Il giocatore di prestigio

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(1928)

Un atto di Sabatino LOPEZ

da 7 COMMEDIE IN UN ATTO

Rizzoli Editore Milano - 1967

PERSONAGGI

ALESSANDRO BARGOSSI

CLOTILDE BARGOSSI

BIANCA TÒRTORI

PIERO CARLINI

LA CAMERIERA DEL PRIMO PIANO

IL RAGAZZINO DEL LIFT

LA CAMERIERA DELLA SIGNORA TÒRTORI

Estate 1928.


Una bella camera d'albergo, in una stazione clima­tica, comunicante a sinistra con un'altra camera.

(Alessandro si dispone a farsi la barba e affila il ra­soio sulla striscia di cuoio. Si batte con la nocca alla comune.)

ALESSANDRO      Avanti.

LA CAMERIERA    (entra con una brocca) Ecco l'acqua.

ALESSANDRO      Calda, eh?

LA CAMERIERA   Caldissima.

ALESSANDRO      Perché se non è calda lei. io mi raffreddo. L'abitudine!

LA CAMERIERA    Il signore me l'ha detto un'al­tra volta. (Depone la brocca.)

ALESSANDRO      Ah sì? Non me ne ricordavo. Ave­te buona memoria.

LA CAMERIERA   Le occorre altro?

ALESSANDRO      Niente, grazie.

(La cameriera esce. Alessandro chiude col paletto la camera comuni­cante.)

Ecco fatto.

(Torna al rasoio e al cuoio e affila la lama. Per farsi compagnia declina il ver­so radersi.)

Io mi rado - Tu ti radi, e fai bene -Colui non si rade, e fa il comodo suo - Noi ci ra­diamo...

(Sospende per vedere se il rasoio è affilato. Sarà meglio darci qualche altro colpetto, e canta.) Noi ci facciamo - noi ci facciamo, noi ci facciamo la barba da sé. - Noi ci facciamo - noi ci facciamo...

LA VOCE DI CLOTILDE (dalla camera comuni­cante) Sandro... Sandro... Distrattamente, ti sei chiuso.

ALESSANDRO      Sì.

LA VOCE DI CLOTILDE   Apri dunque.

ALESSANDRO      No.

LA VOCE DI CLOTILDE   Come hai detto?

ALESSANDRO      Ho detto no: mi si fredda l'acqua per la barba.

LA VOCE DI CLOTILDE Ti dò fastidio se assisto alla cerimonia?

ALESSANDRO      Mi dài fastidio: perché tu chiac­chieri, io mi distraggo... e mi taglio. Come l'altro giorno.

LA VOCE DI CLOTILDE    Di': hai preso i biglietti?

ALESSANDRO      Ho preso i biglietti.

LA VOCE DI CLOTILDE   Dunque si va.

ALESSANDRO      Dunque si va. Ora vattene tu.

LA VOCE DI CLOTILDE Ma io ti volevo doman­dare... (Si raccomanda, tenera.)  Apri.

ALESSANDRO      (col rasoio nella sinistra, toglie il paletto. Clotilde può entrare. Bonario)  Però... sei una gran seccatrice.

CLOTILDE            (che bella donnina!)    Come hai detto? (Era sulla porta, entra e chiude. Senza collera, ri­dendo) Come hai detto? Ripeti...

ALESSANDRO      Sei una gran seccatrice.

CLOTILDE            Ah! sì? Ti approfitti perché sei armato.

ALESSANDRO      Si capisce!

CLOTILDE            Quanti  biglietti  hai preso?

ALESSANDRO      (deponendo il rasoio)   Quanti? due... Siamo due...

CLOTILDE            (col capo sulla spalla di lui, affettuo­sa)   Non si può mai esser sicuri.

ALESSANDRO      Be': quel lì, anche se c'è...

CLOTILDE            Io direi che c'è. E maschio.

ALESSANDRO      Per  ora  non  paga.

CLOTILDE            Sì, lui... o lei, d'accordo, non paga; ma c'è la mia amica...

ALESSANDRO      Quale amica?

CLOTILDE            Qui all'albergo non ce n'ho che una: Bianca Tòrtori.

ALESSANDRO      (declama) "Bianca è il suo nome e Tòrtori il cognome!" - Io-lei, se mi thiamassi a quel modo, prenderei uno pseudonimo.

CLOTILDE            Va' là che anche il nostro... Bargossi!

ALESSANDRO      Bargossi, niente da opporre. Quan­do mio padre era giovane, un Bargossi - non un nostro parente, ve'! - sfidava un cavallo a correre.

CLOTILDE            Sì. E vinceva il cavallo!

ALESSANDRO      Nossignora. Vinceva l'uomo. Quel Bargossi lì era senza milza.

CLOTILDE            E tu sei senza cuore. Perché la mia amica...

ALESSANDRO      Bianca Tòrtori...

CLOTILDE            Vuol vedere Detrisce.

ALESSANDRO      Anche lei?

CLOTILDE            Anche lei; e siccome il marito non c'è. ci aveva rinunziato in un primo tempo, ma in un secondo tempo quando ha saputo che noi andia­mo al teatro...

ALESSANDRO      Terzo tempo: le cedo senz'altro il mio posto.

CLOTILDE            Questo no, ma (insinuante) per far piacere alla tua mogliettina non potresti invece...?

ALESSANDRO      (subito si ribella) Non potrei tor­nar giù al Politeama? No. Risalire? No. Prende­re un'insolazione? No. Non desidero un figlio po­stumo: non tanto per lui quanto per me.

