Il giornale D’Artagnan

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D’artagnan

                                                                                    

                

Il             giornale

                                            

  D’Artagnan

                     

             

          

             Accadimenti vari tratti dal giornale di NINO MARTOGLIO

                   

          Riduzione teatrale di Domenico Platania  

                                      

                                                    

                     

                                       

                                       2004

La commedia “Il giornale D’Artagnan” nasce dalla lettura del giornale di Nino Martoglio “D’Artagnan” e ne narra la storia attraverso la riduzione teatrale di una serie di articoli apparsi nel corso della  sua pubblicazione.

Il Martoglio fondò il giornale a Catania, a soli 19 anni, il 20 aprile 1889, e lo diresse fino alla sua chiusura, il 24 aprile 1904. Il foglio ebbe un notevole successo perché si esprimeva con un linguaggio molto semplice, in parte in dialetto, alla portata di tutti. Ma specialmente fu apprezzato per il modo vivace, corrosivo, umoristico e nuovo, di comunicare i correnti avvenimenti sociali, politici e culturali. Era temuto da chi deteneva e faceva un uso sconsiderato del potere e apprezzato, invece,  dal popolo, che viveva in stato di disagio e subiva tale potere.

Oltre a scrittori locali, quali Giuseppe Borrello, Agatino Perrotta, Filippo Marchese, Vincenzo Finocchiaro, l’acese Saru Platania ed altri, collaborarono al giornale anche Trilussa, Di Giacomo, Scarpetta, Pascarella, Fucini. Ma è Martoglio, con le poesie, le polemiche feroci d’alta politica, con la comicità dei suoi personaggi, il mattatore principe del giornale, l’animatore delle sue rubriche.

Del belpassese è nota specialmente la produzione teatrale e poetica, mentre la sua attività di pubblicista ed il suo pensiero politico e sociale, sono stati sempre trascurati.

La commedia che vi presentiamo ha la presunzione di iniziare a colmare parte di tale vuoto portando in scena avvenimenti dell’epoca, riportati nel “D’Artagnan”, sui quali Martoglio esprime chiaramente le sue convinzioni sociali e politiche. Fra gli innumerevoli articoli letti, sono stati privilegiati quelli contenenti i temi del disagio sociale, delle deluse aspettative create sull’Unità d’Italia, della nascita dei nuovi movimenti sociali e politici - i fasci dei lavoratori e il partito socialista -, del brigantaggio, dello stato d’assedio ed eventi come la morte del Cardinale Dusmet.

Ma non sono stati tralasciati momenti di vita quotidiana del popolo minuto, nel nostro caso degli abitanti del quartiere popolare catanese della Civita, quali il “puntamento di matrimonio”, la superstizione, il gioco del lotto, il ballo e altro.

In scena sarà lo stesso Martoglio, nelle vesti di un novello D’Artagnan, a condurci per mano presentando un preliminare schizzo dell’argomento da trattare, proposto a mo’ di articolo di fondo, che sarà successivamente sviluppato e “tradotto”, secondo il proprio stile, dai proletari civitoti o dai rappresentanti della classe borghese.

Nella composizione della colonna sonora, sono stati privilegiati frammenti della “Norma”di Bellini e canzoni popolari e ballabili in voga nel periodo della pubblicazione del giornale. Le poesie “Sirinata” e “La minestra”, invece, sono state musicate dal maestro Francesco Mangiagli.

Il CD con i brani musicali può essere richiesto scrivendo a : Sherpa9@inwind.it

Il presente testo teatrale ha ricevuto nell’anno 2004, dall’Accademia Internazionale “Il Convivio”,  il 2° premio teatrale “Angelo Musco”.

Domenico Platania

Descrizione dei personaggi

D’Artagnan = baffi a punta, pizzetto, paglietta, gilet, collo inamidato, bastoncino. Occhi vivaci, movimenti e gesti rapidi, parla con fierezza.

d.Procopio = Veste con pacchiana eleganza, porta il cilindro e un bastoncino di canna. Modi garbati e mai smodati. Si esprime come se svolgesse una lezione.

Civitoti/e = Vestono normalmente abiti semplici. Gilé o giacca per gli uomini; corpetto o camicia, con gonna ampia, per le donne. Colori accesi.

Nella scena della festa, portano abiti di un’eleganza ridicola e pacchiana.

Linguaggio sguaiato e modo di gesticolare esagerato.

Consiglieri e Sindaco = Vestiti con giacca e cravattino su camicia con collo alto. Portano tutti parrucca nera. Ostentano un’oratoria pomposa.

Lassagiarra =  Dal suo viso traspare una smorfia che esprime il suo sentirsi superiore agli altri Consiglieri. Parla con voce di basso e con lunghe modulazioni.

M.Rapa-M.Rana = Servili e presuntuosi, sono guidati da impulsi elementari. Linguaggio marcato e chiaro. Indossano divisa non riferibile a corpi militari noti.

Dame e Cavalieri = Eleganti, portano copricapo (le donne, cappello ampio, gli uomini cilindro o bombetta). Modi signorili. Linguaggio affettato e ricercato nel racconto dell’attentato, biascicando le parole nella scena del ballo.

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Personaggi in ordine di apparizione

Cicca saimijatta, madre di Santuzza e moglie di Peppi

Prazzita sautavanchi

Viulanti peritunni

d’Artagnan, alias Nino Martoglio

1° Giornalista

2° Giornalista

3° Giornalista

4° Giornalista

Voce 1 donna

Voce 2    “

Turiddu  finicchiu

Cantante

Suonatore di mandolino

Santuzza biddicchia, figlia di Cicca e di Peppi

Banditore

Uomo in frac

Sindaco

Consigliere Scicòempicò

          “        Viricabùccu

          “        Alléggiuccusàli

          “        Assettitibonu

          “        Pìgghiaamaìdda

          “        Lassagiàrra

Voce maschile

Don Procopio ballaccheri, Sinnucu di la Civita

Contessa Tumistufi

Barone Sucasimula

Conte Tiraciatu

Nobildonna Perichiuppu

Messer Rapa

Messer Rana

Peppi bumma, maritu di Cicca

Pasquali periporcu, maritu di Prazzita

Alfiu ballaballa

Signora mamà

1^ Dama

2^ Dama

1° Cavaliere

2° Cavaliere

Pudda gialinusa

Altri componenti il coro

                                                

                                                   PRIMO ATTO

                                                          Scena  I

La scena rappresenta un cortile popolare siciliano, dove sul fondo si affaccia l’abitazione di Cicca e Peppi. Accanto alla loro porta d’ingresso, alla quale si accede attraverso tre gradini, vi è una finestra adorna di vasi colmi di fiori multicolori. Le pareti laterali che completano il cortile, sono spezzate a sinistra da un arco ed a destra da una viuzza dove è allogata l’icona di S.Francesco di Paola. Fanno seguito, ambo i lati e fino al proscenio, dei pannelli con dei disegni caricaturali, tratti dal “D’Artagnan”, che raffigurano personaggi dell’epoca. Un siparietto estensibile longitudinalmente, raffigurante la testata del giornale, separa la scena in due parti. Esso, idealmente, divide i due mondi sociali rappresentati nella commedia: quello del popolo della Civita e l’altro dei detentori del potere. L’apertura o meno del detto siparietto stabilisce se in scena andranno gli uni o gli altri. 

MUSICA1  - “Preludio Norma” (Bellini) –Inizia a sipario chiuso e continua fino a quando non entrano tutti gli attori. Si interrompe appena inizia il dialogo fra civitote.

La scena è divisa da un siparietto con il disegno della testata del giornale. Man mano entrano in scena tutti gli attori disponibili, intenti a leggere il ”D’Artagnan”. Da destra appaiono Cicca e Viulanti. Si fanno largo e si fermano al centro del proscenio, mentre dietro, i lettori del giornale, continuano a discutere fra loro.

Cicca –  Cummari, ma chi è sta gran confusione, stamatina?

Viulanti– Bih! Veru è! E chi sacciu chi successi?

Cicca – Non criru ca scuppiau n’autra verra?                                                

Viulanti – Scanzatini!   (entra Prazzita da sinistra)

Cicca – Cummari Prazzita, ma chi è ‘sta fudda ca sbummicau?

Prazzita – Comu, nenti sapiti? ‘U fattu è ca, a Catania, nisciu ‘n giurnali novu, ca si chiama “Caccagnà”

 Viulanti –  Bih! E ppi ‘n tintu giurnali tutta ‘stu scrusciu?

Prazzita – Dici ca voli parrari du nostru quarteri, di nostri cosi, ‘nsumma!.

Viulanti –  E pricchì non parra di so’ soru?

Cicca – E quannu mai s’hanu ‘ntirissatu da Civita? Chi è ‘na nuvità chissa?

 Prazzita – Ca comu, non v’arriurdati l’abbucatu Scicòempicò quannu vinni e dissi ca, su ci daumu ‘u votu, n’abbissava i strati e sdirrignava ‘a sdisoccupazioni? L’ata vistu cchiù, ora ca è Cunsiggheri Comunali?

Cicca – A quali, si persi! Venunu cca, accumenciunu a diri :”Quantu siti sbinturati e malasurtati. Menu mali ca ci sogno io che vi abbessu a tutti ppi li festi!”. Si scippunu ‘u scippabili e scumparunu…

Prazzita – …Finu a quannu non hanu bisognu n’autra vota!

 Viulanti –  Nenti! Non ma cunta dritta su “Pappagnà”. Cu’ sapi, stautru, cchi voli di nuatri!(escono, assieme agli attori-lettori. Restano in scena soltanto d’Artagnan e i giornalisti, così disposti: 1°-3°- d’Artagnan-4°-2°)  

MUSICA:  1- “Preludio Norma”- Accompagna l’uscita dei lettori

d’Artagnan  - (Tiene una copia del giornale in mano) Oggi, 20 aprile 1889, è nato il giornale serio-umoristico-satirico-illustrato, “d’Artagnan”, che si prefigge lo scopo di discutere di arte-letteratura-polemica-teatro-politica e di quant’altro riterrà opportuno far conoscere ai propri lettori. Il qui presente, Nino Martoglio è il suo Direttore.

1° Giornalista – (idem) Missione del giornale è di aiutare e difendere chi, ingiustamente, viene calpestato, chi muore di fame. (esce)

2° Giornalista –(idem) E’ di combattere la corruzione imperante, dicendo serenamente la verità. (esce)

3° Giornalista -  (idem)  Non ci fa paura la lotta (esce)

4° Giornalista – (idem) In questo giornale troverete la farsa accanto al dramma, il buffone accanto ai martiri (esce)

d’Artagnan – Noi non attaccheremo le istituzioni, ma coloro che di queste istituzioni si valgono ai loro fini, e che queste istituzioni insultano e calpestano. Come il moschettiere d’Artagnan, saremo astuti, ardimentosi ed appassionati alle più ardue avventure.

Entreremo nel mondo impenetrabile del potere e nei cortili della povera gente e chiederemo conto ai primi a nome dei secondi. Vi narreremo di amori, di passioni, di dolori, ma anche di speranze. Scherzando, parleremo di cose veramente serie.. D’Artagnan accenna ad uscire, poi torna indietro) Dimenticavo, tutto ciò che non è affrancato verrà restituito; gli insulti e le aggressioni, anche se affrancati, saranno rimandati al mittente; i cartelli di sfida a duello si ricevono, invece, a qualunque ora. (esce)

                                                      Scena II

(si apre il siparietto con la testata ed appare il cortile di un quartiere popolare) MUSICA:  3  - “Concerto per flauto, archi e clavicembalo in do magg. RV 433-Largo-(Vivaldi)-Inizia appena si apre il siparietto e continua come sottofondo fino a completamento della poesia)

(da fuori scena)

Voce 1  -     Mamma, chi veni a diri 'nnamuratu?-

Voce 2  -     …Vòldiri…un omu ca si fa l’amuri…

    “   1   -     E amuri chi vòldiri?

    “   2   -     E’ un gran piccatu; è ‘na gran bugia di l’omu tradituri!

    “  1   -  Mamma…,nun è tantu giustu ‘ssu dittatu…ca tradimenti nun nn’ha fattu,         Turi!

Voce 2   -     Turiddu?…E chi ti dissi, ‘ssu sfurcatu?

Voce    1   -      Mi dissi ca ppi mia muria d’amuri!

    “      2   -    Ah, ‘stu birbanti!…E tu, chi ci dicisti?

    “      1   -    Nenti!…Lu taliai ccu l’occhi storti…

    “      2   -    E poi?…

    “      1   -    Mi nni trasii tutta affruntata!…

    “      2   -    Povirafigghia mia!…Bonu facisti!…E…lu cori?…

    “      1   -    Mi batti forti forti…

    “      2   -    Chissu è l'amuri, figghia scialarata


                                           Scena III

                               Turiddu, suonatore, cantante

(Turiddu, suonatore e cantante entrano da destra e si fermano sotto la finestra di Santuzza)

Cantante - Si bemolle, zu Janu. Musica maestru.

MUSICA: 4 - “Sirinata” di Mangiagli-

                     Menzannotti è sunata, beni miu

                     E a la finestra nun ti si’ affacciata,

                     Mi sta ‘agghiazzannu lu friddazzu riu

                                                     ‘mmenzu la strata

                      Ma passirannu puru ‘sti mmuccuni

                      Amari, prima ca finisci maju:

 (2 volte)       iu pri’ sta notti vasu ‘u scaluni

                                                      e mi nni vaju!                             

 (escono il cantante e il suonatore. Questi accenna una strimpellata mentre si avvia. Turiddu, guarda ancora una volta la finestra ed accenna ad allontanarsii)                         

                                         

                                                     Scena IV

                                          Turiddu, poi Santuzza

Santuzza – (Si affaccia alla finestra, tossisce per richiamare l’attenzione) Ehm ! Ehm!

Turiddu – Oh! T’arrubbighiasti, finalmenti? Comu stai?

Santuzza – Bona, arringraziamu a Diu! Ma chi è ‘stu schifiu, ca ‘i genti a notti non ponu dormiri cchiù?

Turiddu – E tu, pricchì ti curchi all’Avimmaria, come ‘e jaddini!

 Santuzza –Chi c’è ragioni ca cardacìi l’anima a’ genti ccu ssa camurria?

Turiddu – Arricrama ‘nto sinnucu!

Santuzza – Chi ti ‘nsignanu beddu! Chi voj macari avanzu? Ah?

Turiddu – Ca chi sacciu… A parrari ‘u voj e parra ‘aratru!

Santuzza – D’accussi dicu ju, macari!…‘Nsumma, m’ha diri cosa, annunca mi nni trasu!

Turiddu – Cui ju? Mi dispiaci ca ti disturbasti

Santuzza – Nenti! E allura ti salutu. (fa per ritirarsi)

Turiddu - Daveru ti nni trasi ?

