Il grande Dio Brown

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IL GRANDE DIO BROWN

IL GRANDE DIO BROWN

Dramma in un prologo, quattro atti e un epilogo

di EUGENIO O’NEILL

Traduzione di Alessandra Scalero

PERSONAGGI

WILLIAM A. BROWN

SUO PADRE, un appalta­tore

SUA MADRE

DION ANTHONY

SUO PADRE, un costruttore

SUA MADRE

MAR­GARET

I SUOI TRE FIGLI

CIBELE

DUE DISEGNATORI (nell'ufficio di Brown)

UNO STENOGRAFO

PROLOGO

Una parte della gettata, davanti al Casino di una pie-cola città di nutre. Nel fondo uno spazio rettangolare con banchi da tre lati. Dietro una ringhiera.

E' una notte di luna, alla metà di giugno. Dal Casino giunge l'eco di una canzone sentimentale, cantata dal quartetto locale. Si sentono deboli applausi; poi, nulla all'infuori dello sciacquìo dell'acqua contro i pali e dell'infrangersi delle onde sulla spiaggia. Indi, rumore di passi, e Billy Brown arriva dalla destra con la Madre e il Padre. La Madre è una donna piuttosto grassa di quarantacinque anni; veste con pessimo gusto un abito di merletto nero, con molti fronzoli. Il Padre, sui cin­quanta, è il tipo dell'uomo d'affari di provincia, pieno di successo, cordiale, stonato nell'abito da sera. Billy Broivn è un bel tipo atletico sui diciotto anni. E' biondo, dagli occhi azzurri, con un piacevole sorriso e una franca espressione di buonumore, che tuttavia indica già una disciplinata volontà. I suoi modi hanno la disinvolta padronanza di un'intelligenza normale. E' in abito da sera. / tre camminano a braccetto, la Madre in mezzo.

La Madre                      - (rivolta al Padre) Questa serata è male organizzata! Che modo di cantare! Che povere voci! Perché non canta Billy?

Billy                              - (alla madre) La mia voce è un vero trombone! (Ride).

La Madre                      - (come se parlasse all’aria) Io avevo una bella vocina, quand'ero ragazza. (Al Padre, caustica) Hai visto il giovane Anthony che svolazzava per la sala da ballo, con quei calzoni bianchi sporchi?

Il Padre                         - Lo fa per farsi vedere.

La Madre                      - Che imprudenza! E' un ignorante come suo padre.

Il Padre                         - Il vecchio se la gode. L'unico mio rancore verso di lui è che è così maledettamente conservatore che non mi lascia vivere.

La Madre                      - (amara) Ti ha tirato giù al suo livello, per pura gelosia.

Il Padre                         - Ma mi ha preso per socio, non dimenticare.

La Madre                      - (mordace) Perché tu eri il cervello! Perché aveva paura di perderti! (Una pausa).

Billy                              - (con ammirazione) Dion ha scommesso con me che sarebbe venuto vestito a quel modo. Non avrebbe paura di mostrarsi nemmeno in pigiama! (Sogghigna, con approvazione).

La Madre                      - Che bel chiaro di luna! (Va a sedersi sul banco centrale. Billy è in piedi presso l'angolo di sinistra, in avanti, la mano sulla ringhiera, come un prigioniero alla sbarra, di fronte al giudice. Il padre gli sta di faccia. La Madre annuncia, con intenzione) Dopo che avrà finito il collegio, Billy deve incamminarsi in una qualche professione. Ne sono persuasa! (.Si volge al marito, quasi a sfidarlo, come attendendo un con­trasto).

Il Padre                         - (aspro e conciliante) Proprio quello che pensavo, mia cara! L'architettura? Cosa ne pensi. Billy, un architetto di prim'ordine, come ho sempre desiderato di essere io! Soltanto, non ne ho mai avuto occasione. E Billy, lo faremo socio della ditta, dopo! Ànthony-Brown e figlio, architetti e costruttori, invece di appaltatori e costruttori!

La Madre                      - (sospirando) E non saremo di nuovo messi sempre da parte?

Il Padre                         - lo e Anthony ce la sentiamo di costruire tutto quello che lui può disegnare, fosse anche una chie­sa! Lui disegnerà e renderà la ditta celebre.

 La Madre                     - (all'aria, pensierosa) Quando mi ti sei presentato, pensavo che tu promettessi bene... (Con un sospiro) Insomma, siamo «tati fortunati. Adesso si tratta del suo avvenire. (Senza guardarlo) A Billy piacerebbe fare l'architetto?

Billy                              - Va bene, mamma. (Timidamente) Confesso di non essermi mai troppo preoccupato per quello che vo­levo fare dopo il collegio. Ma l'architettura mi va.

La Madre                      - (all’aria, vanitosa) Billy disegnava già fin da piccolo.

Il Padre                         - (giubilante) Billy ha tutte le qualità per vincere. Purché non gli manchi la voglia di lavorare.

Billv                              - (ubbidiente) Lavorerò, papà.

La Madre                      - Billy può fare quel che vuole.

Billy                              - (imbarazzato) Proverò, mamma. (Una pausa).

La Madre                      - (con un improvviso brivido) Le notti sono molto più fredde di una volta! Pensate, quando ero ragazza, una volta feci il bagno al chiaro di luna, in giu­gno. Ma la luna era così tiepida e chiara, in quei giorni, ti ricordi, papà?

Il Padre                         - (mettendole affettuosamente il braccio at­torno alla vita) Pensa se non me nè ricordo, mamma. (La bacia. L'orchestra del Casino attacca un valzer) An­diamocene a vedere questa 'gioventù che balla. (Escono lasciando Billy).

La Madre                      - (volgendosi improvvisamente indietro) Voglio veder ballare Billy!

Billy                              - (ubbidiente) Sì, mamma. (Egli la segue, per un poco si sente il fioco suono della musica e lo sciacquio delle onde. Poi nuovamente dei passi e i tre Anthony entrano. Prima il Padre e la Madre, che non sono mascherati; il Padre è un uomo alto e magro di cinquanta-cinque o sessant’anni, con una brutta faccia diffidente, testardo fino alla debolezza stupida. La Madre è una donnina sottile e scolorita, di modi eternamente distratti e nervosi, ma con un viso dolce e gentile che deve es­sere stato assai bello. Il Padre ha un abito nero mala­mente accomodato, che gli dà Varia di un becchino. La Madre veste modestamente e comunemente di nero. Dietro di loro, solitario come un estraneo, segue il figlio, Dion. Ha circa la stessa età del giovane Brown, ma è sottile, magro, irrequieto; Ha gesti nervosi, a scatti. La sua faccia è mascherata. La maschera è un'impronta fis­sata del suo stesso viso scuro, spirituale, poetico, appas­sionatamente ipersensibile, senza difesa nella sua infan­tile, religiosa fede nella vita - entro l’espressione di un giovane Pan beffardo, noncurante, pieno di sfida, alle­gramente motteggiatore e sensuale. Veste una camicia di flanella grigia, aperta al collo, sandali ai piedi nudi e pantaloni macchiati di lana bianca. Il Padre va fino al banco centrale e si siede. La Madre resta in piedi presso il banco di sinistra. Entrambi fissano Dion che con stu­diata indifferenza, si addossa alla ringhiera, al posto del giovane Brown. Essi lo osservano di traverso, imbarazzati).

La Madre                      - (improvvisamente, lamentosa) Bisogna proprio che tu lo mandi in collegio!

Il Padre                         - Non voglio. Non ci credo! Nei collegi i fannulloni imparano a spremere fino all'ultimo i poveri vecchi padri! Lasciatelo sgobbare come ho fatto io! Così imparerà il valore del denaro! Il collegio lo farà sol­tanto diventare un po' più stupido di quanto non lo sia già. Io non ho mai perso tempo dietro alla grammatica, ma ho guadagnato soldi e fatto buoni affari. Lasciate che si faccia da se, come ho fatto io!

Dion                              - (motteggiante, all'aria) Questo signor Anthony è mio padre, ma s'immagina di essere Iddio padre.

Il Padre                         - (imbarazzato, stizzito) Che... che cosa vuoi dire?

La Madre                      - (con indulgente rimostranza, al figlio) Dion, caro! (Al marito, sarcastica) Brown si prende tutto il merito! Va dicendo dovunque che il successo è tutto merito della sua energia... che tu non sei che un vecchio rimbambito!

Il Padre                         - (punto sul vivo, ruvido) Lo sa lui, che se non gli avessi insegnato un po' di buon senso io, con le sue idee esaltate ci avrebbe già rovinati da un pezzo!

La Madre                      - Ora manda Billy in collegio... la signora Brown me lo ha detto poco fa. Gli faranno studiare ar­chitettura, dopo, perché possa aiutare la ditta a espan­dersi.

Il Padre                         - (arrabbiato) Che cosa? (Si volta improv­visamente a Dion, furibondo) Allora, puoi deciderti an­che tu ad andarci! E se non riesci a diventare un archi­tetto migliore di Billy, ti butto a mare senza un cente­simo! Hai capito?

Dion                              - (motteggiante, all’aria) La scelta è difficile.» ma l'architettura mi sembra meno faticosa.

La Madre                      - (lusingante) Tu sarai un magnifico archi­tetto, Dion. Hai fatto sempre dei quadri così belli...

Dion                              - (con uno scatto, risentito) Perché deve men­tire? E' colpa mia? Lo sa essa che tento soltanto di dipingere! (Appassionatamente) Ma voglio farlo, un giorno! (Poi, di nuovo beffardo) Il collegio! Bene, non starò più in casa, in tutti i modi, non è vero? (Ride, sardonico, e s'inchina davanti al padre) Ringrazio il signor Anthony per questa splendida occasione dì creare me stesso... (bacia la madre che s'inchina con singolare umiltà, come una serva davanti a un padrone giovane) ...a immagine di mia madre, perché essa possa sentire la sua vita piacevolmente conclusa. (Si siede al posto del Padre al centro; e la sua maschera guarda fisso, con glaciale motteggio. I genitori sono in piedi accanto a lui, « lo guardano in silenzio).

La Madre                      - (con un brivido) Fa freddo. Una volta non faceva tanto freddo a giugno. Mi ricordo di quel giugno, quando ti portavo in grembo, Dion, tre mesi pri­ma che tu nascessi. (Fissa il cielo) La luna era calda, allora. Mi pareva di sentire la notte avvolgermi come un abito di velluto grigio foderato di cielo tepido e rica­mato di foglie d'argento.

Il Padre                         - (ruvido ma con certo rispetto) Mia madre soleva dire che la luna piena era tempo buono per se­minare. Era terribilmente antiquata. (Con un brontolio) Sento arrivare i miei reumatismi. Rientriamo.

Dion                              - (con amarezza intensa) Nascondetevi! Vergo­gnatevi! (/ tre rientrano, lentamente. Di nuovo silenzio, interrotto solo dallo sciacquio delle onde. Poi entra Mar­garet seguita da Billy Brown in atto di umile adorazione. Essa ha circa diciassette anni, è graziosa e vivace, bionda, con grandi occhi romantici, il corpo agile e forte, l’espressione intelligente ma giovanilmente sognatrice. Veste semplicemente di bianco. Quando entra, ha la faccia ma­scherata con un'esatta, quasi trasparente riproduzione dei suoi tratti, che però le conferisce le astratte qualità di una fanciulla invece della sua personalità).

Margaret                       - (guardando la luna, canta a voce bassa una melodia popolare).

Billy                              - (ardentemente) L'ho sentita cantare nel gram­mofono! E’ deliziosa! Cantate ancora! (Essa guarda verso il cielo, in silenzio. Egli si tiene rispettosamente dietro di essa. Cerca di avviare la conversazione) I «rubayat » sono una bella cosa, non è vero? Non ho mai potuto imparare una riga di poesia a mente. Dion sa tante poesie di Shelley a memoria.

Margaret                       - (si toglie lentamente la maschera. Alla luna) Dion! (Una pausa).

Billv                              - (inquieto) Margaret!

Margaret                       - (alla luna) Dion è meraviglioso!

Billy                              - (goffamente) Vi ho chiesto di venire qui perché avevo qualcosa da dirvi.

Margaret                       - (alla luna) Perché Dion mi guardava così? Mi faceva diventar pazza!

Blly                               - Anzi... vi volevo domandare qualcosa.

Margaret                       - Da quella volta che mi ha baciato non posso dimenticarlo! Scherzava solamente... ma io ero fuori di me! E lui l'ha capito, e ha riso.

Billy                              - Perché, vedete, non sono ben sicuro, ma scommetto che tutti in città lo sanno, e mi prendono sempre in giro... Sicché, ormai lo dovete sapere, quello che penso di voi.

Margaret                       - Dion è così diverso da tutti gli altri. Sa dipingere così bene e scrive poesie e suona e canta e balla meravigliosamente. Ma è triste e timido, qualche volta, come un bambino. Oh, lui capisce quello che c'è dentro di me... e mi piacerebbe mettere le mani nei suoi capelli... e lo amo! Sì, lo amo! (Tende le braccia alla luna) Oh, Dion, ti amo!

Billy                              - Vi amo, Margaret.

Margaret                       - Chissà se Dion... Mi ha di nuovo guar­data, stasera... Chissà...

Billy                              - (prende la mono di lei e balbetta) Non potete amarmi? Non vorrete sposarmi, dopo il collegio...?

Margaret                       - Dove sarà Dion, adesso e chissà..,

Billy                              - (scuote la mano di lei, dilaniato dall'incertezza) Margaret! Per piacere, rispondetemi!

Margaret                       - (destandosi dal suo sogno, si rimette la ma­schera e rivolta a lui, indifferente) Fa fresco, andiamo dentro a ballare, Billy.

Billy                              - (disperato) Vi amo! (Tenta sgarbatamente di abbracciarla).

Margaret                       - (ridendo allegramente) Come un fratello! Potete baciarmi, se volete. (Lo bacia) Ecco, un bel bacio fraterno! Non conta. (Egli indietreggia annientato, a capo basso. Essa si volge e si toglie la maschera. Alla luna) Vorrei che Dion mi baciasse di nuovo!

Billy                              - (dolorosamente) Sono un povero sciocco. Dovrei capire, piuttosto. Scommetto che indovino! Voi siete innamorata di Dion. Ho veduto come lo guarda­vate. Non è vero?

Margaret                       - Dion! Mi piace la musica del suo nome.

Billy                              - (duro) Bene... è stato sempre il migliore amico mio. Sono contento che sia lui. (le prende la mano, glie la stringe) perciò vi auguro ogni bene e feli­cità, Margaret, e ricordatevi che sarò sempre il migliore amico vostro! (Le stringe ancora una volta la mano. Inghiotte amaro, poi, virilmente) Torniamo dentro!

Margaret                       - (alla luna, vagamente annoiata) Che cosa fa qui Billy Brown? Voglio andarmene giù alla spiaggia». Dion è la luna e io sono il mare. Voglio sentire la luna baciare il mare. Voglio che Dion abbandoni il cielo per me. Voglio che la marea del mio sangue lasci il mio cuore e lo segua! (Mormora come una bimba) Dion! Margaret! Peggy! Peggy è la bimba di Dion! Peggy è la piccola bimba di Dion! (Canta giocosamente, folleggiando) Dion è il mio piccolo papà! (Va verso la spiaggia, a sinistra).