CLOTILDE            Io non chiedevo che tu ci andassi ora. Quando cala il sole.

ALESSANDRO      Qui, non cala.

CLOTILDE            Come, non...?

ALESSANDRO      Cresce, ma non cala. Agli effetti della temperatura è mezzogiorno anche a mezza­notte.

CLOTILDE            Tu non puoi credere quanto ci tene­va la mia amica!

ALESSANDRO      Ah  sì?  Altra soluzione:  se la  tua amica trova qualcuno che l'accompagni in teatro, noi le cediamo tutti e due i posti, il tuo e il mio. e restiamo all'albergo.

CLOTILDE            Peggio che peggio. Tu hai la tua par­tita, ma io... In quindici giorni dacché siamo qui, non ci siamo mai mossi dopo pranzo. Per una ra­ra volta che c'è una distrazione, mi puoi sacrifica­re il tuo poker!

ALESSANDRO      E io te lo sacrifico; ma la tua ami­ca chiami un taxi, mandi un uomo dell'albergo, telefoni... provveda da sé, insomma.

CLOTILDE            Be', scendo e telefono io.

ALESSANDRO      Brava! È un'idea... E intanto io mi faccio la barba.

CLOTILDE            Tu che numeri hai preso? Perché ci vorrebbe un posto accanto o per lo meno vicino...

ALESSANDRO      Seconda fila. Cinquantacinque, cin­quantasette. Numeri dispari a sinistra, numeri pa­ri a destra. - Che cosa poi si vada a fare al tea­tro, io non so!

CLOTILDE            O bella! a vedere.

ALESSANDRO      A veder che? A veder sparire gli orologi, tirar fuori i piccioni dai cappelli a cilin­dro, i cappelli a cilindro dai piccioni...

CLOTILDE            Ah!  Detrisce fa ben altro!

ALESSANDRO      Chi te lo ha detto?

CLOTILDE            Uno che l'ha veduto a Firenze. Divi­nazione del pensiero, esperimenti di catalessi...

ALESSANDRO      (seguitando l'enumerazione)  ... decapitazione dell'uomo  vivente...   Di'  la  verità:   tu ti senti attratta dalla decapitazione!

CLOTILDE            Io? Figùrati!  Quello è l'ultimo espe­rimento, e se tu preferisci ce ne veniamo prima. Io non ci tengo, a vederla. - Tu l'hai vista la decapitazione dell'uomo vivente, e sul serio non per ischerzo, e dunque...

ALESSANDRO      Io non ho visto nulla.

CLOTILDE            Come, non hai visto?! A Parigi. Tu non mi dicesti...?

ALESSANDRO      Sì, te lo dissi, ma quando? Quan­do eravamo fidanzati. Per rendermi interessante.

CLOTILDE            E non era vero? Magari non sei stato nemmeno a Parigi!...

ALESSANDRO      Sono stato a Parigi, ma non ho vi­sto decapitazioni: bisogna alzarsi troppo presto la mattina.

CLOTILDE            Allora, tu mi hai mentito? È la prima volta, Sandro, che tu mi mentisci. Che io sappia!...

ALESSANDRO      Questa è una frase dei Tristi amo­ri. Lo vedi cosa vuol dire farvi andare al teatro! Vai, vai. Se devi andare a telefonare fai presto... Perché molti posti  erano già  venduti.

CLOTILDE            Vedi dunque che non siamo curiose soltanto noi, io e la Tòrtori! - Dicono che è anche un bel giovane!

ALESSANDRO      Chi?

CLOTILDE            Detrisce.

ALESSANDRO      Ah! ecco. Ora sì che mi spiego la curiosità della Tòrtori!

CLOTILDE            Tu ce l'hai con la Tòrtori.

ALESSANDRO      Prima di sposarsi, deve aver civet­tato con cento. - Sarà un bel giovane, questo De­trisce (io non l'ho mai visto), ma che mestiere buffo è il suo! Fa sparire gli orologi... e poi li re­stituisce ai legittimi proprietari! Non c'è logica: o non li fai sparire, o una volta che li hai presi tienteli! Ti pare?

CLOTILDE             Che numeri hai detto?

ALESSANDRO      I posti? Cinquantacinque, cinquan­tasette. A sinistra. Dalla parte del cuore.

CLOTILDE            Scrivili sopra un pezzetto di carta, al­trimenti prima d'arrivare in fondo alle scale me li dimentico.

ALESSANDRO      (scrive su un foglio, con una gran matita rossa) Ti servo. (Mentre scrive declama.) Il cinque si accoppia col cinque - il cinque si ac­coppia col sette - per questi il tuo cuor si sdilinque - e nuove emozion si promette... (Le porge il foglio.) Sono un poeta o no? Bacio la Musa. (E la bacia sulla guancia.)

CLOTILDE            (sfregandosi dov'è stata baciata)  Sei un poeta... ma buchi.

ALESSANDRO      Naturale! ho la barba lunga... An­zi, ora, come prevedevo, si è freddata l'acqua. E visto che tu devi scendere per telefonare, ti pre­go, dì alla cameriera che me ne porti un'altra brocca. Bollente.

CLOTILDE            Sarà fatto. (Ha preso il foglio, lo tie­ne stretto tra le mani ed esce dalla comune.)

ALESSANDRO      (riprende il rasoio, lo apre, lo affi­la ancora, siede vicino alla porta ed aspetta canterellando)  Noi ci facciamo - noi ci facciamo -noi ci facciamo. (Bussano alla comune.) Questa è l'acqua calda.   Avanti.