Santuzza – Dopu ca mi salutasti…

Turiddu – T’haja a diri du’ palori!

Santuzza –  Daveru? E parra ca jaju primura!

Turiddu – Di ddocu mi veni jautu!

Santuzza – Mentiti ‘nfogghiu di carta sutta ‘i peri

Turiddu – Ti salutu, mi dispiaci ca t’haju parratu!

Santuzza – N’autru tantu(Turiddu accenna ad andarsene) Aspetta, ca vegnu…(appare  dall’uscio di casa)No’ ppi soddisfazioni to’, ma pp’’a curiusità staju vinennu…Parra!

Turiddu – (estrae dalla tasca un foglio di carta)Chisti non su’ littri ca si scrivunu a unu ca jetta sangu sempri ccu ‘mpinseri; pricchì cci pò veniri ‘ntossicu cca, ‘nta vucca ‘e l’arma, e mori!

Santuzza – E chi ti scrissi? Chiddu ca ti miritasti! (fa un passo avanti, senza guardarlo, voltandogli le spalle)

Turiddu – (la raggiunge e la fa girare verso di lui, prendendola per un braccio) Chiddu ca mi miritava? Ahu! Veni cca! Sai leggiri? (apre la lettera e legge) “Crutele compromiso, colla prisenti ti do notizia che sto beni. Mia sorella Alfiella ha partorito un figlio maschio e così spero di te. Intanto, mio crutele compromiso, ho scoperta la tua farsitutine e nni sono dispiaciuta e ti dico reciprocamente che ogneduno si fa l’affare sue e cu fice fice per causanza che ‘Nzina panicotto ci disse a Santa pecurajanca chi tu ci dicesti a Vicenza peridiporcu chi io ti dissi che lei mi disse che tu mancu m’avevi per schifio e lei ti armò i suoi trappoli e tu ci hai cascato e ti hai fattu compromiso di quella curtigliara di Betta che mi dissi che tu stisso ci hai detto che manco mi craccoli e vi nni andastoro nella bettola di Turi nano, a bivere alla faccia mia e tu ci davi pizzoloni sotto il vanco. Non altro che dirti, ti preco di non scuncicarmi più il mio senzo arrizzittato, e su passi non tuppuliari più. Crutele compromiso, ti preco di non canciari ‘pinioni, pirchì io non ni voglio sapiri più manco a brodo. Eccetra, eccetra.” Chisti su’ littri ca si scrivunu? Ah?

Santuzza – E annunca tu, pricchì facisti tutti ‘sti schifiarei? (si sposta a sinistra, dandogli le spalle, con le braccia conserte)

Turiddu – Cui, Ju? Quannu mai, tutti minzogni! Appoi, non pozzu sumpurtari chidda  d’’u pizzuluni!…

Santuzza – (si gira e lo guarda contenta)Allura non è veru?

Turiddu – ‘U Signori m’avissa a castiari! Varda, no’ ppi tia, pricchì all’urtimu all’urtimu, sugnu unu ca fimmini ni putissi truvari a centomila, (Santuzza gli gira le spalle, indispettita)ma ppi ssa parti d’infamità di certa genti, non sacciu chi facissi!…

Santuzza – (non parla, ma lo guarda sottecchi con amore)

Turiddu – (si gira e notando lo sguardo dolce dell’amata, insiste avvicinandosi. Lei si rigira di scatto) Chidda do pizzuluni poi l’haju cca, supira ‘a vucca e l’arma !…

Santuzza – (si gira verso Turi) Senti, non ppi tia, pricchì matrimonii n’haju arrifiutatu tanti, abbasta a dirisi ca macari si prisintau ‘na vardia di cità graduata, ma pricchi arricanusciu ca ci fu ‘nfamietà. Non ti dicu cchiù nenti, dammi ssa littra ca ‘a scicu (strappa la lettera)

Turiddu – (tenero)Si lu voj sapiri, quannu cantava e non t’affacciavi, ‘u cori mi stringeva e addivintava nicu nicu…

Santuzza – Basta, (confusa) famminni jri, ora ca ficiumu paci, prima ca veni me matri…(accenna ad andarsene, facendo qualche passo verso casa)

Turiddu – (la raggiunge) Aspetta. T’haju a diri n’autra cosa…

Santuzza – (si avvicina) Avanti, parra…Chi è ca m’ha diri?

Turiddu – Haju ricevuto a cartolina…

Santuzza – Quali cartulina?…Cu è ca t’a mannau?

Turiddu – A cartolina ppi fari u surdatu…’Nta cavalleria…

Santuzza – (sconvolta) Turiddu, allura ti nni vai?…Mi lassi?…

Turiddu – Non ti lassu, ca oramai ‘u sai ca ti vogghiu beni assai…

Santuzza – E quannu ni maritamu?

Turiddu – Prima ca partu mi vegnu a spiegari ‘n famigghia … e poi  ni maritamu …addoppu…quannu tornu…

Santuzza – Bih, chi focu ranni ca mi nni vinni! (piange)

Turiddu – Bonu, non chianciri…’u sai ca iu sugnu sempri di ‘n pinseri…

Santuzza – Addiu, addiu…prima ca veni mé matri…

Turiddu – Almenu dammi ‘sta manuzza, prima ca ti nni vai… (le bacia la mano)Scippa ‘n garofulu di ssa rasta, dacci vasuneddu. D’accussi! Dammillu! N’autru ci nni dugnu ju e mu mettu ‘nt‘aricchia (le manda un bacio con la mano) Addiu, palumma!

Santuzza –Addiu…Mé matri, arriva mé matri…

Turiddu – (esce di corsa da destra)

                                                          Scena V

                                                   (Santuzza e Cicca)

Santuzza – (piange)

Cicca – (dal pianerottolo) E tu chi ci fai cca? Vaddàti chi picciu ca sta facennu! E pirchì chianci?… Cu’ ti morsi?…

Santuzza – (piangendo, va verso il proscenio, a metà palco, a sinistra) Lassatimi stari, matruzza, lassatimi stari, ca staju murennu! Vih, figghiu miu! Figghiu miu! Mi lu rubbànu…

Cicca – A cu è ca ti rubbanu?…(le va dietro)

Santuzza – (sempre piangendo, si gira verso la madre.)Mi lu rubbanu, a Turiddu miu…’n cavalleria su pigghianu st’infami e sbirri…’n cavalleria…a fari‘u surdatu…

Cicca – Ora non fari sta lamintela, annunca ocche mala nova ni nni veni, ccu ssu picciu. Ca ora arrizzettiti, a matri,.

Santuzza - (lentamente, comincia a calmarsi)E comu mi pozzu arrizzittari? A Turiddu si lu portunu nfora regnu…(verso l’icona)San Franciscuzzu di Paula gluriusu aiutatimi…(rivolta verso la madre)‘A curpa è di ‘stu guvernu latru ca s’ha pigghiari a tanti figghi di matri sutta l’armi o volunu o non volunu!

Cicca – ‘I surdati servunu ppa difennirini de’ nemici

Santuzza – Ma quannu c’era ‘u re Burbuni, surdati non nni chiamava. Tutti sti cosi a manu di ‘stu re succedunu!Tannu chi non ci nn’erunu nimici?

Cicca – E ppi chistu ‘u re Burbuni, ppi causa di non fari leva,  appi ‘na bella cuzzata e fu mannatu comu ‘n cani vastuniatu! (trionfante) Zittiti, tabbarana…Ca prestu torna, ora ci pensa Difilici.

Santuzza  -  Cui? Difilici?…Ca ora Difilici pensa a mia!…

Cicca – Statti muta…Ajeri c’era scrittu ‘nto “d’Artagnan” ca a Difilici ci chiusiru i “fasci”…

Santuzza – E chi era ‘nfasciatu Difilici?

Cicca – I fasci di lavuraturi, ca iddu aveva fattu ppi difenniri li puvireddi comu a nuatri…Ora ca ci chiusuru i “fasci”, iddu ci fa la guerra o re: i siciliani restunu  ‘ndipindenti e ‘u surdatu non lu fanu cchiù.

Santuzza – (scoppia di nuovo a piangere) Bravu!…E accussì u re ‘u manna contro di Difilici, e ‘u ‘mmàzzunu sempri ‘u stissu a Turiddu miu…

Cicca – Babba! ‘U re, vidennu ca non po’ fari nenti, si arrenni, e accussì facemu n’autru riuzzu.

Santuzza – A cui? A Ganibardi?

Cicca – Ganibardi morsi. Facemu re a Difilici, e iddu fa ittari lu bannu (come se suonasse il tamburo, va verso la sua casa, poi torna indietro): “ brum, pitibrum, brum, brum, pitibrum, brum, brum, ordini e cummannamentu di so’ maistà Difilici, tutti li surdati siggiliani mi si nni tornunu a li casi, ccu lu zainu e lu saccappanu! “  

Santuzza – (rinfrancata) Vih, gnura matri, sdillìriu mi pigghia da cuntintizza!

Cicca – (abbraccia la figlia)Pezza di tabbarana, sta contenta, ora non c’è Difilici diputatu? …E allura…lassa fari a iddu! (si chiude il siparietto)

                                           Scena VI

MUSICA5 - “Marranzanata malandrina” –Inizia appena i civitori completano il dialogo e fino all’entrata in scena di d’Artagnan

d’Artagnan  - (da destra) La formazione del Regno d’Italia, non ha portato in Sicilia il benessere tanto sperato. La povera gente continua ad essere sfruttata ed a soffrire la fame. Molti parlano a favore di essa, ma nessuno ne risolve concretamente i problemi. La sfiducia e la miseria portano gli animi all’esasperazione, le uniche valvole di sfogo sono l’emigrazione o quanto se ne presenta l’occasione, il malpagato lavoro nero. Si chiedono riforme sociali. Nascono i Fasci dei lavoratori. Ma il governo Crispi, appoggiato dal re Umberto I, non ci sta, sceglie la risposta autoritaria! (esce da sinistra)

                                        

                                                         Scena VII

    Banditore – (entra da destra suonando un tamburo)Visti gli atti delittuosi, i saccheggi, gli incendi che ripetutamente si verificano nel territorio di alcune province siciliane; (rullo)

Preso atto che le continue agitazioni sono ispirate da sfruttatori del pubblico malcontento che vogliono abbattere la monarchia; (rullo)

Considerato che è dovere dell’autorità costituita  difendere i cittadini che aspirano all’ordine e alla tranquillità; (rullo)

Il Governo proclama, nei paesi siciliani teatro di atti turbolenti,  lo stato d’assedio, dichiara la chiusura dei cosiddetti fasci dei lavoratori e ordina l’arresto di tutte quelle persone che le autorità riterranno coinvolte in simili turbolenze. (esce, battendo il tamburo da sinistra)

 

                                                          Scena VIII

(entra un attore in frac, da destra, con cilindro, tenendo in mano un lume a petrolio. Si ferma appena in scena, guarda il pubblico, muove i piedi come se volesse scuotere la polvere dalle scarpe, avanza e si ferma al centro del proscenio)

                           La conocchia in poche frasi

                          Oramai si riassume

                          Per l’oggetto che del lume

                          Tiene il tubo ognor drit.

                          La conocchia è uno strumento

                         Di congegno molto spiccio     

                         nel bel mezzo c’è il suo miccio

                         che di sotto acchiana e scind.

                           Spesso avviene che si guasta

                          La calzetta, oppure il mecco

                          O pur anche il circo ed ecco

                         Che si resta a scuro fit.

                         La rimetti al posto antico

                         Ci combini il tubo dentro

                        Prendi un pospiro e nel centro

                        Ce lo inficchi e accendi il lum.

                        Dati i tempi non conviene

                        Dir la cosa presto fatta

                        Basta un nulla ed è disfatta

                        E permane il buio pest.            (scuote la polvere ed esce a sinistra)

                                                       Scena IX

MUSICA6  - “Babilonia –paso doble- Inizia appena entrano i Consiglieri e smorza quando sono pronti.

(ciascun attore indossa una folta parrucca nera, porta una sedia pieghevole e trascina un piccolo scanno. Il Sindaco si pone al centro attorniato dai consiglieri. Lassaggiarra porta anche una lunga barba e nasconde il volto con una copia del “D’Artagnan” fino a quando non viene chiamato a parlare) 

Sindaco – Cominciamo con l’appello: Consigliere Scicòempicò, Consigliere Viricabbùccu, Consigliere Alleggiuccusàli,  Consigliere Lassaagiàrra, Consigliere Pigghiaamaìdda, Consigliere Assettitibònu. (rispondono presente)

(con tono preoccupato) Egregi Consiglieri, dato il perdurare dello stato di assedio, le decisioni che spettano a questo Consiglio Comunale, sono di capitale importanza per la nostra città. Tutti i catanesi, attendono con trepidazione quanto partorirà da questo consesso, ma pongono altresì fiducia per la lungimiranza…sulla…colla lungimiranza … nella, ecco, si, nella lungimiranza dei propri rappresentanti. Allora, bando alle chiacchere, passiamo alla discussione dell’unico punto all’o.d.g.: (con tono giulivo) l’approvazione del programma del carnevale dell’anno 1894. Ha chieduto di parlare il consigliere Scicòempicò.

Scicòempicò -  Signor Sindaco, colleghi. Il pobblemma per noi dell’opposizionne non esiste! Noi siammo per il poppolo, con il poppolo, nel poppolo, sul poppolo e vogliammo che esso(suadente) trascorra questa festa serenamente e con gioia. Pertanto, (con tono di voce duro) chiediammo che il carnevalle faccia il suo ingresso trionfalle sopra un affusto di cannonne, trainatto da sei cavalli bianchi, anzi da novve cavalli, precedutto da due reggimenti di fanteria con baionetta in canna, da tre battaglionni del Genio e che il corteo si chiuda con un plotonne di Carabinieri a cavallo.

Viricabbùccu – Scusi, ma non veto dovi ci trasi la gioia del popolo con quillo che lei ha detto.

Scicòempicò –Consigliere Viricabbuccu, ma lei, con questa parlatta stranna, da dovve scende, di Calascibetta, di Moffetta o di Balletta, da dovve? Ah? Ma anche un bambinno avesse capitto che i cittadinni, il poppolo, ci trasi, e comi ci trasi! Ci trasi, perché starà chiusso nelle proprie casse, immesso nella gioia e nella sua propria, personalle e intima serenità familiarre. (si siede e si asciuga il sudore con un ampio fazzoletto)

Sindaco – La parola al consigliere Alleggiuccusàli.

Alleggiuccusàli- (parla con la bocca…stretta) Contivito pienissimamente l’opinione del colleca che mi ha precetuto, anzi acciunco che saresse opportuno occupare militarmente le vie atiacendi al passaggio del corteo e sbarrare i palconi e le finestre per evitare che cittatini scostumati abbiàssiero la tendazione di guardare.