Billy                              - Me ne vado. Dirò a Dion che siete qui.

Margaret                       - (sempre più forte e convinta) E io sarò la signora Anthony... la moglie di Dion: e lui sarà il mio Dion, il mio solo Dion, il mio fanciullo! La luna si è annegata nella marea del mio cuore e la pace scende profonda sul mare! (Sparisce a sinistra. Il viso senza maschera, volto all’alto, ha l'espressione inebriata di una visionaria. Di nuovo silenzio, rotto solo da una mu­sica di danza. Poiché finisce, entra Dion. Egli va rapi­damente al banco di centro, e vi si lascia cadere, celando la faccia mascherata nella mano. Dopo un momento alza il capo e ascolta, indi lentamente si toglie la maschera. Il suo vero viso si rivela nella splendida luce lunare, con­tratto, timido e gentile, pieno di profonda malinconia),

Dion                              - (con doloroso stupore) Perché ho paura di bal­lare, io che amo la musica e il ritmo, il canto, il riso? Perché ho paura di vivere, io che amo la vita, e la bellezza della carne e i vividi colori della terra e del cielo e del mare? Perché ho paura di amare, io che amo l'amore? Perché ho paura, io che non ho paura? Perché debbo nascondermi nel disprezzo di me stesso per poter comprendere? Perché devo essere tanto vergo­gnoso della mia forza, tanto fiero della mia debolezza? Perché debbo vivere in una gabbia come un delinquente, provocando e odiando, io che amo la pace e l'amicizia? (Giungendo le mani supplichevole) Perché sono stato messo al mondo senza pelle, e debbo portare un'arma­tura per poter toccare ed essere toccato? (Un ansioso silenzio; improvvisamente egli s'imprime di nuovo la maschera sul viso, con, un gesto di disperazione, e la sua voce si fa amara e sardonica) O piuttosto, vecchio Barbagrigia, perché diavolo sono nato? (Si sentono passi a destra. Dion si irrigidisce e la sua maschera fissa dir ritto avanti a se).

Billy                              - (entra dalla destra. Si aggira sconsolato; ve­dendo Dion si ferma bruscamente, risentito; ma subito la sua generosità riprende il sopravvento. Imbarazzato) Ebbene, Dion: ti ho cercato dappertutto. (Siede sul banco di destra, sforzandosi a un tono giocoso) Che cosa fai seduto qui, stupido, vuoi diventare ancora più luna­tico? (Una pausa. Goffamente) Ho lasciato ora Margaret.

Dion                              - (ha uno scatto, poi beffardo, sulle sue) Ti benedico, figlio mio!

Billy                              - (brusco, deluso) E’ finita, ormai. Non ne vuol sapere di me. Tu sei nato con la camicia. Va e vinci! Siamo stati compagni sin da bambini; vero? E mi fa piacere che sii tu, Dion. (Prende la mano di Dion e  gliela stringe).

Dion                              - (lasciando ricadere la mano, amaro) Compa­gni? Macché! Billy Brown mi disdegnerebbe!

Billy                              - Essa ti aspetta laggiù, ora, alla fine della spiaggia.

Dion                              - Chi? Dove? Oh, no, le ragazze vogliono guar­dare soltanto quello che vedono!

Billy                              - Essa è innamorata di te.

Dion                              - (commosso - una pausa - balbetta) Un mira­colo? Sono spaventato! (Canticchia, impertinente) Io amo, tu ami, egli ama, essa ama! Essa ama, essa ama che cosa?

Billy                              - Eppure, tu lo sai, che sei innamorato di lei!

Dion                              - (commosso) Io amo l'amore! Ma ho paura! (Aggressivo) Avevo paura! Non più, ora! Ora posso fare all'amore con chiunque! Sì, io amo Peggy! Perché no? Chi è lei? Chi sono io? Noi amiamo, voi amate, essi amano, uno ama! Nessuno ama! Tutti amano un'amante. Dio ci ama tutti e noi l'amiamo! Amore è una parola - uno straccio di fantasma di una parola senza pudore  che mendica a tutte le porte, pur di vivere ad ogni costo!

Billy                              - (come se non avesse udito) Di un po', ci troveremo in una camera insieme, in collegio?

Dion                              - Billy vorrà stare vicino a lei!

Billy                              - Vedremo, allora! (Sforzandosi a sorridere) Ricordati che essa ti aspetta. (Se ne va).

Dion                              - (tra sé) Mi attende! (Lentamente si toglie la maschera. Il suo volto è trasfigurato dalla gioia. Egli leva gli occhi al cielo, rapito. Dal fondo della spiaggia si ode la voce di Margaret).

Margaret                       - Dion!

Dion                              - (rapito) Margaret!

Margaret                       - (più vicina) Dion!

Dion                              - Margaret!

Margaret                       - Dion! (Essa giunge correndo, la sma­schera in mano. Egli le corre incontro, tendendole le braccia, ma essa indietreggia con un grido di spavento, e in fretta si copre il viso con la maschera. Fredda, adirata) Chi siete voi? Perché mi chiamate per nome? Non vi conosco!

Dion                              - (disperato) Ti amo!

Margaret                       - (gelida) E’ uno scherzo, o siete ubriaco?

Dion                              - (supplichevole) Margaret! (Ma essa lo guarda, sdegnosa. Allora, con un fulmineo gesto, egli s'imprime la maschera e ride selvaggio ed amaro) Ah! Ah! questa sì che è bella, Peg!

Margaret                       - (con delizia, togliendosi la maschera) Dion! Come potevate... Oh Dio, non vi avevo ricono­sciuto!

Dion                              - (cingendole arditamente la vita) Come? E’ la luna - la pazza luna - la scimmia nella luna, che ci gioca certi tiri! (Con la maschera, la bacia ripetutamente, fingendo una romantica passione) Tu mi ami! Tu Io sai! Dimmelo! Voglio sentirlo! Voglio saperlo! Ti desidero, come mi desideri tu!

Margaret                       - (estatica) Oh Dion, sì! ti amo!

Dion                              - (ironico, retorico) E io ti amo! Oh, pazza­mente! Oh, per sempre, amen! Tu «ei la mia stella ve­spertina e tutte le Pleiadi! I tuoi occhi sono stagni azzurri in cui nuotano sogni d'oro, il tuo corpo è una giovane betulla che si stende sotto le labbra della pri­mavera. Così! (Egli la piega, tenendola abbracciata, il viso su di lei) Così! (La bacia).

 Margaret                      - (con appassionato languore) Oh Dion! Ti amo! (Mentre parlano, la luna è passata dietro una nuvola oscura, e la sua luce va impallidendo. C'è un momento d'intensa oscurità e silenzio, poi, gradatamente la luce ritorna. Si ode la voce di Dion, prima in un mormorio, poi in un crescendo, in ritmo con la luce)'.

Dion                              - Risvegliati! E' tempo di svegliarsi. E' tempo di esistere! Impara a fingere! Copri la tua nudità! Im­para a mentire! Impara ad andare al passo! Vai con U processione! Il Grande Pan è morto! Vergognati!

Margaret                       - (con un singhiozzo) Oh Dion, io mi ver­gogno!

Dion                              - (motteggiando) Sss! Guarda la scimmia nella luna! Guarda come balla! La sua coda è un pezzo di corda che le rimase quando si staccò da Geova e scappa a raggiungere il circo di Carlo Darwin.

Margaret                       - Lo so, ora dovete odiarmi! (Gli getta le braccia al collo e appoggia il capo sulla sua spalla).

Dion                              - (profondamente commosso) Non piangere! (Improvvisamente si strappa la maschera, appassionata' mente) Odiarti? Ti amo con tutta l'anima! Amami! Perché non puoi amarmi, Margaret? (Egli tenta di baciarla, ma essa balza in piedi con un grido di terrore, protegger dosi il viso con la maschera).

Margaret                       - No! Vi supplico! Non vi conosco! Mi fate paura!

Dion                              - (rimettendosi la maschera, calmo e amaro) V» bene. Non mi farò vedere mai più       - (L'abbraccia, motteg­giando amabilmente) Così! Non piangete! Non spaventa­tevi! Dion Anthony vi sposerà, un giorno! (La bacia) Io prendo questa donna... Signora Anthony, vogliamo rien­trare, e volete concedermi il prossimo ballo?

Margaret                       - (teneramente) Pazzo fanciullo! (Indi ri­dendo con gioia) La signora Anthony! Come suona bene! (Rientrano mentre si chiude il sipario).

Fine del prologo

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

Sette anni dopo. La stanza di soggiorno in casa degli Anthony, nella metà di un villino a due piani, in uno di quei quartieri di casette a tipo unico, che stordiscono l'occhio con la moltiplicata bruttezza. Un seggiolone a sinistra, una tavola con una sedia in fondo al centro, un sofà a destra. La parete di fondo è dipinta con l’intollerabile realismo di particolari, privo di vita, delle pit­ture stereotipate che di solito adornano il salotto di simili case. E’ il tardo pomeriggio di una grigia giornata inver­nale. Dion siede dietro il tavolo fissando innanzi a sé. La maschera gli pende sul petto sotto il collo, dando così l'effetto di due volti. Il suo vero volto è molto invec­chiato, è teso e torturato, ma al tempo stesso, in certo modo più altruistico ed ascetico, più fissato nel suo mor­boso riserbo verso la vita. Anche la maschera è mutata. E' più vecchia, più sfiduciata e beffarda; il suo sogghigno è sforzato e amaro; il carattere di Pan diventa mefisto­felico, e comincia a mostrare la devastazione del vizio. Un passo si avvicina; entra Margaret. E' molto elegante, vestita all'ultima moda, con un mantello di pelliccia. E’ diventata matura e materna, malgrado la sua giovinezza. Il suo grazioso viso è ancora fresco e sano, ma rivela il principio di un’espressione costantemente preoccupata, apprensiva, e una pena inesplicabile negli occhi. Dion si mette la maschera e affetta di essere occupato a leg­gere il giornale. Essa si china e lo bacia.

Margaret                       - (con forzata gaiezza) Buon giorno... alle quattro del pomeriggio! Russavi, quando me ne sono andata!

Dion                              - (le pone il braccio d’attorno con gesto negli­gente. Beffardo) Il marito ideale!

Margaret                       - (distolta da un altro pensiero, siede sulla sedia a sinistra) Avevo paura che i bimbi ti distur­bassero, così li ho portati di là a giuocare dalla signora Young. (Una pausa. Dion riprende il giornale) Vorrei che tu ti provassi a interessarti un pò dei tuoi bam­bini, Dion.

Dion                              - (motteggiando) Vuoi farmi diventare padre... prima di pranzo? E’ un momento troppo delicato. (Margaret si distoglie, urtata. Egli le accarezza la mano, va­gamente) Bene. Proverò.

Margaret                       - (premendo la mano di lui con dispotica tenerezza) Giuoca un po' con essi! In fondo sei un fanciullo più grande di loro...

Dion                              - Fra poco, diventerò addirittura un pargoletto! Lasciate che i pargoli vengano a me!

Margaret                       - Tu sei il mio primo bambino!

Dion                              - Questa donna vive nel regno dei cieli!

Margaret                       - (ritirando la mano) Parlavo sul serio.

Dion                              - Anch'io. (Ride) Tutta questa diplomazia do­mestica! Noi comunichiamo soltanto per mezzo di un ci­frario; ma nessuno di noi due ha la chiave dell'altro.

Margaret                       - (confusa, accigliata. Poi, in tono forzata-mente faceto) Vorrei parlare sul serio con voi, gio­vanotto! A dispetto delle vostre promesse, non avete smesso tutto quel gran bere e giocare che avete comin­ciato l'anno scorso, mentre eravamo ancora in Europa!

Dion                              - Da che ho capito che non era in me di essere un'artista fuorché nella vita... e nemmeno in questa (Ride, amaro).

Margaret                       - (convinta) ' Ma tu sai dipingere, Dion, meravigliosamente!

Dion                              - (con dolore profondo) No, (Subitamente le prende la mano e glie la bacia, riconoscente) Ti amo, Margaret! La tua cecità sorpassa ogni certezza! (Poi amaro) Oppure è pietà?

Margaret                       - Ci resta solo un centinaio di dollari in banca.

Dion                              - (con immensa sorpresa) Come, tutto il denaro della vendita della casa se n'è andato?

Margaret                       - (stanca) Ogni giorno o quasi hai firmato degli assegni. Hai bevuto, non hai mai contato il soldo.

Dion                              - ( irritato) Lo so! ( Una pausa. Serio) Non abbiamo più niente su cui possiamo contare, no? Bene, per cinque anni almeno abbiamo potuto starcene tran­quilli, in Europa. Ci ha portato un po' di felicità». Non è forse vero? Vivere, e amarci, e avere dei figli... (Una breve pausa. Amaro) Creare, prima d'aver «co­perto che non si è capaci di creare!

Margaret                       - (con convinzione, ma un po' sforzata) Ma tu sai dipingere meravigliosamente!...

Dion                              - (irritalo) Sta zitta! (Una pausa) E cosi, mia moglie pensa ch'io abbia il dovere di mettermi sotto a lavorare, per mantenere la famiglia nel magro modo al quale dovrà pure abituarsi?

Margaret                       - (vergognosa) Non ho detto questo! Ep­pure... qualcosa bisognerà pur fare!

Dion                              - (aspro) Signora Anthony, volete aver la cor­tesia di suggerirmi che cosa?

Margaret                       - Ho incontrato Billy Brown, per strada. Mi diceva che saresti diventato un buon architetto, se tu avessi avuto un po' di buona volontà.

Dion                              - Invece di lasciare il collegio alla morte dei miei vecchi? Invece di sposare Peggy « andarmene in Europa ed essere felice?

Margaret                       - (come se non avesse udito) Mi diceva che sapevi disegnare così bene.

Dion                              - A quei tempi, Billy era innamorato di te, Margaret.

Margaret                       - Voleva sapere perché non sei mai andato a trovarlo.

Dion                              - Lui è nato con la camicia. Anthony e Brown, appaltatori e costruttori. Brown e figlio, architetti e co­struttori. Il vecchio Brown muore di orgoglio paterno, e ora abbiamo William Brown architetto! Persino la sua carriera ha un disegno architettonico. Uno dei tanti tortelli di fango del buon Dio.

Margaret                       - Mi ha pregato in modo particolare... Vorrebbe che tu passassi una volta da lui.

Dion                              - (balza in piedi, aggressivo) No! Orgoglio! Sono ancora vivo!

Margaret                       - Perché non vai a parlare con lui?

Dion                              - Orgoglio del mio fallimento!

Margaret                       - Siete stati sempre così buoni amici.

Dion                              - (sempre più acre) L'orgoglio che viene dopo la caduta dell'uomo, col quale il creatore ride della sua stessa disfatta!

Margaret                       - Non per amor mio, ma per il tuo... e so­prattutto, per i bambini!

Dion                              - (coti disperazione) Orgoglio, orgoglio, senza il quale gli dèi sono vermi!

