Il leone della piazza

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IL LEONE DELLA PIAZZA

Commedia in tre atti e due quadri

di ILJA EREMBURG

Versione italiana di Andrea Jemma

PERSONAGGI

JAMES LAW, un americano di quarant’anni

VALOIS, sindaco della città –

LA SIGNORA VALOIS, moglie del sindaco

MARGOT, sua figlia

DELEAU, industriale - LA SIGNORA DELEAU

RICHARD, presidente della camera di commercio

LA SIGNORA RICHARD - PIQUET, redattore

LA SIGNORA PIQUET - IL MARCHESE DI CHAMPIGNY  

IL CONSOLE onorario del Cile

BENE VIVIEN, scrittore - GASTON, segretario del sindaco

GELINOT, reporter

UN SEGRETARIO di redazione

MIMI, dattilografa

FRANQOIS, cameriere del caffè - LA PADRONA del caffè

BOUBOULE, ragazza di facili costumi 

LA SIGNO­RINA JAGQUET, cantante

Un cameriere d'albergo

- Un cantante girovago          - Clienti del caffè,

un operaio, un altro vecchio operaio, una giovinetta, un vecchio

- Consiglieri comunali, operai, cittadini, strilloni

ATTO PRIMO

PRIMO QUADRO

Una piccola città di provincia nel mezzogiorno della Francia. L'interno del caffè « Al leone». Tavole col ripiano in marmo, sedie di paglia; sgabelli ricoperti di velluto rosso lungo i muri.

(La padrona, una donna formosa, sonnecchia dietro il banco ricoperto di zinco. Francois, il cameriere, un vecchio scettico, asciuga con uno straccio i tavoli liberi e cambia di posto alle sedie. Quattro clienti abituali del caffè, che contano fra i notabili della città, siedono a un tavolo dal tappeto verde: giocano a carte. Sono: il sindaco, Valois, corpulento rubicondo, con un mozzi­cone spento fra le labbra; Richard, presidente della Camera di Commercio, un gaudente con portamento da gesuita; Deleau, fabbricante di liquori, bilioso, dall'aria malaticcia; Piguet, redattore di giornale, personaggio irrequieto, vestito a colori vistosi).

Deleau                           - (gettando le carte) Che fortunato!

Il Sindaco                     - Toh, è la prima volta che sento dire di essere fortunato. Maria mi ripete sempre: «Tu hai la fortuna dell'impiccato ». Non mi credete? Che io non sia fortunato posso provarlo. Vi ricordate in quale anno ha preso fuoco il mio negozio « Alle dame del sud »?  Nel '27. L'avevo assicurato per 40 mila franchi. Ebbene, ho perso 40 mila franchi di merce, e per colmo di sciagura Maria è stata presa da disturbi nervosi. Dopo di ciò ho assicurato il ne­gozio per 400 mila. I premi mi hanno letteralmente mandato in rovina e non un solo incendio in 20 anni! La chiamate fortuna questa? Appena ho comperato l'ultima Citroen, è scoppiata la guerra e mi hanno requisito la macchina. Quando ho scritto sul giornale per annunciare la nostra vittoria, sono arrivati i tedeschi. E a causa di quell'articolo mi hanno per­seguitato per tre anni. Nel quarantatre, fui costretto a riconoscere che i tedeschi avevano vinto. Che colpa ne avevo io: Maria aveva cominciato a soffrire i suoi attacchi di nervi. Non avevo ancora finito di dichia­rarlo che i tedeschi se ne andavano; allora i comunisti hanno cominciato a farmi dispetti col pretesto che avevo predetto la vittoria dei « boches ». Eppure tutti sanno quello che ho patito a causa dei tedeschi! Vi dico che ho la fortuna di un impiccato! È bastato che mi facessi socialista perché i comunisti ottenes­sero la maggioranza nelle elezioni. Ora che finalmente mi hanno eletto sindaco, tutto va a catafascio nella nostra città: niente pane, niente carbone, i comunisti si preparano a mettersi in sciopero e fanno ricadere tutto su di me. Non ci sono patate, la colpa è del sindaco; i Russi emettono non so quale «veto », la colpa è del sindaco; piove, e la colpa è sempre del sindaco.

Il Redattore                  - Dopo quello che abbiamo sop­portato durante l'occupazione non c'è più nulla che mi faccia paura. Ricordo che avendo visto in questo caffè il maggiore Von Schauberger, mi sono alzato e gli ho detto: «Non consentirò mai a trovarmi nello stesso caffè assieme a un boia»; Quella notte mi aspettavo un'irruzione della Gestapo ed ho scritto per un giornale clandestino il più animato degli arti­coli. Si, è stata un'età eroica.

Richard                         - Io sotto i tedeschi non andavo mai al caffè. Avevamo certe disposizioni da una organizza­zione clandestina che ci proibivano di andare al caffè. E poiché ci si riuniva a casa mia per ascoltare le emissioni di Londra, la mia parte era assolutamente confidenziale.

Deleau                           - Ora scrivono che sono gli operai che hanno sabotato e non si dice neanche una parola di noi industriali. Quante volte mi sono adoperato per non eseguire in tempo le ordinazioni dei tedeschi. I signori comunisti vogliono rifare la storia, toglierci i nostri allori.

Il Sindaco                     - Non solo i nostri allori, ma anche il nostro posto al sole, le nostre case, financo le nostre donne.

Il Redattore                  - (arzillo) Non sapevo che quei porci attentassero all'onore della signora Valois.

Il Sindaco                     - Fate silenzio voi impertinente! Due re. (Distribuisce le carte. Entra un consumatore; vuota un bicchiere stando in piedi davanti al banco).

Il Consumatore             - (alla padrona) Come va, madame Leveau?

La Padrona                   - (svegliandosi) Non va affatto, signore. Non mi riesce più di dormire, continuo a pensare alla bomba atomica. E dei comunisti, che ne dite? Mi vogliono fare morire tutti di dispiacere. E questa pioggia per giunta! Con un tempo simile la gente se ne sta a casa ed io perdo i soldi e la salute. Che siano i Russi o gli Americani a patire, perdinci, l'hanno meritato. Ma io! forse che io ne ho colpa?

Richard                         - Due donne!

Il Redattore                  - Guarda, guarda, che combina­zione! Non credo che possa far piacere a madame Richard.

Richard                         - Pensate a togliere il trave che è nel vostro occhio... Se non mi sbaglio avete offerto a Bouboule una camicetta di seta.

Il Redattore                  - E voi, avete trovato che quella camicetta le stava molto bene, non è vero? Quale redattore, le notizie le so tutte di prima mano. Non vi difendete. Approvo la vostra scelta. Bouboule è una ragazza incantevole.

Richard                         - Oh! Una conoscenza fortuita.

Il Redattore                  - Fortuita, sì, ma tutt'altro che superficiale. Tutti i martedì, se non mi sbaglio.

Richard                         - Tutti i giovedì, non è vero?

Il Sindaco                     - Non bisticciate, ce n'è per tutti.

Il Redattore                  - A proposito, ci va anche il signor sindaco, tutti i venerdì.

Il Sindaco                     - Nella mia qualità di sindaco devo arrivare dappertutto e poi, un vecchio socialista come me deve cercare il contatto con il popolo.

Deleau                           - Io non capisco come in un'epoca così terribile voi possiate divertirvi con queste birichinate.

Il Sindaco                     - Sapete, mio caro, la prima volta che ho sentito parlare della bomba atomica mi è venuta subito voglia di baciare tutte le ragazze del mondo. Volete dire che siamo alla vigilia di una catastrofe? Sia. È appunto per questo che mi dico spesso: se mandassi a farsi benedire tutti gli affari municipali e me ne andassi da Bouboule! Non avete simili velleità, voi?

Deleatj                          - Il dottore mi ha proibito la benché minima infrazione al mio regime di vita. Non posso bere neppure un bicchier di vino. Il medico mi ha prescritto la calma più assoluta. Ma come posso star calmo quando è in gioco il destino della mia ditta? Sissignore, i liquori «Deleau e Figlio» erano famosi in tutta la Francia; da cento undici anni i Deleau contribuivano a mantenere alto il prestigio della civiltà francese, ed ora devo assistere al mio seppel­limento.

Richard                         - Vi trovate in nuove difficoltà?

Deleau                           - Ne ho tutti i giorni. Non riesco a fare arrivare dalla Spagna le bucce di arancia di cui ho bisogno. Perché? Perché il generale Franco non piace ai signori comunisti. Ed allora? Devo forse fabbri­care il curacao con le pigne russe! Io non m'inte­resso della loro politica. Ma vi domando: chi è il padrone della mia distilleria? I signori comunisti o io? Ora pretendono un aumento di salario e minac­ciano di fare sciopero. Se cedo sono rovinato; e se fanno sciopero sono rovinato lo stesso, perché ho delle ordinazioni urgenti. Bisogna dominarli, e i vostri ministri conversano con loro.

Il Sindaco                     - Io capisco gli operai: quando non si ha di che comprar le patate...

Deleau                           - Signor Valois, nessuno può contentare due padroni. I vostri socialisti fanno il doppio giuoco. Sono dei portinai pronti ad aprire la porta a chicches­sia. E noi non abbiamo bisogno di simili portinai. Ci vogliono cerberi.

Il Sindaco                     - Perché vi scaldate? io vi ho detto che posso capire gli operai. Ma capire e approvare sono due cose diverse. Voi sapete che io amo i comu­nisti tanto poco quanto voi. Ma non si può sempre tirar dritto, qualche volta conviene girare l'ostacolo. Voi dite: o il generale o i comunisti. E che cosa diven­tano allora i socialisti? Quale posto mi riservate! Voi volete assolutamente far oscillare il bilanciere a tutta forza: tic! tac! tic! taci E io dico: piano, tic-tac, tic-tac... Troviamo il punto di mezzo fra « tic » e « tac ». Ecco, « la terza forza ». Può darsi che un vecchio socialista come me riesca a dissuadere i vostri operai dal fare sciopero, ma se mostrerete loro il vostro generale, vedrete. Miei cari, il popolo è come la mia Maria: i nervi, sempre i nervi. Bisogna sapere scegliere il tono con cui prendere il popolo. Aspettate un anno o due, e il generale avrà il suo turno.

Deleau                           - Fra un anno o due i signori comunisti ci avranno ingoiato belli e crudi.

Richard                         - Sapete perché il signor sindaco ci con­siglia di armarci di pazienza? Sant'Agostino ha detto di Nostro Signore che egli è paziente perché è eterno.

Il Sindaco                     - Da quando in qua citate sant'Ago­stino, voi? Avreste per caso intenzione di prendere gli ordini? Maria mi ha detto che frequentate assidua­mente la chiesa e che andate pure a confessarvi. Sarei curioso di sapere se avete parlato di Bouboule al parroco.

Richard                         - Non lo ricordo più, può darsi. Il par­roco adora le storielle allegre.

Il Redattore                  - Ecco, mi sembra piuttosto incom­patibile... Io non parlo di Bouboule e della signora Richard, ma mi piacerebbe sapere come conciliate voi Bouboule con il Papa.

Richard                         - Oh, alla perfezione. Un buon cattolico fa vigilia il mercoledì e il venerdì, ma mangia di grasso la domenica.

Il Sindaco                     - Scherzi a parte, è vero che vi siete convertito, che credete in Dio?

Richard                         - Non credo alla sua esistenza, ma ritengo che sia la più notevole invenzione umana, un'invenzione superiore alla stampa, all'elettricità, alla bomba atomica.

Il Redattore                  - Dopo Voltaire, dopo Anatole France, dopo Freud, mi sembra alquanto fuori posto venire a predicare d'un tratto l'Immacolata Conce­zione. Nel nostro secolo di progresso...

Richard                         - Che cosa ci parlate di progresso? Dove sono le macchine migliori, i grattacieli? Chi ha inven­tato la bomba atomica? Ebbene, in quella stessa America si trovano ad ogni angolo delle chiese, cat­toliche o protestanti, battiste o anabattiste. Là dove ci sono molte chiese, ci sono pochi comunisti. Voi facevate dello spirito sul modo di conciliare la chiesa con Bouboule. È molto semplice. Senza dubbio, Bouboule non è una Madonna e neppure una Beatrice, ma lungi dall'essere un pericolo per la nostra civiltà occidentale, essa ne favorisce lo sviluppo. Si usa raf­figurare la nostra repubblica sotto le sembianze di una Marianna verginale. Ma con queste vergini, non si sa mai, c'è da aspettarsi mille stravaganze peri­colose. La Maddalena vale cento volte di più. Di notte fa la peccatrice, ma al mattino si riscatta e rammenda le calze.

Il Sindaco                     - Io non credo né al generale, né al Papa, né alla Maddalena. Ho una sola speranza, io: l'America. Essi possono salvarci, lo devono. Sol­tanto non capisco perché rimandino sempre. Una volta è il Congresso che delibera; un'altra, il Senato che riflette, talvolta il presidente consulta i suoi ministri, tal'altra i ministri consultano il presidente. Oggi, aprendo il giornale, mi sono detto: finalmente ci siamo! E invece no, è sempre la stessa musica: «Il presidente ha indirizzato un messaggio...». Non è dei messaggi che abbiamo bisogno noi, ma del granò, del carbone, dei dollari.

Deleau                           - Credo che voi facciate del misticismo proprio come il signor Richard. Perché gli americani dovrebbero salvarci?

Richard                         - Non fosse altro che per non perire essi stessi. Quando i clienti non hanno soldi per andare all'osteria, prima crepano loro e dopo l'oste.

Il Sindaco                     - No, caro. Secondo me la questione va posta diversamente. Io non sono un mistico, l'odore dell'incenso mi rivolta lo stomaco, ma non saprei ridurre tutto a volgare prosa. Comuni ideali ci uniscono all'America. Noi abbiamo dato loro La Payette; ora essi devono darci i dollari.

Deleau                           - Ho paura che riceveremo delle Bibbie invece di dollari. Arrivano ogni giorno esperti, osser­vatori, inquisitori. E dove sono il pane, il carbone, i dollari?

Il Sindaco                     - In primavera prima si vedono arri­vare gli uccelli e poi il grano mette le spighe. Gli osservatori americani sono come questi uccelli pre­corritori. A loro volta verranno anche le navi cariche di viveri. Io temo una sola cosa: che essi non riescano a penetrare fino alla nostra città. E pensare che abbiamo più bisogno di soccorsi che non i parigini o i marsigliesi! Parlando chiaro, noi andiamo incontro alla nostra rovina. L'America soltanto può salvarci.

Deleau                           - La vita mi ha reso scettico. Io posso credere al generale: vuole salvarci dai signori comu­nisti perché ne ha paura lui stesso. Ma che cosa posso aspettarmi dagli americani? Quelli hanno i loro due oceani.

Il Redattore                  - In ogni caso non verranno certo fin qui. Sono persuaso che in America nessuno sospetta l'esistenza della nostra città.

Il Sindaco                     - Ci cascherà pure qualcosa sotto i denti. Non bisogna disperare. (Batte il vetro contro la sottocoppa) Io presto sempre attenzione alla voce del popolo, abitudine di vecchio socialista... (A Francois) Diteci Francois, che cosa ne pensate dell'aiuto ame­ricano?

Francois                        - A dire il vero non ne penso nulla, ma poiché il signor sindaco mi interroga vi dirò che sarebbe bello avere i dollari senza gli americani. (Entra uno strillone di giornali).

Lo Strillone                   - (con voce rauca) Paris-Presse! Nuova ondata di scioperi! Paris-Presse, sesta edizione!

Deleau                           - (scorre il giornale convulsamente) No... è troppo... vedete: Marilù è qui...

Il Redattore                  - Sì, lo so, sono stato il primo a dare questa notizia... In certo senso è un avveni­mento sensazionale...

Richard                         - Ma è una catastrofe.

Il Sindaco                     - Diventate tutti mistici, come può essere qui Marilù se l'hanno fucilata nel quarantatre!

Deleau                           - Può darsi che non l'abbiano fucilata!

Il Sindaco                     - Sono persuaso di sì. Me l'ha con­fermato il maggiore Von Schauberger.

Il Redattore                  - (beffardo) Non sapevo che voi rivolgeste la parola a Von Schauberger.

Il Sindaco                     - Io non gli parlavo. Voi sapete per­fettamente che mi comportavo da vero patriota. Era lui che mi parlava. Ecco tutto! A proposito il vostro giornale dichiarava allora che i tedeschi avevano fatto bene a sopprimere una « terrorista ». Eppure Marilù aveva ucciso un tedesco, era una patriota dunque.

Il Redattore                  - Anzitutto il mio giornale non poteva dichiarare nulla per il semplice fatto che sotto i tedeschi aveva cessato le pubblicazioni; allora era la «Fiaccola del giorno » che usciva ed io ero un semplice azionista. Poi sapete perfettamente che du­rante l'occupazione facevo soltanto la cronaca della pesca. Ho un certificato del comitato di epurazione. Non permetterò a nessuno di diffamare il mio nome. Tutti ci dovevamo rassegnare a fare delle piccole concessioni. Chi potrebbe rimproverare al signor Deleau di aver venduto i suoi liquori ai tedeschi?

Deleau                           - Ah! bello il vostro paragone! Io, sotto i tedeschi non scrivevo nulla, neppure gli articoli sulla pesca. Io non ho mai scritto nulla in vita mia, ed ora posso dire che ne vado fiero. Io ho salvato una vecchia marca francese. Ero proprietario della mia distilleria prima dell'invasione dei tedeschi. Mentre il signor Richard, per esempio...

