Il grigio

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IL GRIGIO

COMMEDIA A QUATTRO QUADRI e QUATTRO ATTI

DI FRIEDERICH FORSTER

(pseudonimo di WaldfriedBurggraf (1895-1958)

Titolo Originale dell’opera: der graue – versione italiana di italo alighiero chiusano

PERSONE

MEYER

HANS, suo figlio 

HENNY TOERM, governante

SELMA SCHWAN, gerente di una succursale di Roesing e Co.

ANNA

Dott. SICK, insegnante 

Dott. JAKOBI, maestro di ginnastica

MAX ARKEN, FRANZ KOLTHOFF, ROLF BRABANT, HARALD BECKER, TIIEO BOLF, studenti liceali - Un commesso di negozio.

MEYER: Un impiegato. Porta occhiali e barba. Consunto dal lavoro; duro, acido.

HANS: Dapprima veste una specie di uniforme grigia, tipo orfanotrofio. Quando è in altre vesti si         dimostra un ragazzo fresco spontaneo. In abito grigio appare secco, depresso, quasi vecchio.

HENNY: Donna già alquanto anziana, dall’acconciatura torreggiante. Quando non parla, ha      l’abitudine di sospirare rumorosamente. Il suo mazzo di chiavi le tintinna sempre intorno.

SELMA: È anche lei una « ragazza matura ». Ha un volto mite, non brutto, e i capelli bruni con             scriminatura in mezzo, da Madonna. Parla piano e con umiltà, anche nell’agitazione non alza   mai troppo la voce. Non è antipatica, e tutto il contrario di una “ vecchia zitella”.

Dr. SICK: Un giovane scapolo, di bassa statura, un po’ tozzo, coi capelli biondi e un po’ troppo            lunghi, di cui sembra aver molta cura, come del resto dedica un’attenzione meticolosa al           proprio corpo e al proprio aspetto esteriore. Ha l’abitudine di buttare spesso la testa indietro e quindi ravviarsi lentamente, lisciandola, la chioma ondulata. Parla quasi sorseggiando le            parole, riprendendo spesso fiato e ascoltandosi molto, con visibile godimento. Ha il vezzo di      osservare continuamente qualcuno o qualche cosa con grande intensità. Il suo fare è a scatti, manca di calma fisica ma è tutt’altro che una macchietta d’insegnante o una figura ridicola.

Dr. JAKOBI: Giovane maestro in abiti da sportivo, che nelle parole e nel contegno ci tiene a      dimostrarsi energico, senza però essere una specie di caporale o un prepotente. Vorrebbe           anzi mettere tutto su di un tono di cameratismo, e a tale scopo esagera un po’ nel « fare il        ragazzo ».

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

Gli scenari sono appena accennati. Al ginnasio. Un'onda. Di buon mattino, all’ora della prima lezione. I ragazzi fanno cagnara tra i banchi. Arken sta davanti alla porta socchiusa, in vedetta.

Arken(forte) — Attenti! Arriva. (Sfreccia al suo posto) Sst! Ma state zitti! (Sick appare sulla    soglia).

La classe(balzando in piedi) — Buon giorno, signor dottore.

Sick(va alla cattedra) — Giorno, seduti. (Gira un'occhiata sulla classe, poi estrae un libro dalla           borsa che ha con sè) In piedi. Senza far tanto baccano, prego. Silenzio. (Si alza anche lui)        Cominceremo la lezione odierna con una parola di Goethe. (Legge) « Come? in qual modo?            e quando? Gli dei restano muti. Tu sta contento al quia, non chieder mai perché! ». (Chiude      il libro) Seduti! (La classe si siede. Sick subito) Kolthoff!

Kolthoff (si alza) — Signor dottore?

Sick — E’ prescritto di cominciare ogni giorno la prima lezione con una frase della Bibbia o di qualche poeta. Bada che ho visto il tuo ridere da scimunito dietro la schiena di Brabant.

Kolthoff — Ma io non ho riso affatto, signor dottore!

Sick(sedendosi e accomodandosi la cravatta) — Ti faccio notare che il ridere sulle materie        d’insegnamento è una cosa alquanto imprudente, specie da parte di uno che non dovrebbe   giocarsi con tanta leggerezza l’ultimo resto di simpatia di cui gode. D’accordo, mio caro?         Seduto.

Kolthoff (convulso) — Ma io davvero non avevo... (Si siede).

Sick — Kolthoff. Favorisca. In piedi. Sì, proprio tu.

Kolthoff (in piedi) — Signor dottore?

Sick — Presto: in che anno Goethe divenne avvocato nella sua città natale?

Kolthoff — Nel 1771, signor dottore.

Sick— Hm. Seduto! La sua città natale era...? Bolf.

Bolf(in piedi)— Francoforte sul Meno. (Fa per sedersi).

Sick — Fermo. Resta in piedi. La seconda rielaborazione del « Goetz »?

Bolf — La seconda rielaborazione del «Goetz»... (s’impunta) del «Goetz».

Sick — Be’? Ignorante come un eschimese. (Risate) Silenzio. Seduto, Bolf! Ebbene? Brabant?

Brabant(scatta in piedi) — 1773, signor dottore.

Sick — Bene. Seduto. Le date non sono affatto la cosa più importante, ma ad ogni modo         costituiscono... (Di colpo) Cosa vuoi, Arken?

Arken(si alza) — Ce uno nuovo, signor dottore.

Sick — Uno nuovo? Seduto, Arken. Come, chi, dove?

Hans(si alza) — Qui, signor dottore.

Sick — Tu?...

Hans — Sì, signor dottore.

Sick — Venga avanti, il nuovo. (Hans avanza fino alla cattedra. Sick alla classe) Silenzio, là in fondo. (A Hans) Dunque sei tu?

Hans(piano) — Sì, signor dottore.

Sick — Veramente agli studenti liceali sarebbe prescritto di dare del lei, ma io ai miei allievi ho            l’abitudine di dar sempre del tu. Io, e del resto anche il mio collega dottor Jakobi, non   abbiamo fino ad oggi trovato alcuna obiezione su questo punto. Come ti chiami?

Hans — Meyer. Hans Meyer, signor dottore.

Sick — Oh guarda! Meyer? (Risate tra i banchi) Silenzio. Siete proprio ancora dei bambini. (A  Hans) Quanti anni hai?

Hans — Sedici, signor dottore.

Sick — Ah sì? (Apre il registro e scrive) Meyer coll’ipsilon?

Hans — Sissignore.

Sick(scrivendo) — Hm. Che cos’è tuo padre?

Hans — Agente bancario.

Sick — Indirizzo?

Hans — Gùterhofstrasse 8.

Sick(scrivendo) — Resta dalle parti della ferrovia, no?

Hans — Sì.

Sick — Hm. Già già. Bene. (Alza gli occhi) Brabant, smettila di chiacchierare. Io vedo tutto.     (Tagliente) Tutto. Bolf farebbe meglio a guardare il suo libro, invece di far pallottole di        carta. Un divertimento da stupidi. (Risate) Silenzio. Becker, che altro vai sognando con gli       occhi al soffitto? (Risate) Che significa? (A Hans) Dove sei stato finora?

Hans — A Haselhain, signor dottore. Quattro anni.

Sick — Haselhain? E’ ben un collegio, no? Laggiù, da qualche parte, tra i monti...

Hans — Sissignore.

Sick(si alza, passeggia su e giù) — Perché?

Hans — Scusi?

Sick — Perché sei stato là?

Hans — Perché la mamma era sempre malata e io perciò...

Sick — E adesso?

Hans — Adesso è morta.

Sick — Ah! Hm. Ma non volevo dir questo. Voglio sapere perché ora, a un tratto, vieni qui da noi,       perché non sei rimasto laggiù.

Hans — Perché là c’è solo il ginnasio, signor dottore.

Sick (torna alla cattedra) — Ah sì? (Si siede) C’è solo il ginnasio? Hm. Bene, bene! (Salta su, va          tra i banchi, si ferma davanti a Becker) Harald, non devi impiastricciarti a quel modo con la    brillantina. Non sta bene: i capelli devono ricadere soffici, leggeri. Così è orribile.

Decker — E’ perché mi sono lavati i capelli, signor dottore. (Parlando sì è levato in piedi) Ieri.            (Risate).

Sick — Sì ma... ti dà un aspetto da lift di grande albergo, ragazzo mio. Un che di leccato. (Si volta)      Silenzio Kolthoff, metti via quello scartafaccio. (Risate)E adesso esigo il più assoluto        silenzio. (Va alla cattedra) Dunque, cominciamo. (A Hans) Ah già, ci sei tu. Ti avevo     dimenticato completamente! (In cattedra) Il nuovo. Hm. Sicché c’era solo il ginnasio, hai        detto? Dopo, la fabbrica pedagogica chiudeva i battenti? (Risate) Be’, credi che ce la farai a tenere il nostro passo? (Hans sta a testa bassa e tace) Perché qui, sai, si pretende un bel po’        di roba. Qui non ci diamo mica buon tempo. Ci mancherebbe altro. Perché questa, se vuoi       saperlo, è una « vera » scuola. (Improvvisamente) Quando è stato finito il « Don Carlos »,            eh? (Silenzio, molti alzano la mano) Voglio saperlo da lui. Il « Don Carlos » di Schiller, Meyer. Be’? (Silenzio) Becker.

Becker — Nel 1786.

Sick — Già, per te : per Schiller invece solo nell’87. Somaro. (Risate) Ssst! A sedere, Harald! (A           Hans) Vedi, Meyer, e queste non sono che le basi. E’ questo che pretendiamo qui. (Si alza,      gli gira intorno) Dovrai sforzarti, caro mio! Eccome. Sgobbare. (Gli si ferma davanti) Eh sì, non c’è rimedio. Agli esami, poi, tutti i nodi verranno al pettine. Non posso farci niente. (Si    siede) Di’ un po’, era la vostra uniforme quel... quella casacca grigio topo? (Risate).

Hans(piano) — Sì.

Sick — Obbligatoria per tutti?

Hans(c.s.) — Sì.

Sick — Strano. Sicché là ogni cosa era grigio su grigio? Erano severi lassù, eh? Spartani?

Hans — Hm! Sì.

Sick — Be’, siediti, dunque. No, là in fondo, accanto a Bolf. Quello con la faccia intelligente. (Risate) Ma per carità non copiare i suoi compiti. (Risate) Non sa tirar fuori che sciocchezze.

Bolf(in piedi) — Signor dottore...

Sick — Seduto, Bolf! Non ci mancherebbe altro. Fai il ribelle? Un caso disperato, sotto ogni     aspetto. (Si alza) Attenti! Silenzio! (Qualche passo avanti) Dove s’era rimasti, Harald?

Becker — Eravamo sul Rùtli... (Risate).

Sick — Ah, un viaggio in Svizzera? Siediti, ragazzo. Bolf! Sì, tu. Quanto ci metti?

Bolf (in piedi) — ...pressa poco a metà del Rudi. (Ride imbarazzato) Eravamo rimasti lì, signor             dottore (Risate) Davvero! (Risate).

Sick — Ah sì? Se fossi in te, Bolf, prenderei la materia in chiave un po' meno comica. Ridere è una      bella cosa, ma per certuni, da un giorno all’altro, può cambiarsi in pianto. Seduto. Arken?           Seduto. Brabant? Be’?

Brabant — Ma il Rùtli, signor dottore.

Sick — Il Rùtli? Seduto. Arken?

Arken — Siamo arrivati in fondo a pagina 63 del « Guglielmo Tell », signor dottore, alla battuta di      Stauffacher.

Sick — Oh, finalmente. Siediti, Arken. Meyer. (Più forte) Meyer! Be’, dov’è che si nasconde il... il      Grigio? (Risate).

Hans(salta su) — Eccomi, signor dottore! (Intimidito) Qui...

Sick — Fa’ il piacere di stare attento. Non sono abituato a chiamare tre volte. E stai dritto. Non           curvarti così sopra il banco, capito? Avete letto il «Guglielmo Tell»?

Hans — No, signor dottore.

Sick — Nooo? Il « Goetz »?

Hans — No.

Sick — Nemmeno?! Ma allora, scusa, che avete letto?

Hans — Be’, così, nel libro di lettura eccetera. (Risate).

Sick — Nel libro di lettura? Immagino, la storia « dell’alberello che voleva cambiar foglie »?     (Risate) Silenzio! Eh, questo è un bel guaio, caro il mio Grigio. Un bel guaio davvero. (Va          su e giù) Il solito imbroglio. Eh, lo sappiamo, oramai. Ti scrivono sui loro prospetti : « I           nostri programmi sono equiparati a quelli delle scuole statali ». Sì, grazie tante. Neanche     un’ombra. Insegnano secondo la luna. Cerne gli salta in mente. Tutto un trucco. Una cultura     da salami di prim’ordine. (Risate) Tremendo. Come quella casacca speciale, quella grigia.           Roba da farti drizzare i capelli. (Risate) E non sarà meglio neanche per le altre materie.             Lingue. Matematica. Immagino, immagino. Avrà da divertirsi anche il dottor Jakobi.     Insomma, è un'indecenza. Sei all’oscuro, completamente all’oscuro di tutto. Non ce il            minimo barlume. Eh, andrai a finir bene, Grigio. Prevedo già ogni cosa. Becker! Su dunque,      in piedi, Harald. (Lascia Hans accanto alia cattedra e senza più badargli si rivolge a             Becker).

Becker(in piedi) — Signor dottore?

Sick — Contro chi è diretta la congiura dei confederati sul Rùtli?

Becker — Contro i governatori austriaci.

Sick(davanti a lui) — Bene. Contro i governatori. Ma chi è che non viene a quest’adunanza      segreta? Eh?

Becker — Non viene...

Sick (subito) — Bolf, chi?

Bolf (s’impappina) — Io? (Grande risata).

Sick — Tu? Ah, lo credo bene! Tu non arrivi mai. Dormiglione.

Bolf(ride impacciato) — Scusi!

Sick — Vedrai che ti passerà la voglia di scherzare. Seduto. Ebbene, Harald, chi è che non venne? Becker — Guglielmo Teli.

Sick — Benissimo: Tell. A sedere, Becker. Silenzio. Vorrei prima dire ancora alcune parole sulla           forma poetica. (Va alla cattedra) La pura forma, la bella veste stilistica... Voglio dire... (Si         accorge di Hans, ancora in piedi presso la cattedra). Ma chi c’è ancora, là davanti, in piedi? Arken(stridulo) — Meyer.

Sick — E che altro vuole? Vada al posto, il Grigio. (Risata) Mi rende nervoso. Seduto, Grigio!             (Hans va nel suo banco, Sick monta in cattedra) Silenzio. Dunque, in poche parole: la   forma, sotto ogni aspetto, è tutto; di qualsiasi cosa gli occhi e l’orecchio colgono anzitutto la      forma. (A un alunno) Ti prego di stare attento, Bernau. Schellhas, dritto con la schiena.         Dunque: l’impressione suscitata dalla forma è per così dire l’unica che determini la reazione       sentimentale, e questo non solo, come qui, in un’opera poetica, ma in ciascuna e in tutte le          cose della vita, sì, anche del vivere quotidiano...

QUADRO SECONDO

In casa Meyer. La camera da pranzo col tavolo.

Hans(entrando) — Giorno, signorina.

Henny Torm(ha in mano una scodella) — Puoi sederti. Papà ha già mangiato. Alle due deve già          essere in ufficio. (Impaziente) Ma siediti dunque, Hans. Hans (che stava dietro la sua sedia,          con gli occhi fissi, obbedisce) — Hm.

Henny — Vorrei solo sapere dove che ti trattieni tanto tempo.

Hans — Ginnastica. Abbiamo avuto ginnastica fino alle due.

Henny — Ah sì? Be’, papà non può aspettarti. Minestra? Ti ho chiesto se vuoi minestra.

Hans — Grazie.

Henny — Non possiamo mica riscaldare i piatti per delle ore. To’, carne di manzo. (Si siede in   punta di seggiola) Hai le patate? Senti, ragazzo, smettila di stuzzicare così i cibi con la          forchetta. E’ talmente brutto. Su, che aspetti a mangiare? Ti dòancora un cucchiaio di       fagioli. Ecco. Dammi qua il piatto.

Hans — Grazie signorina. (Mangia).

Henny — Ebbene, ti piace la nuova scuola?

Hans(mangiando) — Hm. Sì, sì...

Henny — Devi essere eternamente grato a tuo padre. Non sbrodolarti così. Che ti dà la possibilità        di finire gli studi. Con le preoccupazioni che ha... Su, finisci quel che avanza delle patate       fritte. Fin nel cuore della notte tuo padre siede al tavolo e fa i suoi conti e si angustia. Per te.   Su, prendi un altro poco di semolino. Il sugo di lamponi è terminato.

Hans (ne prende) — Grazie.

Henny — Del resto, studi come si deve? Io, già, non posso badare a nulla...

Hans (mangiando) — Hm. Sì sì. Naturale. Studio.

