Il gioco dell’amore e…

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IL GIOCO DELL’AMORE E…

di Marivaux

Personaggi:

IL SIGNOR ORGONE

MARIO, figlio di Orgone

SILVIA, figlia di Orgone

DORANTE, promesso sposo di Silvia

LISETTA, cameriera di Silvia

ARLECCHINO, servitore di Dorante

UN DOMESTICO

Scena:

La scena è a Parigi.

Commedia in tre atti, rappresentata per la prima volta dai comici italiani il 23 gennaio 1730.

ATTO PRIMO

SCENA I

Silvia, Lisetta

SILVIA - Ma una volta ancora, di che v’impicciate, perché volete rispondere voi delle mie opinioni?

LISETTA - Perché ho pensato che le vostre opinioni, in questo caso, fossero simili a quelle di tutti; il Signore vostro padre mi ha chiesto se sareste lieta di prendere marito, se vi facesse in qualche modo piacere: gli ho risposto di sì, com’è ovvio; voi siete forse la sola ragazza al mondo per la quale questo “sì” non sia vero; il “no” non sarebbe naturale.

SILVIA - Il “no” non sarebbe naturale, che sciocca ingenuità! Il matrimonio esercita dunque tanto fascino su di voi?

LISETTA - Ebbene, ancora una volta sì, ma guarda.

SILVIA - Tacete, e andate a ripetere le vostre sciocchezze altrove, sappiate che non spetta a voi di giudicare il mio cuore attraverso il vostro.

LISETTA - Il mio cuore è fatto come quello di tutti gli altri; come accade che il vostro s’immagina di essere fatto come quello di nessun altro?

SILVIA - Se ne avesse il coraggio, mi direbbe in faccia che sono un’originale, ci giurerei.

LISETTA - Se fossi della vostra condizione, potrebbe darsi.

SILVIA - Volete proprio farmi disperare, Lisetta.

LISETTA - Non è mia intenzione; ma in fondo, via, che male ho fatto nel dire al Signor Orgone che sareste lieta di sposarvi?

SILVIA - Prima di tutto, non hai detto la verità, non mi dispiace affatto di essere ragazza.

LISETTA - Anche questa è una bella novità.

SILVIA - Non è affatto necessario che mio padre, dandomi marito, creda di farmi un grande piacere; agirebbe con una sicurezza che potrebbe non servire a nulla.

LISETTA - Come, non sposereste l’uomo che vi viene destinato?

SILVIA - Non lo so, potrebbe non convenirmi, e questo m’inquieta.

LISETTA - Si dice che il vostro futuro sposo sia fra i migliori per educazione, che sia prestante, attraente, di bella presenza, che non si possa trovare persona più dotata di spirito, che non si possa avere miglior carattere del suo; che cosa volete di più? Si può immaginare matrimonio più felice? Unione più deliziosa?

SILVIA - Deliziosa! Che termine insensato.

LISETTA - Credetemi, Signora, è una fortuna che un pretendente come lui voglia fare un matrimonio in piena regola; qualsiasi ragazza a cui facesse la corte correrebbe il rischio di sposarlo senza alcuna cerimonia; attraente, prestante, è quel che ci vuole per l’amore; socievole e spiritoso, benissimo per la vita di società. Perdinci, va tutto bene in quell’uomo, l’utile e il dilettevole, non manca nulla.

SILVIA - È vero, almeno nel ritratto che ne fai tu, che è somigliante a quanto dicono; ma appunto “dicono” ed io potrei benissimo non esserne convinta; è un bell’uomo, pare, e questo forse è anche peggio.

LISETTA - Peggio, peggio, ecco un’idea davvero bislacca.

SILVIA - È un’idea piena di buon senso; spesso un bell’uomo è fatuo, io l’ho notato.

LISETTA - Oh, ha torto di essere fatuo, ma ha ragione di essere bello.

SILVIA - Dicono anche che sia un giovane prestante; questo passi.

LISETTA - Sì, certo, questo è perdonabile.

SILVIA - Bello e di bella presenza, se ne può fare a meno, sono ornamenti superflui.

LISETTA - Caspiterina! Se mai prendessi marito, questo superfluo per me sarebbe necessario.

SILVIA - Non sai quel che dici; nella vita coniugale, ti trovi di fronte più spesso l’uomo di buon senso che l’uomo attraente; insomma, io chiedo soltanto che abbia un buon carattere, cosa più difficile da trovare di quanto pensi. Il suo viene molto lodato, ma chi ha mai vissuto con lui? Un individuo non sa forse dissimulare, specie se è intelligente? Non ne ho forse visti, io, che sembravano i migliori del mondo? Quando li vedi in mezzo agli altri, sono la dolcezza, la ragionevolezza, la bonarietà in persona, e niente come il loro volto garantisce di tutte le buone qualità che vengono loro attribuite. Quel signore ha l’aspetto del galantuomo, dell’uomo di buon senso, si diceva ogni giorno di Ergaste. Ma certo, senz’altro, rispondevano tutti; ed io con loro; non c’è un solo tratto della sua fisionomia che sia bugiardo. Sì, andate a fidarvi di quella fisionomia così dolce, così indulgente, che scompare dopo un quarto d’ora, lasciando il posto a una faccia cupa, brutale, feroce, che diventa il terrore di tutta la casa. Ergaste si è sposato, ed è questa la faccia che sua moglie, i suoi figli, i suoi domestici conoscono; mentre lui, in giro, si porta la fisionomia attraente che gli conosciamo, e che è soltanto la maschera che si mette quando esce di casa.

LISETTA - Che bizzarra immagine, quelle due facce!

SILVIA - Non ci piace forse Leandro, quando lo vediamo? Ebbene, a casa sua non dice una parola, non ride, non rimprovera; è un’anima di ghiaccio, solitaria, inaccessibile; chi sia sua moglie egli non sa, con lei non ha rapporti; e per lei, il marito è soltanto un simulacro che esce da una stanza, si mette a tavola e fa morire d’inedia, di freddo e di noia tutto ciò che lo circonda. Che marito divertente, non è vero?

LISETTA - Il racconto che mi fate è agghiacciante; ma Tersandro forse è diverso.

SILVIA - Sì, Tersandro! L’altro giorno ha maltrattato la moglie; io arrivo, mi annunciano, vedo una persona che mi viene incontro con le braccia aperte e l’aria serena, disinvolta, si poteva pensare che avesse appena concluso la più frivola delle conversazioni; aveva ancora la bocca e gli occhi che ridevano. Il perfido! Così sono fatti gli uomini. Nessuno penserebbe che sua moglie ha tutte le ragioni per lamentarsi di lui. La vidi prostrata, il viso terreo, gli occhi pieni di lacrime, la vidi come forse io stessa diventerò, era quello il mio futuro ritratto; in ogni caso, corro il rischio di esserne la copia. Mi fece pietà, cara Lisetta; e se dovessi anch’io farti pietà, sarebbe terribile, non ti pare? Che cos’è allora un marito? Dimmelo tu.

LISETTA - Un marito? È un marito; non dovevate concludere con questa parola, mi riconcilia con tutto il resto.

SCENA II

Il Signor Orgone, Silvia, Lisetta

ORGONE - Buongiorno, figliola. La notizia che ti ho dato ti fa piacere? Il tuo sposo arriva oggi, me lo annuncia suo padre in questa lettera. Non dici niente, mi sembri triste. Anche Lisetta abbassa lo sguardo, che significa? Parla tu, allora, che succede?

LISETTA - Signore, una faccia che fa venire la tremarella, un’altra che fa morire di freddo, un’anima di ghiaccio che sta in disparte, e poi il ritratto di una donna che ha il viso prostrato, un colorito terreo, gli occhi gonfi di pianto. Ecco, Signore, ciò che noi stiamo considerando con tanta serietà.

ORGONE - Che vuol dire questo sproloquio? Un’anima, un ritratto: spiegati, non capisco niente.

SILVIA - Stavo dicendo a Lisetta quanto sia infelice una donna maltrattata dal marito; le citavo quella di Tersandro, che io vidi l’altro giorno molto prostrata, perché suo marito l’aveva investita di rimproveri, e facevo a questo proposito le mie considerazioni.

LISETTA - Sì, parlavamo di un volto che va e viene, dicevamo che un marito si mette una maschera quando tratta con gli altri e alla moglie fa la faccia feroce.

ORGONE - Tutto questo mi dice, figliola, che il matrimonio ti mette in allarme, tanto più che non conosci Dorante.

LISETTA - Innanzitutto è un bell’uomo, e questo, forse, è anche peggio.

ORGONE - Anche peggio! Dico, stai vaneggiando col tuo “anche peggio”?

LISETTA - Io dico quel che m’insegnano; è la teoria della Signora, io studio con lei.

ORGONE - Niente, niente, questo non c’entra. Senti, bambina mia, tu sai benissimo quanto bene ti voglio. Dorante viene qui per sposarti; nell’ultimo viaggio che ho fatto in provincia, ho deciso queste nozze con suo padre, che è un mio vecchio e intimo amico; ma a condizione che si stabilisca fra di voi una reciproca simpatia e che abbiate tutta la libertà di dire quel che pensate; ti proibisco assolutamente di essere compiacente con me. Se Dorante non ti conviene, non hai che da dirlo, lui se ne ritorna; se tu non convieni a lui, lui se ne ritorna allo stesso modo.

LISETTA - Lo si deciderà in un duetto d’amore, come all’Opera. Mi volete, sì che vi voglio, presto un notaio. Oppure: mi amate? No; nemmeno io; e via di galoppo.

ORGONE - Per quel che mi riguarda, Dorante non l’ho mai visto; quand’ero ospite di suo padre, era assente; ma se penso a tutto il bene che me ne hanno detto, non ho alcun timore che possiate non piacervi l’un l’altro.

SILVIA - Sono penetrata dalle vostre bontà, padre mio, voi mi proibite ogni compiacenza, ed io vi obbedirò.

ORGONE - Te lo ordino.

SILVIA - M’è venuta un’idea, e se potessi osare, vi chiederei una grazia che mi metterebbe del tutto tranquilla.

ORGONE - Parla, se la cosa è fattibile, te la concedo.

SILVIA - È fattibilissima; ma temo di abusare della vostra bontà.

ORGONE - Va bene, abusa pure, non temere, a questo mondo bisogna essere troppo buoni per esserlo abbastanza.

LISETTA - Soltanto il migliore degli uomini può dire una cosa come questa.

ORGONE - Spiegati, figliola.

SILVIA - Dorante arriva da noi oggi; se io potessi vederlo, esaminarlo un po’ senza che lui lo sappia. Lisetta, che ha molto spirito, potrebbe prendere temporaneamente il mio posto, ed io potrei prendere il suo.

ORGONE - (a parte) L’idea è divertente. (A voce alta) Lascia ch’io pensi un poco a quel che m’hai detto. (A parte) Se la lascio fare, accadrà qualcosa di molto singolare, che lei stessa è ben lontana dal supporre… (A voce alta) E sia, figliola, ti consento il travestimento. E tu, Lisetta, sei certa di sostenere bene il tuo?

LISETTA - Chi sono, Signore, voi lo sapete bene, tentate di gabbarmi e mancatemi di rispetto, se vi basta l’animo; ecco, dal mio portamento di adesso fatevi un’idea delle maniere che userò con voi, che ne dite? Eh, ritrovate in me Lisetta?

ORGONE - Pensa un po’, io stesso in questo momento rischio di confondermi; ma non c’è tempo da perdere, vai a vestirti secondo la parte. Dorante può arrivare all’improvviso. Fate presto e mettete al corrente tutti gli altri.

SILVIA - A me potrebbe bastare un grembiule, quasi.

LISETTA - Io vado a prepararmi, venite Lisetta, vi occuperete della mia acconciatura, dovete abituarvi alle nuove mansioni. E fate un po’ d’attenzione nel servire, se non vi dispiace.

SILVIA - Sarete soddisfatta, Marchesa, andiamo.

SCENA III

Mario, Il Signor Orgone, Silvia

MARIO - Sorella mia, mi complimento per la notizia che ho appreso; conosceremo il tuo sposo, mi si dice.

SILVIA - Sì, fratello caro; ma non ho tempo di restare con voi, ho cose importanti da fare, il babbo ve ne parlerà: vi lascio.

SCENA IV

Il Signor Orgone, Mario

ORGONE - Non distraetela, Mario, venite, saprete di che si tratta.