Richard                         - Oh, io ho la coscienza tranquilla. Volete dire che sono diventato proprietario di quattro stabili in via Gambetta? Lo sanno tutti. Ho venduto ai tedeschi calzature di scarto a prezzi esorbitanti. Li ho strigliati: è un'azione assolutamente patriot­tica. Sarebbe forse stato meglio che loro avessero ingannato me? Sono sempre stato in contatto per tutto quel periodo con i gollisti, e mi vien da ridere quando il signor Deleau che ha acclamato il generale Petain mi scaglia la prima pietra...

Deleau                           - Sarebbe stato interessante sapere chi vi ha dato il nastrino. Pétain o De Gaulle? (Baccano generale).

La Padrona                   - (svegliandosi) È spaventoso! Ho sognato che era la bomba atomica.

Il Sindaco                     - Amici miei a che serve bisticciare* Tutti siamo passati di là e ne siamo venuti fuori. Tutto questo è causa dei nervi, come per Maria... Nessuno di noi sospetta gli altri. Lo dichiaro come sindaco della città. Tutti abbiamo superato prove terribili...

Il Redattore                  - È quello che dico io signor Valois: non sappiamo più dove attaccarci, abbiamo sofferto troppo. Io ho persino intitolato un mio libro di testimonianze: « Il giornale di un martire ». È assurdo che noi ora ci accusiamo l'un l'altro!

Richard                         - San Tommaso d'Aquino diceva che bisogna saper ricordare e saper dimenticare. Ecco perché io non riesco a concepire come il signor Deleau potrà...

Deleau                           - Non sono stato io ad incominciare. Quando voi attaccate una vecchia marca francese fate il gioco dei signori comunisti.

Il Sindaco                     - Non vi scaldate, signor Deleau. Qui, non siamo comunisti, siamo amici. Abbiamo vis­suto tutti un'epoca terribile. Ma se la paragoniamo a quella attuale...

Il Redattore                  - Sì, ora non va certo meglio.

Il Sindaco                     - Va molto peggio. Un vecchio socia­lista come me è in diritto di far osservare che anche sotto i tedeschi la situazione era meno preoccupante. (Distribuisce le carte. Entra James Law. Si ferma davanti al banco).

Law                               - Un whisky.

Franqois                        - Non abbiamo whisky.

Law                               - Allora cognac. Un doppio bicchiere. (Dopo aver bevuto il cognac, Law va a sedersi a un piccolo tavolo e ne ordina un altro bicchiere).

Deleau                           - Si capisce, allora potevamo sperare. Mentre ora tutti sanno che l'oggi è più buio della vigilia e che domani sarà peggio di oggi. Ora non abbiamo più nulla da sperare. Io non so come ha fatto quella vostra Marilù a resuscitare, ma è chiaro che se quella megera è in città, siamo spacciati.

Il Sindaco                     - (borbotta studiando le carte) Ah! non me ne parlate, non me ne parlate! Il re e il fante, sono carte balorde. Perché non dovremmo sperare nulla? E l'America? Marshall? I dollari! Bouboule! Ho delle carte orribili.

Deleau                           - Due fanti. (Tutti gettano le carte sulla tavola).

Il Redattore                  - Il signor Deleau ha vinto. Fran­cois, il conto! Pago io...

Deleau                           - Che giova vincere se non posso trarne profitto: non bevo che infusi di camomilla, una por­cheria che, parola mia, non so perché la prendo. (Si alzano) Voi dite che io ho vinto la partita? No; sono loro.

Il Sindaco                     - (sulla soglia della porta) Di chi par­late? (Deleau fa un gesto con la mano. Escono. Entra Bouboule con l'impermeabile. Francois le porta un bicchiere di birra).

Francois                        - Buona sera, signorina Bouboule.

Bouboule                      - Allora Francois, che c'è di nuovo!

Francois                        - I notabili della città sono appena usciti. Di giovanotti non s'è visto nessuno. Con questa pioggia... (Si china verso di lei) Vedete, nell'angolo laggiù c'è qualcosa di nuovo.

Bouboule                      - Che articolo è quello?

Francois                        - Quello è la partita buona: un ame­ricano, quanto di più autentico vi possa essere. Per­mettete che vi prepari il posto di osservazione! (Bouboule si siede a un tavolo accanto a Law. Francois trasporta il suo bicchiere. Ella esamina Law che non le dimostra alcun interesse. Entra un altro consumatore che ordina un bicchiere fermandosi al banco).

Il Consumatore             - (alla padrona) Come state, signora Leveau?

La Padrona                   - (svegliandosi) Male quanto basta, signore. Avete letto l'inchiesta sulla bomba atomica! Sono tre notti che non posso chiudere occhio. Nep­pure le gocce di valeriana mi danno sollievo. E i comunisti? Che ne dite? I giornali pretendono che Marilù sia resuscitata. Allora siamo fritti... E questa pioggia per giunta...! Vedete che poca gente c'è. Io capisco che siano i russi a patire, l'hanno meritato. Ma io...

Bouboule                      - (a Law) Vi annoiate non è vero?

Law                               - Io annoiarmi? Neanche per idea. Annoiarsi è metafisica. Io faccio degli affari. E quando non faccio degli affari dormo.

Bouboule                      - Ah! Scusate... E pensare che io cre­devo vi annoiaste. Uno straniero che non ha la faccia di persona conosciuta nel paese... Volevo distrarvi un po' chiacchierando...

Law                               - (a Francois) Ehi! Ancora un bicchierino! (A Bouboule) Anche mentre bevo il cognac, io psnso. Da noi, in America, la gente non perde il suo tempo. Io posso fare diverse cose in una volta: bere, chiac­chierare con voi, pensare. Da noi, in America, la gente conduce una vita universale.

Bouboule                      - Certo che a confronto dell'America qui tutto vi sembrerà molto miserabile, molto sciocco...

Law                               - Sì, proprio... Come dite... Sciocco. Invece di case, infami tuguri. Un albergo senza bagni. Un caffè senza jazz. Niente pane nelle panetterie. Per farla breve, nulla in nessun posto. Se vedeste la città dove abito io!

Bouboule                      - Oh Dio! vedere New York, anche con un occhio solo! Io l'ho vista al cinema... Dei grattacieli così alti che c'è da torcersi il collo per guardarli.

Law                               - New York non è l'America. Vi sono troppi rossi... Io abito Jackson, la capitale dello Stato del Mississipì. Bars, banche, grattacieli...

Bouboule                      - A che piano abitate? Certamente al ventesimo.

Law                               - Al primo. Ma salgo spesso fino al trente­simo; non vi si abita: vi si fanno dei dollari.

Bouboule                      - E voi, ne fate anche voi dei dollari!

Law                               - Tutti gli americani fanno dollari.

Bouboule                      - Vi confesso che mi piacete molto. Mi ricordate il mio attore cinematografico preferito. Si chiama Harry, Harry... non ricordo più il seguito. Non mi riesce di tenere a mente un solo nome ame­ricano. Avete un'aria da cow-boy e d'altra parte un non so che di grave, di imponente che si avverte a prima vista. Sapete per chi vi si potrebbe prendere? Per un vero milionario.

Law                               - Tutti gli americani sembrano dei milionari. Gli uni hanno milioni; gli altri sognano di guadagnarli. E questi, si contano a milioni. Io capisco che possa essere piacevole vedere un americano in questo buco sperduto. Ma non ve la prendete. Jim mi ha detto che presto vi verremo in aiuto. Anche il nostro Pre­sidente non mangia più bistecche. Ora si nutre esclu­sivamente di salmone, omelettes e banane: tutto questo per aiutarvi. A Jackson abbiamo avuto la settimana di « rinuncia alla pasticceria » a favore dell'Europa affamata.

Bouboule                      - Mio Dio, come avrei voluto offrirmi una pasta, anche una sola! Ora vi dico da quanto tempo non ne ho mangiate. (Conta sulle dita) Tre anni e quattro mesi. Mi contenterei anche di man­giare un piccolo pane bianco. (Silenzio) Dite, non siete mica avaro voi? Vedete, io ho molto paura degli avari. «

Law                               - In America non ci sono avari. Non ne abbiamo il tempo. Noi dobbiamo anzitutto guada­gnare per spendere, e poi spendere per guadagnare.

Bouboule                      - Siete adorabile. E io, vi piaccio un pochino?

Law                               - Eh, eh! Ma perché parlare di queste scioc­chezze? Ora capisco perché i francesi degenerano: sono capaci di fare l'amore a freddo, a mente calma. Ho visto a Parigi un metafisico che corteggiava le donne al mattino a digiuno. È stupido e immorale. Io devo bere quattro buoni whisky e otto cognac per accorgermi che una donna è donna.

Bouboule                      - E quello sarebbe?

Law                               - Il quinto.

Bouboule                      - Francois, due bicchierini. Uno doppio per il signore. (A Law) Benché la nostra città non sia grande, vi si trovano tuttavia uomini di marca. Ultimamente ho incontrato un diplomatico, il con­sole del Cile. Viene da Parigi; si dichiara stanco della vita mondana. Adora il teatro, le arti. Mi ha assicu­rato che potrei diventare artista drammatica. Ma io ho paura di darmi alle scene... Mi ha offerto questo... (Estrae un biglietto di banca dalla borsetta).

Law                               - Eh! Cinque dollari.

Bouboule                      - Sopratutto non crediate... Me lo dato per suo ricordo, come si potrebbe offrire un fiore... (Pausa) Mi hanno detto che al cambio attuale un dollaro vale trecento franchi. È vero?

Law                               - Trecento ottanta. (Esamina il biglietto) Però se ve ne danno ottanta per questo pezzo di carta, prendeteli. Ora non mi meraviglio che il vostro diplomatico amasse le arti. Sapete che cos'è questa banconota? Una creazione originale di Marsiglia o di Perpignano.

Bouboule                      - (asciugandosi gli occhi col fazzoletto) Ed io che pensavo di comprare due paia di calze... Ma non importa. È un così fine intenditore d'arte... E io, non sono affatto avida... (Entra zoppicando un cantante girovago con la fisarmonica. Comincia a can­tare con voce rauca) A che prò ho creduto a qual fine ho lottato? Della mia gamba e della vittoria nulla mi è restato. (Con una scodella in mano fa il giro dei consumatori).

La Padrona                   - Sapete bene che è proibito: non è la prima volta che ve lo dico. Non siete nuca in chiesa, siete in un rispettabile caffè.

Bouboule                      - (corre verso il cantante e depone una moneta nella sua ciotola. Il cantante esce. A Law) Prima della guerra guadagnava molto. Era il miglior ballerino della città. Quando io ero bambina sognavo di ballare con lui almeno una volta sola. Poi è andato in guerra e ha perso una gamba.

Law                               - Credete che in America la gente non perda nulla? Accade loro di perdere non soltanto una di­sgraziata gamba, ma milioni di dollari. Uno perde, l'altro trova. Tutto grazie al nostro spirito di ini­ziativa. Credete che io mi trovi in questo buco puz­zolente per divertirmi? Nemmeno per sogno. Jim mi ha detto che qui ci sono molte anticaglie. Da parte mia non posso soffrire nessuna cosa vecchia, ma quelli della 59a strada vanno in estasi: « ah! dei Luigi XV! ». « Oh! Un vaso del Medio Evo!». Quanto a me il cinema Gloria di Jackson mi sembra molto superiore a Notre Dame di Parigi. Ma ci sono gli antiquari, la legge della domanda e dell'offerta. Sono qui da un giorno appena e già ne ho abbastanza del vostro vecchiume, delle vostre catapecchie, dei vostri fan­nulloni. E dappertutto quel leone. È una curiosità del XV secolo, a quel che dicono. Che cosa ha di curioso poi? Sapete cosa sembra? Un cane barbone da circo ambulante. Un leone non deve fare il bello, è stupido e immorale.

Bouboule                      - Ma allora perché vi interessa?

Law                               - Perché in America ci sono molti pazzi. Un leone così, sapete quanto me lo pagherebbero alla 59a strada? Dieci mila dollari, né più, né meno!

Bouboule                      - Vi consacrate allo studio dello anti­chità?

Law                               - Io studiare le antichità? Affatto! Io faccio prova di iniziativa. È molto più difficile. Ho quarant'anni e voglio vivere. Se fosse necessario andrei al Polo Nord. Se fosse necessario partirei anche verso Mosca.

Bouboule                      - Da noi non vengono mai stranieri. Avignone ha il palazzo dei Papi; Nìmes ha le arene romane. A Marsiglia c'è il porto... E noi non abbiamo altro che quel leone...

Law                               - (prende appunti. A Francois) Ancora un bicchierino!

Bouboule                      - (esitando) Siete venuto qui per affari?

Law                               - Affari ne ho sempre. Ieri mi occupavo di eliche da aeroplano. Oggi m'interessa questo vecchio cane barbone. Domani forse mi adoprerò a salvare l'Europa dalla rovina. Noi sappiamo cambiare pro­fessione, modificare istantaneamente le idee, le cifre. Conduciamo una vita universale. (Si sente cantare nella strada): Nous sommes la Jeune France, nous sommes les gars de l'avenir. Elevés dans la sofference, oui, nous saurons vaincre ou mourir! Nous travaillons pour la bonne cause, pour délivrer le genre humain, tant pis si notre sang arrose le pavé sur notre chemin!Prenez garde! Prenez garde! Vous les sabreurs, les bourgeois, les gavós, voilà la Jeune Garde! Voilà la Jeune Garde qui descend sur le pavé, sur le pavé! Prenez garde! Prenez garde! Voilà la Jeune Garde!

La Padrona                   - (svegliandosi) Orrore! È Marilù!

Law                               - Marilù? Chi è?

Bouboule                      - La conoscono tutti. Durante l'oc­cupazione ha ucciso in pieno giorno un comandante tedesco sulla piazza grande, davanti al leone.

Law                               - È una persona coraggiosa...

Bouboule                      - Certamente, dal momento che è comunista.

Law                               - Comunista? Di comunisti ce n'è anche da noi. Ma non usiamo loro alcun riguardo. Dov'è questa donna?

Bouboule                      - È stata fucilata dai tedeschi. Ma si dice che sia nuovamente in città. Allora sarebbe un miracolo; l'hanno pur fucilata.

Law                               - Noi americani non crediamo ai miracoli. Siamo realisti. Senza dubbio dispiace che siano stati i tedeschi a fucilarla, ma che l'abbiano giustiziata è bene. Non si può vivere coi comunisti, impediscono di far dei dollari. Voi credete che non ci siano rossi in America? A volontà! Da noi a Jackson un comu­nista ha dichiarato che bisognava lasciare i russi tranquilli. E noi l'abbiamo mandato a star tran­quillo... Alla prigione municipale. Ma lasciamo queste conversazioni oziose. (Prende appunti).

Bouboule                      - Come potete pensare agli affari quando vi parla una giovane donna?

Law                               - Io penso sempre agli affari. Anche quando dormo. Quando un uomo è disoccupato, finisce per avere in testa soltanto delle stupidaggini: chi fa dei versi, chi bacia le donne a digiuno, e chi diventa comunista. Qui ci sono molti metafisici del genere, è quello che vi manderà alla rovina. Noi invece siamo un popolo giovane, noi facciamo affari. Perché attualmente siamo la prima nazione del mondo? Perché facciamo molti affari e abbiamo molti dollari. (A Francois) Ancora un bicchierino! (A Bouboule) Voi, per esempio, siete venuta subito a mettervi vicino a me, appena avete visto che sono americano. Questo si capisce. È come il piano Marshall, come i Sedici Stati. Ma se vi avessi detto che ero russo, probabilmente ve ne sareste andata. Perché un russo non avrebbe potuto darvi nulla, un russo non avrebbe saputo far altro che chiacchiere. Non è vero? Io sono realista e capisco perché mi sorridete. Per il momento non ho altro che un libretto di assegni e delle pro­spettive. (A Francois) Ancora uno! (A Bouboule) Non voglio mica ingannarvi... (È sempre più brillo).

Bouboule                      - Mi avete già ingannata una volta: mi avete detto che diventate galante dopo otto cognac, ma quello è già il nono che bevete ed ancora non vi accorgete che sono una donna. Veramente, avrei preferito che foste russo.

Law                               - Siete comunista?

Bouboule                      - Dio non voglia!

Law                               - Da noi simili conversazioni vi avrebbero condotto dritto dritto alla commissione delle attività antiamericane.

Bouboule                      - Oh, non mi ci portate! Ho tutte le carte in regola. Potete domandare a Francois, vengo qui tutte le sere, qui c'è il mio quartier generale.

Law                               - Il vostro quartier generale? Per far che? Faremo a meno del vostro aiuto per domarli. Ho visto un russo che non sapeva neppure che cosa fosse un aspirapolvere. Jim mi ha detto che i russi erano avanzati fino a Berlino sulle nostre macchine. Come ti chiami?

Bouboule                      - Bouboule.

Law                               - È stupido e immorale. E quella l'hanno chiamata Gilda. Quando l'hanno lanciata in mare, tutte le isole sono andate in pezzi.

Bouboule                      - Perché mi dite queste cose? Ho tanta paura. Quando ci hanno bombardato gridavo come se mi scorticassero. Credete che ci sarà un'altra guerra?

Law                               - Sì, senz'altro. È tempo di finirla con loro, ci impediscono di fare dollari. Jim mi ha detto che sarebbero sufficienti una trentina o una quarantina di Gilde per farli volare in frantumi.