IL RAGAZZINO DEL LIFT (di sulla porta comu­ne)   C'è il signor Detrisce.

ALESSANDRO      (sbalordito, dà un balzo avanti col rasoio aperto)    Che hai detto?

IL RAGAZZINO     (istintivamente dà un balzo indie­tro; poi si fa coraggio e ripete a mezza voce) C'è il signor Detrisce.

ALESSANDRO      Ma io non lo conosco! Che vuole?

IL RAGAZZINO     (esitando, quasi tremulo)  Vorrà conoscerla.

ALESSANDRO      Non ci tengo. (Poi muta pensie­ro.)  Digli che ora scendo io.

IL RAGAZZINO     Ma è già salito. Al bureau gli han­no detto che lei c'era!

ALESSANDRO      (irato)    E perché gliel'hanno detto?

CARLINI              (di sulla porta, solenne)    Perché è vero.

ALESSANDRO      (lo vede, lo guarda sbalordito) Tu? Carlini! E perché quell'imbecille mi ha annunziato...?

(Ma il ragazzino è già sparito.)

CARLINI              (più solenne ancora) Perché è vero. Per ché Detrisce... sono io. (E fa un passo avanti.)

ALESSANDRO      (ridendo) Ma va', pagliaccio. Tu sei Carlini, Piero Carlini, mio condiscepolo e mio coe­taneo.

CARLINI              Sì, sono Carlini, ma sono Detrisce. Car­lini è l'uomo, Detrisce è l'artista. Vuoi vedere la carta d'identità? (E fa il gesto di levarla di tasca e mostrargliela.)

ALESSANDRO      (molto sorpreso)   O bella! Da quando?

CARLINI              (semplice) Di' la verità, questa non te l'aspettavi.

ALESSANDRO      Io no. Ma guarda! Sì, quando tu studiavi... mi correggo, quando non studiavi al liceo...

CARLINI              Ma non studiavi nemmeno tu!

ALESSANDRO      Eri già straordinario per i giochi di carte, per le trasformazioni, per buffonerie e stregonerie... ma non avrei mai creduto che di quelle attitudini avresti finito per farne una pro­fessione. - E come hai saputo che io ero qui, e proprio a quest'albergo?

CARLINI              (sorridendo) L'ho indovinato: sono De­trisce! (A occhi chiusi, con voce da ventriloquo) "Vedo, vedo: il signore ha preso due posti al tea­tro per stasera."

ALESSANDRO      (stupito)    Sì.

CARLINI              "Il cinquantacinque e il cinquantasette a sinistra. Dalla parte del cuore."

ALESSANDRO      Sì.

CARLINI              "Poi è venuto direttamente all'albergo ed è salito nella sua camera che porta il numero quarantatré."

ALESSANDRO      Sì.

CARLINI              "Per farsi la barba... Ma non se l'è po­tuta fare."

ALESSANDRO      Sì. Ma tu non sei né Carlini, né Detrisce: sei il diavolo!

CARLINI              No. Carlini e Detrisce, sì, il diavolo no. (Sorride, semplice.) Vuoi che ti spieghi come si fa? Semplicissimo. - Io ero dentro la biglietteria del teatro a guardare come procedeva la vendita e ti ho visto; tu non mi hai visto; ti ho seguito quando uscivi; sei entrato qui; mi son fatto indi­care il numero della camera; ti trovo col rasoio in mano; hai ancora la barba lunga... dunque! Ti pare? (Si bussa alla comune.)

ALESSANDRO      Avanti. (A Carlini) Questa è mia moglie.

LA CAMERIERA    (con una brocca) Questa è l'ac­qua calda.

ALESSANDRO      Ah! grazie. Mettetela lì. Se volete portar via quella... Ma già, non vi occorre... La­sciatela pure.

(La cameriera depone la brocca ac­canto all'altra ed esce. Alessandro pare che si ac­corga ora soltanto di essere poco vestito, e si giu­stifica.)

Tu mi trovi in questa tenuta poco presen­tabile, ma chi poteva pensare?... (E s'infila una ve­staglia.)

CARLINI              Potevi restare come eri: in altri tem­pi ti ho visto assai meno vestito d'oggi. Ti ricor­di quando andavamo a fare i bagni insieme?

ALESSANDRO      Vuoi che non mi ricordi? Che spa­vento quella volta che tu facesti il morto! Ma il morto sul serio! Pubblica assistenza... respirazio­ne artificiale... - Quando si accorsero che fingevi, ti volevano bastonare!

CARLINI              Ma già! Non mi perdonavano di essere ancora vivo.

ALESSANDRO      Quanti anni sono che non ci ve­devamo? Cinque, sei? E non ti ho nemmeno ab­bracciato, ora, al vederti; ma sono rimasto così sbalordito!...

CARLINI              Facciamolo adesso! (E gli apre le brac­cia.)

ALESSANDRO      (prima di gettarglisi dentro)  De­trisce?

CARLINI              Detrisce!

ALESSANDRO      Ci credi che quasi non ci credo ancora? (E si dimentica di abbracciarlo.)  Ma che mestiere  curioso  sei  andato  a  scegliere!

CARLINI              Uno vale l'altro. Anche il tuo... La tua laurea - perché tu ti sei laureato - poco ti serve. Non vendi struménti chirurgici?

ALESSANDRO      Ah!  lo sai?

CARLINI              Lo so: se mi occorre un forcipe non ti faccio torto. - E so molte molte altre cose di te. È inutile che tu me le dica, perché le so.

