)

Jon:              Chissà se laggiù, sulla terra, c’è qualche gabbiano che lotta per superare i propri limiti, e per scoprire che il volo non serve solo a procurarsi un po’ di cibo sulla scia d’una barchetta. Chissà se qualcun altro, come me, è stato esiliato per aver proclamato le sue idee al cospetto dello stormo.   (entra Sullivan) Ehi, Sullivan, posso confidarti una cosa?

Sullivan:      ma certamente Jon.

Jon:              sai, ultimamente mi succede che più medito sulla natura dell’amore,

                     più cresce in me la nostalgia della terra. Perché vedi Sulli, per me                                                      

                     mettere in pratica l’amore vuol dire partecipare la verità che ho 

                     appresa e conquistata a qualche altro gabbiano che anela alla stessa

Sullivan:      sì certo, quello che dici è molto giusto e convincente, ma vedi                                    

                    Jonathan l’antico proverbio dice “più alto vola il gabbiano, e più vede  

                    lontano”. Ora io credo che quei gabbiani delle tue parti non si levano

                    quasi da terra, e stanno sempre a schiamazzare e litigare fra di loro.  

                    Jon, quelli lì non vedono al di là del proprio becco. Ascolta me: il tuo

                    posto è qui, dove puoi insegnare a novellini che sono già abbastanza

                    evoluti per intenderti.

                    E poi senti questa: se Ciang fosse tornato al suo vecchio mondo prima di incontrarti, dimmi, che cosa saresti oggi tu?

Jon:              quello che dici è sensato e logico Sullivan, ma nessuno può garantirmi la certezza che sulla terra non vi siano due o tre gabbiani in grado di imparare perché ansiosi di volare.

                    Sulli, devo assolutamente tornare sulla terra. Qui i tuoi allievi già se la cavano bene. Ti aiuteranno loro a tirare su le nuove reclute.

Sullivan:      se è così che la pensi, non posso dirti altro che soffrirò la tua mancanza. E poi te lo devo proprio dire: sei l’uccello più matto che esista, e semmai c’è uno che possa insegnare a quelli laggiù a vedere lontano, questi sei tu gabbiano Jonathan Livingston. Addio Jon

Jon:              Arrivederci Sulliva. Ci rivedremo ancora.

                                    (Jon esce di scena)

Narratore:    Jonathan si concentrò col pensiero per trasferirsi con esso su un’altra spiaggia e in un altro tempo, laggiù, dove vola un grande stormo di gabbiani. Ormai sapeva bene di non essere di carne e ossa e penne, ma un’idea: senza limiti, né limitazioni, una perfetta idea di libertà.

                                    (entra il gabbiano Fletcher Lynd)

Fletcher:      non me n’importa niente di come la pensano loro: volare non può voler dire portarsi da qua a là sbatacchiando le ali. Perfino … una zanzara ne è capace. Solo per aver eseguito qualche evoluzione, così, per gioco, mi hanno esiliato. Ma possibile non riescano a capire cosa potrebbe dar loro il volare sul serio?

                    Non m’importa niente di come la pensano: sarò un fuori legge, ma… volerò come dico io. Li farò pentire amaramente.

                                     (entra in scena Jonathan)

Jonathan:     Gabbiano Fletcher Lynd, desideri tu volare?

Fletcher:      Sì, desidero volare!

Jon:              Gabbiano Fletcher, sei disposto ad amare tanto il volo da perdonare i torti che hai subito, e tornare un giorno presso lo stormo per insegnare agli altri?

Fletcher:      sono disposto, sì.

Jon:              allora Fletch, cominceremo con il volo orizzontale

                     (comincia l’istruzione: Jon suggerisce e Fletch tenta di fare l’esercizio in volo, ma prima con gesti e poi con parole Fletcher dichiara la sua incapacità)

Fletcher:      Con me perdi tempo, Jonathan. Ho i riflessi troppo lenti. Sono troppo scemo. Ce la metto tutta ma non riesco.

Jon:              certo che non ci riesci. Non basta esser decisi. Bisogna anche esser sciolti, perché scioltezza è coordinazione. Adesso ci proveremo insieme, e starai molto attento al passaggio, a come deve essere scorrevole.