Sindaco- Consigliere Assettitibonu, prego

Assettitibonu –Signor Assindaco, io direbbe di far sonare delle marce soldatesche e fare trasiri ai balli sulo le cuardie di cuestura ammascherate tipo da contadinelle, damine, principi azzurre. E per finire in te teum, direbbe di chiutere le feste di carnivali con una sbrillante pelquisizione per le strate della cità!

Pigghiamaìdda – Al Castello Ursino, poi, si potrebbe organizzare la corsa degli asini, con l’intervento di questo Consiglio comunale, e altri giochi, quali scarica-barile, acchiappa acchiappa e concludere con l’eroico e sempre glorioso gioco della ciappedda.

Assettitibonu – E dove la mentiamo la mosca cieca, il peppentone e viva lanza va’ a gnuni e cogghi panza? Eh? Pecché il consigliere Pigghiaamaìdda non li ha mintuvati? Pecché ? Come mai ce l’ha contro questi giochi? Palli? O la maggioranza ci nasconde qualcosa? Sempre i soliti pagnottisti, siete!

Sindaco – (suona il campanello)Consigliere Assettitibonu, per favore, si calmi, non faccia il matelico. Giunti a questo punto della discussione, chiedo al dottore, professore, grande filosofo Consigliere Lassaagiàrra di illuminarci con la sua parola. Intanto, colgo l’occasione per  comunicarvi che la voluminosa opera del nostro benemerito Consigliere Lassagiarra “L’angolo retto sotto il dominio Borbonico”sarà  pubblicata domattina. (Tutti rivolgono entusiasti lo sguardo verso Lassagiarra)

Tutti – Oh! Oh!

Lassagiàrra – (si alza pensoso dallo scanno e viene riparato subito da ombrello) Una rota di fichidindia secchi, può pesare dai 7 ai 10 Kg. Quando pesa di meno non si può più denominarla rota, ma mastazzolo. (applausi entusiasti da parte dei Consiglieri e urla di “bravo, bene, bis”)Grazie, grazie!!!

 Sindaco – Dopo queste chiare ed esaurienti argomentazioni che hanno sintetizzato lo spirito di quanto si è discusso e che mette fine alle divergenze fra maggioranza ed opposizione, il programma del prossimo carnevale viene così approvato alla unanimità. Sono sicuro che farà la gioia dei cittadini della nostra cara e splendida Catania.

Tutti - Bene, bravo, bis

Sindaco – (suona il campanello) Come sempre, per stabilire chi oggi dovresse pagare la granita, concludiamo la seduta con il gioco “Peppantoni”,. (I consiglieri, schiamazzando come bambini, siedono davanti ai loro scanni, mentre il Sindaco toccando i loro ginocchi, ripete)                              

                                     Peppantoni e viva lanza

                                     Va’ a gnuni e cogghi panza

                                     E la panza è petra ppuh!

                                     Peppantoni e nesci tu!

(escono contenti dandosi pacche sulle spalle e altre facezie.Si apre il siparietto)

                                                        Scena X

  MUSICA7 - “Malatu d’amuri”- Anonimo- Inizia in sottofondo appena si apre il siparietto fino al completamento della poesia

(Cicca stira, Viulanti lavora al tombolo e Prazzita ricama)

 Voce  (da fuori scena)   -                                    

                                             La povera Sicilia,

                                             manciata di li cani

                                             spiddizziata e misira

                                            addimannava pani!

                                            A midicari l’àcitu

                                            di tanti cristiani

                                            ci fu lu socialisimu

                                            di quattro ciarlatani

                                           c’arribillò lu populu,

                                           cursiru li surdati

                                           e c’è statu d’assediu

                                           Poveri sventurati!

                                          Junta cchiù di lu rotulu,

                                          craunchiu supra guaddira

Viulanti – Cummari Prazzita, i cosi su mali suruati, a chiddu ca mi cuntunu.

Prazzita -   Chi bi cuntunu, cummari ?

Viulanti – Ca don Procopiu liggiu ‘nto giurnali ca ‘u re, ppi  farini moriri cchiù assai, spirimintau ‘n ‘autra arti ‘bolica.

Cicca  - E su cririti a chissu, vinni jti o’ ‘nfernu! No’ sapiti di quant’è ‘ballaccheri?

Viulanti – No, a sta vota ppi daveru, u liggìu davanti a mia, senza ‘ngannu. ‘U giurnali diceva d’accussì : “Vardate, signori mei a quali puntu semu arrivate le genti del munno, ca s’arruvinono di lui medesimo. Prima c’era la timuniti, la premuniti, la pruriti e tanti artre pruvili ca facevunu satari le palazze. Ma ora ccu la mulunite satano le cità e a centumila di metri cubi luntano…e…sportusunu setti omini misi in filarera…”!

Prazzita – Quantu sentu, quantu sentu ssu discursu. E comu si chiama ssa pruvuli?

Viulanti –Muluniti, si chiama!

Cicca – E pirchì si chiama muluniti?

Viulanti –Secunnu li sperimenti du re, ‘u sucu di muluni si  fa’ siccari, ‘nsemi cca simenza e addiventa pruuli ca spara!

Prazzita – E chissu po’ essiri macari! Anzi è cosa certa, cummari Viulanti. Ca tuttu ddu russu di’ mulini sarà focu arrisirutu.

Cicca – Picchissu quannu c’è culera i muluni su’ proibiti do Municipiu.

Viulanti – Avannu,  appoi, cu ssa cosa di Difilici, peju di peju! Sa quantu nn’hanu a scattiari!

Cicca – Vih! I primi, e criru ca ancora erunu virdi, scattiànu a Munticiconia, ‘nto centru di Roma.

Prazzita – Beddamatri! Su passa ‘u carrettu cchi mulini ju mi nni trasu, scanzatini! Su nni scattiassi unu russu, mintemi, viriti chi parapigghia ca ci avissi a essiri. E dda me’ figghiazza ca nesci pazza ppi’ mulini! Aspetta ca ti’ccattu, si! Mancu di luntanu l’ha viriri avannu! Massimu, massimu ci accattu i citrola, ca su’ frischi!

                                                         Scena XI

                                             Dette e d.Procopio

d.Procopiu – (entrando da destra portando un vaso di basilico) C’è primmisso di introduceri nel cortile di queste onorabile comari. Saluti a donna Franceschina cosidditta saimi di gatta, saluti puro a donna Prazzita la salta i banchi, e a donna Viulanti anominata piedi rotondi. (Le donne continuano a lavorare)

Cicca – Oh, don Procopiu, chi c’è cosa pp’’i manu?

d.Procopiu – (si sposta fra Prazzita e Cicca) Pur carissima donna Ciccinedda, ci ho ppe li mani che donna Santa la bagiana, vi manna questa rasta c’ ‘u bacilicò ppi cumparaggiu di S.Giuvanni. (consegna il vaso a Cicca che lo depone per terra)

Cicca – Tanti razii, ci aviti a diri ca ci arrestu assai ubrigata, anzi dicitici ca è ‘mmitata al puntamentu di matrimonio tra me figghia Santuzza e Turiddu finicchiu, assemi a tutti vuatri ca m’anurati di la vostra micizia.

Prazzita – Chi bella notizia. !

Viulanti – Tanti auguri e figghi masculi!

d.Procopiu – ‘Mprositi! ‘Mprositi ! E a quando l’aligante matrimonio.

Cicca – Ca quannu voli Diu. (rientra in casa con la biancheria ed il ferro)

Viulanti– ( si alza e depone il lavoro)Appoi, ccu sti tempi ca currunu…’U sapistuu ca  ‘nta tutta la Siggilia dici ca cci misuru a seggia!

Prazzita -   Megghiu è, accussì stamu cchiù comiti! Cu bu rissi?

Viulanti -    Ca comu, nenti ata vistu? Tutti sti gran surdati!

d.Procopiu -  Ah, di cchi parrati di l’assediu?

Viulanti -  Ca ora ju a siggiliana parru! Uatri, ca cumplitastuu i tri classi alimentari e sapiti di littra, diciti a sedia, ju dicu a seggia.

Prazzita -  (anch’essa depone il lavoro) Vih! E chi è cosa tinta? (rientra Cicca)

d.Procopiu -  Ca chi boli diri! Non si po’ cchiù caminari di notti, non si ponno addumari luci, non si ponno purtari muccaturi russi, non si ponno fari vuci e non si ponno junciri cchiù di cincu pirsoni ansemola…(si alzano e rimangono al loro posto)

Cicca -   Vih, e su trovunu a occherunu ‘n fallu, cchi cci fanu?

d.Procopiu -  ‘U fucilunu!

Prazzita - Unni, o chianu o a statua?

d.Procopiu -   Unn’ è ghé.

Viulanti - Vih,…n’abbastava di quantu erumu minnichi! E comu facemu, sbinturatazzi! Mancu a tempi di re Burbuni! Pospiri di lignu si nni ponu teniri?

d.Procopiu -   No!

Viulanti -   E allura comu cci a ‘ddumu a lampa a S.Franciscu di Paola! …Bedda matri, comu semu arridutti!

Cicca - E ddu me figghiazzu strolicu ca s’accattau i tricchi tracchi ppi cannaluvari! Su ‘u pigghiunu ‘u fucilunu!!!     (Si chiude il siparietto)

                                                  

                                                      Scena XII

(d’Artagnan, Contessa Tumistufi, Barone Sucasimula, Conte Tiraciatu, N.D.Perichiuppu. Poi M.Rapa e M.Rana)

MUSICA8- “La calvaruso”- Anonimo- Accompagna la chiusura del siparietto, l’entrata degli attori, fino al loro posizionamento.

Da destra entra Rapa e da sinistra Rana, portano l’occorrente per scrivere e guardando tronfi in giro, vanno ad occupare i banchetti sistemati ai lati del proscenio:Rapa a sinistra, Rana a destra.Fanno finta di scrivere. Da destra entrano la Contessa, il Barone e d’Artagnan; da sinistra, il Conte e la Nobildonna, come se discutessero fra loro. d’Artagnan si pone al centro delle coppie. Le donne portano l’ombrellino.

d’Artagnan -  Quello che è successo ieri sera sui tetti del teatro Castagnola dimostra che, dati i tempi, anche i gatti in amore possono turbare la vita di Catania. Contessa Tumistufi  vuole raccontarci cosa è avvenuto?

Contessa Tumistufi  - Oh, un fatto veramente emozionante!  Deve sapere che il gatto Micio voleva un bacetto dalla gatta Lisotta, ma Lisotta, facendo la schizzinosa, scappa a zampe levate. Micio la insegue e, non accorgendosi di un buco che c’è sul tetto del teatro, vi capita dentro e …patatunfete, precipita in platea, fra lo stupore e lo spavento di tutti noi spettatori, che lo crediamo…una bomba di dinamite! Barone Sucasimula, continui lei, perché mi sento palpitata assai!

Barone Sucasimula – E allora, ohibò, succede di tutto: svenimento delle signore, fuggi fuggi generale, senza parlare poi delle telefonate ai pompieri ed ai carri d’ambulanza. Insomma, ari-ohibò, è successo un vero pandemonio !

d’Artagnan – Ma la bomba è scoppiata ?

Conte Tiraciatu– (parla con la “erre”moscia)  Dopo una lunga e silenziosa attesa, la bomba non scoppia! Ma che fa’, ne ha intenzione o non ne ha? E’ un miracolo o ha fatto cilecca? Qualcuno grida che bisogna levarla, spegnere la miccia ancora accesa. Ma chi ha il coraggio di avvicinarsi al tremendo ordigno di distruzione? Nessuno!… E invece, no!  Ecco, ad un tratto….

Nobildonna Perichiuppu -(interrompendolo) Permette Conte Tiraciatu…Si vedono, allora, avanzare due valorosi: Messer Rapa e Messer Rana. Guardie di Pubblica Sicurezza, che con molta cautela, si avvicinano al luogo ove è caduta la …bomba. Ma ecco che questa si contorce maledettamente! Uno di essi, Messer Rapa, il più coraggioso, afferra…il gatto per la coda, ma la povera bestia, benché contusa, a questo punto miagola forte, da’ una zampata all’agente, si volta verso la porta d’uscita e scompare, suscitando nuove paure e spaventi.

d’Artagnan – Grazie ! (bacia la mano alle signore. Escono le coppie) Intanto, Messer Rapa e Messer Rana, che non sono e non vogliono essere convinti che si tratti di un gatto, han fatto al questore il seguente rapporto dell’accaduto. Prego. (Esce)

Messer Rapa –  Firmato, Messer Rapa

Messer Rana – Messer Rana(spargono i fogli di borotalco e vi soffiano sopra, provocando una nuvoletta di polvere. Si alzano e fanno finta di leggere davanti ai rispettivi banchetti)

Messer Rapa - Il lustrissimo Signor Custore, (salutano militarmente) nonché Eccellente Competenza Superiore

Messer Rana – (verso il centro del proscenio) Io qui sottoscritti ni truvaumu di piantaggione  sotto le archi della travi del triatro Castagnola mentri si rapprisintava un commedio intitolato l’on. Di Campurutundo di un Libero Galeotto.

Messer Rapa – (verso il centro del proscenio) Ad un tratto, nel più migliore della scena, mentre li genti si consumavano nel ridere in sicutanza, alcune anarchiche, ano buttato in platea una grossa petarda di dinamite senza fumo che ha scompigliato le masse, con rispetto parlanto di lei (inchino) e della sua generazione di famiglia tutta.

Messer Rana – (ritorna al banchetto) Per fortuna di lui e di noi, la petarda fece catenaccio, ma però la miccia era ancora allumata. Tutti si ni ano fuggite, ma noi per impedire qualche disturbo amo ‘ncognato con molta parsimonia versa la proiettola.

Messer Rapa – (ritorna al banchetto) Esso aveva la forma di una parallellopipita, però circolare, allungata nella sua base interna bassa e si arriminava tutta. Di una punta avrebbe due bocchi (con le dita indica il numero tre) di fuoco e dall’altra la miccia accesa.

Messer Rana -L’involucro era di pelle foderato di pilo e aveva quattro grossi birilli attaccati all’iperbole dell’ipotenusa, nonché una piccola secante fra le iperboli che sembrava una piccola miccia. Ma la possiamo assicurare, signor Custore (salutano militarmente), che non era miccia.