MARIO - Che c’è di nuovo, signor padre?

ORGONE - Principierò col raccomandarvi di essere discreto, almeno su quanto vi dirò.

MARIO - Obbedirò ai vostri ordini.

ORGONE - Vedremo Dorante, oggi; ma lo vedremo travestito.

MARIO - Travestito! Verrà mascherato, date un ballo in suo onore?

ORGONE - Sentite quel che mi scrive suo padre in una lettera… Hum… “Non so del resto che cosa penserete di una fantasia che è venuta a mio figlio; è bizzarra, ne conviene egli stesso, ma se si pensa alla ragione che lo spinge, certamente delicata, lo si può perdonare; mi ha pregato di consentirgli che possa giungere costì nelle vesti del suo servitore, che a sua volta farà la parte del suo padrone”.

MARIO - Ah, ah! Sarà divertente.

ORGONE - Sentite il resto… “Mio figlio sa che l’impegno che sta per prendere è serio, e spera, dice, sotto questo temporaneo travestimento, di cogliere qualche tratto del carattere della futura sposa e di conoscerla meglio, per regolarsi poi su quel che dovrà fare, con quella libertà che abbiamo convenuto di conceder loro. Per quel che mi riguarda, poiché mi fido pienamente di ciò che mi avete detto della vostra avvenente figliola, ho acconsentito: naturalmente, è mia premura avvertirvi, benché egli desideri che io mantenga il segreto; voi, con la promessa sposa, comportatevi come meglio credete…” Questo è quanto mi scrive suo padre. Ma non è tutto, c’è un’altra cosa; vostra sorella, a sua volta inquieta a proposito di Dorante, del quale ignora il segreto, mi ha chiesto di poter recitare la stessa commedia, e questo precisamente con lo scopo di osservare Dorante, così come Dorante vuole osservare lei. Che cosa ne dite? Si potrebbe mai pensare a cosa più singolare? In questo momento la padrona e la cameriera si stanno vestendo. Voi, Mario, che consiglio mi date, devo avvertire vostra sorella o no?

MARIO - In verità, signor padre, poiché le cose stanno prendendo questa piega, non le vorrei ostacolare, rispetterei l’idea che è venuta all’uno e all’altra; così agghindati, dovranno pure parlarsi fra di loro, vedremo se il loro cuore li farà avvertiti dei reciproci pregi. Forse Dorante avrà simpatia per mia sorella, per quanto servetta possa essere, e questo la lusingherà.

ORGONE - Vedremo come lei saprà cavarsela.

MARIO - È un’avventura che non mancherà di divertirci, voglio essere presente fin dall’inizio e stuzzicarli entrambi.

SCENA V

Silvia, il Signor Orgone, Mario

SILVIA - Eccomi, signor padre, ho un brutto aspetto come cameriera? E voi, fratello, certo saprete già tutto, come mi trovate?

MARIO - Davvero, sorella, sei una cameriera fatta e finita; ma puoi lo stesso soffiare Dorante alla tua padrona.

SILVIA - Sinceramente, non mi darebbe fastidio piacergli nel personaggio che sto interpretando, non mi seccherebbe nemmeno di confondergli un po’ le idee, di metterlo a disagio con la distanza che lo separa da me; se grazie al mio fascino ci riuscirò, mi farà piacere, lo terrò nel giusto conto. Del resto mi servirà per aiutare Dorante a sbrigarsela. Quanto al suo servitore, non ne temo certo i sospiri, non oserà abbordarmi, troverà qualcosa nelle mie fattezze, quello zotico, che gli ispirerà più rispetto che amore.

MARIO - Calma, sorella mia, quello zotico avrà il tuo stesso rango.

ORGONE - E non mancherà di innamorarsi di te.

SILVIA - Benissimo, l’onore di piacergli mi tornerà utile; i servitori sono per natura indiscreti, l’amore è ciarliero ed io farò di lui il cantastorie del suo padrone.

UN SERVITORE - Signore, è arrivato un domestico che chiede di parlarvi; è seguito da un facchino che porta una valigia.

ORGONE - Fatelo entrare: è sicuramente il servitore di Dorante; il suo padrone sarà rimasto dallo spedizioniere per affari. Dov’è Lisetta?

SILVIA - Si sta vestendo, e a suo modo di vedere, è un’imprudenza affidarle Dorante. Fra poco ha finito.

ORGONE - Silenzio, stanno arrivando.

SCENA VI

Dorante, vestito da servitore, Il Signor Orgone, Silvia, Mario

DORANTE - Cerco il Signor Orgone, non è forse la stessa persona alla quale ho l’onore di inchinarmi?

ORGONE - Sì, amico mio, essa stessa.

DORANTE - Signore, avrete senz’altro ricevuto nostre notizie, sono al servizio del Signor Dorante, che verrà subito, e che mi ha mandato avanti, come al solito, per testimoniarvi i suoi rispetti, in attesa di poterveli testimoniare di persona.

ORGONE - Fai la tua ambasciata con molta buona grazia; Lisetta, che ne dici di questo giovane?

SILVIA - Io dico, Signore, che è il benvenuto e che promette bene.

DORANTE - Siete molto buona con me, io faccio come meglio posso.

MARIO - Non è affatto brutto, mi sembra, ora è il tuo cuore, Lisetta, che deve saperci fare.

SILVIA - Il mio cuore, non è una cosa facile.

DORANTE - Non abbiatevene a male, Signorina, non mi faccio nessuna illusione per quel che dice il Signore.

SILVIA - Questa modestia mi piace, continuate così.

MARIO - Benissimo. Tuttavia, questo chiamarti Signorina, come sta facendo, mi sembra eccessivamente rispettoso; fra di voi, le maniere non devono essere così severe, finireste per rimanere sempre sul chi va là; animo, trattatevi con maggiore cordialità, tu ti chiami Lisetta, e tu, ragazzo, che nome hai?

DORANTE - Borgognone, Signore, per servirvi.

SILVIA - Bene, d’accordo allora per Borgognone!

DORANTE - E vada per Lisetta; non per questo sarò meno servitor vostro.

MARIO - Servitor vostro, sicuramente, non è ancora il linguaggio adatto, servitor tuo bisogna dire.

ORGONE - Ah! Ah! Ah!

SILVIA - (sottovoce a Mario) Fratello, ti stai divertendo alle mie spalle.

DORANTE - Quanto al darci del tu, attendo gli ordini di Lisetta.

SILVIA - Fai come ti pare, Borgognone. Ecco, ho rotto il ghiaccio, visto che ciò diverte i Signori.

DORANTE - Ti ringrazio, Lisetta; e rispondo subito all’onore che mi fai.

ORGONE - Coraggio, figlioli miei, se vi innamorate, addio cerimonie.

MARIO - Oh, adagio, l’amore è un’altra cosa; forse voi non sapete che anch’io, io che vi sto parlando, aspiro al cuore di Lisetta. È vero che mi è ostile, ma non voglio che Borgognone cammini sulle mie tracce.

SILVIA - Se voi la prendete su questo tono, allora io voglio che Borgognone s’innamori di me.

DORANTE - Tu sbagli a dire voglio, Lisetta bella; tu non hai bisogno di ordinare per essere servita.

MARIO - Messer Borgognone, questa galanteria l’avete rubacchiata da qualche parte.

DORANTE - Avete ragione, Signore, dentro i suoi occhi l’ho presa.

MARIO - Sta’ zitto, è peggio ancora, ti proibisco di avere tanto spirito.

SILVIA - Non l’ha mica sottratto a voi, se nei miei occhi ce n’è, non ha che da prenderlo.

ORGONE - Figlio mio, state perdendo la vostra battaglia; ritiriamoci, Dorante sta per arrivare, andiamo ad avvertire mia figlia. Voi, Lisetta, mostrate a questo giovane le stanze destinate al suo padrone. Addio, Borgognone.

DORANTE - Signore, mi fate troppo onore.

SCENA VII

Silvia, Dorante

SILVIA - (a parte) Fanno la commedia, non importa, vediamo di approfittarne; questo giovane non è sciocco, e non compiango la servetta che se lo prenderà. Ha voglia di parlare, lasciamolo dire, speriamo che mi dia notizie utili.

DORANTE - (a parte) Questa ragazza mi stupisce, non c’è donna al mondo a cui un aspetto come il suo non farebbe onore: vediamo di far conoscenza. (A voce alta) Dal momento che si sta discorrendo amichevolmente e che abbiamo messo al bando le convenzioni, dimmi un po’, Lisetta, la tua padrona è degna di te? Bisogna avere un bel coraggio per tenersi una cameriera come tu sei.

SILVIA - Borgognone, la tua domanda mi annuncia che, com’è consuetudine, sei venuto qui con lo scopo di dirmi delle galanterie, è così?

DORANTE - Non sono venuto davvero con questa intenzione, dico la verità; sono un servitore, d’accordo, ma non ho mai avuto molta dimestichezza con le servette, la mentalità da domestico non fa per me; ma nel tuo caso è un altro discorso; non capisco, tu mi stai soggiogando, m’intimidisci, non avrei mai il coraggio di entrare in familiarità con te, sono sempre tentato di levarmi il cappello, e quando ti do del tu, ho l’impressione di bestemmiare; insomma, mi sento portato a riservarti delle attenzioni che ti farebbero ridere. Che razza di domestica sei, con quell’aria che hai da principessa?

SILVIA - Oh, guarda, quel che mi dici di sentire quando mi guardi è precisamente quel che mi raccontano tutti i servitori che incontro.

DORANTE - Non mi stupirei se lo facessero anche i padroni, dico sul serio.

SILVIA - La battuta è buona, senz’altro; ma te lo ripeto ancora, non sono avvezza alle svenevolezze di quelli che nella cassapanca tengono abiti come i tuoi.

DORANTE - Vuoi dire che non ti piace come mi vesto?

SILVIA - Borgognone, lasciamo stare l’amore, e restiamo buoni amici.

DORANTE - Tutto qui? Nel tuo patto ci sono due sole clausole, ma sono entrambe impossibili.

SILVIA - (a parte) Per essere un servitore, che tipo! (Ad alta voce) E tuttavia questo patto lo dobbiamo rispettare; mi è stato predetto che sposerò un uomo della buona società e da quel momento ho giurato che non darò mai ascolto ad altri.

DORANTE - Curioso, perbacco, quel che tu hai giurato per l’uomo io l’ho giurato per la donna, mi sono ripromesso, io, di amare seriamente soltanto una ragazza della buona società.

SILVIA - Non abbandonare dunque il tuo progetto.

DORANTE - Lo sto abbandonando, forse, molto meno di quanto si creda, tu hai l’aria molto distinta, e talvolta si è ragazze della buona società senza saperlo.

SILVIA - Ah, ah, ah, ti ringrazierei per l’elogio, se mia madre non ne facesse le spese.

DORANTE - Ebbene, vendicati con la mia, se ti sembra che il mio aspetto ne sia degno.

SILVIA - (a parte) Lo meriterebbe. (A voce alta) Ma non è di questo che si sta parlando: basta con le fatuità, mi è stato annunciato come marito un uomo della buona società, e non cambierò mai idea.

DORANTE - Perbacco, se io fossi tale, quella profezia mi metterebbe in un brutto guaio, avrei paura di verificarla, io non ho alcuna fede nell’astrologia ma ne ho tantissima nel tuo viso.

SILVIA - (a parte) È inesauribile… (A voce alta) La vuoi smettere, che t’importa della profezia, dal momento che ti esclude?

DORANTE - Essa non ha predetto che io non ti amerò.

SILVIA - D’accordo, però ha detto che non avresti nulla da guadagnarci, ed io te lo confermo.

DORANTE - Fai benissimo, Lisetta, la tua fierezza ti dona molto, e benché io ne faccia le spese, sono ben felice di notarla in te; me la sono augurata appena ti ho visto, non ti mancava che questa dote, e mi consolo di rimetterci perché sei tu che ci guadagni.

SILVIA - (a parte) Veramente, questo ragazzo mi sorprende, anche se mi… (A voce alta) Dimmi un po’, chi credi di essere per parlarmi a questo modo?

DORANTE - Il figlio di gente onesta, ma tutt’altro che ricca.

SILVIA - Ti auguro di tutto cuore una situazione migliore, e vorrei potervi contribuire; la sorte ha dei torti nei tuoi confronti.

DORANTE - Veramente, più torti di lei ha l’amore, preferirei avere il permesso di aspirare al tuo cuore che possedere tutti i beni di questo mondo.