Margaret                       - (dopo una pausa, dolce e umile) Non vuoi farlo? Ti sentiresti umiliato? Va bene, caro. Non fa niente. Ne verremo a capo, in qualche modo... non ti affliggere... ricomincerai a dipingere... e io posso sempre prendere quell'impiego nella biblioteca pubblica... Mi di­vertirebbe tanto occuparmi! (Si alza e gli prende la mano, teneramente) Ti voglio bene, caro. Comprendo.

Dion                              - (si butta sulla sedia annientato, il viso distolto da quello di lei. benché le loro mani rimangano avvinte. Con voce tremante, sommessa) L'orgoglio e mortale! (Come se soffocasse, si toglie la maschera dal volto, che appare rassegnato, pallido, sofferente. Egli prega come un santo nel deserto esorcizzante un demone) L'orgo­glio è morte! Beati gli umili! Beati i poveri di spirito!

Margaret                       - (senza guardarlo, in tono materno) Po­vero ragazzo mio!

Dion                              - (risentito si rimette la maschera. Balzando in piedi, ironico) Beati i poveri di spirito, poiché sono ciechi! (Con torturata amarezza) Va bene. Allora, dirò a mia moglie di andare a pregare Billy Brown... è più crudele che se vi andassi io stesso... Di pregarlo se può trovare una carriera per un giovanotto d'ingegno, che è onesto soltanto quando ha bevuto. Imploralo, supplicalo in nome del vecchio amore, della vecchia amicizia.» di fare l'eroe generoso e salvare la donna e i suoi figli! (Ride, con una specie di diabolica ironica gioia, e si alza per uscire).

Margaret                       - (umile) Vai giù in strada, Dion?

Dion                              - Sì.

Margaret                       - Vuoi passare dal macellaio e dirgli di mandare a casa mezzo chilo di carne?

Dion                              - Sì.

Margaret                       - E puoi fermarti dalla signora Young e dire ai bambini che tornino presto a casa?

Dion                              - Sì.

Margaret                       - Torni per il pranzo, Dion?

Dion                              - No. (Esce, La porta d'ingresso sbatte).

Margaret                       - (sospira, stanca, senza comprensione. Va alla finestra e fissa fuori. Poi rivoltandosi, preoccupata) » Spero che faranno attenzione nell'attraversare la strada...

 

QUADRO SECONDO

L'ufficio di Billy Brown. Sono le cinque del pome-riggio. Al centro una bella scrivania di mogano con una sedia girevole. A destra, un seggiolone. A sinistra della scrivania, un portacarte. Lo sfondo è la parete di un ufficio, trattata come lo sfondo della prima scena, nella rappresentazione ultrameticolosa del particolare. Billy Brown è seduto alla scrivania e osserva un di­segno, alla luce di una lampada da studio. E' diventato un bel tipo dell'uomo d'affari americano uscito dall’università, elegante, abile, tuttavia fanciullesco e con la stessa amabile personalità d'una volta. Il telefono suona.

Brown                           - (rispondendo) Sì? Chi? (In tono di sor­presa, poi con vivo piacere) Fatela entrare subito. (Si alza e va alla porta, ansioso, incuriosito. Entra Marga­ret. Il suo volto è celato dietro la maschera di una graziosa giovane signora, che serba verso le cose della vita un atteggiamento ingenuamente innocente e pieno di coraggiosa speranza, decisa a non riconoscere le piaghe del mondo. E’ vestita come nella prima scena, ma con qualche aggiunta di effetti qua e là).

Margaret                       - (molto gaia) Buon giorno, Billy Brown!

Brown                           - (un pò imbarazzato, le stringe la mano) Entrate. Sedetevi. E’ una bella sorpresa, Margaret. (Essa si siede sul divano. Egli siede dietro la scrivania, come prima).

Margaret                       - (guardandosi intorno) Che begli uffici, Dio mio! Billy Brown sta diventando celebre!

Brown                           - (con compiacimento) Ci siamo appena messi a posto. Il vecchio ufficio era troppo piccolo.

Margaret                       - Tutti dicono che riuscite tanto bene, Billy.

Brown                           - (modesto) Veramente, per essere sinceri, è «tata la fortuna. Le cose mi sono venute incontro senza che io mi sia data molta pena. Però, ho fatto qualche cosetta anch'io... (Prende un progetto dallo scrittoio) Vedete, questo è il mio progetto per il nuovo muni­cipio. E' stato appunto accettato - provvisoriamente - dal Comitato.

Margaret                       - (vagamente) Oh! (Vi getta un'occhiata. Una pausa. Improvvisamente) L'altro giorno, ricordavate quanto Dion disegnava bene.

 Brown                          - (un po' sostenuto) Sì, certamente. (Riprende il disegno; tutt'a un tratto si fa attento e lo osserva freddamente) Vi pare che vi sia qualcosa di un po' po­vero, nell'idea?

Margaret                       - ( indifferente) Niente affatto.

Brown                           - (con un sorriso, gaio) II Comitato lo vor­rebbe un po' più americano. Ha troppo l'aspetto conven­zionale di una tomba greco-romana, dicono. (Ride) Vor-rebbero un tocco di originalità moderna, che lo ravvi­vasse un po', e lo rendesse diverso dagli altri edifici municipali. (Rimette il disegno sulla scrivania).

Margaret                       - (come se non avesse udito) Dion dise­gnava molto bene, dicevate?

Brown                           - (cercando di nascondere la sua contrarietà) Ma... sì, disegnava benino, e ancora saprà disegnare, immagino. (Una pausa. Egli supera l'impulso di cadere in una contesa poco dignitosa e torna a volgersi a lei, generoso) Dion sarebbe riuscito un architetto in gamba.

Margaret                       - (con orgoglio) Lo so. Potrebbe essere tutto quel che vuole.

Brown                           - (una pausa. Imbarazzato) Sta lavorando a qualche cosa, in questo momento?

Margaret                       - (sulle sue) Oh, sì! Si è messo a dipin­gere! Ma è proprio un ragazzo così poco pratico. Non cerca di fare una mostra in qualche posto...

Brown                           - (sorpreso) Una volta che lo incontrai, mi pare mi disse che aveva distrutto lutti i suoi quadri, che era stanco di dipingere e aveva lasciato completamente.

Margaret                       - (pronta) Dice sempre così alla gente. Non vuole nemmeno che si vedano le sue cose, pensate un po'! Ha la mania di dire che sono orribili, mentre invece sono tanto belle. E' troppo modesto per fare i suoi interessi, non vi sembra? Vedete, i bambini gli por­tano via tanto tempo. Li adora. Ho paura che diventi un comunissimo padre di famiglia, proprio il contrario di quello che tutti si aspettavano una volta da lui.

Brown                           - (penosamente imbarazzato dal coraggio di lei, in contrasto coi fatti) Sì, lo so.

Margaret                       - Immagino che le cattive lingue andranno raccontando su di lui le solite stupide storie, come han­no fatto sempre... (Si sforza a ridere) Povero Dion! (La voce le si rompe un poco, suo malgrado).

Brown                           - (in fretta) Non ho sentito nessuna storia». (si ferma incerto, poi decide di andar più in fondo) fuorché a proposito di quattrini.

Margaret                       - (ridendo forzata) Oh, forse sono cose abbastanza vere... Dion è un po' senza testa» è generoso col suo denaro, come tutti gli artisti.

Brown                           - (con una certa brutalità) Corre voce che voi abbiate chiesto un impiego nella biblioteca pubblica.

Margaret                       - (forzandosi a un tono gaio) Ma sì, certo. Non sarebbe divertente? E poi uno di noi due deve pur diventare pratico, non vi pare? E perché non dovrei essere io?

Brown                           - (impulsivamente, le prende la mano) Ascol­tatemi, Margaret. Vogliamo essere proprio sinceri, dite? Sono un vecchio amico e Dio sa se per voi non vorrei... Lo sapete troppo bene, che farei ogni cosa al mondo per aiutare voi, o Dion.

Margaret                       - (ritirando la mano, fredda) Ho paura di non... di non capirvi, Billy Brown.

Brown                           - (sempre più imbarazzato) Bene... Volevo soltanto dire... sapete, se c'era bisogno... (Una pausa. Egli la guarda, interdetto, indi azzarda un altro passo) Avevo una proposta da fare a Dion, se solo mi riu­scisse di acchiapparlo. Ecco la faccenda... Gli affari mi si vanno ammucchiando intorno - un seguito di for­tune - ma io non arrivo a tutto. Avrei bisogno di un bravo capo disegnatore che sapesse cavarsela, altrimenti dovrei rinunciare a molto lavoro. Credete che Dion vorrebbe considerare la mia proposta -come un'occupa­zione provvisoria, finché gli tornerà la voglia di -dipin­gere?

Margaret                       - (cercando di celare la sua gioia, sollevata) Si, credo di sì, lui ha così buon carattere... e poi eravate tanto amici, una volta. E' soltanto un po' troppo puntiglioso, per lasciarsi aiutare...

Brown                           - (diffidente) Credevo fosse troppo sensi­bile per lavorare per... Voglio dire... con me. Eh, se non avesse liquidato con mio padre, sarebbe il mio socio, ora                 - (con veemenza) e, per Dio, vorrei che lo fosse! (Bru­scamente) Vogliamo provare a pescarlo ora, Margaret? Sarà a casa, adesso? (Prende il telefono).

Margaret                       - (precipitosamente) No, è uscito per una lunga passeggiata.

Brown                           - Forse lo posso trovare un po' più tardi in qualche posto.

Margaret                       - (con una punta di riserbo) Oh, non vi disturbate, non è necessario, sono sicura che quando parlerò io con lui, accetterà. (Alzandosi) Allora tutto è a posto, va bene? Dion sarà così contento di poter aiu­tare un vecchio amico! Vi ha sempre voluto tanto bene, Billy. (Tendendogli la mano) E adesso, è ora che me ne vada.

Brown                           - Arrivederci, Margaret. Spero che capiterete sovente da noi, se Dion viene qui.

Margaret                       - Sì! (Esce).

Brown                           - (torna a sedersi alla scrivania, guardando in­nanzi a sé, malinconico, insoddisfatto. Mormora, con am­mirazione mista a pietà) Povera Margaret! cerca di non pigliar le cose in tragico, ma è in una brutta posi­zione. (Indignato) Perbacco, voglio fare io un bel discorso a Dion, uno di questi giorni!

 QUADRO TERZO

Il salotto di Cibele. Un piano automatico, di quelli nei quali si introduce una moneta, è al centro in fondo. A destra, un vecchio sofà sudicio. A sinistra una sedia imbottita di velluto cremisi macchiato. La parete di fondo è tappezzeria di buon prezzo, di un giallo bruno pesante che dà una vaga e pallida impressione di un campo incolto in primavera. Sul piano una sveglia doz­zinale. Accanto a questa giace la maschera di Cibele,

Dion è steso sul dorso, profondamente addormentato, sul sofà. La maschera gli è caduta sul petto. Il suo viso pallido è singolarmente puro, spirituale e triste.

Il piano snoda con monotonia una canzoncina senti­mentale. Cibele siede su di uno sgabello di fronte al piano. E' una ragazza bionda e forte, calma, sensuale, sui venti anni, di aspetto fresco e florido, grassa di petto e di fianchi larghi; ha i movimenti lenti, robusti e lan­guidi di un animale, e nei grandi occhi sognanti l’agitato riflesso di profondi istinti. Essa mastica gomma come una vacca sacra, obliosa del tempo, con moto continuo. I suoi occhi fissano senza curiosità il pallido viso di Dion).

Cibele                            - (allorché la melodia finisce guarda la sveglia che segna circa la mezzanotte, poi si china lenta sopra Dion e gli pone lievemente la mano sulla fronte) Svegliati!

Dion                              - (si stira, sospira e mormora come in sogno) Ed egli posò la sua mano su di essi, e li guarì. (Con un sospiro apre gli occhi, e alzandosi a sedere fissa Cibele spaventato) Chi siete voi? (Cerca la sua maschera e se la pone sul viso, difensivo).

Cibele                            - (placida) Sono una femmina. Vi ho trovato addormentato sui miei scalini. Potevo avere dei guai, se le guardie vi avessero pizzicato e se la fossero presa con me, e così, vi ho portato dentro a dormire.

Dion                              - (scherzando) Beati i pietosi, sorella! Io sono nei guai, ma voi sarete ricompensata in cielo!

Cibele                            - (calma) Non ho sprecato la mia compassione. Perché dovrei? Avete dormito bene, non è vero?

Dion                              - Benissimo! Non siete moralista, a quanto pare.

Cibele                            - E avete anche l'aria di un bravo ragazzo, quando dormite. Dicevo, è meglio che cerchiate di an­dare a casa vostra a dormire o vi chiuderanno fuori.

Dion                              - Ora diventale materna, signorina Terra. E’ questa la sola risposta... rinchiudere la mia anima tra due lenzuola vuote? (Essa lo fissa e il suo volto si fa duro. Egli ride) Ma per piacere, non cessate di accarez­zare la mia fronte dolorante. La vostra mano è un fresco cataplasma sulla ferita dei pensieri.

Cibele                            - (calma) Finitela. Odio questi luoghi comuni. (Essa lo guarda come se aspettasse che egli si tolga la maschera, poi gli volge la schiena, indifferente, e va al piano) Bene se volete semplicemente essere un povero diavolo di avventore come tutti gli altri fannulloni che capitano qui, sarà meglio che reciti anche con voi. (Pren­de la sua maschera e se la mette, indi si volge. La ma­schera è la fisionomia truccata e bistrata della prostituta indurita. Con voce rozza, aspra)  Per piacere tirate fuori le vostre cattive intenzioni! Non posso starmene qui tutta la notte a farvi compagnia. Facciamo un po' di musica! (Mette una moneta nel piano. Ricomincia la stessa cantilena sentimentale. Le due maschere si fissano a vicenda. Essa ride) Sparate, lo sono a posto! E1 il vostro giuoco, messer Lucifero!

Dion                              - (lentamente si toglie la maschera. Cibele ferma la musica, con una scossa. Il volto di lui è dolce e malin­conico. Umilmente) Perdonatemi. E’ stato sempre un tale tormento per me Tessere commosso!

Cibele                            - (togliendosi la maschera, si siede sullo sgabello, con simpatia) Povero bambino! Non ne ho mai avuto, ma indovino. Gli altri, vi abbracciano, vi baciano e vi prendono sulle ginocchia e vi pizzicano e vi vogliono veder vestita e spogliata, come se fossero i padroni...

Dion                              - Anche voi siete smarrita in un vicolo cieco. (Tendendole ad un tratto la mano) Ma siete forte. Re­stiamo amici.

Cibele                            - (con strana severità, cercando U viso di lui) E mai niente di più?

Dion                              - (con un singolare sorriso) Diciamo piuttosto, mai niente di meno! (Essa gli prende la mano. Si sente suonare alla porta di casa, a due riprese. Entrambi si fissano).