ALESSANDRO      Davvero? Per esempio? Sentiamo un poco.

CARLINI              Che hai preso moglie? Lo so. Che tua moglie è giù che telefona? Lo so. Che stasera vie­ne con te al teatro? Lo so. Che una sua amica vuol venire al teatro con voi? Lo so. Che questa sua amica...

ALESSANDRO      (sbalordito) Ma come fai a saper tutto questo?

CARLINI              (scuote il capo e sorride) Ero giù ad aspettare l'ascensore che riposava all'ultimo piano. La cabina telefonica era aperta. Una signora, che mi voltava le spalle - non l'ho vista in faccia -, domandava al portiere di prenotarle una poltrona accanto al cinquantacinque e al cinquantasette, i numeri che ti avevo visti prendere. Mi sono detto senz'altro: quella è la moglie di Sandro.

ALESSANDRO      Ah! si fa a questo modo a indovi­nare il pensiero?

CARLINI              Press'a poco. Basta ragionare.

ALESSANDRO      Non è mica facile!

CARLINI              Ragionare? No, non è facile. Meglio an­cora: occorre ragionare e ricordarsi. - Anzi, prima che c'ingolfiamo in altri discorsi, perché non mi sfugga di mente lo scopo della mia visita - oltreché salutarti, si intende -, sentimi un poco e guar­da se mi puoi rendere un servigio. (Grave) Se non sei tu, non so chi potrebbe. Io qui non cono­sco nessun altri che te.

ALESSANDRO      (sospettoso)    Figùrati! Se posso...

CARLINI              (quasi affermativo) Tu qui godi di mol­to credito?                                        

ALESSANDRO      (né sì, né no) O Dio, di molto cre­dito...

CARLINI              Voglio dire: sei persona conosciuta?...

ALESSANDRO      Conosciuta in quanto... Sì, qualcu­no conosco.

CARLINI              (conclude) Sei persona insospettabile. Ho bisogno di te. Come del pane.

ALESSANDRO      Se... si tratta di poco... Lo sai be­ne... In viaggio, specialmente quando si è con una signora, con la propria signora, si spende si spen­de... Ma se è per un foglio da...

CARLINI              (dà in una risata piena) Ma no, ma no, caro: non si tratta di questo. Si tratta di un'altra cosa che mi preme assai. - Ecco qui: fra i tanti miei giochi ce n'è uno di grande effetto... Non te lo sto a spiegare adesso: lo vedrai stasera. Basta che tu sappia che a un certo punto, al momento risolutivo, occorre che tu abbia in tasca il sette di picche.

ALESSANDRO      Io?!

CARLINI              Tu. Prima d'allora io non mi sono avvi­cinato a te, non ti ho salutato, ho finto di non co­noscerti... (quasi pentito) - forse è stato impruden­te che ti sia venuto a cercare qui all'albergo! - e mentre tutto il pubblico è in ansia per sapere co­me finisce il gioco, io dico dal palcoscenico rivol­to in platea: (gridando)  "Vedo, vedo, signore e signori, il sette di picche è in tasca della persona di sesso maschile che occupa la poltrona numero cinquantacinque". - Tu allora incredulo, come se cascassi dal mondo della luna... sì, con la faccia da ebete - mi raccomando la faccia -, ti metti una mano in tasca e tiri fuori il sette di picche.

ALESSANDRO      (gridando anche lui, come per per­suaderlo che vaneggia) Ma non ce l'ho, io, il set­te di picche!

CARLINI              (semplice) E appunto per questo te l'ho portato. (Trae da una tasca la carta del sette di picche e gliela consegna.)

ALESSANDRO      (finalmente capisce) Ah! ora inten­do. Io ti devo far da compare. Si dice così, vero?

CARLINI              Me lo fai? Sì, che me lo fai. Grazie. Ti compro un forcipe. Anzi, due. Stasera tu ti met­ti lo smoking?

ALESSANDRO      (scemo) Perché mi devo metter lo smoking?

CARLINI              (soddisfatto) Ecco, quella faccia lì. - Per venire al teatro.

ALESSANDRO      È necessario lo smoking? Se no, il gioco non riesce?

CARLINI              No, riesce ugualmente, ma un signore in smoking ispira al pubblico maggior fiducia. L'abito... fa il compare.

ALESSANDRO      (lo prega) Ah! senti, almeno que­sto: lasciami venire in giacchetta.

CARLINI              (riflette un momento) Sì, sì; sanno che tu commerci in strumenti chirurgici... Non è ne­cessario, lo smoking! - Quale giacchetta metterai stasera?

ALESSANDRO      Mah! non saprei. Vedrò stasera.

CARLINI              No, bisogna decidersi adesso. Quella lì? (Ce n'è una al cappellinaio.)

ALESSANDRO      Quella lì.

CARLINI              (gli riprende la carta) Te la metto nel­la tasca a sinistra. (Va verso il cappellinaio.)

ALESSANDRO      Ma se viene mia moglie, mi rac­comando, silenzio!

CARLINI              Figùrati! Anzi, te ne prego. Preferisco che si stupisca anche lei.

ALESSANDRO      No, sai come sono le donne: po­trebbero trovare che non è serio da parte mia che io mi presti...

CARLINI              Giustissimo. Allora, nella tasca sinistra. (Infila la carta, ma la ritrae subito, quasi con spa­vento.) No. Qui no. Qui c'è una lettera! Sola: la carta di picche deve esser sola.

ALESSANDRO      (sorpreso) Una lettera? Quale let­tera?