SILVIA - (a parte) Ora la conversazione è nella norma, grazie al cielo. (A voce alta) Borgognone, non so adontarmi per i discorsi che mi fai; ma ti prego, cambiamo argomento, parliamo del tuo padrone; puoi fare a meno di parlarmi d’amore, credo.

DORANTE - Anche tu potresti fare a meno di suscitarmelo.

SILVIA - Ah, questa volta mi arrabbio, mi fai perdere la pazienza; ancora una volta, dimentica il tuo amore.

DORANTE - E tu cambia le tue fattezze.

SILVIA - (a parte) In definitiva, costui mi diverte… (A voce alta) Ebbene, Borgognone, la vuoi smettere o no, vuoi proprio che me ne vada? (A parte) Avrei già dovuto farlo, per la verità.

DORANTE - Aspetta, Lisetta, anch’io volevo parlarti di altre cose; soltanto, non mi ricordo più di che cosa.

SILVIA - Anch’io a mia volta avevo delle cose da dirti; e tu mi hai fatto dimenticare quel che avevo in mente.

DORANTE - Mi ricordo di averti chiesto se la tua padrona è degna di te.

SILVIA - Torni in argomento attraverso vie traverse, addio.

DORANTE - Ma no, Lisetta, ti assicuro, voglio parlare soltanto del mio padrone.

SILVIA - Va bene, d’accordo! Anch’io volevo parlarti di lui, e spero che tu mi voglia dire in confidenza che tipo è; l’attaccamento che hai per lui mi fa pensar bene, deve avere dei meriti se tu lo servi.

DORANTE - Mi permetterai di ringraziarti, spero, per ciò che mi hai detto.

SILVIA - E a te spiacerebbe non dar peso all’imprudenza che ho commesso nell’avertelo detto?

DORANTE - Ecco un’altra risposta che mi mette il fuoco; fa come ti pare, io non resisto, non c’è peggior disgrazia che l’essere respinti da tutto ciò che di più attraente esiste al mondo.

SILVIA - E a me piacerebbe tanto sapere come mai ho avuto la bontà di ascoltarti, è davvero una cosa eccezionale per me.

DORANTE - Hai ragione, la nostra avventura è unica.

SILVIA - (a parte) Nonostante quel che ha detto, non me ne sono andata, non me ne vado, sono ancora qui, e rispondo! In verità, questo va al di là dello scherzo. (A voce alta) Addio!

DORANTE - Terminiamo dunque di dire quel che volevamo.

SILVIA - Ho detto addio, basta con la pietà. Quando verrà il tuo padrone, farò in modo, col permesso della mia signora, di conoscerlo per conto mio, se ne vale la pena; in attesa, prendi possesso di queste stanze, sono le vostre.

DORANTE - Ecco, sta arrivando il mio padrone.

SCENA VIII

Dorante, Silvia, Arlecchino

ARLECCHINO - Ah, sei qui, Borgognone. E allora, siete stati ricevuti bene qui dentro, tu e la mia valigia?

DORANTE - Non era possibile essere ricevuti male, Signore.

ARLECCHINO - In basso un domestico mi ha detto di venire qui, e che lui andava ad avvertire mio suocero, che stava insieme a mia moglie.

SILVIA - Signore, intendete dire il Signor Orgone e sua figlia, immagino.

ARLECCHINO - Sì, mio suocero e mia moglie, è lo stesso; vengo per sposarli e loro mi aspettano per essere sposati; è stabilito, manca soltanto la cerimonia, una sciocchezza.

SILVIA - A una sciocchezza come questa conviene pensarci su.

ARLECCHINO - Sì, ma quando uno ci ha pensato, non ci pensa più.

SILVIA - (sottovoce a Dorante) Borgognone, da voi si fa presto ad essere gente di merito, o sbaglio?

ARLECCHINO - Cosa state dicendo al mio servitore, bellezza?

SILVIA - Niente, gli ho detto semplicemente che vado a chiamare il Signor Orgone.

ARLECCHINO - Perché non dici mio suocero, come faccio io?

SILVIA - Perché ancora non lo è.

DORANTE - Ha ragione, Signore, il matrimonio non è ancora stato celebrato.

ARLECCHINO - Ebbene, sono qui per celebrarlo.

DORANTE - Aspettate allora che sia celebrato.

ARLECCHINO - Perdinci, quante storie per un suocero del giorno prima o del giorno dopo.

SILVIA - In effetti, che differenza c’è fra l’essere sposati e il non esserlo? Sì, Signore, abbiamo sbagliato, corro subito ad avvertire vostro suocero che siete arrivato.

ARLECCHINO - Ed anche mia moglie, vi prego; ma prima di andare, ditemi un po’, voi che siete così carina; in questa casa siete la cameriera, voi?

SILVIA - Per l’appunto.

ARLECCHINO - Che bella cosa, sono proprio contento; credete che io possa fare bella impressione? Come mi trovate?

SILVIA - Vi trovo… impressionante.

ARLECCHINO - Bene, tanto meglio, rimanete di questa opinione, potrebbe venir buona.

SILVIA - Siete molto modesto, vi contentate di poco; ma vi lascio, devo avere dimenticato di avvertire vostro suocero, altrimenti sarebbe venuto, ci vado ora.

ARLECCHINO - Ditegli che lo aspetto con affezione.

SILVIA - (a parte) Strano caso! Nessuno dei due è al posto giusto.

SCENA IX

Dorante, Arlecchino

ARLECCHINO - Signore, ho incominciato bene; già piaccio alla servetta.

DORANTE - Sei un somaro!

ARLECCHINO - Perché, ho fatto l’ingresso con tanta buona grazia!

DORANTE - Mi avevi promesso che non avresti parlato in quel tuo modo stupido e triviale, ti avevo dato istruzioni precise, ti avevo raccomandato di essere serio. Ma vedo che sono stato uno sciocco a fidarmi di te.

ARLECCHINO - In seguito farò ancora meglio e visto che la serietà non basta, cercherò di essere triste, mi metterò a piangere, se sarà necessario.

DORANTE - Non capisco più niente; quest’avventura mi mette in confusione: che cosa devo fare?

ARLECCHINO - La ragazza forse non è carina?

DORANTE - Sta zitto; ecco il Signor Orgone che arriva.

SCENA X

Il Signor Orgone, Dorante, Arlecchino

ORGONE - Caro Signore, chiedo scusa mille volte per avervi fatto aspettare; ma ho saputo soltanto adesso che eravate qui.

ARLECCHINO - Signore, mille volte è troppo, basta una volta sola quando si è commesso una sola mancanza; sono io comunque che metto tutte quante le mie scuse al vostro servizio.

ORGONE - Spero di non averne bisogno.

ARLECCHINO - Voi siete il padrone, ed io il vostro servitore.

ORGONE - Sinceramente, sono felice di conoscervi, vi attendevo con impazienza.

ARLECCHINO - Sarei venuto subito con Borgognone; ma quando si torna a casa dopo un viaggio, sapete, ci si trova male in arnese, ed io ci tenevo a presentarmi in uno stato più appetitoso.

ORGONE - Ci siete riuscito benissimo; mia figlia si sta preparando, è stata un poco indisposta; in attesa che scenda, volete rinfrescarvi?

ARLECCHINO - Oh! Non ho mai rifiutato di bere un bicchiere in compagnia.

ORGONE - Borgognone, abbiate cura di voi, ragazzo mio.

ARLECCHINO - Quel bel tomo è un ghiottone; berrà quello buono.

ORGONE - Non si tiri indietro.

SIPARIO

ATTO SECONDO

SCENA I

Lisetta, il Signor Orgone

ORGONE - Va bene, Lisetta, dimmi che cosa vuoi.

LISETTA - Devo parlarvi un momento.

ORGONE - Di che si tratta?

LISETTA - Devo mettervi al corrente della situazione; è importante che voi ne siate informato, affinché non abbiate poi a lamentarvi di me.

ORGONE - È dunque una cosa tanto seria?

LISETTA - Sì, molto seria. Voi avete permesso alla signorina Silvia di vestirsi da uomo, anch’io sulle prime pensavo che ciò non avesse conseguenze, ma mi sono ingannata.

ORGONE - Che conseguenze dunque ci sono?

LISETTA - Signore, è fastidioso lodare se stessi, ma tralasciando le regole della modestia, devo dirvi che se non mettete un po’ d’ordine in tutto ciò che sta avvenendo, il vostro futuro genero non avrà più tanto cuore da offrire alla Signorina vostra figlia; è tempo che lei si faccia conoscere, è urgente, se tarda ancora un giorno, io non rispondo più.

ORGONE - Eh! Ma non è possibile che non voglia più mia figlia, quando la conoscerà, non vi fidate del suo fascino?

LISETTA - Sì; ma siete voi che non diffidate abbastanza del mio, vi avverto che sta facendo faville e non vi consiglio di lasciarlo fare.

ORGONE - Mi rallegro con te, Lisetta. (Ride) Ah! Ah, ah!

LISETTA - Ma guarda; voi scherzate, Signore, vi prendete gioco di me, e io sono indignata, perché siete voi che ci andrete di mezzo.

ORGONE - Non ti preoccupare, Lisetta, va per la tua strada.

LISETTA - Ve lo ripeto, il cuore di Dorante ha preso il volo; sentite, per il momento gli piaccio molto, ma stasera sarà innamorato e domani cadrà in adorazione; la cosa non mi piace, è di cattivo gusto, dite quel che volete; e tuttavia non cesserà per questo di essere vera; insomma, domani sarò adorata, ve lo garantisco.

ORGONE - Ebbene, che v’importa? Se vi ama così tanto, vi sposi.

LISETTA - Come! Voi non fareste niente per impedirlo?

ORGONE - No, da uomo d’onore, se lo riduci a questo punto.

LISETTA - Signore, fate attenzione, finora non ho dato man forte alle mie attrattive, ho lasciato che facessero da sole; ho badato che lui tenesse la testa a posto: ma se mi ci metto, gliela faccio perdere, e non ci sarà più rimedio.

ORGONE - Fagliela perdere, distruggila, dalle fuoco, insomma sposalo, se ci riesci, te lo permetto.

LISETTA - A questo punto, la mia fortuna è fatta.

ORGONE - Ma senti un po’, mia figlia ti ha parlato, che pensa del suo futuro sposo?

LISETTA - Non abbiamo ancora trovato il momento di parlarci, questo promesso non mi dà requie; a lume di naso, però, non mi sembra contenta, la vedo triste, pensierosa, e prevedo che mi pregherà di mandarlo via.

ORGONE - E io te le proibisco; non desidero darle una spiegazione, ho le mie ragioni perché questo travestimento perduri; voglio che lei esamini il futuro sposo con maggiore agio. Ma il servitore come si comporta? Non si è messo a fare il tenero con mia figlia?

LISETTA - È un originale, ho notato che si atteggia con lei a uomo di rango, soltanto perché è un bel ragazzo; la guarda e sospira.

ORGONE - E questo la offende?

LISETTA - Ma… lei arrossisce.

ORGONE - No, ti sbagli; gli sguardi di un servitore non la mettono a disagio fino a questo punto.

LISETTA - Signore, arrossisce.

ORGONE - Per indignazione, dunque.

LISETTA - Oh, finalmente.

ORGONE - Ebbene, quando la vedi, dille che tu sospetti che questo servitore voglia metterla in cattiva luce verso il suo padrone; e se lei si indigna, non ti preoccupare, sono affari miei. Ma ecco qua Dorante, che a quanto pare ti sta cercando.

SCENA II

Lisetta, Arlecchino, il Signor Orgone

ARLECCHINO - Ah, ti ritrovo, donna meravigliosa, ho chiesto di voi a tutti; servitor vostro, caro suocero o giù di lì.

ORGONE - Servitor vostro: addio, ragazzi miei, vi lascio soli; è bene che facciate un po’ l’amore, prima di sposarvi.

ARLECCHINO - Farei volentieri le due cose nello stesso tempo, io.

ORGONE - Non siate impaziente. Addio.

SCENA III

Lisetta, Arlecchino

ARLECCHINO - Signora, lui mi ha detto di avere pazienza; fa presto a parlare, il vecchiaccio.

LISETTA - Non riesco a credere che l’aspettare vi costi tanta fatica, Signore, voi fate l’impaziente per galanteria, siete appena arrivato! Il vostro amore non può essere tanto grande, tutt’al più un amore appena nato.