Bouboule                      - Chi è Jim?

Law                               - Un mio amico.

Bouboule                      - Scrive sui giornali? 0 è un generale?

Law                               - È come me, un cervello universale. Quelli che scrivono sui giornali non sono che scribacchini. I generali, poi, sono dei tecnici. C'è chi installa l'elet­tricità nelle case, loro invece preparano gli sbarchi. Tutti facciamo prova d'iniziativa. Quanto a Jim per il momento si trova a Parigi. In missione.

Bouboule                      - Forse è un senatore?

Law                               - Quando vi dico che è più di un senatore. Lui fa affari. Quando io incontro il nostro senatore a Jackson, gli dico: «Allò, Jack, come vanno gli affari? » e lui non sa che rispondermi. (A Francois) Ancora un bicchierino!

Bouboule                      - Così, voi conoscete dei senatori?

Law                               - Ne conosco... Quando voglio... (Entra uno strillone di giornali).

Lo Strillone                   - « France-Soir »! L'arrivo di nuovi osservatori americani! «France-Soir»! Ultima edi­zione! (Francois prende il giornale e fa l'occhiolino allegramente a Bouboule).

Bouboule                      - Mio Dio!... Non capisco... Possibile che sia vero? Ma io non sono abituata a parlare con personaggi così importanti... Non ve ne abbiate a male, non sono mai stata a Parigi, una volta sola ho passato quattro giorni a Marsiglia. E qui non ci sono persone altolocate. Tranne, forse, il mio diplo­matico. Ma avete visto come mi ha infinocchiata... Voi conoscerete certamente il sindaco; io lo conosco: è un imbecille, benché sembri un furbacchione. Il redattore mi piace poco; ma che cos'è in fondo un redattore? Uno scribacchino, l'avete detto voi stesso. Scusatemi se ho parlato senza ritegno, il fatto è che non ho mai conversato con persone di cosi alto rango. Dite, viaggiate in incognito?

Law                               - Sì.

Bouboule                      - Oh, cielo! È meraviglioso! Credevo che certe cose accadessero soltanto sullo schermo. (Si stringe contro di. lui) Caro... sei straordinario. Non te ne importa se ti dò del tu? La felicità mi fa per­dere la testa. Mi trovo con un uomo che conosce tutti i senatori. E come in una fiaba... Caro, conosci forse il presidente?

Law                               - Oh!, sì! Ultimamente sono stato di pas­saggio alla Casa Bianca per stringergli la mano. A dire il vero non è affatto impressionante. Per conto mio preferisco Jim. Ma, dal momento che è presi­dente... Tanto vale lui come un altro. Non impedisce a nessuno di fare dollari.

Bouboule                      - Dio, non avrei mai pensato di avere tanta fortuna! Ho un'amica che non è di qui, abita ad Arles. Anche lei ha avuto fortuna: un tenente americano voleva sposarla. Ma lui era un semplice tenente, e tu, tu conosci il presidente. E poi non l'ha sposata. Lui aveva promesso di inviarle delle calze nylon, e l'ha ingannata. Dimmi, caro, è una missione importante che ti ha condotto qui, non è vero? Non lo dirò a nessuno...

Francois                        - Scusate, signore, chiudiamo. Alle undici tolgono la corrente.

Law                               - È stupido e immorale.

Francois                        - Il signore è nel giusto. Ho Ietto che in Germania i caffè sono aperti fino a mezzanotte. Perché allora i vincitori devono vivere peggio dei vinti?

Law                               - Vi farò portare davanti alla Commissione delle attività antiamericane. Un cameriere non deve fare eloquenza, deve servire i clienti. Colui che fa gli affari...

Bouboulb                      - Caro, hai bevuto undici bicchierini e pensi ancora agli affari?

Law                               - Sì.

Francois                        - Il signore deve mille e quattrocento franchi, compresa la mancia.

Law                               - La mancia è soppressa, come la corrente elettrica. Per il momento non ho dollari, ho solo un libretto di assegni e delle prospettive.

Francois                        - (alla padrona) Ho sempre pensato ai dollari senza americani e sono cascato su un ameri­cano senza dollari.

La Padrona                   - (svegliandosi) Che orrore! E per giunta questa bomba! (Si spengono le luci).

Law                               - (a Bouboule) Sai, credo di cominciare ad accorgermi che sei una donna.

SECONDO QUADRO

Gli uffici della « Fiaccola del mezzogiorno ». Lo studio del redattore capo. Un grande tavolo ingombro di gior­nali, di bozze, di lettere. Una bottiglia di liquore, due piccoli bicchieri. Fiori. Un guanto di donna. Alle pareti fotografie di attrici e di cavalli. Una macchina da scri­vere su di un piccolo tavolo.

 (Il redattore è seduto in una poltrona e sta scorrendo un giornale. Davanti a lui in piedi il reporter Paolo Gelinot, vestito dimessamente, con un occhio pesto).

 Il Eedattore                  - (senza guardare Gelinot) Allora, avete qualche notizia curiosa?

Gelinot                          - Ne ho qualcuna. C'è stata una riunione ieri sera. Lo sciopero deve iniziare dopodomani o giovedì. Cheneau ha pronunziato un lungo discorso, ho preso nota dell'essenziale... (Estrae il taccuino).

Il Redattore                  - Non interessa. Così, mercoledì o giovedì? Che cosa avete saputo su Marilù? (Guarda Gelinot) Dove vi siete fatto pestare a quel modo? Vi è successo andando dalle ragazze?

Gelinot                          - Perdonate, signor Piquet, sono padre di tre figli e ho altro da fare che correre la cavallina! È stato alla riunione. Ad un tratto un pezzo di spor­caccione sale sulla tribuna e grida: « Il giornalista che ha fatto l'apologia degli assassini di Marilù è qui presente! ». Non mi resta altro da fare, la folla è scatenata. Dichiaro perciò che io rappresento la « Fiaccola del mezzogiorno », mentre sotto i tedeschi usciva la « Fiaccola del giorno »; quelli mi interrom­pono gridando: «Sono una cosa sola». Ho un bel certificare loro che non ho scritto mai nulla al di fuori della semplice cronaca, che ho avuto uno zio nel movimento di resistenza, che i tedeschi c'è man­cato poco mi deportassero; non serve a nulla. Uno di quelli, un vero forsennato, si scaglia su di me e mi domanda: « Chi ha scritto allora l'articolo su Marilù? ». Gli rispondo che non ne so niente. Allora...

Il Eedattore                   - (schernendo) Ma alla fin dei conti, chi l'ha scritto questo articolo?

Gelinot                          - Signor Piquet, voi lo sapete meglio di me.

Il Eedattore                   - Basta così, che cosa vi hanno fatto?

Gelinot                          - Uno dei due mi ha picchiato. In defi­nitiva me la sono cavata.

Il Eedattore                   - È stata più la paura che il male-Che cosa avete saputo sul conto di Marilù?

Gelinot                          - Vivien assicura che l'hanno effettiva­mente fucilata.

Il Eedattore                   - Non è questo che vi domando, ciò interessa il redattore, non il reporter. Vi ho inca­ricato di raccogliere particolari sul suo passato.

Gelinot                          - (consultando il taccuino) Ventidue anni, nata qui, via Thiers, 8; suo padre era meccanico alla distilleria Deleau; terminate le scuole è entrata nel laboratorio di madame Malebranche...

Il Eedattore                   - Avete forse intenzione di fare la sua biografia? Ho bisogno di particolari pitto­reschi. Capito?

Gelinot                          - (consulta il taccuino) Un verbale di perquisizione tedesco... A casa sua hanno trovato una pistola di marca tedesca, un libro di Gorkij: «La madre », trecento sedici franchi e un bigliettino ga­lante di un certo Paolo che la chiama « piccola stella ». Si conoscono anche le circostanze della sua esecu­zione. Prima di morire ha gridato: «Noi siamo nu­merosi ».

Il Redattore                  - Ho capito, avete intenzione di scrivere un trafiletto per un giornale comunista: « Marilù, la Giovanna d'Arco rossa »? Basta! Mi pento di avervi dato un incarico di fiducia. L'avete detto anche voi, non siete capace che di fare cronaca spic­ciola. Ebbene! Perché ve ne state lì muto? Voi non siete un giornalista, ma un vero baccalà. Potete andare. (Gelinot si dirige verso la porta) Un momento! È necessario che voi sappiate, prima di sera, se lo sciopero comincia mercoledì o giovedì. Del resto non rischiate che di farvi pestare l'altro occhio, sarete presentabile del tutto. Potete andare. (Gelinot si dirige verso la porta) Aspettate. Fate chiamare Mimi, le detterò l'articolo di fondo. (Gelinot esce. Il redat­tore vuota un bicchierino, aspira il profumo dei fiorì. Entra Mimi vestita elegantemente, capelli ricciuti, viso da bambola. Si siede Davanti alla macchina).

Mimì                             - Ebbene?

Il Redattore                  - Ebbene cosa!

Mimì                             - Aspetto che voi dettiate.

Il Redattore                  - E io aspetto che tu parli. Ieri ho fatto il piantone per un'ora e mezzo. Se non mi sbaglio sono il redattore di un grande giornale e non un collegiale.

Mimi                             - Ma io vi avevo detto che...

Il Redattore                  - Tu mi avevi detto che saresti venuta. Smettila di posare a vestale, con quell'aria da « non mi toccare ». È un vecchio gioco. Dopo Anatole France, dopo Freud, dopo venti anni di pro­gresso, è semplicemente ridicolo. (Si avvicina a Mimì, vuole baciarla, ma lei si schiva, girandosi sudo sga­bello) Ebbene? Che cosa aspetti? Forse un americano coi dollari?

Mimì                             - Aspetto che voi cominciate a dettare.

Il Redattore                  - Verrai questa sera?

Mimi                             - Oggi, se non sbaglio, avete la serata impe­gnata con la signorina Boubonle.

Il Redattore                  - Ah, ecco di che si tratta... Siamo terribilmente gelose. Non fare la sciocca! Bouboule è la ragazza di Richard e Richard è il mio migliore amico. E poi, come hai potuto pensare? Ho troppo buon gusto. Preferire a te una Bouboule! Ah! no! (La bacia) Verrai? (Lei risponde con un cenno affer­mativo del capo) E ora al lavoro. « Le nuvole si accu­mulano. Gli osservatori americani arrivati nel nostro paese vedranno... ». (Percorre la scena a grandi passi cercando le parole. Mimì si volta e scorge un guanto sul tavolo. Allora balza in piedi e se ne impossessa).

Mimi                             - Di chi è? Di Bouboule?

Il Redattore                  - «... vedranno un quadro si­nistro... ». Perché l'hai preso? Dai qua!

Mimì                             - Di chi è questo guanto?

Il Redattore                  - (togliendole il guanto) Ti riguarda? Che cosa non si trova in una redazione? E poi, io non tollero la tua tirannia. Ti prego di abbandonare questo tono autoritario. Io sono francese, odio qual­siasi dittatura.

Mimì                             - Potete dettarmi.

Il Redattore                  - (si slancia verso di lei, vuole baciarla, ma quella si gira sullo sgabello) Andiamo, non fare la stupida! Non hai vergogna? È il guanto di mia moglie. Non è lecito essere sospettose lino a questo punto. (La bacia) Scrivi: « Come le acque nere del diluvio gli scioperi minacciano di annientare la nostra bella Francia. I congiurati sono capeggiati da una certa Marilù. E tempo di smascherarla. I comunisti affermano che è stata uccisa dai tedeschi. In realtà la Gestapo l'ha rilasciata e Marilù si trova ora nella nostra città... ».

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Mimi                             - È vero!

Il Redattore                  - Non è affar tuo. Per il momento sei una semplice dattilografa. È chiaro? Io detto: « la sedicente Marilù si chiama in realtà Maria Lvovna, ed è una russa di Smolensk. Siamo riusciti a stabi­lire che ella aveva trasportato nella nostra città grandi somme e mitragliatrici di fabbricazione russa. Negli ambienti comunisti l'hanno soprannominata « La Stella Rossa ». Mercoledì o giovedì prossimo i | congiurati hanno progettato di...». (Bussano. Entra il segretario di redazione, un vecchio che porta una papalina nera).

Il Segretario                  - (a bassa voce) Una signora chiede di voi.

Il Redattore                  - Non vedete che sono occupato!

Il Segretario                  - L'ho detto, ma lei insiste. Dice di essere venuta per un affare di stato.

Il Redattore                  - Chi è? Non è di qui?

Il Segretario                  - (ancora più sottovoce) È la signo­rina Bouboule.

Il Redattore                  - Ditele di aspettare. (Il segre­tario esce).

Mimì                             - Potete non aspettarmi questa sera. Del resto è finito tutto. Dettate ancora o posso andarmene!

Il Redattore                  - Non fare l'ingenua. Capisci bene che se è venuta al giornale è per affari. Deve essere successo qualcosa a Richard... Il comitato di epurazione avrà messo le mani su certi documenti... Non far la matta. (Si avvicina a Mimì, vuole baciarla, lei si gira sullo sgabello) Farò presto a liquidarla. Non c'è nulla fra me e lei, ti dò la mia parola. Ho soltanto te. Accetto anche la dittatura. (La bacia) E ora va. Ne ho per cinque minuti soltanto.

Mimì                             - (esce. Il redattore grida dentro la porta: «Fate passare ». Entra Bouboule).

Il Redattore                  - E allora, hai perso la testa! ', Venire nel mio ufficio in pieno giorno?

Bouboule                      - Mio caro, non è da oggi che ci cono- l sciamo. Tu capisci bene che se son venuta nel tuo r ufficio non è per farmi sbaciucchiare.

Il Redattore                  - Ma è uno scandalo. Capisci quello che hai fatto? Ti conoscono tutti.

Bouboule                      - Fra poco mi ringrazierai: ti porto una notizia sensazionale...

Il Redattore                  - Indovino di che si tratta: hanno dissotterrato le quietanze di Richard.

Bouboule                      - Non ci sei. Ti sfido a indovinarlo, Io stessa non credevo ai miei orecchi. Una notizia prodigiosa... Sai chi è arrivato nella nostra città?

Il Redattore                  - Il ministro della ricostruzione.

Bouboule                      - E pensi che mi sarei disturbata per f un ministro qualsiasi? Si tratta di un osservatore i americano. In incognito. Ora capisci perché dovevo t correre qui. Nota bene che non sono andata né dal sindaco né da Richard, ma da te. Me ne sei grato!

Il Redattore                  - Piano, piano, potrebbe essere  una frottola. Il mio è un giornale serio. Io pubblico  soltanto fatti veri. Chi te l'ha detto?

Bouboule                      - Lui.

Il Redattore                  - Chi lui?

Bouboule                      - Lui, ti dico, lui stesso. L'osservatore  americano in persona. Non mi credi? È arrivato ieri mattina. Certamente ha passato la giornata a osser­vare. E la sera è andato al caffè «Al leone». Ci sono passata per un minuto. Francois mi ha detto che eravate appena usciti. Lui si è messo a guardarmi, poi, non reggendo più, mi si è avvicinato. È così gentile, così riservato. Dapprima non voleva dire il motivo della sua venuta, voleva mantenere l'inco­gnito, e per trarmi in inganno dimostrava di inte­ressarsi alle antichità; in breve, cercava di farmi andare fuori strada. Poi ha bevuto un po' e soprat­tutto sì è follemente innamorato di me. Io pensavo a te e cercavo di farlo cantare. Sai chi è? Il rappre­sentante particolare di Jim, non mi ha detto come si chiamava di cognome, d'altronde non ho insistito: sai che io non riesco a tenere a mente un solo nome americano. Ma questo Jim ha una parte universale, conta più di tutti i senatori. Il mio americano è intimo del presidente, ha entrata libera alla Casa Bianca. Per farla breve, è un papavero così grosso che avevo paura a parlargli. Si è messo a criticare la nostra città, e tutti i francesi in generale; accusava la gente di qui di non saper fare i propri affari, li tacciava di degenerati, di fannulloni. In una parola gli è bastato un giorno per mettere in chiaro tutto. Ho idea che il sindaco si prenda proprio una lisciata. E con me si è mostrato così tenero... così generoso. Pare che in America non abbiano il tempo di contare ogni franco, come fai tu. Non avrei mai pensato che sarei divenuta l'eroina di un film meraviglioso. Gli americani sono dei veri democratici. Pensa un po', un uomo di stato come lui che, con semplicità, se ne viene da me e mi dice: « Bouboule, Bouboule... ».

Il Redattore                  - L'hai portato nella tua cata­pecchia?

Bouboule                      - Ma sì, se ti dico che viaggia in incognito.

Il Redattore                  - A che albergo è sceso?

Bouboule                      - Al Lux.

Il Redattore                  - Che orrore, è un vero buco! È pieno di cimici...

Bouboule                      - Penso che l'abbia scelto apposta, dato che l'hanno mandato qui per osservare come viviamo. Ha un mucchio di soldi, mi ha anche rega­lato... Ma questo non ha importanza.

Il Redattore                  - Forse è meglio che abbia visto la nostra miseria. Ma è necessario avvertire il sindaco perché possa presentare tutto sotto il dovuto aspetto. Effettivamente è una notizia sensazionale. Non abbiamo tempo da perdere.

Bouboule                      - (scorge il guanto e lo afferra) Caspita, non perdi il tuo tempo! Di chi è questo guanto?

Il Redattore                  - Non fare la stupida, è la mia dattilografa Mimi che l'ha dimenticato..