CARLINI              C'è una lettera. (L'ha tratta fuori e glie­la mostra.)

ALESSANDRO      Perdio! (Si batte la fronte.) È una lettera di mia moglie. Per suo padre. E mi si era tanto raccomandata che gliela impostassi! (Guar­da desolato le brocche e il rasoio.) Ora mi tocca uscire! E c'è l'acqua...

CARLINI              Se vuoi, te la imposto io. Ti fidi?

ALESSANDRO      Mi renderesti un servizio. Ma non te ne dimentichi, vero?

CARLINI              Ci puoi contare. Vado giù: alla prima cassetta la imbuco. Uno, due, tre: la lettera è nel­la cassetta.

ALESSANDRO      Grazie.

CARLINI              Vuoi che scenda subito?

ALESSANDRO      Magari! Mi dispiace che tu non possa conoscer mia moglie... Ma già, se non deve sospettare del sette di picche... Se mai, stasera, do­po lo spettacolo. Fingerò di riconoscerti allora, quando sarai sulla scena: "Ma quello somiglia a Carlini". "Quello è Carlini." "Possibile che sia Car­lini?"

CARLINI              Sì, sì. Benissimo. La faccia scema. Tut­to benissimo. (Sta per uscire.)

ALESSANDRO      E ora,  mentre scendi,  mi fai un favore? Mi si è diacciata l'acqua per la barba, e se non è bollente... Tu dici alla cameriera...

CARLINI              No, scusa, questo non te lo garantisco. Se non la incontro, tu aspetti inutilmente. E poi, meno gente mi vede... Per l'affare del sette.

ALESSANDRO      Hai ragione: chiamo io. (Suona due colpi al campanello. Loguarda.) "Detrisce"! -Hai anche la fama di bel giovane.

CARLINI              Ah sì?

ALESSANDRO      Mi diceva mia moglie...

(Battono alla porta comune.)

Avanti.

LA CAMERIERA   Ha chiamato?

ALESSANDRO      Sì: scusate, cara. Portatemi un'al­tra brocca d'acqua calda.

LA CAMERIERA    (dà un'occhiata alle due broc­che) Sissignore. (A mezza voce) Ma è una mania! (Ed esce.)

ALESSANDRO      (a Carlini) Dicevo? Sicuro! Hai la fama di bel giovane... Uomini e donne sono tutti ansiosi di venire stasera al teatro. I divertimenti qui scarseggiano, e qualcuno che ti ha veduto a Firenze ha detto che sei straordinario, specie nei fenomeni di catalessi. - Avrai una magnifica sala.

(Battono alla porta comune.)

Questa è l'acqua cal­da. Avanti.

LA CAMERIERA DELLA SIGNORA TÒRTORI (apre e domanda)   Permesso?

ALESSANDRO      E l'acqua calda?

LA CAMERIERA DELLA TÒRTORI Quale acqua calda?

ALESSANDRO      Ah! già: voi non siete... Chi siete voi?

LA CAMERIERA DELLA TÒRTORI Io sono la ca­meriera della signora Tòrtori.

ALESSANDRO      Infatti. Sul primo momento non vi avevo riconosciuta...

LA CAMERIERA DELLA TÒRTORI Dice la mia signora, con tante scuse, se il signore avesse da scendere; perché la signora ha scritto questa let­tera (e la porge) per il suo signore, e se a lei non fosse d'incomodo, se la potesse impostare. Altri­menti va lei, la signora.

(Alessandro strizza l'oc­chio a Carlini: potrebbe impostare lui anche quel­la? Ma sì, Carlini con una strizzatine d'occhi ana­loga fa cenno di consentire.)

ALESSANDRO      Volentieri, cara. Date qui. (E pren­de la lettera.)

LA CAMERIERA DELLA TÒRTORI Tante grazie e tante scuse. (Ed esce.)

ALESSANDRO      (passa la lettera a Carlini) Mi fai la cortesia?

CARLINI              Volentieri. Una o due, capirai...

(Mette la lettera in tasca. Dalla camera comunicante com­pare la signora Clotilde. Carlini, che stava già per uscire, si ferma.)

CLOTILDE            (vede Carlini)  Eh?! (Appare sbalor­dita.)

CARLINI               Oh! (È stupito anche lui.)

CLOTILDE            Lei qui?

CARLINI              Pare!

ALESSANDRO      (sorpreso)   Clotilde, tu lo conosci?

CLOTILDE            Io sì.

CARLINI              (ad Alessandro) Non sapevo che la si­gnora fosse tua moglie...

ALESSANDRO      Un momento. (Alla moglie) Come lo conosci? Voglio dire, tu quando l'hai conosciuto?

CLOTILDE            Oh! prima di conoscere te, ti assicuro. Anzi, mi stupisco...

ALESSANDRO      Un momento. (A Clotilde, indican­do Carlini)  Come si chiama?

CLOTILDE            Quando ti dico che lo conosco! Si chia­ma Piero Carlini.

ALESSANDRO      (soddisfatto) No. Anzi sì. Cioè: sì e no. È Detrisce.

CLOTILDE            (guarda Carlini, guarda il marito) Che cosa dici?

ALESSANDRO      Questa non te l'aspettavi. È De­trisce.

CLOTILDE            Niente affatto!

ALESSANDRO      Perché tu non sai, perché tu, co­me me, l'hai conosciuto prima, quand'era soltan­to Carlini. Detrisce è il nome d'arte, il nome di battaglia... (S'interrompe.) Ma, un momento: dim­mi un po'... l'hai conosciuto dove?