ARLECCHINO - V’ingannate, prodigio dei nostri giorni, un amore degno di voi non rimane a lungo nella culla; la vostra prima occhiata lo ha fatto nascere, la seconda gli ha dato forza e la terza ne ha fatto un giovanotto; vediamo di accasarlo al più presto, abbiate cura di lui, visto che siete sua madre.

LISETTA - Vi sembra che io lo maltratti, che lo lasci abbandonato?

ARLECCHINO - In attesa di provvedere, dategli almeno la vostra bianca manina, perché si trastulli un po’.

LISETTA - Prendete dunque, piccolo importuno, dal momento che, se non potete trastullarvi, non mi lasciate in pace.

ARLECCHINO - (baciandole la mano) Cuoricino dell’anima mia! Questo mi dà gioia come un vino squisito, peccato che ce ne siano soltanto due dita.

LISETTA - Orsù, frenatevi, siete troppo goloso.

ARLECCHINO - Chiedo soltanto di sopravvivere; in attesa di poter vivere.

LISETTA - Ed essere ragionevole non è necessario?

ARLECCHINO - Essere ragionevoli! Ahimè, la ragione l’ho perduta, i vostri begli occhi sono i birboni che me l’hanno portata via.

LISETTA - È mai possibile che mi amiate così tanto? Non riesco a persuadermene.

ARLECCHINO - Non mi curo di quel che è possibile, io; ma vi amo come un dannato, e una vocina mi dice che è giusto così.

LISETTA - Se la sentissi io, la vocina, credo che sarei ancora più incredula.

ARLECCHINO - Oh, fanciulla adorabile, non sarà che invece di essere umile siete soltanto un’impostora?

LISETTA - Viene qualcuno, è il vostro servitore.

SCENA IV

Dorante, Arlecchino, Lisetta

DORANTE - Signore, posso disturbarvi un momento?

ARLECCHINO - No: maledetto servitorame, che non è capace di lasciarci un po’ tranquilli!

LISETTA - Vedete che cosa vuole, Signore.

DORANTE - Devo dirvi una sola parola.

ARLECCHINO - Signora, se ne dice due, alla terza lo licenzio. Sentiamo.

DORANTE - (sottovoce ad Arlecchino) Vieni un po’ via, sciagurato.

ARLECCHINO - (sottovoce ad Dorante) Queste sono ingiurie, non parole, queste… (A Lisetta) Mia regina, scusate.

LISETTA - Fate pure.

DORANTE - (sottovoce) Non mettermi nei guai, mi raccomando il contegno; devi sembrare serio, preoccupato, perfino scontento, hai capito?

ARLECCHINO - Sì, amico mio, non inquietatevi e andate.

SCENA V

Arlecchino, Lisetta

ARLECCHINO - Ah! Signora, se lui non fosse entrato vi avrei detto cose meravigliose, ora quelle che mi verranno in mente saranno comunissime, eccetto il mio amore che è straordinario. Ma a proposito del mio amore, quand’è che il vostro gli terrà compagnia?

LISETTA - Potrà succedere, non perdete le speranze.

ARLECCHINO - Ma voi pensate che succederà?

LISETTA - La domanda è un po’ audace; ma lo sapete che mi mettete in imbarazzo?

ARLECCHINO - Che volete? Sto bruciando e grido al fuoco.

LISETTA - Se mi fosse permesso di spiegarmi subito…

ARLECCHINO - Sono convinto che lo potete fare in tutta coscienza.

LISETTA - La discrezione del mio sesso non lo consente.

ARLECCHINO - Non sarà la discrezione di oggi che vi impedirà di concedere ben altri permessi.

LISETTA - Ma voi cosa volete da me?

ARLECCHINO - Ditemi che mi amate un tantino; sentite, io vi amo, voi fate l’eco, ripetete, Principessa.

LISETTA - Siete insaziabile! Ebbene, Signore, vi amo.

ARLECCHINO - Ebbene, Signora, io muoio; la felicità mi confonde, ho paura di perdere la trebisonda. Voi mi amate, che meraviglia!

LISETTA - Anch’io ho ragione di essere stupita per la prontezza del vostro omaggio; quando ci conosceremo meglio, forse mi amerete meno.

ARLECCHINO - Ah, Signora, quando avverrà, sono io che ci rimetterò, troverete molte cose da sfrondare.

LISETTA - Voi mi attribuite più titoli di quanti ne abbia.

ARLECCHINO - E voi? Signora, non conoscete i miei; per parlare con voi, dovrei inginocchiarmi.

LISETTA - Ricordate che non siamo padroni del nostro destino.

ARLECCHINO - I padri e le madri fanno ogni cosa di testa loro.

LISETTA - Se è per questo, il mio cuore avrebbe scelto voi, qualunque fosse la vostra condizione.

ARLECCHINO - Ragione di più per continuare a scegliermi.

LISETTA - Posso lusingarmi che voi facciate lo stesso nei miei confronti?

ARLECCHINO - Quand’anche foste una qualsiasi Pierina o Rosetta, quand’anche vi vedessi scendere in cantina con la candela in mano, sareste ugualmente la mia Principessa.

LISETTA - Magari durassero, questi bei sentimenti!

ARLECCHINO - Per renderli più tenaci, da una parte e dall’altra, giuriamo di amarci sempre, a dispetto di tutti gli errori di ortografia voi possiate commettere nello stabilire chi sono.

LISETTA - Ho più interesse io che voi a fare un tale giuramento, e lo faccio con tutto il cuore.

ARLECCHINO - (inginocchiandosi) La vostra bontà mi abbaglia, mi prosterno davanti ad essa.

LISETTA - Smettetela, non posso vedervi in questo atteggiamento, sarei ridicola se vi lasciassi rimanere; alzatevi. Arriva di nuovo qualcuno.

SCENA VI

Lisetta, Arlecchino, Silvia

LISETTA - Che cosa volete, Lisetta?

SILVIA - Devo parlarvi, Signora.

ARLECCHINO - Neanche per sogno! Amica mia, tornate fra un quarto d’ora; ma insomma, le cameriere al mio paese non entrano se non sono chiamate.

SILVIA - Signore, devo parlare alla Signora.

ARLECCHINO - Ma guarda che servetta testarda! Regina della mia vita, mandatela via. Andatevene, figliola. Abbiamo ricevuto l’ordine di fare un po’ d’amore prima di sposarci, non interrompeteci nelle nostre funzioni.

LISETTA - Non potete tornare fra poco, Lisetta?

SILVIA - Ma, Signora…

ARLECCHINO - “Ma”! Mi vengono le convulsioni, se penso a quel “ma”…

SILVIA - (le prime parole fra di sé) Oh! Che uomo odioso! Signora, vi assicuro che è urgente.

LISETTA - Permette che me ne liberi, Signore?

ARLECCHINO - Dal momento che lo vuole il diavolo, e lo vuole anche quella lì… pazienza… farò quattro passi in attesa che quella lì la smetta. Ah, che brutta servitù la nostra servitù!

SCENA VII

Silvia, Lisetta

SILVIA - Siete ammirevole davvero; invece di mandarlo via immediatamente mi costringete a sopportare la brutalità di quel bestione.

LISETTA - Perbacco, Signora, non posso recitare due parti nello stesso tempo; o faccio la padrona o faccio la cameriera, se devo comandare non posso ubbidire.

SILVIA - D’accordo, ma adesso lui non c’è, quindi dovete vedere in me la padrona: capite benissimo che quell’uomo non fa per me.

LISETTA - Non avete avuto il tempo di esaminarlo adeguatamente.

SILVIA - Esaminarlo, siete matta? È forse necessario vederlo due volte per accorgersi che non ha decoro? Insomma, non ne voglio sapere. A quanto pare, mio padre non approva l’ostilità che vede in me, dal momento che mi fugge e non mi dice una parola; in questa situazione, siete voi che dovete cavarmi con delicatezza dai guai, dicendo coi bei modi a questo giovanotto che voi non avete intenzione di sposarlo.

LISETTA - Ma non posso farlo, Signora.

SILVIA - Non potete? E chi ve lo impedisce?

LISETTA - Me lo ha proibito il Signor Orgone.

SILVIA - Ve lo ha proibito? In questo non riconosco più mio padre.

LISETTA - Severamente proibito.

SILVIA - Ebbene, vi incarico di riferirgli che quell’uomo mi è odioso e che lo è in maniera invincibile; dopo di che, non posso pensare che vorrà insistere ancora.

LISETTA - Ma Signora, che cos’ha dunque il vostro promesso sposo di tanto sgradevole, di tanto ributtante?

SILVIA - Non mi piace, vi ripeto, e la vostra negligenza pure.

LISETTA - Concedetevi un po’ di tempo per capire chi è, non vi si chiede altro.

SILVIA - Lo detesto abbastanza e non voglio avere altro tempo per detestarlo di più.

LISETTA - Il suo servitore che fa l’uomo di riguardo non vi ha per caso messo in mente qualcosa sul conto di lui?

SILVIA - Oh, quanto sei sciocca! E che cosa c’entra ora il suo servitore?

LISETTA - Mi mette in sospetto, perché è uno che ragiona.

SILVIA - Lasciate stare le definizioni, non so cosa farmene; io faccio in modo che questo servitore mi parli poco, ma per quel poco che ha detto, ha detto soltanto cose giuste.

LISETTA - Secondo me, quell’uomo, è capace di avervi raccontato delle stupide fandonie, soltanto per far brillare il suo spirito.

SILVIA - Vestita in questo modo, non sono davvero esposta a sentirmi dire delle cose piacevoli! Con chi ce l’avete? Che mania è la vostra di attribuire a quel giovanotto un’ostilità che non lo riguarda? Perché, insomma, mi costringete a giustificarlo? Non mi pare il caso di metterlo contro il suo padrone, né di fare di lui un furbastro e di me un’imbecille che dà retta alle sue fandonie.

LISETTA - Oh, Signora, se lo difendete con questo tono e se arrivate al punto di offendervi, non dico più niente.

SILVIA - Se lo difendo con questo tono! Con che tono parlate voi, piuttosto! Che cosa intendete dire, che cosa vi siete messa in mente?

LISETTA - Dico, Signora, che non vi ho mai vista così determinata e che non vi riconosco più, acida come siete. Ebbene, se questo servitore non ha detto nulla, buon per voi, non andate su tutte le furie per giustificarlo, io vi credo, la questione è chiusa, non mi oppongo di certo, io, alla buona opinione che avete di lui.

SILVIA - Ma sentite che malafede, sentite come costei sa rigirare le cose! Mi sento così indignata… che… mi viene da piangere.

LISETTA - Ma perché, Signora, perché? Avete sentito delle allusioni nelle mie parole?

SILVIA - Io ho sentito delle allusioni! Io vi rimprovero per causa sua! Io ho una buona opinione di lui! Mi mancate di rispetto fino a questo punto! Buona opinione, giusto cielo! Buona opinione. Che cosa volete che vi risponda? Che significa tutto questo? A chi parlate? Chi si salva più nello stato in cui mi trovo? Ma dove siamo arrivati?

LISETTA - Io non so niente, ma mi ci vorrà del tempo per rimettermi dalla sorpresa che mi avete causato.

SILVIA - Ha un modo di parlare che mi fa uscire dai gangheri; andate, non vi sopporto più, lasciate stare, farò in altro modo.

SCENA VIII

Silvia

SILVIA - Mi vengono ancora i brividi per quel che ho inteso dire; con quale impudenza ci trattano i domestici nel loro intimo! Quanto poco ci stima quella gente! Non so come potrò riavermi, non riesco più a pensare alle parole che lei ha usato, mi fanno ancora paura. Un servitore: è veramente strano! Cancelliamo subito l’idea con cui quella sfacciata è venuta a turbare la mia mente. Borgognone sta arrivando, ecco la persona per la quale perdo la calma; ma non è colpa sua, povero ragazzo, e non devo prendermela con lui.

SCENA IX

Dorante, Silvia

DORANTE - Lisetta, anche se vuoi tenermi a distanza, sono costretto a parlarti, ho ragione, credo, di lamentarmi di te.

SILVIA - Non diamoci più del tu, Borgognone, te ne prego.

DORANTE - Come vuoi.

SILVIA - Però non lo fai.

DORANTE - Neanche tu. Mi ha detto: te ne prego.

SILVIA - Mi è scappato.

