Il luminare della medicina

Stampa questo copione

IL LUMINARE DELLA MEDICINA

IL LUMINARE DELLA MEDICINA

Commedia brillante in due atti

Di
Fabio Bertarelli




Personaggi:



Prof. ALBERICO ALBERICI, luminare della medicina


GIOIA, l’infermiera


ADALGISA, la belloccia


LUIGI, l’ingessato 


NERINA, la moglie del professore


ROBERTO, l’artista 


MARIO, l’informatore di farmaci 


UN OPERAIO DELL’ENEL 


FUMELLO - diavoletto tentatore


GRAN SATAN – Voce fuori campo di Satana





A T T O P R I M O



Il palcoscenico è diviso in due parti: a destra uno studio medico ed a sinistra la sala d’aspetto. All’apertura del sipario la scena è buia. E’ illuminato soltanto il proscenio nel quale entra Roberto che strimpella una chitarra. 

ROBERTO: Do-re-mi… Do-re-mi… Sol-la-si… Sol-la-si… (Dopo aver percorso il proscenio più volte con modulazioni e toni dello strumento che sottolineano il suo stato d’animo via via più triste, inizia a cantare mentre dalla parte opposta entra Mario che si ferma ad ascoltarlo)
Queste note dolenti
sono i miei lamenti.
Questo tristissimo canto
La voce del cuore affranto.
Amavo una ragazza
lei pure di me era pazza
ma sentendomi un artista
partii e la persi di vista.
Ho suonato, fatto il cantante
il mimo ed il teatrante
per paesi e per città
inebriandomi di libertà.
Ma una volta dato fondo
a quella vita di giramondo
per l’amore e la nostalgia
son tornato a casa mia.
Ora vago per ogni via e piazza
per ritrovare quella ragazza
dall’incantevole viso 
per scambiarci un sorriso.

MARIO – Amico, smetti di cantare. Stai lacerando il mio cuore con la tua storia perché è simile alla mia. La vuoi sentire?
(Mario canta e Roberto l’accompagna con la chitarra) 
Anch’io avevo una donna formosa 
ed era la mia sposa, 
ma un giorno una giovanetta 
sparò al mio cuore una saetta. 
Lasciai casa e moglie 
per sfogare le mie voglie. 
Una folle ubriacatura
Per quella giovane creatura.
Cene ai ristoranti
Collier di brillanti
Viaggi, crociere
Per settimane intere.
Finiti i quattrini 
Senza tanti inchini
Se ne andò la ninetta
Lasciandomi in bolletta.
Ora racimolo poche lirette
Vendendo le forbicette
Perché il terrore mi coglie
di ritornar da mia moglie.

Uno da una parte e uno dall’altra i due escono cantando:

Oh, poveri noi derelitti
Che soli e sconfitti
Andiamo errando
Consolandoci cantando

In una nuvola di fumo entra Fumello, il diavoletto tentatore.
(L’attore deve essere alto, magrissimo e dinoccolato, vestito di una calzamaglia nera, con un bel paio di baffi rossi)

GRAN SATAN – (voce fuori campo, rauca, profonda. Parla scandendo bene le parole con tono autoritario) Fumello, sei un buono a nulla. Sto perdendo la pazienza. Lo sai oppure no cosa succede ai diavoletti maldestri come te?

FUMELLO – Gran Satan, io, io… mi di da fare, mi do da fare, ma mi va sempre male… ho una jella…

GRAN SATAN – (c.s.) Non conquisti più un’anima da chissà quanto tempo e io ti mando a pulire i cessi!

FUMELO – (con voce piagnucolosa) No, Gran Satan, i cessi no! C’è una maledetta puzza nei cessi dell’inferno che non sopporto. Quei dannati schifosi fanno degli escrementi pestiferi che mi fanno vomitare.

GRAN SATAN – (c.s.) E allora ti mando a spalare il carbone per alimentare il grande braciere dell’inferno.