Henny — Come il vostro insegnante?

Hans — Il dottor Sick?

Henny — Sì.

Hans — Be’, così...

Henny — E i tuoi compagni? Non dici mai niente.

Hans — Be’, hm, anche quelli...

Henny — Che cosa, anche quelli? Ma favorisci almeno di aprire la bocca...

Hans — Eh così, insomma. (Mangia) Abbastanza simpatici. Sì.

Henny — Stai seduto dritto. Che maniere. Ecco. Alle solite. Hai di nuovo macchiato la tovaglia           buona. Tanto, Anna poi lava. E qui, si sa, non abbiamo nient’altro da fare. Hai finito, una          buona volta? Senti, vorrei solo sapere se avrai la compiacenza di aprir bocca, seriamente.   (Sospira e raduna i piatti).

Hans — Hm. Sì. Subito. (Si alza).

Henny — Dove vuoi andare?

Hans — Sopra a lavorare.

Henny — Senti, dovresti prima fare un salto qui di fronte, alla tintoria Ròsing. Ce qualcosa da ritirare. Fai questo favore. (Si alza) Eccoti il biglietto. Costerà sui cinque marchi. Tieni. Ma    bada di non perdere i soldi, mi raccomando. Ah già. Per le tue spese minute. Tieni, i tuoi   venticinque pfennig.

Hans — Grazie, signorina. (Va verso la porta).

Henny — Di’ ad Anna che venga a sparecchiare. E non far baccano sulle scale.

Hans — Hm. (Apre la porta, poi a un tratto si volta verso Henny) Senta, signorina.

Henny — Che c’è?

Hans — Io...

Henny — Avanti, che cosa vuoi?

Hans — Io... io ho bisogno di un abito.

Henny(irrigidendosi) — Tu?

Hans — Davvero, signorina.

Henny — Un abito? E a che scopo? Perchè?

Hans — Per la scuola eccetera, sì... davvero.

Henny — Un... abito? Ma non ne hai .portati tre di quelli grigi dal collegio?

Hans(esita) — Sì, ma quelli... Henny — Ma è un’assurdità! Una stoffa così buona, resistente. E            tutti e tre che sembrano nuovi. (Si mette a ridere) Come se non fossero buoni abbastanza per     la scuola. (Si ritocca i capelli) Che cosa mi tocca sentire.

Hans — Ma... (In fretta) Gli è che con quella roba io dò nell’occhio.

Henny — Tu? Tu dai nell’occhio? Come mai?

Hans — Nessuno, qui, è vestito in quel modo. Nessuno. (Poiché Henny lo guarda sbalordita)   Davvero, signorina...

Henny — Io resto senza parole. Ma ringrazia il cielo di aver ancora roba così buona. Dar            nell’occhio? Che significa, scusa, dar nell’occhio? Saranno invidiosi, ecco tutto.

Hans(smarrito) — Ma se le dico...

Henny — Conosco tanta gente che sarebbe arcifelice di andar vestita così!

Hans — Ma quelli, quelli... ridono di me.

Henny (lo guarda con stupore) — Ma senti che stupidaggini. Non contarmi frottole. Ridono?! Ma       chi vuoi mai che rida?

Hans — Sissignore, ridono. Tutti. Anche il dottor Sick. Sempre. Tutti i giorni. Fin da quando sono       entrato là. Tre settimane.

Henny — Queste non sono che sciocchezze. Ma ti rendi conto? La sepoltura della mamma è     costata mille marchi tondi tondi. In contanti, uno sull’altro. E il dottore, poi, ha ancora da        essere pagato. Ed ecco il signorino che pretende un abito nuovo. E perché? Solo perché sei            vanesio, ecco perché.

Hans — No, perché...

Henny — Lasciami parlare. Guarda un po’il tuo buon papà. Come va vestito semplicemente, tutti i       santi giorni. Quello i suoi vestiti li sa consumare. Direi quasi fino all’ultimo filo. Ma tu vuoi    un abito nuovo. Non se ne parla nemmeno.

Hans — Allora chiederò a papà...

Henny(aspra) — Te ne guarderai bene. Bella pretesa da andargli a dire. Sarebbe una      svergognatezza, una mancanza di riguardo. Con tutti i pensieri che ha.

Hans — Ebbene io così a scuola non ci vado più.

Henny (picchia con le nocche dei colpi secchi sul    tavolo) — E invece andrai proprio così, hai capito. Lo dirò ben io a papà, che pazzia sarebbe. Ancora un vestito nuovo. Come se tre non bastassero. (Lamentosa) Quando lui, quando tuo padre ne ha solo due.

Hans(con sforzo) — Ma se poi... è impossibile?! (Le si accosta) Io, io...

Henny — Come?

Hans — Io non lo sopporto più. Son tre settimane che dura. Giorno per giorno. Sick mi chiama solo     più «il Grigio». E anche gli altri. Per questa casacca.

Henny — E che male c’è? E’ uno scherzo innocuo del signor dottore. Così, uno scherzo.

Hans(ansima) — No, non è uno scherzo. Tutti quanti mi chiamano solo così. Anche il dottor     Jakobi. (Prorompe) E’ un’infamia, uno schifo.

Henny — Ehi, ti prego, abbassa un po’ la voce, vero? E non far tanto lo sciocco!

Hans — Ah, ma se lei...

Henny — Come? Io semplicemente non- riesco a capire come una persona ragionevole possa     prendere sul serio simili scempiaggini. Eh, hai delle grosse preoccupazioni, caro mio! Roba   da ridere!

Hans(pesta ì piedi) — Non è da ridere!

Henny — Ehi, calmati, eh! Quando si fa il proprio dovere si è anche stimati. E basta. Non so     neanche cosa vai cercando. Quell’abito ti sta benissimo. Benissimo, ti dico.

Hans — ’Giorno, signorina. (Esce di corsa).

Henny (lo segue; sulla soglia della porta spalancata) — Ehi, che significa, questo? (Grida) Senti           non dimenticare la tintoria. (Forte) Anna, Anna, potete venire a sparecchiare.

QUADRO TERZO

Nella succursale della tintoria Ròsing. Locale lungo e stretto. Banco. Scaffali pieni di vestiti. In fondo, per traverso, una cortina dì stoffa a disegni, che chiude una parte del locale. E’ pomeriggio.

Selma Schwan(dietro il banco, esamina un biglietto) — Numero 1623. Benissimo. Sì, è per la             signorina Tòrm, presso la famiglia Meyer. Questa blusa. Lei, immagino, è il signorino          Meyer.

Hans— Sì. Selma (stacca un biglietto dalla blusa) — Ecco fatto. Ecco qua. Ora glie la incarto. Sembra nuova, vero? (Solleva la blusa).

Hans(annuendo) — Hm.

Selma(mentre fa il pacco) — Come triste che lei abbia perduto sua madre! Là. Mi raccomando,            porti poi il pacco con molto riguardo. La seta si spiegazza così presto. Momentino. Lo fisso ancora con qualche spillo. Ecco... ecco fatto. Cooosì! Lei finora non stava mica qui, vero,      signor Meyer?

Hans — No, fuori...

Selma — Ah, ecco. Ma ora si ferma, no? Adesso che suo papà è così solo.

Hans — Hm. Sì. Sono qui al liceo.

Selma — Ah, vedi un po’! Già, me lo immaginavo. (Gli dà il pacco) Va bene così?

Hans — Oh, sì sì. Va bene. Grazie, signorina.

Selma — Prego. Dunque farebbe quattro marchi e cinquantacinque.

Hans — Tenga. (Le dà il danaro).

Selma — Cinque marchi. Grazie. Quarantacinque di resto. Venti, trenta, quaranta e cinque. Ecco. E     questa è la ricevuta.

Hans — Grazie.

Selma — Stia solo attento a come lo porta, signorino... Ah, un momento. (Scompare dietro la   tenda, ma ritorna subito) La mia minestra stava per traboccare, là nello sgabuzzino. Gli è      che qui da me è tutto un po’ primitivo. Per carità, non si guardi intorno.

Hans — A me sembra carino...

Selma — Carino? Senti senti! Ma se è tutto così semplice, così, come dire?...

Hans — C’è ancora una stanza, no, dietro quella tenda?

Selma — No, per carità. Uno sgabuzzino! E’ soltanto diviso da questa vecchia tenda. Del resto            sarebbe ora di lavarla. Non me la guardi troppo da vicino. (La tira da parte) Ecco! Quello è        tutto il mio lusso. Grandioso, no? Vede, ho il mio sofà, il tavolo, l’armadio... (Hans si            avvicina) E qui il fornello a gas. Ci scaldo il mangiare. Del resto, che si può fare quando si è       costretti a starsene qua dalla mattina alla sera? Non si riesce mai a fare un pasto da        cristiani...

Hans — Oh, ma allora non voglio disturbarla!

Selma — Lei? Ma neanche per idea. Niente affatto!

Hans — E’ proprio carino. E ha persino i fiori.

Selma — Ah, quelli? Già, di domenica scorsa. Bisogna pure, di tanto in tanto, uscire dal solito             tran-tran, no? Be’, a casa sua sarà più bello, immagino. La signorina terrà tutto in ordine,           come si deve, no?

Hans — Oh sì, per questo... Quel ritratto, scusi, sopra il sofà... Permette che...?

Selma — No, no, non stia a guardare quell’anti- caglia! Ma no! E’ roba talmente lontana!

Hans — Questa è lei.

Selma — Eh già. Ero. Una volta. Oggi siamo vecchie...

Hans(davanti al ritratto) — Ma no...

Selma — Sì sì, altroché! Be’, insomma, quando si ha di che vivere... Non vuol sedersi un          momentino?

Hans — Ma...

Selma — Un momentino soltanto. Lei non immagina neanche come ci si sente soli. Tutto il santo         giorno. E’ proprio una gioia, quando si possono fare quattro chiacchiere...

Hans — Ma qui gente ne viene spesso... (Si siede su di una seggiola che lei gli ha spinto accanto)         Tante grazie.

Selma — Gente? Sì, clienti. Entrano e se ne vanno. Per quelli io sono una commessa e basta. Ma          discorrere? Dio ci scampi! Non si discorre mica con una commessa.

Hans(imbarazzato) — Be’, perchè no?... E poi qui si può leggere bene.

Selma — Ah, leggere sì. E difatti io leggo. (Prende un libro sul tavolo) Ecco, vede? Romanzi. Ma       si può star sempre solo a leggere? (D’improvviso) Sta bene lei adesso a casa sua?

Hans — Io?...

Selma — Adesso che non c’è più la sua mamma, voglio dire.

Hans — Sì sì. Naturalmente. (Sfogliando il libro) Perché no?

Selma — Certo la signorina Tòrm è in gamba. Ah sì, bisogna dirlo. Bada al mezzo centesimo. E fa       bene, non le pare? Coi prezzi che corrono...

Hans(guardandosi intorno) — Hm, certo...

Selma — Non l’annoio mica, per caso?

Hans — Lei? No, assolutamente.

Selma — E’ molto solo lei, vero? Il papà ha il suo lavoro in ufficio. Sa, perché ogni tanto la      signorina Tòrm me ne parla. Trovo infatti che lei è molto pallido.

Hans — Be’, non sarà niente...

Selma — Voglio dire che dipende dallo star sempre chiuso in casa... Lei deve uscire di più. Coi           suoi amici. Lei certo ne avrà. Senza dubbio.

Hans — Io? No.

Selma — Possibile!? Ma a scuola si hanno pure degli amici.

Hans — Ah be’, così sì...

Selma — Ebbene con quelli deve andar fuori, via, all’aperto...

Hans — Hm.

Selma — Non bisogna star troppo sui libri, è vero? Oh Dio, s’intende, è necessario anche quello,          ma a esagerare si guasta tutto. Ma cosa sto mai a dire. Tutte cose che non mi riguardano,         vero?

Hans — Be’...

Selma — Ma tutto quel grigio che ce in lei deve sparire!

Hans(con un riso convulso) — Come il mio vestito, qua.

Selma — Il suo vestito? Già, quasi! Mi dia retta, pensi alla sua salute...

Hans — Grigio...

Selma — Quanti anni ha, se è lecito?

Hans — Sedici passati, signorina...

Selma — Schwan. Mi chiamo Schwan, Selma Schwan.

Hans — Sa, alla scuola dov’ero fino adesso dovevamo portare degli abiti così. Si chiamava       uniforme...

Selma — Non è possibile! Tutti?

Hans — Hm. Scommetto che non le piace...

Selma — Sì sì, perché? Solo che l’avrei creduto molto più anziano. E proprio per via di quest’abito      così severo. Ma la stoffa è ottima! Un tessuto di prim’ordine. Sa, noi siamo del mestiere, ce   ne intendiamo.

Hans(scoppia) — E’ schifoso, invece!

Selma — Be’, se lo dice lei stesso. Certo, bello non è. Così cupo, trovo, così...

Hans — E di questi ne ho tre!

Selma — Tre?

Hans — Sì! E la nostra signorina vuole assoluta- mente che li consumi. Che li consumi, l’uno dopo       l’altro!

Selma — Santo cielo! Tre vestiti? Ma passeranno degli anni. E’ un tessuto talmente spesso...

Hans — Degli anni?

Selma — Per forza. E’ roba, questa, che non si logora mai.

Hans — E per degli anni io... così...? Per degli anni!?

Selma — Ma che cos’ha?

Hans — Io dovrei ancora... .per anni e anni... così...

Selma — Be’, suo padre le regalerà ancora qualcosa di più portabile...

Hans — Quello?

Selma — Basta che lei glie lo sappia chiedere...

Hans — Mio padre non lo farà. La signorina Tòrm gli metterà in testa che non è necessario...

Selma — La signorina Tòrm? Ma tocca a quella decidere?

Hans(si alza) — Sì, proprio a quella! Trova che non è necessario... e l’ha già detto, anche... (Va su        e giù) E’ lei sola che decide. Mio padre fa soltanto quel che dice lei...

Selma — Oh, santo cielo, ma questo...

Hans — Come disgustoso, tutto questo! Come disgustoso... (Si ferma, stringendo i pugni) Basta          che dica una parola, e mio padre subito m’investe. Non posso chiedergli niente, non posso...

Henny(entrando) — Ecco, l’avrei giurato! Sei ancora lì. E io è un’ora che ti aspetto! Ma bene,   bravo!

Hans — Stavo giusto venendo... (S’avvia verso la porta).

Selma — Oh, sa come, signorina Tòrm, abbiamo cominciato a discorrere...

Henny — Non me lo trattenga, per carità, signorina Schwan. E’ un ragazzo che non si metterebbe        mai al lavoro. Ozia, gironzola...

Hans — Giorno! Eccole i suoi quarantacinque pfenning... (Esce).

Henny — Eh, che ne dice? Ti sbatte la porta in faccia... Belle maniere! (Prende i soldi sul banco)            Quarantacinque pfennig?

Selma — Faceva quattro marchi e cinquantacinque. Smacchiare e tingere, signorina.

Henny — Ah già. E’ vero. Oggigiorno è tutto così caro! (Sospira) Che tempi!

Selma (richiude la tenda) — Eh sì. (Viene avanti) Ma io - capisce? - non posso farci niente. Viene        già così dalla tintoria. Hanno le loro tariffe. Vede, ce ancora il biglietto   d’accompagnamento. Quattro e cinquantacinque. Guardi...

Henny — Sì sì, vedo, vedo. E in fondo questo è il meno. Sono spese che mi pago da me. Ma quel        che costa mandare avanti la casa! Bisogna che tutto sia perfetto, e se ce la fai di qua, non   riesci a farcela di là.

Selma — Prego, si accomodi.

Henny — Grazie, devo tornare subito. Anna ha il bucato. E chi è il responsabile? Soltanto io, creda      pure.

Selma — Ah, certo, certo.

Henny — Il ragazzo, per esempio, senta un po’. Ti viene lì tranquillamente e pretende un vestito           nuovo. Così, come niente: «Ne ho bisogno». Che ne dice? Eh?

Selma — Il signorino? Be’, però, dico, se...

Henny — Ha ¡portato dal collegio, badi, tre abiti nuovi, nuovissimi. Che son costati un occhio,             creda pure. Ma pazienza, era imposto dal regolamento, non c’era niente da fare. Adesso però            non si possono mica buttare nella spazzatura. Quella è roba da portare sino in fondo, no? Ma    quel ragazzaccio ne vuole assolutamente uno nuovo. Dice che se no a scuola ridono di lui.            Ha mai sentito una cosa simile?

Selma — Ma, potrebbe anche darsi, no? Qui una uniforme del genere non s’è mai vista.

Henny — E cosa vuole che importi? Ma lo sa che spesa sarebbe? Solo oggi, dodici marchi ho    dovuto sborsare per la cassa malattia di Anna. Soldi letteralmente buttati dalla finestra. E        non finisce mai. Ogni giorno ce n’è una nuova!