DORANTE - Ma sì, credimi, parliamo come viene; non è il caso di stare a disagio, dato il poco tempo che ancora ci rimane per vederci.

SILVIA - Il tuo padrone se ne va? Non è una gran perdita.

DORANTE - Nemmeno la mia lo è. Completo il tuo pensiero.

SILVIA - Posso completarlo benissimo da sola, se ne ho voglia. Ma non è a te che mi riferivo.

DORANTE - Ed io invece mi riferisco sempre a te.

SILVIA - Senti, Borgognone, una volta per tutte, rimani, vattene, ritorna, quel che fai mi deve lasciare indifferente, e in effetti è così, io non ti voglio né bene né male, non ti odio né ti amo, né ti amerò, a meno che io non perda la ragione. Queste sono le mie conclusioni, la ragione non me ne consente altre, e dovrei anche fare a meno di parlartene.

DORANTE - Non si può immaginare una disgrazia come la mia; mi stai togliendo la pace, forse, per l’intera esistenza.

SILVIA - Che strana fantasia si è messa in mente! Mi fa pena: ma cerca di capire, tu mi parli, io ti rispondo, è già molto, è persino troppo, credimi, e se tu sapessi come stanno le cose, veramente saresti contento di me, mi giudicheresti di una bontà senza pari, di una bontà che io biasimerei in un’altra. Eppure, non mi rimprovero, in fondo al mio cuore sono tranquilla, non faccio niente di male, e se ti parlo, è per generosità; ma tutto questo non può continuare, certe generosità vanno bene se durano poco, ed io non sono di quelle che non hanno mai dubbi sull’innocenza delle loro intenzioni; alla fine, niente avrebbe più senso. Quindi, finiamola, Borgognone; finiamola, te ne prego. Che significa tutto questo? È soltanto una presa in giro, suvvia, non parliamone più.

DORANTE - Ah, mia cara Lisetta, quanto mi fai soffrire!

SILVIA - Veniamo a quel che mi volevi dire; ti stavi lamentando di me quando sei entrato, di che si tratta?

DORANTE - Niente, una sciocchezza, avevo voglia di vederti, e ho cercato un pretesto.

SILVIA - (a parte) Che rispondere? Se, mi offendessi, sarebbe lo stesso.

DORANTE - Mi è sembrato che la tua padrona, quando se n’è andata, mi accusasse di dire cose cattive sul conto del mio padrone.

SILVIA - Questo lo crede lei, e se te ne parla ancora, lo puoi negare apertamente; per il resto lascia fare a me.

DORANTE - Oh, non è questo che mi preoccupa!

SILVIA - Se mi dovevi dire soltanto questo, non abbiamo più niente da fare qui.

DORANTE - Lasciami almeno il piacere di vederti.

SILVIA - Bel motivo che mi suggerisce! Io dovrei tenere in caldo la passione di Borgognone! Un giorno riderò, ricordando queste cose.

DORANTE - Hai ragione di canzonarmi: non so quel che dico, né quel che ti chiedo. Addio.

SILVIA - Addio, hai preso la decisione migliore… Ma a proposito di addii, vorrei sapere un’altra cosa: mi hai detto che partite, fate sul serio?

DORANTE - Per conto mio, devo partire, o perdo la testa.

SILVIA - Non ti ho trattenuto per avere questa risposta, no di certo.

DORANTE - Ed io ho commesso un solo errore: non essermene andato appena ti ho vista.

SILVIA - (a parte) Devo continuamente dimenticare che lo sto ascoltando.

DORANTE - Se tu sapessi, Lisetta, in che stato mi trovo…

SILVIA - Oh, il tuo stato non è più interessante del mio da conoscere, te lo assicuro.

DORANTE - Che cosa mi puoi rimproverare? Io non pretendo che tu senta qualcosa per me.

SILVIA - (a parte) Non c’è da fidarsi.

DORANTE - Che speranze potrei avere, qualora tentassi di essere amato? Ahimè, quand’anche avessi il tuo cuore…

SILVIA - Che il cielo me ne scampi! Se mai tu l’avessi, non lo sapresti, e mi comporterei così bene che non lo saprei nemmeno io: ma guarda un po’ che idea gli è venuta!

DORANTE - È dunque vero che tu non mi odi, e non mi ami, e non mi amerai?

SILVIA - Senza alcun dubbio.

DORANTE - Senza alcun dubbio! Ma che cosa ho dunque di tanto orribile?

SILVIA - Niente. Non è questo che ti nuoce.

DORANTE - E allora, cara Lisetta, dimmelo cento volte, che non mi amerai.

SILVIA - Oh, te l’ho detto abbastanza, vedi un po’ di credermi.

DORANTE - Bisogna che io ti creda! Tu devi togliere ogni speranza a questa mia pericolosa passione, devi salvarmi dalle conseguenze che temo; tu non mi odi, non mi ami, non mi amerai! Schiaccia il mio cuore con questa certezza. Dico sul serio, soccorrimi contro me stesso, ne ho bisogno, te lo chiedo in ginocchio. (Si butta in ginocchio. Nello stesso momento, il Signor Orgone e Mario entrano senza dire una parola)

SILVIA - Ah, benissimo! Non ci mancava che questo per compiere l’opera; disgraziata che sono! È la mia indulgenza che gli fa fare certe cose; via, alzati, Borgognone, ti scongiuro; può venire qualcuno. Dirò tutto quello che vuoi, che cosa mi chiedi? Non ti odio, alzati, ti amerei se potessi, non mi dispiaci, questo ti deve bastare.

DORANTE - Come! Lisetta, se non fossi quel che sono, se fossi ricco, di buona condizione, e ti amassi quanto ti amo ora, il tuo cuore non avrebbe per me ripugnanza?

SILVIA - Senz’altro.

DORANTE - Non mi odieresti, mi potresti sopportare?

SILVIA - Di buon grado, ma alzati.

DORANTE - Lo dici sul serio, mi sembra; e se è così, la mia ragione è perduta.

SILVIA - Ti sto dicendo tutto quello che vuoi, e tu non ti alzi.

SCENA X

Il Signor Orgone, Mario, Silvia, Dorante

ORGONE - (avvicinandosi) È un vero peccato interrompervi, tutto va a meraviglia, ragazzi miei, coraggio!

SILVIA - Non posso impedire a questo giovanotto di inginocchiarsi, Signore, non ho alcuna autorità per impormi.

ORGONE - Siete adattissimi l’uno all’altro; ma devo dirti una cosa Lisetta, riprenderete la conversazione quando ce ne saremo andati: non vi dispiace, Borgognone?

DORANTE - Mi ritiro, Signore.

ORGONE - Andate, e cercate di parlare del vostro padrone con un po’ più di riguardo di quanto siete solito fare.

DORANTE - Io, Signore!

ORGONE - Proprio voi, messer Borgognone carissimo; non brillate mica tanto, dicono, nel rispettare come dovreste il vostro padrone.

DORANTE - Non capisco che cosa intendete dire.

ORGONE - Addio, addio, vi giustificherete un’altra volta.

SCENA XI

Silvia, Mario, il Signor Orgone

ORGONE - Orbene, Silvia, non ve ne accorgete ma avete un’aria molto imbarazzata.

SILVIA - Io, signor padre! E quale sarebbe il motivo del mio imbarazzo? Mi sento come sempre, grazie al cielo; mi dispiace ma la vostra è soltanto un’impressione.

MARIO - Eppure c’è qualcosa, sorella, c’è qualcosa.

SILVIA - Qualcosa nella vostra testa, fratello, ed era ora; ma nella mia, c’è soltanto lo stupore per quel che mi state dicendo.

ORGONE - È dunque il giovane appena uscito che ti suscita l’estrema antipatia che hai per il suo padrone?

SILVIA - Chi? Il domestico di Dorante?

ORGONE - Sì, il galante Borgognone.

SILVIA - Il galante Borgognone, non sapevo che lo chiamassero così, non mi parla mai di lui.

ORGONE - Eppure, dicono che sia lui che lo scredita ai tuoi occhi; era di questo che ti volevo parlare.

SILVIA - Non mette conto, signor padre, nessuno come il suo padrone mi ha mai suscitato un’antipatia così istintiva.

MARIO - Hai un bel dire, sorella, ma è troppo forte per essere istintiva, qualcuno ti ha dato una mano.

SILVIA - (vivacemente) Con che tono misterioso mi state parlando, fratello! Chi è dunque questo qualcuno che mi ha dato una mano? Vediamo un po’.

MARIO - Sei di pessimo umore, sorella, come te la prendi!

SILVIA - È che sono stanca del mio personaggio, e mi sarei già rivelata se non temessi di dispiacere a mio padre.

ORGONE - Guardatevene bene, figlia mia, sono venuto proprio per farvi questa raccomandazione. Io ho avuto la compiacenza di permettere il vostro travestimento, ora è necessario, se non vi dispiace, che voi abbiate quella di sospendere il giudizio su Dorante e di vedere se l’avversione che è stata suscitata in voi ha ragione di essere.

SILVIA - Ma voi, signor padre, non mi ascoltate! Vi ho detto che nessuno mi ha suscitato niente.

MARIO - Come! Quel chiacchierone che è appena uscito non ti ha un pochino disgustata di quell’altro?

SILVIA - (focosa) Mi fate dei discorsi insultanti! Lui mi ha disgustata di quell’altro, lui! Devo sentirmene dire di tutti i colori; non ascolto che cose incredibili, il vostro linguaggio è inaudito; ho l’aria imbarazzata, c’è qualcosa, il galante Borgognone mi ha disgustata, ma sì, tutto quel che volete, ma non ci capisco niente.

MARIO - Decisamente, sei tu che sei strana. Ma con chi ce l’hai? Perché sei così sospettosa, di quali pensieri ci stai accusando?

SILVIA - Coraggio, fratello, per quale fatalità oggi non riesci a dirmi una parola che non mi ferisca? Che sospetti volete che abbia? Avete delle visioni?

ORGONE - Veramente, sei tanto agitata che nemmeno io ti riconosco. È chiaro che Lisetta ci ha parlato in quella sua maniera a causa delle tue reazioni; accusava il servitore di non mettere in buona luce il suo padrone, e la Signora, ci ha detto, lo ha difeso contro di me con tanta furia che ne sono ancora tutta sorpresa. È per questa parola, sorpresa, che abbiamo protestato con lei; ma è gente, quella, che non conosce le conseguenze che può avere una parola.

SILVIA - Che insolente! Non c’è niente di più detestabile di quella ragazza. Lo ammetto, mi sono indignata per un senso di giustizia nei confronti del giovane.

MARIO - In questo non c’è niente di male.

SILVIA - Niente di più normale. Intanto però, scusate, siccome sono giusta, e desidero che non si faccia torto a nessuno, siccome voglio salvare un domestico dalla colpa che avrebbe nei confronti del padrone, non esitate a dirmi che mi lascio prendere dall’ira, dal furore, e vi meravigliate di me: un momento dopo, uno spiritello maligno ci ripensa, e allora vi sentite in dovete di risentirvi, lei deve stare zitta, e prendete le mie parti contro di lei per le conseguenze di quel che dice. Le mie parti: ho dunque bisogno che mi si difenda, che mi si giustifichi? È dunque possibile interpretare a rovescio quel che faccio? Ma che cosa faccio, poi? Di che mi si accusa? Ditemelo, vi scongiuro; parlate seriamente o vi divertite, mi prendete in giro? Non sono tranquilla.

ORGONE - Calmati cara.

SILVIA - No, Signore, non c’è calma che tenga. Ma insomma, sorprese, conseguenze! Spiegatevi, che cosa intendete dire? Accusate quel servitore e avete torto; vi sbagliate tutti quanti, Lisetta è una pazza, lui è innocente, basta, finito; perché riparlarne? Oh, ne ho fin sopra i capelli.

ORGONE - Tu non dici tutto, figliola mia, hai una gran voglia di prendertela anche con me; ma si può fare di meglio, l’unica persona sospetta qui dentro è quel servitore, basta che Dorante lo mandi via.

SILVIA - Maledetto travestimento! Intanto Lisetta non si fa vedere, odio più lei che Dorante.

ORGONE - La vedrai, se lo desideri, ma dovresti essere contenta che quel giovane se ne vada, perché ti ama e questo sicuramente ti infastidisce.

SILVIA - Non gli posso rimproverare niente, mi prende per una cameriera e mi parla di conseguenza; però non mi può dire quel che gli pare, lo metto in riga.