                      (Ci provano e Fletch ci riesce. Poi entrano altri gabbiani e ad ognuno

                        Jon insegna qualcosa)

Narratore:    Jonathan istruiva ormai una compagnia di esuli e reietti accomunati da un unico credo: volare per la gioia di volare. Però, tutti loro riuscivano meglio nella pratica, che non nella teoria: più lesti ad eseguire gli esercizi che ad afferrare l’arcano celato in essi. E così, spesso, li riuniva sulla spiaggia e approfondiva la teoria

                                                       (Jon li riunisce)

Jon:              ciascuno di noi è, in verità, un’immagine del Grande Gabbiano, un’infinita idea di libertà, senza limiti. Noi dobbiamo lasciar perdere, scavalcare tutto ciò che ci limita. Ecco il perché di questi nostri esercizi di volo rallentato, volo veloce,volo acrobatico, ecc. Nessuno di voi è riuscito a capacitarsi che i voli del pensiero possono essere tanto reali quanto i voli nel vento e con le penne.

                    Il vostro corpo, dalla punta del becco alla coda, non è altro che il vostro pensiero, una forma del vostro pensiero, visibile, concreta. Spezzate le catene che imprigionano il pensiero, e anche il vostro corpo sarà libero.

                    Bene. Adesso, è tempo di far ritorno allo stormo.

Fletcher:      ma non siamo ancora pronti! E poi, quelli là non ci vogliono proprio. Non possiamo mica imporre la nostra presenza dove non è gradita!

Jon:              noi siamo liberi di andare dove ci pare e di essere quello che siamo.

                         (va verso lo stormo mentre gli altri lo seguono)

Narratore:    Fu quello un momento d’angoscia per i discepoli: la legge dello stormo vietava ferreamente il ritorno del reietto, e Jon comandava di andare. Ma tale momento durò solo un istante: seguirono Jonathan, ed il mattino dopo arrivarono in volo da occidente, sorvolarono la spiaggia del Consiglio. Ottomila pupille di gabbiano guardarono in alto, e osservando quei voli, non fu difficile capire che si trattava di reietti. Sbigottimento e confusione discesero sullo stormo, e ci volle quasi un’ora perché l’ordine dato dall’anziano si diffondesse di becco in becco per tutto lo stormo: la consegna era ignorarli. Il gabbiano che rivolge la parola ad un reietto, è reietto anche lui, il gabbiano che posa lo sguardo su un reietto, infrange la legge dello stormo. Ma non fu sufficiente:

Terence:       il mio nome è Terence, Terence Lowell, so bene di essere ormai reietto come voi, ma non m’importa. Vorreste insegnarmi a volare?

                                 (il gruppo lo accoglie e volano-danzano di felicità)

Maynard:     io invece mi chiamo Maynard e desidero volare più di qualunque altra cosa al mondo.

Jon:              Bè, che aspetti a venire con noi? Sollevati dal suolo insieme a me, e cominciamo subito.

Maynard:     ma… mi hai osservato bene?

Jon:              certamente. Tu sei un gabbiano come tanti altri.

Maynard:     ma, non capisci?… la mia ala… io non riesco a muoverla.

Jon:              Gabbiano Maynard, tu sei libero di essere te stesso, e nulla ti può essere d’ostacolo. Questa è la legge del Grande Gabbiano. La legge che È.

Maynard:     intendi dire che… posso volare?

Jon:              dico che tu sei libero.

                       (fa un gesto come per dire: provare per credere. Maynard al primo       

                         tentativo vola)

Maynard:     SO VOLARE, SO VOLARE!

Jon:              (rivolto al suo gruppo) l’unica legge è quella che conduce alla libertà, altra legge non c’è. I gabbiani dello stormo adesso ci credono fuori del comune, e non sanno che l’unica differenza fra noi e loro è che noi abbiamo compreso ciò che veramente siamo e lo mettiamo in pratica, e loro no.

Fletcher:      È verissimo, è proprio così. Ma sai che quelli dello stormo vanno dicendo che tu sei figlio del Grande Gabbiano in persona? Com’è che non capiscono che basta… volare ed esser perfetti? Ora scendo giù in picchiata alla mia massima-perfetta velocità, per far capire loro che non c’è nulla di magico.

Jon:              attento Fletcher, in questo momento sono migliaia, e molti sono piccoli e inesperti. Potresti…

                         (Fletcher vola: scende dal palcoscenico e va a sbattere su uno

                          spettatore in prima fila. Muore. Jonathan scende giù dal

                          palcoscenico pure lui e lo va a “riprendere” dopo averlo svegliato

                          al suo nuovo stato.)

Jon:              Te l’avevo detto Fletcher: per scansare quel piccolo gabbiano sei andato a sbattere contro quella roccia.

Fletcher:      ma qui è tutto diverso Jon, è tutto più… ma… dimmi Jonathan… sono… morto, vero?