FUMELLO – No, Gran Satan, è un lavoraccio che non sopporto con quella polvere e quel caldo… Mi fa sudare troppo… Sono così delicato…

GRAN SATAN – E va bene. Ti do un’ultima e ghiotta possibilità: arrivano due che stanno litigando. Li devi tentare così da farli peccare e peccare finché non precipitano quaggiù nell’inferno. (fa una sarcastica risata) E vedi di non fallire, altrimenti… (Fa un’altra fragorosa risata)

Sempre sul proscenio entrano il professore e Nerina che stanno bisticciando.

NERINA – Io non sono né sorda né cieca e non sono una stupida. Hai capito?

PROFESSORE – Ma perché non mi vuoi credere quando dico…

FUMELLO – (si accoda ai due e rivolto a Nerina le parla sottovoce) Non gli credere, non gli credere perché è un falso, un bugiardo.

NERINA – (ripete alterata) Sento una voce che mi dice che sei un falso, un bugiardo.

PROFESSORE – Eppure lo dovresti capire che ti voglio bene. Ti ho regalato la pelliccia di cincillà, quel solitario che risplendeva anche di notte come un sole e che mi è costato una fortuna.

FUMELLO – (a Nerina) E’ in prezzo dell’adulterio. Diglielo, diglielo.

NERINA – Quei regali che mi hai fatto sono il prezzo dell’adulterio! Così fanno i mariti che si debbono far perdonare le loro scappatelle.

PROFESSORE – Non è vero, credimi. Ti ho fatto quei regali perché ti voglio bene.

FUMELLO – Non gli credere. E’ il prezzo dei suoi tradimenti. Diglielo, diglielo!

NERINA – Altro che bene! Sono il prezzo dei tuoi tradimenti. Adultero, Adultero! 

PROFESSORE – Ti sbagli mia cara… E’ la tua fantasia malata che ti fa credere che io…

NERINA – Ah, mi vuoi far passare pure da matta! Io sono sanissima, mio caro, perciò non ti credo.

FUMELLO – (girando intorno a Nerina, insinuante) Brava, brava non gli credere. E’ vero che è un adultero.

NERINA – Sì, sei un adultero. Confessa!

PROFESSORE – Non ho niente da confessare. Non mi credi?

NERINA – Te l’ho già detto, sei un falso, un bugiardo. Ho sentito nel tuo vestito un profumo che non è il mio. Di chi è? E’ della tua amante, vero? confessa!

FUMELLO – Brrrr… che ribrezzo sentir parlare di confessione. (Al professore) Non essere sciocco. Non confessare mai i peccati. 

PROFESSORE – E basta con questa confessione! Ti dico che non ho niente da confessare.

NERINA – E allora ti dico io come sono andate le cose fra te e la tua infermiera. Quella smorfiosa! Io la sgraffio tutta. Io le conosco quelle come lei. Quando vedono un uomo che si sta rincitrullendo… si mettono una minigonna per mostrare le gambe, si mettono una camicetta con una scollatura generosa per far vedere le tette… Poi quattro mossette… (Mima quanto asserisce) ed il pollo è bello che cotto! E’ andata così, vero? Ora dovrà fare i conti con me.

PROFESSORE – Ma che conti, che conti… Quello che dici è il frutto della tua fantasia. Ti garantisco che è una ragazza onesta e fra noi non c’è proprio niente. Inoltre potrei essere suo padre…

NERINA – Certo, data l’età potresti essere suo padre, ma siccome non lo sei ti comporti come si comportano i vecchiacci come te: compri le grazie di quella ragazza per soddisfare il tuo istinto di maialone. Non è così? 

FUMELLO – (sempre saltellando intorno a Nerina) Sì, sì, è un vecchiaccio maialone, un vecchiaccio maialone.