MARIO - Eppure, non sei poi così padrona di te come dici di essere.

ORGONE - Non l’abbiamo forse visto in ginocchio, tuo malgrado? E perché si alzasse, non sei stata costretta a dirgli che non ti dispiaceva?

SILVIA - (a parte) Soffoco.

MARIO - E quando ti ha chiesto se avresti potuto amarlo, hai dovuto aggiungere con qualche tenerezza: lo farei di buon grado; se non lo dicevi sarebbe ancora lì.

SILVIA - Brillante la tua postilla, caro fratello, ma poiché non ho gradito l’azione, non è gentile la rievocazione. Suvvia, parliamo seriamente, quando finirà la commedia che state recitando alle mie spalle?

ORGONE - La sola cosa, figlia mia, che esigo da te è che tu risolva di respingerlo con conoscenza di causa; aspetta ancora un po’, mi ringrazierai della dilazione che ti chiedo; te lo garantisco.

MARIO - Tu sposerai Dorante, e sentirai persino inclinazione per lui, è una profezia che faccio… Ma, signor padre, chiedo grazia per il servitore.

SILVIA - Perché, grazia? Io voglio che se ne vada.

ORGONE - Il suo padrone deciderà, andiamo.

MARIO - Addio, sorella, addio, senza rancore.

SCENA XII

Silvia, sola; Dorante, che entra poco dopo

SILVIA - Ah, il cuore mi scoppia! Qualcosa che non capisco viene ad aggiungersi all’imbarazzo in cui mi trovo; questa storia mi affligge, non c’è faccia di cui mi fidi, non una persona che mi piaccia, e io stessa non piaccio a me.

DORANTE - Ah, Lisetta, ti cercavo.

SILVIA - Non vale la pena di trovarmi, perché io ti fuggo, io.

DORANTE - (le impedisce di uscire) Fermati, Lisetta, ti devo parlare per l’ultima volta, è qualcosa di decisivo che riguarda i tuoi padroni.

SILVIA - Perché non lo dici a loro, non ti posso vedere senza che tu m’infastidisca, lasciami.

DORANTE - Lo farò, ma ascoltami, ti dico; dopo quanto ti dirò, vedrai le cose con occhio ben diverso.

SILVIA - Va bene, allora parla, ti ascolto, visto che la mia compiacenza deve durare in eterno.

DORANTE - Mi prometti di tenere il segreto?

SILVIA - Non ho mai tradito nessuno.

DORANTE - La confidenza che ti faccio la devi soltanto alla stima che ho per te.

SILVIA - Ti credo; ma vedi di stimarmi senza dirmelo, altrimenti sembra un pretesto.

DORANTE - Ti sbagli, Lisetta: mi hai promesso il segreto, andiamo avanti. Come hai visto, sono stato vinto dai sentimenti, non ho potuto fare a meno di amarti.

SILVIA - Ci risiamo; io invece posso fare benissimo a meno di ascoltarti. Ti saluto.

DORANTE - Rimani, non è più Borgognone che ti sta parlando.

SILVIA - E chi allora?

DORANTE - Ah, Lisetta! Ora comprenderai perché il mio cuore ha dovuto sopportare tante pene.

SILVIA - Io non parlo col tuo cuore, io parlo con te.

DORANTE - Sta arrivando qualcuno?

SILVIA - No.

DORANTE - Siamo giunti a un punto tale che sono costretto a parlare, sono una persona onesta e devo impedire che la cosa vada avanti.

SILVIA - Va bene.

DORANTE - Devi sapere che la persona che è in compagnia della tua padrona non è quella che tu pensi.

SILVIA - (vivacemente) E chi è allora?

DORANTE - Un servitore.

SILVIA - E allora?

DORANTE - Sono io Dorante.

SILVIA - (a parte) Ora vedo chiaro nel mio cuore.

DORANTE - Volevo, nascosto in quest’abito, vedere un po’ che tipo fosse la tua padrona, prima di sposarla. Mio padre, quando sono partito, mi ha permesso di fare quel che ho fatto e l’esito mi pare un sogno: detesto la persona che dovevo sposare e amo la cameriera che in me doveva soltanto vedere un nuovo padrone. A questo punto, che cosa devo fare? Arrossisco per lei, nel dirlo, ma la tua padrona è di gusti talmente volgari che s’è invaghita del mio servitore, al punto che, se la lasciassero fare, lo sposerebbe. Che fare, dunque?

SILVIA - (a parte) Chi sono non glielo voglio dire… (A voce alta) Vi trovate in una situazione indubbiamente nuova! Ma innanzitutto, Signore, vi chiedo scusa per tutto ciò che di poco rispettoso posso avervi detto nel corso dei nostri colloqui.

DORANTE - (vivacemente) Taci, Lisetta: le tue scuse mi addolorano, mi ricordano la distanza che ci separa e non fanno altro che renderla più penosa.

SILVIA - È dunque vera la vostra inclinazione per me? Mi amate fino a questo punto?

DORANTE - Al punto da rinunciare al mio impegno di nozze, visto che non mi è dato unire la mia sorte alla tua; e stando così le cose, la sola dolcezza che potevo assaporare era di credere che tu non mi odiassi.

SILVIA - Un cuore che mi sceglie nonostante la mia condizione è sicuramente degno di essere accettato e lo ricambierei volentieri se non temessi di costringerlo a un’unione che gli farebbe torto.

DORANTE - Non ti basta il tuo fascino, Lisetta? Vuoi aggiungerci anche la nobiltà con la quale mi stai parlando?

SILVIA - Sento qualcuno, pazientate ancora un po’ per quel che riguarda il vostro servitore, la questione non si risolverà tanto presto, ci rivedremo e cercheremo il mezzo di togliervi dai guai.

DORANTE - Seguirò i tuoi consigli. (Esce)

SILVIA - Meno male, avevo tanto bisogno che Dorante fosse lui.

SCENA XIII

Silvia, Mario

MARIO - Sono di nuovo da te, cara sorella: ti abbiamo lasciata in un’inquietudine che mi preoccupava; voglio aiutarti, ascolta.

SILVIA - (con vivacità) Ah! Veramente, fratello, sono ben altre le notizie!

MARIO - Che c’è?

SILVIA - Non è Borgognone, è Dorante.

MARIO - Di chi stai parlando?

SILVIA - Di lui, vi dico, l’ho saputo poco fa, è appena uscito, è lui che me l’ha detto.

MARIO - Ma chi?

SILVIA - Ma non capite?

MARIO - Potessi morire, se capisco qualcosa.

SILVIA - Venite, usciamo di qui, andiamo a trovare il babbo, bisogna che lo sappia; avrò bisogno anche di voi, fratello: mi vengono delle nuove idee, dovrete fingere di amarmi, ne avete già detto qualcosa scherzando; ma soprattutto, mantenete il segreto, ve ne prego…

MARIO - Oh! Lo mantengo di certo, non so di che si tratta.

SILVIA - Andiamo, fratello, venite, non perdiamo tempo; non è mai capitato nulla di simile!

MARIO - Prego il cielo che non abbia le traveggole.

SIPARIO

ATTO TERZO

SCENA I

Dorante, Arlecchino

ARLECCHINO - Povero me, Signore, mio onoratissimo Padrone, ve ne scongiuro.

DORANTE - Ancora?

ARLECCHINO - Abbiate compassione della mia buona avventura, non portate sfortuna alla mia felicità che corre a gonfie vele, non chiudete il passaggio.

DORANTE - Ma va là, miserabile, tu mi stai prendendo in giro! Meriteresti cento bastonate.

ARLECCHINO - Non le rifiuto, se le merito; ma quando le avrò prese, permettetemi di meritarne delle altre: volete che vada a cercare il bastone?

DORANTE - Scellerato!

ARLECCHINO - Scellerato, d’accordo, ma perché non dovrei fare fortuna?

DORANTE - Che furfante! Ma guarda che fantasia gli è venuta!

ARLECCHINO - Anche furfante va bene, mi si adatta pure: uno scellerato non perde l’onore se viene chiamato furfante; ma un furfante può sempre fare un buon matrimonio.

DORANTE - Ma come vuoi, insolente, che io lasci un onest’uomo nell’errore e sopporti che tu ne sposi la figlia col mio nome? Ascolta, se mi parli ancora di questa tua impertinenza, non appena ho detto al signor Orgone chi sei, io ti licenzio, hai capito?

ARLECCHINO - Mettiamoci d’accordo: questa ragazza mi adora, mi idolatra; ora, se le dico che sono un servitore e se, nonostante questo, il suo cuoricino fosse ancora voglioso di nozze con me, non lascereste suonare i violini?

DORANTE - Quando si saprà chi sei, non m’impiccerò più.

ARLECCHINO - Bene, vado subito a informare quella generosa persona sul perché di questo mio costume, non sarà una giubba colorata a farci leticare e spero che il suo amore mi consenta di andare a tavola in sala da pranzo, a dispetto della sorte che mi ha relegato in cucina.

SCENA II

Dorante, solo, poi Mario

DORANTE - Tutto ciò che succede qui dentro, tutto ciò che mi è capitato, ha dell’incredibile… In ogni modo vorrei vedere Lisetta e sapere se quel che ha promesso di fare la sua padrona per cavarmi dai guai ha avuto successo. Vediamo un po’ se riesco a trovarla sola.

MARIO - Aspettate, Borgognone, devo dirvi qualcosa.

DORANTE - Al vostro servizio, Signore, che c’è?

MARIO - Voi ronzate attorno a Lisetta, o sbaglio?

DORANTE - È così avvenente che si farebbe fatica non farle la corte.

MARIO - E lei come prende la cosa?

DORANTE - Signore, ci scherza sopra.

MARIO - Tu sei intelligente, non la prenderai mica in giro, per caso?

DORANTE - No, ma che cosa v’importa? Se Lisetta ha un’inclinazione per me…

MARIO - Un’inclinazione per lui! Ma dove li avete imparati certi termini? Usate un linguaggio molto prezioso per un giovane della vostra specie.

DORANTE - Non saprei parlare altrimenti, Signore.

MARIO - A quanto pare, è con queste maniere ricercate che andate all’attacco di Lisetta; vi consentono di imitare le persone di rango elevato.

DORANTE - Vi assicuro, Signore, che non imito nessuno; ma certamente non siete venuto qui per dirmi che sono impertinente, avevate qualcos’altro da farmi sapere, parlavamo di Lisetta, della mia simpatia per lei e dell’interesse che questo vi suscita.

MARIO - Perbacco! C’è già un briciolo di gelosia in quel che mi rispondi; cerca di moderarti un tantino. Ebbene, mi stavi dicendo che nel caso Lisetta avesse inclinazione per te… Poi?

DORANTE - È proprio necessario che lo sappiate, Signore?

MARIO - Ti dico subito il perché: devi sapere che malgrado il mio tono scherzoso di poco fa, mi seccherebbe molto che lei ti amasse; devi sapere, e non c’è bisogno di altre spiegazioni, che ti proibisco di rivolgerle ancora la parola; non perché io tema davvero che lei ti ami, ha un cuore troppo altero, credo, per questo; ma mi dà fastidio, ecco, di avere Borgognone come rivale.

DORANTE - Non ho difficoltà a credervi, ve lo assicuro, perché Borgognone, pur essendo Borgognone, non è contento nemmeno lui che voi siate il suo.

MARIO - Avrà pazienza.

DORANTE - È inevitabile; ma voi, Signore, tanto l’amate?

MARIO - Abbastanza per volermi legare seriamente a lei, non appena avrò preso certe precauzioni; capisci quel che voglio dire?

DORANTE - Sì, credo di arrivarci; e pensate voi di essere amato nello stesso modo?

MARIO - Tu che ne pensi? Varrebbe la pena che io lo fossi?

DORANTE - Non pretenderete, immagino, di essere lodato dai vostri rivali.

MARIO - La risposta è sensata, te la perdono, ma sono molto mortificato di non poter dire che mi ama; e questo ti dico non perché io sia tenuto ad informarti, ma perché bisogna dire la verità.

DORANTE - Mi meraviglio, Signore, Lisetta non conosce dunque le vostre intenzioni?

MARIO - Lisetta sa che le voglio bene, ma non mi pare che ne sia commossa; ma spero di conquistare il suo cuore con la ragione. Addio, vai e non fare rumore. L’indifferenza che dimostra nei miei confronti, malgrado ciò che le posso offrire, ti deve consolare del sacrificio che stai facendo. La tua livrea non è cosa che possa far pendere la bilancia dalla tua parte, non sei fatto per combattere con me.