Bouboule                      - Evidentemente sei convinto che io non sia abbastanza buona per te. L'americano ne ha viste molte altre, ha avuto attrici di Hollywood, ma questo non gli ha impedito di corrermi dietro. Tu invece senza dubbio cerchi una « donna onesta ». (Getta il guanto).

Il Redattore                  - Che cosa vai a pensare! Verrò giovedì come al solito. Semprechè non vi sia lo scio­pero. Dimmi, piuttosto, come si chiama il tuo americano? O non sei riuscita neanche a ricordarti il suo nome?

Bouboule                      - Certo, me lo ricordo. Ha un nome molto facile da ricordare.

Il Redattore                  - Ebbene?

Bouboule                      - Ascolta, caro, dammi ottomila franchi... devo saldare la nota della modista e non ho che un assegno.

Il Redattore                  - (estraendo biglietti di banca dal por­tafoglio) Toh! Cinquemila, non ne ho di più. Come si chiama?

Bouboule                      - James Law. In questo momento si trova nella sua camera d'albergo. (Bussano. Fa capo­lino il segretario di redazione).

Il Segretario                  - (sottovoce) Signor Piquet...

Il Redattore                  - Non vedete che sono occupato?

Il Segretario                  - Il fatto è che di là c'è la signora Piquet. Non vuole intender ragione... (La voce della signora Piquet: « Occupato? Che cosa significa? Sono o non sono sua moglie? ». Schivando il segretario la signora Piquet irrompe nello studio. È una donna eccessivamente formosa, col capo coperto da un minu­scolo cappello violetto, armata di parapioggia).

La signora Piquet          - Ah! Ecco di che si tratta! Che cosa viene a fare qui costei?

Il Redattore                  - Calmati, piccola mia, si tratta soltanto di una conversazione d'affari. Questa donna è venuta a visitarmi come redattore del giornale per farmi una comunicazione assolutamente eccezionale.

La signora Piquet          - Hai ancora la sfrontatezza di mentire? Ma guardate un po'! Vuol far passare una prostituta per un informatore della stampa. Toh, prendi per la tua « conversazione d'affari »! (Lo picchia con l'ombrello. Approfittando della confusione, Bou­boule si eclissa).

Il Redattore                  - Piccola mia, ti prego ancora una volta di calmarti. Rimandiamo la conversazione a questa sera. Si tratta di un affare di estrema gravità, da cui dipendono il destino della patria, l'avvenire del giornale, la sorte dei nostri ragazzi. Posso diven­tare il primo giornalista di Francia. (Grida dentro la porta: « Signorina Mimi ». Mimi entra. Interdetta, osserva la signora Piquet che brandisce l’ombrello, poi va a sedersi davanti alla macchina da scrivere) Scrivete.

Mimi                             - Eravamo rimasti a: « mercoledì o giovedì i cospiratori... ».

Il Redattore                  - Quello può aspettare. Anzitutto batterete quello che vi dirò per la prima pagina: « La nostra città è teatro di un sensazionale avve­nimento ».

La signora Piquet          - Io ti domando: che cosa è venuta a fare qui quella svergognata?

.

Il Redattore                  - Non mi interrompere, piccola. « È arrivato da noi un osservatore americano, rap­presentante particolare del presidente della grande repubblica alleata. Nella prossima edizione pubbli­cheremo un'intervista col signor James Law ».

La signora Piquet          - Non cercare di darmela ad intendere. Quella creatura ha lasciato qui il suo guanto. (Getta il guanto per terra e lo pesta coi piedi).

Mimì                             - Ah! È così... Signor Piquet, ho la serata impegnata. Fate venire un'altra dattilografa.

Il Redattore                  - Andatevene tutte al diavolo, con queste storie da donnette! Come potete capire quanto è sensazionale questo avvenimento? Anzitutto bi­sogna avvertire il sindaco, poi intervistare l'americano e telegrafare a Parigi. La storia mondiale si fa sotto i vostri occhi e voi venite a seccarmi con questo guanto della malora! E dire che io stesso non so di chi sia questo guanto... (Esce correndo).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Una camera del « Lux », albergo di terza categoria. La camera è oscura. Tappezzeria sudicia. Un letto enorme al centro. In una nicchia un lavabo.

 (James Law, curvo sul lavabo, gira i rubinetti con rabbia. Davanti a lui si trova un cameriere dell'al­bergo dall'aria addormentata).

Law                               - Avete detto che c'era l'acqua corrente in tutte le camere...

Il Cameriere                  - Sissignore. Il signore non ha che a constatare di persona: ecco il rubinetto dell'acqua calda.

Law                               - Ma non c'è acqua.

Il Cameriere                  - Ce n'era prima della guerra, signore.

Law                               - Volete che mi lavi con l'acqua di prima della guerra?

Il Cameriere                  - Io non voglio nulla, signore.

Law                               - Dov'è l'acqua fredda?

Il Cameriere                  - Alle volte ce n'è. Il signore del diciotto dice che viene tutte le mattine alle quattro. Se il signore vuole aspettare... Non c'è niente da fare, tutto va in rovina. Sta agli americani trarci d'impiccio.

Law                               - Altolà! Non vi trovate ad una conferenza delle Nazioni Unite. Tocca a voi procurarmi l'acqua. Portatemi un secchio d'acqua e una tinozza. (Il came­riere esce. Law gira i rubinetti. Bussano. Entra il sindaco seguito dal redattore).

Il Sindaco                     - Permettete...

Law                               - Dov'è l'acqua? Con tutti questi fannulloni non si riesce ad ottenere nulla. Bisognerebbe met­tervi alla porta.

Il Sindaco                     - Ma, signor Law...

Law                               - Non ci sono « ma ». Ne ho abbastanza di parlare a gente incretinita. Dov'è l'acqua? (Entra il cameriere, portando un minuscolo catino e un bricco) Eccola, la vostra Francia! Un'antica porcheria! Un'accozzaglia di cialtroni che puzzano di medio evo. (Prende il sindaco per il colletto) Perché .state qui a bighellonare? Pareste meglio ad occuparvi dell'acqua corrente.

Il Sindaco                     - Ma, signor Law, non facciamo che lavorare da mattina a sera... Abbiamo preso tutte le misure possibili... Sono i danni di guerra... Voi stesso vedete come siamo stati provati. Noi siamo lieti del vostro arrivo.

Law                               - Osate prendervi gioco di me, per giunta! Voi siete « lieti »? Ma io sono tutt'altro che lieto! Io voglio lavarmi, è chiaro? Secondo voi posso im­mergermi in questa scodella? Noi americani non siamo metafisici, noi ci laviamo e non ci occupiamo di intrighi galanti.

Il Sindaco                     - Signor Law, noi facciamo quanto è nelle nostre possibilità. Ma senza l'aiuto americano...

Law                               - Questo l'abbiamo già sentito. Ma non vi trovate alla Conferenza dei Sedici Stati. Credete che l'America vi invierà degli agenti preposti allo ster­minio delle cimici?

Il Sindaco                     - In qualità di sindaco della città, vi assicuro che abbiamo preso misure urgenti...

Law                               - Voi, il sindaco della città? È stupendo!..; E io che vi avevo scambiato. per il proprietario di questo tugurio. Facciamo la conoscenza. (Gli tende la mano) Dopotutto io amo i sindaci. Il sindaco di Jackson è un buon uomo, soltanto che gli piace troppo il whisky ed è per questo che ha votato il regime secco. Sedetevi sul letto, senza complimenti: io ho orrore dell'etichetta. E questo signore chi è!

Il Redattore                  - Permettete che mi presenti: il redattore capo della « Fiaccola del mezzogiorno », l'unico giornale della città.

Law                               - Un giornalista? Niente male. Dopo tutto io amo il giornalismo. Un buon giornalista fa dollari e non disturba gli altri. Non è vero? Ma perché avete soltanto un giornale? A Jackson abbiamo due giornali: « La concorrenza » e « Il motore della vita». Ci vogliono due giornali, due partiti. Ma si deve avere una sola donna, una sola unità monetaria, un solo Dio. Non è vero? Quanti partiti politici avete in questa città?

Il Redattore                  - Sei, senza contare quelli di se­condo piano.

Law                               - Sei sono troppi. Dovete economizzare, specie ora che vi trovate in una situazione critica. In America, abbiamo molti dollari e soltanto due partiti: i repubblicani e i democratici. Voi potete chiamarli come vorrete: noi rispettiamo gli usi degli altri popoli. Ma pensare che avete sei partiti e non un solo bagno!... Non voglio offendervi, so che i francesi sono un popolo storico. Sapete, a Jackson abbiamo un bar con jazz e cocktails, che si chiama « Vecchia Francia ». Noi sappiamo rendere giustizia. ai meriti altrui. Dopo tutto mi piacete, ed è per questo che vi dirò francamente: Dovete istruirvi. Sono qui da appena due giorni e già mi sono reso conto di ciò che vi manca. Lo spirito di iniziativa. Quando io domando perché non c'è acqua, mi ven­gono a parlare dell'aiuto americano. È stupido e, immorale. Senza dubbio vi aiuteremo. Jim mi ha detto che l'affare era a buon punto. Ma ricevere i dollari non è tutto, bisogna anche sapersene servire. I dollari si danno agli uomini d'affari e non agli incapaci. Voi siete in ritardo di un secolo. In altri tempi gli europei hanno scoperto l'America, hanno costruito città, hanno costruito la mia Jackson. Noi siamo debitori all'Europa, e noi americani sappiamo pagare i nostri debiti; ora tocca a noi scoprire l'Eu­ropa e costruire qui qualcosa di buono, sul tipo di Jackson. Senza cimici. Senza metafisici. E senza comunisti.

  Il Redattore                - (che non cessa di prendere appuntì) Signor Law, voi avete pronunziato parole impre­gnate di. tanta saggezza che vorrei portarle a cono­scenza dei miei lettori. So che viaggiate in incognito. Vogliate perciò dirmi ciò che posso pubblicare sotto il vostro nome e ciò che deve apparire come mio.

Law                               - Potete far passare tutto come vostro. La pubblicità .è una gran cosa ma sappiate che per il .momento posso tranquillamente farne a meno. Per una ironia del destino; ciò che mi interessa attual­mente sono le vostre anticaglie. ,

Il Sindaco                     - Caro signor Law, perché le nostre anticaglie? Noi siamo molto arretrati, d'accordo, ma abbiamo -anche alcune novità; un dancing, due bar americani, e infine i nostri giovani. Vi presenterò lo scrittore René Vivien, è un giovanotto modello. Vi farò conoscere mia figlia, ha diciotto anni e non può soffrire nulla di vecchio. Non può soffrire neanche me... È spiacevole che siate sceso in questo albergo antidiluviano. Perché non ci avete preavvisati?

Law                               - E perché avrei dovuto preavvisarvi?

Il Sindaco                     - Capisco che voi mantèniate l'inco­gnito, volete conoscere il retroscena della nostra vita. Io stesso cerco il contatto del popolo. Ma ora non potete restare qui. Vi abbiamo fatto riservare un appartamento all'Hotel d'Inghilterra.

Law                               - Impossibile. Io non possiedo i vostri sporchi franchi: non ho che un libretto di assegni e delle prospettive.

Il Sindaco                     - Oh! Signor Law! Voi peccate per eccesso di discrezione. Siete nostro ospite. Non abbiatevene a male per questa accoglienza troppo modesta: siamo stati provati crudelmente dalla guerra... Il vostro arrivo è un tale onore per la nostra città... (Si alza) Nella mia qualità di sindaco voglio augurarvi il benvenuto dentro queste vecchie mura coperte di gloria. Negli archivi della città si conserva il testo di un messaggio indirizzato dai cittadini all'immor­tale La Fayette. La storia ha la sua moralità: La Fayette è venuto da voi in America e l'America ci manda James Law, ambasciatore di concordia e di prosperità. (Oli stringe la mano).

Law                               - Dopo tutto sono del vostro parere. Sono anche commosso... Discuteremo più tardi le questioni d'affari. Noi americani, sappiamo prendere e sap­piamo dare e voi mi sembrate proprio un buon uomo. Avreste potuto essere americano, sindaco di Jackson.

Il Sindaco                     - È spaventoso pensare che avete pas­sato la notte insonne in questo tugurio. Tuttavia egoisticamente parlando vi dirò che in qualità di sindaco sono contento che un osservatore americano abbia visto la nostra povertà.

Law                               - Da noi in America non si amano i poveri. Anche se non si hanno dollari bisogna dire che se ne hanno. Un dollaro porta l'altro. I dollari non amano i borsellini vuoti.

Il Sindaco                     - Non posso dirvi che una sola cosa per giustificarci: siamo stati rovinati dalla guerra. La nostra città non ha visto grandi battaglie, ma siamo stati bombardati diciotto volte, prima i te-teschi, poi gli alleati.

Law                               - E una spiegazione, ma non una giustifi­cazione. Bisogna condurre le campagne in terre lontane così la guerra è giustificata tanto dal punto di vista morale che da quello materiale. Noi ci siamo battuti in Normandia, ora ci battiamo in Cina, do­mani ci batteremo forse al Polo Nord. È l'ordine delle cose. Ma fare la guerra in casa propria è stupido e immorale.

Il Redattore                  - Ammirabilmente giusto. Se per­mettete, ne faccio cenno nel mio giornale.

Law                               - A proposito, questo parlarvi in continua­zione mi ha fatto seccare la gola. (Suona) Arrivando qui non avrei creduto che mi sarebbe toccato di ini­ziare l'educazione dei francesi; ma noi americani sap­piamo cambiare professione all'istante... (Si bussa alla porta. Entra Deleau) Brav'uomo portatemi del cognac. Ebbene! Perché restate lì pietrificato? Aspettate forse l'aiuto americano per portarci una bottiglia?

Deleau                           - Sono venuto per presentarvi i miei rispetti. Con mio gran dispiacere la mia distilleria non produce cognac. La nostra specialità è il curacao...

Il Sindaco                     - Permettetemi di presentarvi il signor Deleau, consigliere municipale, direttore della famosa distilleria « Deleau & figli ».

Law                               - Se è così, sedetevi. Amo tutti i direttori, in generale. (Entra il cameriere).

Il Sindaco                     - Portateci una bottiglia di curacao, naturalmente che sia « Deleau & figli »...

Law                               - Mi fa piacere che ci siano delle persone così serie nel vostro consiglio municipale: bisogna avere la mente riflessiva per fabbricare alcoolici. (Il cameriere porta una bottiglia e dei bicchierini. Deleau versa da bere).

Il Sindaco                     - Beviamo al degno rappresentante della grande e feconda America.

Law                               - (a Deleau) E voi perché non bevete?

Deleau                           - Il medico mi ha detto che le bevande alcooliche e financo il loro odore mi sono controin­dicati. Una volta bevevo molto e sempre senza annacquare. Ma ora ho l'epatite cronica... Lo devo ai signori comunisti.

Law                               - Il sindaco di Jackson beve whisky e obbliga gli altri a non bere che latte. Trovo che la vostra condotta è più disinteressata. (Beve) È la prima volta che mi capita di assaggiare un simile cocktail. Sapete che cos'è? Benzina all'acqua di colonia.

Deleau                           - - Per undici anni la nostra casa ha con­tribuito a mantenere alto il prestigio della civiltà francese. Non è colpa nostra, ora, se i signori comu­nisti ci impediscono di fare arrivare dalla Spagna le bucce di arancia di cui abbiamo bisogno. Signor Law, so voi riusciste a influire sui nostri ministri, potrei offrirvi del curacao tipo anteguerra.

Law                               - (riflette coi piedi posati sulla spalliera del letto) Bene, li influenzerò, se mi si presenterà l'occasione. (Bussano. Entra Richard).

Il Sindaco                     - (precipitandosi) Permettete di pre­sentarvi il signor Richard, consigliere municipale, presidente della camera di commercio e grande pro­prietario di immobili.

Law                               - Sedete. Ora capisco perché questo letto è così grande. Ci si potrebbe tenere una seduta del consiglio municipale. (A Richard) Va molto bene che voi siate proprietario. Chi possiede beni immobiliari va sempre avanti. Voi comprate, o fate costruire?

 Richard                        - A dire il vero, né l'uno, né l'altro. È la provvidenza che mi è venuta in aiuto.

Il Sindaco                     - Non vi meravigliate, signor Law, il nostro amico Richard è un fervente cattolico, pre­tende addirittura di credere in Dio.

Law                               - Molto bene, aiuta a fare dei dollari. Ma non capisco quale rapporto vi sia fra la Provvidenza e i vostri immobili. Da noi, a Jackson, la gente innalza delle case al Creatore, e ciò si comprende, ma non ho mai saputo che Dio costruisse case per gli uomini!

Richard                         - La Provvidenza è proprio tale, perché non si può prevederla. Prima della guerra ero un modesto lavoratore. Domandatelo in città a chi vo­lete. Tutti vi diranno che sono l'uomo più onesto del mondo. Poi vennero le giornate scure dell'occu­pazione. Non vivevo che nella speranza di uno sbarco degli alleati. I tedeschi non rispettavano nessuna legge... Hanno confiscato immobili ai mezzi-francesi di origine non ariana. Era mio dovere prendere quelle case, conservarle alla Francia ed ai miei bambini in tenera età. Sì, è piaciuto proprio alla Provvidenza in persona che io divenissi il primo proprietario della città.