NERINA – Ammettilo che con quella che tu chiami infermiera ti sei comportato da vecchiaccio maialone! (Cambiando tono) Finché ero giovane ti sono piaciuta, vero? Adesso che mi sono invecchiata sono da buttare… Ma ti sei invecchiato anche tu e per giunta sei diventato un vecchiaccio maialone e schifoso!

FUMELLO – (A Nerina) Fagli vedere le tue gambe. Dai, che ce l’hai belle. 

NERINA – (Si tira un po’ su la gonna) Guarda, guarda che gambe. Quelle di quella smorfiosa sono poi tanto più belle di queste? 

FUMELLO – Fagli vedere anche le tette.

NERINA – (si apre la scollatura) Guarda, guarda e senti. Senti come sono ancora sode! Adesso sai che faccio? Cambio look e ti faccio vedere io chi è Nerina. Altro che fuori gioco. (fa alcune mosse) Con il fisico che ancora ho ti faccio vedere io quanti uomini posso conquistare.

PROFESSORE – Ma che vuoi far vedere… Un po’ di contegno, ti prego, qui in mezzo alla strada… Nemmeno per chi ci vede.

NERINA – Guarda quegli uomini là con che occhi mi stanno fissando. Allora sei convinto che sono ancora attraente?

PROFESSORE – Ma che dici? Non vedi che stanno ridendo di te? Copri le tue miserie che è meglio.

NERINA – Sei un bruto, un bruto!

FUMELLO – (A Nerina) Sì, sì è un bruto, un bruto! Picchialo, picchialo.

NERINA – Sì, sì, sei un bruto, un bruto! (Prova a colpirlo con la borsetta) E tu pensi di essere un Adone? Con quella pancia, il doppio mento e non parliamo dei tuoi attributi intimi. (fa il segno della croce) Morto e sepolto! E datti una guardata! Vuole fare il giovincello… Manco gli scopini ti prendono più. Sei un rifiuto non riciclabile. Non riciclabile! Ecco quello che sei. 

PROFESSORE – E basta, basta! Dici un sacco di fesserie. Io sono un uomo vivo. E se con te sono morto è perché non mi stimoli più. Brasil… ta, ra, ra, ra, raaa… (canta e balla sulle note di quella canzone)

NERINA – E smettila! Adesso sei tu ad essere ridicolo.

PROFESSORE – Io sono giovanile nello spirito e nel corpo.

FUMELLO – (al professore) Balla, balla! Sì, sì sei giovanile, un leone, sei! E fatti l’amante, che ci fai con quella befana di tua moglie? Balla, balla…

PROFESSORE – Io ballo perché mi va di ballare. Brasil… e mi faccio veramente l’amante! Ti va bene?


NERINA – (inviperita) Ah, sì! Allora sai che ti dico? Mi faccio l’amante anch’io.

FUMELLO – (a Nerina) Oh! Bene, bene… ((Stropicciandosi le mani soddisfatto) Sì, anche tu anche tu… Fatti l’amante, fatti l’amante. (Applaude) Brava, brava.

Si avvicina Mario, un informatore di farmaci, che si rivolge al professore.

MARIO – Professore, mi scusi se la importuno qui in mezzo alla strada, ma parlare con lei è sempre tanto difficile. Ho uno strumento meraviglioso per la sua specializzazione. Guardi, guardi che meraviglia. (Gli mostra un paio di forbicine e comincia a descrivergli le caratteristiche) Sono forbicine che una tecnologia…

NERINA – (risentita) Ma lei chi è? Che vuole? Non vede che sto parlando con mio marito? Per favore, vada via!

MARIO – Signora mi scusi, una parola sola con il professore.

NERINA – la parola gliela dico io: lei è un maleducato! 

MARIO – (incurante, rivolto al professore) Dica professore, non sono proprio le forbicine che cercava? (mettendogli le forbicine davanti al viso) Guardi che tecnologia! Questo strumento nelle sue espertissime mani farà miracoli. 