CLOTILDE A        Torino. Anni or sono. Quand'ero ra­gazza. Poi, mai più visto, ti giuro.

ALESSANDRO      Ah! ecco. - Faceva sparire gli oro­logi?

CLOTILDE            No.

ALESSANDRO      Lo vedi?! Non era ancora Detrisce.

CLOTILDE            (sarcastica)    Ma spariva lui.

CARLINI              (garbato)    Mi scusi, signora...

CLOTILDE            (a Carlini, aggressiva) Vuol dire di no? Che non è sparito?

CARLINI              (a Clotilde) Io non sono sparito niente affatto. Potrei dire che è sparita lei.

ALESSANDRO      (s'intromette)   Lei chi? quale lei?

CLOTILDE            (inventa)   La... la mia amica.

ALESSANDRO      Quale tua amica?

CLOTILDE            Figùrati che il signore era fidanzato...

ALESSANDRO      Quale tua amica?

CARLINI              Fidanzato poi no...

CLOTILDE            Si parlava... si scriveva... - questo al­meno lo ammette? - si scriveva con una signori­na, e quando la signorina...

ALESSANDRO      Io la conosco, questa signorina?

CARLINI              (enfatico) Noo! Che ragione c'è che tu la debba conoscere? - A Torino!

ALESSANDRO      Non la conosco?

CARLINI              No.

CLOTILDE            (subito, per fargli dispetto)    Invece sì.

ALESSANDRO      Sì o no? (A Carlini) Bada che se mia moglie dice di sì, è più facile che lo sappia lei... - Tu non puoi sapere chi conosco e chi non conosco.

CARLINI              Questo è vero. - Credo di no, ma non pos­so giurare.

CLOTILDE            (a Carlini, sempre per fargli dispetto) E fa bene a non giurare. Perché le darei una smen­tita. La conosce, la conosce.

ALESSANDRO      E lui l'ha piantata?... Come si di­ce? "Le ha dato l'erba cassia"?

CLOTILDE            Le ha dato l'erba.

CARLINI              (a Clotilde, protestando) Ah! no, signo­ra... Niente erba... Lei è male informata...

CLOTILDE            Io, male informata? Male informata, io?

ALESSANDRO      (a Clotilde) Questo, scusa, potreb­be essere.

CLOTILDE            Se ti dico che lei era una mia amica, ma un'amica, oh!

ALESSANDRO      (riprende il suo motivo) ... Che io conosco.

CLOTILDE            ... Che tu conosci.

ALESSANDRO      (sicuro)    Ora indovino chi è.

CLOTILDE            (si ritrae)    Questo poi no.

CARLINI              (precipitoso)   Questo non occorre.

ALESSANDRO      Lasciami fare. Lasciatemi fare. - A discorrere con un divinatore del pensiero co­me lui (accenna a Carlini) la smania d'indovina­re diventa attaccaticcia. È un contagio. Vedrete che ci riesco!

CLOTILDE            Appunto per questo, non è delicato.

ALESSANDRO      (insistendo) Un momento. Lasciatemi pensare un momento. (Trionfante) Ci sono. " Vedo, vedo."

CARLINI              Non ci sei.

ALESSANDRO      Per lo meno ho un sospetto, un forte sospetto.

CLOTILDE            Sei fuori di strada.

ALESSANDRO      Bada, Clotilde, che questo tuo di­vieto, invece di sviarmi, mi ci mette davvero, sul­la strada. (Fissa lui, fissa lei, poi chiude gli occhi, fa la voce da ventriloquo e dice, energico) "Ve­do, vedo": si tratta di persona che è qui all'albergo.

CLOTILDE            Sandro, lascia andare.

ALESSANDRO      (scuote il capo, e persiste) Di una donna che ha insistito per vedere Detrisce, cioè per rivedere Carlini.

CLOTILDE            (più debolmente) Sandro, mi fai il pia­cere...

ALESSANDRO      (soddisfatto) Eh? eh? eh? Ci so­no? (Trionfante) È Bianca Tòrtori.

CARLINI e CLOTILDE (stupiti e sollevati, si guar­dano negli occhi e mormorano insieme, sibilan­do)    Ssssì.

ALESSANDRO      Avete visto?! Mi posso mettere a fare i giochi di divinazione del pensiero anch'io... (A Clotilde) È dunque la Tòrtori... Ossia, la Tòrto­ri... Allora era signorina, vero? e non si chiamava Tòrtori... Come Detrisce che era Carlini... - Questa signorina dunque... (A Clotilde) Cosa ti dicevo prima? "Deve aver civettato con cento."

CARLINI              (a Clotilde)   Parla lei o parlo io?

CLOTILDE            Parlo prima io...

CARLINI              Sì, ma subito dopo...

(Si bussa alla porta comune.)

ALESSANDRO      Questa è l'acqua calda.

(Entra la signora Tòrtori, altro tipo rispetto a Clotilde, ma lina, bella donna anche lei.)

Oh! la signora Tòrtori.

BIANCA               (non vede Carlini ) Mi dite un po' che co­sa fate? Qui si perde messo e mandato. (A Clotil­de) Tu mi dici che scendi subito con tuo marito, e non scendi. Io avevo già ordinato all'uomo del bar... (Vede Carlini.)  Eh!?

CARLINI               Oh! (E s'inchina.) Signora!

ALESSANDRO      Forse che vi conoscete anche voi?!  (Ci ripensa.)  Ah, già!