Selma — Oh Dio, non son cose che mi riguardino, ma il signor Meyer sarà ben in grado di        comprare a suo figlio, per trenta-quaranta marchi, un abito decente, come ne portano tutti i          giovanotti...

Henny(irritata) — Niente affatto. Non è assolutamente in grado. Lo saprò ben io, se è o non è in          grado, no? Sarebbe un puro spreco. (D’improvviso) Oh povera me, me ne sto qui a far           discorsi. (Sospira)Già, perchè oltre tutto bisogna ancor far la bambinaia. ’Giorno, signorina,     ’giorno! (Via in fretta).

Selma(la segue con gli occhi) — Mah... (Prende un libro dei conti e segna) Numero 1623, quattro        marchi e cinquantacinque. Pagato. (Ripone il libro e si accosta allo scaffale pieno d'abiti).

Hans(entra in fretta) — Scusi, signorina, ho dimenticato il mio berretto.

Selma — Il suo berretto? (Scompare dietro la tenda) Già, è vero. (Viene avanti) Era ancora sul tavolo.

Hans — Grazie. Buongiorno, signorina... (Va verso la porta).

Selma(dietro il banco) — Senta... senta un po’... Hans (si volge verso di lei) —- Scusi?

Selma — Be’, non so neanche come dirglielo...

Hans — Come dice, scusi?

Selma (dopo una pausa) — Non potrei anticiparle io il danaro?

Hans — Danaro?

Selma — Per un abito.

Hans — A me?

Selma — Lei poi, a poco a poco, me lo restituirebbe coi suoi soldi personali, le pare?

Hans — Danaro? Io... ma non capisco, lei...

Selma(esitante) — Non mi fraintenda, signorino...

Hans — Ma...

Selma — Le verrei tanto volentieri in aiuto.

Hans — Lei? (Impacciato) Ma non va mica.

Selma — Ma come no! Tutto può andare.

Hans — E poi quella mi domanda...

Selma — Chi?

Hans — Quella là! La nostra signorina.

Selma — La signorina Torm? Senta, sa che le dico? Adesso lei va e si compra qualche cosa di bello, qualcosa che le piaccia. Sissignore. Eccole quaranta marchi. (Apre il cassetto del    banco).

Hans(piano) — No, no, davvero!

Selma — Come no? Certo! E l’abito poi lo attacca intanto qui da me, dietro la tenda. E viene a            cambiarsi qui in negozio.

Hans (la guarda scombussolato) — Ma... ma come?...

Selma — Lei non avrà che da uscir di casa un paio di minuti prima, quando va a scuola. E’ così           semplice. Mi faccia il piacere, prenda! (Spinge il danaro verso di lui).

Hans — Lei... vuole... darmi... del... danaro?

Selma (annuisce) — Eccolo lì.

Hans — Ma questo proprio non va...

Selma — Tutto va, purché si voglia. Su, si decida a volere!

Hans(fissa le banconote) — Quaranta marchi...

Selma — Ma mi raccomando, lo provi subito, che le stia poi bene. E si faccia dare i ritagli, ha   capito? E badi che non le stia stretto sotto le ascelle!

Hans — In nessun caso posso accettare quei soldi...

Selma — Sciocchezze. Non posso!? Ma certo che può. Chi lo viene a sapere? Nessuno. Io lo faccio     soltanto perché lei me l’ha detto, perché mi fa pena. Bisogna pur aiutarsi l’un l'altro, no?   Dato che non ha più la mamma, vero? Non è però che voglia impormi, per carità! Sì, voglio             dire, poiché lei mi conosce appena. Ma spesso succede proprio così. Ci s’incontra. E poi, è             soltanto un prestito. Glie lo anticipo solo finché la signorina cambierà parere. E questo può           succedere da un giorno all'altro, davvero. Suo padre finirà per rendersi conto e allora tutto si   metterà a posto. Su, accetti senza complimenti. Cosa vuole che ci sia?

Hans — Tanto danaro...

Selma(gli mette il danaro in mano) — Oh, alla buonora. E adesso, presto... Vada da Stuve, nella          Obernstrasse : quella è una ditta seria.

Hans(sottosopra) — Ah, che «bellezza! (Via).

QUADRO QUARTO

In palestra. Un muro intonacato Di grigio, davanti d quale stanno le parallele; in terra, ai due lati, sono stese delle stuoie di cocco. Gli studenti sono allineati in disparte : tutti, tranne Hans, in costume da ginnastica.

Jakobi(ad Arken, che sta eseguendo un esercizio die parallele) — Bene. Molto bene, Arken. Via.         Torna in fila. Svelto! (Arken salta giù dalle parallele, scatta in posizione di seduto e torna in     fila) Meyer, che razza di atteggiamento è quello? Vieni avanti, Meyer! (Hans avanza. La     classe ride) Vieni qui, Grigio! (Risate) Un po’ più presto per favore. (Risate) Eccolo lì. Di’       un po’, come mai non sei ancora in costume da ginnastica?

Hans(esitante) — Non... non l’ho ancora, signor dottore.

Jakobi — Ma no! (Risate) Sprechi sempre un’infinità d’intelligenza nelle tue risposte, illustrissimo!       (Risate) Ma... gli è che questo, ormai, me lo stai già dicendo da sei settimane, signor Grigio.      (Risate).

Hans — La prossima volta senza fallo, signor dottore... (A testa bassa) Davvero.

Jakobi — Meyer, Meyer, Meyer! (Risate) Vuoi farmi il santo piacere di non startene lì come uno          straccio? Un po’ di portamento, Meyer. Petto in fuori. Avanti. Su con la vita. Stai facendo      una figura... (Risate) E’ roba... roba da vomitare, parola! In «fila. Silenzio, per favore!   Attenzione. Brabant, Kolhoff...

I Due(avanzando) — Signor dottore...

Jakobi — Via le sbarre. (I due ragazzi spingono da pane le parallele) Arken, Becker, Meyer,     Schultze: via le stuoie. Su su, in fretta. (Gli incaricati obbediscono) Ecco. Basta così. In fila.        Ginnastica svedese! Flessione del busto in avanti... uno. Boli, non c’è bisogno di tremare       come una gelatina: ragazzo impossibile! Le mani devono toccare il pavimento, coraggio!          Signor von Meyer, vorrebbe avere anche lei la compiacenza di fare come fanno gli altri? Ma    che diamine, che diamine. Cosa vai traballando? Su tutti, su! Venga avanti Meyer. Tu solo,             Meyer! (Risate, Hans esce dalla fila) Dai, in posizione! Flessione del busto in avanti... via!          Sei proprio un bel campione da fiera. (Risate) La ginnastica di Cretinetti! (Risate) Silenzio.         La miseria più grigia! In «fila! Avanti! Sveglia! (Hans torna in fila) Arken, pirata, non      sogghignare. (Risate) Gostendieck, sì, tu, allineati. Becker. E ci risiamo! Meyer, naturalmente! Storto come lui solo. Attenzione. Guardate come faccio io. (Si pianta rigido  davanti alla fila) Piegare lentamente le ginocchia... uuuno! Meyer! Già si sa. Com’è che stai        seduto? Sembri... sembri una donna del mercato che stia a covar le uova. (Risate) Vi prego          di far silenzio. Non è una cosa comica: è una cosa tragica. (Alle spalle di Hans) Ehi, ma tu    bari! Ma guarda un po’, se ne sta seduto sui polpacci. Razza d’imbroglione delle palestre.           (Risate) Mi vuoi imbrogliare, eh? (Risate) Tutti in piedi. Venga fuori Meyer. (Hans,    umiliato; esce dalla fila) Attenzione! Flessioni sulle ginocchia. Uno, due, tre. Uno, due, tre.             Dieci volte! Gli altri, esercizi a scelta. Ma piano. Non mi cominciate a far cagnara, mi      raccomando! (La classe si sparpaglia a destra e a sinistra. Jakobi davanti a Hans) Uno,       due, tre. Uno, due, tre. Non lasciarti andare. Alt! Non penserai di commuovermi? I         piagnistei non             mi commuovono. Tutt’altro! Non voglio che il tuo bene. Il tuo sangue è          pigro. Stagnante. Movimento ci vuole. Su. Giù. Su! Non farmi lo spossato. Avanti, ho detto,        pasta frolla. Su!

Hans(con spasimo) — Signor dottore...

Jakobi — Che vuoi?

Hans — Qui non posso «far ginnastica come... come sono capace...

Jakobi — Come sono capace? Che vuol dire?

Hans — Là dov’ero prima, ero... ero il primo in. ginnastica, davvero...

Jakobi (duro) — Vuoi forse dire con questo che non sono in grado di giudicare quel che vali?

Hans   (intimidito) — No, no, certamente, signor dottore...

Jakobi — Ah, be’... Gli è, caro mio, che tu non rendi. E’ un’indecenza, come la tua matematica. In-     somma, si può sapere che cos’hai? Non mi piaci affatto. Son cose che proprio non capisco. Guarda un po’ gli altri. Quelli sì che son ragazzi in gamba. Tu invece sembri un vecchio.             (Passeggia su e giù) E interesse, poi? Non ne hai un briciolo così. Tene stai in disparte,     lontano da tutto. E perchè, scusa? Perchè?

Hans(piano) — La prego, signor dottore, non... se mi permette... non mi chiami così davanti agli          altri, così...

Jakobi — Come, così? Che cosa?

Hans(c. s.) — Così... per il mio vestito...

Jakobi — Vestito? Come ti permetti? Io chiamo chiunque come mi pare e piace, capito? E se tu per     me sei il Grigio, vuol dire che lo sei e basta! Ci mancherebbe! Lagnanze! In che altro modo          vuoi che ti scuota? Eh? Abbi la compiacenza di vestirti come una persona ragionevole. Così       è insopportabile! A me gli originali non piacciono affatto. Tutta smania di farsi notare.             Sissignore, è proprio questo!

Hans — No, io...

Jakobi — Silenzio. Parlo io! Il tuo aspetto esteriore, qui da noi, dà sgradevolmente nell’occhio.            Non pretendo assolutamente abiti lussuosi. Sarebbe un grave errore. La giacchetta più    povera... (Di colpo) Me ne infischio altamente di quel che uno ha indosso, purché abbia un        aspetto... umano! Ma non si va in giro come te. Hai ben un padre che guadagna, no? Se nella            scuola privata era di rigore quella roba lì, bene, non è cosa che ci riguardi. Ma qui da noi          non è possibile. Capisco benissimo che dia nell’occhio, che provochi delle critiche.             Cambialo, nel tuo stesso interesse. Ma in fretta. Ma subito! (Trilla la campana della scuola)       Attenzione! Tutti qui. Svelti, svelti. (Entrano i ragazzi) Meyer, siamo intesi. Pensaci su.          Capito? In fila. Agli spogliatoi, marsch! Meyer, qui non ci si mette a frignare!

ATTO SECONDO

Q U A D R O  P R I M O

La tintoria di Selma.

Hans(entra) — Buon giorno.

Selma (esce di dietro la tenda) — Ah, è lei? Finalmente! Dov’era rimasto? Perchè stamattina non è      venuto a prendersi il vestito? Adesso che ce l’ha, non se lo mette!

Hans — E’ perchè... perchè avevamo ginnastica.

Selma — Va bene, ma per questo...

Hans — La lezione comincia già alle sette e mezzo. E qui era ancora chiuso...

Selma — Ma guarda un po’ che disgrazia, eh? Con un vestito così bello! Be’, vuol dire che da domani verrò prima. L’avessi solo saputo...

Hans — No, ma per me, signorina Schwan, lei vuol venire...

Selma — Ma non fa nulla, stia tranquillo! Un paio di minuti, cosa vuole che sia!

Hans — Be’, io proprio la ringrazio tanto...

Selma — Ssst! Non lo voglio sentire... Ma che cos’ha, lì? Ha un livido sulla fronte.

Hans — Qui? Uff... sono caduto mentre facevo ginnastica. Una cosa da niente. (A un tratto) Jakobi     mi fa a pezzi! Non mi può vedere!

Selma — Chi, il maestro?

Hans — Quel mascalzone, quel cane, quel...

Selma — Gran Dio! Ma che cos’ha contro di lei?

Hans — Perchè...

Selma — Hm?

Hans — Perchè non ho il costume da ginnastica... E non l’avrò mai. Mio padre mi ha scaraventato        fuori... E la signorina, poi...

Selma —E’ prescritto dal regolamento?

Hans — Ce l’hanno tutti. Tutti. E Jakobi insegna anche matematica. Quando comincia ad avere           uno sulle corna... e me mi ha sulle coma...

Selma — Anche in matematica?

Hans(inghiottendo) — Be’... vede... ho già preso un cinque. E con Sick un quattro in letteratura...         (Con sforzo) Finisce che mi bocciano, finisce. E Jakobi, sa, quello di ginnastica e          matematica, quello di certo mi rovina. Mi odia, quello!

Selma(subito) — Ah sì? Bene. Adesso ti compri il costume da ginnastica. E subito! Hai capito?           Oh scusi... scusi se le ho dato del tu...

Hans — Me lo dia pure tranquillamente...

Selma — No no, non sta bene. Ecco, prenda: credo che basterà.

Hans — Venti marchi? Venti? Allora farebbero poi già sessanta. No, la prego, è meglio di no.   (Allontana i soldi).

Selma — Ma che male c’è? Verrà il giorno che, potendo, mi restituirà tutto.

Hans — Bisogna... che dica tutto... a mio padre...

Selma — No, questo lei non lo farà! Questa faccenda va prima regolata tra noi due, non è vero?

Hans — Coi miei venticinque pfennig? Che ci devo pure comprare i quaderni? Come sarà mai   possibile?

Selma — Il tempo porta consiglio. Sì, sì, è proprio così!

Hans — Mai, mai...

Selma (smarrita) — Eh, che discorsi! Coraggio, giovanotto! Come si fa a essere così sfiduciati!            Tutto andrà ancora a posto, creda a me.

Hans(disperato) — No, no! Sì, lei ride, ma non andrà mai tutto a posto, come dice lei. Mio padre         non vorrà neanche sentirne parlare. Lei non lo conosce, lei non sa che uomo è. Ho già          provato mille volte. Sempre così. Io non so, non so cosa succederebbe se un giorno gli   dicessi che ho avuto sessanta marchi da... (Davanti a lei) Come vuole che faccia a restituirle   quei soldi? E se a Pasquami bocciano... Dovrò lasciare la scuola... è logico... E mi             bocceranno, mi bocceranno di sicuro. Non mi considerano una cicca. Non mi vogliono. Non       faccio parte del loro gruppo, devo andarmene! (Si appoggia al muro, lo sguardo vuoto)          Sicché se penso a tutti quei soldi...

Selma (piano) — Ma lei non deve assolutamente pensarci...

Hans — Sessanta marchi! Ma pensi: sessanta marchi!

Selma — Lei stia solo calmo. Non vai proprio la pena agitarsi per quello. Non crederà mica che io        le... Dio mio, posso aspettare a lungo, mi creda... Purché io riesca ad esserle di aiuto, vero?       Vuole una tazza di caffè? (Apre a metà la cortina) Guardi, è già pronto. Eh? Che ne dice?

Hans — Ah, è talmente... talmente bello, qui, in confronto a casa mia...

Selma — Be’, se si sente a suo agio, in questa povera baracca...

Hans — Oh, qui è molto più bello che a casa, qui da lei... (ride, disperato) nella baracca...

Selma — Be’, be'!

Hans — Sul serio! Qui uno può sedersi, e discorrere, e non c’è nessuno, qui, come la signorina Tòrm...

Selma(con la caffettiera) — Là, e adesso non faccia complimenti e prenda una tazza di caffè e non      pensi più a niente, va bene?

Hans — Oh grazie, signorina Schwan, davvero non posso. Devo tornare a casa, veramente. Ho             ancora il componimento, i logaritmi e poi anche Omero...

Selma — Come vuole. Sarà per un’altra volta. Ma domattina venga, eh?, mi raccomando. Io sarò         qui per tempo.

Hans — Hm.

Selma (indica dietro la cortina) — Guardi un po’! Eccola là appesa, la nuova marsina di gala!

Hans — Hm.

Selma — L’ha proprio scelto con gusto: una stoffa così bella, così leggera!

Hans(prorompe) — Già, se non mi aiuta quello... Ma pensi, che cosa idiota! Tutto può dipendere         da una cosa del genere! Da un... vestito! E’ un... è una...

Selma — Be’, certo che... Ma è poi sicuro di non ingannarsi? E’ davvero così grave, voglio dire, è        proprio certo che sia tutta colpa dell'abito che lei porta?

Hans(con calore) — Sì! Solo per questo! Mi deve credere! Basta che entri in classe, e già          incominciano. «E’ arrivato il Grigio!». «Ciao, Grigio!». «Hai dormito bene, Grigio?».

Selma(attonita) — Ma guarda che roba!