PROFESSORE – Mi venga a trovare nel mio studio nella tarda mattinata. Ora la saluto. Non è cosa da trattare per la strada.

MARIO – Va bene, professore, grazie. Vengo più tardi nel suo studio. (Se ne va via)

NERINA – Che maleducato! E tu, invece di redarguirlo per essersi comportato da cafone, lo hai (in falsetto) invitato gentilmente nel tuo studio.

PROFESSORE – E’ stato per levarcelo di torno, cara.

NERINA – Cara, cara… Quando insisti a chiamarmi così mi fai ribrezzo. Anche perché lo pronunci con un tono sarcastico, per non dire sfottente.

PROFESSORE – Va bene, cara, non ti chiamerò più –cara-. Ora devi scusarmi (guarda l’orologio) ma si è fatto tardi e devo andare in ambulatorio.

NERINA - Vai, vai in ambulatorio, ma attenti a quello che fai con quella… hai capito! Non ti conviene! (esce sculettando seguita da Fumello)

FUMELLO – (sempre saltellandole intorno) E’ un adultero, un maialone. Fatti un amante, fatti un amante…

PROFESSORE – (fa un sospiro) Finalmente! (Esce dalla parte opposta)

Si illumina la sala d’aspetto ove ci sono: l’infermiera seduta ad un tavolino che scartabella uno schedario e due pazienti: Luigi con un braccio ed una gamba ingessati ed un casco da motociclista in testa ed Adalgisa, una popolana di mezza età. 

LUIGI – (tra se imita con la bocca il rumore di una motocicletta) Brr… brr…

ADELGISA – Avete freddo per caso?

LUIGI – Che freddo! Non sentite che rombo? Brr… brr… è quello della mia moto.

ADALGISA – Il rombo della moto? Mi sembrate matto.

LUIGI – Io matto? Anche quando non ci scorrazzo mi pare di starci sopra. Brr… brr.

ADALGISA – Mah! Vi vedo bello sconocchiato. Per caso non è che avete battuto la testa? 

LUIGI – Macché testa! Mi son rotto solo un braccio e una gamba. 

ADALGISA – Come vi è successo?

LUIGI – Un incidente stradale.

ADALGISA - Ma chi darà la patente a certi automobilisti che guidano come pazzi? Qualche giorno fa pure a me per poco che non mi piglia sotto un disgraziato proprio sulle strisce pedonali. E siccome gli ho fatto un cenno di protesta, non m’ha mandato a quel paese? Che razza di gente! 

LUIGI - Veramente è stata colpa mia. Una sera, dopo notte, io e alcuni miei amici eravamo usciti a fare una sgassata con le moto. Brr… brr… C’era poco traffico e facevamo avanti e indietro lungo il rettilineo fuori città, provando a buona velocità il brivido d’incrociarci quasi sfiorandoci. In uno di questi passaggi vedo due fari venire dal senso opposto. Credendo che fossero le moto degli amici mi son detto: adesso gli passo in mezzo. Brr… brr…

ADALGISA – Che bella pensata! Chissà che emozione! A quanto andavate, a 200 all’ora?

LUIGI - A 200 no, ma mancava molto poco.

ADALGISA - E non gliel’avete fatta? 

LUIGI - gliel’ho fatta sì, solo che non erano le due moto degli amici, era una macchina! Che botta, ragazzi! Il casco m’ha salvato la testa, ma una gamba e un braccio si sono rotti tutti.

ADALGISA - Allora v’è andata bene, se è stato come avete detto che siete andato a sbattere con una macchina e a quella velocità, ci potevate lasciare la pelle. Ma perché a voialtri giovani vi puzza tanto la salute?

LUIGI – Non è che ci puzza la salute, ma provare qualche brivido rende più stimolante la vita, non vi pare? Brr… brr… Voi pure, dato che siete qui, avrete sicuramente qualche osso rotto. Dite, ve l’ha passate per caso vostro marito? 