SCENA III

Silvia, Dorante, Mario

MARIO - Ah, sei qui, Lisetta?

SILVIA - Che cos’avete, Signore, mi sembrate turbato.

MARIO - Non è nulla, stavo parlando con Borgognone.

SILVIA - È triste, stavate forse rimproverandolo?

DORANTE - Il Signore mi ha detto che vi ama, Lisetta.

SILVIA - Non è colpa mia.

DORANTE - E mi proibisce di amarvi.

SILVIA - Mi proibisce dunque di riuscire attraente?

MARIO - Io non posso impedire che lui ti ami, bella Lisetta, ma non voglio che te lo dica.

SILVIA - Non me lo dice più, ormai, me lo ripete continuamente.

MARIO - Che almeno non te lo ripeta quando io sono presente; andate via, Borgognone.

DORANTE - Aspetto che lei me lo ordini.

MARIO - Ancora?

SILVIA - Dice che aspetta, abbiate dunque pazienza.

DORANTE - Avete voi simpatia per il Signore?

SILVIA - Parlate dell’amore? Oh, non credo che sarà necessario proibirmelo.

DORANTE - M’ingannate?

MARIO - La parte che sto facendo, in verità, è quella di un personaggio un po’ particolare; quindi lui deve andarsene. A chi sto parlando?

DORANTE - A Borgognone, semplicemente.

MARIO - Bene, se ne vada, dunque!

DORANTE - (a parte) Sto male.

SILVIA - Fatelo, si sta irritando.

DORANTE - (sottovoce a Silvia) Voi che dite, non chiedete di meglio?

MARIO - Via, finiamola.

DORANTE - Di quest’amore, Lisetta, non mi avevate mai parlato.

SCENA IV

Il Signor Orgone, Mario, Silvia

SILVIA - Se non amassi un uomo come lui, diciamo la verità, sarei un’ingrata.

MARIO - (ridendo) Ah! Ah! Ah! Ah!

ORGONE - Di chi ridete, Mario?

MARIO - Dell’ira di Dorante, che sta andando via, l’ho costretto io a lasciare Lisetta.

SILVIA - Ma che cosa vi ha detto nell’incontro che avete avuto con lui da solo a solo?

MARIO - Non ho mai visto persona in maggiori fastidi e d’umore più nero.

ORGONE - Non mi dispiace affatto che sia vittima del suo stesso stratagemma, e del resto, a ben vedere, non c’è niente di più lusinghiero e di più gradevole di tutto quello che hai fatto per lui, figlia mia; ma adesso basta.

MARIO - E con lui a che punto siamo, sorellina?

SILVIA - Ohimè, fratellino, vi confesso che ho ragione di essere contenta.

MARIO - Ohimè fratellino, dice! Avete notato quanta tranquilla dolcezza c’è in quello che sta dicendo?

ORGONE - Come, figliola, tu speri dunque che giunga fino al punto di chiedere la tua mano nella veste in cui ti trovi?

SILVIA - Signorsì, caro padre, lo spero.

MARIO - Furbacchiona che tu sei, col caro babbino tuo! Ora non ci rimproveri più, ci dici cose gradevoli.

SILVIA - Non me ne perdonate una!

MARIO - Ah! Ah! Mi prendo la rivincita; poco fa mi contestavi per le mie espressioni, bisogna pure che io scherzi un po’ sopra le tue, la tua gioia è perlomeno altrettanto divertente della tua inquietudine.

ORGONE - Non avrete a lamentarvi di me, figlia mia, mi conformo al piacer vostro.

SILVIA - Ah, signor padre, sapeste quanto vi sono obbligata! Dorante e io siamo destinati l’una all’altro, e mi sposerà; sapeste come gli sarò grata di quel che fa oggi per me, come il mio cuore custodirà il ricordo della straripante tenerezza che mi dimostra! Sapeste come diventerà più attraente la nostra unione per questo! Egli non potrà ricordare la nostra storia senza amarmi, ed io non potrò, se mi accadrà di pensarci, che amare lui, voi ci avete resi felici per la vita, lasciandomi fare; è un matrimonio unico; è un’avventura che basterà raccontare perché commuova; è il colpo di fortuna più singolare, più felice, più…

MARIO - Ah! Ah! Ah! Come il tuo cuore è pieno di chiacchiera, sorellina, quanta eloquenza!

ORGONE - Bisogna convenire che il regalo che ti concedi è affascinante, soprattutto se andrai fino in fondo.

SILVIA - Ormai è fatta, Dorante è sconfitto, aspetto il mio schiavo.

MARIO - Le sue catene saranno più dorate di quanto egli non pensi; ma so che ha molta pena nell’animo ed ho pietà della sua sofferenza.

SILVIA - Il prezzo che paga nel prendere la sua decisione non fa che aumentare la mia stima: sta pensando che sposandomi darà un dolore a suo padre, crede di tradire la sua fortuna e la sua nascita. Ecco dei grandi temi di riflessione: e sarò felice del mio trionfo. Ma la vittoria me la devo conquistare, non la voglio in dono da lui: esigo una battaglia fra l’amore e la ragione.

MARIO - In cui la ragione rimarrà sconfitta.

ORGONE - Ossia, tu vuoi che senta quanto immensa è la sciocchezza del gesto che egli crederà di compiere: che insaziabile vanità di amor proprio!

MARIO - È l’amor proprio di una donna, niente di più comune.

SCENA V

Il Signor Orgone, Silvia, Mario, Lisetta

ORGONE - Zitti, ecco Lisetta: vediamo che cosa vuole.

LISETTA - Signore, mi avete detto poc’anzi che lasciavate Dorante nelle mie mani, che abbandonavate la sua testa alla mia discrezione: vi ho preso in parola, mi son data da fare come se tutto dipendesse da me, ora vedrete un lavoro ben fatto, ve lo dico io, la sua testa è cucinata alla perfezione. A questo punto, che cosa volete che ne faccia, la Signora me lo cede?

ORGONE - Figlia mia, ancora una volta, vuoi o no far valere il tuo diritto?

SILVIA - No, te lo lascio, Lisetta, rinuncio per te ad ogni mio diritto, e per dirla con le tue parole, non avrò mai posto in un cuore che non mi sono lavorato io stessa.

LISETTA - Come! Voi permettete che io lo sposi, ed anche il Signore lo permette?

ORGONE - Certo, si contenti, non ti ama forse?

MARIO - Lo consento anch’io.

LISETTA - Io pure, e vi ringrazio tutti.

ORGONE - Aspetta, ti metto soltanto una piccola condizione; bisognerebbe, a nostra discolpa per quel che accadrà, che tu gli dica un pochino chi sei.

LISETTA - Ma se glielo dico un pochino lo saprà del tutto.

ORGONE - Vuoi che una testa così ben condizionata come la sua non riesca a sopportare anche un colpo del genere? Non mi pare il tipo da infuriarsi per questo.

LISETTA - Eccolo, mi viene a cercare, abbiate la bontà di lasciarmi campo libero, devo compiere il mio capolavoro.

ORGONE - È giusto, ritiriamoci.

SILVIA - Con molto piacere.

MARIO - Andiamo.

SCENA VI

Lisetta, Arlecchino

ARLECCHINO - Finalmente vi vedo, mia Regina, e non vi lascio più, perché ho troppo patito per avere mancato della presenza vostra, e ho pensato che voi schivavate la mia.

LISETTA - Devo riconoscere, Signore, che un po’ era vero.

ARLECCHINO - Ma come, anima cara, elisir del mio cuore, avete divisato la fine della mia vita?

LISETTA - No, mio caro, è cosa troppo preziosa per me che essa duri.

ARLECCHINO - Ah, come mi fortificano queste parole.

LISETTA - E voi non dovete dubitare del bene che vi voglio.

ARLECCHINO - Ah, come vorrei baciare queste parolette, e coglierle sulla vostra bocca con la mia.

LISETTA - Ma voi mi facevate fretta per il nostro matrimonio, e mio padre non mi aveva ancora promesso di rispondervi; gli ho appena parlato, e ho il consenso di dirvi che potete chiedergli la mia mano quando vi pare.

ARLECCHINO - Prima di chiederla a lui, soffrite che io la chieda a voi; voglio rendergli grazie della carità che avrà di intrecciarsi alla mia, che ne è veritieramente indegna.

LISETTA - Non rifiuto di prestarvela un momento, a condizione che la teniate per sempre.

ARLECCHINO - Che manina rotondetta e ben tornita, io vi prendo senza mercanteggiare, non sono in pena per l’onore che mi fate, m’inquieta soltanto l’onore che dovrò rendervi.

LISETTA - Me ne rendete più di quanto mi bisogna.

ARLECCHINO - Nemmeno per idea, voi quest’aritmetica non la conoscete bene come me.

LISETTA - Io considero tuttavia il vostro amore come un dono del cielo.

ARLECCHINO - Il dono che vi ha fatto non lo manderà in rovina, è cosa da poco.

LISETTA - È fin troppo magnifico per me.

ARLECCHINO - Perché non lo guardate in piena luce.

LISETTA - Voi non sapete quanto la vostra modestia mi metta in imbarazzo.

ARLECCHINO - Non sprecate il vostro imbarazzo; sarei molto arrogante, io, se non fossi modesto.

LISETTA - Insomma, Signore, devo proprio dirvi che siete voi che onorate me del vostro affetto?

ARLECCHINO - Ohimè, non so più dove stare.

LISETTA - Vi ripeto, Signore, che è così, conosco bene me stessa.

ARLECCHINO - Anch’io conosco me stesso, non è una conoscenza illustre, e non lo sarà per voi, quando l’avrete fatta; ma sarà una catastrofe per voi, conoscermi, non sapete che cosa vi aspetta.

LISETTA - (a parte) Tanto umiliarsi non è naturale. (A voce alta) Perché mai mi dite queste cose?

ARLECCHINO - È lì la chiave di tutto.

LISETTA - Insistete? Mi mettete in pensiero: forse che voi non siete?…

ARLECCHINO - Ahi, ahi! Mi state togliendo la mascherina.

LISETTA - Vogliamo chiarire la cosa?

ARLECCHINO - (a parte) Vediamo di prepararla… (A voce alta) Signora, il vostro amore è di costituzione abbastanza robusta, sarà in grado di sostenere il peso che gli impongo, non ha paura di finire in un brutto sito? Sto per offrirgli un modestissimo alloggio.

LISETTA - Ah, toglietemi quest’affanno! Insomma, chi siete?

ARLECCHINO - Sono… Non avete mai visto una moneta falsa? Sapete che cos’è un Luigi d’oro falso? Bene, io gli assomiglio un po’.

LISETTA - Concludete, dunque, qual è il vostro nome?

ARLECCHINO - Il mio nome? (A parte) Devo dirle che mi chiamo Arlecchino? No, fa troppo rima con malandrino.

LISETTA - E allora?

ARLECCHINO - Ah! Garantito, ci sarà da sudare! Detestate voi la condizione del soldato?

LISETTA - Che vuol dire soldato?

ARLECCHINO - Sì, per esempio, un soldato di anticamera.

LISETTA - Un soldato di anticamera? Non è dunque a Dorante che sto parlando?

ARLECCHINO - No, lui è il mio capitano.

LISETTA - Brutto assassino!

ARLECCHINO - (a parte) Non ho potuto evitare la rima.

LISETTA - Ma guarda questo macaco, ma guardalo!

ARLECCHINO - Sto facendo un bel ruzzolone!

LISETTA - E da un’ora gli sto chiedendo perdono, mi sprofondo in umiliazioni per una bestia del genere.

ARLECCHINO - Ohimè, Signora, se voi preferiste l’amore al casato io potrei servirvi altrettanto bene che un signore.

LISETTA - (ridendo) Ah! Ah! Ah! Non posso fare a meno di ridere, con il suo casato, ormai non c’è altro da fare… Su, su, il mio casato ti perdona, è di buona pasta.

ARLECCHINO - Per davvero, o donna caritatevole? Ah, il mio amore vi promette tanta riconoscenza!

LISETTA - Basta così, Arlecchino; ci sono cascata. Il soldato di anticamera del Signore val bene la pettinatrice della Signora.

ARLECCHINO - La pettinatrice della Signora!

LISETTA - È il mio capitano, o l’equivalente.

ARLECCHINO - In costume!