Hans — E il dottor Sick, poi. Non fa altro che beccarmi. E io non riesco più a dare una risposta che      non sia stupida... Sì, ho paura... e poi le risate degli altri... (Scoraggiato) Mi sembra di non          saper più niente... (Ansando) Sa che cosa faccio, io? Finché non. suona la campanella, giro         per le strade intorno alla scuola, solo per non trovarmi in classe con tutti quegli altri! Entro           soltanto poco prima di Sick, di Jakobi o di Arndt, e allora attaccano subito: «Dormito    troppo, Grigio?». «Che ritardi sono questi, Grigio? ». E avanti, avanti... Ogni giorno. (Dà un pugno sul banco) Io non lo sopporto più! Deve pur finire, in un modo o nell’altro. Vada             come vuole! (Gridando) Ma adesso basta. Basta!

Selma(spaventata) — Si calmi, su! Ora tutto cambierà, stia pur certo.

Hans — E se non cambia nemmeno adesso, io... Che cose mio padre? E’ un... Per lui non esiste che      quella signorina Tòrm, che mi tratta come un cretino. Quella... ti conta le macchie che fai           sulla tovaglia... E aizza mio padre contro di me. E mai che lui abbia un momento per me           solo. C’è sempre anche quell’altra. Quella... carogna!

Selma(si asciuga gli occhi) — Vieni pure spesso qui da me...

Hans — E dove altro vuol che vada? Io non ho nessuno...

Selma — Ci sono qua io...

Hans — Sì, lei è buona con me.

Selma — Ebbene vieni pure, quando hai voglia. Sfogati con me. E’ un sollievo, nevvero?

Hans (annuisce) — Hm.

Selma — Ora però devi andare, no? Tieni, prendi pure tranquillamente il danaro e compra quello          che ti serve... è necessario... moltissimo dipende da questo, per te... non è vero? E domattina    verrai qui per tempo - hai capito? - e allora appendiamo quest’abito grigio all’attaccapanni e       tutto andrà poi bene...

Hans(avviandosi alla porta) — Non posso mica fare altrimenti...

QUADRO SECONDO

In classe.

Arken(sulla porta, in vedetta) — Attenti, è qui! (Sfreccia nel suo banco. Silenzio generale. Sick            entra).

LA CLASSE(balzando in piedi) — Buon giorno, signor dottore!

Sick — ’Giorno! Seduti. (La classe si siede. Sick si siede alla cattedra) Oggi, per cominciare,     ascolteremo una poesia di Gottfried Keller. Un autore - è vero? - che conosciamo un poco             dall’anno scorso. Be’, Bolf, quando è vissuto Keller? Eh? Non nesai niente, come sempre!         Un autentico bue (Risate) Kolthoff? Gòstendieck? Sehultze? Tu, amico Arken?

Arken —       Dal 1819 al. 1890, signor dottore.

Sick — Bene. Seduto. Dove, Brabant? Dove visse Keller?

Brabant — Keller? In... in Svizzera, signor dottore!

Sick — Pirata che non sei altro! Fattelo suggerire con più esattezza! (Risate) Be’?

Brabant (ghignando) — A Berna.

Sick — Baggianate! Sicché, Bolf, dove? A Vattelapesca, che?Becker? Arken? Meyer?

Becker — Meyer è assente, signor dottore.

Sick — Assente? Dove è andato a finire, il Grigio? (Risate) Silenzio. E’ ammalato? Non ce nessuno     che lo sappia? Non ce mica nessuno di voi che lo frequenti, no? (Sfoglia un libro, cercando        un passo).

La Classe(in coro) — No, signor dottore!

Sick — Harald...

Becker(si alza) — E, non c’è proprio, insomma...

Sick — Tante grazie! Adesso, finalmente, lo so! (Risate) Sei un bel tipo, sai! (Risate) Ricordami,           poi, di segnare l’assenza sul registro, hai capito?

Becker — Va bene, signor dottore.

Sick — Seduto. E adesso vi prego di far silenzio. Attenzione. Guardate in qua. Dunque, Keller, del     quale l’anno scorso abbiamo letto « Specchio, il micino». E’ vero, Boli? L’eccellenza vostra    si degna di ricordare che lo leggemmo?

Bolf(in piedi) — Sissignore! (Risate) Me ne... (si confonde) me ne ricordo. (Risate).

Sick — Ah sì? Che degnazione! (Risate) Attenti. In piedi. (La classe si alza in piedi; si leva anche        Sick e legge) « Pupille mie, mie care finestrelle, - da tanto tempo ormai mi illuminate, -             accogliendo le immagini più belle; - ma un giorno o l’altro sarete oscurate. (Alzando un po’        la voce) Bevete, occhi, bevete sino in fondo - il traboccante fulgore del mondo! ».

Hans(entra in classe. Veste un abito nuovo, giovanile) — Mi scusi...

Sick (posa il libro) — Questo è... (Si schiarisce la gola e guarda Hans, che si sta avviando al suo          posto) Meyer?! Di dove vieni a quest’ora? Sono le otto e un quarto. Arrivi con quindici             minuti...

Hans — Ho... ho fatto tardi...

Sick — Va bene, ma scusa, dove andremo a finire, così? Eh, Meyer? Se qui ciascuno arrivasse in          ritardo, che razza di scuola sarebbe, eh? (Lotta con una certa irritazione).

Hans (in piedi in mezzo ai banchi, piano) — Le chiedo scusa, signor dottore...

Sick — Che cosa? Vieni un po’ qui. (Alla classe tuttora in piedi) Seduti. (Hans viene avanti) Prego,      un po’ in fretta... (Lo segue con gli occhi).

Hans(davanti alla cattedra) — Mi sono... mi è...

Sick (lo fissa) — Be’, transeat! Può succedere. In fondo può accadere a tutti, una volta, mio... caro       Meyer. Vai pure al posto. (Hans va al suo banco-, tutti gli occhi lo seguono) Basta. Che         roba è? Guardate in qua. Cosa state a fissare il Gri... a fissare Meyer? Kolthoff, parlo al             muro? Avanti, si comincia. Gòstendieck, giù quella penna... Hans Meyer, vieni un po’ qui,          per favore... (Hans toma alla cattedra) Di’ un po’, dove eravamo rimasti, l’ultima volta?

Hans (scombussolato) — Eravamo... eravamo rimasti...

Sick(in piedi, appoggiato alla cattedra) — Su, su, che diamine. Non ti divoro mica. Ebbene?     Guardami un po’ in faccia!

Hans — Eravamo... (Alza gli occhi e tace).

Sick — Non metterti in soggezione. (Dopo un silenzio) Brabant, dillo tu!

Brabant(si alza) — Partendo dalla lettura del «Guglielmo Teli»...

Sick — Hm.

Brabant — Si passò a studiare « L’ostaggio » di Schiller. E precisamente perchè...

Sick — Bene. Siediti pure. Dunque... Hans, di che cosa tesse le lodi, qui, il poeta... Come si      chiama?

Hans — Schiller. Friedrich von Schiller...

Sick — Benissimo. Rispondi solo forte e chiaro. Dunque, che cose che loda Schiller? (Gira intorno      alla cattedra e osserva Hans di fianco, senza che questi se ne accorga) Ne abbiamo parlato      a lungo, non è vero... Hans?

Hans — Loda l’amicizia, signor dottore!

Sick — Oh, vedi dunque? Bravo. Molto bene, Meyer!... E tu, ce l’hai un amico? (Hans tace) Alla         tua età hanno tutti degli amici! (Hans tace) Qui, per esempio! (Fa un cenno verso la classe)       Ce n e un bel po’ di gente simpatica, no? (Risate) Silenzio! Non ti pare?

Hans — Sì, signor dottore... (Tace di nuovo, abbassando gli occhi) Certo, hm...

Sick — Finora non hai stretto amicizia con nessuno, vero? (Hans tace) Oppure... Non è mica detto       che debba essere proprio monsieur Bolf, no? (Risate) A proposito, Bolf, il tuo           componimento è di nuovo un vero giornale umoristico. Ma ne parleremo ancora, Bolf. Hai        tirato fuori le baggianate più incredibili. Seduto, Bolf. (A Hans) E allora, Meyer, come            questa faccenda?

Hans — Ma... non c’è nessuno che voglia...

Sick — Ah sì? Nessuno, dici? Harald.

Becker(in piedi) — Signor dottore.

Sick — Arken, Kolthoff...

I due(alzandosi) — Signor dottore?

Sick(andando verso i banchi) — Voi tre, d’ora in poi, vi occuperete un poco di Meyer, capito?

I tre — Sissignore.

Sick — Seduti. Silenzio. Niente chiacchiere, là in fondo. (Va su e giù) Anche se Meyer è venuto da     noi un po’ più tardi, ciò non deve affatto rendercelo estraneo. Questo è un sistema che non        vogliamo assolutamente adottare. Nella mia classe non si isola nessuno. Meyer, però...            (Hans fa un movimento: « Signor dottore? ») Voglio dire, non dipende forse un po’ da te? Ti    sei per caso... allontanato dagli altri, eh? Ti sei chiuso in te stesso, ti sei messo in disparte dai     tuoi compagni, eh? Eri forse inaccostabile, eh? (In faccia a lui) Senti, sarebbe stata una   grave             sciocchezza. D’ora in poi ti unirai agli altri, hai capito? Anche fuori della scuola devi       prendere parte alla vita della tua classe... Dimmi un po’, vai a remare con loro?

Hans — Io? No, signor dottore, io no...

Sick — Noo? Ma guarda! Un ragazzo robusto come te! E’ un buon esercizio, sai! Fa compenso allo      studio. (Su e giù) E perchè, se no, abitiamo lungo il fiume? (Risate) Silenzio! No, no, è stato    un errore, Hans, rendersi così... invisibile. (Davanti a lui) Mi sembra quasi di vederti oggi   per la prima volta. Ho l’impressione di notare soltanto oggi che ci sei anche tu, che sei uno dei miei allievi. Strano, ma è proprio così. E alza una buona volta quegli occhi da terra.          Guardami in faccia. Sono forse un tiranno? (Grande risata) Senti, ridono. Difatti sarebbe             proprio da ridere. Severo sì, certo, bisogna. Ma tuttavia amico di tutti, hai capito? Perchè fai      quel riso da tontolone, Bolf?(Risate) Anche il tuo bene mi sta a cuore, anche se tu, somaro,    non ci credi. (Risate) Becker...

Becker (in piedi) — Signor dottore?

Sick — Quand’è la prossima regata?

Becker — Oggi alle quattro, signor dottore!

Sick — Ah, oggi? Hm. Porterai con te Hans Meyer.

Becker — Hm...

Sick — Ti piacerebbe remare, Hans?

Hans — Oh sì, tanto, signor dottore!

Sick — Eh già, fa anche bene alla salute. Hai il costume adatto?

Hans — No, signor dottore...

Sick —Non fa niente. Chi di voi ne ha due? Avanti!

Arken — Io, signor dottore!

Sick — Bene. Ne presterai uno a Meyer. Seduto,

Arken.(Alla cattedra) Siediti, Hans. (Hans va alsuo posto, gli sguardi lo seguono. Sick batte forti          colpi col righello) Guardate da questa parte. E silenzio, perdinci! Dunque, avevamo preso             ancora una volta « L’ostaggio » di Schiller come paragone della nostra lettura. Riprendiamo dunque dalla prima strofa. A chi toccava, ieri?

Arken — Al Grigio, signor dottore. (Risate e fermento).

Hans(sì alza; a bassa voce) — A me, signor dottore...

Sick — Arken! Che significa? (Va tra i banchi) Cosa vuol dire « il Grigio »? Io non conosco     nessun alunno che si chiami «Grigio». Smettila con simili scemenze. (Torna alla cattedra)         Se qualche volta ho chiamato Meyer « il Grigio», non era da parte mia che uno scherzo         innocente. Una cosa detta senza nessuna cattiva intenzione... (Su e giù) Ma a forza di essere     ripetuto, lo scherzo diventa scherno. E io scherni non ne ammetto. Capito, Arken?

Arken (sbigottito) — Sì, signor dottore...

Sick — Ch’io non senta mai più quella parola riferita a Hans Meyer, capito?

Arken — Sì, signor dottore.

Sick (in faccia ad Arken) — La freccia potrebbe ritorcersi su chi l’ha tirata. Capito? Mi dica un             po’, signor Arken, quando è nato Lessing. (Lo tien d’occhio, impaziente).

Arken (sconcertato) — Nel 17... 1720...

Sick(duro) — 1729... ’29! Seduto. D’ora in poi fa’ il piacere di occuparti più della materia di    studio che dei miei piccoli scherzi, mio caro... Cose quel ridere da stupido, Becker? In piedi. Matthias Claudius? Anno di nascita e anno di morte... Be’, ci sei?... Niente. Quattro! Seduto.   Be’, Hans, tu lo sai?

Hans(in piedi) — Nell’anno... Claudius... nell’anno...

Sick — 1740. Certo che lo sai! Ma non ce da stupirsi se trovandosi in mezzo a quest’orda di     selvaggi si diventa un po’ ombrosi. Dal 1740 al 1815. (A gran voce, a tutta la classe) Molte   cose non mi piacciono, qui dentro, signori miei! Ci sarebbe molto da ridire, qui dentro. Qui     sarebbe necessario, sotto tutti i riguardi, un bel repulisti. Silenzio!... Meyer!

Hans — Signor dottore?

Sick — Devi essere più libero, più disinvolto, ragazzo mio! Non così impaurito, così...    rannicchiato. Nella mia classe non ci sono schiavi. Io pretendo franchezza e fiducia           incondizionata. Verso di me e tra voi altri. Ed è proprio questo che ti manca. La colpa è della           classe, non tua. Questo, ormai, l’ho capito. L’incidente di Arken me ne ha convinto      pienamente. Vieni un po’ qua... (Hans va alla cattedra) Quando ti vedo così... quando ti...             (Dì colpo) Devi cambiare, hai capito?! Ti stai rovinando ogni cosa con quel... quel tuo fare         chiuso, ombroso, a cui sembrano averti letteralmente costretto. Tutto ciò deve finire. Ci starò      attento io. Occhi aperti vuol dire libertà interiore. Questo è tutto! (Su e giù) “ Bevete, occhi,     bevete sino in fondo - il traboccante fulgore del mondo!”. E’ proprio questo! Comprendi?

Hans — Sì, signor dottore...

Sick (davanti a Hans, una mano sulla sua s-palla) — Basta aver fiducia. In me. Essere maestro vuol dire essere il miglior amico dei giovani. Se no è meglio cambiar mestiere. Be’, torna -pure a sederti... (Hans va al suo posto. Sick alzando la voce) E quel che ho detto adesso vale per tutti. Noi siamo un circolo, una comunità. Siamo strettamente legati tra di noi, siamo una brigata... Che cosa vuoi, Boli? Bolf (in piedi) — Posso uscire un momento? (Risate). Sick (lo fissa, il volto gli si contrae in un lampo, lo stato d’animo degli ultimi minuti lo abbandona di colpo; grida, con voce rauca) — Tu, eh? Vieni avanti! «L’ostaggio», prima strofa! Prego! «Al tiranno Dionigi s’appressò»... Qui, ho detto. Non far quella faccia da idiota... Ignorante che non sei altro...

QUADRO TERZO

Presso il capannone dove si custodiscono le barche, A sinistra si vede ancora un pezzo della parete di fondo. In mezzo a destra, una sponda erbosa in pendenza, dietro la quale si            immagina che scorra il fiume. A destra, in piano, una comune tavola da osteria pitturata in bianco, con accanto una sedia. Un assolato pomeriggio di ottobre.

Sick (in piedi sopra la sponda, segue la regata, facendosi schermo al sole con la mano. A Jakobi,          che sta al di là della sponda, in tenuta da canottiere) — Tanto di cappello, collega.       Magnifico! Che impeto, che slancio! Come spingono, quei birbanti. Accipicchia! Ma      guarda. Sembra che voli, il canotto... Rallegramenti. Questa è opera sua... (Gli batte sulla            spalla).

Jakobi — Mi fa piacere. Mi fa proprio piacere! A proposito, che ne dice di Meyer? Quel ragazzo è       letteralmente trasformato. Una cosa da non credere!

Sick — In gamba! In gamba! (Guarda verso il fiume) Davvero straordinario! Jakobi (si accende            una sigaretta) — Quel Meyer! Proprio da un giorno all’altro. (Dà fuori una boccata di    fumo) Non riesco quasi a concepirlo. E in matematica, idem. Tutt’a un tratto ti diventa un      cannone, un vero cannone!

Sick — Nevvero? Eh già, quel Meyer...

Jakobi — A quanto pare succedono dei miracoli, collega Sick. Cos’è accaduto a quel ragazzo?

Sick — A Meyer? Non è stato preso dal verso giusto, tutto lì. La colpa è di quei maledetti         ragazzacci. Quando arriva uno nuovo, non lasciano mai che maturi, che diventi se stesso. Lo   rendono ombroso. Gli è successo quel che succede a un pulcino che vada a finire in un altro    pollaio... Ho dovuto metterci le mani io stesso. (Scende un po’ la scarpata, Jakobi lo segue       parlando).