Jon:              Il fatto è, Fletcher, che bisogna superarli un po’ alla volta, i nostri limiti, con un po’ di pazienza. Qui sta il trucco. Tu non eri ancora pronto per volare attraverso la roccia. Morto… che vuol dire, morto… non stai forse parlando con me? Diciamo che, hai cambiato, in maniera un po’ brusca, livello di coscienza. Ecco tutto. Adesso puoi: o rimanere qui e imparare nuove cose più elevate, oppure tornare allo stormo e prestare lì la tua opera.

Fletcher:      Tornare, voglio tornare allo stormo e iniziare un nuovo corso con quelle matricole.

Jon:              d’accordo Fletcher. Ti ricordi come tempo fa ti dicevo che il corpo non è altro che un grumo di pensiero?

Fletcher:      sì, Jon,

Jon:              Ebbene, adesso devi realizzare ciò.

                          (dalla sala risalgono sul palcoscenico)

Un gabbiano dello stormo:  è risuscitato! L’ho visto io: l’ha sfiorato con la sua ala e l’ha risuscitato!

                    Il figlio del Grande Gabbiano!

Altro gabbiano dello stormo: è il diavolo, il diavolo! L’ho visto io come ha operato

Jon:              dì un po’ Fletcher, ti sentiresti più tranquillo se tagliassimo la corda?

Fletcher:      non credo che farei molte obiezioni Jon.

Jon:              bene, dammi la mano e fai come me.

                           (fanno alcuni saltelli e scompaiono)

Fletcher:      ma come hai fatto? Come siamo arrivati da qui a lì?

Jon:             tu eri d’accordo che si andasse via, e siamo andati via.

Fletcher:      sì, ho capito. Ma come?

Jon:             te lo ripeto ancora Fletcher, per tutte le cose è questione di esercizio. Ma non mi va di parlare di questo. Parliamo d’altro.

Fletcher:      Se è d’altro che dobbiamo parlare, rispondi a questa mia domanda. Ti ricordi Jonathan quella volta che mi dicesti che bisogna voler bene allo stormo, perdonarli, tornare tra loro e aiutarli a capire?

Jon:              certo che mi ricordo.

Fletcher:      ma dì un po’, come fai ad amare una tale marmaglia di uccelli che ha tentato addirittura d’ammazzarti?

Jon:              Oh Fletch non è mica per questo che li ami! È chiaro che non ami la cattiveria e l’odio. Bisogna solo esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c’è in ognuno, e aiutarli a scoprirla da se stessi, in se stessi.

                    È questo che intendo per amore.

                    Dimmi Fletcher, non pensi che altrove, in altri stormi ci potrebbero essere altri Fletcher reietti bisognosi di un maestro? E che tu potresti…

Fletcher:      ma io sono un semplice gabbiano, mentre tu…

Jon:              mentre io sarei l’unico figlio del Grande Gabbiano, vero?

                    No Fletcher, tu non hai più bisogno di me…

Fletcher:      ma l’istruttore, il maestro sei tu Jon!

Jon:             No Fletcher; tu devi solo seguitare a conoscere meglio te stesso, ogni giorno un pochino di più. Tu devi trovare il vero gabbiano Fletcher; è lui il tuo maestro. È lui che devi capire. È in lui che tu devi esercitarti: a esser lui.

                           (Jon si siede nella posizione del loto o similare)

                    Fra poco non sarò più qui, Fletcher, perciò sentimi bene. Quando non ci sarò più fa che non si spargano sciocche dicerie sul mio conto, e fa che non mi trasformino in un dio.

                    Intesi, Fletch? Sono solo un gabbiano. E mi piace volare.

                                     (si fa buio. Si sente la voce di Fletcher)

Fletcher:      Jonathan!

                                      (si ode la voce di Jon)

Jon:              Povero Fletch! Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.

                                       (la scena si riillumina poco a poco mentre cresce un

                                         vocìo di gabbiani. Fletcher è sulla scena da solo.

                                         Entrano i gabbiani. Si siedono, e Fletcher comincia

                                         a istruirli)

Fletcher:      Innanzi tutto dovete sapere che un gabbiano è fatto ad immagine del Grande Gabbiano, che è un’infinita idea di libertà, e che il vostro corpo, da una punta dell’ala all’altra, altro non è che un grumo di pensiero.

                                         (si fa silenzio. Dopo un po’ Fletcher comincia a ridere

                                           via via sempre più forte)

Narratore:    Quantunque cercasse di mostrarsi tutto serio e severo ai suoi allievi, il    gabbiano Fletcher, per un attimo li vide come veramente erano. Ecco perché rideva: non soltanto gli piacevano, li amava. E quello che vide era molto bello: nessun limite, Jonathan, proprio nessun limite.

                     Aveva cominciato a imparare.

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