Messer Rapa – Senza sapire nè schi nè scu, con coraggio civile uno di noi abbiamo afferrato la miccia. Ma a questo punto la petarda si ha voltata fischiando come un locomotivo, nni ha sbruffato una piccolezza di dinamite nella mano, che mi produsse ferita lacera contusa con ustione permanente a metà carpo sinistro guaribile in tre giorni e menzo (con le dita indica il numero quattro) senza complicazioni, e se ne ha fuggito come un tricchi e tracche della festa della nostra patrona S.Ajtuzza, senza che lo siamo potuto inseguire. (si alzano e convergono verso il centro del proscenio) E con l’avvertenza che ogni aspettativa ha un limite…

Messer Rana  - … E che dopo questo importante servizio, altro non ci lusinghiamo del sospirato avanzamento di almeno un grado…

Messer Rapa -  …Anche per darci una risposta a quelle scopine di cucina col fracche, intitolate Rial Carribbonieri di arma benemerita, mentre i vere Binemerete Reali siamo le sottoscritte…

 Messer Rana - Col grito autentico di viva il rial gualdio…

Messer Rapa e Messer Rana - Viva il real Governo, viva la superiorità vostra…

Messer Rapa -  … Non altro che ci diciamo di crederci di Lui umile (si inchinano) e sempre devote subalterne, si firmano …

Messer Rana - Messer Rana

Messer Rapa  - Messer Rapa

Messer Rana – Guardie assai scelte di Problica Sicurezza…

Messer Rapa  - …In attesi di promozioni. (si stringono la mano compiaciuti)

Messer Rana – Attent…! Front sinistr, sinistr….(Si scontrano frontalmente)Dietro front…(Eseguono l’ordine e marciano verso l’uscita. Rapa si accorge che Rana non lo segue, torna di corsa indietro ed esce, a destra, correndo dietro il compagno)

                                           Si apre il siparietto

                 

                                                   Scena XIII

(Cicca, Santuzza, Peppi, Turiddu e don Procopio, poi Viulanti, Prazzita e Pasquale e infine Alfiu)

MUSICA: 2- “Ritornando da Vienna”-Gioviale- Dall’apertura siparietto fino a 40”

Mentre si sente una musica da sottofondo, Peppi e Turi sono intenti a sistemare uno striscione con la scritta “Avviva li zite”, Cicca e Santuzza, apparecchiano il tavolo  ed i banchetti usati da Rapa e Rana, don Procopio sistema le sedie.

Cicca– Santuzza, a omà, assemi a Turi pruitimi ‘i tabarè e ‘i buttigghiuni ccu vinu. Ca a ‘stura su’ ‘nto veniri, i ‘mmitati,! (Santuzza rientra in casa)

Santuzza - Appara ! (dalla finestra porge i vassoi e Turi porta il vino)

Peppi – Unni sunu misi i biccheri?

Cicca – ‘Nta cridenza da’ nanna

d.Pricopiu – Vi dognu ‘na mano (Peppi e Procopio escono e rientrano portando quanto serve)

Santuzza – (mentre sistemano) Vih, beddamatri, mi stanu cimiddiannu l’anchi di ‘na manera…!

Turiddu – E comu? A essiri contenta e ‘nveci ti fa’ veniri ‘u trimulizzu? Avaja!

Viulanti -  (entra da destra) Primmissu ?

Cicca – Vih, chi siti cirimuniusa, cummaredda! Ca trasiti! Patrona e domini ‘nto me cuttigghiu!

Viulanti -  Troppu onuri, grazi! (si avvicina a Santuzza e Turiddu)

Pasquale - (entra da sinistra, assieme a Prazzita) Si po’ ‘ntroduciri?

Cicca –Avanti, avanti! Oh, cummari Prazzita, comu siti? E vui, compari Pasquali? Chi siti alianti!

Pasquale – Ma mai comu a vui! (si ferma a sinistra vicino a Peppi)

Prazzita – ‘Nca, che questo potiamo e questo faciamo! (si sposta a destra)

Peppi – Mi pari ca semu pronti. Avanti accuminciamu!

(I fidanzati stanno al centro, dietro il tavolo.Peppi e Pasquali a sinistra, Prazzita, Viulanti e Cicca a destra. Don Procopio tra Cicca e Santuzza, in piedi)

Turiddu –Signuri mei, mentri ca mi ata anuratu di essiri prisenti in questo puntamento di matrimonio, haju ‘u piaciri d’ammitarivi oggi stissu al frestino du spunsaliziu, che, appena mi sbrico di fare il sordato cavaliere, si farà nel giorno di la Beddamatri di l’Ognina, con la qua prisenti signorina Santuzza ‘ntisa la biddicchia, chi sarà mia mogli, non disprezzando tanti facci ca mi sentono. E ora, si pirmittiti, dui paroli a la me’ zita (prende un foglio e legge): Santuzza, senza di te mi sento un bottiglione senza stoppaglio, una pentola senza cummoglio. Tu mi addivi allibbirari di quisto chiovo chi ho intra al cuori. E lo poi fari standoti vicino a me per tutta la vita e io ti prumetto che addiventiremo patri di numirosa proli e ti amerò ansino quanno sarai vurricata supira la tomba! (manda un bacio a Santuzza )

Cicca – Chi veni a diri di numirosa proli ?

Prazzita – Ppi diri a verità, quannu jeva a scola non ci arrivai ddocu!

Peppi – ‘U sapiti chi veni a diri? Sénnuca si maritunu, si metti a putia di furmaggiaru e ci hanu a essiri ‘na gran quantità di prouli di cacicavaddu, eccu!

Santuzza – (leggendo un foglio) Torillo, a momento zito e dopo il sordato maritu miu, io, da parte mia personale, ti voglio beni cchiù di cchi e se tu mi lassasse io mi abbilinassi comi le topi e ti risponto puro dicendote che il mio core ha sempre abbattuto personalmente per la tua persona e non vete l’ora di ammogliarsi con te.

Tutti – (applausi)Bene, bravi, auguri e figghi masculi,ecc.

Pasquali – E chi cci pari lazzata, ca si voli ammugghiari!…

Cicca – Mi veni macari di chianciri. E comi a persi a bedda figghia ! (si commuove)

d.Procopiu – Avaja, donna Franceschina, stati facento una parti commovibile, che manco nel teatro Bellini, quanto si inaugurò la Nomma. Intanto putiamo accuminzari un piccolo passaggio di vino, all’uso dei signori, nell’attualità moderna.

Peppi – No, don Procopiu, prima do vinu, facemu il trattenimento de’ cosa duci, ccu na passata di totò e poi ‘n tabaré di viscotta ca mennula. (Cicca offre a Procopio e Peppi; Santuzza si sposta al centro, raggiunta subito Viulanti,Prazzita e Pasquali)

Pasquali – Quantu mi piaciunu i trattamenti a mia, non ci putiti cririri!

Prazzita – Sulu a tia ? Ju, unni si mangia, m’arrichiju !

Viulanti – Avaia, cummari, pari ca ‘razia di Diu non n’ata vistu mai! (Viulanti,Prazzita e Pasquali, ritornano ai loro posti)

d.Procopiu – (si sposta tra Turi e Peppi) Signori mei, direbbe di accuminciari una passata di vino, perché i biscotti m’hanno fatto la groppa nel sofago. (Peppi e Turiddu offrono il vino)

Santuzza –Don Procopiu, vi dugnu ‘stu vinu miu e m’ati a fari un sbrinnisi, all’usu vostru.

d.Procopiu - Pronti. Vi lo voglio fari fanatico!

 Pasquali – Allura semu cchiù d’unu chi facemu sbrinnisi.

Peppi – E ju macari

d.Procopiu – A tempu di china tutti i tronzi vano a galla. Se non ci fa sconzo assai,  prima vorrebbe scialocquarmi la bocca con un moccone di vino. (Turiddugli versa il vino) 

                                              Senza purtalla a longo, cari amice

                                              Di fari fare fiasco mi dispiace

                                               Si cridono poeta e su’ ‘ncapaci,

                                               Sono piante di trunzo nate a Jaci

Peppi – A cu’ sintiti diri, a mia?

d.Procopiu– Chi c’entra  ?

Pasquali -  Allura a cui, a mia?

d.Procopiu – Nonsi. Pallo di certe poveti chi smammano stupitaggini! Ma d’accossì mi aviti rutto il filo…

Viulanti– Silenziu tutti, vah, prisiquiti, don Procopiu…

d.Procopiu –  Unn’era aggiunto?   

Cicca – A Jaci !                                                     

d.Procopiu – Ah, veru!                   Dopo di chi con cori amaboli

                                                          senza mmezzigli e senza priamboli

                                                          ci fazzu un sbrindesi a questi affabboli

                                                          e a bere tutti vi faccio abboli                                 

                                                        

Tutti – (applausi)Bene, bravo, bis

Prazzita – Ora,  ppi mia, diciti zoccu vuliti, ma ppi fari sbrinnisi all’impronta, prima di don Procopiu non ci nné !

Viulanti – Ca chi c’entra! Ca chiddu è scienti, chi c’è parauni!

Cicca   – U bellu è ca ‘nt’o menzu ci menti paroli di fora regnu! Lu ranni Diu!Ma quantu nni sapi ‘ssu vicchiazzu ‘ncrepitu.

Prazzita – Ma pirchì non s’arritirunu Peppi e Pasquali! A don Procopiu c’abbastanu du’ paroli ppi sbintalli! Nenti, sempri è chiddu ca è !

Turiddu – Don Procopiu, v’arringraziu ppi mia e ppi la mia zita qua prisenti di l’anuri di ‘ssu sbrinnisi!

Santuzza – E si facissimu n’autra passata di cosa duci? Ajutimi Turiddu…(offrono)

Tutti – Bene, brava ‘a zita

Viulanti – (converge, assieme a Pasquali e Peppi verso il centro, dove si trova Santuzza con il vassoio. Rivolta ai due) Si cumprenni ca don Procopiu v’a vinci di centu punti a tutti e dui.

Peppi –Bonu  ppi don Procopiu! Ma tra mia e don Pasquali ? (Viulanti torna a posto)

Pasquali – Pirchì chi bulissuvu diri? Allura, quannu semu a chistu…n’assittamu a tavulinu e accuminciamu a scriviri puisii ‘stemporanei di longu a longu. A ccu’ scrivi megghiu!

Peppi – Arresta fatta. Quannu?

Pasquali – Ora stissu! Vah, o’ scuru siti! Abbasta dirisi ca ‘u maestru di calligrafia mi dava sempri deci ppi quantu scriveva cumpitu!

Peppi – Forza di ddocu. Amuninni! (si sistemano in fondo a sinistra, attorno al tavolo, mentre i fidanzati parlottano fra loro, estraniandosi dal gruppo)

Cicca–  (in piedi, per controllare i fidanzati che tubano) Don Procopiu, vui ca liggiti ‘u Carcagnà, mu diciti  chi successi a Missina?

Prazzita – (seduta) Oh, matri di lu Carminu, ci sunu tanti morti ca mancu ‘i ponu cuntari!’Chissu è castiu di Diu, pi li nostri piccatazzi!

Viulanti – (seduta)‘U zu Arfiu ballaballa, mi dissi ca ssu gran tirrimotu successi pirchì a terra fici ‘n giru menu. E’ veru don Procopiu??

 d.Procopiu – (in piedi, di fronte alle comari) Povera Siggilia, con voi genti scogniti, è tempu persu. Tanto per accuminciare, il gionnale si chiama Tattagnan, chi è addiventato il più meglio gionnale taliano. E poi non palliamo di zio Affiello il trippiatore che nun ne comprende mancu a spezzatello. Quanto nun sapeti, addumannate, che sempre nel mondo si trova uno più sciente per farvi una spiegazione metafisica.

Cicca – E quantu sentu, parrati, parrati, don Procopiu.

D.Procopiu – Si voi pigliati un pezzo di vitro di cornocchiali e ci faciti trasiri il sule e lo mentite sopra un pezzo di carta, chi succedi? 

Prazzita – E chi sapemu nuatri…

d.Procopiu  -Viva le quatrupete che siete! Succedi chi la carta abbrucia!

Viulanti – Veru è, ca na vota ‘n carusu pp’ ‘a strata jeva abbruciannu tutti cosi cu ‘n vitru, e sparti m’abbruciò na cammisa c’ava stinnutu o suli.

d.Procopiu – Ora chi sapeti che il suli abbrucia meglio dei posperi, vi spieco i terremoti: consiste che il sule, di questi tempi, per causa di una forti livantata chi ci fu ‘nta l’alti cieli, cangiò dirizioni di una piccolezza e si vinni a sutuare preciso supra la bucca di Muncibello. Chi nni succedi ? Essentu la bucca frommata a muto, tutte le ragge si cuncentrunu nel centru e formano dei vampi, i quali che col vento sbamboliano e caminano. Caminando, se attrovano surforo, chi adduma senza scattiare, succedono i tirrimote annaculatori, si trova pulvire o petra fucale chi scattìa, succedono i terrimote sassulatori.

Cicca – Ma allura, su fussi comu diciti vui, i tirrimoti aùssunu a essiri cchiù tirribbili a Catania, ca è cchiù vicinu a Muncibeddu, e no a Missina e a Riggiu, ca s’a passari ‘u mari?

d.Procopiu – E chi ci fa? Non ci fa niente, Precchì nel suttirranio tutte le punte del grobo del munno sono comi tanti tani di coniglio. Nella tana di coniglio che vi succedi? ’Nfilate il firetto in un pirtuso e vi nesce il coniglio di un artro.

Prazzita – A veru è ! Lu ranni Diu!

d.Procopiu – E che vi pare ca nni sbaglio una ?! (i fidanzati si avvicinano al gruppo)

Santuzza – Don Procopiu, ora finitaccilla ccu ssi stori. Abballamu !

Cicca  - Chista è ‘na bella pinsata! Aspetta, ora chiamu Affiu balla balla, ca è ‘u megghiu a cumannari a quatriglia! (Chiama)Alfiu, Alfiu!

Alfiu – (entra da destra)Bongiornu! E chi c’è festa?

Cicca – Stamu festeggiannu ‘u puntamentu di matrimoniu di me figghia e ni vinni disideriu di fari quattru sauti cu ‘na bella quadriglia.

Peppi – I cosa duci ppi Affiu! (Santuzza offre)

Alfiu – Sempri a disposizioni di l’amici! Subitissimo! (sale sui gradini) Accuminciamu l’abballu a uso dei signori d’alto rango. Gran quadriglia. Musica maestru! MUSICA: 10- ““Balliamo la quadriglia”-Dunnio- da “Musica maestro”, per tutto il ballo e di seguito fino alla scena che segue.

Mittitivi facci cu facci. (danzando si spostano verso il proscenio, per poi tornare al posto di partenza prima che finisca la prima parte di ballo)

Alfiu – Signori mei, attenti all’abballu e non sbagghiamu.

Alfiu – Omini, ‘ncucchiativi ccu li vostri dami, vrazzu ccu vrazzu e arristati a filarera, unu appressu all’autru.

Alfiu – Scucchiativi e mittitivi facci ccu facci, omini e fimmini...

Alfiu – Facitivi ‘na passiata, ‘i fimmini a manu ritta e l’omini a manu manca.