ADALGISA - Eh, sì! Io, purtroppo, il marito non ce lo più… 

LUIGI - Ah, poveretto! V’è morto?

ADALGISA - Macché! La sapete, no, quella delle sigarette? Lui ha fatto proprio come quello della barzelletta. Un giorno con la scusa di andare a comprare le sigarette è uscito di casa e non s’è più visto. Chissà dove madosca stava il tabaccaio.

LUIGI – Caspita! Scarta grasso vostro marito! Sì, perché non mi sembrate proprio da buttar via. Vestita non siete tutto male, forse sotto siete un po’ sfatta?

ADALGISA – Che? Sfatta io? Ditelo un’altra volta che vi rompo pure quell’altro braccio con una borsettata. Certo non ho più vent’anni, mi vedete poi adesso che ho un mal di schiena. (Si pone le mani sui lombi e si lamenta) Oi, oi… mmm, mmm… Mi pare che ci sia uno che si piglia il gusto di darmi le frustate, le bastonate. Certe fitte… ah, ma da giovane ero bella veramente (si liscia i capelli) e avevo dietro una processione di spasimanti.

LUIGI – Eh, addirittura una processione! E che eravate, la madonna del canfì? 

ADALGISA – Non ci credete? Scusate se ve lo dico, ma voi di donne non ve ne intendete. Guardatemi, io sono una donna che viene chiamata “bona”. Per questo sapete come mi chiamano? Mi chiamano la Belloccia. Un appellativo che sarebbe la somma di bella e di ciccia cioè belloccia. Oh, ciccia non come grassa ma come messa bene in carne e nei posti giusti, capito?

LUIGI – (insinuante) Eravate bella come l’infermiera? 

ADALGISA – Ero una bellezza diversa. Vedete, quella è troppo artefatta. Io ero naturale: un bel petto, le gambe come devono essere fatte, cioè snelle ma ben tornite (Con tono confidenziale) Quella è una ragazza uguale a tutte quelle di oggi che sembrano bambole di plastica. Tutte creme, belletti palestre, massaggi… Io ero tutta carne di prima qualità.

GIOIA – (interviene, risentita) Vede, signora, il nostro è un fisico diverso da quello delle donne di una volta. Siamo più sexy, più attraenti, altro che di plastica!

LUIGI - (rivolto all’infermiera) Signorina, posso toccarla per controllare se è di plastica oppure no? (Fa il gesto di alzarsi)

GIOIA – Ma come si permette!

LUIGI – Eh, come siamo permalosi… Posso almeno guardarla? O ha paura che la consumi! A proposito, quando comincia a visitare il professore?

GIOIA - (guarda l’orologio) Questo è il momento della sua meditazione. Prima di visitare deve immergersi nel mare della scienza… (fa un ampio gesto)

LUIGI – Nel mare di che? speriamo che non s’affoghi.

Si attenua la luce nella sala d’aspetto e si accende quella nello studio. C’è il professore con aria di sussiego che consulta un tomo di medicina aperto su un leggio bofonchiando e gesticolando.