Cibele                            - (si rimette la maschera, Dion fa lo stesso. Scher­zevole) Quando si è obbligati a fare all'amore per vi­vere è difficile amare la vita. Farei meglio ad associarmi alla congregazione di carità e a mendicare. Hai un soldo, marmocchio? Suoniamo un po'. (Esce. Dion mette una moneta nel piano. La stessa melodia sentimentale. Cibele ritorna seguita da Billy Brown. La faccia di lui è composta e rigida, ma rivela un supremo disprezzo per Dion. Dion ferma a metà la musica; lui e Brown si guardano per un momento, mentre Cibele li osserva, indi, annoiata, sbadiglia) Costui vi sta dando la caccia. Spegnete la luce quando uscite. Io me ne vado a dor­mire. (Fa per andare; poi, come se si ricordasse di qual­cosa, a Dion) La vita non è cattiva, se la lasciate in pace. (Getta un sorriso professionale a Brown) Adesso che sai la strada, carino, fischiami qualche volta. (Se ne va).

Brown                           - (dopo una pausa imbarazzante) Dunque, Dion! Ti ho cercato per tutta la città! Questo posto era l'ultima speranza... (Un'altra pausa) Andiamo a fare quattro passi...

Dion                              - (beffardo) Non faccio più sport. Pretendono che allunghi la vita.

Brown                           - (persuasivo) Andiamo, Dion, sii buono, non vuoi mica restare qui?

Dion                              - A Billy piace l'idea di avermi colto in fla­grante, eh?

Brown                           - Non far lo sciocco! Ascoltami. Andavo in cerca di te per ragioni puramente egoistiche. Ho bisogno del tuo aiuto.

Dion                              - (stupito) Cosa?

Brown                           - Debbo farti una proposta che spero consi­dererai favorevolmente, per amor della nostra vecchia amicizia. Per essere sinceri, Dion, ho bisogno che tu mi dia una mano, giù in ufficio...

Dion                              - (con una risata aspra) Dunque è un impiego? Allora, la mia povera moglie è andata a chiedere l'ele­mosina!

Brown                           - (urtato) Al contrario, sono io che ho do­vuto pregarla di indurli a accettare! (Irritato) Senti, Dion! Non voglio sentirti parlare in quel modo di Mar­garet! Già non lo faresti, se non fossi ubriaco! (Scuo­tendolo) Che diavolo ti ha preso, ora? Non eri così, una volta! In che razza d'inferno vuoi ridurli! Buttarti a fiume e trascinar Margaret con te? Se tu l'avessi intesa difenderti, mentire per te, raccontarmi quanto lavoravi, che cose meravigliose dipingevi, e come stavi sempre in casa, e adoravi i tuoi figli! Quando ognuno sa che ogni notte te ne andavi, bevendo, e giuocandoti gli avanzi del vostro patrimonio... (Si ferma, vergognoso, controllandosi).

Dion                              - (depresso) Essa mentiva su suo marito, non su me, stupido! Ma non serve spiegare... (Poi, con improvviso furore) Che cosa vuoi? Son disposto a tutto, meno che all'umiliazione di gridar segreti ai sordi!

Brown                           - (tentando un tono di minaccia, burbero) Mariolo! Non cercar di sgattaiolare! Non ci sono scuse e tu lo sai. (Poiché Dion non replica, pentito) Lo so, che non dovrei comportarmi così... E' solo perché siamo vecchi compagni, che non posso vederti perdere così

Dion                              - (commosso) So che Billy è sempre stato amico di Dion Anthony.

Brown                           - Puoi ben dire che lo sono ancora, e te lo avrei provato da un pezzo, se me ne avessi soltanto dato una mezza occasione. Dopo tutto, non potevo mica cer­carti col lanternino, a costo di esser sgridato ogni volta. Un uomo ha un po' d'orgoglio!

Dion                              - (motteggiando, amaramente) Che mortale er­rore! Giammai! Per nulla al mondo! E' immorale! Beati i poveri di spirito, fratello!

Brown                           - (vivamente) Allora, accetti? Mi aiuterai?

Dion                              - (stanco e amaro) Piglierò l'impiego. Bisogna far qualcosa per passare il tempo, mentre si aspetta... per la prossima incarnazione.

Brown                           - (scherzoso) Direi che è un po' presto per pensarci. (Cercando di persuader Dion a venir via) An­diamocene. E’ tardi...

Dion                              - (si scosta. Dopo una pausa)   - C'è ancora la sedia di mio padre?

Brown                           - (imbarazzato) Non... non me ne ricordo bene, Dion. Guarderò.

Dion                              - (togliendosi la maschera, lentamente) Mi pia­cerebbe vedere dove ha racimolato quello che io ho speso. Quanto ci eravamo stranieri! Quando lo vidi mor­to, il suo volto mi era così familiare, che mi domandai dove avessi mai incontrato prima quell'uomo. Solo nell'attimo della mia concezione; dopo di che, diventammo nemici, con dissimulata vergogna. E mia madre? Ricordo una fanciulla dolce, strana, con occhi affettuosi, pieni di terrore come se Iddio l'avesse racchiusa in un carcere oscuro senza nessuna ragione. Io ero l'unica bamboli che l'orco suo marito le permettesse ed essa giocò alla mamma col bambino per molti anni in quella casa, finche in ultimo, attraverso due lacrime la vidi spegnersi con il timido orgoglio della bimba che ha allungato le sue vesti e tirato su i capelli. E io mi sentivo come un gio­cattolo abbandonato e chiedevo di esser seppellito con lei, perché soltanto le sue mani mi avevano accarezzato senza graffiarmi. Essa visse a lungo, e invecchiò assai nei due giorni prima che chiudessero la sua bara. L'ul­tima volta che la guardai, la sua purezza mi aveva di­menticato, essa era senza macchia, imperitura. Allora mi accorsi che i miei singhiozzi erano brutti e senza senso accanto alla sua verginità; così tornai indietro, con i nervi nudi che vibravano disperatamente. E nel corso della vita un'altra fanciulla mi chiamò il suo fanciullo e mi sposò e divenne tre volte madre in una sola per­sona, mentre io mi imbrattavo le zampe di colore nello sforzo di veder Dio! (Ride. S'imprime la maschera sul volto) Ma il vecchio Dio, da buon umorista, mi ha dato occhi miopi, cosicché ora debbo prestargli giuramento prima di accettare il posto che m'offre l'Onnipossente, il Fortunato, il Serenissimo, l'Unico, Il Grande Dio Brown! (Fa un gran inchino beffardo).

Brown                           - (disgustato ma insinuante) Stai zitto, «cerno! Sei ancora ubriaco! Andiamo! Usciamo. (Prende Dion per il braccio, e spegne la luce).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

II salotto di Cibele. Verso il tramonto, in primavera, sette anni più tardi. Il mobilio è lo stesso, ma le sedie e il sofà sono nuovi, costosi, a colori vivaci II vecchio piano automatico al centro, con la sveglia da buon prezzo, non è mutato. Ai lati della sveglia, le maschere di Dion e Cibele. Lo sfondo è coperto d'una tappezzeria brillante, vivacissima, nella quale fiori cremisi e porporini e frutti si affastellano in una disordinata mancanza di ogni ar­monia. Dion siede sulla sedia a sinistra, Cibele sul sofà, ai lati ad un tavolino da gioco. Entrambi fanno un solitario. Dion è ora prematuramente grigio. Il suo volto è quello di un'asceta, di un martire, tormentato, solcato dal dolore, eppure ancora interiormente illuminato da una spirituale calma e umana bontà. Cibele è più vigorosa e voluttuosa, il viso è sempre senza rughe e fresco, la sua calma ancora più profonda. Appare come un idolo immo­bile della madre terra. Il piano finisce la solita vecchia cantilena sentimentale. 1 due giocano, intenti e soddi­sfatti. La musica cessa.

Cibele                            - (pensosa) Mi piacciono queste canzoni. Mi fanno diventare giudiziosa verso il prossimo.

Dion                              - Ogni canzone è un inno. E cercano di trovare la parola nel principio.

Cibele                            - Cercano di saperla troppo lunga. (Gioca la sua ultima carta. Indifferente) Mi è riuscito di nuovo.

Dion                              - (sorridendo) La tua fortuna non ha limiti. Per me, non si scomoda mai.

Cibele                            - Tu le stai vicino, ma essa sa che tu vuol vincere io, invece, mi accontento di 'giocare. (Dispone le carte per un altro gioco) A proposito della nostra musica, il signor Brown odia quella vecchia cassa. (Al nome di Brown, Dion trema come se fosse improvvisa­mente invasato: lotta aspramente con se stesso, poi, men­tre Cibele seguita a parlare, si alza come un automa e si mette la maschera. La maschera è ora tremendamente devastata. Tutto il carattere di Pan è mutato nella dia­bolica crudeltà e ironia di un Mefistofele) Non che glie ne importi della musica... Ma dice che la baracca ha l'aria meschina, e vuole farla rimettere a nuovo. Io gli ho detto che per il fatto che mi ha tenuta per tanto tempo, non ha diritto di cominciar a borbottare come un marito... (Alza gli occhi e vede Dion mascherato, presso il piano) Ehi! Si diventa di nuovo gelosi!

Dion                              - (burlesco) State per innamorarvi del vostro custode, vecchia Vacca Sacra?

Cibele                            - (senza offendersi) Finiscila. Me l'hai doman­dato per tanti anni! Sii te stesso! Brown scoppia di salute, è simpatico - ma ne ha fatte troppe. Perché fingi di pensare che l'amore sia cosi importante? E’ appena una delle tante cose che si fanno, per mantenere in vita la vita.

Dion                              - (sullo stesso tono) Allora mentivi quando di­cevi che mi amavi, non è vero, vecchia briccona?

Cibele                            - (affettuosa) Non crescerai mai, tu! Siamo stati amici per sette anni, vero? Non ho mai per­messo a me «tessa di volerti, ne a te di volermi. Sì, ti amo. Ci vuole ogni sorta di amore per fare un mondo! La nostra è la crema della vita, ricca e sostanziosa. (Una pausa. Lusinghevole) Finiscila di nasconderti. Ti conosco.

Dion                              - (togliendosi la maschera, siede stanco ai suoi piedi e le appoggia il capo in grembo. Con un sorriso grato) Tu sei forte. Tu dai sempre. Tu hai dato alla mia debolezza la forza di vivere.

Cibele                            - (tenera, accarezzandogli maternamente i capelli) Tu non sei debole. Tu sei nato con dei fantasmi negli occhi, e sei stato abbastanza coraggioso da scen­dere a guardare nella tua oscurità e ne sei rimasto spa­ventato. (Dopo una pausa) Non biasimo la tua gelosia verso Brown. Qualche volta, anch'io sono gelosa di tua moglie, benché sappia che tu la ami.

Dion                              - (lentamente) Io amo Margaret. Non so chi sia mia moglie.

Cibele                            - (dopo una pausa, con un bizzarro riso spez­zato) Oh Dio, qualche volta la verità mi sbatte tanta polvere negli occhi, che mi fa vedere le stelle! E allora soffro così maledettamente per tutti voialtri, che vorrei correr nuda per le strade e amare la folla intera fino a farla morire, come se portassi a tutti un'ebbrezza nuova, che facesse dimenticare tutto quello che c'è di buono nel mondo! (Con un sorriso contratto) Ma gli uomini non mi vedrebbero, non più di quanto vedano se stessi. E fanno bene a starsene alla larga, e a morire senza il mio aiuto.

Dion                              - (triste) Mi hai dato la forza per morire.

Cibele                            - Forse tu sei importante, ma la tua vita non lo è. Ne nascono milioni come te, a ogni secondo. Il prezzo della vita può essere troppo caro anche per uno scroccone come tutto il resto. E in sé, essa non è sacra; solo il nostro io lo è. Il resto è terra.

Dion                              - (in ginocchio e con le mani giunte mira all’alto, rapito, e prega con ascetico fervore) Nelle tue mani, o Signore... (D'un tratto, con uno sguardo di orrore) Nulla! Sentire la propria vita spegnersi come la fiamma di un cerino! (Si mette la maschera e ride selvaggio) Cadere addormentati e saper che non si sarà mai più chiamati a esistere!

Cibele                            - (gli carezza la testa, materna) Via, non ti spaventare. Quando verrà la tua ora, troverai che è facile.

Dion                              - Non durerà molto. L'altro ieri, mia moglie mi ha rimorchiato da un dottore, il quale ha detto che il mio cuore è finito - spacciato. Mi ha avvertito, non una goccia di più...

Cibele                            - Che cosa state facendo di bello, ora? Stavi farneticando di certi piani di una cattedrale.

Dion                              - Sono stati accettati i disegni di Brown. I miei, in realtà! Non c'è bisogno di dirlo. Lui mi mette in mano dei pasticci matematicamente esatti, uno dopo l'altro, e io li abbellisco con maligne seduzioni... Una volta, sognavo di dipingere il vento sai mare e la fuga leggera dell'ombra delle nuvole sulle cime degli alberi!

Cibele                            - Brown sarà qui presto, non dimenticare.»

Dion                              - Egli sa che io vengo qui, ma non vuole am­metterlo. Che cosa eccitò per primo la sua passione di averti tutta per sé? Perché sapeva che tu mi amavi, e si sentiva defraudato. Gli sembra che io non abbia di­ritto di amare. Gli piacerebbe rubare il mio amore come ruba le mie idee: compiacentemente, con dignità. Oh, il buon Brown!

Cibele                            - Ma tu gli vuoi bene! Scommetto che siete fratelli, in un certo qual modo. Ricordati che è lui che pagherà, in un modo o nell'altro.

Dion                              - (alzando il capo, mentre si prepara a togliersi la maschera) Lo so. Povero Billy! Dio mi perdoni il male che gli ho fatto! Addio, Madre Terra! (Sta per uscire, a destra).

Cibele                            - (improvvisamente, con profonda mestizia) Dion! (Egli la guarda, poi torna indietro, lentamente. Essa parla con voce profonda, assai lontana, tuttavia simile ad una madre che parli al suo bambino) Non devi dimenticare di baciarmi prima di andare, Dion. (Gli toglie la maschera) Non ti ho detto di toglierti la ma­schera, in casa? Guardami, Dion. Ho visto - or ora -qualche cosa... Ho paura che tu debba fare una strada lunga lunga. Ho paura di non vederti più per molto, molto tempo. E così ti saluto, caro. (Lo bacia dolcemente. Egli comincia a singhiozzare. Essa gli rende la maschera) Non ti ferire. Ricordati, è tutto per finta, e dopo che ti sarai addormentato, io ti rimboccherò le coperte.

Dion                              - (con un grido soffocato) Mamma! (Con un terribile sforzo di volontà si imprime la maschera. Bef­fardo) Vai al diavolo, vecchio porco sentimentale! Arri­vederci a domani. (Esce sbattendo la porta).

Cibele                            - (sospira; va a mettere un disco nel piano, che ricomincia la vecchia melodia sentimentale. Brown entra da sinistra. Egli è il tipo ideale del provinciale ameri­cano sui quaranta; bell'uomo ancora giovane, prosperoso, pieno di successo. Ora è leggermente turbato, poiché non può vedere Cibele, ne la sua maschera).

Brown                           - Cibele! (Essa sussulta, ferma la musica e cerca dì prendere la maschera, ma non fa in tempo a metterla) Non era Dion che ho visto uscire proprio ades­so? Dopo tutte le tue promesse di non vederlo più? (Essa si volge, nascondendo la maschera dietro di sé. Egli la fissa, spaventato e balbetta) Oh... Vi chiedo per­dono... credevo...