Alfiu – Omini, comu viriti ‘a fimmina pigghiatavilla pp’a manu e pruitaccilla o’ cumpagnu…Furmanu ‘u cucciddatu cu li pizzi.

(mentre si chiude il siparietto, la musica si smorza)                                         

                                                                   Scena XIV

MUSICA: 10- “Balliamo la quadriglia”-Dunnio- Dalla scena precedente fino a quando non entra d’Artagnan.

 (d’Artagnan, Cavaliere 1, Dama 1, Cavaliere 2, Dama 2, Signora mamà)

d’Artagnan – (da destra)Così come alla Civita, anche nella città cosiddetta bene, il ballo è il passatempo più frequente. Quest’anno, poi,  che il carnevale se l’è fatta alla larga, le feste borghesi sono state innumerevoli. Le scene che si svolgono in queste feste casareccie sono degne di essere tramandate ai posteri. Noi, del d’Artagnan, riprodurremo, più o meno fedelmente, qualcuna di queste feste ballabili, alle quali abbiamo assistito. (entrano gli invitati al ballo) Al Circolo degli Sfaccendati Civili si balla e c’è il buffet a pagamento. Corbezzoli! Una pasta quaranta centesimi ed un bicchierino di chattrouse settanta! Alla larga! (esce da sinistra)            

MUSICA2   - “Ritornando da Vienna”- Inizia appena esce d’Artagnan e si smorza quando il Cavaliere 1 fa retromarcia per raggiungere la Dama 1

(entrano da destra Dama 1 e mamà che trascina una sedia, da sinistra Dama 2, annacandosi oltremodo. La mamà rimarrà seduta, si soffia con il ventaglio e sbadiglia. Le dame, con lo sguardo esplorano ansiose la sala, come se cercassero qualcuno, si spostano verso il centro del palco, si incontrano, si salutano affettuosamente, poi, quando si girano per tornare ai loro posti, si lanciano delle smorfie.

 I Cavalieri, 1 da destra e 2 da sinistra, entrano contemporaneamente. Con atteggiamento dinoccolato si guardano in giro. Il Cavaliere 1 adocchia la Dama2, il Cavaliere 2, invece, la Dama 1. Si spostano per raggiungerle, ma con la coda dell’occhio vedono l’altra dama, fanno retromarcia (FINE MUSICA) e inizia il dialogo.

Mentre il Cavaliere 1 parla con la Dama 1, l’altra coppia, come in uno specchio, li imita.

Cavaliere 1 – Lei abballa?

Dama 1    - Non ballo, grazie! Ho paura che mi impoduglio. Lei se ne prenta un’altra. Chi dici, mamà?

Signora Mamà  - (seduta per tutto il tempo) E abballa Evogenea, a omà, mentri che il cavalieri è tanto morto gentili

Cavaliere 1 - Grazie, signora. Preco, andiamo signorina, facesse come me, guardasse (cominciano a muoversi come se sentissero la musica)

Dama 1      -   Basta che lei mi porta beni

Cavaliere 1 - Ecco, bravissima, vedesse che lo sa fare

Dama 1      -   Ch’è bellu, omà! 

Cavaliere 2 – Che cosa avi, questa sera, signorina? (si muovono come i primi)

Dama 2      - Nenti!

Cavaliere 2 – Mai! Ho visto che mi tiene la funcia.

Dama 2  -   Mi non mi strinci la manu forte, attrimenti mi assetto!

Dama 1    – Omà, ‘o viri ch’è bellu ‘stu ballu?

Mamà  -  E’ il signor abbocato Scutula Turi che abballa assaissimo destinto. Ma di unni niscéro tutti questi balli nuovi?

Cavaliere 1 - Eh, signora cara, in questi balli di novità, ci voli grazia e molleggio

Mamà  -  E lei la fa mollare, a Ciccina. Ciccina, molleggiati, comi il cavalieri.

Cavaliere 2 - Brava la signorina, chi l’ha imparato a lei ?.

Dama 2  - Nessuno, bonchì che a casa coi miei soro non facemo altro che abballari questi balli. 

Cavaliere 2 - Senza musica?

Dama 2  - Mia sorella la nica, la fa col dito. Preco, ci ho detto di non stringere accossì forti che mi fa perdere il sospiro. (a passo di danza, escono a sinistra)

Mamà  - Oh, gintelissimo signor bocato, e lei chi nun balla piune?

Cavaliere 1 -  Aspetto la quadriglia. Anzi, arresta ‘mpegnata. (a passo di danza, escono a destra)

Mamà  - (si alza e portandosi la sedia appresso, si avvicina al centro del proscenio) Ca arrestiamo ‘mpignati. Ah, la quadriglia, quello si che è un bello ballo. A me, veramenti mi piace la porca! Matre, è ‘nutile, come vedo tutte queste càuce, a me mi prente una cosa nel cuore e mi fano sconcertare lo stomaco. Chi cci cuntanu! Quant’erinu belli i balli di ‘na vota –la porca, la manzurca, il varziri - e tannu, o sapevunu abballari o annunca davano i fianchi. Si nni venunu ora, sti picciotti d’avannu, ccu tutti sti smorfii, ‘sti stomicarei, e all’urtimata, chi ci hanu cunchiusu? Mi si s‘appizzunu o’ coddu, sulu chissu sano fari ! (esce a destra e si apre il siparietto)

                                                             Scena XV

MUSICA11  “Balliamo la quadriglia”–Fino a completamento brano.  (riprende la quadriglia come se non fosse stata interrotta)

Alfiu – Tutti li fimmini, beddi e brutti, schietti e maritati, facitivi avanti.

Alfiu– L’urtima coppia, tinitivi pronti, pirchì ora facemu lu “ponti” e tutti l’autri passatici ‘i sutta alleggiu alleggiu ca nuddu v’ammutta!

Alfiu – S’a contraddanza vi passi confusa…signori mei…dumannu scusa…si v’ha piaciutu n’arripusamu…e n’atra vota cchiù tardu abballamu! E ppi finiri…chi cosa am’a fari…? Battemu li manu…tutti pari!

Tutti – Bene, bravi (seggono stanchi al loro posto -Procopio a sinistra, dopo Peppi- e si asciugano il sudore)

Alfiu – Cumpari Peppi, vi arrigraziu di l’invitu e quannu aviti bisognu cumannatimi!

Peppi – No, chi c’entra! Grazi a vui e alla vostra mastranza! (Alfiu esce da sinistra)

                                                       Scena XVI

Messer Rapa – C’è pirmisso?(all’apparire delle guardie, Peppi va loro incontro, accompagna Rapa a sinistra e torna al suo posto.Nello stesso tempo Procopio si sposta tra Cicca e Santuzza. Rana rimane a destra)

Peppi -   Varda, varda cu si viri!Carissimi amici, vi arripprisentuMesser Rapa e Messer Rana, guardii scelti. Bravi, bravi di l’onuri c’arricivemu. Santuzza, i viscotti e ‘u vinu all’ospiti. (Santuzza offre il vino)

M.Rapa – Grazie del disturbo che vi arrichiamo. Senza fare ciremonie. Noi abbiamo vinuti per fare l’augurie ai prossimi del matrimonio.

M.Rana – Anch’io sogno dello stesso opinione; ma il vino mai si disprezza, caru cullerga, e quindi biviamo alla salute dello stroito e dello zampirro di questo consesso d’ambo i sessi.          

M.Rapa – E allora, se permettete, faccio un sbrindesi, perché io ci ho la rima di patre natura e sono sbrindisaro.

d.Procopiu – No, non è brindisi che si addive fare, bensì una disfida di poesia istantanea.

M.Rapa – Eh, un mumento! Allura senza fare tanto privolazzo che io per poesia contimpurania vi do scuola. Non vi dovete dimenticare che un giorno ho scritto dodici stanze in sei ore (con le dita indica il numero quattro).

M.Rana– Chi sono, dodici stanze? Io ho scritto sedici stanze, un cammarinu, la quacina e  anco la ritirata: quando parlai in puisia delle cancelle di S.Agostino.

d.Procopiu – Vah, a quello chi vedo vi butto nel sacco a tutti. Andiamo, comincia Messer Rapa che si sente il più maggiore.

M.Rapa – (Con il bicchiere in mano e muove la gamba come se…mettesse in moto)Dunque, signori, state con le orecchi tese che ci ancomincio:

                                         Dall’Arpi… e le …Pirameti,    

                                          dalle… pirameti… all’Arpi…..                         

M.Rana – Basta, carissimo cullerga. Mi adduno chi non siete orecchista. Accomodatevi, concentratevi l’idee, e poi tornate da capo a fare disfida.

M.Rapa – E allora continuate voi. (si sposta a sinistra)

M.Rana – E va beni, per l’onore della divisa, faccio questo e anche l’altro. Faccio un sbrindesi io e poi chiudiamo la sirata.

d.Procopiu –  Oh, va bene! Sintiamo!

M.Rana –                                         Mio cullerga Messer Rapa

                      Fa compalsa di una crapa

                       Non sa fari mancu un verso

                       E per lui è tempo perso

                       Don Procopiu è cchiù maggiore

                       Ma fa sempre malfigure

                       Che si sente assai sciente

                        E è nessuno ‘mmiscato con niente.

Tutti    - Evviva, bravu, bis! (Rapa stringe la mano a Rana)

Viulanti – Sugnu morta! ‘U cchiù megghiu e maggiori assai è. Oh, vinciu a tutti!

Cicca – Daveru daveru, oh! Già, abbasta essiri graruatu! Ca chi vi pari! Sempri  genti cuvernativi su’!

Prazzita – Bravu! I miei progressi!

Peppi – Don Procopiu, intra ‘u saccu bi facisturu mentiri!

d.Procopiu –Sempri sete genti ‘gnuranti! Almeno almeno ci ha fatto cento erruri.

Santuzza – Pricchì orrori ha fattu? Non ci at’a cririri!

M.Rana – Errori? Ascusati, dove?

d.Procopiu – (si sposta tra Rapa e Rana) Un momento! Sappiamo distinguere la palora. Io parlo a titolo di retorica, di iperboli, di metonimia e di paragrafi.

Turiddu – Chi su’ ssi paranguli?

M.Rana – Ma chi sono li priposizioni che aviti articolato, scusate?

d.Procopiu –  Chi sono? Veto chi non lo sapite. (voltandosi verso gli altri) Vetete tutta la scienza come si perde? Con una semplici dimanta di don Procopiu.

Prazzita – Oh, veru è! Onuri a lu meritu, signori mei, siamu sinceri. Ppi ‘na manu, chiddu, a ss’affari d’i paranguli non ci sappi arrispunniri, cu ‘ntuttu ca è graruatu!

Viulanti – Ca poi chi c’entra! Sempri don Procopiu è !

Santuzza – (rivolta a Cicca)‘U viriti, chi è, matri? Chiddu è cchiù ‘ntiligenti e chistu è cchiù di littra, vah!  (Procopio al centro, Rapa a sinistra, Rana a destra)

M.Rapa – (avanzando verso Procopio)Allora, caro don Procopiu chi vi sentiti, più maggiore assai di noi?

d.Procopiu –  Ma di assai, vah, non di picca!

M.Rana – (avanzando verso Procopio) E non vi sottomittete?

d.Procopiu – Mancu di qui a dieci anni!

 M.Rapa –  (avanzando verso Procopio) Ma daveru davero lo dicite?

d.Procopiu – Con pitolanza, anzi, vah, e prisonzione!

M.Rana – Carissimo cullerga! Oltraggio all’uniforme ci fu. Datemi una mano. Signor Procopiu Ballaccheri, siete in arrestro!

d.Procopiu – Cui, ju? Siete pazzo!

M.Rapa –  Eh, un mumento! Senza pazzo e non pazzo! Cullerga, mentiamoci i manetti e lo conduciamo alle cancelle (mentre lo ammanettano, i civitoti avanzano verso Procopio e le guardie)

Pasquali – Chista è ‘na supricchiaria, Beddamatri!

Cicca – Ma su stava sghirzannu!

Viulanti – ‘U sapeva ca fineva accussì

Prazzita – Ma lassatulu jri!

Turiddu -  Chisti vinnuru a ruvinarini ‘a festa!

Santuzza – Ma chi fu, ‘mpazzeru?

Peppi – Avaja, ora chi su sti cosi! Semu ‘na pocu d’amici. C’affisa v ‘ha fattu?

M.Rapa– Percomora in arresto e poi nni parlamo. Avanti fora! Vi ‘mparo io a rispittari l’oniforme! (Mentre Rana esce con Procopio, Rapa si gira verso i presenti che ammutoliscono) Silenziu tutti! (escono M.Rapa, M.Rana e don Procopio, mentre gli altri continuano ad urlare).

MUSICA:  9  “Valzer campestre”- Marinuzzi – Da “Silenzio tuttiFino a completamento brano.

                                               FINE PRIMO ATTO

                                                   

 

                                                    SECONDO ATTO                                             

                                                            Scena I

(Rana, Uomo in frac, Rapa, Cicca, Santuzza, Pasquali, Pigghiamaidda, Sindaco, Dama 1, Cavaliere 1, Viulanti, Prazzita,  poi Peppe)

MUSICA13  Canzone Quantu nni patu”-diAnonimo – Mentre scorre la canzone, si possono creare dei momenti di vita all’interno del cortile.

Oh, quantu longa mi pari ‘sta strata,

quantu nni patu ppa truvari a tia,

e lu cavaddu si ferma di cchianata,

a rota pigghia scaffi e non furria.

Partu ccu lu bon tempu a matinata,

Lu suli mi faceva cumpagnia,

poi vinni la timpesta

timpesta la pinzata

e lu cavaddu persi la vaija.

Ma si t’affacci di la barcunata

Quantu la vuci di l’amuri senti

E torna ‘u suli intra la me jurnata

E scordu tutti li me’ patimenti.

Rosa di maju frisca e spampinata,

sbucciata sulu a lu me cori ardenti

ppi mia lu ventu e l’acqua

l’acqua e la jlata

quannu passu di cca

nun su cchiù nenti

Prazzita – (entra da sinistra)Bongiornu, cummari Viulanti, comu siti?

Viulanti – Ca com’haju a essiri? Malata. A cosa d’arsira chi vi parsi picca cosa?

Prazzita – Ca comu! Ddu sbinturatu di don Procopiu, chi guai ca passau! Ma chi ci aveva fattu a ddi sbirrazzi tinti?

Viulanti – (scende dal sopralzo) E chi ci ava a fari, l’urfanazzu amaru e triulusu!

Prazzita –E a poi, don Pricopiu, quant’è arucatu, quant’è bravu, si presta cu tutti!

Cicca –  (si affaccia dalla finestra) Bongiornu cummari, chi si dici di don Procopiu?