Jakobi — Ah, è così la faccenda?

Sick — Già, purtroppo! Ma ho fatto cambiar io le cose. Da un momento all’altro tutto è andato in        ordine. Adesso il ragazzo si è... disimpacciato, tutto il segreto è qui. (Si siede al tavolo e si          versa un bicchiere di vino da una bottiglia che vi sta sopra) Salute, collega!

Jakobi — Prosperità!

Sick(sognante) — Bisogna saper far luce in una simile anima di ragazzo. Non è mica difficile. E’          così facile. Spesso non sono affatto dei problemi erotici, sessuali a rendere incapace un         ragazzo. In questo mi sembra che i signori intelligentoni prendano un granchio basilare. Son    tutte storie, quelle!

Jakobi — Perfettamente d’accordo. (Sulla sponda) Per favore, Sick, venga un po’ a vedere! (Sicklo      segue) Chi è che fa tutto, laggiù? Hans Meyer! E' quasi comico, quel che è diventato quel        ragazzo in un paio di settimane... E’ il mio miglior vogatore, il Grigio!

Sick — Davvero, straordinario! Energico! Gagliardo! Vede, collega, quando lui entrò nella mia            classe con quell’orrenda uniforme da collegiale, be’, insomma, mi scappò detto. Lo chiamai             «Grigio». In fondo, più che altro perché non mi era ancora familiare il suo nome...         Naturalmente glie lo appiopparono subito come nomignolo. I ragazzi sanno essere     maledettamente brutali. Eh già! Noi altri non ci rendiamo spesso assolutamente conto di          quello che possiamo provocare... Non ce lo immaginiamo nemmeno...

Jakobi — Ah, è lei che ha introdotto quest’abitudine?

Sick — Ma come, che cosa? Ohe significa « introdotto quest’abitudine »? Neanche per sogno! Se        glie lo sto dicendo: sono stati i ragazzi. Al contrario, io sono intervenuto. E adesso lui è di   nuovo... Meyer.

Jakobi (guarda verso il fiume, attento) — Hm.

Sick — Adesso quasi tutta la classe si disputa la sua amicizia. E questa è opera mia. Brabant,    Arken, Becker: gli sono amici intimi, oramai, per la pelle! Io lo ripeto sempre, quasi in ogni    conferenza: bisogna occuparsi anche della vita privata dei giovani. Non vi s’impara mai           abbastanza. Al contrario!

Jakobi — Mi scusi... (Grida, con le mani a portavoce) Finito. Basta! Qua i canotti... Bolf, vuoi             scendere da quel melo, sì o no, ladruncolo che sei?

Sick — Naturale: Bolf. Ruba la frutta. Quello lì, poi, è un capitolo tutto speciale. (Scuote la testa)         Cose mai viste! Eh?

Jakobi — La nostra pecora nera.

Sick — E’ assolutamente escluso che possiamo trascinarcelo dietro più a lungo. A Pasqua          bisognerà finalmente dare un taglio netto. Eh? Non ho ragione

Jakobi — Senza cervello.

Sick — Vero? Del tutto privo di intelligenza. Gli si legge in faccia, del resto. Io non posso        nemmeno guardarlo, quel bruttissimo ragazzo...

Jakobi — Be’, non è la bellezza che importi...

Sick(irritato) — Che? Come? Non intendevo in quel senso. Lei mi fraintende. E’ chiaro che      l’importante non è quell’attrattiva, quel dono esteriore, assolutamente no, però voglio dire... (D'improvviso) Per esempio, Hans Meyer...

Jakobi — Mi scusi... (Grida, oltre la sponda) Brabant! Attenti a quel canotto. (Forte) Diamine, non     fatelo urtare così. La vernice se ne va al diavolo! (A Sick) Abbia pazienza! Ci vado a mettere   un po’ di gas! Mi scusi, sa... (Sparisce in fretta dietro un terrapieno. Sick torna al tavolo e          beve precipitoso. Becker e Hans entrambi in costume da vogatori entrano a passo veloce             dalla parte della sponda).

Becker(marciando) — Un, duè, tre! Un, duè, tre!

Hans(ansante) — Uff, ehi, ferma! (Si fermano ridendo sulla cresta del terrapieno e        s’accapigliano un po’ per gioco).

Becker(gridando, verso il capannone) — Mamma Murken! Carburante!

Hans(id.) — Limonata!

Becker — To’ beone! (Lo spinge giù per la scarpata).

Hans(strilla ridendo) — Nanerottolo scemo.

Becker(lo insegue) — Cos’hai detto? (Si rotolano nell’erba, lottando).

Sick(avanza) — Lotta greco-romana?

Hans(balza in piedi, spaventato) — Signor... signor dottore?

Becker (in piedi) — Perdoni! (Si pulisce le ginocchia e i pantaloni).

Sick(sorridendo) — Siete degli arditi lottatori, voi due.

Becker — Volevamo solo bere un momento...

Hans (gli scappa di bocca) — Una limonata...

Sick (indica sul tavolo) — Ah sì? Là, ragazzi, guardate: il mio sidro. Bevete pure. Coraggio! Hans        (confuso) — Oh, signor dottore... (Sbircia verso Becker).

Sick — Su, su. Niente complimenti! Per me ce n’è abbastanza. Harald, va un po’ a prendere dei           bicchieri. (Si siede).

Becker — Hm. Volentieri. (Via in direzione del capannone).

Sick — Sicché, Hans? Siediti. Ti sei fatto venire il fiatone. Su, coraggio, sì, lì, su quel tavolo     traballante. To’, tieni indosso il mio mantello. Fa fresco. E tu fumi addirittura di sudore... Sì,    sulle spalle!

Hans — Oh, grazie, signor dottore... Questo non occorre proprio.

Sick(lo aiuta) — Sciocchezze. Su, ecco! Questo ti tien caldo. E adesso respira adagio,   tranquillamente. E non bere poi tutto in un fiato... Be’, ti piace remare?

Hans(seduto sul tavolo, avvolto nel cappotto di Sick) — Oh sì. Bello. Davvero...

Sick — Vedi, dunque? Che ti avevo detto? Non si sta poi mica tanto male da noi, eh, ragazzo mio?      Del resto mi ha fatto piacere sentir dal collega Jakobi che è contento di te, specie in     matematica. Bene, bene! Continua solo così. Tutto andrà per il meglio!

Hans — Ah, sarebbe...

Sick — Coraggio e perseveranza, Hans! Questo è quanto... (Dopo un silenzio) Ma sei già tutto abbronzato. Non ti si riconosce più. Avranno un bel guardare, le ragazze, quando ci sarà la        regata di chiusura... Hans (tira via un filo dai suoi calzoncini) — Oh, signor dottore...

Sick — Eh, che vuoi farci, è così... (Si alza, va su e giù) Basta che non diventi presuntuoso. Niente       deve farti dimenticare le materie di studio.

Hans — Oh no... (Sorride imbarazzato).

Becker (entra con due bicchieri) — Han dovuto prima lavarli.

Sick (afferra la bottiglia) — E ora, ragazzi, bevete. (Versa) Be’, prosit!

Hans(in piedi) — Signor dottore, mi permetta, ci permetta di... Alla sua salute, signor dottore...            Becker (sull’attenti) — Alla sua, signor dottore!

Sick(tocca i bicchieri) — Grazie, grazie. Prosit, Harald. Prosit, Plans, prosit! Siete buoni amici,             voi due, vero?

Becker — Noi? Per la pelle, signor dottore.

Hans — Eccome...

Sick — Oh, bravi. (Di colpo) Non bevete con tanta furia. Mi... mi sono compiaciuto di voi, là, durante la gaia!... Be’, arrivederci! 'Giorno, ’giorno, ragazzi! (Si avvia).

Hans(correndogli dietro) — Il suo mantello...

Sick — Ah già...

Hans(con un piccolo inchino) — Tante grazie...

Sick — Non c’è di che. Adesso, però, andate subito a vestirvi, capito? Comincia a far fresco. Be’,        arrivederci! (Via a destra).

Hans(beve) — Di’! Sick è bravo! Davvero!

Becker(beve) — Hm... (D'improvviso) Di’, senti...

Hans — Che cosa?

Becker — Oggi faccio un salto a casa tua. Adesso che abbiamo finito...

Hans   (subito) — Ma no... Andiamo da te, va’! Sai, io...

Becker — Vorrei proprio sapere perchè non posso mai venire da te...

Hans — Ma non c'è mica nessun motivo speciale...

Becker — E allora oggi vengo. Sono curioso di vedere come il tuo buco.

Hans(incerto) — Non è proprio possibile, sai... (Poi, in fretta) La settimana prossima, forse...

Becker — Riuscirò bene a scoprire la ragione!

Hans — Ma se ti dico che non ce nessuna ragione speciale... Non essere così...

Becker — « Non essere così! ». Io sono come sono. In te sì che c’è qualcosa che non va. E’ più che     evidente. Appena è finita la scuola, scompari senza lasciar tracce. Arken fa la tua stessa      strada: e mai che tu ti faccia- incontrare. Cosa vuol dire, scusa? Eh? E a casa tua non ci si           può andare. Ogni volta tiri fuori un’altra scusa... Cos’è, è tuo padre che non vuole o che         altro?

Hans — Sai, abbiamo una governante, una signorina...

Becker — E che c’entra, quella?

Hans(raschiando nella sabbia con la punta del piede) — Quella c’entra in tutto... eccetera... e per         questo, allora...

Becker — Non ci arrivo. Ma è ridicolo, scusa. Mi sembra che... Ma è addirittura comico. Hai fifa        di una governante! (Scoppia a ridere) Ah, questa è bella!

Hans — Ma non posso mica...

Becker — Senti, penso che sarebbe ora che tu aprissi il sacco almeno con me. Perchè diamine   siamo così amici, se no? Ma tu di me te ne infischi.

Hans — No, no, davvero...

Becker — Alla fine, sai, sono proprio seccato. Sempre quel tuo tirarti indietro, quel « non posso,         non voglio, non devo»... sai, alla lunga ne ho poi abbastanza.

Hans — Oh, Harry... ma se non è niente... è soltanto... così...

Becker — Razza di merluzzo che sei! Perchè poi non vieni mai alle passeggiate? Che non ce li hai       gli occhi in testa? Elli Brabant, l’altro giorno, ti ha buttato un’occhiata che faceva faville! E la sorella di Arken, la Lori, anche lei. Ogni giorno chiedono di te, le ragazze. E tu non ti fai   mai vedere. Tu neanche t’immagini le possibilità che avresti, pecorone... To’, guardalo lì! N          on metterti ancora a piangere. Su, alla tua! (Beve).

Hans — Alla tua! Brabant (entra di sopra il terrapieno) — Accidenti! Voi trincate e noi intanto           trasciniamo il canotto. Accidenti!

Becker — Pazienza. Prosit! Tracanniamo il sidro personale di Sick. Un marco la bottiglia. Prosit!

Hans — Sì, ce l’ha offerto lui. Che ne dici?

Brabant (sbalordito) — Sick! davvero? E da quando in qua viene a veder le regate?

Becker (si accende' una sigaretta) — Sono già tre volte...

Brabant — Dànne una anche a me... (La prende) Sick, quel troglodita, vuol diventare un tifoso,         eh? (Beve) Prosit, boys! Perchè diavolo viene sempre qui, adesso?

Becker(fa gli anelli col fumo) — Non certo per noi, Rolf...

Brabant (ha un moto) — Per...

Becker(a Hans) — Per la scuola non hai più bisogno di preoccuparti... E’ diventato così paterno...

Hans(con ingenua schiettezza) — Vero? Adesso è proprio terribilmente simpatico, no?

A T T O T E R Z O

QUADRO PRIMO

Il negozio di Selma Schwan. Giorno d’inverno. Verso mezzogiorno. La cortina dietro il banco è chiusa. Selma si sta preparando il pranzo nel suo « retrobottega » : rumore di stoviglie. Entra Hans. Ha fretta. Il campanello automatico della porta dà un forte trillo. Hans getta la borsa coi libri di scuola sul banco. Selma esce subito di dietro la tenda.

Selma — Hans!

Hans — Buon appetito. (Fischietta allegramente e con un salto si siede sul banco).

Selma(felice) — E’ arrivato il mio orologio.

Hans — Orologio? Perché? (Si gira in modo da volgere le spalle agli spettatori) Eh?

Selma — Luna e un quarto. Ogni volta che arrivi è luna e un quarto precisa.

Hans(ride) — Ah sì? Magnifico, no? Di’, lo sai che è maledettamente difficile infilarsi qui dentro         inosservati? Ho sempre paura che mi venga sulla strada la carogna o il vecchio o che so io...    Faccio certe sudate fredde.

Selma — « Carogna »! Eh, che razza di espressioni.

Hans — Quella è più che una carogna. Vedessi quanto tormenta papà e Anna, per non dire di me.

Selma — Va bene, ma insomma... carogna?!

Hans — L’altro giorno mi casca un piatto. Roba che può succedere a chiunque, no? Be’, quella            strega non mi defalca subito quindici pfenning? E mio padre, che dice? « Ha ragione la             signorina Torm! Tratta con più riguardo quel che mi costa tanta fatica, balordo! » e mi sbatte        la porta in faccia. Uno schifo. Ma adesso è ora. Resta qui un momento, vado là dietro e mi   cambio subito. Mmm, che bell’odorino ce di nuovo; che stai cucinando?

Selma — Ho arrostito un po’ di salciccia...

Hans (annusa ridendo) — Mmm! Càpperi! Come in un grand hotel...

Selma(ridendo) — Ma guarda! Ce ne abbastanza, sai: ne vuoi un po'?

Hans — No, meglio di no. Purtroppo. Non è possibile. Se no poi non riesco mandar giù il mangime      di quella là e scoppia subito la bomba. (Salta giù dal banco) Forza, allora, torniamo in quella    porcheria grigia. Ah, aspetta. Ho qui qualcosa. (Apre la borsa e sfila una busta dalle pagine  di un libro) To’, da’ un po’ uno sguardo. (Toglie una fotografia dalla busta e gliela porge) Beh?

Selma — Ehi, ma questo sei tu?!

Hans — Eh già, alla festa dei canottieri che c’è stata in ottobre. E qui Harry Becker, e Arken... E...

Selma(osservando la fotografia) — Chi è questa ragazza?

Hans(le dà un’altra fotografia) — E questa è stata fatta la settimana scorsa. Fuori, sai, alla società        del tiro a segno.

Selma — Ah sì? Eccola di nuovo qua, al tuo fianco. E chi sarebbe, questa?

Hans — Lori Arken. Suo fratello è mio compagno di classe. Una ragazza in gamba... Bella, ti dico.       Meravigliosa. (Toglie dalla busta una lettera e glie la dà) Leggi un po’.

Selma(legge) — « Mio bel piccolo Plans. Ti accludo le fotografie che ti avevo promesso. Tante            grazie per la tua lettera, che mi è stata consegnata dal mio caro fratello. Non so cosa sia più     delizioso, la tua poesia o te. Lori! ». (Lascia cadere il foglio sul tavolo) Cosa significa?

Hans — Be’, niente di speciale, insomma. Sono un po’ cotto per quella ragazza, ecco...

Selma(piano) — Tu?

Hans(ride) — Si, solo un po’ così, via...

Selma — Ma questo...

Hans — Che cosa? Ma se è bellissimo. Adesso, per piacere, dammi un po’ quella maledetta       casacca.

Selma — Tieni. (Stacca l’abito grigio dall’armadio)Hans!(Hans le passa accanto col vestito e fa           per andar dietro la cortina) Hans!

Hans(si ferma) — Eh?

Selma (più vicina)— Senti...

Hans — Che cosa?

Selma — Senti! (Lo tira improvvisamente a sé).

Hans(indietreggia) — Ma che cosa...?

Selma(se lo stringe disperatamente al seno) — Hans!

Hans — No...

Selma — Tu non sai...

Hans(rigido) — Per favore, di’, lasciami andare... per favore... (E’ accanto a lei, sconvolto).

Selma — Ti sono mai mancata, io? (Silenzio) Non ho forse fatto per te tutto quel che si poteva             fare...

Hans (con pena, senza capire) — Ma sì, certo... davvero...

Selma — Le altre ragazze... (Con foga) Lo sai perché piaci alle ragazze? Perché ti ho aiutato io.            Che cosa saresti in fondo senza di me?...

Hans(sottovoce) — Devo... devo cambiarmi... (Prende la lettera e la mette nella borsa, insieme             conle fotografie. Selma, con impeto, gli mette una mano sul braccio) E’ già tardi, se no mi        aspettano poi a tavola...

Selma — Fammi vedere ancora una volta.

Hans — Che cosa?

Selma — Le fotografie.

Hans — Tienile.

Selma — Ecco... ecco... Così. (Straccia la lettera e le fotografie) Così. (Calpesta i pezzi di carta)           Lori! La tua Lori!

Hans(atterrito) — No. Ma no.

Selma — Lori!