BIANCA               (si è subito rimessa dalla sorpresa) Che cosa vuol dire questo suo "Ah, già!"? No, non ho il piacere di conoscere il signore. - Entro qui. cre­do di trovarvi solo voi, i due coniugi, invece ci trovo un'altra persona... È naturale che faccia: "Eh!?"

ALESSANDRO      Giusto. Niente di più naturale! (Ma ride malizioso.)

CARLINI              (ad Alessandro) E allora mi vuoi pre­sentare alla signora, che non ho il piacere di co­noscere?

ALESSANDRO      Subito, caro. (Presenta.) Il mio amico Detrisce.

BIANCA               (subito)   Questo no!

ALESSANDRO      C'è cascata!

BIANCA               (stupita)   Cascata? Dove cascata?

CARLINI              (pronto, ad Alessandro) La signora ha perfettamente ragione. Cascata non è la parola. -Scusami, mio vecchio amico, ma tu hai commes­so un errore, ti sei espresso male. Tu volevi di­re un'altra cosa. - Intanto, tu dovevi presentarmi col mio vero nome, Piero Carlini - (alla signora Tòrtori) io mi chiamo Piero Carlini - (ad Alessandro, continuando) e non col mio nome d'arte. La signora ha letto sul manifesto il nome "Detrisce": non può sospettare né che Carlini e Detrisce sia­no una persona sola, né che questa persona sia un tuo vecchio amico. (Alla signora Tòrtori) Lei, signora, credeva che Detrisce fosse un mago...? Non è la prima, sa... Oh! accade spessissimo. Vie­ne fatto d'immaginarsi Detrisce, non so, con una gran barba lunga o col piede biforcuto... No, si­gnora Tòrtori... Tòrtori, mi è parso di capire, o sbaglio?

ALESSANDRO      (conferma)    Tòrtori. Tòrtori.

CARLINI              I maghi moderni, i diavoli moderni han­no l'aspetto esteriore di un qualsiasi contribuen­te... E difatti sul palcoscenico, sì, sono un mago, ma quando ne discendo pago le tasse - o non le pago  come un cittadino qualsiasi. Ecco fatto. (E stende la mano alla signora Tòrtori.) Tanto piace­re di conoscerla.

BIANCA               Dunque lei  è Detrisce?

CARLINI              Detrisce. Carlini e Detrisce. Oggi, per­la-prima-volta, lei ha conosciuto Carlini, stasera conoscerà Detrisce.

ALESSANDRO      (alla moglie) Come sanno fingere, come sanno fingere!

(Battono alla porta comu­ne.)

Ancora?! Ma questa non è una camera: que­sto è un porto di mare! (Come rassegnato)  Avanti!

LA CAMERIERA    (guarda le brocche e dice)  Ec­co l'acqua calda!

ALESSANDRO      Ah! no. Ah! basta. Portatela pur via, che ci rinunzio!

CLOTILDE            (fermando la cameriera e prendendo­le la brocca)  No. Perché, Sandro? Non è il caso. Noi andiamo di là... Anzi va' tu in camera mia, ti ci chiudi e ti radi una buona volta, che non se ne parli più.  (Alla cameriera)  Andate pure, voi.

(La cameriera esce. Clotilde a bassa voce al ma­rito, passandogli la brocca)

Forse avranno da dir­si qualche cosa... Dopo tanto tempo!... È meglio che tu non ci sia.

ALESSANDRO      (a bassa voce, persuaso) Hai ra­gione: sei una santa. (Ad alta voce) Sì, io sloggio. (Fiero) E mi chiudo dentro. Perché altrimen­ti questa barba... che barba!

(Ha preso la brocca dalle mani di Clotilde, esce, entra nella camera comunicante e si sente che vi si chiude dal di dentro.)

CLOTILDE            (va subito incontro a Bianca per giusti­ficarsi) Senti, cara, prima che torni mio marito, perché poi non sorgano spiacevoli equivoci, io ti devo chiedere scusa...

BIANCA               (senza lasciarle finire la frase) Di che? di avermi fatto incontrare con questo signore? In­tanto, ch'io l'abbia incontrato non è dipeso da te, che non mi hai chiamata: è dipeso da me che so­no salita, è dipeso dal caso... E poi, tu non potevi sapere. - Del resto, è meglio che io l'abbia incon­trato qui, e che tu sii testimone di quello che so­no per dirgli... Lei, caro signor Detrisce... - per­ché lei è Detrisce, vero?

CARLINI              Sissignora.

BIANCA               (sempre più velenosetta) Fino il nome s'è cambiato, eh? Lei, caro signor Detrisce, si è portato come l'ultimo dei mascalzoni...

CLOTILDE            Bianca!

BIANCA               (a Clotilde) Lasciami dire: tu non sai. (A Carlini) Il suo fu un flirt... niente più che un flirt... ma questo non toglie che un gentiluomo, una per­sona per bene, una persona fina, non un giocolie­re - ha capito? - un giocoliere, mai si sarebbe re­golato, con una signorina di buona famiglia, co­me si è regolato lei. (A Clotilde) Perché tu, ripe­to, tu non sai. Questo signorino qui, quand'ero an­cora ragazza, mi ha fatto la corte, e un bel giorno...

CLOTILDE            Bianca! anche a te?!

BIANCA               Come:  "anche a me"?

CLOTILDE            Perché io sapevo di un'altra!

BIANCA               Ah! Tu sapevi di un'altra! (Furiosa) Al­lora non una, due.