Viulanti – Ca d’iddu stamu parranno, sbinturatu. Chi sapemu? Si lu purtanu ammanittatu……

Cicca - E chistu ‘u sacciu, ca era prisenti. Ma ora?

Prazzita – Ca ora è ancora carzaratu! Chi sorti di guvernu priputenti! Fora cosa di spararici ‘nt’o ficutu a trarimentu!

Cicca – Ma poi, dici a chiddu, ci avissi fattu ocche cosa! Ppi nenti, signori mei, ppi nenti! Mancu a tempi di Birbuni! (Peppi si affaccia dall’uscio di casa)

Viulanti – E chi bi pari ? Ansina a quannu c’è don Cicciu Crispi semu peggio di sutta i Birboni! Iddu e i so’ guardii, sunu na bedda cartata di reschi di masculini.

                                                   Scena II

                                             (dette e Peppi)

Peppi – (dal pianerottolo di casa) Ma chi cci stati ‘ncuchiannu? Allura m’intromettu ju, scusati cummari Viulanti. Non pirchì sintiti parrari a certa genti v’ati a mentiri a sparrari a Crispi! Ju sugnu d’accordu ca Messer Rapa e Messer Rana ficiunu ‘una parti di priputenza e d’infamità, ma don Cicciareddu Crispi chi c’entra? Chi è rispunsabili di chiddu ca fa tutta l’Atalia? Anzi, bi dicu, suddu  veni a sapiri ‘n fattu di chistu, a sti du’ sbirri nn’i manna a cauci, e chissu bb’u pozzu garantiri!

Prazzita – Ca quali Crispi e crispeddi! Vui non parrati ca non passati!

Peppi – Comu non passu? (scende i gradini e va al centro seguito dalle donne)

Prazzita – Ca non passati, si sapi, pricchì n’aviti bannera! Tanticchia siti ripubbricanu a favori di Difilici, tanticchia borbonico, tanticchia saristanu e tanticchia pagnuttista. Chi bi desunu ammuccu, forsi?

Peppi – Vardati, ju non sugnu prissona di sta ‘pinioni ca criditi vui. Ju vogghiu beni a Difilici pricchì è picciottu bonu e è carzaratu, e lu vulissi allibertà, ma stimu a Crispi pricchì è omu forti e si fa arrispittari!

Viulanti – Si, forti, nt’acitu! ‘Nfatti si vitti comu ci potti ccu Difilici, ca ci desi cuzzatuni a Roma! E don Procopiu, suddu arresta carzaratu addiventa ‘n secunnu Difilici.

Peppi – Bum!

Viulanti – Non bi cririti pricchì sugnu puuredda, gnuranti e scognita, ca ocche cosa ‘a sacciu sempri, e ‘a figghia d’u nutaru Levitisutta, ca è parrusciana mia, nni leggi sempri ‘u giurnali Tattagnà, a prifirenza di vui!

Peppi – E chissa è cca vi guasta ‘a testa a vuatri ‘gnuranti, ‘u giurnali. Poi i fimmini, (dopo aver guardato Cicca) anzi, ppi distinguiri, certi fimmini, siti cchiù scecchi e caparbi di certi omini.

Viulanti – Ma pirchì, chi bi vulissuu njari ora, ca don Procopiu non fu arristatu pricchì è ripubblicanu, contro a Crispi, e pricchì è pezzu rossu ‘nta Civita? Ah?

Peppi – Ppuh! Ca chi bi scappa d’’a vucca?

Viulanti – Sicuru! Chidda d’’a dispìda fu ‘na scaciuni! (si sposta a sinistra) S’appattanu, trasenu senz’essiri ‘mmitati e pigghianu ‘a prima scaciuni p’arristallu. Chi non binn’addunasturu ca era ‘mpiattata ‘a facenna?

Peppi – Ma chi diciti! Chiddu, faciti cuntu ca sta niscennu.(si sposta a sinistra)

Cicca – Macari Diu!

                                                     Scena III

                                          (detti e Pasquale)

Pasquali – (da destra) Turnau don Procopiu a libertà! Cumpari, turnau don Procopiu!

Cicca – Vih! Signori v’arringraziu! Chi piaceri ca ni dati! E unn’è, unn’è ?

Peppi – Chi vi diceva, ah? Avi tri uri ca smammati favi!

Pasquali – Cca è, cca è, sta vinennu ! (Cicca raggiunge gli altri nel cortile)

                                                       Scena IV

                                           (detti,  don Procopio e Santuzza)

Prazzita – Don Procopiu, comu stati?

Peppi - Menu mali ca niscistuu!

Viulanti – Vih, quantu è beddu!

Cicca – Staumu parranno di vui!

d.Procopiu –(sale sui gradini dell’uscio di Cicca.Parla come se facesse un comizio.Gli altri lo ascoltano da basso) Grazie, grazie a tutti questi signori di ambedue i sesse. Sono stralunato di la commozioni e non pozzo artro che arringraziarivi col cuori e col pinziero sempre prisenti di questa gioventù piena di filantropia lavoratrice. Ora scioglitevi nella calma, perché l’animo pertubato n’aggiuva alla tranquillità domestica e al lavoro intillittuali del proletario. Grazie!

Tutti –  (applausi) Viva don Procopiu!!!

Procopiu - Ora, bi devo lasciari perché, signuri mei, mi arricramano nel cumiziu di l’agrumarii che sta ‘ncominciando. Anzi, bisogna che tutte interviniamo altrimenti questo Cuvelno latruncolo nni va in polpetta.

Pasquali – don Procopiu, chi c’è prerica?

Procopiu - Si dice comizio o desculso. Prima parlano una para di addibbutate, poi prento la palora io e ci spieco del quale che  si non levano le dazie di l’alta Talia e si non redduciono quelle dell’estero, le nostre agrume nni scarfetisciono nei casce, i prupeitarie falliscono, i ‘ncartatori ed altre consimeli donne perisqueno della fame, e così in sequeto p’ansina alle facchine chi carriono casce. Ortre succedono dei disordine.

Pasquali – Bravu don Procopiu! Accussì ci aviti a diri!…

Procopiu – Lasciati fari a me chi non mi devi dari comandi nesciuno! (scende i gradini) E arrancamo, plesto!

                                                     Scena V

MUSICA5-  “Marranzanata malandrina” – Dall’uscita dei civitoti fino al posizionamento di d’Artagnan

d’Artagnan – Per la povera gente, i tempi sono tremendi, l’estrema miseria è diffusa e le masse di disoccupati aumentano sempre più. Le tensioni sociali accumulate esplodono violentissime. A provocarle è l’aumento del prezzo del pane, che rappresenta la base primaria di larghissimi strati della popolazione. Coloro che reggono i destini della Patria hanno ben altro per il capo: a tenerli occupati, vi sono le loro piccole vanità di partito, i loro volgari interessi personali.

La Patria sta nelle mani di alcuni volponi profittatori. Accendono vulcani col fuoco del loro sigaro, affossano la giustizia e l’onore sotto le suole delle loro scarpe verniciate, incuranti del popolo, che ha un unico e solo problema: quello della fame quotidiana.  (esce)

                                                     Scena VI

(entra l’Uomo in frac, tenendo in mano dei nodi di salsiccia e un salamino. Si ferma appena in scena, guarda il pubblico, muove i piedi come se volesse scuotere la polvere dalle scarpe, avanza e si ferma al centro del proscenio)

La sasizz, che a preferenza

suol mangiarsi in Carnevale,

è di carne di maiale

crapoliata a pezzettin.

Quando è tutta una manteca,

sale e pepe, tu bel bello

la conficchi nel budello

e dividila in callozz.

La sasizza, quando è fresca,

arrostita oppur stufata,

è vivanda molto grata

all’utente cittadin

Viceversa, secca ancora

o puranche affumicata,

sotto il nom di sopprizzata

ti fa gola al cannarozz.

A me inver che in culinaria

dotto son quanto in botanica

mi piace la loganica        

arrostita calda cald.

Un callozzo a colazione,

un callozzo a pranzo e a cena,

la mia musa tiene in vena

e l’ingegno mi riscald.

 

(scuote la polvere ed esce a sinistra)

                                                          Scena VII

MUSICA18-  “La minestra” – Inizia all’entrata del coro e finisce appena d’Artagnan si rivolge al pubblico. (Entra il coro, da destra e da sinistra, in fila. Un attore porta il leggio che pone al centro del palcoscenico. Rientra d’Artagnan con indosso il frack e si sistema davanti al leggio. Un attore gli porge i guanti bianchi e appena calzati, d’Artagnan, riceve da un altro attore la bacchetta per dirigire. Si gira verso il pubblico e annuncia)

d’Artagnan - Senoras y senores tengo el placer de presentar a este pùblico tan amable el coro popular de la Civita y sus alrededores en la inédita cancion “ la sopa” (Una corista alza il dito per chiedere la parola, si avvicina a d’Artagnan e dopo aver accennato un passo di flamenco, battendo piedi e mani, indica con il dito un “no”. Il maestro fa cenno di aver capito con il capo e ripete lo stesso annuncio di prima in lingua italiana) Signore e Signori, ho l’onore di presentare a questo gentilissimo pubblico, il coro popolare della Civita e dintorni nell’inedita canzone “La minestra”.Si informa il distintissimo pubblico che il coro, per la prima volta in assoluto, durante l’esecuzione del brano annunciato, applicherà la rivoluzionaria tecnica musicale denominata “stecca creativa”, da non confondere con la volgare stonatura. (batte sul leggio la bacchetta e cerca l’accordo) Pronti. La…la…laaa…

Coro – (stonando apposta) La… la… laaa…

(il coro accompagna il canto con versi a bocca: zumpa, pi, popo, gna, ecc)

MUSICA18-  “La minestra” di Mangiagli –Riprende dall’inizio appena d’Artagnan da il via con la bacchetta.

E’ la minestra –cibo diletto

Senza minestra – non si va a  letto.                                                                   

 La pancia vuole – minestra a josa

Oh! La minestra – che bella cosa.

Chi sta digiuno -  ha il dritto vero

Di minestrare – senza essa è zero.

Iddio ha creato – la pancia a noi

Per far con essa – atti da eroi.

Rit.

Mangia il barone – mangia il contino               

Mangia il borghese – mangia il parrino.            

Oh! Questa è cosa – ben naturale

Mangia, perbacco – l’uom cardinale.

Mangia il minchione mangia anche il dotto

Mangia il merciaio – il marchesotto.

Se l’uomo è fatto – per manducare

E’ fatto ancora – per (am…)minestrare         

Da la minestra  - venne ministro

Del ministero – anche magistro.

E ministrare – poi per traslato

vale pur a –far il  deputato;

E venne ancora – poi tale e quale,

fare il magnate -  municipale.

O pancia infame – pancia birbona

Nata per far la bacchettona.

Ma tu rifiuti – ceci e fagioli

Voi polli fritti – dolci cannoli,

Ed appetisci – dolci crostini  

Panzarrottelle – e i pasticcini.

Il pesce spada – il pesce luna…

I munaceddi – non han fortuna

Chi mangia macco – chi pane asciutto

E’ un uomo perso – senza costrutto.

Ritornello

Chi gira il macco – è a tutti caro

Perché con esso si empie il panaro.

L’arte del cuoco – non ha l’uguale

Perché ministra – e non c’è male

La salsa assaggia – brodo, stufato

Ed il mostaccio – porta ‘nzunzato.

E fanno i cuochi – dotti, avvocati

Nobili, asini – ricchi, spiantati

E per la carica – troppo modesta

Perdono tutti – anche la testa.

E se occorre – tutti arraggiati

Finir la fanno – poi a vastunati.

   Ritornello

  MUSICA:  18-  “La minestra” –Accompagna il coro che esce.                               

D’Artagnan ringrazia ed esce portandosi il leggio. La prima fila del coro fa un passo avanti e inalberando alcuni cartelli con la scritta “GRAZIE”, in silenzio, esce. La seconda fila, dopo un passo avanti, esce. La terza fila, fa un passo avanti, alza tre cartelli con la dicitura “SIAMO – I - MIGLIORI” . Di dietro sopraggiunge un altro attore con un cartello che porta scritto “QUASI”  che si inserisce, formando così “Siamo quasi i migliori”. Quest’ultimo attore, però, viene subito cacciato dagli altri.

Escono in fila.

                                                         Scena VIII

 MUSICA: 5-“Marranzanata malandrina”–Accompagna l’entrata di d’Artagnan                                                     

d’Artagnan –  (da destra) Così come l’emigrazione, che ha costretto tanta povera gente, a causa della fame e della disoccupazione, a partire verso paesi stranieri, anche il brigantaggio, è una conseguenza della insoluta questione sociale.

Il Governo, come al solito, crede di poter risolvere tale problema con la forza.

Ma, sarebbe sicuramente più saggio studiare attentamente le cause che hanno prodotto il brigantaggio e neutralizzarlo a colpi di riforme sociali, anziché a colpi di fucile.                                                                           

 Ecco la cronaca di un episodio della cattura di un gruppo di briganti come la fantasia popolare l’ha percepita. (esce da sinistra)

                                                  Scena IX

MUSICA15-  “Casta Diva” Norma - Bellini– Dall’uscita di d’Artagnan fino a quando Peppi non apre la porta.

(Peppi apre la porta di casa e accompagna don Procopio fuori dall’uscio)

Peppi – Allura, don Pricopiu, ni videmu cchiù tardu ‘nto chianu!

Pricopiu – Va beni !(Peppi si ritira. Pricopio attraversa il cortile)

Viulanti –  (da destra)Oh, don Procopiu,  ‘u sapiti chi ‘nummira niscenu ?

d.Procopiu –Cinquantasei, cinquantottu, vinti, sessantunu e quarantunu.

Viulanti – Vih!…La sbinturatazza amara, mancu unu ‘nni ‘nzittai! …Ma su sugnu vera malasurtata!..

d.Procopiu – Perciò, chi bi jucastuu?

Viulanti – Ca comu, mi jucai i ‘nnummira di briganti, beddi spicchiuliati.: (verso il pubblico) tri, ca era ‘u nummuru de’ briganti, sei ‘u nnummuru de’ sbirri, chinnici di pupulazioni, pirchì l’aggenti si fiteva di quantu ci nn’era

d.Procopiu – E con questa schifezza di numera uleuru pigliari la cuatrella? Ma su non sapiti smurfiari?

Viulanti – Comu non sacciu smurfiari? Cchiù beddi e chiari di chissi ca vi dissi? Ca non ci fu fortuna !…

d.Procopiu – E annunca ju pirchì pigghiai ‘a cinchina?