Law                               - Sapete, io sottovaluto i francesi: penso che siate tutti dei metafisici, mentre fra di voi vi sono persone abili negli affari. Una Provvidenza così po­trebbe essere utile a Jackson. È molto bene che i seggi del consiglio municipale non siano occupati da banditi, ma dal fior fiore della città.

Il Sindaco                     - I banditi in seno al consiglio muni­cipale c'erano, dei veri banditi! Sapete come si chiama la piazza dove sorge l'edificio comunale? Piazza Sta­lingrado. Non è scandaloso? Sino ad ora non sono riu­scito ad abituarmi all'idea che abito in Piazza Sta­lingrado. Prima si chiamava Piazza Thiers, ma questi banditi di comunisti hanno dato un nome bolscevico alla piazza principale della città. Alle nuove elezioni, cinque partiti, senza contare quelli di secondo piano, si sono uniti. Abbiamo ottenuto il 55% dei voti. Così abbiamo decretato l'esclusione dei banditi dal con­siglio municipale. Vi dico che è stato un vero ro­manzo... (Bussano. Entra Bene Vivien, un giovanotto che tiene una enorme busta di pelle sottobraccio) Per­mettetemi di presentarvi una delle nostre celebrità, René Vivien, letterato. Il suo romanzo ha ottenuto il premio « Stella del Mezzogiorno ».

Law                               - (che non ha ascoltato il sindaco, allo scrittore) Un romanzo? Così, voi scrivete dei romanzi? E ciò rende? Avete una borsa più grande del portafoglio di un ministro, si vede subito che contiene una mezza dozzina di novità letterarie. Non è poi tanto male. Personalmente, non leggo mai, mi manca il tempo; ma ho una sorella a Jackson che divora letteralmente i romanzi. Qualche volta me ne racconta la trama. Ce ne sono di divertenti... (Bidè) Ma lasciamo stare queste conversazioni oziose! Quanti esemplari avete venduto, giovanotto?

Lo Scrittore                   - Ottocento.

Law                               - Ottocento non è molto. Veramente da voi tutto è in declino ora. Non importa, vi verremo in aiuto. Farò uso del mio credito. Da noi una donna scrittrice ha pubblicato un libro intitolato « Io e l'uovo »: ne ha venduto otto milioni di esemplari. Si tratta di due giovani sposi che si occupano di agri­coltura, si baciano e vendono uova. Un successo feno­menale. E qual è il titolo della vostra opera?

Lo Scrittore                   - « La coda del cane di Alcibiade ».

Law                               - È stupito e immorale. Non chiedo di meglio che aiutarvi, ma ciò nonostante siete dei degenerati. Una coda di cane non è un titolo, è una porcheria. E chi è questo... avete detto il nome poco fa...

Lo Scrittore                   - Alcibiade? È un greco dell'anti­chità. Desiderando impressionare vivamente i suoi contemporanei, fece tagliare la coda al suo cane che gli era costato sette mila dracme.

Law                               - Voi confondete. Si vede che vi piace questa benzina all'acqua di colonia. Alla Grecia non abbiamo dato delle dracme qualsiasi, ma milioni di dollari. E per quanto riguarda la pubblicità i vostri greci non ci capiscono nulla. Da noi a Jackson il rappre­sentante di una società di assicurazioni ha comprato una casa e le ha dato fuoco, dopo avervi rinchiuso un negro che aveva ingaggiato perché gridasse in mezzo alle fiamme: « Non sono assicurato! », poi ha pagato tre mila dollari alla vedova del negro. E il vostro libro, di che parla? Di cani?

Lo Scrittore                   - (risentito) Ho inteso descrivere il subcosciente di un sognatore che si sdoppia e nella sua torre di avorio si abbandona all'esercizio della sua volontà. Io metto in luce tutta la superiorità della psicanalisi sulla realtà illusoria del mondo.

Law                               - Mi meraviglio che abbiate venduto ottocento esemplari del vostro romanzo. L'avorio serve a fabbricare oggetti utili e non torri. Quando ci si trova in situazioni critiche non si deve perdere il proprio tempo per simili corbellerie. Bisogna fabbri­care bagni invece di scrivere certe cose a proposito della coda di un cane.

Il Sindaco                     - Il nostro amico è ancora molto gio­vane, non conosce la vita. Io gli dico spesso: avvicinatevi al popolo, alla folla, penetrate nel cuore stesso della realtà. Un vecchio socialista come me...

Law                               - Come? Siete socialista? Che diavolo? È peggio della coda del suo cane! Come volete che l'America vi venga in aiuto, quando il sindaco della vostra città non è lontano dall'essere comunista! È stupido ed immorale.

Deleau                           - (al sindaco) Vi rendete conto ora, caro | amico, che cosa significa tenere il piede in due staffe' La questione si pone chiaramente: con chi siete voi! (Con l'America o con i signori comunisti? Non ci sono « terze forze ». Il generale ha detto...

Il Sindaco                     - Aspettate, signor Deleau! Non bi­sogna compromettere il piano di aiuti americano per l questioni di partito. Desidero spiegare al nostro caro I ospite che noi siamo tutti per l'America. Senza dubbio 1 nel mondo vi sono anche socialisti indegni. Io stesso ho letto che in Polonia un socialista ha abbracciato j pubblicamente un comunista. Ma era in Oriente, in I un paese in cui regna la tirannia; noi invece abbiamo socialisti profondamente civilizzati. Io per primo ho proposto di escludere i comunisti dal consiglio muni­cipale. Domandate al signor Deleau chi ha impedito ai suoi operai di fare sciopero.

 

Law                               - Ma ciò nonostante siete socialista, dunque attentate alla proprietà privata?

Il Sindaco                     - Ma ragionate, signor Law! Guardate me, ho l'aria di un brigante, io? Sono possessore del negozio: «Alle dame del sud», confezioni, biancheria, mercerie. Come potrei voler nuocere a me stesso?

Law                               - Ma se siete un uomo onesto, come si spiega che siete socialista?

Il Sindaco                     - Abbiamo bisogno di due partiti, l'avete detto voi stesso. Il signor Deleau e il signor Richard sono per l'America e per il generale. E noi, vecchi socialisti, siamo per l'America e basta. Per la vostra fiaccola della libertà. Per la vostra, democrazia, Per i vostri dollari. Senza dubbio il generale parla bene. Ma che bisogno abbiamo noi del generale se possiamo fare da soli tutto ciò che egli preconizza? Noi abbiamo le nostre reliquie del passato, le nostre tradizioni. Il nostro popolo è assuefatto alla parola « socialismo ». Bisogna fare delle concessioni al popolo. In fondo qual è l'oggetto della nostra discussione? Una semplice questione di nome.

Law                               - I nomi sono un particolare. Noi non vo­gliamo intervenire negli affari altrui. Quanto alle « reliquie del passato », ne riparleremo. Voi avete qui un leone che ha piuttosto l'aspetto di un cane bar­bone; a dire il vero, è un orrore... Del resto, riman­diamo le conversazioni d'affari a un'altra volta. Avete ragione, i nomi importano poco. Se il giovanotto che è qui, ad esempio, avesse scritto un romanzo su una coppia di sposi che fa commercio di uova, anche se avesse intitolato il libro « La coda del cane », avrebbe trovato otto milioni di acquirenti. Fatevi chiamare socialista, se vi fa piacere, dopotutto non siete un cattivo sindaco. Ne parlerò a Jackson. E dal momento che siete anche voi per le imprese private, possiam bere ancora un bicchierino.

Il Sindaco                     - Voglio proporvi un brindisi ecce­zionale. Noi sappiamo che l'America è corsa in massa in aiuto alla Francia; ecco che per un fortunato ca­priccio del destino è capitato fra di noi un illustre figlio della lontana Jackson. Io bevo alla mano soc­corritrice che la generosa Jackson tenderà domani alla nostra vecchia città. (Tutti bevono).

Law                               - Dove potrei trovare delle sigarette ameri­cane?

Lo Scrittore                   - (estrae dalla borsa una ventina di pacchetti di sigarette) Che marca preferite: Carnei, Chesterfleld, Lucky Strike, Morris?

Law                               - A quanto pare siete un fumatore accanito!

Lo Scrittore                   - No, non fumo mai. Ma capirete che la letteratura non rende. I premi letterari non sono che pezzi di carta. Invece del danaro vi rila­sciano un diploma litografato. Io scrivo soltanto di notte. Di giorno lavoro. Io domino nel mercato nero.

Law                               - Dove si trova il vostro mercato nero? In piazza?

Lo Scrittore                   - No, in questa borsa. Calze, siga­rette, cioccolato, penicillina. Per farla breve, tutti i doni della vostra patria opulenta. Compro dai mili­tari americani, a Marsiglia.

Law                               - Toh, non siete poi così stupido come sem­bravate. Vi dirò francamente che vai meglio vendere calze da donna anziché scrivere libri sulla coda di un cane di non so quale greco dell'antichità. Ogni traffico merita rispetto, il nostro presidente ha detto che il commercio è garanzia di progresso. (Entra il marchese di Champigny. È un bruno corpulento, di carnagione scura, che sembra Dumas padre).

Il Marchese                   - (con voce debole) Buon giorno, signore. Desideravo invitarvi a una partita di caccia nel mio castello, ma con mio grande rincrescimento la marchesa di Champigny è-sofferente... Gli eventi politici le hanno procurato un attacco di gotta ere­ditario. Casco dalla fatica per aver fatto tutto il tragitto a piedi: il mio cavallo zoppica e io non sop­porto né il treno né l'autocarro...

Il Sindaco                     - (al marchese) È stata proprio un'ispi­razione quella di venire qui, signor marchese. Vor­remmo far conoscere al nostro ospite le curiosità cittadine, ma soltanto voi potete dischiudere al signor Law le porte del gran mondo. (A Law) Io sono un vecchio socialista, ma mi inchino per il primo davanti alla schiatta gloriosa degli Champigny. Il signor mar­chese ci ha fatto un'insigne onore consentendo ad entrare nel consiglio municipale.

Law                               - (esamina attentamente il marchese) Qua, mostrate la vostra mano!

Il Marchese                   - È un anello di famiglia, mio nonno l'ha avuto in dono da Luigi Filippo...

Law                               - Il vostro anello non c'entra affatto. Sono le vostre unghie che m'interessano.

Il Marchese                   - Mi faccio curare le unghie dalla migliore manicure della città.

Law                               - La vostra manicure non ha nulla a che vedere. Non vi servirà gran che farvi curare le unghie.

Il Marchese                   - Scusate, non capisco di che cosa parlate.

Law                               - Di questo: dove abitava vostra nonna? alle Antille?

Il Marchese                   - No, nelle nostre tenute patri­moniali.

Law                               - Tanto peggio per vostro nonno.

Il Marchese                   - Non vi capisco... Sembrate dubi­tare della mia identità? Sono il marchese di Cham­pigny...

Il Sindaco e i presenti   - È il marchese di Champigny...

Law                               - Da noi simili marchesi puliscono le scarpe. (Al marchese) Andiamo, uscite di qui! (Lo spinge fuori) Non tollero la presenza di uomini di colore.

Il Sindaco                     - Vi sbagliate, signor Law. Noi tutti conosciamo il marchese da molto tempo...

Law                               - Su questo punto non mi sbaglio mai. Ho una vasta esperienza. La. sfumatura delle unghie, è tutto lì. Lui ha le unghie violacee di mulatto. A Jackson avevamo un avvocato rosso, pallido, coperto di macchie rossastre. Per dieci anni ha esercitato la professione, si è sposato con una bianca. Nessuno sospettava nulla... Ma a me è bastato guardarlo per notare le sue unghie... Sapete chi era? Un mulatto al cento per cento. L'hanno impiccato a un albero perché quel miserabile, aveva avuto l'impudenza di sposare una bianca. (Entra il segretario del sindaco, Gastone, smunto, biondiccio e pallido. Tutto il suo modo di fare esprime profonda deferenza verso i supe­riori).

Gastone                         - Signor sindaco, perdonate se vi di­sturbo. Una delegazione di operai municipali si è presentata in comune. Reclamano un aumento di salario. Minacciano di fare sciopero.

Il Sindaco                     - Avreste potuto aspettare a comuni­carmi una notizia così spiacevole. Per di più mi sto occupando di un affare di stato. Potete andare. (Gastone esce).

Law                               - Ecco, ora io sono portato a dubitare di tutti in questa città. Vi siete mai interessati delle unghie di quell'individuo? Può darsi che sia negro anche lui!

Deleau                           - Peggio, è un rosso. L'ho visto l'altro ieri mentre prendeva il gelato assieme a un comu­nista. (Al sindaco) Avete allentato le briglie al per­sonale del municipio. Avete fatto rilassare la disci­plina in tutta la città. Se lo sciopero comincia da voi, sarà come una macchia d'olio e la mia distilleria non tarderà a sfasciarsi. Sarà la catastrofe. Sapete bene che Marilù è in città e perciò i comunisti pos­sono entrare in azione un giorno o l'altro.

Il Sindaco                     - Certamente la situazione è grave, ma non bisogna, drammatizzare.

Deleau                           - Voi avete sempre paura di chiamare gatto un gatto. È il terzo giorno che non c'è pane nelle panetterie. Sarei curioso di sapere che cosa direte ai vostri operai.

Il Sindaco                     - Parlerò loro delle generose inten­zioni del signor Law. Sì, se il nostro caro ospite con­sente a venirci in aiuto, salveremo la città da una spaventosa catastrofe. Io non parlo dell'aiuto presta­toci a mezzo dello Stato. È il nostro Govèrno che se ne occupa. Ma perché la bella Jackson non do­vrebbe offrire il suo appoggio alla nostra città? Noi vi abbiamo dato La Payette. Non compreremo che prodotti americani. Sapremo sdebitarci verso di voi... Non dite una parola, signor Law.

Law                               - Tratteremo gli affari un'altra volta, ve l'ho già detto. Siete troppo chiacchierone, questo è fare metafisica. Noialtri americani trattiamo affari a tu per tu e senza discorsi superflui. D'accordo?

Il Sindaco                     - Avete ragione come sempre. Pini-remo questa conversazione a casa mia dopo colazione. Voi dovete aver fame, e mia moglie ci aspetta a cola­zione. Mia figlia brucia d'impazienza...

Deleau                           - Mia moglie mi ha pregato di riferirvi che sarebbe molto lieta se accettaste il suo invito.

Kichakd                        - Mio Dio, quanti concorrenti! Tuttavia non perdo la speranza che il signor Law si degnerà di visitare la mia umile capanna...

Il Sindaco                     - Che modo di fare disonesto! Sono io che vi ho informati dell'arrivo del signor Law e voi volete mandare a monte tutto. È in gioco la salvezza della città. Sono o non sono il sindaco?

Deleau                           - Signor Law, io penso che fareste meglio ad intendervi con me. Senza dubbio, non sono il sindaco, sono semplicemente il suo sostituto... Ma siamo noi che abbiamo la maggioranza nel consiglio municipale. Signor Richard, confermate quanto ho detto?

Eichakd                         - Sì, lo confermo. Grazie a Dio e alla Provvidenza, abbiamo la maggioranza assoluta.

Deleau                           - Noi siamo il partito dell'ordine. Mentre il sindaco è socialista. Sapete bene anche voi che non ci si può fidare dei socialisti. Neìl'ascoltare le vostre risposte al nostro amico, sono rimasto estasiato del modo con cui l'avete messo spalle al muro. L'ab-Marno eletto sindaco per rispetto ai suoi capelli bianchi, ma possiamo revocarlo domani se vogliamo. Scava, scava, in ogni socialista siete sicuro di sco- J prire qualcosa di comunista...

Il Sindaco                     - Io ho qualcosa di comunista? Per­bacco, è troppo! Voi trascendete! Al signor Law poco-importa la fazione cui io appartengo, per lui sono il sindaco della città. E voi chi siete? Il mio sostituto, null'altro.

Richard                         - Mi prenderò la libertà di proporre un compromesso al signor Law. Non deve recarsi né a j casa del sindaco, né a quella dell'aggiunto. Sono i j due estremi. Quale presidente della Camera di Com­mercio posso mettere la mia modesta persona a vostra disposizione. La Provvidenza vi condurrà da me, caro signor Law...

Il Sindaco                     - Non li ascoltate! Sapete chi è il signor Richard? Prima della guerra non possedeva che una botteguccia da nulla. Non è un uomo serio.

Deleau                           - Sono curioso di sapere che cosa direte di me, l'uomo più serio della città. La mia ditta ha centoundici anni di esistenza. Io qui rappresento il generale in persona...

Il Sindaco                     - Ebbene spiegherò al signor Law perché voi non siete sindaco ma soltanto sostituto del sindaco: il fatto è che eravate sindaco sotto Petain.

Deleau                           - Al tempo in cui voi facevate inchini a Von Schauberger... (Confusione generale. Il sindaco indossa la sciarpa tricolore che ha estratto dalla tasca).

Il Sindaco                     - In nome della repubblica, io invito il rappresentante della città di Jackson a colazione da me.

Law                               - Bene, accetto. Signor Deleau, verrò a casa vostra un'altra volta. Ed anche nella vostra, « ca­panna », signor... Ho dimenticato il nome... Sì, in­somma, signor « Provvidenza ». State tranquillo per quanto riguarda le bucce d'arancia. Sfrutterò le mie aderenze. Noialtri americani, siamo al di sopra di ogni considerazione di partito. Ma per il momento ho da fare. Come rappresentante della città di Jackson devo avere un abboccamento con il primo magistrato di questa città. Sono sicuro che troveremo un accordo. (Prendendo il sindaco a braccetto) Noi americani sap­piamo prendere e sappiamo dare.