CARLINI              (si intromette, placido) Sì. Ma quelle si­gnorine si sono sposate. Non una, due. Il che si­gnifica che non sono impazzite, né morte per me, né l'una né l'altra. Io le ho trovate dopo tanto tempo contente, allegre, felici: non una, due. E dunque è inutile che ruggiscano, che mettano fuori le unghie, perché non sono due tigri. No. Non sono altro che due gattine, due graziose gattine.

BIANCA               (investe Carlini) Ma che cosa avrebbe pre­teso, lei, che io la piangessi tutta la vita?

CLOTILDE            Pretendeva forse che io prendessi il velo e mi facessi monaca?

BIANCA               (d'un tratto)    Allora l'altra sei tu!

CLOTILDE            (scandisce) Allora l'altra sono io. (Iro­nica, parlando di Carlini all'amica) Di', Bianca, di': credeva che io fossi innamorata di lui! Povero illuso.

BIANCA               Pensa, Clotilde. Mi disse che partiva per un viaggio!... Avrei dovuto aspettarlo? Uno che poi è diventato un giramondo, un gabbamondo, un giocoliere. - Oh, povera me! Anzi, oh, povero lui!

CLOTILDE            E io! Uno che si mangia la stoppa ac­cesa...

CARLINI              (si offende)   Cosa?

BIANCA               Uno che inghiottisce le uova sode in un boccone...

CARLINI              Che dice?

BIANCA               Del resto, tutte le attitudini per fare il giocoliere di piazza le aveva fino d'allora. Che im­broglione! Ha lasciato te per me e poi...

CLOTILDE            (pronta) No, per questo, scusa, ha la­sciato te per me...

BIANCA               No, cara.  Io son venuta dopo.

CLOTILDE            No, tu eri prima di me. Dica lei, Carlini.

BIANCA               Io fu un'estate ad Alassio.

CLOTILDE            Io fu un inverno a Torino.

BIANCA               (a Clotilde)    Di che anno?

CLOTILDE            (a Bianca)   Di che anno?

CARLINI              Ssss. Non si confondano con simili qui­squilie. Io non dirò quale prima, e quale dopo, perché non sarebbe di buon gusto: dirò invece, - ed è la verità - che io non lasciai l'una per l'al­tra... perché in mezzo ce ne fu una terza.

CLOTILDE            Ah! canaglia. (Ma è un poco smon­tata.)

CARLINI              Perché? Io non facevo sul serio... ma nemmeno loro facevan sul serio, lo ero il viag­giatore di passaggio, che vede l'albergo, ci fa co­lazione... ma non fissa la camera perché non si ferma... la notte.

BIANCA               Che canaglia! (E sorride.)

CARLINI              Del resto, lor signore, non si trovano be­ne coi loro rispettivi mariti?

CLOTILDE            Io? benissimo.

BIANCA               Io?   magnificamente.

CARLINI              E dunque! Piuttosto (con aria di miste­ro), invece di perderci a rivangare il passato - del quale in fondo dovrei sentire il rimpianto sol'io, io solo -, in segno dell'antica e rinnovata amicizia, se mi promettono di tenermi il segreto con Alessandro, io dirò alle signore una cosa... Prometto­no? (Si guarda attorno, come per assicurarsi che nessun altro lo ascolta.) Ebbene... io... non sono Detrisce.

CLOTILDE            Non è...?

BIANCA               Non è Detrisce?

CARLINI              No.

CLOTILDE            (dubbiosa)   Ma allora perché...?

CARLINI              (le fa cenno di tacere) Ecco qui. Dopo parecchi anni che non vedevo l'amico Alessandro, l'ho notato per caso mentre chiedeva i posti per la rappresentazione di stasera; e gli ho voluto fa­re una burla. - Quando eravamo tutti e due al medesimo liceo, io avevo la fama d'essere un fa­moso burlone. Gli ho voluto mostrare che il tem­po passa, ma il carattere non muta. - Io sono Piero Carlini e non sono che Piero Carlini.

CLOTILDE            (ironica) Benissimo! Nemmeno quello sa fare! Nemmeno i giochi di prestigio.

CARLINI              (animatissimo) Ah! quelli sì. Divinazio­ne e prestigio. Vogliono vedere?... (A Clotilde) La signora ha scritto stamani una lettera al suo si­gnor padre. Sentiamo un po': dov'è quella lettera adesso?

CLOTILDE            (semplice)    È partita.

CARLINI              Nossignora.

CLOTILDE            Come no? Sarà alla Posta.

CARLINI              Nemmeno.

CLOTILDE            Sarà rimasta in tasca a mio marito.

CARLINI              Neppure. (A Bianca) La signora ha scritto una lettera al suo signor marito. Dov'è la sua lettera adesso?

BIANCA               Sarà in tasca del signor Alessandro, per­ché io l'avevo pregato...

CARLINI              Nossignora. "Uno, due, tre." (Trae le due lettere di tasca.) Ecco qui le lettere. "Osser­vino, signore! qui non c'è trucco, non c'è inganno! Mediante il mio fluido le lettere sono partite dalla tasca del signore e son venute nella mia. - E che cosa c'è, invece, in tasca del signore? Il sette di picche. Prego la signora di voler verificare."

CLOTILDE            (va al cappellinaio, toglie di tasca la car­ta del sette di picche, la guarda e la mostra sbalor­dita a Bianca) Ah! senti, è Detrisce!

CARLINI              (le sottrae la carta) Mah! Lo vedranno stasera. "Uno, due, tre." Io vado a impostare.

(Un inchino, un sorriso, ed esce. Le due donne si guar­dano interrogandosi.)

F I N E