Viulanti – E quantu sentu comu ‘i smurfiastuu, vui?

d.Procopiu – Vegnu e vi servu. Ju mi jucai: quarantunu di cuteddu, pirchì e breganti cci truvanu i cutedda, vinti di picciriddu, pirchì mentri c’arristànu a li breganti passau ‘n picciriddu du stratuni di Musterijancu, cinquantottu di Papa…

Viulanti – E ‘u Papa cchi ci trasi?

d.Procopiu – E picchissu non putiti pigghiari mai, picchì certi cosi non li sapiti! U Papa cci trasi, picchì ‘u capu briganti si chiama Abati, ca è consimoli ad un parrino. Siccomi ‘u cchiù maggiori di parrini è ‘u Papa, perciò cinquantottu di Papa!

Viulanti – Vih, malanova di iddu sulu, quantu ni ‘mmenta!

d.Procopiu – Sessantunu, l’anni du capu bregante…

Viulanti – Quali sissantuno, su chiddu javi trentadui anni…

d.Procopiu – E ppi chissà è ca vi dicu sissantunu, picchì semu o novantatrì, livamaccinni trentadui, veni a diri ca è da leva del sissantunu…Perciò…

Viulanti – Oh, ran pezzu di ballaccheri, ca siti, chi mi stati ‘mpapucchiannu? U Papa, ‘u picciriddu, a leva !…Accussì tutti ‘i novanta nummira ci cumminati! Ca itavinni, daveru ora! Oh, stu ran pezzu di ballaccheri! (escono da sinistra. Si chiude il siparietto)

                                                                Scena X

     (Tutti gli attori disponibili, poi d’Artagnan, Cavaliere1, Dama 1)

(Le luci si smorzano.Dietro il siparietto, scorre, illuminata appena da una luce tenue e preceduta da un sacerdote che porta la croce, la processione di fedeli con un cero acceso in mano. Aldiquà del siparietto, invece entrano in scena D’Artagnan, da destra,Dama1 da sinistra,Cavaliere1 da destra. Mentre i tre parlano, la processione si intravede in trasparenza)

MUSICA14  “Requiem –Verdi- Dalla chiusura del siparietto fino a quando d’Artagnan ed i borghesi non sono in scena. Continua come sottofondo.

d’Artagnan –(con il cilindro in mano) Oggi le campane suonano a morto, su ogni guancia scorrono lacrime di dolore. E’ morto il Cardinale Benedetto Dusmet, è morto l’angelo della carità. E’ il lutto di tutti gli uomini che hanno la religione dell’amore. Dama 1 –Benedetto Dusmet non era uomo da essere amato e rispettato soltanto per il suo grado ecclesiastico, ma anche e perché era grande per le sue virtù e soprattutto per il suo cuore.

d’Artagnan – Vero cristiano, nel vero senso della parola, Egli come Cristo, sentiva

soprattutto la religione dell’amore. Ogni sventura pubblica lo trovava pronto ad assistere, a confortare.

Cavaliere 1 -  (con il cilindro in mano)Alieno dalle lotte di partito, è stato buono e tollerante, anche verso coloro che professavano principii ben diversi dai suoi.

d’Artagnan – Questa bella, simpatica, grande figura di Uomo e di prelato noi non la vedremo più. Ogni cittadino rimpiange la scomparsa del padre dei poveri, dell’amico di tutti, e di cui tutti portiamo il lutto. E non gli onori meritati, ma le lagrime sincere di tutto il popolo formano il più bello elogio di Benedetto Dusmet. (escono) MUSICA: 14 “Requiem riprende a regime fin dopo l’uscita di d’Artagnan, per ulteriori 20” accompagnando il corteo che continua a scorrere.

                                          BUIO E SILENZIO PER 10”

                                                       

Scena XI

MUSICA15-  “Casta Diva – Norma –Bellini – Inizia dopo il buio e prosegue fino all’entrata di Prazzita.                                                                 

(Cicca è occupata a spazzare il cortile)

Prazzita –  (da sinistra)    Cummari Cicca, menu mali ca v’attruvai!

Cicca –      Oh, cummari Prazzita, chi fu, matinata facistuu?, oggi?

Prazzita – Nuvità ci sunu! E nuvità tinti!…

Cicca – Vih, Gesù! Chi scuppiau ‘u qualera?

Prazzita – Comu si fussi! ‘U sapiti cu’ turnau nt’’a casa vacanti di Tidda buattara, di cca allato?

Cicca –  (grida) Cui?

Prazzita – Nun faciti vuci!…Dda malanuvazza renna di Pudda  gialinusa!

Cicca – Vih, semu morti! Attassau ‘n quartieri!…E chi turnau di notti a notti?

Prazzita – Ca annunca! Pensu ca si nni fuju, di unni stava, ppi non pavari o’ patroni ‘i casa!

Cicca –Ora, cummaredda, quantu ni nni stunnamu macari nuatri, annunca non nni viremu chiù lustru!

Prazzita – Avanti ca ni nni sturnamu semu tutti morti! Lu mal’occhiu di ssa cristiana è accussì putenti ca percia li mura e agghica luntanu ’n migghiu! U sapiti cc’haju pinsatu, tostu? Di farici ‘u scungiuru ‘ncatinatu.

Cicca – Chiddu ‘n tri, allura. Chiddu ca è cchiù putenti.

Prazzita – Ma allura chi c’è megghiu di Viulanti, ppi essiri ‘n tri!

Cicca – Veru è, ora a chiamu! Oh, idda cca è, pensu ca ci mancianu aricchi!

Viulanti – (da destra) Cummareddi, vi salutu. Nuvità ci sunu!…Pusau ‘na cucca supira ‘n panaru! (fa segno a destra)

Prazzita – Zittitivi, ca tuttu cosi sapemu, e circaumu a vui ppi farici ‘u scungiuru ‘ncatinatu, ‘n tri pirsuni.

Cicca – Si, ma chissu si cci ha fari di facci a facci.

Viulanti– Si cumprenni, appena s’avvicina!…

 Cicca – Santi palori! Non sbagghiamu ‘u scungiuru, picciotti, annunca semu morti, attassati!

Viulanti – ‘U muccaturi russu ci l’aviti? Attaccamini ‘u muccaturi ‘n testa, a uso d’ ‘i vinnignaturi. Dàmini ‘i manu ‘n cruci. D’accussì. (incrociano le braccia e si tengono per mano, formando un cerchio, cominciano a girare) Si passanu cani niuri cacciatili. Tutti manu ccu manu. Furriamu tunni tunni e tutti dicemu assemi :            

Cicca,Viulanti e Prazzita -       A nomi di Baialimmi e Balacammi

                                                   Cu’ disidira mali a li so carni

                                                    spera a Diu ca s’’a rumpiri li jammi!

                                                       Scena XII

 (le tre donne si staccano alla vista di Pudda)

Pudda – Bongiornu, cummari Cicca, Prazzita e Viulanti, vi dugnu la me’ arricanuscenza di vicina, ca vogghiu essiri amica di tutti!

Prazzita – (verso Cicca e Viulanti) Ni muntuvau a tutti…! (a Pudda)Bongiornu e bon livata a vui cummari Pudda. Furtunata cu vi viri!

Viulanti -Cicca –  (rivolti a Pudda)Ppi tia ogghiu abbuccatu

                                                           triulu dintra e malannu fora

               (una di fronte all’altra)      Ppi mia pani rattatu

                                                          carni arrustuta e ficutu a braciola

Pudda – Ccu vui, cummari Cicca, avi ca nni canuscemu di picciriddi, averu? Ccu ‘na diffirenza, ca ju arristai arrazzicanuta e vui purtati ‘na giuvintù ca pariti ‘na ‘ntinna a mari, salaratu!

Cicca – Ca criscij fora mal’occhiu!

Prazzita - Viulanti -       (c.s.)      Corna curnicchia,-

                                                       l’agghiu a tri spicchia,-

                  ( spalla con spalla)      Na cura di firuni, -

                                                       na zampa di liuni,-

Pudda – Sempri sciacquatunazza, vui cummari Prazzita! Prazzita di nomu e di fattu. Unni passati vui purtati bon’aurju!

Prazzita – Megghiu purtari bon’aurju ca mal’aurju!                                             

Prazzita e Cicca -   (verso Pudda)   L’ortu di donna Mara

                                                         ‘Na rasta di zammara

                                                          Ccu zaaredda russa,                                                                     

                                                          l’asu ca ci arribussa,

               (una di fronte all’altra)   chiantata ccu li spinguli ‘na cucca,

                                                        e lu scungiuru sempri ‘ntra la vucca.

Pudda – Ma chi vi diciti ‘u rusariu, a sta matinu, cummareddi? Chi su’ tutti ssi puisii ca diciti?

Viulanti – Ca sunu puisii contra ‘u mal’occhiu. Siccome agghiri cca si pusau ‘na cucca…

Cicca –…e si misi supira ‘u ceusu…

Prazzita – …e vulissi attassari ‘n quartieri…

Cicca – Accussì nuatri ci facemu ‘u scungiuru !

Viulanti - Forza signuri mei, accalativi tutti attempu attempu. Diciti appressu a mia :

Cicca - Prazzita - Viulanti -  (si alzano e si abbassano tenendo le braccia alzate e agitando le mani)                                                                  

                                                      Ara, mavara

                                                      a punta ‘e sciara

                                                       c’è na vanedda

                                                       nicaredda

                                                       ci trasi n’armali bruttu

                                                       nesci fora di lu cunnuttu

                                                           Ujà, ujà, ujà, ujà!…

Pudda – E bonu faciti, ccu  ‘ssi brutti bestii!

Viulanti – Averu? Macari vui siti d’accordu? E allura fora mal’occhiu, fora mal’occhiu!

Cicca Prazzita - Viulanti - Sciò, sciò, sciò!!!

(urlando contro Pudda, la spingono fuori scena ed escono tutti. Si chiude il siparietto)

                                               Scena XIII

 MUSICA:  17-  “Guerra, guerra” – Norma –Bellini- Dall’uscita dei Consiglieri fino all’entrata di d’Artagnan. Riprende quando quest’ultimo ha finito                    

D’Artagnan – Mentre i nostri bravi soldati in Africa danno prova del più sentito e puro patriottismo, il governo italiano continua a spedire rinforzi. Si vuole, per l’onore e l’interesse della Nazione, andare a fondo, arrestarsi soltanto quando l’Abissinia sarà ai nostri piedi.

Il governo è pronto a tutto, pur di vincere i nemici lontani e vicini. Non vuole venire meno ai suoi doveri, poiché su di esso pesa la responsabilità degli avvenimenti decisivi, ma ci sembra opportuno che le decisioni che saranno prese  obbediscano alle aspirazioni, alla volontà ed al sentimento del popolo italiano. (esce)                                                               

                                                              Scena XIV

                                    (Cicca,Peppi, Prazzita, indi d.Procopio)

MUSICA17-  “Guerra, guerra” – Norma –Bellini- Dall’uscita di d’Artagnan fino all’entrata di Prazzita

(Cicca esce di casa  e con con l’annaffiatoio comincia a dare l’acqua alle piante.Subito dopo, Peppi, sempre da casa,esce con una sedia e postala nel cortile, legge  il d’Artagnan)

Prazzita – (da sinistra) Dicitimi ‘na cosa: Chi è ssa cosa di l’Africa? Veru è ca ‘u turcu sta vinennu pp’agghiri ccà?

Peppi  – E chi sacciu! Chissu è turcu ca sempri fa supricchiarii!…

Cicca – E comu facemu su veni? Ma pricchì l’hanu a ghiri a scuncicari?

Prazzita – E cu è ca l’ha scuncicatu?

Peppi  – Ca comu, ‘u ginirali Baritteri n’’o ju a scuncicari p’ansina intra?

Prazzita – E cu è ssu ginirali Burritteri?

Peppi – (si alza e tutti si portano al centro del palco, limite siparietto) Baritteri è ginirali nostru, ca sta ‘nta l’Africa, sempri contrapigghiatu cc’’u turcu! Ora, l’urtimamenti fici ‘na battaglia ccu capu turcu, ca chi sacciu comu schifiu si chiama…Anca sciancata…Ancascià…’na cosa di chissi!

Cicca – E comu finiu, persi?

Peppi –No, vinciu! ‘Ntantu, non contenti ca ci desi vastunati, l’appi assicutari, sparti!

Cicca – Ca bonu fu!

Peppi – Bonu fu? Bella! Mentri ca ‘u ‘ssicutava ci spuntanu di facci re Salamalicchi, capu di tutti i servaggi, rasu Valé, Macaluni, Rassaulla e si misunu a ‘ssicutari a iddu.

Prazzita – P’agghiri unni pigghiò? (entra, non visto, Procopio)

Peppi – Pp’agghiri cca, iddu avanti e chiddi arreri, e facili ca ‘nta ‘sti jorna arrivunu  ‘n Catania, pricchì ponu essiri agghiunti a Sarausa, unu avanti e l’autru arreri!

d.Procopiu –  Avi tre ori chi ‘sto ascortando tutti ‘i papalate che smammate, e dei rise mi ho fatto un’altro tanto!…

Cicca – Bonu, vah! Ci manca ‘u Ballaccheri! Quantu mi nni trasu !(esce)

Peppi - Pricchi papalati? Ju m’haju riulatu secunnu ‘u vostru discursu d’arsira.

d.Procopiu –Per saperlo, il taliano non fuggi mai e ci va in polpetta a chi si senti il più meglio assai e maggiore! Io ho ditto che il ginirali Barattiero assicutò a rasso Mangascià p’ansina nel fucularo di so matri chi lo fice.

Prazzita – Ma ora, comu finisci?

d.Procopiu – Ca finisci c’addivintamu patroni dill’Africa. Mi pari c’abbasta! No?

Prazzita – (con ironia) Certu, macari n’assupecchia!

Peppi – Quantu sentu comu fu ‘sta battagghia!

d.Procopiu– Fu della siquenti: l’annemico, cumannato di ras Mangascià avanzava contra di nui, ritenento chi erumu spratiche di pusizioni guerresche. Inveci, l’agginirali Barattiero era più spelto, e chi fice? Ci cumminò comi una speci di trappula. Quannu fono tutti a tiro, ardinò una fucilata in sichitanza e a ogne corpo i nivori cascavano comi li pira! Quelli, vitendo i male fruscoli dissono: santi carcagne aiutatimi e scappano a rotta di nuca. Ma il Barattiero disse nel segreto della sua coscienza: Ah, si, tu ti nne scappe? E ju ti assicuto. E lo assicutò!

Prazzita – E su chiddu tuccava ferru e diceva : sculicenza?

d.Procopiu –Nei battagli chi vi pari chi è il gioco del chiappa acchiappa? Al massima che si po diri, si isa la bannera janca e si addimanna l’armestizio.Ca veni a diri, una speci di sculicenzia

Prazzita – E ppi chissu ju diceva. Dunca?

d.Procopiu – Dunque, lo assicutò e ci desi l’aimé. Di noi nni morsino centuvinti sudate, tri ufficiali e due suttaufficiali; ma di lui ni morsiro occhi milioni.