Hans(con un sorriso sforzato) — Ma perchè?

Selma — Ah, mi deridi, eh? Sissignore, stai ridendo. (Rauca) Sì, lo vedo benissimo, mascalzone.

Hans — No, sinceramente. Io non... non ho riso...

Selma (senza più ritegno) — Perché son troppo vecchia. Ecco perché. Fila dentro. Cambiati. (Lo          spinge dietro la tenda, poi resta sola dinanzi al banco, che comincia a martellare di pugni)       Questo è il tuo ringraziamento. Ecco quel che ne ho avuto. Ma è sempre così in questo       mondo infame. Quelle ragazzine hanno tutto per loro! Invadenti. Ladre. (Scoppia a             piangere) E tu, poi. Coi vestiti che t’ho pagato io. Non c’è da stupirsi se ti corrono dietro: ti        ho rivestito tutto coi miei poveri soldi, (Minacciosa) Ah, quelle là, Sono insaziabili,             corrotte... fiori di marciapiede! (Si accascia sul banco, singhiozzando) Ma che si vive a fare?      Perché sono ancora al mondo? (D’improvviso, con odio) Lori! Ah, se potessi...

Hans (esce di dietro la tenda, vestito dell’àbito grigio) — Non è mica niente...

Selma — Ecco. Ecco che cosa sei. Senza di me, questo, sei! Una miseria grigia! (Va verso di lui)          Hans!

Hans(raccogliendo i pezzi di carta) — Bisogna che vada. (Trattiene le lacrime).

Selma(lo fa drizzare) — Lascia lì quella roba. Neanche un pezzo ne porterai via. (Di fronte a lui)          Ascoltami, Hans: tu devi essere buono con me. (Hans resta a testa china) Ah, dunque no?    Niente? (Prorompe) E’ così che ringrazi? Guarda là il vestito nuovo. E i calzini di lusso. E il           costume da ginnastica. La maglietta da vogatore. E la continua paura per causa tua. Che          qualcuno della strada se ne accorga. 145 marchi. Messi da me. Fino all’ultimocentesimo. E           nessuna gratitudine. Non un’ombra di gratitudine. (Stringendoglisi addosso) Hans!

Hans (una parola per volta) — Ma... non... posso... mica... se... non...

Selma(stringendo i pugni)— Ah sì? Non puoi dimostrarti... riconoscente? (Scoppia a ridere) Ma          con questa... Lori?... E se ora rivolessi... tutto indietro? Eh? Saresti forse ancora il suo « bel     piccolo Hans»? Sai che saresti, allora? «Il Grigio», saresti. Hai capito? Altro che     «delizioso»! (Silenzio) E io rivoglio tutto. Sissignore, tutto. Ormai siamo giunti a questo punto. Ora me lo faccio ridare. Tutto. Ho ancora i biglietti, le ricevute. E’ tutto segnato nel             libro. (Implorante) Hans... (Silenzio) Ah no? No? Farabutto! Sarei capace di... Ci penserò io       ad aprir gli occhi della tua Lori sul suo cavaliere gonfiato. Lo farò, quante vero Dio. E saprà             tutto anche la signorina Tòrm, e anche tuo padre, se entro stasera non riavrò i miei soldi... qui sul tavolo, contati uno sull’altro. Pensaci bene.

Hans(piano) — Ma io non ho soldi... Tu lo sai benissimo. Lo hai sempre saputo.

Selma — Non m’importa. Del resto, dipende da te. Non è necessario, se tu... (Lo accarezza) Hans!

Hans(con un gemito) — Oh, lasciami...

Selma(con irruenza) — Mi porterai almeno venti marchi... altrimenti vado io stessa a casa tua e            dico tutto, anche di... di Lori... Tu non sai di che cosa sono capace, quando mi si mette sotto            i piedi. Lori! Tu appartieni a me. Sei mio. Io ho pagato quanto bastava...

Hans(con un grido) — Ma... che cosa ho fatto? (Via).

QUADRO SECONDO

La classe.

Sick(in. cattedra) — Che? Come? Ah be’, questo bisogna proprio che ce lo spieghi ancora una volta. Com’era la faccenda di Essex?

Hans(in piedi nel suo banco) — Era lo schiavo di Elisabetta, signor dottore.

Sick — Lo schiavo?!

Hans — Lei aveva detto che la regina Elisabetta, quando... con Essex... Sì, che era già vecchia,             insomma.

Sick — Be’. Matura. Io ho detto una donna matura...

Hans — E lui, dunque, doveva fare tutto quel che voleva lei. Era in suo potere... (Irremovibile) Sì.

Sick — Ma come, «in suo potere»? Il conte era un uomo libero, indipendente, no? Vuoi forse dire,       perché lei alla fine l’ha fatto uccidere, o che cosa?

Hans — Sì! In un certo qual modo, già...

Sick — Ah, via, via. Prima di tutto rispondi a frasi intere. Dei « be’ » e dei « già » non so che   farmene. Che novità è mai questa? (Va su e giù) Io ho spiegato esattamente come sono             concatenati gli avvenimenti storici. E da questi non risulta affatto che Essex fosse lo             «schiavo» di Elisabetta. Essa, anzi, gli lasciava molta libertà. Direi quasi che era lui che      dominava la regina. Dato che lui era giovane, dato che era consapevole dei vantaggi della    sua gioventù e della sua bellezza, era lui che teneva lei in suo potere... Non ti pare?

Hans(crolla il capo)— Sì, ma lui le si era venduto, lei lo teneva in pugno. Se no non avrebbe     nemmeno potuto farlo uccidere.

Sick — Ma dov’è che leggi questa roba, ragazzo?! I motivi erano ben differenti... Lui non le si era       venduto affatto. Sciocchezze.

Hans — Sì. Sì che si era venduto... (Risate in classe) Lei gli aveva pagato -tutti i debiti... Lui non         aveva più scampo, da lei, era obbligato a fare quel che lei voleva, e quando non volle più,    dovette morire.

Sick(stupito) — Ah sì? Mi riesce assolutamente nuovo, signor professore Meyer! (Risate)           Silenzio. Non c’è niente da ridere. Al contrario. Meyer, almeno, pensa con la sua testa,        anche se nelle sue indagini storiche private prende dei grossi granchi. Non ho proprio niente     in contrario, purché mi si faccia il piacere di restare nella logica. Ma la tua ipotesi, di logica,    non ne ha neppure un grammo.

Hans — Eppure è così. (Risate).

Sick(davanti a lui) — Ehi, Hans, sei matto? Supponiamo, per esempio, che tu... ecco, che tu sia...

Hans — Eppure è proprio così. (Risate).

Sick — Silenzio. Da quando in qua sei così... prepotente, ragazzo? Siediti.

Hans (si siede) — E allora si fa qualsiasi cosa... qualsiasi cosa...

Sick (è tornato alla cattedra) — Che cose che si fa? Come? Che hai detto? Silenzio. (Tumulto tra i       banchi) Ma cosa succede laggiù?

Arken(forte) — Signor dottore, signor dottore...

Sick — Che vuoi?

Kolthoff — Meyer...

Bolf(sbraita) — Meyer è steso sul banco...

Sick — Come? Cosa? Steso dove? (Viene avanti di corsa).

Becker — Acqua! Ehi, Hans!

Sick(si fa largo tra i ragazzi) — Largo, largo. Un po’ d’acqua. Svelti. Fai piano, Harald. Sì, lì sul          banco. Adagio. Via quei libri, forza. Da’ una mano, Brabant. Tenetegli su la testa. Su, qua la      spugna. Hans, mi senti? Che ti prende, Hans? Arken, mettigli quella borsa sotto la testa.            Cosa mi combini, Hans? Puoi drizzarti? Bravo, così! Andiamo un po’ alla finestra. Kolthoff,           apri la finestra. Oh, è giàpassato. Ecco fatto. Vieni un po’ qui. Ce la fai già a stare in piedi?       Appoggiati un po’ lì. Harald, sostienilo. Ah, vedi che stai su da solo? Vuoi andare a casa?   Eh? Becker ti accompagna.

Hans (debolmente) — No, per favore... vado solo...

Sick — Solo?! Che pazzia. E come fai? Finisce poi ancora che svieni per la strada... Becker lo fa           volentieri: nevvero, Becker?

Becker —Naturalmente.

Hans — Per favore, no. Ce la faccio, signor dottore, davvero...

Becker (torna bruscamente al suo posto) — E allora niente.

Sick — Comportati come si deve, Harald. Se lui non vuole... E allora vai pure.

Hans (ad Arken, che gli ha portato la borsa) — Grazie. Tante grazie, signor dottore... Così va   abbastanza bene... (Esce lentamente. Silenzio).

Sick(lo segue con lo sguardo) — Mah! (Alla classe) Seduti. Silenzio. (In cattedra) Sapete niente,          voi, che cos’abbia? Tu, Harald?

Becker — No. Con quello non si capisce mai niente...

Sick — Perché?

Becker — Ma così, insomma, sempre...

Sick — Strano. Andiamo avanti. Aprite l’atlante. Il regno di Gran Bretagna comprendeva dunque        sotto Elisabetta, anzitutto le seguenti regioni... (A un tratto) Ma quel ragazzo, insomma,           deve avere qualche cosa. Mica si sviene, così, di punto in bianco, senza un motivo. E’ ben    strano. Dunque: l’Inghilterra propriamente detta; poi, più tardi, la Scozia...

QUADRO TERZO

In casa Meyer. L’ora di colazione dello stesso giorno. Henny e Meyer siedono a tavola e mangiano.

Henny — Ancora un po’ di piselli, signor Meyer. Prego.

Meyer(masticando) — Grazie, signorina, molto gentile.

Henny — Non è mica troppo dura, no, la carne?

Meyer — No, no, anzi.

Henny (mangiando) — Dopo dovrò purtroppo di nuovo infastidirla con le solite questioni di    economia domestica. (Sospirando) Domani è il primo. L’affitto...

Meyer(di sopra gli occhiali) — Diggià? Come passa il tempo...

Hans(entra, indossa l’abito grigio)— Buon appetito, papà...

Henny — Sei già qui? Siediti.

Meyer(secco) — Altrettanto. (Mangia).

Hans (sedendosi) — Oggi ci hanno fatti uscire prima. C’è stata una lezione di meno.

Henny — Tieni. Mangia.

Hans — Grazie.

Meyer — Te le sei lavate le mani?

Hans(mangiando) — Hh. Sì.

Meyer — Di’ un po’, come stai andando?

Hans — Scusa?

Meyer — A scuola, s’intende.

Hans — Bene, papà. Abbastanza bene.

Meyer(ringhiando) — Che significa « abbastanza bene »? Devi andare benissimo, hai capito!?             Della mediocrità non so che farmene, capito?

Hans — Ma sarò... sarò promosso certamente.

Meyer(tra un boccone e l’altro) — Vorrei vedere che tu non lo fossi. Su quello non ammetto    scherzi, eh? Io non mantengo fannulloni. Per questi luridi tempi ci vogliono uomini che          siano uomini. In tutti i posti. Le mezze cartucce vadano al diavolo. Del resto non ho i soldi            per pagarmi certi scherzetti, come sarebbe la ripetizione di una classe. Anche così non    avanza mai un centesimo. Lo sai o non lo sai?

Hans — Ma io farò tutto per...

Meyer — Voglio sperarlo. (Si alza) Be’, arrivederla, signorina.

Henny — Oh, ancora un attimo, la prego, signor Meyer.

Meyer — Come? Ah già, i soldi...

Henny — No, per quello non ce fretta. Volevo solo chiederle se mi permette di fare una domanda        ad Anna in sua presenza. Un minuto soltanto...

Meyer(si accende un sigaro) — Anna? Cosa c’è con Anna?

Henny — Un attimo, signor Meyer... (Chiama dalla porta) Anna! Venite un po’ qua. (A Hans) Ehi,     non facciamo storie : le lenticchie le devi mangiare. Fa’ il santo favore. Non puoi mica   mangiare soltanto la carne. Quella deve bastare ancora per domani. Vero, signor Meyer?

Meyer — Sì, mangia più verdura. Non ci si può rimpinzare di sola carne. Faccio forse così, io?

Anna (entrando) — Signorina?

Henny — Ah, eccovi qui, Anna! Sentite un po’, mancano le vecchie tazzine di porcellana di Dresda     della povera signora. Voi sapete di quali parlo. Quelle che sono nell’armadio della stanza         verde.

Anna (riscaldandosi subito) — Io? C’entro forse io? Ma insomma, cosa vuole da me?

Meyer — Ehi, Anna? Che modi sono questi? Ah, è così che siete...

Anna — Così, così? Io? Io sarei...

Henny — Sì. Voi. Mi sono permessa di cercare nella vostra roba. Le tazze non ci sono.

Hans(si alza) — Signorina...

Anna — Io sarei? (Scoppia in pianto) Ah, ma questa... Sono una ladra?

Henny— Quell’armadio è senza serratura, questo lo sapete quanto me...

Meyer — Oh Anna! Mi avete fatto questo?

Hans (non gli badano) — Papà...

Anna(grida disperata) — Questa è un'infamia. Come se io fossi un tipo da rubare. Cosa le salta in        testa, signorina? Lei è diventata matta. A me, che nessuno mi ha mai rimproverato niente...      (Si accascia singhiozzando su di una sedia) Lo dirò alla polizia.

Henny — Risparmiatevi la fatica. L’ho già fatto io.

Anna (le si avventa contro) — Ha osato denunciarmi, strega...

Meyer — Basta, vi prego Anna, fate il piacere di dominarvi. La signorina non fa che... (Agitato) La     signorina Tòrm fa il suo dovere, .poiché ha la mia piena fiducia...

Anna — Me ne vado immediatamente.

Hans(sconvolto) — Papà, io...

Anna — Io sarei...

Hans(c. s.) — Papà...

Meyer(imbestialito) — Zitto, tu. Anzi, fila in camera tua. Avanti, presto.

Hans(accanto a lui, piano) — Vorrei dirti che ho...

Anna — Io una ladra?

Hans(tocca suo padre) — Senti, papà, io...

Meyer (indicando la porta) — Te ne vuoi andare sì o no? Via. (Hans esce).

Henny(va addosso ad Anna) — Smettetela di piangere. Dove sono quelle tazze?

Anna (grida) — E che ne so io delle tazze?

Meyer — Anna, vi proibisco assolutamente...

Anna — Io vi denuncio tutti e due per calunnia!

Henny — Fate quel che volete, sfrontata che non siete altro. Dove sono le tazze? Poche storie, so         che le avete!

Anna — Io?

Henny — Sì. Voi. Volete che venga la polizia a perquisire la casa?

Anna(fuori di sè) — Io mi impicco piuttosto che subire la vostra calunnia.

QUADRO QUARTO

Nel negozio. E’ sera. La luce è spenta: solo dietro la cortina c’è ancora il lume. Hans in piedi presso la porta.

Selma(mettendogli in tasca delle caramelle) — Tieni, qualcosa di dolce da portare a casa. Le otto        e mezzo. Devi andare, no?

Hans(annuisce) — Hm.

Selma — Come... che cosa dirai, adesso?...

Hans — Oh, non ci pensare. (Dopo una pausa) Ho detto che andavo da Becker, per il suo         compleanno... Eccetera. Oh, lo crederanno... (Ha gli occhi fissi).

Selma — Tieni. (Gira la manovella e fa scattare il tiretto della cassa).

Hans — Che cosa?

Selma — Te lo regalo! (Gli porge un biglietto di banca) Venti marchi. Prendi e portateli via.

Hans — E che devo farne?

Selma — Che devi farne? Che domanda. Devi darti buon tempo. Sai, è la tua... rata!

Hans — Io non voglio niente. (Stanco) Rata?

Selma — Sì, quel danaro che mi avevi dato ultimamente. Non dartene più pensiero, oramai. Ti             regalo tutto. (Lo accarezza) Non hai più nessun debito con me. 

Hans — Io ti pagherò tutto, tutto...

Selma — Uh, mi fai quasi paura. In che modo lo dici. Sciocchezze. Con cosa vuoi pagare? Del            resto, è poi proprio vero? Non è stata una vanteria?

Hans — Che cosa?

Selma — Che tuo padre ti ha regalato quei venti marchi perché avevi preso dieci in        componimento?

Hans — E perché no?

Selma — Hm, è talmente... assurdo. Tuo padre, regalare venti marchi?!

Hans — Ah, storie...

Selma(piano, vicinissima a lui) — Dimmelo, via.

Hans — Cose che dovrei dire?

Selma — Dove avevi preso quel denaro. In prestito? Dimmelo.

Hans(con voce spenta) — Tu volevi quei soldi, e allora ho dovuto procurarmeli. E’ chiaro, no?

Selma — Io... soldi? Ma andiamo. Cose che si dicono, parole...