Il Eedattoee                  - Signor Law, posso far sapere ai lettori del mio giornale che la nostra città è in diritto di sperare l'aiuto di Jackson?

Law                               - Fate pure, ed in quanto ai particolari, li concorderemo assieme con il sindaco.

Il Sindaco                     - Ecco, un momento veramente storico! Potete anche comunicare ai lettori del vostro giornale che la frazione socialista del consiglio muni­cipale propone di assegnare alla piazza Stalingrado il nome di James Law. (Tutti applaudono).

Law                               - Non si tratta della piazza. Si tratta del leone. .

SECONDO QUADRO

Una sala a casa del sindaco. Una porta-finestra. Le persiane sono chiuse. La camera è ingombra di mobili, vasetti e statuette. Alle pareti fotografie incorniciate. (James Law, con i piedi poggiati su un piccolo tavo­lino, prende il caffè chiacchierando col sindaco).

Law                               - Questa poltrona di che secolo è?

Il Sindaco                     - Volete scherzare, signor Law! Senza dubbio, da noi in Francia vi sono sopravvivenze del passato, ma per conto mio sono un innovatore; detto fra noi, io adoro tutto ciò che è nuovo. Malgrado sia un vecchio socialista, io amo l'audacia, lo slancio, i grattacieli, il generale De Gaulle... Per quanto ri­guarda la poltrona, poi, è mia moglie che l'ha com­prata, prima della guerra: è quasi di moda.

Law                               - (si alza, prende una statuetta) Questa, non sarebbe per caso un'antichità greca?

Il Sindaco                     - Figuratevi, è un articolo del mio negozio: ne ho vendute una novantina di quelle signo­rine. Questa ad esempio è assai piccante. Nella nostra città c'è una ragazzina che le somiglia. (Sottovoce) Bouboule, un vero demonio...

Law                               - È stupido e immorale. Perché non avete quadri vecchi," un Raffaello, ad esempio?

Il Sindaco                     - Vi assicuro, signor Law, che mi sforzo di non essere in ritardo coi tempi. Sono i ritratti dei grandi uomini di oggi che decorano le pareti della mia sala.

Law                               - (indicando una delle fotografie) È un vostro nipote?

Il Sindaco                     - No, i ritratti di famiglia sono nella stanza da letto, qui non tengo che le alte personalità politiche. (Stacca una dette foto sotto la quale appare un altro ritratto) Questo è Paul Reynaud.

Law                               - E sotto quello ce n'è un altro?...

Il Sindaco                     - (toglie il secondo ritratto, che ne copriva un terzo) In tal guisa li abbiamo a portata di mano, è pratico. Reynaud ha già avuto il suo turno. Prima di lui c'è stato Chautemps, poi Lavai, dopo Petain; ora nuovamente Reynaud. Probabilmente fra poco bisognerà appendere Chautemps. Quanto a Lavai lo si può mettere da parte, dal momento che l'hanno giustiziato. Per Petain è un'altra cosa; lui ha ancora dei numeri per diventare primo ministro. Non so chi mettere sopra lo specchio, al posto d'onore. Il pre­sidente o il generale?

Law                               - Mettete il presidente, ma quello vero, quello degli Stati Uniti.

Il Sindaco                     - Vorrei chiedervi il vostro ritratto per appenderlo nel palazzo del comune. Questa sera vi sarà una cerimonia solenne: vogliamo consegnarvi la pergamena che vi conferisce il titolo di cittadino onorario della nostra città. (Law va ad aprire le per­siane. Si vede una piazza; al centro si erge un monu­mento; un vecchio leone araldico che sostiene uno scudo).

Law                               - Ditemi, piuttosto a che cosa serve li quel cane barbone? Non capite? Ebbene, quel leone, se voi lo chiamate leone...

Il Sindaco                     - Vorremmo farne dono a un museo ed erigere al suo posto un vero monumento. Uno scultore di Grenoble ha presentato il progetto di una statua: la repubblica, raffigurata da una giovane donna col seno seducente, regge una torcia accesa.

Law                               - Che cosa è scritto sullo scudo?

Il Sindaco                     - « Non licet »: non si conviene. Il nemico assediava la città. Infierivano la fame e la peste. Gli assedianti proposero la capitolazione, ma i cittadini radunatisi su questa piazza risposero: « Non licet ».

Law                               - È stupido e immorale. Quando ci si trova in situazioni critiche non si devono fare smorfie: « Si conviene; non si conviene ». Ma siete almeno sicuro che quel cane barbone è del XV Secolo? Non può darsi che venga anche quello dal vostro negozio?

Il Sindaco                     - Come potete pensare, signor Law! È la gemma della nostra città. Uno specialista venuto da Parigi ha parlato del nostro leone nella «Rivista dei due mondi ». Se volete, vi faccio conoscere il nostro archivista.

Law                               - Non ho tempo da perdere in conversazioni oziose. Se avessi uno scudo, come quel leone, vi farei incidere: «Time is money »: il tempo è danaro. Sono già le tre e mezzo e ancora non abbiamo concretato nulla...

Il Sindaco                     - Abbiamo pur fatto colazione... Mia moglie e mia figlia erano così felici della vostra com­pagnia. Ora possiamo parlare. Un tempo la Francia vi ha mandato La Fayette. A Verdun ci siamo battuti per gli ideali della democrazia. E ancora non molto tempo fa, davanti a questa città, i nostri intrepidi partigiani...

Law                               - Dite un po', per chi mi avete preso? Io non sono uno scrittore. Non mi interessano né le code dei cani, né La Fayette. Cento tonnellate di grano vi bastano? Dodici tonnellate di zucchero? Duecento mila scatolette di carne? Vi va? Beh! Perché tacete?

Il Sindaco                     - Non so che rispondere... La vostra generosità mi sconvolge. Voi ci colmate...

Law                               - Io non c'entro affatto. Ringraziate i cit­tadini di Jackson.

Il Sindaco                     - Penso che bisognerà ribattezzare la via Emilio Zola per chiamarla via Jackson. È la più grande arteria della città. Lì si trova il mio negozio «Alle dame del sud». Essa porta direttamente alla piazza James Law.

Law                               - Tenetevi le vostre strade: non ne avete poi tante; e vi toccherà ribattezzarne ancora parec­chie. Credete che interessi ai, cittadini di Jackson sapere come si chiama la strada in cui voi fate com­mercio di mercerie? Noi americani non siamo vanitosi, preferiamo gli anonimi. A Jackson abbiamo financo avuto la «settimana delle sorprese»: ei si regalava, l'un l'altro, rasoi elettrici, caffettiere, cravatte e non si riusciva mai a indovinare chi era il donatore.

Il Sindaco                     - Forse sarebbe meglio offrire alla municipalità di Jackson un calamaio artisticamente lavorato?

Law                               - Lasciate perdere! Jackson non è il vostro buco sperduto, è una città di autentica cultura. Da noi la gente non scrive mai e per firmare gli assegni si serve della stilografica.

Il Sindaco                     - Possiamo cercare un bel vaso d'ar­gento.

Law                               - Argenteria? Per farne che? L'America non è una vecchia zia di cui ricorra l'onomastico.

Il Sindaco                     - E allora che cosa potremmo man­dare? Datemi un'idea.

Law                               - Noi americani ricordiamo che i nostri antenati in altri tempi vegetavano in Europa. Ogni americano custodisce in fondo al cuore un sentimento di tenerezza per la vostra anticaglia europea. Man­date loro quel leone. Prenderete due piccioni con una fava: vi sbarazzerete del monumento poco estetico e riuscirete a intenerire i cittadini di Jackson.

Il Sindaco                     - Ma io non so se posso... Si tratta di un monumento storico...

Law                               - Che importa? I leoni non aumentano di valore invecchiando; non sono mica cognac-Napoléon. Dopo tutto non mi preoccupo molto di quel barbone. Ma ora mi accorgo che parlo con voi inutilmente. Voi siete un vecchio socialista e vi ho capito. Quel signore dei liquori mi ha fatto un'impressione molto più seria...

Il Sindaco                     - Oh? Signor Law! Deleau non è che il mio sostituto, non può decidere nulla da solo. Il sindaco sono io e su di me incombe tutta la respon­sabilità. Avete detto cento tonnellate di grano?

Law                               - Sì, e dodici tonnellate di zucchero, duecento mila scatolette di carne, non una più né una meno. Potete fare imballare quel cane barbone, parto questa notte e lo porterò con me. Lo faccio soltanto per voi.

Il Sindaco                     - (stringendo la mano a Law) Grazie, caro amico! Voi non immaginate neppure come sia difficile fare il sindaco! Soprattutto in un'epoca così terribile... Corre voce che lo sciopero cominci oggi; sembra che Marilù si trovi in città. Io cercherò subito di calmare gli animi. Cento tonnellate di grano sono un argomento solido. Il guaio è che non credono più a nessuno. Siamo sull'orlo del precipizio. Gira la testa...

Law                               - A causa dello champagne. (Sbadiglia) Quanto tempo manca ancora alla vostra maledetta cerimonia?

Il Sindaco                     - Avete ancora tre ore di tempo. Potete riposarvi un poco. (Socchiude le persiane e Law si addormenta con i piedi poggiati sulla tavola. Il sindaco esce in punta di piedi. Entrano la moglie del sindaco, una rispettabile dama vestita con àbito da seta nero, e Margot, sua figlia, bel visino, allegra. Vedendo Law addormentato scoppia a ridere. La madre cerca di calmarla).

La Moglie del sindaco  - (sottovoce) Sssst! A quanto pare si è appisolato. Tutto dipende da te; può fare la tua felicità. Mi ha detto che non è spo­sato. Un americano celibe, questa sì che è una com­binazione! Un'occasione simile non capita una seconda volta. Sposare un abitante di Jackson, capisci che cosa significa?

Margot                          - Non son più una bambina, puoi fare a meno di spiegarmi che cosa significa sposarsi. Ho capito.

La Moglie del sindaco - Sciocca, come se io ti parlassi del marito. Tutti i mariti si assomigliano. Non ti parlo di ciò. Ma tu capisci che significa l'Ame­rica! Le luci di Broadway, il burro senza tagliandi, un mantello di lontra, gli abiti a metà gamba... Si vede subito che è un uomo che ha una bella posizione, guarda come posa i piedi...

Margot                          - Sì, la vacca ha i piedi buoni.

La Moglie del sindaco - Che cosa stai dicendo? Quale vacca?

Margot                          - (indicando Law) Ma sì, la vacca..., la vacca, la vacca...

La Moglie del sindaco - Taci. Parlare così davanti a tua madre. Non vedi dunque che il nostro ospite...

Margot                          - Ho capito, vedo che il povero piccino ha messo i piedi nel piatto.

La Moglie del sindaco - Stai sragionando, Perché « povero piccino »?

Margot                          - Ma è semplice: il poverino è stato av­vezzato così malamente che quando si siede a tavola  non sa dove mettere i piedi.

La Moglie del sindaco - Dici delle cose strampalate. Taci ed ascolta: io devo andare a vestirmi e papà si sta preparando per la cerimonia di questa sera. Tu resta qui, quando si sveglierà, gli terrai compagnia, lo farai chiacchierare. Ricorda che oggi si decide il tuo destino. Cerca di distrarlo e di non fare la stupida: in certi casi la virtù non serve a nulla, sono i dollari che ci vogliono... (Esce. Entra lo scrittore).

Lo Scrittore                   - (a Margot, sottovoce) Dorme?

Margot                          - Potete parlare più forte, si è ubriacato ed ora sta russando. Che c'è di nuovo in città?

Lo Scrittore                   - Niente di speciale. Sfilano per le I strade, gridano. Io cerco di non sentirli. Da quando Sartre ha stabilito che le vie della libertà divergono da quelle del popolo, fuggo ogni manifestazione della vita sociale. Ieri mi sono trovato per caso in mezzo a un parapiglia, la polizia ha disperso gli operai, volavano pugni e ci sono andato di mezzo anch'io. Ma non vi ho fatto caso, non ho neppur domandato E perché si agitassero. Ho fermamente stabilito di fuggire l'attualità. Margot, questa notte ho scritto delle pagine bellissime... Sto descrivendo lo strazio di un'anima che...

Margot                          - A proposito, le calze che mi avete ven­dute sono già rotte. È il terzo paio che si smaglia appena infilate.

Lo Scrittore                   - Vi prego di dimenticare le calze quando è lo scrittore che vi parla. Io ho due volti f come Giano. So da me che le calze sono di cattiva i qualità; i miei americani sono furbi matricolati. Ah, Margot! Avete le gambe della ninfa di Mallarmé. E Sapete, non posso vivere senza di voi! (La bacia. Lei senza scomporsi gli affibia uno schiaffo) Perché vi ostinate? Meglio peccare con me che con questo primitivo. Io ho le calze americane e la complessità francese. Posso educarvi: esteticamente ed erotica­mente. Farò di voi un'esperta surrealista. Ve lo dico come il più raffinato dei freudiani del nostro tempo: Margot, voi non potete vivere senza di me. (La bacia. Lei lo schiaffeggia nuovamente).

Margot                          - Questa è per la seconda faccia di Giano!

Law                               - (svegliandosi) È già cominciato?

Margot                          - Che cosa?

Law                               - Mi è sembrato che avessero sparato.

Lo Scrittore                   - Nei sogni vi è sempre un fondo di realtà. Avete sognato la guerra? Vuol dire che oggi sarete baciato da una bella donna.

Law                               - Nulla in contrario. Datemi ancora cinque pacchetti di sigarette per il viaggio. (Prende le siga­rette) Che cosa avete d'altro lì dentro? Calze? peni­cillina? cioccolato? E come va la coda del cane? Non capite? Come stanno i vostri greci?

Lo Scrittore                   - È a voi che bisogna domandarlo. Devo andare a sbarbarmi prima della cerimonia. (Esce).

Law                               - Ebbene?

Maegot                          - Ebbene, cosa?

Law                               - Quel poeta mi ha detto che oggi mi bacerà una bella donna. È chiaro che non si tratta di vostra madre. Sto aspettando. Potete prendere l'iniziativa. Ebbene? Che avete, vi vergognate? Vi capisco: da una parte il rappresentante particolare di Jackson, dall'altra una piccola provinciale francese. Ma noi americani siamo semplici, non amiamo le cerimonie. Coraggio... Acconsento fìnanco ad aiutarvi... (Vuole abbracciarla, lei scappa da un lato).

Margot                          - Ho appena dato due schiaffi, e mi duole il braccio. E poi voi siete un americano, « rappresen­tante particolare » di Jackson, ed un semplice schiaffo non basterebbe, ma io non so far la boxe. Sedetevi su questa poltrona. Supponiamo che fra me e voi ci sia l'Atlantico. Mamma mi ha pregato di tenervi compagnia sino a questa sera, non so che cosa possa interessare un cittadino di Jackson. Io non ho bol­lettini di borsa, né whisky e neppure chewing-gum. Dite un po', non la smettete mai di ruminare?

Law                               - Non fate proprio cerimonie! Quasi quasi mi piacete voi in generale... Che ne direste se chiedessi subito la vostra mano?

Margot                          - Vi direi di ritirare i vostri piedi. Avete dei piedi straordinariamente disgustosi.

Law                               - Sapete che cosa siete? La figlia di un pic­colo merciaio in un paese rovinato; dovreste andare in visibilio al solo pensiero di vivere a Jackson. Qui andate voi stessa a far la spesa, vi lavate le vostre camicie, mentre da noi avreste una casa vostra, un aspirapolvere, una macchina per il bucato.

Margot                          - Tirate indietro quei piedi, povero piccino.

Law                               - Non chiamatemi « povero ». Non sono da compiangere, ho delle prospettive brillanti. Immagino che dirà Jim quando vedrà il barbone. Ma lasciamo perdere questi discorsi oziosi: il tempo è moneta. Accettate la mia proposta?

Margot                          - Come siete ridicolo; ho sempre pensato che tipi come voi si vedessero soltanto sullo schermo.

Law                               - Vi pentirete un giorno di non aver voluto diventare la signora Law.

Margot                          - Per questo state tranquillo! Ora mi viene da ridere, ma fra dieci minuti non potrò sop­portarvi. Dite un po': ce ne sono molti, di tipi come voi in America?

Law                               - Quali tipi?

Margot                          - Ma sì, tipi come voi... Dei poverini, insomma...

Law                               - State esagerando! Ogni americano povero è più ricco dei vostri accattoni. Da noi a Jackson...

Margot                          - Dite un po', la smettete di ruminare?

Law                               - Impertinente! ti porterò davanti alla com­missione delle attività antiamericane!

Margot                          - Stupido! (Entra la moglie del sindaco).

La Moglie del sindaco - Questi giovani stanno tubando? Oh! giovinezza, alba dell'amore, stagione della felicità... Credo che la mia entrata sia stata intempestiva, ho disturbato i piccioncini. Chiacchie­rate, chiacchierate, non voglio mettervi soggezione. (Esce).

Margot                          - Mi congratulo per il vostro nuovo titolo di piccioncino arruffato! E dire che è un ruminante. (Entra lo scrittore).

Law                               - (allo scrittore) Non e'è niente da dire: la civiltà, Balzac, La Fayette, Eolies-Bergères!... E la figlia del sindaco si comporta come la cameriera di una bettola.