PROFESSORE – (legge) Galeno, medico e maestro di anatomia, fisiologia e terapia affiancò l’osservazione anatomica ad una costante pratica terapeutica… Nell’antichità c’era lui, il sommo Galeno, oggi ci sono io: (con enfasi) il professor Alberico Alberici, luminare della medicina (si sente un pernacchio. E’ Adalgisa nella sala d’aspetto che si è soffiata il naso rumorosamente. Il professore ha uno scatto di stizza) Cosa è stato questo strano rumore? Non sarà stato per caso un pernacchio! (Si guarda in giro, sospettoso. Poi riprende) Dunque… (Alza gli occhi dal libro estasiato e guarda vero la parete) Ecco là i miei attestati scientifici, i miei diplomi… Sì, sono un luminare della medicina, il più illustre specialista dell’incarnita unguis (altro pernacchio della solita paziente. Altro gesto di stizza del professore) Ma dico io! Che sono questi strani rumori? Mi tolgono la concentrazione. Dunque, dicevo: Sono il professor Alberico Alberici, un esimio, un grande, un luminare della medicina. (Altro pernacchio come sopra) Bastaa!! Chi è che si permette?… Cosa stanno facendo in sala d’aspetto? (Con un gesto brusco chiude il libro che stava consultando per scaricare la rabbia. Poi si calma)
(Guarda l’orologio) Umh, è l’ora di iniziare le visite. Prima però devo curare il mio cuore malato. E’ malato sì! Quella ragazza mi fa venire una febbre… io brucio! (Chiama l’infermiera tramite il citofono) 

GIOIA – (risponde) Sì, professore. Vengo subito. (Entra nello studio) Buongiorno, professore. (Civettuola) La sua pausa di meditazione le ha portato un gran giovamento. Quando è entrato questa mattina aveva una cera… Ora invece la trovo in ottima forma.

PROFESSORE - Grazie, grazie, mia cara. (Insinuante) Tu piuttosto che tipo di meditazioni fai per avere quel fisico… così provocante.

GIOIA – Professore… lei mi fa diventare rossa… 

PROFESSORE - Io sono rosso per il fuoco che mi brucia dentro quando ti guardo. (Le prende una mano e se l’accosta sul petto) Senti il mio cuore come sobbalza, come si dibatte, sembra che voglia uscire dal mio petto per venire da te. E’ malato, molto malato. Perché non lo curi? Tu ce l’hai la medicina. Io ti nomino mia cardiologa. Va bene?

GIOIA - Eh, eh, professore se sua moglie, gelosa com’è, sapesse con che occhio lei guarda la sua infermiera…

PROFESSORE - Ah, quella strega! Non pretenderà che guardi ancora lei. Piena di cellulite, flaccida, cadente… e con i baffi. Puah! (si mette le mani nei capelli) 

GIOIA - Professore… professore!…

PROFESSORE - (rifacendole il verso) Professore, professore… Chiamami Alberico, anzi più confidenzialmente Ric, mia cara… E tu permettimi di chiamarti Gioia.

GIOIA - Professore, io sono la sua umile infermiera, come posso chiamare Ric il grande luminare della medicina Alberico Alberici?

PROFESSORE – Ti autorizzo, anzi te lo ordino!

GIOIA - Professore, ci sono in sala d’aspetto due pazienti… per nulla pazienti. 

PROFESSORE - L’attesa è salutare in medicina. Fa venir fuori gli umori maligni che poi evaporano producendo nel soggetto un effetto benefico.
Oggi sono particolarmente felice perché vedi… (Le mostra una lettera) è la convocazione ufficiale come relatore sull’incarnita unguis al Congresso Medico Internazionale di Rio de Janeiro il prossimo mese.

GIOIA - Complimenti, professore.

PROFESSORE - Rio de Janeiro! Ci pensi? La città del samba, del carnevale, dell’allegria… Senti, Gioia, che ne diresti di venire con me?

GIOIA – Io con lei? Cioè noi due… Che dice mai, professore?

PROFESSORE - Basta con questo professore. Ti ho detto di chiamarmi Ric. Ebbene, visto che si tratta di una grossa occasione, volevo fartene partecipe.

GIOIA - Non le sembra una proposta un po’ troppo spinta? In poche parole mi chiede di diventare la sua amante.

PROFESSORE - Amante! Non siamo mica più nell’ottocento. Diciamo la compagna.

GIOIA – Ma perché non porta sua moglie a Rio de Janeiro? 

PROFESSORE – per carita! Io, professor Alberico Alberici, luminare di fama internazionale al congresso di Rio de Janeiro con una donna come quella? In certi ambienti la donna è il biglietto da visita del nostro successo o della nostra mediocrità.