LISETTA - Ti sei presa la tua rivincita.

ARLECCHINO - Ma guarda questa macaca, che da un’ora mi mette confusione perché sono povero!

LISETTA - Veniamo al fatto, mi ami?

ARLECCHINO - Ma sicuro, perdinci, cambiando nome non hai mica cambiato faccia, e tu sai bene che ci siamo promessi fedeltà a dispetto di ogni errore di ortografia.

LISETTA - Via, il male è relativo, consoliamoci; ma facciamo finta di niente, e non diamo occasione di ridere. Ho l’impressione che il padrone sia ancora all’oscuro di quel che riguarda la mia padrona, non dirgli niente, lasciamo le cose come stanno: mi pare che stia venendo qui. Signore, serva vostra.

ARLECCHINO - Vostro umilissimo servitore, Signora. (Ridendo) Ah! Ah! Ah!

SCENA VII

Dorante, Arlecchino

DORANTE - Bene, hai parlato con la figlia di Orgone, le hai detto chi sei?

ARLECCHINO - Sì, poverina, ha il cuore più tenero di un agnello, non ha fiatato. Quando le ho detto che mi chiamo Arlecchino, e che vesto da livrea dei domestici, ebbene, amico mio, mi ha detto, ciascuno ha il suo nome nella vita e ciascuno il suo abito, il vostro non vi costa niente, non per questo è meno elegante.

DORANTE - Ma che stupida storia mi stai raccontando?

ARLECCHINO - Tanto è vero che sto per chiederla in moglie.

DORANTE - Come, accetta di sposarti?

ARLECCHINO - E ne fa una malattia.

DORANTE - Tu vuoi infinocchiarmi, lei non sa chi sei.

ARLECCHINO - Perdincibacco, volete scommettere che me la sposo con addosso la giubba da lavoro o gli stracci di un mozzo di stalla, se mi fate arrabbiare? Voglio che sappiate che a un amore come il mio non ci tirate un frego sopra, che io non ho bisogno dei vostri quattro abitucci per portare la mia stoccata e che a voi non rimane che darmi indietro i miei.

DORANTE - Sei un furbacchione, tutto questo non ha senso, e mi rendo conto che devo avvertire il Signor Orgone.

ARLECCHINO - Chi? Nostro padre? Ah, il vecchiaccio è nelle vostre mani, è il migliore umano che ci sia, una vera pasta d’uomo!… Me lo saprete dire.

DORANTE - Che mattocchio! Hai visto Lisetta?

ARLECCHINO - Lisetta! No; forse mi è passata davanti, ma una persona per bene non bada a una fantesca. Questo tipo di attenzione lo cedo a voi.

DORANTE - Vattene, stai vaneggiando.

ARLECCHINO - I vostri modi sono un tantino disinvolti, ma dipende dall’abitudine: addio, quando sarò sposato, saremo uguali, noi due. Sta arrivando la vostra camerierina. Buongiorno, Lisetta, vi raccomando Borgognone, è un ragazzo che ha dei meriti.

SCENA VIII

Dorante, Silvia

DORANTE - (a parte) Merita davvero di essere amata! Non era necessario che Mario me lo venisse a dire.

SILVIA - Signore, ma dove eravate? Da quando ho lasciato Mario, non mi è riuscito di trovarvi, dovevo riferirvi ciò che ho detto al Signor Orgone.

DORANTE - Eppure non mi sono allontanato, di che si tratta?

SILVIA - (a parte) Che freddezza! (A voce alta) Ho avuto un bel sgridare il vostro servitore e prendere la sua coscienza a testimone del suo scarso merito, ho avuto un bel dirgli che si poteva se non altro procrastinare il matrimonio, non mi ha nemmeno ascoltata; vi devo avvertire altresì che si sta parlando di chiamare il notaio, e che è tempo ormai di rivelarvi.

DORANTE - È quel che intendo fare; partirò in incognito e lascerò un biglietto che informerà il Signor Orgone di ogni cosa.

SILVIA - (a parte) Partire, non è questo che voglio.

DORANTE - Non approvate la mia idea?

SILVIA - Ma… mica tanto.

DORANTE - D’altra parte, non c’è altro da fare, nella situazione in cui mi trovo, a meno che non debba parlare io stesso, ma a questo non so risolvermi; ci sono del resto altre ragioni che m’impongono di ritirarmi: non ho più motivo di stare qui.

SILVIA - Poiché non conosco le vostre ragioni, non posso né approvarle né contestarle; e non spetta a me chiedervi quali sono.

DORANTE - Potete bene sospettarle, Lisetta.

SILVIA - Io penso, per esempio, che abbiate repulsione per la figlia del Signor Orgone.

DORANTE - Non sapete vedere altri motivi?

SILVIA - Ci sono altre cose che potrei supporre; ma non sono pazza, e non ho la vanità di prenderle in considerazione.

DORANTE - E nemmeno il coraggio di parlarne; poiché non avreste nulla di piacevole da dirmi: addio, Lisetta.

SILVIA - Badate, ho l’impressione che non mi abbiate capito, sono costretta a farvelo notare.

DORANTE - A meraviglia; e la spiegazione non mi sarebbe favorevole; non ditemi nulla fino alla mia partenza.

SILVIA - Come, davvero voi volete partire?

DORANTE - Avete una gran paura che io muti parere.

SILVIA - Siete bene informato, molto gentile da parte vostra.

DORANTE - Tutto questo è puerile. Addio! (Se ne va)

SILVIA - (a parte) Se parte, non l’amo più, non lo sposerò mai… (Lo guarda mentre lui se ne va) Ma si ferma, ci ripensa, guarda se io mi giro, eppure non mi riesce di chiamarlo… E tuttavia sarebbe strano che partisse, dopo tutto quello che ho fatto… Ah, tutto è finito, se ne va, non ho su di lui quel potere che credevo di avere: mio fratello è un imprudente, ha sbagliato tutto, gli indifferenti guastano ogni cosa. Bel risultato davvero! Che delusione! Ma Dorante è ancora lì; ritorna, mi pare, ma allora mi contraddico, io l’amo ancora… Fingiamo di uscire, affinché mi trattenga; bisogna pure che la nostra riconciliazione gli costi qualcosa.

DORANTE - (fermandola) Rimanete, vi prego, ho ancora qualcosa da dirvi.

SILVIA - A me, Signore?

DORANTE - Mi costa fatica partire senza avervi prima convinto che ho ragione di farlo.

SILVIA - Ma, Signore, che importanza ha che vi giustifichiate con me? Non mette conto, io sono soltanto una cameriera e voi me lo fate notare.

DORANTE - Io, Lisetta? E siete proprio voi che vi lamentate, voi che mi vedete prendere una decisione senza dirmi nulla?

SILVIA - Mah! Se volessi, potrei anche rispondervi.

DORANTE - Rispondete dunque, non chiedo altro che di sbagliarmi. Ma che dico! Mario vi ama.

SILVIA - È vero.

DORANTE - Voi siete sensibile all’amor suo, l’ho capito dal desiderio che avevate poco fa di vedermi andar via; dunque, non potete amarmi.

SILVIA - Sono sensibile all’amor suo, e chi ve l’ha detto? Io non posso amarvi! Che ne sapete? Fate presto, voi, a decidere.

DORANTE - Ebbene, Lisetta, per tutto ciò che avete al mondo di più caro, toglietemi questi dubbi.

SILVIA - Togliere i dubbi a un uomo che sta per partire!

DORANTE - Non partirò più.

SILVIA - Sentite, se mi amate, lasciatemi, non fatemi domande. Voi temete soltanto la mia indifferenza e siete troppo felice che io stia zitta. Che vi importa dei miei sentimenti?

DORANTE - Che m’importa, Lisetta? Puoi ancora dubitare che io ti adori?

SILVIA - No, e me lo ripetete così sovente che vi credo; ma perché volete convincermi, che volete che me ne faccia, Signore, di un pensiero del genere? Vi parlerò a cuore aperto. Voi mi amate, ma il vostro amore non è una cosa seria; quante possibilità avete di sbarazzarvene! La distanza che ci separa, mille ragioni che potete trovare nel vostro cammino, il desiderio di suscitare i vostri sensi amorosi, le distrazioni di un uomo della vostra condizione, tutto congiura per distogliervi da quell’amore che impietosamente mi proponete; ne riderete, forse, uscendo da qui, e fareste bene. Ma io, Signore, se me ne ricorderò, come temo, se esso mi ha sconvolta, dove troverò soccorso contro il turbamento che mi ha provocato? Chi mi compenserà della vostra perdita? Chi volete che il mio cuore metta al posto vostro? Ma non sapete che, se vi amassi, tutto ciò che v’è al mondo di più grande non mi riguarderebbe più? Giudicate dunque della situazione in cui verrei a trovarmi, abbiate la generosità di nascondermi il vostro amore: io che parlo, mi farei scrupolo di dirvi che vi amo, nella disposizione in cui vi trovate. La confessione dei miei sentimenti potrebbe turbare la vostra ragione, e vedete bene che io ve li nascondo.

DORANTE - Ah! Lisetta cara, che cosa sento: c’è nelle tue parole un fuoco che m’invade, ti adoro, ti rispetto; non esiste rango, né nascita, né ricchezza, che non scompaiano di fronte a un’anima come la tua. Mi vergognerei, se il mio orgoglio dovesse ancora vincere contro di te; il mio cuore e la mia mano sono i tuoi.

SILVIA - Meritereste in verità che io li prendessi, sarei troppo generosa se nascondessi il piacere che mi fanno; ma credete voi che tutto ciò possa durare?

DORANTE - Voi mi amate, dunque?

SILVIA - No, no; ma se me lo chiedete di nuovo, peggio per voi.

DORANTE - Le vostre minacce non mi fanno paura.

SILVIA - E a Mario, più non ci pensate?

DORANTE - No, Lisetta; Mario non mi mette più in allarme, voi non lo amate, non potete più ingannarmi, il vostro cuore è sincero, non siete insensibile al mio sentimento: non posso dubitarne, nella gioia che m’ha preso, ne sono certo, e non potrete mai più togliermi questa certezza.

SILVIA - Non tento nemmeno, tenetela da conto, vedremo quel che ne farete.

DORANTE - Non consentite ad essere mia?

SILVIA - Come, mi sposereste malgrado quel che siete, malgrado la collera di un padre, malgrado la vostra ricchezza?

DORANTE - Mio padre mi perdonerà, quando vi avrà vista, i miei beni bastano per entrambi, e il merito vale la nascita: non discutiamo più, non muterò mai parere.

SILVIA - Non muterà mai parere! Sapete che mi state conquistando, Dorante?

DORANTE - Non soffocate più il vostro sentimento, lasciate che si espanda…

SILVIA - Finalmente, ce l’ho fatta; voi… voi non muterete mai parere?

DORANTE - No, Lisetta cara.

SILVIA - Quanto amore!

SCENA ULTIMA

Il Signor Orgone, Silvia, Dorante, Lisetta, Arlecchino, Mario

SILVIA - Ah, padre mio, volevate che fossi di Dorante: venite a vedere, vostra figlia vi obbedisce con la gioia più grande che si sia mai vista.

DORANTE - Che cosa sento! Voi, Signore, siete suo padre?

SILVIA - Sì, Dorante, la stessa idea è venuta a tutti e due. Dopo di che, non ho più niente da dire; voi mi amate, non posso più dubitarne, ma a vostra volta giudicate il sentimento che nutro per voi, giudicate del conto in cui ho tenuto il vostro cuore dalla delicatezza con la quale ho tentato di farlo mio.

ORGONE - Conoscete voi questa lettera? Così ho saputo del vostro travestimento, ma la ragazza lo ha saputo soltanto da voi.

DORANTE - Non so come esprimere il mio contento, Signora; ma ciò che più m’incanta, sono le prove che vi ho dato del mio affetto.

MARIO - Dorante mi perdona, se ho mandato in collera Borgognone?

DORANTE - Non vi perdona, ve ne ringrazia.

ARLECCHINO - (a Lisetta) Allegra, Signora! Avete perduto il rango, ma non siete da compiangere, dal momento che vi rimane Arlecchino.

LISETTA - Bella consolazione! Sei tu che ci guadagni.

ARLECCHINO - Non ci rimetto; prima che ci conoscessimo, la vostra dote valeva più di voi; ora, voi valete più della vostra dote. Orsù, balliamo. Viva Bacco e viva Arianna!

SIPARIO