Lo Scrittore                   - Sono tutti così. Piccoli borghesi, qui non c'è posto né per un poeta né per un com­merciante. Signor Law...

Law                               - Mi avete già venduto le sigarette, e di calze non ne ho più bisogno. Volevo farne un pre­sente a questa signorina, ma ora, può fischiare.

Lo Scrittore                   - Non è il commerciante che vi parla...

Law                               - È dunque il poeta? Lasciate stare, ho già mal di testa.

Lo Scrittore                   - Né l'uno né l'altro, è l'uomo che si rivolge a voi. Vi supplico, portatemi con voi in America. Anzitutto la plebe qui viola il mio santuario. In secondo luogo, ne ho abbastanza di questa esi­stenza miserabile. In terzo luogo, ho paura che da un momento all'altro cominci la strage. Mi hanno detto che voi portate via il leone, lo stanno imbal­lando. Forse che io sono peggiore? Io sono un poeta; sono anch'io una reliquia del passato. Se è necessario scriverò anch'io col gusto del XV Secolo. Sono di­sposto assolutamente a tutto. Ve ne supplico. Met­tetemi in una cassa, non ho bisogno né di visto né di passaporto. Scriverò annunci pubblicitari, sarò il vostro scudiero, il vostro servo, il vostro negretto...

Margot                          - (aprendo le persiane) Come?... Non c'è più il leone?... È vero che lo portate via?

Law                               - Sì.

Margot                          - È infame! Non ne avete diritto... Che bisogno ne avete? Non ha nulla a che fare in America. Sentite, lasciateci il leone. Ve ne prego. Prendetevi lui piuttosto. (Indica lo scrittore) Un momento fa voleva dimostrarmi che noi non avremmo potuto vivere l'uno senza, l'altra. Ma se sapeste come mi sta sullo stomaco! Quasi quanto voi... lui vende calze di cattiva qualità, scrive libri osceni, e per giunta non mi lascia stare in pace. Portatevelo via, vedrete che un tipo così farà strada da voi. Finirà per diventare rappresentante particolare della grande Jackson. È vero che non mastica chewing-gum e non mette i piedi sul tavolo, ma vi dò la mia parola che imparerà a farlo. Anche lui è un pover'uomo, soltanto che non ha mai vissuto in America e non si è ancora messo in vista. Mettetelo in una cassa...

Lo Scrittore                   - Mettermi in una cassa!

Law                               - È impossibile. Le quote di immigrazione sono limitate. Abbiamo un ristretto contingente di bavaresi, di francesi, di portoghesi. L'America non è un albergo come la vostra Francia; è un paradiso, e l'ingresso in paradiso non è permesso a tutti. Anda­tevene dai vostri greci. (Lo scrittore esce. Giunto alla porta esclama: Bella roba Io e l'uovo! (Entra il con­sole del Cile).

Il Console                     - (a Margot) Se non mi sbaglio questo signore è l'osservatore americano.

Margot                          - Proprio lui in persona. Rappresentante particolare ecc. ecc. (Esce di corsa).

Il Console                     - Permettetemi di presentarvi i miei rispetti. Il console onorario del Cile.

Law                               - Del Cile?

Il Console                     - Sì, del Cile. Siamo vostri alleati noi. Ho sentito dire che eravate qui per affari. In questo caso potrei esservi utile. Possiamo lavorare di comune accordo, per così dire. A metà.

Law                               - Ditemi piuttosto come siete venuto a finire in questo buco. Ci sono forse dei cileni qui?

Il Console                     - No! ma il clima è meraviglioso...

Law                               - Capisco, siete un console fittizio con un vero passaporto diplomatico.

Il Console                     - Oli no! Sono un vero console ono­rario e in generale non mi piacciono i rappresentanti fittizi.

Law                               - Non avete l'orecchio musicale, signor con­sole onorario. Non avete preso il tono giusto.

Il Console                     - - Non ho mai avuto orecchio. Non mi piace molto la musica. Preferisco la commedia. Andate a teatro qualche volta, signor Law?

Law                               - Soltanto nei periodi di crisi economica: non ho tempo per simili sciocchezze.

Il Console                     - Peccato! Qualche volta si vedono commedie divertenti. Ho visto recitare a Parigi il « Medico per forza » di Molière. Un ciarlatano si fa passare per un bravo medico. È divertente non vi pare?

Law                               - No.

Il Console                     - Ho visto anche una commedia di autore russo. Si può dire che il soggetto sia eterno: un industriale vi si fa passare per un ispettore dello zar. Che ve ne mare di simili situazioni, signor Law?

Law                               - Quello che mi dispiace sopratutto è che un console del Cile assista a spettacoli bolscevichi. Ne parlerò a Washington. E se vi piacciono tanto le commedie ne conosco una veramente sensazionale... l'ultima novità della stagione... Un falsario si spaccia per diplomatico. Perché non ridete, signor console onorario?

Il Console                     - Scusate, non capisco.

Law                               - Domandate a Bouboule, lei vi spiegherà tutto. Fate un brutto lavoro, signor console onorario. Vi piace il clima del paese, ma dovrete cambiarlo ben presto. (Il console esce. Entra il sindaco in frac, porta a tracolla la sciarpa tricolore).

Il Sindaco                     - Eccomi in grande uniforme. Il leone è pronto e in Comune non manca nulla. Una serata storica! Come avete riposato, sarò signor Law?

Law                               - Pessimamente. Da voi tutto è esecrabile: i socialisti, le cimici, vostra figlia, i consoli, lo cham­pagne, i fannulloni. Nessuno ha il diritto di sospet­tare di me...:

Il Sindaco                     - Chi potrebbe sospettare?

Law                               - - Silenzio. Ho detto stamattina che bisognava scoprire l'Europa. Ora penso che forse sarebbe meglio ricoprirla. Per sempre.

Il Sindaco                     - Sapete perché siete così? È il pasticcio di fegato grasso. Anch'io sono sempre così, dopo averne mangiato: digestione difficile, e pensieri neri... I Potete ancora riposare un po' prima della cerimonia (Entra il redattore eccitatissimo. Il sindaco al redattore) Che succede?

Il Eedattore                   - È terribile! Volevo tranquillizarvi, ebbene, sì!... Me la sono cavata appena appena... A dire il vero, non so neppure come ho fatto a scappare.

Il Sindaco                     - (sottovoce al redattore) Possibile che la signora Piquet sappia tutto? Le hanno parlato di Bouboule?

Il Redattore                  - Siete diventato matto? Come potete pensare a queste sciocchezze in simile momento? Vi dico che è mancato poco non mi ucci­dessero. Volevano saccheggiare gli uffici del giornale, A Gelinot hanno pestato l'altro occhio. Per fortuna la polizia è intervenuta a tempo... Perché avete deciso di ribattezzare quella piazza? Che scoperta! Erano già furiosi senza di ciò, quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sapete dove si trovano ora? Nella via Emilio Zola!

Il Sindaco                     - Vicino al «Dame del sud»?

Il Eed attore                  - No, all'angolo della strada grande, la polizia non li fa andare oltre. Voi non pensate che al vostro negozio. Quando vi dico che è la fine di tutti noi. Ho ancora negli orecchi i loro ruggiti. Gridano: dateci pane; dateci pane. Al diavolo l'osservatore! i Stalingrado! Adesso dovete riparare voi. È tutta colpa della vostra idea assurda... Trovo stupido farsi uccidere per una simile sciocchezza, per il nome di una piazza. Corre voce che lo sciopero generale cominci fra un'ora...

Law                               - Niente scioperi! C'è la legge di Taft. Dimenticate, credo, che devo partire oggi. Fate venire i soldati. Dove sono i pompieri con gli idranti? Vi chiedo dove sono i gas? Non avete preparato nulla. Questo non è uno Stato, è una babilonia. Vi manderò da Jackson dei gas che faranno dimenticare il comunismo a tutti i comunisti. Non è il momento di aver paura, signor scribacchino. Avete saputo scrivere, ebbene, sappiate ora rendere conto dei vostri scritti! (Al sindaco) Quando parte il treno?

Il Sindaco                     - All'una e quaranta. Potete riposarvi ancora un po' prima della cerimonia.

Law                               - Forse è meglio rinunciare a quella cerimonia.

Il Sindaco                     - Troppo tardi. Tutti sono avvisati ormai. È arrivato un giornalista espressamente da Marsiglia. Mandare a monte la cerimonia significherebbe capitolare davanti a quei banditi. Ora un vecchio socialista come me è sempre pronto ad accettar battaglia. (Entra la moglie del sindaco).

La Moglie del sindaco - Parli di battaglie! I Allora hanno già cominciato?

Il Sindaco                     - Cominciato che cosa?

La Moglie del sindaco - Che ne so.io?... Quella cosa, quella macchina?... Insomma, quell'atomo...

Il Sindaco                     - Non sai quel che dici, mia cara. (A Law) Signor Law, non vi formalizzate, le donne non capiscono nulla di politica.

Il Redattore                  - (alla finestra) Credo di avere le traveggole. Dov'è il leone?

Il Sindaco                     - In una cassa.

Il Redattore                  - Che cassa?

Il Sindaco                     - In una cassa comune. Ma ho rac­comandato che lo imballino con cura. Mi è mancato il tempo di avvisarvi. Il consiglio municipale ha deciso di offrire il leone alla città di Jackson come pegno di riconoscenza. Cento tonnellate di grano non sono poca cosa! E le scatolette di carne! Ho consultato Deleau per telefono, ha appoggiato la mia proposta. (4 Law) A proposito, domanda se non avete dimenti­cato le bucce d'arancia.

Il Redattore                  - Altro che bucce! Furiosi come sono, se vedono che è stato tolto il leone... Sapete che per loro è una reliquia... Non rispondo del risul­tato. Indubbiamente abbiamo agenti di polizia in numero sufficiente.., Ma se Marilù è qui...

Il Sindaco                     - Perché cercate di ingannarmi? Sta­mani mi avete confessato che i tedeschi avevano fuci­lato Marilù e che avevate inventato tutta quella storia per esercitare pressione sull'America. Ma il signor Law ci dà cento tonnellate di grano senza alcuna pres­sione. Perché dunque volete farci paura? Quando mentivate: stamani o poc'anzi? Io non sono come il nostro amico Richard, io mi attengo ai principi della stagione, sono un seguace di Descartes. Non voglio cadere nel misticismo.

Il Redattore                  - Io non vi ho ingannato né sta­mane né ora. Marilù l'hanno effettivamente fucilata. 11 verbale tedesco esiste, ci sono testimoni. Sono stato io a pensare di scrivere che lei vive, Io confesso. Ma il più terribile è che lei è realmente in vita, a quanto pare. Tutti non fanno che parlarne. Ho sentito questi forsennati gridare sfilando lungo la via Emilio Zola: « Arriva Marilù ».

Law                               - Mi accorgo ora di quanto siete degenerati. Prima mi avete ispirato i vostri terrori. Ma ora vedo che avete paura perché siete dei vili. Si possono mai temere i morti? È una superstizione da donnicciole. Noialtri americani, siamo sempre coraggiosi. Non abbiamo indietreggiato davanti a Darlan. Non ab­biamo esitato davanti a Hiroshima. Né davanti a Bikini. Sappiamo rischiare il tutto per il tutto. Noi non abbiamo riconosciuto l'Albania. Abbiamo sma­scherato Charlie Chaplin, abbiamo dato l'assalto ai diplomatici sovietici per espellerli dal Cile. Abbiamo mostrato all'universo di che cosa siamo capaci. E voi non siete altro che dei neuropatici, dei marchesi, dei mulatti! Vi manderò da Jackson una tonnellata di valeriana. Smettetela di frignare! Noi americani non abbiamo ancora scoperto l'immortalità. Perciò non esistono Marilù. Esisto io, James Law, figlio della grande America. Esistete voi, i nostri debitori rico­noscenti fino alla tomba. E questo vecchio barbone nella cassa, anche lui esiste. Null'altro. Ed ora voi, signora del sindaco, datemi il braccio ed andiamo pure alla vostra stupida cerimonia.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La sala dei ricevimenti al palazzo del comune. Un lungo tavolo ricoperto da un tappeto color feccia di vino. Busto di Marianna, grandi ritratti di Giovanna d'Arco, del generale De Gaulle e del presidente Truman. Su un palco il leone in una cassa aperta. Consiglieri muni­cipali con le loro mogli; numerosi invitati.

 (Richard e Deleau sono in faccende per la realiz­zazione del programma della cerimonia. La signora Deleau e la signora Richard, due male lingue, stanno pettegolando).

La signora Richard       - Io non capisco come si sia potuto lasciare andare l'americano a casa del sindaco. Hanno deciso di fargli sposare Margot. L'ho detto a mio marito e lui mi ha risposto: Tutto è nelle mani della Provvidenza.

La signora Deleau         - Gli uomini non capiscono nulla. Io non penso nemmeno che Margot abbia po­tuto sedurlo. Lui avrà certamente notato che ha le gambe troppo robuste. E poi Truman non permetterà mai al suo rappresentante di sposare la figlia di un socialista...

La signora Richard       - Margot porta già vestiti a metà gamba secondo l'ultima moda, è troppo co­modo poter nascondere le proprie gambe. A proposito anche voi siete per gli abiti lunghi?

La signora Deleau         - Mi adatto ai gusti degli uomini. Ma io le gambe le ho piuttosto classiche. E a voi, che cosa piace di più nei nuovi modelli; scommetto che è la linea marcata del busto.

Deleau                           - (a Richard) Facciamo presto: quello deve prendere il treno. Sarà sufficiente il discorso del sindaco...

Richard                         - Secondo me dovreste prendere la pa­rola anche voi. Abbiamo qui i rappresentanti della stampa, domani i giornali del mondo intero daranno notizia della nostra modesta cerimonia. So bene che per ora siamo con i socialisti, ma sarebbe bene che l'America sentisse la voce del partito dell'ordine. Non bisogna che gli americani considerino la nostra città come una piazza forte del socialismo. Significherebbe falsare la storia.

Deleau                           - Ma io non sono preparato. Non sono un parlatore, non so improvvisare. Prendete voi la parola.

Richard                         - Voi siete vice-sindaco, la cosa sarà più seria. Ho trovato in un vecchio giornale un di­scorso splendido di vostra produzione. Vi ricordate, quando nel gennaio del '43 è arrivato per la prima volta nella nostra città quel furfante di Von Schauberger?... Cambiate qualche parola, tanto il discorso non è affatto invecchiato...

Il Sindaco                     - (avvicinandosi) Eccellente idea! La verità non può invecchiare. Caro amico, vi propongo il seguente programma: prima prendete la parola voi...

Deleau                           - Ah! questo no, perché prima io?

Il Sindaco                     - Perché io devo consegnare il dono della città. Cosi prima voi, poi la consegna del dono, infine il suo ringraziamento. Dobbiamo spicciarsi, è molto stanco. E poi, che cosa stanno macchinando quei banditi...?

Delead                          - Che stanno macchinando? Ma è chiaro. Avete almeno preparato le candele?

Il Sindaco                     - Potete stare tranquilli. Siamo al sicuro da ogni sorpresa. Allora siamo d'accordo, co­mincerete voi.

Deleau                           - Io non mi rifiuto mai quando si tratta dei miei doveri civici. A proposito gli avete parlato delle bucce d'arancia?

Il Sindaco                     - Ma certamente!

La signora Richard       - (alla signora Deleau) Ciò nonostante non credo che la sposi. Ha le gambe come fiammiferi, e poi non è un partito per un uomo come lui. (Chiasso vicino alla porta: alcuni consiglieri municipali sbarrano il passo al marchese di Champigny).

Il Marchese                   - Non mi riconoscete? Sono io, il marchese di Champigny.

Un Consigliere municipale     - Ordine del sin­daco...

Il Sindaco                     - (avvicinandosi) Signor marchese, vi prego di non insistere. In nome del rispetto che dob­biamo alla grande repubblica d'oltre oceano, abbiamo deliberato...

Il Marchese                   - Lo so già; avete deliberato di cambiare per la sedicesima volta il nome di questa piazza. Per me si chiamerà sempre e semplicemente la « Piazza Grande », come la chiamava mio nonno...

Il Sindaco                     - Signor marchese, vi prego di non insistere... abbiamo deciso di escludere dal consiglio municipale tutti gli uomini di colore...

Il Marchese                   - Non capisco dove ne abbiate trovati.

Il Sindaco                     - Dovete capire, signor marchese, come sia penoso a me... vecchio socialista... ma abbiamo deciso di escludervi...

Il Marchese                   - Osate insultarmi, insultare un discendente dell'antica famiglia di Champigny? Il mio bisavolo era gran carrozziere alla corte di Luigi XVIII, ed il vostro bisnonno lo salutava con molta deferenza.

Il Sindaco                     - Tutto ciò è molto carino, signor marchese, ma voi capirete bene, con quelle unghie... Le unghie, è tutto lì. (Spingono il marchese fuori) L'ordine è ora ristabilito. Vi prego di prendere posto. (Entra Lavo) Signore e signori! Apro la solenne assem­blea del consiglio municipale per inviare alla muni­cipalità di Jackson il dono della nostra città. (L'or­chestra inizia una marcia) Aspettate, è troppo presto. La parola è al mio sostituto il signor Deleau.