Cibele                            - (con voce strana) Cibele è uscita a zappare la terra e a pregare.

Brown                           - Ma... non sono questi i suoi abiti?

Cibele                            - Cibele non vuole che la gente mi veda nuda. Sono sua sorella. Dion è venuto a trovarmi.

Brown                           - (sollevato) Per questo era qui, allora? (So­spira) Povera Margaret! (Con tono di rimprovero faceto) Veramente, non dovreste incoraggiarlo. E’ sposato, e ha tre figli grandi.

Chele                             - Lui ed io siamo amici.

Brown                           - (ammiccando, scherzoso) Già, m'immagino come il platonico debba accordarsi col tipo duro, inno­cente di Dion! Non mi si dà a bere niente, a proposito di Dion, ci conosciamo fin da bambini, sicché, potete essere franca con me. Prima ho parlato cosi, per motivo di Margaret, sua moglie... La sua vita è abbastanza dura.

 Cibele                           - Voi amate sua moglie.

Brown                           - (scandalizzato) Che dite? (Incerto) Non fate la sciocca! (una pausa; poi, come spinto da intensa cu­riosità) Sicché, Dion è il vostro amante? Questo m'inte­ressa molto. (Avvicina una sedia ad essa) Sedete. Par­liamo un po'. (Essa seguita a stare in piedi, tenendo la maschera dietro di sèi Ditemi... che cos'è the rende Dion tanto attraente per le donne, specialmente, scusatemi.» per certi tipi di donne? Non ho mai potuto capire che cosa vedessero in lui... E' la sua faccia... o perché è un sensuale... o perché posa all'artista e all'uomo di tem­peramento...

Cibele                            - Egli è simpatico!

Brown                           - (d'un tratto le prende una mano, glie la bacia, insinuante) Ebbene, non vi sembro simpatico anch'io?... Ascoltate. Vorreste lasciar perdere Dion... e permettere che io pensi a voi nello stesso modo che ho fatto per Cibele? Voi mi piacete, vedete. Non vi darei molto fa­stidio; sono molto occupato.» potete fare quello che vi pare e piace... verrei ogni tanto a vedervi... (Si ferma. Una pausa. Essa fissa innanzi a sé come se non avesse udito) Dunque, cosa ne dite?

Cibele                            - (la sua voce è molto stanca) Cibele lasciò detto di avvertirvi che tornerà la prossima settimana, signor Brown.

Brown                           - Vuol dire che non accettate? non siate così crudele! Vi amo! (Essa si scosta. Egli la ghermisce sup­plichevole) Insomma, vi darò tulio quello che volete! Ma vi supplico, promettetemi di non veder più Dion Anthony...

Cibele                            - (con dolore profondo) Egli non mi vedrà mai più. Addio.

Brown                           - (giubilante, baciandole la mano, cortese) Gra­zie! Grazie! Vi sono straordinariamente grato. Non voglio disturbarvi oltre... Vi prego, ricordatemi a Cibele quando le scrivete. (S'inchina, si volge ed esce a sinistra).

QUADRO SECONDO

Sala di studio, nell'ufficio di Brown. Al centro, leggio da disegno di Dion con un alto sgabello di fronte e un altro sgabello a sinistra. A destra, una panca. E’ la sera del medesimo giorno. Lo sfondo nero ha delle fi-nestre dipinte, con la veduta oscura, illuminata solo dalla strada, di case nere dall'altra parte della via. Dion siede sullo sgabello, legge ad alta voce dall'« Imitazione di Cristo o alla propria maschera, che ha sul tavolo in­nanzi a sé. Il suo viso è più dolce, spirituale, e ascetico che mai.

Dion                              - (mormora come se recitasse preghiere. Alla fine) Amen. (Alza la mano sulla maschera come a benedirla, chiude il libro e se lo mette in tasca. Prende la masche­ra in mano e la fissa con pietosa tenerezza, poi torna a posarla. Si sente un rumore di passi sulle scale; egli impugna la maschera con terrore e, mentre si sente pic­chiare alla porta, se la mette e grida) Entrate, signora Anthony, entrate. (Margaret entra, con una mano tiene nascosta dietro dì sé la maschera del coraggioso volto che essa mette dinnanzi al mondo per nascondere soffe­renza e disillusione, e che si è tolta in quel momento. La sua faccia è ancora dolce e graziosa, ma solcata, lo­gorata dall'affanno, triste, rassegnata sebbene un poco lamentosa

Margaret                       - (con rimprovero) Sia lodato il cielo! Fi­nalmente ti trovo! Perché non sei tornato a casa, da due giorni? Mi par già abbastanza che tu torni a bere senza che tu te ne stia fuori, e ci faccia penare a morte!

Dion                              - (amaro) Le mie orecchie conoscevano i suoi passi.

Margaret                       - Ho mandato fuori i ragazzi a cercarti, e sono venuta qui... (Stanca, ma con sollecitudine) Non avrai mangiato nulla, come al solito. Non vuoi venire a casa, e lasciare che ti faccia mangiare qualche cosa?

Dion                              - (meravigliato) Margaret, puoi amarmi ancora? E’ possibile?

Margaret                       - (sforzandosi a un sorriso) Mi par di si. Forse non dovrei, vero?

Dion                              - (sullo stesso tono) E io amo Margaret! Che spettri ossessionati e ossessionanti siamo mai! Oscura­mente ricordiamo tante cose che ci vorranno milioni di anni per dimenticare! (Egli le pone un braccio intorno alle spalle; si baciano).

Margaret                       - (accarezzandogli affettuosamente la mano) Certo non te lo meriti. Quando penso a tutto quello che mi hai fatto passare in questi anni, da che siamo sta­biliti qui! Proprio non l'avrei sopportato, se non fosse stato per i ragazzi!

Dion                              - (un po' canzonatorio) I ragazzi! Tre forti figli! Margaret! Puoi ben dire di esserne orgogliosa. (Con subito slancio, cadendo in ginocchio vicino a lei) Margaret! Margaret! Sono solo! Ho paura! Me ne vado! Sto per dirti addio!

Margaret                       - (accarezzandogli i capelli) Povero ragaz­zo! Povero, povero Dion! Vieni a casa, vieni a dormire.

Dion                              - (balza in piedi frenetico) No! Sono un uomo! Sono un uomo solo! Non posso tornare indietro.»           - (Con disperata ironia) Guardatemi, signora Anthony! E1 l'ul­tima carta! Domani entrerò all'inferno! Guardate vostro marito: il piagnucoloso, servile, vigliacco, rinnegatore della vita che avete così nobilmente onorato nel padre dei vostri figli! Guardate! (Egli si strappa la maschera dal volto, che risplende in un grande e puro amore verso di lei, pieno di simpatia e tenerezza) Oh donna, mio amo­re, verso cui ho peccato nel mio malato orgoglio e cru­deltà», perdona i miei peccati... perdona la mia solitu­dine... perdonami. (S'inginocchia e la bacia all'orlo della veste).

Margaret                       - (che lo ha fissato con terrore, solleva la ma­schera, corre a proteggersi il viso) Dion, non far così! Non posso sopportarlo! Mi sembri uno spettro! Sei morto! Oh, Dio mio! Aiuto! Aiuto! (Cade svenuta sulla panca. Egli la guarda, indi le prende la mano che tiene la maschera e la guarda, dolcemente) E ora, anche a me è permesso di comprenderti e amarti! (Egli bacia prima la maschera poi il tolto di lei mormorando) Carissima! Beati, tre volte beati sono gli umili!

QUADRO TERZO

La biblioteca in casa di William Brown, la notte dello stesso giorno. Uno sfondo, accuratamente dipinto, di ricca cultura borghese. La pesante tavola al centro è costosa. La poltrona di pelle a sinistra di essa e il seggiolone a sdraio a destra sono comode, opulente. La lampada sulla tavola è tunica luce accesa.

Brown, sulla poltrona a sinistra, legge una rivista d’architettura, calmo, gravemente raccolto. Un bussar im­provviso e forte alla porta d'ingresso e una scampanellata. Brown aggrotta le ciglia e porge orecchio alla risposta di un domestico. Si ode la voce di Diont acuta e beffarda.

Dion                              - Ditegli che è il diavolo, che è venuto per fare un contratto.

Brown                           - (reprimendo la sua contrarietà, con forzato buon umore) Vieni avanti, Dion! (Dion entra. E’ in uno stato orribile. Le sue vesti sono scomposte, la sua faccia mascherata ha una tremenda mortale intensità; la sua bef­farda ironia si è fatta così crudamente maligna da dargli l'aspetto di un vero demonio, tormentato a forza di tor­mentare gli altri) Siediti.

Dion                              - (resta in piedi e canta) L'anima di William Brown giace putrefatta nella tomba, ma il suo corpo seguita a camminare!

Brown                           - (con tono di fraterna longanimità, che cerca di mantenere per tutta la scena) Non così forte, per l'amor di Dio! Non che me ne importi... ma ci sono dei vicini.

Dion                              - Odiali! Temi i tuoi vicini come te stesso, questa è la dura regola per il « si salvi chi può ». (Avan­za fino al tavolo, con una specie di calma implacabile) Senti: un giorno, avevo quattro anni, un bambino stri­sciò dietro di me, mentre stavo facendo sulla sabbia un disegno che lui non sapeva fare, e mi picchiò sul capo con un bastone, e prese a calci il mio disegno e rise quando io piansi. Non era quel che aveva fatto che mi faceva piangere, ma lui! Io l'avevo amato e gli avevo creduto, ed ecco che dalla sua persona era svanito il buon genio, e il male e l'ingiustizia umana erano nati! Tutti mi chiamarono bambino capriccioso, e io diventai silenzioso per tutta la vita, e mi foggiai una maschera del cattivo fanciullo Pan, nella quale potessi vivere e ri­bellarmi contro il buon Dio di quell'altro bambino. E quell'altro bambino si vergognò segretamente, ma non volle riconoscerlo; e da quel giorno, istintivamente svi­luppò in se stesso il bravo bambino, il bravo amico, il brav'uomo, William Brown!

Brown                           - (timidamente) Mi ricordo, ora. E' stato un brutto tiro. (Con una punta di risentimento) Siediti. Sai dove sono i liquori. Prenditi da bere se ti va. Ma scom­metto che ne hai già abbastanza.

Dion                              - (lo guarda fisso, un istante) Sia ringraziato Brown per avermi rinfrescata la memoria. Debbo bere. (Va a un armadietto e ne prende una bottiglia di wisky e un bicchiere. Si versa abbondantemente da bere. Suo mal­grado, Brown è inquieto. Pausa).

Brown                           - (come a caso, imbarazzato) Sei in questo stato da una settimana, ormai.

Dion                              - (insolente) Ho celebrato l'approvazione del mio disegno per la cattedrale.

Brown                           - Certo, tu mi hai aiutato immensamente.

Dion                              - (con un riso aspro) Oh, perfetto Brown! Non importa! Adesso lo farò guardare nel mio specchio! E annegare in esso! (Si versa un altro bicchiere pieno).

Brown                           - Vai piano. Non voglio avere il tuo cadavere in mano mia.

Dion                              - Ma lo voglio io! (Beve) Brown, avrai ancora bisogno di me, per essere sicuro che sei in vita! Ho amato, goduto, guadagnato e perduto, cantato e pianto! Ho saziato la volontà di vita, e se essa la fa sfinita con me è solo perché sono stato troppo debole per domi­narla a mia volta! Non basta essere la sua creatura, do-vete crearla voi stessi, o essa esige che vi distruggiate da voi.

Brown                           - (bonario) Fandonie! Va a casa e donni.»

Dion                              - (come se non avesse udito. Mordace) Ma non essere ne creatura né creatore! Esistere solo nell'indiffe­renza! Non essere amato dalla vita! (Brown si agita in­quieto) Essere solamente un aborto pieno di successo... il risultato di una qualche meschina neutralizzazione di forze vitali... un e cactus » .senza spine... un Don Giovanni ispirato al romanzo da una glandola di scimmia... e non essere sufficientemente buffone per verderci chiaro!

Brown                           - (stordito, infuriato) Finiscila! Basta!

Dion                              - Considera il signor Brown. I suoi genitori Io hanno messo al mondo come se lo iscrivessero a un concorso di bellezza infantile, e lui ha sempre girato attorno con la processione. Ormai, e troppo grasso per imparare a camminare, e non vivrà, finche le sue ceneri liberate non torneranno alla terra!

Brown                           - (non riesce a reprimere un fremito) Qualche volta, quando sei ubriaco, sei infernale, sai?

Dion                              - (cupo) Quando a Pan fu tolta la luce e il calore del sole, si rattristò, concepì idee di vendetta e divenne Principe delle Tenebre.

Brown                           - (faceto) Non ti conviene la parte di Pan, Dion. Ho il sospetto che Bacco, alias il demone «rum », ti faccia da suggeritore... (Dion fissa Brown, con odio. Una pausa. Brown freme, suo malgrado. In un tono conciliante) Vai a casa. Sii un bravo ragazzo. Va bene celebrare l'approvazione del nostro disegno, ma...

Dion                              - (con voce tagliente) Io sono stato il cervello! Io sono stato il disegno! E questa cattedrale è il mio capolavoro! E farà di Brown il più celebre architetto in questo paese. In essa ho posto tutto ciò che mi era rimasto della vita! E’ una vivente bestemmia dalla so­glia alla punta delle sue guglie! Ma così celata, che quegli imbecilli non se ne accorgeranno! Essi s'inginocchie­ranno e adoreranno l'ironico Sileno, il quale dirà loro che il miglior Bene non nascerà mai. (Ride, trionfante) Brown, il grande Brown, non ha mai avuto fede. Egli non poteva disegnare una cattedrale che non fosse fatta come la prima banca soprannaturale! Egli crede soltanto nell'immortalità del ventre morale! (Ride, frenetico, poi ricade sulla sedia, ansimando, premendosi il cuore con le mani. Ad un tratto si fa mortalmente calmo ed enun­cia quasi una condanna) D'ora in poi, Brown non dise­gnerà più nulla. Egli dedicherà la sua vita a restaurare la casa della mia Cibele, e farne un focolare per la mia Margaret!

Brown                           - (balza in piedi, il viso convulso da una singo­lare lotta) Ho sopportato abbastanza. Come ti per­metti...

Dion                              - (con voce sibilante) Perché nessuna donna lo ha mai amato? Perché è sempre stato il buon Fratello, l'Amico?

Brown                           - Tu menti.

Dion                              - Perché non è mai stato capace di amare, dopo la mia Margaret? Perché non si è mai sposato? Perché ha cercato di rubare Cibele come un giorno aveva cer­cato di rubare Margaret?

Bbown                          - (violento) Ho voluto Cibele e l'ho comprata.

iDion                             - Brown l'ha comprata per me! Essa mi ha amato più di quanto egli non saprà mai!

Bbown                          - Tu menti! (Poi, con improvviso tono dì sfida) Va bene! Se mi obblighi a dirlo... io amo Margaret! L'ho sempre amata e tu l'hai sempre saputo.

Dion                              - (con calma terribile) No! Questa è pura ap­parenza, non è la verità, Brown. Ama me. Mi ama perché io ho sempre avuto la forza che gli era necessaria per l'amore, perché io «tesso sono l'amore!