GIOIA - Gelosa com’è, se lo venisse a sapere, apriti cielo!

PROFESSORE - Se lo venisse a sapere se ne dovrà dar pace. Capirà che il suo ruolo è quello di farsi da parte e basta.(prende un depliant e glielo mostra) Guarda, Gioia, è l’albergo extra lusso nel quale alloggerò proprio sul lungomare di Copacabana. Ho aspettato di prenotare la camera perché se mi accompagni prenderemo una suite come questa (le indica una suite sul depliant) Che ne dici?

GIOIA - la prego professore… non mi tenti.

PROFESSORE – Tesoro, ti voglio parlare chiaramente, dopodiché potrai decidere meglio se accettare o meno la mia proposta. Per prima cosa ti spiego a che cosa servono certi Congressi: sono passerelle in cui, oltre ai meriti scientifici, ognuno mette in mostra il suo “status”. Ebbene facendomi io vedere al fianco di una ragazza bella e giovane come te esalto considerevolmente la mia posizione e anche la mia fama di luminare della medicina. Capisci? 
E a te sai che vantaggio ne viene? Avrai modo di frequentare un certo mondo che fino ad ora hai visto soltanto nei rotocalchi. Farai mostra del tuo corpo bellissimo sulla spiaggia di Copacabana. La sera, vestita con abiti firmati, agghindata con gioielli, splendente come una regina, ti condurrò nei teatri e nei locali notturni frequentati dai Vip.
Come vedi noi due ci completiamo a vicenda perché abbiamo entrambi una qualità eccelsa. Io, la fama, i soldi, lo status e tu la gioventù, la bellezza. Se restiamo separati siamo dei perdenti, o degli sciocchi.
Che ne fai della tua bellezza chiusa fra le mura di questo ambulatorio o sprecata in qualche discoteca di basso ordine.

GIOIA - Professore, lei mi lusinga… mi… mi…

Le luci si affievoliscono il professore e l’infermiera rimangono immobili. Entra Fumello che fa alcune giravolte come danzando fra lampi di luce e nuvole di fumo poi si ferma alle spalle di Gioia. La musica esegue un sottofondo di motivi brasiliani.

FUMELLO – Rio de Janeiro, Copacabana, samba… che città, che vita, olé! (Insinuante) Gioia, togliti il grembiule. Si, il grembiule (la ragazza esegue) Ora togliti il vestito (ad un cenno di diniego della ragazza ribatte con lo stesso tono accattivante) Non aver paura di mostrare il tuo corpo. Il corpo della donna, te lo dice uno che se ne intende, è fatto per procurare piacere a chi lo osserva e soddisfazione a chi lo mostra. Allora, togliti il vestito, svelta. (la ragazza esegue con un filo di malizia e rimane in guepiere)

Fumello fa ora alcune giravolte intorno al professore e poi lo invita a togliersi il camice) Professore, togliti il camice, ora la giacca ed ora pantaloni. (Il professore sembra resistere, ma poi pressato da Fumello esegue rimanendo in camicia e mutande)

Suona ora a buon volume il samba e Fumello prende degli scatoloni che contengono abiti. Ballando sulle note della musica sud-americana prima aiuta Gioia ad indossare un abito bellissimo e poi aiuta il professore ad indossare lo smoking. 

I due elegantissimi si guardano, si avvicinano a passettini tendendo le braccia mentre la musica aumenta di ritmo e di volume con Fumello che fra nuvole di fumo danza intorno ad essi. Quando il professore e Gioia stanno per abbracciarsi viene buio in scena e di colpo la musica cessa.



A T T O S E C O N D O

Si accende la luce nella sala d’aspetto. Gioia, di nuovo con il grembiule da infermiera, è seduta dietro la sua scrivania.

GIOIA - Avanti il primo.