Deleau                           - (legge esitando) È con entusiasmo che la nostra antica città, la quale ha sopportato tanti assedi, di cui è testimone il leone della piazza Thiers... della piazza Stalingrado... volevo dire della piazza James Law ... è con entusiasmo, dicevo, che la nostra città acclama il rappresentante della grande potenza vittoriosa, la quale ha dimostrato di essere la prima potenza del mondo intero. Noi apprezziamo alta­mente, signor Von... signor Law, la vostra politica razzista che sana il mondo, e i principi dell'ordine nuovo così brillantemente esposti nel «Mein Kampf »... pardon, nella dottrina di Truman. Sono lieto di poter ringraziare a viva voce il rappresentante di una potenza che riporta vittorie strepitose sui bolscevichi alle rive del Volga... pardon, delle strepitose vittorie diplomatiche sulle rive dell'Hudson e del Potomac, che annienta gli ultimi focolai di resistenza comu­nista. La Francia saprà mostrarsi riconoscente, poiché sa che i suoi destini sono intimamente legati ai destini... qui si fa molto buio... ai destini dell'Ame­rica..., essa prega di trasmettere al magnanimo Adolfo... al magnanimo Harry Truman, il cui ritratto adorna queste pareti, l'espressione della sua profonda gratitudine. (L'orchestra attacca una marcia).

Il Sindaco                     - (ai musicanti) Silenzio, è troppo presto. (All'assemblea) Permettetemi di dire poche parole che mi vengono dal profondo del cuore. Da vecchio socialista quale sono, mi sento molto vicino al popolo. Sapete di che cosa parlano da stamattina tutti gli abitanti della nostra città, senza distinzione di culto, di opinioni politiche, di origine sociale o razziale... (esita) insomma senza distinzione?... Non parlano che di una sola cosa, non hanno che un solo desiderio: ringraziare la generosa Jackson. Noi siamo democratici, il nostro motto è « Tutto per il popolo, e a mezzo del popolo ». Ecco perché abbiamo deciso all'unanimità di offrire alla città di Jackson la nostra reliquia più cara, il simbolo della nostra indipen­denza, il leone della piazza che ormai si chiama piazza James Law. (Beve una sorsata d'acqua).

La signora Richard       - Decisamente farà mari­tare la sua bruttona! È uno scandalo.

Il Sindaco                     - I miei amici cattolici pregano ogni giorno per il pane quotidiano. Un vecchio socialista come me, è alieno da ogni misticismo: io non credo che alle riforme e alla cooperazione. Ciò nonostante anch'io prego per il nostro pane quotidiano. Ecco ora la città di Jackson che ci dà cento tonnellate di grano. Ai nostri amici di oltre atlantico, vada il nostro vibrante grazie di francesi e il nostro indomito leone possa elevarsi sulla grande piazza di Jackson, come si è elevato da noi per cinque secoli. (Il sindaco, Bichard, Deleau, e gli altri consiglieri municipali sol­levano il leone e sbuffando e ansimando lo portano a James Law).

Deleau                           - Come è pesante! Non ne posso più; ho il fegato...

Law                               - (alzandosi) Ora vedete voi stessi quanto è pesante! Se ho consentito a portarlo con me è sol­tanto perché siete della brava gente. Del resto a Jackson avrà più degno posto che qui. Jackson è una bella città che anche un simile vecchiume nei potrà sciupare. E voi dovete costruire delle case decorose, senza cimici e senza metafisici. (Si spegne la luce).

Il Sindaco                     - (accendendo la sua lampadina tascabile) Calma, accendiamo subito le candele.

La Moglie del sindaco - Le candele sono molto più decorative. Nel gran mondo tutte le serate si passano senza luce elettrica.

La signora Richard       - E certe signore sono molto contente perché non si vedono le loro grinze...

Law                               - Che succede?

Il Sindaco                     - Non è nulla, è saltata una valvola...

Deleau                           - Il signor sindaco non dice mai pane al pane. Non è una valvola, sono i signori comunisti: sciopero generale.

Law                               - È stupido ed immorale. Bisogna immedia­tamente proibire gli scioperi. Arrestare i comunisti. Tutto ciò non dev'essere soltanto effetto del caso. Oggi mi sono imbattuto in una ragazzina sfrontata. Non aveva nessuna nozione della civiltà occidentale della grande America...

La signora Richard       - (non riuscendo a contenersi applaudisce) Parla della figlia del sindaco. Non è mica tanto facile far trottare un americano...

Law                               - Jim mi ha detto che nelle vostre scuole si insegna ogni specie di bestialità. Che l'uomo di­scende dalla scimmia. Mentre invece si deve dire ai bambini che essi discendono dai grandi umanisti. Da Colombo. Da Jefferson. Da Truman. Siete in piena degenerazione. Ieri ho visto qui un negro, un lustrascarpe, che il sindaco chiamava marchese. È peggio della torre di Babele, è semplicemente il caos. Quanto al pane presto o tardi ve ne manderanno. Ne sono persuaso. Ma noi americani non vi permet­teremo di mangiare il nostro pane a vostro modo. Verranno osservatori, non come me, ma più severi, e non per due giorni ma per venti anni. Non farete più l'amore a digiuno e non balbetterete più dei versi. Vi insegneremo a lavorare. Il leone parte verso il nuovo mondo da cui giungeranno i domatori di leoni. Vi auguro di imparare a far dollari. Quanto al sindaco voglio stringergli la mano; benché socialista è un brav'uomo. (Gli dà una stretta di mano).

Il Sindaco                     - Avanti, la musica! Questo è il momento...

Il Consigliere municipale       - Troppo tardi! I mu­sicanti sono in sciopero! (Rumore di folla lontana sale dalla strada).

Il Sindaco                     - (a Deleau) Bisogna telefonare ad Avignone per far venire i carri.

Deleau                           - Il telefono non funziona affatto. Forse il signor Kichard troverà aiuto nella sua Provvidenza.

La signora Eichaed       - Credo che questa emo­zione mi farà morire.

Deleau                           - Non ve lo consiglio: sono in sciopero anche i becchini.

Il Sindaco                     - Miei cari amici, state calmi! È sol­tanto una nuvola che presto si dileguerà. L'essenziale rimane: Jackson ci tende la mano soccorritrice. Finché c'è l'America non siamo perduti. Vero, signor Law?

Law                               - Esatto. Ma come farò ad arrivare fino alla stazione con questo barbone, per giunta.

Deleau                           - E che andreste a fare alla stazione! I treni sono fermi...

Law                               - (sedendosi sulla cassa in cui è imballato il leone) Maledetto paese!

Il Sindaco                     - Per chiudere questa piacevole serata avremo un concerto. La signorina Jachet vuol can­tare la romanza: « Ora io t'amo ».

La Cantante                  - Veramente non mi sento in vena. Ma visto che tutti insistono... (Canta): Ora io t'amo, da vicino e da lontano, mio piccolo fagiano, dalla casa del lattaio che all'angolino sta...

(Si interrompe a causa del chiasso che fa Bouboule, la quale, invano trattenuta da un consigliere municipale, fa irruzione nella sala).

Il Sindaco                     - È sconcertante!... Chi l'ha fatta entrare? Fatela uscire immediatamente.

Il Consigliere municipale       -  Chi la farà uscire? Tutti gli impiegati del Comune sono in sciopero ed io non so come fare: morde.

Bouboule                      - Signor sindaco, devo fare una dichia­razione estremamente grave.

Il Sindaco                     - Che insolente! Donna sconosciuta, vi ordino di uscire dai locali del comune!

Bouboule                      - Sarei io la sconosciuta? Eh, là, là! Ascolta caro, sono abbastanza educata perché tu debba darmi simili umiliazioni. Non è da oggi che ci conosciamo. Capisci bene che se sono venuta qui non l'ho fatto per sbaciucchiarmi con te. Vengo per un affare molto importante, capisci?

La Moglie del sindaco - Come osate oltrag­giare mio marito? Lui non ha mai conosciuto donne di malaffare.

Bouboule                      - Ascoltate piccola signora: vi pro­pongo di smetterla; è molto meglio. Conosco tutti gli uomini qui, io, compreso il vostro; viene da me tutti i venerdì.

La Moglie del sindaco  - (scagliandosi verso il ma­rito) Ah, ecco come stanno le cose! Ora capisco che cosa erano le tue sedute notturne del venerdì, miserabile! Hai dilapidato tutta la mia dote ed hai ancora la sfrontatezza di ingannarmi!...

Il Sindaco                     - Non qui, non qui. In questo momento sono nell'esercizio delle mie funzioni... Rivestito delle insegne della dignità che mi compete. (Indica la sciarpa. Sua moglie lo schiaffeggia).

Bouboule                      - (al redattore) Signor Piquet, fatela tacere. Non siamo qui per trattare questioni di famiglia.

La signora Piquet          - (battendo suo marito) Goz­zovigliavi: eccolo, il tuo informatore della stampa! Mi farai morire!

Il Redattore                  - Calmati piccola mia! Sono infine riuscito a stabilire di chi è quel guanto; è della signora Richard che l'aveva dimenticato. Era venuta ai gior­nale per una certa situazione delle ragazze cattoliche...

La signora Piquet          - Non è la signora Richard che ho trovato da te, ma quella creatura lì.

Bouboule                      - (a Richard) Hanno perso la testa! Cocò, tu che sembri il più ragionevole falli tacere. Ho davvero una cosa importante da dirvi.

La signora Richard       - (a suo marito) Cocò? Tu? Oh, Dio!... (Perde i sensi).

Bouboule                      - Lo vedete questo americano...

Il Sindaco                     - Non vi ho dato la parola...

Bouboule                      - Aspetta, bestia, non è una seduta del consiglio municipale, è molto più importante. Mi ha dato un assegno. (Mostra l'assegno di Law) Me l'hai dato tu, sì o no?

Law                               - Non mi ricordo più. Ho troppi affari per ricordarmi certe sciocchezze. Può darsi che sia io...

Botjboule                      - Lo sai che cosa sei? Una canaglia, una vera canaglia. Sono andata alla banca e mi hanno detto che l'assegno è a vuoto.

Law                               - Può darsi. Ho scherzato. Noi americani scherziamo volentieri. A Jackson abbiamo financo avuta una « Settimana delle burle ». Ci si giocava dei tiri l'un l'altro.

Botjboule                      - Lo vedete? Scherzava! E quando sei venuto con me, anche allora scherzavi? Mi hai infinocchiata, ecco! E non soltanto me! Questa ca­naglia si è preso anche il leone!...

Il Sindaco                     - Ragazza Bouboule, tacete. Non avete il diritto di oltraggiare queste pareti. È il sin­daco nell'esercizio delle sue funzioni che vi vieta di continuare le vostre basse insinuazioni. Il leone è una nostra offerta alla generosa Jackson...

Bouboule                      - Stai zitto, stupido. L'ha fatta anche a te. Te l'ho sempre detto io. Per quanti vizi tu possa avere non sei che un salame. Sai perché è venuto qui? Per il leone! Me l'ha detto lui stesso che l'avrebbe venduto per diecimila dollari in Ame­rica. (A Law) Me l'hai detto sì o no? Canaglia! Volevi fregare diecimila dollari, e ad una povera ragazza come me hai rifilato un assegno a vuoto!

Il Sindaco                     - Pensateci voi.

Law                               - A me non piacciono le discussioni. (La spingono fuori).

Deleau                           - Signor sindaco, avete verificato i poteri del signor Law?

Il Sindaco                     - Come avrei potuto? Un ospite così illustre...

Deleau                           - Signor Law, per ridare la calma agli spiriti, mi sembra opportuno che voi esibiate le vostre credenziali.

Law                               - E come volete che io esibisca ciò che non ho? Non sono la Provvidenza io. Noi americani siamo realisti.

Deleau                           - L'avevo pur detto io che la politica dei socialisti ci avrebbe portati alla rovina...

Il Sindaco                     - (a Law) Allora è vero?

Law                               - Mio Dio, sì. E con ciò?

Il Sindaco                     - Ma allora, siete veramente una... canaglia!

Law                               - Non sono una canaglia io, sono un ameri­cano, faccio dollari. Ve l'ho forse rubato il can bar­bone? Siete voi che me ne avete fatto dono spon­taneamente.

Il Sindaco                     - Ma voi ci avevate promesso il vostro aiuto...

Law                               - Ascoltate, vi ho detto che prima o poi vi manderanno del grano. Cento tonnellate credo, era sul giornale. E poi me l'ha detto Jim, e Jim sa quel che dice. Se voi dite canaglia a me, Jim è una supercanaglia, lui è a Parigi alla Commissione americana ed ha le tasche piene di quelle « creden­ziali » di cui parlate; oltre a ciò compra per pochi franchi ogni specie di anticaglia sul tipo del vostro barbone. Il grano ve lo manderanno anche senza di me. E il barbone ve lo prenderanno lo stesso senza di me. Se non è Jim, sarà Jack o Joe. Vedo che in quest'affare non ho guadagnato nulla.

Richard                         - Che cinismo! Voleva spogliarci di un monumento storico...

Law                               - Pensate che quel barbone mi piaccia? Non mi piace affatto. Ma in America c'è una quantità di imbecilli che sborsano somme pazzesche per quei vecchiumi. E io sono a terra. Quando c'è la crisi negli Stati Uniti, tutto procede in modo opportuno: si pronunziano discorsi, si celebrano « requiem », si discutono progetti di legge. Ma quando è James Law1 in crisi, è uno scandalo... L'avevo detto a Jim che io non ci capisco nulla in queste anticaglie, ma lui mi aveva dato istruzioni precise: prendi tutto ciò che è anteriore alla metà del secolo diciannovesimo. Ora, quando ho visto quel barbone, che non solo non era del XIX, ma del XV secolo, come potevo rifiutarla?

Il Sindaco                     - Criminale! Avete messo la mano su ciò che noi avevamo di più caro: questo leone è il simbolo della nostra indipendenza.

Deleau                           - Ci avete ingannati tutti spacciandovi per un vero osservatore.

Law                               - Io non mi sono spacciato per nessuno; siete voi che mi avete preso per un osservatore. Ma lasciamo stare questi discorsi oziosi. Voi dite che io non sono un « vero » osservatore. Ma credete forse che i « veri» siano diversi? Sono tutti come me. Siamo tutti americani e facciamo dollari... Mi rim­piangerete, vedrete! Che cosa volevo prendervi iof Il vostro barbone? E sia. In tal caso volevo togliervi il simbolo della vostra indipendenza? Bell'affare! Senza simboli si può vivere. Ma quando verranno i « veri » osservatori, vi toglieranno il simbolo e l'in­dipendenza pure. Conosco Jim come me stesso. Il leone resterà qui provvisoriamente. Ma ve l'ho già detto: arrivano i domatori... (Un gran chiasso copre le sue ultime parole: il chiasso aumenta sulla scena e dietro le quinte. Le porte che danno sulla piazza si aprono completamente. Gli abitanti della città invadono la sala. Il sindaco, i consiglieri municipali, gli invitati si agitano, presi dal panico. Law si è rannicchiato in un angolo).

Un Operaio                   - (prendendo il sindaco per il colletto) Che sfrontatezza: ribattezzare la piazza Stalingrado! Come avete potuto dargli il nostro leone?

Il Sindaco                     - Io non c'entro nulla. Io sono un vecchio socialista; sono i clericali che hanno la mag­gioranza nel consiglio municipale.

Deleau                           - Ma siete proprio voi che avete ribat­tezzato la piazza.

Richard                         - Siete voi che avete venduto il leone, io non c'ero.

Un vecchio Operaio      - Paté silenzio! Non siamo qui per ascoltarvi. Avete parlato troppo. Ora tocca agli altri. La farsa è terminata. (Fa cadere le pareti del comune. Si vede la piazza. Si vede il redattore venire avanti con prudenza).

Il Redattore                  - Un sola domanda: Marilù è qui?

Una Ragazza                 - Mi chiamano Madò, ma sono Marilù.

Un Vecchio                   - Mi chiamo Antonio, ma sono Marilù.

Un Giovanotto              - E anch'io sono Marilù.

Voci                              - (che si sentono dapper­tutto) Sono Marilù! (TI leone viene rimesso sul piedestallo).

Una Donna                   - (davanti al leo­ne) Là i nostri antenati e i nostri nonni hanno difeso la loro indipendenza. Là i «sans-culottes » hanno formato i loro battaglioni, là gli insorti del '48 e i federati della «Comune» so­no morti per la libertà. « Non si conviene ». Queste parole ri­suonano come un giuramento. Qui Marilù ha abbattuto un boia nazista. L'hanno fucilata. Ma ora vedete che vive. Ma­rilù sei tu, Piero, sei tu, Dedé, sei tu Gianna. Marilù è do­vunque. Marilù è il popolo. Mai e poi mai chineremo il capo sotto il giogo dell'America. Non ci avranno né col ferro, né con la fame! Non si addice alla Francia inginocchiarsi davanti ai manovali d'oltre oceano!

Law                               - Siete numerosi? Una Donna         - Quando hanno portato Marilù a morire, gridava: «Siamo numerosi». Ora siamo ancora di più. Credete che siamo tutti qui? No, siamo a Parigi...

Voci e Altoparlanti       - A Marsiglia, a Limoges... a Le Havre... Siamo dappertutto... La Donna            - Non ci arren­deremo. È il giuramento che pronunziamo qui, davanti al leone dell'indipendenza, sulla piazza Stalingrado.

Una Voce                      - (dagli spettatori) Noi vi sentiamo. Abbiamo combattuto per la vostra liber­tà. Molto lontano da qui! A Stalingrado... (Risuonano le note della Marsigliese): Allons, enfants de la patrie, le jour de la glorie est arrivé!

FINE