Hans — Se no lo dicevi alla Tòrm o a mio padre... (Con angoscia) Chi è che ha scritto quella     lettera a Lori Arken? Suo fratello me l’ha fatta vedere. Senza firma. Un sacco di minacce, se     fosse ancora venuta con me. Si sarebbe fatto saper tutto al console Arlcen... (Prorompe) Chi          è che ha scritto questo? E poi «Hans Meyer appartiene a me. Guai se osa ancora... ». Io so      tutto.

Selma(imbarazzata) — Lascia andare, ti prego.

Hans — Non ho neanche bisogno di chiedere. E quanto ai soldi, ebbene sì, li ho...

Selma — Che cosa?...

Hans — Li ho rubati. Sì, guardami pure: ho detto rubati.

Selma — Tu hai rubato? Hans, ma... ma dici la verità?

Hans — Oppure non è rubare se prendo degli oggetti, per esempio delle vecchie tazzine di mia             madre, e le vendo al rigattiere?

Selma — Tu hai fatto... questo? (Tremando) Tu hai fatto questo... per me?

Hans (le volge le spalle e fissa il soffitto) — Sì, l’ho fatto. E Anna ci ha rimesso il posto. Ci ha    pensato la signorina a quella... ladra. (Furente) E io, porco, sono stato zitto. Così vigliacco,         così lurido, sono stato.

Selma(lo abbraccia) — Caro.

Hans(salta giù dal tavolo) — Finiscila. Ecco di dove venivano quei soldi. E adesso me ne vado.           (Va verso la porta).

Selma — No, aspetta. La gente. E poi è ancora chiuso a chiave. (Gli si avvinghia addosso) Resta         ancora.

Hans(pronto) — No, io...

Selma — Cosa vuoi che sia, oramai, un’ora più, un’ora meno. E’ vero, di’? (Implorante) Hans.

Hans(si tappa gli orecchi) — No. Oggi non posso restare...

Selma — Ti prego. E... ti metterai l’abito bello, come un vero cavaliere, e poi ci mettiamo sul    sofà... (Lo abbraccia) Devi, devi essere buono con me.

Hans (se la scuote di dosso) — Lasciami. (Si porta le mani alla testa, disperato) Come nauseante           tutto questo... (Con un gemito) Come orribile. (Le si pianta davanti) Basta! Hai capito? Io...       (Minaccioso) Lei, mi apra la porta. Basta. Finito!

Selma (con le labbra pallide) — Finito...      che cosa?

Hans — Questo. Tutto questo. Basta. Finito.

Selma— Hans! Ma tu... Hans — Tu mi hai rovinato, lo sai!? (Davanti a lei, alzando i pugni) Con         questi. (Sgualcisce la banconota) E con questo. (Strappa l’abito dall’armadio) Schiavo. Sei        riuscita a farmi schiavo. (Getta gli abiti a terra e li calpesta) Vorrei... vorrei pestarti sotto i piedi... (Si appoggia al banco, ansante).

Selma — Osi... osi dirmi questo? (Fuori di sé, gemendo) Cattivo, sei, cattivo. Ma bada. (Indica il         retrobottega) Lascio aperto il gas! E tu hai finito di essere cattivo.

Hans — Fa’ quel che vuoi! Non m’importa più di niente. Voglio andarmene. Apri la porta.

Selma — Più di niente, t’importa? Sei giunto a questo? Ladro. (Piange, appoggiata alla porta) Ma      perché... perché... questo? (Cade ai suoi piedi, lo palpa) Chi ho, io, oltre te? Tu non puoi   andartene. Oh, mio Dio. Non oggi. Tutto si aggiusterà ancora, vedrai!

Hans (rivolto dall’altra parte) — Voglio...

Selma — Io, per te, ho fatto tutto ciò che potevo. Non è vero forse? Tutto. Pensa dunque un poco       anche a me. Anch’io sono una creatura umana. Io ti darò tutto... tutto quel che vuoi... ma       tu... sii buono con me...

Hans(la respinge, gira la chiave) — Buona notte. (Sbatte la porta).

Selma(con un grido) — No. E’ impossibile!

A T T O Q UARTO

Q U AD R O PRIMO

(Durante la lezione. Bolf non c’è più. Alcune facce nuove. Anche l’aula è cambiata).

Sick(presso la finestra) — E’ un errore: la letteratura tedesca non finisce con Goethe o con        Schiller, e nemmeno con Hebbel, nemmeno con Hauptmann! Essa è in continua             trasformazione, in continuo movimento. Essa è viva, e noi dovremmo tendere l’orecchio      anche al suo linguaggio odierno. (Forte, stridula scampanellata nei corridoi) Ma ne          parleremo di nuovo venerdì. (Va alla cattedra) In piedi. (La classe si alza) Sicché Kolthoff,             bisogna che ti ci metta d’impegno. Non vorrai mica prendere il posto di Bolf e farti bocciare,     no? Eh? Mi dispiacerebbe proprio! Dunque, datti da fare. Specialmente in latino, mio caro.

Kolthoff — Sissignore!

Sick — Bene, e adesso fuori. Aprite le finestre. Andate a prendere un po’ d’aria. Meyer resti qui un     momento. (La classe esce in fretta. Meyer sì ferma e resta accanto alla cattedra, col suo abitogrigio.Sick chiudendo il registro nel cassetto) Chiudi la porta, per favore, Hans. (Hans    obbedisce) Ecco. Grazie. E ora vieni un po’ qui, tu. (Scende dalla predella e si mette       accantoa Hans) Di’ un po’, hai qualche cosa?

Hans — Io? No, signor dottore, non ho proprio niente. (Guarda a terra, imbarazzato) No.

Sick — Be’, è poi proprio vero? Guardami un po’ in faccia. C’è in te qualcosa che non va. Sì, sì,           non negare.

Hans — Ma signor dottore, se le dico...

Sick(lo scuote dolcemente) — Senti, voglio dirti una cosa. I miei collegiali mi dicono     continuamente che il tuo profitto va peggiorando ogni giorno. Quasi tutte le materie            cominciano a fare acqua. Cominci a fare un po’ di muffa, caro mio. C’è del marcio, sì sì,           altroché. Che significa, Hans? Perché ti lasci andare così, eh? Non ho voluto dirtelo prima in           presenza degli altri... Perché io mi preoccupo per il tuo bene, ragazzo. O lo metti forse in         dubbio?

Hans — No, signor dottore.

Sick — Non lo senti che ti sono amico, che mi dò pensiero per te...?

Hans — Oh sì... cento... senza dubbio...

Sick — Anche il mio collega Jakobi non sa che cosa pensare. Geometria, algebra, tutto è            insufficiente da qualche tempo, saranno tre, quattro settimane. Da un giorno all’altro,        proprio. (Davanti a lui) E’ una cosa tremenda. (Silenzio) E oggi, poi, come hai tradotto in          latino. Un lavoro inqualificabile! E in letteratura non stai mica più attento. (Silenzio)     Ebbene? (Silenzio) In queste condizioni, scusa, come vuoi che ti difenda? Stai rendendo così             male chetra poco mi sarà impossibile. Mi si potrebbe sospettare di... di parzialità. Ma             insomma, che roba è? Hai qualche dispiacere?

Hans — No! Niente. Sinceramente, non ho niente!

Sick — Lo sai che hai già preso tre zeri?

Hans(piano) — Sì.

Sick — E’ vero che siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico, ma insomma... Cancellare tre zeri,      figlio mio, vuol dire quasi fare una fatica d’Ercole. Ad ogni anno crescono le difficoltà. Non           ti pare che sia vero?

Hans — Hm...

Sick — Io non avevo alcuna intenzione di accompagnare la classe al di là di Pasqua. Mi son deciso       a farlo solo per te e per Becker. Perché voglio portarvi io stesso agli esami di maturità. Sì,      unicamente per voi. Se no sareste capitati sotto il professor Arndt. Quello che voi ragazzacci             chiamate Baal, perché ogni anno ne divora almeno otto, voglio dire che li boccia. E adesso        mi fai queste belle sorprese. (Silenzio) E poi come che ti presenti? Tutto ciondolone. E come    vai vestito da qualche tempo? Hai ricominciato a portare quel... Ti sei forse messo in testa             che ti stia bene, no? Orribile! Uno vestito così non è un ragazzo, è soltanto... un numero. Sì        sì, guardami pure. Anche l’abito fa l’uomo. E quello che porti tu è roba che soffoca, ti fa         sembrare un sornione, un fintone. Quasi quasi mi faresti pensare che tu, a bella posta, vuoi     dare nell’occhio. Ti immagini di essere qualcosa di speciale, con quel coso lì addosso? Ma         parla, dunque! (Hans tace) Naturalmente tutto questo non riguarda i tuoi insegnanti. Ma in        questo caso particolare, che è tanto palese da... (Gli sta davanti) E di’ dunque qualcosa...             difenditi! (Hans tace. Sick nervoso) Già questo, non è che puro interessamento da .parte mia.     Non voglio che tu, con quel tuo... (D’improvviso) No... Ho ragione, sì o no? (Hans annuisce) E’ tuo padre, forse, che non ti tratta bene? (Hans tace) O c’è forse di mezzo... una ragazza?       Succede, talvolta. Ma sarebbe uno scandalo, via, se per un’oca qualsiasi dovessi andare a      rotoli negli studi. Be’, è forse questo? Eh?

Hans(piano) — No.

Sick — Meno male, perché sarebbe veramente... Senti, ti dico con tutta franchezza... (Squillo di            campanelli. Il brusio dell’intervallo sale lentamente dal cortile verso i corridoi) Le undici e        un quarto! Peccato che il tempo sia già trascorso. Che cosa avete, adesso?

Hans — Fisica...

Sick — Allora devi scendere al gabinetto di fisica. Be’, non ti trattengo... Però, senti: a partire da         domani, nel tuo stesso interesse, voglio vederti diverso, ragazzo mio. Piai capito? Da ciò         potrò rendermi conto se fai caso di me... dei miei consigli. Per me in fondo, è molto      importante saperlo. Mi hai ben capito? Diverso ti voglio.

Hans — Sì, signor dottore.

Sick(battendo su ogni parola) — Diverso in tutti i sensi. Di dentro e di fuori. Sì, anche di fuori,            mio caro. Adesso coraggio, Hans. Ce la farai ancora, vedrai. Non vorrai mica deludere la    mia fiducia in te, no?

Hans(esitante) — Non... non lo so...

Sick — Che? Non lo sai? Ma sei completamente impazzito, di’? Io parlo e parlo come non ho mai        parlato a un mio alunno, e tu vieni a dirmi : « non lo so?». (Va su e giù, visibilmente     emozionato) Io di te mi sono fatto un’immagine così salda, che non permetterò mi venga         distrutta per una così stupida leggerezza. Desidero che tu cambi, hai capito? Devi tornare         come prima. Com’eri fino- fino alla promozione. (Gli sta davanti) Se no il mio interesse,         alla fine, cesserà tutta un tratto. Tu figuri nel registro come Hans Meyer. (Esplode) Io non          faccio lezione a dei pipistrelli color cenere. (Resta lì in piedi, si asciuga il sudore dalla    fronte) E ora va’, è già tardi... (Gli dà la mano) E fa quel che onestamente ti ho consigliato.    Sei ancora in tempo. Corri. Allora, intesi? Diverso!

Hans(scombussolato) — Sì, signor   dottore... (Si avvia verso la porta).

QUADRO SECONDO

Soletta di prova in un negozio di abiti fatti. Grande specchiera a tre luci con lampadina molto luminosa.

Hans (sta provando una giacchetta) — Lei crede che questa...?

IL Commesso — Le sta a pennello, signorino. Maniche, spalle, sembra fatta su misura. Perfetta.           Proprio chic!

Hans — Lei crede che io...?

Il Commesso — Consiglierei senz’altro. Non troverà di meglio, sa. Prego, si guardi. Osservi come       elegante, come le dona!

Hans — Hm...

Il Commesso — Oggi ce una richiesta enorme di modelli così. E’ una confezione speciale della            casa. (Gli gira intorno) E poi il colore. E’ addirittura regalato. Con quarantotto marchi si            paga appena la fodera.

Hans — E se invece...

Il Commesso — Naturalmente può anche provare questa. (Prende un’altra giacchetta   dall’attaccapanni) Non è la scelta che ci manca. Prego. (Lo aiuta a togliersi la prima) Il            nostro motto è: la più gran scelta, i prezzi più miti, la miglior qualità! Ecco. E adesso      favorisca... ecco qua. (Gli fa infilare un’altra giacchetta) Il blu le sta meglio. Ma come   vuolelei. Non voglio influenzarla in nessun modo. Quel che decide è la preferenza del     cliente. Anche questa cade benissimo. Formidabile! (Sposta un po’ le luci dello specchio)            Eh? Perfetto, no? Nevvero? Vorrebbe dunque decidersi per questa? Tutto come vuole lei!

Hans(incerto) — Be’, come crede...

Il Commesso(premuroso) — Al contrario. E’ lei che deve decidere.

Hans(indeciso) — Ma forse è meglio...

Il Commesso — Questo blu, vero? Ma subito! Prego, permetta. (Lo aiuta a togliersi la giacchetta)       Allora la giacca blu. Ha ragione. Deciso. E questo paio di calzoni, vero? Faccio far subito il           pacco. Lei lo porta con sé, vero?

Hans — Sì, vorrei...

Il Commesso — Questione di un attimo. Faccio solo rinforzare un po’ i bottoni. (Tiene alti i     calzoni) Ci sono anche i ritagli. Qui in tasca. Vede? (Mette tutto insieme) Lo facciamo        sempre. (Aiuta Hans a rimettersi la giacchetta grigia) Se mi permette, questa sì che non le        sta bene. Dove l’ha comprata? No, no... una forma così... (Trae di tasca un taccuino e   scrive) Dunque: un paio di calzoni, ventiquattro e cinquanta; più una giacchetta, quarantotto     marchi : totale, settantadue marchi e cinquanta. Prego, si accomodi alla cassa a pian terreno.       (Gli dà il biglietto) Dovrà aspettare al massimo una decina di minuti. La nostra sartoria lo fa   in un momento, signore... (Apre la porta) Prego... Là c’è l’ascensore. (Chiamando)    Ragazzo! Lift! Il signore va a pianterreno.

Hans(non si muove) — Non potrebbe... mio padre...

Il Commesso — Come? Desidera?

Hans(con sforzo) — Chiedevo se...

Il Commesso — Prego, dica.

Hans — Non potrebbe, mio padre...? Il conto...

Il Commesso(irrigidendosi) — Non capisco...

Hans(diventa rosso) — Mio padre pagherà quando... io... Vorrebbe, per favore?...

Il Commesso(raffreddandosi) — Ah! Lei vorrebbe a credito? Spiacentissimo! E’ impossibile. La          regola della casa è il pagamento in contanti. Senza eccezione. Mi dispiace proprio.

Hans — Ma mio padre senza fallo... non è mica...

Il Commesso(al di sopra della spalla) — Come dico, spiacentissimo! Non possiamo. Vada prima         a prendere il danaro da suo padre... Vuole che intanto le faccia tenere da parte il pacco?

Hans(annichilito) — Sì, per favore... se vuol essere così gentile...

Il Commesso(il vestito sul braccio) — Bene... (Affaccendato) Non possiamo proprio. Con le spese        che ci sono... vero? Qui i soldi e qui la merce, vero? (Apre la porta) Prego. Allora il suo             pacco è alla cassa. Con lo scontrino glie lo consegnano subito. Prego. (Indica la porta. Hans     esce. Il commesso sulla soglia) La scala, prego. L’ascensore è così richiesto. Riverisco! torni            presto a visitarci... Buon giorno! (Spegne la luce della soletta).

QUADRO TERZO

In classe.

Sick(in cattedra) — Seduti! Chi manca?

Koltoff — Arken.

Becker — E Meyer.

Brabant — Meyer non c’è.

Sick — Meyer? (Alza gli occhi) Meyer è assente?

Becker — Sì.

Sick — Come mai? Di Arken c’è qui la giustificazione scritta. Un ascesso alla gengiva. (Apre il registro) Ma Meyer? Ci vorrebbe almeno... pff... Be’, cominciamo... cominciamo con un           passo del poeta austriaco Grillparzer. Franz Grillparzer. Si trova nella sua commedia « Guai       a chi mente! ». Tra poco la verremo a conoscere. A proposito, procuratevi poi in tempo i      libri. Edizioni popolari. Per piacere, prendete nota. Bene. Attenzione. Adesso fate silenzio!          (Entra Hans nel suo abito grigio e va in fretta al suo posto. Sick si è alzato e lo segue con             gliocchi. Poi, duro) In piedi! (La classe si alza. Sick si schiarisce la voce) Questa, poi... (Si          impone la calma e legge) « Non si mente soltanto con le parole, si mente anche coi fatti.      Ora, se mai acquistasti fiducia coll’inganno, non sperare più in Dio per quel che fai! ».      Seduti! (La classe si siede).

Brabant — E’ arrivato Meyer, signor dottore!

Sick(si siede, finge di non sentire) — Per quel che concerne l’ultimo componimento, pare che nel          tema mi abbiate frainteso...