Bbown                          - (fuori di sé) Villano ubriaco! (Balza su Dion e lo ghermisce alla gola).

Dion                              - (trionfante, fissandolo negli occhi) Ah! Ora egli si guarda nello specchio! Ora vede il suo volto! (Brown si stacca da lui e ripiomba a sedere pallido e tremante).

Brown                           - (umile) Basta, per amor di Dio! Sei matto!

Dion                              - (cadendo sulla sedia, sempre più debolmente) Sono finito! Il mio cuore... non... (Beffardo) Eb­bene! Ecco le mie ultime volontà, il mio testamento! Lascio Dion Anthony a William Brown, perché Io ami e gli obbedisca; perché si identifichi in me. Allora la mia Margaret... mi amerà... i miei figli mi ameranno... il signore e la signora Brown e figli... felici per sem­pre. (Alzandosi in piedi, vacillante, si guarda attorno. Si piega sui ginocchi presso la sedia di Brown, mentre gli cade la maschera, e appare il suo volto di martire in punto di morte) Perdonami, Billy. Seppelliscimi, na­scondimi, dimenticami per la tua sola felicità! Possa Margaret amarti! Possa tu disegnare il tempio dell'Anima Umana! Beati gli umili e i poveri in .spirito! (Egli bacia i piedi di Brown poi, sempre più debolmente) Com'era la preghiera, Billy? Ho tanto sonno...

Brown                           - (in tono estatico) Padre nostro che sei cieli...

Dion                              - (assonnato) Padre nostro... (Egli muore. Una pausa. Brown rimane un istante trasognato, poi si scuote, mette la mano sul petto di Dion).

Brown                           - (lentamente) E’ morto... finalmente. (l’ultima parola lo sveglia. Meravigliato) Finalmente? (Trionfante) Finalmente! (Fissa sprezzante il vero volto di Dion)  Questo è dunque il povero essere che eri in realtà. Non c'è da stupirsi se ti nascondevi! E io ti ho sempre temuto, sì, lo confesso ora, avevo paura! (Raccoglie la maschera da terra) No, non di te! Dì questa! Dite quello che vo­lete, si è forti quando si è cattivi! E questo è quello che Margaret amava, non te! Quest'uomo... quest'uomo che si era imposto a me! (Colto da un’idea balza in piedi) Per­dio! (Lentamente comincia a mettersi la maschera. Si sente battere alla porta d'ingresso. Brown si ferma, come colto in flagrante, posa la maschera sul tavolo, poi la riprende rapidamente: trascina via il cadavere a sinistra; riappare subito e va alla porta dì fronte, allorché i colpi ricominciano. Brusco) Ehi! Chi e?

Margaret                       - Sono Margaret, Billy. Vengo a cercar Dion.

Brown                           - (malsicuro) Ah... Va bene. (Apre la porta) Entrate. Buongiorno, Margaret. Avanti, ragazzi. E' qui; si è addormentato. Mi stavo addormentando anch'io... (Margaret entra. Essa porta la maschera. X suoi tre figli sono con lei).

Margaret                       - (vedendo la bottiglia, tenta un riso) Ha solennizzato?

Brown                           - No. Ero io. Non è stato lui. Dice che sta­notte ha fatto giuramento di non bere mai più... per amor vostro... e dei ragazzi.

Margaret                       - (con gioioso stupore) Dion ha detto que­sto? Ma di solito non beve mai troppo. Dov'è?

Brown                           - Al piano dì sopra. Lo sveglierò. Non si sen­tiva troppo bene, si è svestito per prendere un bagno pri­ma di coricarsi. Aspettate un po' qui, (Margaret siede sulla sedia su cui era prima Dion e fissa dritto innanzi a se. I figli si raggruppano intorno ad essa, come per un ritratto di famiglia. Brown si precipita a destra).

Margaret                       - E' tardi, per voi ragazzi. Non avete sonno?

I Ragazzi                       - No, mamma.

Margaret                       - (con orgoglio) Sono contenta di avere tre ragazzi così forti per proteggermi.

II Maggiore                   - (spavaldo) Noi ammazzeremmo chiun­que ti toccasse, non credi?

Il Secondo                    - Sicuro! Gli faremmo desiderare di non averlo mai fatto.

Il Minore                       - Sicuro!

Margaret                       - Siete i bravi ragazzi di mammina vostra! (Ride affettuosa, con curiosità) Vi piace il signor Brown?

Il Maggiore                   - Senza dubbio! E' una persona per bene.

Il Secondo                    - In tutto e per tutto.

Il Minore                       - Senza dubbio!

Margaret                       - (come a se stessa) Vostro padre pretende che gli ruba le idee.

Il Maggiore                   - (con un sorriso sciocco) Scommetto che papà lo diceva soltanto iper chiacchierare.

Il Secondo                    - Il signor Brown non ha bisogno di ru­bare, non è vero?

Il Minore                       - Direi dì no! E’ ricco sfondato!

Margaret                       - Volete bene al vostro papà?

Il Maggiore                   - (risentito, imbarazzato) Ma... certo

Il Secondo                    - (con lo stesso tono) Senza dubbio.

Il Minore                       - Sicuro.

Margaret                       - (sospirando) Credo sia meglio che v'in­camminiate, prima che venga papà. Si sentirà poco bene, sarà nervoso e vorrà stare tranquillo. Andate via!

I Ragazzi                       - Va bene. (Escono in fila e chiudono la porta, mentre Brown, vestito degli abiti di Dion e con la sua maschera, appare a sinistra).

Margaret                       - (si toglie la maschera, soddisfatta) Dion! (Lo guarda stupita, e lo circonda con un braccio) Povero caro, non ti senti bene? (Egli annuisce) Non hai l'aria... (Premendogli il braccio) Ora ti senti un po' più sollevato? E' vero quello che Brown mi ha detto, del tuo giura­mento? (Egli annuisce) Oh, se tu riuscissi a vincerti! Potremmo ancora essere tanto felici! Dà un ba­cio a mammina. (Si baciano. Un fremito corre tra di loro. Essa si strappa ridendo, con desiderio represso) Come, Dion? Non ti vergogni? Non mi hai baciata così da anni!

Brown                           - (imitando la voce di Dion) Ma anch'io de­sideravo, Margaret...

Margaret                       - (gaia e civetta) Avevi paura che ti cac­ciassi via? Ma dimmi, Dion che cosa è successo? Mi pare un miracolo! Persino la tua voce è mutata! mi sembri più giovane, sai? (Con sollecitudine) Ma tu devi esser stanco. Andiamo a casa. (Con un gesto impulsivo apre le braccia, gettando lungi da sé la maschera, come se ormai non le servisse più) Oh, comincio a sentirmi così felice, Dion! Così felice!

Brown                           - (sostenuto) Andiamo a casa. (Essa lo cinge col braccio. Vanno verso la porta).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

Lo studio e l'ufficio privato di Brown, il primo a si­nistra, il secondo a destra, divisi da una parete al centro. L'arredamento delle due stanze è lo stesso delle scene precedenti. Sono le 10 del mattino, circa un mese più tardi. Due disegnatori, uno di mezza età e un giovanotto, siedono là dove era prima il tavolo di Dion. Essi parlano lavorando).

Il Disegnatore anziano - William Brown è di nuovo in ritardo.

Il Disegnatore giovane - Non capisco che cosa sia avvenuto in luì da un mese in qua... da che ha cacciato Dion... Strano, che Io abbia cacciato tutto a un tratto così. (Pausa. Lavorano).

Il Disegnatore anziano - Non ho più visto Dion in giro per la città, da allora. E voi?

Il Disegnatore giovane - No, da che Brown ci disse che lo aveva fatto partire. Scommetto che sta annegando i suoi dispiaceri.

Il Disegnatore anziano - Ho sentito che qualcuno Io ha visto a casa. Pare avesse l'aria normale e per bene. (Pausa. Lavorano).

Il Disegnatore giovane - Che succede a Brown? Di­cono che abbia cacciato tutta la sua servitù, e che a casa ci vada solo per dormire.

Il Disegnatore anziano  - (con un sogghigno) Tempe­ramento artistico, forse; il suo vero nome è pallone gonfiato! (Si ode rumor di passi nell'entrata) Attento! Ssss! (Si curvano sul tavolo. Margaret entra. Il suo volta ha riconquistato lo spirito fiducioso di se dei primi anni, i suoi occhi brillano dì felicità).

Margaret                       - (cordialmente) Buongiorno! Che bella giornata!

I due Disegnatori          - (rigidi) Buongiorno, signora An­thony.

Margaret                       - (guardandosi intorno) Avete fatto dei cam­biamenti qui dentro, vero? Dov'è Dion? (Essi alzano il capo) Dimenticai di dirgli una cosa importante sta­mane, e il vostro telefono è guasto. Così, se volete avver­tirlo che sono qui... (/ due non si muovono. Una pausa) Oh, comprendo che il signor Brown ha dato ordine as­soluto di non disturbare Dion, ma (Vivacemente) Dov'è mio marito, per piacere?

II Disegnatore anziano                           - Non sappiamo. Non l'abbia­ mo visto.

Margaret                       - Come, è andato via da casa alle otto e mezza!

Il Disegnatore anziano - Per venir qui?

Margaret                       - (irritata) Ma certo, per venir qui, come tutti i giorni! (I due la fissano. Pausa).

Il Disegnatore anziano  - (evasivo) Non l'abbiamo visto.

Margaret                       - (con asprezza) Dov’è il signor Brown?

Il Disegnatore giovane  - (allorché si ode rumore di passi nell'entrata, sgarbatamente) Viene ora. (Brrum entra. Egli porta ora una maschera che riproduce esatta*mente il suo volto com'era nell’ultima. scena: il successo sicuro di sé. Vedendo Margaret si tira indietro, appren­sivo).

Brown                           - (controllandosi immediatamente, cordiale) Buongiorno, Margaret! Che bella visita! (Le stende la mano).

Margaret                       - (prendendola appena, riservata) Buon­giorno.

Brown                           - (volgendosi ai disegnatori) Spero avrete spiegato alla signora Anthony quanto era occupato Dion... (A Margaret, in fretta) Vi spiegherò. Entrate e accomo­datevi... (Apre la porta e la introduce nel suo studio privato. Essa si siede, rigida. Egli siede dietro la scrivania).

Margaret                       - (freddamente) Vorrei qualche spiega­zione.

Brown                           - (lusinghevole) Là, non andate in collera, Margaret! Dion sta lavorando al suo disegno per il nuo­vo Parlamento, e non voglio che venga disturbato, nem­meno da voi! Siate ragionevole! E’ per il suo bene, ricordatevene. Gli ho ben detto di spiegarvelo... Io cono-eco Dion. Adesso è capace di lavorare senza distrazione. Egli non « un uomo comune, apprezzatelo! E questo disegno significa tutto il suo avvenire. Oh, si farà molto onore con esso; e non appena sarà accettato, io lo pren­derò come socio. E’ già tutto convenuto. E dopo, mi vo­glio prendere una lunga vacanza. Vado in Europa per un pi io di anni e qui lascio tutto nelle mani di Dion! Non vi ha detto tutto ciò?

Margaret                       - (rassicurata, giubilante ora) Sì, ma io non potevo nemmeno crederlo... (Orgogliosa) Sono sicura che non vi deluderà. In questi ultimi tempi è diventato un altro, così pieno di ambizione ed energia! Mi fa tanto felice. (Si ferma, confusa).

Brown                           - (profondamente commosso, impulsivamente le prende la mano) E ne sono tanto felice anch'io!

Margaret                       - (confusa, ridendo) Che strano, Billy Brown! Per un momento mi è parso che foste Dion! La vostra voce ha lo stesso suono!...

Brown                           - (con improvviso, disperato slancio) Margaret, bisogna che vi dica... Non posso più seguitare così. Debbo confessarvi... C'è qualcosa...

Margaret                       - (allarmata) Niente, niente che riguarda Dion?

Brown                           - Al diavolo con Dion! Al diavolo con Billy Brown. (Si strappa la maschera e rivela un volto soffe­rente, che è devastato e feroce, il suo proprio volto tor-turato e contorto dal demone della maschera di Dion) Guardatemi! Vi amo, Margaret! Vi ho sempre amata! Venite via con me! Andremo lontani e saremo felici!

Margaret                       - (sbigottita) Billy Brown, comprendete quello che dite? (Con un brivido) Siete pazzo? Avete una faccia... terribile! Volete che chiami un medico?

 Brown                          - (volgendosi lento, si rimette la maschera. Cupo) No. Sono stato sul punto di svenire, per un momento... Sto passando una crisi... Ora sto meglio. Perdonatemi Dimenticate quello che ho detto! Ma, per il bene J noi tutti, non tornate mai più qui!

Margaret                       - (fredda) Dopo questo, vi accerto!... (Guar­dandolo con dolorosa incredulità) Billy... io non avrei mai creduto dopo tanti anni...

Brown                           - Non succederà mai più. Addio.

Margaret                       - Addio. (Sforzando un sorriso) E non fate lavorar troppo Dion; Non viene mai a casa nemmeno per il pranzo. (Esce passando davanti ai disegnatori, e poi a destra. Brown siede allo scrittoio; si toglie nuova-) mente la maschera, la guarda, amaro e cinico).

Brown                           - Sei morto, William Brown, morto al di là di ogni speranza di resurrezione!

 QUADRO SECONDO

La biblioteca dì Brown verso le otto della stessa sera. Entra Brown, che cerca la via nel buio, a tentoni. Ac­cende la lampada sul tavolo. Sotto di essa, su di una spe­cie di sostegno, la maschera di Dion, le occhiaie vuote fisse avanti a sé.

Brown                           - (si toglie la propria maschera, la pone sul tavolo di fronte a quella di Dion. Si getta sulla sedia, e fissa immobile negli occhi dell'altra maschera. Infine comincia a parlarle in tono amaro, beffardo) Ascoltami! Oggi l'abbiamo scampata bella! Non possiamo evitare a lungo la scoperta. Bisogna eseguire il nostro piano! Abbiamo già fatto far testamento a William Brown, lasciandoti il suo denaro e i suoi affari. Dobbiamo scapparcene in Eu­ropa, ora e sopprimerlo laggiù... (Un po' sarcastico) Poi, tu... l'io in te... lo potrò vivere felicemente con Margaret, per sempre. (Più sarcastico) Essa avrà dei figli da me! (Gli pare di sentire qualche beffardo diniego da parte della maschera... si china verso di essa) Cosa? (Con un sogghigno) In ogni modo, non importa! Già ora i tuoi figli mi vogliono bene! E Margaret mi ama! E a poco a poco, amerà quel che vi è sotto, poco per volta le inse­gnerò a conoscermi, e finalmente mi rivelerò a lei, e le confesserò che ho rubato il tuo posto per amor suo, ed essa capirà e perdonerà e mi amerà! E tu sarai dimen­ticato! (Di nuovo si china verso la maschera come se ascoltasse... torturato) Che dici? Non lo crederà mai? Non lo capirà mai? Tu menti, demonio! (Stende la mano quasi a ghermire la maschera, poi ricade indietro, di­sperato, sfiduciato. Una pausa. Subitamente, cerca la ma­schera di Dion, come un morfinomane cerca la sua droga. Non appena la tiene, sembra riprendere vigore e riesce a forzarsi a un malinconico riso) Ora bevo la tua forza, Dion... forza per amare in questo mondo e morire e dor­mire e diventare la terra fertile, come diventi tu, ora nel mio giardino: la tua debolezza la forza dei miei fiori, la tua bancarotta di artista i loro petali pieni di vita! (Con sfida) Venite con me, signor Anthony, mentre .'o sposo di Margaret si riveste dei vostri panni! (Esce a sinistra, ma si ode la sua voce) I tuoi abiti cominciano ad andarmi meglio dei miei! Presto, fratello! E' ora di andare a casa! Nostra moglie aspetta! (Riappare; ha cambiato giacca e calzoni) Vieni con me e dille di nuovo che io l'amo! (Ad un tratto, bacia la maschera) E io ti amo perché essa ti ama! I miei baci sulla tua bocca sono per lei! (Si mette la maschera, rimane un istante immobile; sembra diventato più alto e fiero. Poi, con un sorriso ardito, sicuro di se) Via dalla porticina di dietro! Non devo dimenticare che sono un delinquente disperato, perseguitato da Dio e da me stesso! (Se ne va a destra, ridendo allegramente, soddisfatto).