Prazzita– E chi sparteunu panicottu, ‘i nostri?

d.Procopiu – Peggio! Per ogni palla di proiettili n’abbucaono tridici misi a filarera.

Peppi – (ironico) Ah, ora mi pressuaru. Veni a diri ca prima di spararici ni menteunu tridici unu appressu a l’autru, a poi pigghiaunu ‘a mira e sparaunu. Po’ darisi!

d.Procopiu –Decrepito che sei! Non ne ingarri una! Dico per modo di dire! O tridici o deci, o uno o nenti. La cosa cchiù ‘mportanti è che percomora avemo vinto! Viva li prodi, viva l’asercito, viva l’aroi! (verso il pubblico) Sulu chi non so’ chi cosa amo vinto! 

Prazzita – Si, viva l’aroi e viva  lu brodu. Viva i jaddurinnia! (verso il pubblico) I genti cca non janu cchi mangiari…!   (escono)

                                                Scena XV

                                                 (d’Artagnan, Consiglieri, Sindaco)

 (si presentano con sedie e scanni, mentre d’Artagnan raggiunge il proscenio)

MUSICA6-  “Babilonia” – Inizia appena entrano i Consiglieri e si interrompe quando sono pronti

d’Artagnan – Il nostro giornale, generalmente non pubblica resoconti. Ma l’ultima seduta, al Consiglio Comunale di Catania, è stata così interessante ed animata che merita essere riportata.

L’ordine del giorno figuravano diversi argomenti in discussione, ma quello che a noi interessa registrare è quello relativo alla tassa sui fiammiferi, esattamente sui cerini. Il Sindaco, dopo lunga dissertazione sulle motivazioni che hanno spinto l’egregio Consigliere Lassagiarra a pubblicare un interessante opuscolo dal titolo:”La briscola pazza presso gli antichi e sue odierne attinenze con l’alcolismo”, (i consiglieri mimano la scena degli applausi a Lassagiarra e quest’ultimo ringrazia) dà inizio alla seduta. A proposito, il Consiglio Comunale di Catania, da qualcuno è stato definito la Camera dei Lord siciliana. L’unica differenza, è il colore della parrucca: gli inglesi la portano bianca, i catanesi nera! Sarà! Si dia inizio alla seduta. (esce)

Sindaco  -  (i consiglieri fanno baccano) Signori, vi richiamo al dovere! Io proporrebbe, stante l’ora tardi, di  nominare una commissione di persone nel ramo e sul ramo, per studiare la materia e riferirne al sottoscritto che affiderebbe alla mia persona di Sindaco, la quale che dovrebbe pensare lui a tutto, ossia a nominare la commissione. Ai voti, prego. Approvata. Bene. Passiamo ad altro argomento Il problema impellente assai della nuova tassa sui fiammiferi cerini. La parola al consigliere Spicòempicò.  Prego.

Scicòempicò – Signori, essendo io un rappresentante dell’opposizionne democratica e, volendo, anche poppolare, sono contrario a questa tassa iniqua e contro l’unità d’Italia. Perché questo privilegio per un fiammifero che con la sua cera ricorda, a chi lo accende, il mondo clericalle dei parrinni? Perché? Ricordiamoci di Porta Pia!

Alleggiuccusali – Anch’io, che appartengo all’ala sinistra di centro, un po’ spostato a destra, concordo con il colleca e, senza sapere né leggere, né scrivere, proponco che ad ogni pospero cerino venca tolta la cera di  p r i p u t e n z a.

Sindaco -  Vuole intervenire il consigliere Assettitibonu.

Assettitibonu – Collega Alleggiuccusali, ma cosa ci va ‘ncucchiando? Cosa mai sentono i miei padiglioni orecchiabili. Qui si vogliono denudare i valorosi cerini della loro tunica bianca, verginea,  per un basso puntiglio ideologico. Mi oppongo, anche se non sono dell’opposizione.

Viricabbuccu – Ma come ce la mentiamo la tassa ? Per ogni pospero ?

Assettitibonu– Ahu! Io a questo non lo capiscio comi palla! Scusasse, ma lei ‘bocato Viricabbuccu, vene per caso di Calascibetta, di Moffetta o di Balletta?

Pigghiamaidda – Ma la tassa è cosa di niente: per ogni pospiro che si voli accendere

è obbligatorio comprare un bollo di cincu centesimi.

Assettitibonu – E se puta il caso, uno accende ammucciuni? Che ci fate? Eh? Che ci fate? Ce ne comprate menzo litro?

Scicòempicò – Primo, che se si nni addunono lo mentono ‘n galera, e poi, li pospiri di cira li conformino di una conformità che non potono…potino…potengono… ‘ddumare se prima non c’è ‘mpiccicato il suindicato bollo per ogni pospero cerino.

Sindaco – La palora all’eccentellissimo prof.Lassagiarra.

Lassagiarra -(si alza pensoso dallo scanno e viene riparato subito da ombrello)  L’uomo che viene alla luce, quasi sempre è un neonato. Il primogenito è, per solito,il figlio che nasce prima di tutti gli altri.

Tutti – Bene, bravo, bis

Sindaco – E dopo queste ponderate e sicure certezze che il nostro Consigliere Lassagiarra ci ha voluto elargire, considerato che il Consiglio ha approvato, come sempre all’unanimità, gli argomenti in discussione, usando dei miei poteri discrezionali ed arbitramentali, della circoscrizione territoriale, del potere temporale e del congedo militare, dichiaro sciolta la seduta. Sono le ore 17!

Scicòempicò – Mi oppongo, sono esattamente le ore 16,58.

Viricabbuccu – Non è vero, sono le 17,05 !!!

Tutti   - Ha ragione! Si! No! (escono litigando e si riapre il siparietto)

                                               

                                                            Scena XVI

                                   (Cicca, Viulanti, Prazzita e poi Procopio)

MUSICA6-  “Babilonia” – Continua dalla scena precedente

                     (Cicca stira, Prazzita ricama, Viulanti sferruzza)

Cicca – Cummari, ‘u viristuu ‘u Tartagnà di oggi?

Viulanti – No…picchì, chi jappi?

Cicca – Niscìu a culuri! Arricchìu! Addivintau arripuddutu, vah!

Viulanti – Vih, malanova, e chi pigghiau ‘u ternu?

Cicca – Ca chi sacciu! Doppu ca tutti, mastranzi, nobili e curtigghiari, s’ammazzunu a pigghiarasillu!

Prazzita – E dicitimi ‘na cosa…Nni porta nutizii supira ‘a Civita?

Cicca – Ca comu! Chiù peju di prima!

Prazzita – O’ megghiu jemu! Spera a Diu c’ha cascari di supra ssu cavaddu, nuzzinteddu! Già ca su stampa a mmia c’’i v’’o dugnu cc’’a scupa, p’ansina ‘intra!

Viulanti –  (vedendo Procopio) Oh, don Procopiu passa!

Cicca –Chissu poi nesci pazzu ppi su Tartagnà. A ddocu, a manu l’avi, ca si murmuria strata strata! E mancu nn’ha vistu ancora, oh!

Prazzita – Salutamu a don Procopiu!…

d.Procopiu – (vicino Prazzita) Oh, scusassero. Stava liggendo profondamente il Tartagnà novello, chi è addivintato il più meglio giurnali taliano (mostrando il giornale) C’è articule di puliteca, di astrologia, di matematica, di chiromanzia, di tragedicologia…

Viulanti  – Già!…Ppi nesciri tragedii è l’asu!!…

Cicca – I nostri cosi ci cunta a tutti!

d.Procopiu – (si sposta tra Prazzita e Cicca) Doviti diri chi nni arrendi popolari!…

Prazzita – A vui vi piaci, no picchì è il più migliore di tutti i giurnali, ma sulu picchì parra sempri di vui!

Cicca – I papalati sempri nt’’è giurnali si leggiunu. L’avissunu a bruciari tutti! Pp’amuri di scipparici dda palanchedda ‘e genti, non sanu chi stampari! Tannicchia c’è ‘a stidda c’’a cura, t’annicchia s’astuta ‘u suli, tannicchia sicca l’acqua!…Sciù, malanontra! E ‘i genti morunu di ‘u sulu scantu senza essiri veru!

d.Procopiu – Basta. Ancora siete ‘gnoranti e quinti non vi pozzo arrispontere per le rimi. Comprativi  il Tartagnà sempri in sequeto, che vi stroisce e doppo chi siete stroite potete conversazionare con me. E non vi dico artro!

Viulanti – Si va beni! Aviti sempri ragioni! Su mi capita ppe manu ‘u minnittiu!

d.Procopiu -  Donne pirotecniche che siete! Fate discorsi a piedi di banco! A chi ammazzate, al foglio di carta?

Cicca – No, a iddu, a ddu cristianu ca è stampatu a cavaddu, supira ‘u giurnali!

d.Procopiu – Già, con voi non si ci po’ parlare, per la vostra ignorantezza.

Cicca – Megghiu è ca non ci parrati. Oh, ‘u sapiti chi vi dicu? Non muntuati (alza il ferro da stiro a mò di offesa)‘e genti ca su’ pp’ ‘a so’ casa, annunca amara ‘a vostra peddi. Non vulemu arririri,nuatri, faciti arririri chiddi di Cifuli!                                                                                                                                                               

d.Procopiu – Ma io parlo in atto sghirzevoli d’amecizia, non c’è offensività. Facemo paci, vah!.               

Cicca – E facemu paci.                

                                                    

                                                        Scena ultima               

                                                (detti più d’Artagnan)

d’Artagnan -(da destra) Oh, don Procopio, cercavo proprio lei (le donne raggiungono d’Artagnan e Procopio che si spostano al centro)

Cicca – Bih, è chistu di unni nisciu?

Prazzita – Mai l’haju vistu a Civita a ‘stu cristianu ccu beccu !

d.Pricopiu – Ma chi state ‘ncocchiando, donne piene di sprovvidutezza!. Questo è il maggiore assai del nostro quartiere. E’ il signor Tartagnà, il giornale in persona. Grazie addistinte dei suoi ‘ncomoti, pallasse puri

Viulanti – E ‘u cavaddu unni ‘u lassau ?

Prazzita– Ma di presenza megghiu è!

d’Artagnan –Volevo comunicare a lei che in questo quartiere rappresenta la vera autorità, che con il numero di oggi, 24 aprile 1904, il giornale “d’Artagnan” cessa la pubblicazione.

d.Pricopiu – Ma comu mai ? Ci avemu fatto qualche  torto? O c’è nel menzo qualche pripotenza?

Prazzita – Parrassi, ca ci jemu a tirari l’occhi!

d’Artagnan – Nulla di questo. Dovrò andare a Roma per svolgere un lavoro più impegnativo.

d.Pricopiu – E ci lascia soli ?

Cicca – Bih Gesù! Ora ora staumu dicennu ca ‘u Tattagnà è il più meglio assai gionnale del mondo!

Prazzita– Ma allura, comu ni finisci a nuatri?

Viulanti – Cu n’addifenni, ora?

d.Procopiu –Ma lei, che è pirsona ginerosa, non ci po’ fari moriri accossì, ‘ntrasatta!

d’Artagnan – Può un padre desiderare la morte delle proprie creature? Mai! Voi, siete ormai cresciuti e capaci di camminare con le vostre gambe, di esigere i vostri diritti, senza l’aiuto di nessuno. Il giornale vi ha insegnato che è doveroso lottare con fermezza contro le prepotenze dei nemici, per fare trionfare la giustizia.

Cicca –Ma nuatri chi putemu fari?

d’Artagnan – Bisogna, come d’Artagnan cavalcare senza fermarsi, difendendosi con lo scudo e lanciarsi all’attacco con la spada, per la vittoria dei diritti degli onesti contro i soprusi.

Cicca – Bih, Sant’Ajtuzza bedda, chi mala jurnata ca jappumu oggi!

Prazzita – Ma non criru ca vossia ‘ntisi i discursi ca faceumu prima! Mi non ci cridi, ca sghirzaumu !.

Viulanti – A nuatri ‘u giurnali n’’a piaciutu sempri!

d.Pricopiu – Ma pecché lei non ci pensa più meglio!

d’Artagnan – La mia è stata una decisione meditata e, credetemi, molto sofferta. Parto, con l’animo sereno perché il giornale ha sempremantenuto quanto promesso ai propri lettori e come ricompensa ci è bastato avere a fianco gente onesta, come voi, che ci ha sempre sostenuto.

Cicca – Bih Ma senza di vossia è tuttu persu !

d’Artagnan – E invece no, perché voi, siete l’eredità del giornale e, sono sicuro, continuerete la sua opera. Sarete sempre nel mio cuore. Mi mancherete. Addio. (esce)

Cicca – Mi stanu trimannu l’anchi! Beddamatri, chi colira! E comu ‘u sapi Peppi….

Prazzita - Chi gran brava pirsuna! Avi ‘n cori quantu ‘na montagna! Salaratu!

d.Pricopiu – Ma como, un momento fa lo volevoro fare a spezzatino…

Viulanti – Ca su’ paroli ca si diciunu…Ma, accussì arristamu urfaneddi…

Cicca – A chiddu ca viru ppi nuatri suli non c’è sorti! I cifaloti non venunu mai scuncicati.

d.Pricopiu – Ca quali sorti e sorti. Bisogna fari comi ha ditto poco innanzi fà d’Artagnan: essiri comi il moschettieri, ca accravacca il cavallo equino senza fermarsi, con lo scuto e la spata per difenniri i propri diritti.

Viulanti – Bih, ‘na spata arruggiata sempri si trova, ma ‘u scutu, don Pricopiu, unni ‘u pigghiamu ?

d.Pricopiu – Veto che non comprenditi una lettera “a” col bicchiere. Ma che vi pare che dovemu armari l’opira di pupi. Tattagnà ha pallato matafisico e parabolico. Il scuto serbi ppi parari li palori calunniosi e la spata ha significato di non calari mai la testa a uso di pecora bovina e farisi arrispittari. Chistu voli Tattagnà e chistu dovessimo fari! Abbiamo cresciuti e avemo a caminari da sole!

Viulanti –  (ciondolando la testa)‘U munnu è tunnu tunnu, cu ci nata e cu va a funnu

Prazzita – Ca  speriamo ca ‘u Signori non si scorda di nuatri e n’’a manna bona.

Cicca – Addumamici ‘na lampa a S.Franciscu di Paula gluriusu, accussì ni fa la ‘razia di fallu turnari prestu, macari senza cavaddu.

MUSICA:  -12 “Preludio Normaparte finale- Dall’uscita degli attori fino a completamento brano

10-  “Balliamo la quadriglia” – Alla presentazione degli attori.                                             

                                                          F   I   N  E