Brabant(c.s.) — Meyer... Sick — Il tema, infatti, non era...

Brabant (forte) — Signor dottore...

Sick(irritato) — Ma che cosa vuoi?

Becker(si alza) — C’è qui Meyer!

Sick — Meyer? Dove?

Hans (in piedi) — Qui, signor dottore!

Sick(fissandolo) — Meyer... non c’è. (Risa e gomitate) Vi proibisco di ridere. (E’ in piedi) Anche          la mia pazienza ha un limite. Io non sono un burattino. Per me la stupida sfrontatezza    cocciuta di un ragazzo è cosa che non esiste. Quando non si rispettano i miei desideri,            quando si è palesemente contro di me, quando si tenta ancora di dimostrarlo con      impudenza... in maniera visibile... allora da un momento all’altro per me si diventa aria. (Dà      forti colpi di righello sulla cattedra) Nient’altro che aria. Chi disprezza la mia eccessiva...            fiducia, per me è liquidato! (Silenzio sepolcrale) Allora per menon esistono più che le nude    cifre dei voti nel registro. Tre zeri, allora, vogliono dir la fine. Senza riguardi. Sì, non si           mente soltanto con parole, si mente anche coi... fatti! Ma allora sappia anche che non può        più sperare in me per quello che fa. (Va su e giù) Da qualche parte c’è seduto un... Grigio!    Mi dica adesso il Grigio... (Grida) Gostendieck, via quel taglietto, se no... Io vedo tutto.             (Stridulo) Grigio. In piedi! (Hans è in piedi) Sì, proprio tu. Otto Ludwig: le date?

Hans — ... Ludwig...

Sick — Mòrike? (Gridando) Dehmel? Tutta roba fatta! Be’?

Hans — Signor dottore...

Sick — Liliencron? Seduto! Zero! (La classe si agita) Cosa c’è?

Becker(teso) — Signor dottore...

Sick — Che significa? Ti ho forse interrogato?

Becker — Lei ha...

Sick — Stai zitto! Insolente! Impertinente! Silenzio! Aprite il libro. Legga Brabant! (Va alla     cattedra, si butta letteralmente sulla sedia) Pagina sedici.

Brabant — Ho... ho dimenticato il libro a casa, signor dottore...

Sick(perdendo ogni ritegno) — Dimenticato? Che classe di mascalzoni è mai questa. E’ una      porcheria. Kolthoff alla lavagna! Il Grigio la smetta con quel piagnucolare da idiota. Sono      cose che non ammetto... Kolthoff, vuoi star composto, sì o no? (Con voce isterica) Questa         classe non m'interessa più!

QUADRO QUARTO

La bottega di Selma. Essa è seduta dietro il banco e cuce. Di giorno.

Hans(entra in fretta) — Per domani devo avere il vestito!

Selma(scatta su, spaventata) — Tu...? Sei venuto qui?

Hans — Devo avere il vestito.

Selma(pungente) — Ah! E’ per questo, dunque? Per un mese intero non hai avuto bisogno di me.        Sicché vedi che puoi stare anche senza il vestito.

Hans — No! (Febbrile) Bisogna che ce l’abbia. Se no resto bocciato...

Selma — Tutte scuse. La verità è che quello lì grigio non si adatta per andare in gira Con quella...        Lori. Cosa vuoi che me ne importi?

Hans — No... io... Lui me l’ha detto... Per Sick io sono di nuovo il... Grigio!

Selma — Per me... Rivolgiti a tuo padre. Oppure ruba... o va’ nei negozi a farti dare a credito quel       che ti serve.

Hans(con un gemito) — Non mi danno niente.

Selma — Perché, hai già provato?

Hans — Sì. Niente!

Selma — Ah, bene! E allora io sono di nuovo... l’ultima speranza? (Ride nervosa) Molto           interessante. Ma ti sbagli. Ti conosco, caro mio. Io non mi lascio calpestare così... Io non       sono...

Hans(disperato) — Aiutami. Devo avere il vestito...

Selma — Ho bisogno dei miei soldi...

Hans — Ma se me l’avevi... regalato...

Selma — Io? Tu sogni. Sono soldi presi dalla cassa. Sono... Non posso aspettare più a lungo. In           questi giorni mi sarei ad ogni modo rivolta a tuo padre.

Hans — Per piacere... dammi il vestito. Lo sai che non ho un centesimo. Se adesso succede quel           che ha detto il dottor Sick... (Le afferra la mano) Per favore, fallo.

Selma — E tu vieni stasera?

Hans — Solo il vestito...

Selma — Sì o no?

Hans — Io non sono più un essere umano. Non so che cosa dico, che cosa faccio... (Scoppia in singhiozzi).

Selma — Ehi, ti prego. Se entrasse gente.

Hans(cade ai suoi piedi) — Per favore... Selma! (Piano, fremendo) Cara... Selma. Devi darmelo.           Lo devi, lo devi... Io non ho nessuno... Devi aiutarmi. Non puoi lasciarmi andare in rovina...

Selma(inflessibile) — Non dipende che da te.

Hans — Ma non farmi... impazzire. Abbi pietà.

Selma — Io, eh? io devo avere pietà? Mi piace, questa. Sempre soltanto io. E tu ne dimostri, forse,      pietà? (Ardente) Hans!

Hans(perde il lume degli occhi) — Bestia!... bestia... (La percuote, poi, con volto inorridito        dinanzia lei curva) E adesso è tutto, tutto finito... (Si precipita fuori).

QUADRO QUINTO

La cannerà da pranzo. E’ sera. Sopra il tavolo è accesa la lampada.

Hans(entra, vestito solo di calzoni e camicia. Spalanca fragorosamente la porta) — Signorina!

Henny — Ehi. Come puoi spaventarmi così? Perchè non sei ancora a letto? Sono le undici         passate...

Hans — Mi dia immediatamente del danaro!

Henny(sbigottita, il cucito le cade in grembo) — Danaro? Ma che cosa significa?

Hans — Molto danaro. Centoquaranta marchi. No, centoquarantacinque... Subito! (La scuote)  Avanti, signorina. Li tiri fuori.

Henny — Di’, sei ubriaco? Come ti permetti? Lasciami andare.

Hans (c.s.) — Qua i soldi!

Henny — Ah be’, questa...

Hans — Sì sì, rida pure, ma cacci i soldi...

Henny(con faccia melensa) — Io credo veramente che tu... che tu sia...

Hans — Per la signorina del negozio qui di fronte. Per la signorina Selma, per la Schwan. Anche          quella è una... signorina. Le devo tutti quei soldi. Bisogna che li riabbia. Sicché...

Henny (salta su) — Tu le devi... dei soldi?

Hans — Sì, centoquarantacinque marchi. Che ne dice, eh?

Henny — Santo cielo... ma per che cosa?

Hans — Semplicissimo. Da un anno in qua, grazie a quei soldi, porto a scuola degli abiti decenti.          Perché con quello stramaledetto sacco grigio...

Henny (batte le mani) — Ma... ma è proprio vero?

Hans — E chieda alla signorina. Tutto quello per cui lei, per cui voi due, qui, non avevate mai   danari, tutto quel che dovevo assolutamente avere, me l’ha pagato quella là. Vestito,      costume da ginnastica, tutto...

Henny (lamentosa) — Hans...

Hans — Tutto. Ogni giorno, prima di andare a scuola, ogni giorno, appena tornato da scuola,    andavo prima a cambiarmi da lei. (Con un riso stridulo) E neanche un cane se n’è accorto.            Tanto l’ho fatto di nascosto da voi due, qua...

Henny(fuori di sé) — Tu hai fatto questo?

Hans — Perché non potevo... non volevo più essere «il Grigio»... perché mi sfottevano, mi        perseguitavano... Perché avrei finito per andare in malora... Lo vuol capire sì o no? (A un     tratto quella sua foga convulsa lo abbandona) Lei è un essere umano, signorina... Pensi solo cosa vuol dire essere sbeffeggiati giorno per giorno, continuamente...

Henny — Ma questo...

Hans — No, tutto questo non è ancora niente... in confronto... Le vecchie tazzine, ricorda? Non è        stata Anna, sono stato io, signorina, io a venderle... Ho dovuto vendermi anch’io a quella là, alla Schwan, anima e... corpo... (Pausa) Corpo!

Henny — Cosa intendi dire?

Hans — Proprio quel che dico, cara lei. (Gridando) Non capisce cosa vuol dire anima e corpo? (Scoppia a ridere) Corpo, appunto. Corpo!

Henny — Hans. (Cerca a tastoni una sedia) Oh... che vergogna!... Che cosa faccio adesso?...

Hans— Mi aiuti. Lei mi deve aiutare. Bisogna che restituisca i soldi a quella là. (Acceso) L’ho   picchiata oggi... così... coi pugni... Giù sulla testa, perchè... lei... Adesso, domani verrà...    Signorina, prima che quella vada da papà. Tutto quel danaro, Me lo dia. E allora in qualche     modo tutto andrà in ordine... Ma se quella là mi dà la caccia... allora... allora... (Davanti a     lei, quasi a mani giunte) Io non sono cattivo. Non posso mica fare ciò che quella... Mi salvi,    dunque. E poi mi serve il vestito nuovo... se no con Sick sono perduto... (Sussurra) Mi dia         quel danaro, la prego... o i gioielli della mamma... o qualche altra cosa... Danaro, danaro...

Henny(respingendolo) — Ma tu sei... E in questo dovrei anche aiutarti. Non voglio sporcarmi! Non mi toccare!

Hans — Signorina, cara signorina Tòrm...

Henny (balzando in piedi) — Via. Vattene. Commetterei un peccato. Sei un essere depravato. Ah,       che vergogna! Il tuo povero papà, quel galantuomo...

Hans — Ma cerchi di capirmi. Non mi abbandoni. Lei non sa come queste cose possano succedere.      E’ talmente, talmente... (Acutissimo) Signorina, aiuto... Cara... buona signorina... (Si è  gettato ai suoi piedi, le abbraccia le ginocchia) Se lei non mi aiuta... se lei mi tradisce... se         lei...

Henny(in ascolto) — Ecco!... Tuo padre!... la porta...

Meyer (con paltò e cappello) — Che cosa succede, qui? Che cosa vuole qui, quello, e poi così...

Hans(in piedi) — Niente...

Meyer — Signorina Tòrm...? Le ho chiesto...

Henny(con voce spenta) — Signor Meyer, Hans ha... questo ragazzo è...

Hans — Signorina. (Implorante) Lei non vorrà... per piacere...

Meyer(aspro) — Che cosa succede, qui? Che stai facendo, qui dentro? Signorina Tòrm, vuol fare        il piacere di dirmi...

Henny — Io... è semplicemente spaventoso... S’immagini che ha...

Hans — Ho fatto...

Meyer(minaccioso) — Che cosa? Avanti. Bada che se mi hai combinato qualche guaio...

Hans — Ho fatto... No... (Sì precipita fuori).

Meyer (gli grida dietro) — Che ti salta in testa? Vieni qua!

Henny(sorreggendosi al tavolo) — E’ così orribile, signor Meyer...

Meyer — Ma parli, dunque.

Henny — Ha fatto... non posso dirlo...

Meyer — Ma io pretendo...

Henny (si lascia cadere su di una sedia) — Com’è corrotto... Dio, com’è corrotto. Le vecchie   tazzine, quella volta, Anna non le aveva... e debiti, centoquarantacinque marchi, e con la           signorina, là di fronte, nella bottega di Ròsing, ha fatto cose...

Meyer — Cos’è che andate dicendo? Hans avrebbe... (Fracasso in corridoio, vetri che  s’infrangono).

Henny(salta in piedi) — Dio, ma senta solo...

Meyer(sulla porta) — Luce! Accenda la luce.

Henny(gli passa accanto, esce) — Subito. Dio, Dio, Dio! (Fuori si accende la luce, si sente       Flenny dare un grido) Signor Meyer.

Meyer — Che cosa ce? [Sembra paralizzato).

Henny(appare sulla porta, barcollante, d’un pallore cadaverico) — Signor Meyer... là sotto...   attraverso il lucernario... un volo di quattro piani...

QUADRO SESTO

In classe. Irrequietezza. Baruffe.

Kolthoff — Ma non arriva il carognone?

Brabant — Le otto e trentacinque. Il carognone marina la scuola. Il carognone riceverà un       rimprovero. (Risate).

Becker — Per sfottimento e angherie.

Kolthoff (scimmiottando Sick) — In piedi! Pff! Attenzione! (La classe si alza ridendo).

Brabant(in cattedra) — Segnare il dottor Sick per ritardo, mio caro Becker! Seduti!

Becker — Segnare Sick per indegno maltrattamento di Meyer!

Kolthoff — Mòrike? Le date. Liliencron? Le date. Zero! Finito. Liquidato! (Schiamazzi).

Brabant (c.s.) — «Pff! Meyer non c’è!». E lui era lì nel banco, grande e grosso. Una vera bassezza      da parte di quel carognone.

Kolthoff — Io non conosco più nessun Meyer, conosco solo più «il Grigio».

Becker — Che canagliata. (Schiamazzi).

Brabant — Dov’è Meyer?

Kolthoff — Di nuovo assente.

Becker(sul banco) — Il carognone lo vuol fregare come ha già fatto con Boli.

Voci — Sì. Lo vuol bocciare quel fetente.

Becker — E perché? C’è uno che riesca a capire perché?

Kolthoff — Abbasso il carognone. (Fischi e gazzarra).

Brabant(forte, con le mani a megafono) — Resistenza passiva. (Alcune grida: «Bravo. Mettiamolo fuori legge »).

Becker — Nessuno risponde più alle sue balle. E lasciate pure che chiami il direttore.

Brabant — Sì sì! Allora vedrà.

Kolthoff — Chi ci sta?

Tutti(tumultuosamente) — Io! Io! Io! (Urlio confuso).

Becker — Guai a chi molla!

Brabant — Abbasso Sick. Attenti. Uno, due, tre.

Tutti(in coro) — Abbasso Sick.

Brabant(in cattedra) — Silenzio! Se siamo tutti compatti, non potrà prendersela con nessuno.             Capito? E se tormenta Meyer, giù a far chiasso. E non mollare. Comincio io per primo.             Capito?

Tutti — Sì!

Becker — Chi fa la spia è meglio che se la batta. Abbasso Sick.

Brabant(accanto alla porta) — Attenzione. (Va al suo posto).

Sick(sulla soglia, cereo) — Buon giorno. (La classe si alza e tace) Sedete, sedete, per favore... (Va alla cattedra) Ho ricevuto un momento fa... (Sta lì in piedi, gli occhi sbarrati) Devo comunicare alla classe che stanotte il nostro compagno Hans Mever... in seguito a una     disgrazia è improvvisamente deceduto... (Silenzio) Così è stato comunicato alla direzione      poco fa, per telefono... (Silenzio) La data della sepoltura ci sarà resa nota più tardi...             (Silenzio) Per il momento ignoro i particolari della tragedia... (Silenzio) Non credo           necessario esortare la classe a intervenire compatta alla sepoltura... a prendervi parte... sì, a         prendervi parte... (La classe si è alzata in piedi) Sì... (Getta uno sguardo stanco sulla classe)   Grazie. Sediamoci pure... (Becker si alza) Harald?

Becker(eccitato) — Perchè... perchè Hans Meyer...? Lo sa, lei, signor dottore?

Brabant(forte) — Quattro zeri. Finito. (Grida) Liquidato.

Becker(tremando) — Sta’ calmo, Rolf. Perché, signor dottore?

Kolthoff(balzando su) — In piedi. (Con fare da agitatore) Tutti in coro: «Perché signor          dottore?».

Tutti(in coro) — Perchè, signor dottore? (I ragazzi sono in piedi, gli occhi scintillanti).

Becker — Guardi là: quel posto è vuoto, signor dottore.

Sick (li guarda con mesto stupore) — Che cosa volete da me? (Piano) Per favore, sedetevi. (La            classe è in piedi) Ho pregato la mia classe di sedersi. Non mi si è inteso? (La classe è in        piedi) Pensate forse...? Ciò che ho fatto è stato sempre per il bene, mai contro colui che           oggi... (cerca le parole, noi, con fatica) non è più tra noi. Chi pensa altrimenti mi fa... è in        errore. E ora, vi prego... seduti. (La classe guarda Becker e resta in piedi. Sick con occhio      addolorato) Insistete? Oggi non voglio... in quest’ora non voglio mettermi a... Harald     Becker, penserai tu a mantenere il silenzio. Fa’ che la classe lavori in qualche modo senza             far rumore. Io... io non tengo lezione, oggi. (Aspetta un momento, poi esce lentamente                   dall’aula).

Becker(dopo una pausa, con sforzo) — Be’... adesso sediamoci, no? (La classe si siede, lui      rimane in piedi e dice improvvisamente con voce dura, guardando dinanzi a sè) Uno di noi è      morto.Non è vero? Come? Perchè? Via. Sparito! (Si volge dall’altra parte).

F I N E

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