 QUADRO TERZO

La stanza di soggiorno in casa degli Anthony. Mezz'ora circa dopo la scena precedente. Margaret siede sul dì' vano e attende con l'ansiosa impazienza di chi ama pro­fondamente. Veste con attenta sottile cura, e ha l'aspetto giovane e felice. Tenta di leggere un libro. Si sente aprire e richiudere la porla d'ingresso. Essa balza in piedi e corre a gettare le braccia al collo di Brown, che entra da sinistra, in fondo. Lo bacia appassionatamente).

Margaret                       - (poiché egli indietreggia come punto da un morso, ridendo) Cosa, vecchio antipatico! Mi sembra, veramente che cerchi di evitare i miei baci! Va bene, ora che lo so, non lo farò più...

Brown                           - (con passione ardente, torna e ritorna a ba­ciarla) Margaret!

Margaret                       - Chiamami di nuovo Peggy. Lo facevi quando mi amavi per davvero, (Dolcemente) Ti ricordi il ballo della scuola? Tu ed io sulla spiaggia al chiaro di luna?

Brown                           - (con dolore) No. (Si scosta da lei).

Margaret                       - (ridendo) Bravo, questo mi piace! Orso! E perché no?

Brown                           - (malinconico) E' passato tanto tempo!

Margaret                       - (un po' triste) Forse non ti piace che ti si ricordi che stiamo invecchiando? Io, invece, non ho paura di ricordare, ora che sono felice. E' solo quando si è infelici che fa male, e in questi ultimi tempi sono stata così felice, caro... e ti sono tanto riconoscente! (Egli si agita penosamente. Essa continua, lieta) Tutto è mutato. Ero già quasi rassegnata, e triste e senza speranza e poi, tutt'a un tratto tu sei diventato un altro, e ora, tutto è come quando eravamo sposi: meglio anzi, perché allora non ero mai sicura di te. Eri sempre così strano e lon­tano e solitario, mi pareva di non poter mai giungere fino a te...

Brown                           - (la sua voce trema) Dunque ti ho resa fe­lice... più felice che mai, malgrado quel che è stato? (Essa annuisce) Allora questo giustifica lutto.

Margaret                       - Certo! L'ho sempre creduto. Ma tu non volevi essere o non potevi, e io non ho mai potuto aiu­tarti. E ti sentivo sempre così solitario! Ti sentivo gri­dare che t'eri perduto, ma non potevo trovar la strada fino a te, perché anch'io mi ero perduta! Una vita orri­bile, per una moglie! (Ride, gioconda) Ma ora tu sei qui! Sei mio! Sei il mio amante ritrovato, e mio marito, e sei anche il mio grande ragazzo!

Brown                           - (coti una punta di gelosia) 'Dove sono gli altri tuoi ragazzi, stasera?

Margaret                       - Sono andati a ballare. Stanno facendo delle conquiste - credevo lo sapessi.

 Brown                          - (scherzoso) Non sei gelosa?

Margaret                       - (allegra) Certo, terribilmente! Ma sono diplomatica. Non me ne faccio accorgere. (Cambiando discorso) Credimi, essi hanno osservato il tuo cambia­mento! Il grande mi diceva oggi: a E’ magnifico, che papà non sia più così nervoso, ora. Perché è tremendo quando comincia! E gli altri due hanno aggiunto solen­nemente: «Certo!» (Ride).

Brown                           - Sono... sono contento.

Margaret                       - Dion! Tu piangi!

Brown                           - (stordito dal nome sì scuote) Sciocchezze! Hai mai visto Dion piangere per qualcosa?

Margaret                       - (mesta) Non potevi, una volta. Eri troppo solo. Non potevi piangere con nessuno.

Brown                           - (si alza e prende un disegno rotolato, dal cassetto del tavolo. Serio) Adesso ho da lavorare.

Margaret                       - (delusa) Come, quel vecchio Billy Brown ti fa di nuovo lavorare a casa?

Brown                           - (ironico) E’ per il bene di Dion, lo sai... e anche per il tuo.

Margaret                       - Va bene, non voglio essere egoista. Sono tanto orgogliosa di vederti così ambizioso! Lascia che ti aiuti. (Gli porta l'asse da disegno che egli pone sul ta-volo e su cui inchioda il foglio. Essa siede sul divano e sfoglia il libro).

Brown                           - (prudente, come a caso) Ho sentito che sei venuta a cercarmi, oggi.

Margaret                       - Sì, e Brown non ha voluto sentir ragioni. Era su tutte le furie, finché non mi ha convinta che era per il tuo bene. Quando ti prenderà come socio?

Brown                           - Prestissimo.

Margaret                       - E ti darà proprio pieni poteri, quando partirà?

Brown                           - Sì.

Margaret                       - (pratica) Io lo metterei con le spalle al muro. Le promesse sono una bella cosa, ma... io mi fido poco di lui.

Brown                           - (con un sussulto) Perché parli così? (Agitando in aria un temperino, con tratti grotteschi) Ti dico che ammazzerò questo disgustoso dannato Grande Dio Brown che se ne sta come un vitello grasso sulla via della tua salute e ricchezza e felicità!

Margaret                       - (spaventata, non sapendo fino a che punto egli finga, circondandolo col braccio) Non far così, caro! Ora diventi di nuovo pauroso e strano! Mi fai sospettare che tu non sia cambiato per nulla, dopo tutto.

Brown                           - (senza prestare ascolto) E allora mia moglie potrà essere felice! (Ride. Essa piange. Egli si padroneggia, le accarezza la testa, dolcemente) Va bene, cara. Brown ora è sano e salvo all'inferno. Perdonagli! Lo stanno torturando! (Torna a controllarsi, come esausto) Adesso lasciami solo, per piacere. Devo lavorare.

Margaret                       - Va bene, caro. Io vado nella stanza vi­cina, e qualunque cosa tu voglia, chiama pure. (Lo acca­rezza in volto, affettuosa) Tutto è dimenticato!

Brown                           - Sarai felice?

Margaret                       - Sì.

Brown                           - Allora tutto è morto, te lo prometto. (Mar­garet lo bacia ed esce. Egli fissa avanti a se, poi scaccia i pensieri e si concentra nel lavoro. Indi, beffardo) Il nostro meraviglioso nuovo Parlamento vi chiama, signor Dion! Al lavoro! Collocheremo abilmente il vecchio Si­leno nella cupola! Fatelo danzare sopra i legislatori col suo eterno ghigno!

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

QUADRO PRIMO

L'ufficio privato e lo studio di Brown. Circa un mese dopo. E' il crepuscolo. I due disegnatori lavorano curvi ai loro tavoli.

Brown                           - (al suo leggio, lavora febbrilmente a un dise­gno. Egli porta la maschera di Dion. La maschera di William Brown riposa sul leggio presso di lui. Mentre lavora, ride tra se con maliziosa gioia... infine getta da se la matita) Finito! In nome dell'onnipossente Brown, amen! Ecco un mirabolante Parlamento. Il progetto an­drebbe altrettanto bene per una Casa per pazzi criminali. Ma tanta è la mia arte, che apparirà come se possedesse un puro senso comune, una finalità tronfia quanto le bretelle di un senatore! A me solo questa pomposa facciata rivelerà se stessa col suo annoiato ironico ghigno di Pan, che con le orecchie assopite dal polveroso ron­zìo della civiltà presente e passata, ascolta a mezzo le sue pulci sanzionar le leggi per soggiogarlo! Ah, ah! (Balza di dietro al leggìo e fa alcune capriole faunesche, ri­dendo con lubrica allegria) Evviva il capo di polizia Brown! Il commissario Brown! Il consigliere iBrown! Il senatore Brown! Il maggiore Brown! Il congressioni-sta Brown! Il governatore Brown! Il deputato Brown! Il presidente Brown! Oh, quante persone in un solo Dio riunisce il Grande Dio Brown! Ah! Ah! (/ due disegna-tori nella stanza vicino hanno smesso di lavorare e ascol­tano).

Il Disegnatore giovane - Ubriaco fradicio!

Il Disegnatore anziano - Dion almeno aveva il buon Senso di starsene lontano dall'ufficio...

Il Disegnatore giovane - Probabilmente, da molto tempo Brown faceva la bella vita in segreto.

Brown                           - (torna al suo leggio ridendo, senza fiato) E' tempo di ridiventare rispettabili! (Si toglie la maschera di Dion e tende la mano verso quella di William Brown; poi si ferma, una mano su ognuna di esse, fissando il disegno con affascinata ripugnanza. Il suo vero viso appare malato, orribilmente torturato e scavato, con occhi feb­brili) Brutto! Ignobile! Spregevole! Perché il demone che è in me fa da ruffiano al buon mercato... poi mi pu­nisce col disgusto di me stesso? Perché non sono abba­stanza forte per perire, o abbastanza cieco per essere soddisfatto? (Leva lo sguardo al cielo, amaro ma suppli­chevole) Dammi la forza di distruggere questa roba e me stesso, e lui... e crederò in te! (Mentre egli parla si ode rumore sulle scale. I due disegnatori sono curvi sul lavoro. Margaret entra, chiudendo la porta dietro di sé. Brown si ferma, subito sentendo chi è. Allarmato) Margaret! (Afferra le due maschere ed esce a destra).

Margaret                       - (ha l'aspetto sano, ma il suo viso ha un'espressione preoccupata. Cortese, ai due disegnatori) Buongiorno. Oh, non abbiate paura™ vengo per vedere il signor Brown, non mio marito.

Il Disegnatore giovane  - (esitando) Si è rinchiuso a Chiave... ma può darsi che se picchiate...

Margaret                       - (bussa, un po' imbarazzata) Signor Brown! (Brown entra nello studio con la musicherà di Brown, Egli corre all'altra porta e apre).

Brown                           - (con forzata cordialità) Entrate, Margaret! Avanti! Che bella visita! Sedete! Che cosa posso fare per voi?

Margaret                       - (colta alla sprovvista; un po' sostenuta) Oh, poca cosa...

Brown                           - Qualcosa che riguarda Dion, certo. Bene, il vostro caro tesoro va magnificamente... non è mai andato tanto bene!

Margaret                       - (fredda) E' questione di opinioni. Io penso che lo fate lavorare da ammazzarsi.

Brown                           - Oh, no, non lui. E’ Brown che deve mo­rire. Siamo già d'accordo, in quanto a questo!

Margaret                       - Non scherzo, io.

Brown                           - E nemmeno io! Ah, ah!

Margaret                       - (reprimendo il suo sdegno) Per questo ero venuta da voi. Dion è così esaurito, che ho ben paura che finirà per ammalarsi.

Brown                           - Bene, non è certo il bere. Non ha più be­vuto una goccia. Non ne ha bisogno! Ah, ah! E nemmeno io, benché i pettegoli vanno dicendo che sono sempre ubriaco. E’ perché ho cominciato a ridere! Ah! ah! In questa città non credono nella gioia, se non viene dalla bottiglia! Che gente curiosa! Quando uno è il Grande Iddio Brown, eh, Margaret! Ah, ah!

Margaret                       - (alzandosi, inquieta) Ho paura che...

Brown                           - Non vi spaventate, mia cara, non tornerò a parlarvi di amore! Parola d'onore! Son troppo vicino alla tomba per simile follie. Ma deve essere stato buffo per voi, , quando veniste qui l'ultima volta... vedere un vecchio pazzo come me, eh? (Con gesto rapido caccia il disegno sotto gli occhi di lei) Guardate! L'abbiamo finito! Dion l'ha finito! La sua fama è fatta!

Margaret                       - (pungente) Veramente, Brown, mi sem­brate ubriaco!

Brown                           - Nessuno mi ha baciato... così potete credere il peggio! Ah, ah!

Margaret                       - (fredda) Allora, se Dion ha finito, perché non posso vederlo?

Brown                           - (urlando) Vedere Dion? Vedere Dion? Perché no? E' l'ora dei miracoli! Le strade sono piene di Lazzari! Pregate! Voglio dire... aspettate un momento, per piacere. (Brown sparisce a destra. Un momento dopo riappare con la maschera di Dion. Egli apre le braccia, e Margaret vi si precipita. Sì abbracciano con passione. Finalmente seggono sul divano).

Margaret                       - E così, hai finito?

Brown                           - Sì. Il Comitato verrà tra poco a vedere. Ho fatto tutti i cambiamenti che volevano, quei matti!

Margaret                       - (amorevole) E possiamo cominciare la se­conda luna di miele, ora?

Brown                           - Tra una settimana o poco meno, non appena avrò spedito Brown in Europa.

Margaret                       - Dimmi... beve molto?

Brown                           - (ridendo come prima Brown) Ah, ah! Beve da morire! E non lo sopporta! Finirà per bruciare!

Margaret                       - (allarmata) Caro! Mi metti paura... Questo non è il tuo tono. E' proprio come...

Brown                           - E’ il suo! Finiremo per diventare gemelli. Ho già ereditato i suoi abiti. (Si calma, vedendo lo spa­vento in lei) Non ti allarmare, cara. Sono solo un tantino insuperbito, ora che è finito l'affare. Scommetto che sono anche un po' ubriaco di vita! (Tre signori, dall'aria im­portante e convenzionale, entrano nello studio).

Margaret                       - (forzando un sorriso) Bene, ma non la­sciarti bruciare!

Brown                           - Non c'è pericolo! Io sono stato temperato all'inferno! Ah, ah!

Margaret                       - (abbracciandolo, persuasiva) Vieni a casa, caro, vieni!

Il Disegnatore anziano  - (bussa alla porta) C'è il Co­mitato, signor Brown.

Brown                           - (rapido a Margaret) Ricevili tu. Da loro il progetto. Io vado a chiamare Brown. (Alza la voce) En­trate, signori. (Esce a destra mentre i signori del comi­tato entrano nello studio. Vedendo Margaret, si fermano).

Margaret                       - (imbarazzata) Buona sera. Il signor Brown sarà subito qui. (Essi s'inchinano. Margaret porge loro il progetto) Ecco il disegno di mio marito. L'ha finito oggi.

Il Comitato                   - Ah... (Si raggruppano per vederlo. Con entusiasmo) Perfetto! Splendido! Non potrebbe essere migliore! Esattamente come abbiamo consigliato!

Margaret                       - (piena di gioia) Allora è accettato? Il signor Anthony, sarà così felice!

Il primo signore             - Il signor Anthony?

Il secondo signore         - Egli lavora di nuovo qui?

Il terzo signore              - Ho capito bene, quando avete detto che il disegno era di vostro marito?

Margaret                       - (eccitata) Sì! Completamente suo! Ha la­vorato come un cane! (Sbigottita) Non vorreste mica dire che il signor Brown non ve l'ha mai detto? (Essi scuotono la testa, solenni, sorpresi) Oh, che vigliacco! Come lo disprezzo!

Brown                           - (entra da destra... scherzoso) Disprezzarmi, Margaret? E’ superfluo! (Solenne) Signori, ho mantenu­to verso di voi il segreto affinchè foste più impressio­nati quando ve lo avrei rivelato. Questo progetto è do­vuto interamente alla geniale ispirazione di Dion An­thony. Io non ho avuto nulla a che fare con esso.

Margaret                       - (pentita) Oh, Brown, mi spiace! Perdo­natemi!

Brown                           - (prende il disegno, e principia a staccarlo dalla cornice... beffardo) Vedo dalla vostra faccia che lo approvate. E' una grande sorpresa, non è vero? E perché no, miei cari signori? Guardatelo! Esso vi renderà im­mortali, miei cari signori! (Poi, improvvisamente cam­biando tono, furibondo) Ma non lo vedete, che è un in­sulto... un terribile, blasfemico insulto... che questo ama­reggiato fallito di Anthony sta cacciando tra le ruote del vostro successo? (Al colmo del furore) E se voi siete tanto deboli e vigliacchi da sopportarlo, io non lo sono! (Egli strappa il disegno in quattro pezzi. Il comitato resta sbigottito).

Margaret                       - (con un urlo) Vigliacco! (Essa raccoglie i pezzi del disegno e se li stringe al petto).

 Brown                          - (con una capriola faunesca) Vado a dire ad Anthony che siete qui... (Esce ma riappare quasi subito con la maschera di Dion. Egli fa uno sforzo terribile per evitar di danzare e ridere. Parla soavemente) Tutto è a posto - tutto va bene - non dovete eccitarvi! Un po' di gomma, Margaret! Un po' di colla, signori! E tutto andrà bene! La vita non è perfetta, fratelli. Gli uomini hanno le loro magagne, sorella! Ma con una piccola goccia di colla si possono fare tante cose! Un piccolo spruzzo di gommosa rassegnazione, qua e là, e persino i cuori spezzati si possono riaccomodare... (Retrocede verso la porta. Tutti lo fissano, impietriti dal terrore. Egli si pone il dito sulle labbra) Sss! Ecco la favola della nonna per questa sera. L'uomo è nato spezzato. Egli vive solo rattoppato. La grazia di Dio è la colla! (Con una rapida ed abile mossa, ha aperto la porta, è uscito e la chiude, silenziosamente, scuotendosi per il riso represso. Egli balza leggero a lato dei disegnatori immobili e mormora) Lo troverete nello stanzino. Il signor William Brown è morto! (Con un salto leggero scompare, scuotendosi con un riso silenzioso. Si ode il rumor dei suoi passi per le scale, che scende a quattro a quattro. Poi, una pausa. Tutti sono rimasti immobili. Il disegnatore più giovane rinviene per primo).

Il Disegnatore giovane  - (precipitandosi nella stanza attigua esclama in tono di terrore) Il signor Brown è morto!

Il primo signore             - Dion lo ha assassinato!

(Tutti corrono allo stanzino, a destra. Margaret rimane stordita dall'orrore. Dopo un istante tornano, portando la maschera di William Brown due per parte come se recassero un corpo per i piedi e le spalle. Solennemente la depongono sulla sedia a sdraio e la guardano).

Il PRIM0 signore          - (con timoroso rispetto) Non posso credere che sia morto.

Il secondo signore         - (stesso tono) Mi pare ancora di sentirlo parlare. (Tossicchia e si volge alla maschera, con importanza) Signor Brown...

Il terzo signore              - (indietreggiando) No. E' proprio morto. (Poi a un tratto, con isterica furia) Dobbiamo far» subito i passi per arrestare Dion!

Margaret                       - (con un grido straziante) Dion è inno­cente!

Il Disegnatore giovane - Telefonerò alla polizia, si­gnori! (Si precipita al telefono).

 QUADRO SECONDO

La biblioteca in casa di William Brown. La maschera di Dion è sopra il tavolo, sotto la lampada, rivolta al pubblico. Brown è in ginocchio accanto al tavolo, nudo, coperto solo da una fascia bianca attorno alle reni. Gli abiti che si è strappati di dosso nel suo spasimante furore sono sparsi sul pavimento. I suoi occhi, le braccia, l'intero corpo sono tesi verso Vallo, i muscoli contorti, le labbra mosse come in una silenziosa preghiera. Si sente un rumore di una porta spinta con violenza, uno scalpiccio di piedi in pantofole e Cibele mascherata sì precipita nella stanza. Si arresta vedendo Brown e la maschera; per un minuto guarda interdetta dall'uno all’altra. Veste un chimono nero, con pantofole ai piedi nudi. I capelli giallastri le pendono sulle spalle, come una folta criniera. E' diventata più vigorosa, sempre im­mersa nella profonda calma di un idolo).

Brown                           - (fissandola, affascinato, come se la presenza di lei lo confortasse) Cibele! Venivo da te! Come hai saputo?

Cibele                            - (si toglie la maschera e guarda da Brown alla maschera di Dion, con gran comprensione) Ecco perché non sei mai più venuto da me! Tu sei Dion, Brown!

Brown                           - (amaro) Sono quanto resta di William Brown! (Accenna alla maschera di Dion) Io sono il suo assassino e la sua vittima!

Cibele                            - (con un riso di esasperata pietà) Oh, non potrai mai imparare a lasciarti in pace e a lasciarmi in pace?

Brown                           - (infantile, e ingenuo) Io sono Billy.

Cibele                            - (pronta, con materna sollecitudine) Allora fuggi, Billy! Stanno dando la caccia a qualcuno! Sono venuti a casa mia... cercavano un assassino! Devono tro­vare la vittima! Devono acquietare le loro paure, cacciare i loro diavoli, o non dormiranno mai più in pace! Devono uccidere qualcuno per vivere! Fuggi, Billy, fuggi! Ver­ranno qui. Sono corsa qui per avvertire qualcuno! Fuggi, ti dico, se ti preme di vivere!

Brown                           - Sono troppo stanco. Non voglio.

Cibele                            - (con calma materna) Va bene, non ne hai bisogno, Billy. Non essere di malumore. (Si sente un rumore, di fuori) In ogni modo, è troppo tardi. Li sento in giardino.

Brown                           - (ascoltando, stende la mano e tocca la maschera di Dion. Come se riprendesse forza, beffardo) Grazie per quest'ultimo favore, Dion! Senti... Ecco i tuoi ven­dicatori! Calpestano la tua tomba, in giardino! Ah, ah! (Si mette la maschera e balza a destra e, con un largo gesto, come se spalancasse una finestra) Benvenuti, muti adoratori! Io sono il vostro Grande Dio Brown! Mi hanno avvertito di fuggire da voi, ma il mio onnipotente capriccio mi fa danzare, per fuggire al disopra delle vostre anime prostrate! (Spari dal giardino, fuoco di fucileria. Brown vacilla indietro e cade presso il divano, mortalmente ferito).

Cibele                            - (corre a sollevarlo, lo adagia sul divano e gli toglie la maschera) Non puoi portare questa roba a letto con te. Devi andare a dormire solo. (Pone la ma-schera di Dion sul suo sostegno sotto la luce e si rimette la sua. Un gran fracasso alla porta, rumore di vetri rotti, trepestio di piedi e una squadra di poliziotti con le pi­stole puntate, condotta da un sergente dal volto brutale, si precipita nella stanza. Sono seguiti da Margaret, che ancora stringe al seno un pezzo del disegno).

Il Sergente                    - (puntando alla maschera di Dion... trion­fante) L'abbiamo preso! E’ morto!

Margaret                       - (si butta in ginocchio, prende la maschera e la bacia, disperata) Dion! Dion! (Essa singhiozza con profondo silenzioso dolore).

Il Sergente                    - (si accorge di Cibele e Brown... sobbal­zando) Ehi! Guardate qui! che state facendo qua? Chi è costui?

Cibele                            - Dovete saperlo. L'avete ferito a morte.

Il Sergente                    - (ringhioso, pronto) Era Anthony! Ho visto il suo muso! Questo furfante è un complice! Gli sta bene! Chi e? Un vostro amico! Un furfante! Come si chiama? Ditelo o vi caccio dentro!

Cibele                            - Billy.

Il Sergente                    - Billy come?

Cibele                            - Non so. Sta per morire. (Improvvisamente) Lasciatemi sola con lui, può darsi che riesca a farlo parlare.

Il Sergente                    - State attenta! Voglio aver un rapporto chiaro! Vi do un paio di minuti. (Fa cenno ai poliziotti che lo seguono; escono da sinistra. Cibele si toglie la maschera e siede vicino a Brown. Egli fa uno sforzo per sollevarsi a lei; essa lo aiuta, gli getta il chimono sul corpo nudo, adagia la testa di lui sulla propria spalla).

Brown                           - (stringendosi a lei, grato) La terra è calda.

Cibele                            - (piano, guardando avanti a sé, come un idolo) Sss! Dormi, Billy.

Brown                           - Si, mamma. Era buio e non potevo veder dove andavo e mi hanno ferito.

Cibele                            - Lo so. Tu sei stanco.

Brown                           - E quando mi sveglierò?...

Cibele                            - Il sole tornerà a sorgere.

Brown                           - A giudicare i vivi e i morti. (Spaurito) Non voglio giustizia. Voglio amore.

Cibele                            - Vi è solo amore.

Brown                           - Grazie, mamma. (Con voce fioca) Ho sonno. Com'è la preghiera che m'hai insegnato? Nostro Padre»,

Cibele                            - (con calma esultanza) Nostro Padre che sei.,.

Brown                           - (con lo stesso tono, esultante) Che sei.-Che sei... (Egli muore).

Cibele                            - (si alza e distende il corpo sul divano. Si curva e lo bacia dolcemente. Si rialza e si guarda intorno con dolore profondo) Sempre la primavera ritorna a portare la vita! Sempre, sempre, in eterno! Di nuovo primavera! Di muovo la vita... estate, autunno e morte e pace di nuo­vo! (Dolorosamente) Ma sempre, sempre amore, e conce­zione, e nascita, e dolore... e la primavera ritorna a portar l'intollerabile calice della vita! (Con esultanza) A portare la gloriosa splendente croce della vita! (Essa resta come un idolo della terra, gli occhi fissi al mondo).

Margaret                       - (sollevando il capo in atto di adorazione verso la maschera, con trionfante tenerezza mista a do­lore) Mio amore! Mio marito! Mio figlio! (Bacia la maschera) Addio. Grazie per la felicità. E tu non sei morto, amato! Tu non puoi morire, finche non morirà il mio cuore. Per sempre ti sentirò agitarti nel sonno sotto il mio cuore! (Torna a baciar la maschera. Una pausa).

Il Sergente                    - (giunge da sinistra e parla avanti a sa, ruvido) Dunque, come si chiama?

Cibele                            - Uomo!

Il Sergente                    - (cavando di tasca un libretto sporco e un pezzo di matita) Come si scrive?

Fine del quarto atto

EPILOGO

Quattro anni più tardi. La scena è la stessa parte del prologo, in un'altra notte di luna in giugno. Si ode lo sciacquio delle onde e l'eco di una musica di danza lon­tana.

Margaret e i suoi tre figli- (entrano a destra. Il più grande ha ora diciotto anni. Tutti e tre sono alti, atletici, forti e belli. Attorno alla sottile figura della madre ap­paiono come giganti protettori, dandole un singolare aspetto di femminilità solitaria, staccata, esile. Margaret porta la sua maschera di Madre orgogliosa e indulgente. E’ alquanto invecchiata. I suoi capelli sono di un bel­lissimo argento. C'è nei suoi modi e nella sua voce il malinconico ma rassegnato sentimento di chi sa il com­pito della sua vita bene adempito, ma al tempo stesso un po' vuoto e privo di scopo nella sua finalità. E’ av­volta in un mantello grigio).

Il maggiore dei figli      - Bettina non è bella questa sera, mamma?

Il secondo                     - Non ti pare che Maria è la migliore bal­lerina in sala, mamma?

Il minore                       - Però, Alice le batte tutte e due, vero, mamma?

Margaret                       - (con un piccolo sorriso triste) Avete ra­gione tutti e tre. (Dopo una pausa) Addio, ragazzi. I ragazzi (sorpresi) Addio?!

Margaret                       - E' proprio qui, in una notte come questa, che vostro padre, per la prima volta, mi ha chiesto di diventare sua moglie. Non lo sapevate, ragazzi?

I ragazzi                        - (imbarazzati) No.

Margaret                       - (sospirando) Ma le notti, adesso, sono molto più fredde di una volta. Pensate, quando ero ra­gazza facevo il bagno al chiaro di luna, a giugno. Era così caldo e bello, a quei tempi. (Una pausa. 1 ragazzi si agitano, impazienti ed inquieti. Essa prega, lamentosa) Promettetemi di non dimenticare mai vostro padre!

I ragazzi                        - (imbarazzati) Sì, mamma.

Margaret                       - (forzandosi ad un tono scherzoso) Ma non dovete sprecare una notte di giugno con una vec­chietta come me! Andate dentro a ballare. (Poiché essi esitano, rispettosi) Entrate, voglio proprio restar sola coi miei ricordi.

I ragazzi                        - (incapaci a nascondere la loro impazienza) Sì, mamma. (Escono).

Margaret                       - (lentamente si toglie la maschera, ponendola sul banco, e fissa la luna con pensierosa, rassegnata dol­cezza) Tanto tempo fa! E io sono ancora la stessa Margaret! E’ solo la vita che invecchia! Noi esistiamo mentre i secoli contano per secondi, e dopo migliaia di vite i nostri occhi cominciano ad aprirsi. (Guarda in­torno a se con un sorriso rapito) E la luna riposa nel mare! Voglio sentir la luna in pace nel mare! Voglio che Dion abbandoni il cielo per me! Voglio che egli dorma nella quiete del mio cuore! (Lentamente, di sotto al suo mantello, dal suo seno, come dal suo cuore, trae la  maschera di Dion quale era in ultimo e la tiene in­nanzi a se) Mio amore! Mio marito! Mio figlio! Non morirai finche non morirà il mio cuore. Tu vivrai per sempre! Tu dormi sotto il mio cuore! Ti sento agitarti nel sonno, per sempre sotto il mio cuore. (Lo bacia sulle labbra, con un bacio senza fine).

FINE