Luigi, L’uomo con il braccio e gamba ingessati sorreggendosi con il bastone e aiutato dall’infermiera entra nello studio del professore.

PROFESSORE - (Squadrandolo) Ahi, ahi, ahi… Sei messo maluccio, giovanotto.

LUIGI – Ho la gamba e un braccio fratturati.

PROFESSORE – Lo vedo, lo vedo.

LUIGI – Mi hanno detto che lei riesce con le sue cure, con le sue medicine, a far saldare l’osso in pochi giorni. Io voglio guarire perché senza andare in moto non resisto. Brrr… brrr.

PROFESSORE – cos’è questo brrr… brrr?

LUIGI – E’ il rombo della moto. Prima, seconda, terza… e via. Brrr… brrr.

PROFESSORE – Vediamo la gravità del tuo caso. Prova un po’ a camminare. (All’infermiera) Lascialo camminare da solo, vediamo come se la cava. 

LUIGI – Senza aiuto? (il professore fa cenno di sì con la testa) Senza il bastone? (Il professore fa cenno di sì con la testa. Luigi fa alcuni passi e cade a terra)

PROFESSORE - Ahi, ahi, ahi…

LUIGI - La gamba non mia ha retto, professore.

PROFESSORE - Quello che temevo. Ahi, ahi, ahi…

LUIGI - Che significa questo ahi, ahi, ahi? E’ grave?

PROFESSORE - Grave? Ahi, ahi, ahi, direi è gravissimo. La gamba che tu chiami sana, sana non è. Fa’ in po’ vedere. (Il professore palpa la gamba del paziente) Ahi, ahi, ahi… E’ affetta da una patologia contagiosa: c’è il rischio che il male di questa infetti quella ingessata. Purtroppo bisogna amputarla e… ti devo dire che non c’è tempo da perdere. Speriamo che il male non si sia già diffuso.

LUIGI - Ma cosa dice, professore? Mi vuole amputare la gamba sana? E’ l’immobilità che ha reso molle i muscoli e per questo non mi regge.

PROFESSORE - I muscoli sono molli perché, perché… (Scandendo le parole) c’è la miastenia e la condro distrofia con una grave osteo malacia galoppante! 

LUIGI – E una madonna! E’ è possibile che tutti quei mali stiano dentro la gamba mia? 

PROFESSORE – Sono termini scientifici che è troppo difficile spiegare. Ti dico soltanto che non c’è tempo da perdere e allora diamo il via all’operazione. (rivolto all’infermiera) Signorina, prenda gli strumenti necessari per l’intervento. (L’infermiera prende da un armadio una sega elettrica, scalpelli, martelli, coltellacci mentre il professore cerca di far sdraiare sul lettino il paziente, che visti gli attrezzi oppone resistenza) 

LUIGI – Lei non può amputare la mia gamba! Io non le do il mio consenso.

PROFESSORE – Non importa del tuo consenso. Si tratta di un caso urgentissimo improcrastinabile. Il consenso me lo dà lo stato di necessità. Sdraiati sul lettino senza tante storie. Ogni secondo che passa può essere fatale. 

LUIGI – Ma che fatale! Io la gamba non me la faccio tagliare. (Cerca di uscire camminando con fatica. Il professore e l’infermiera cercano allora con la forza di farlo sdraiare sul lettino, ma vista la resistenza di questi, il professore pensa di fargli una iniezione di anestetico.

PROFESSORE – (All’infermiera) Svelta, signorina, mi dia la siringa con l’anestetico 

Luigi si difende anche con il bastone. La siringa viaggia pericolosamente fra una selva di mani, ma poi il professore riesce a prenderla e fa l’iniezione a Luigi. 

PROFESSORE - E zac! Fatto!

Luigi perde pian piano conoscenza e viene sdraiato sul lettino. Finalmente si addormenta. Il professore assume il tono e l’atteggiamento del chirurgo in sala operatoria e si rivolge all’infermiera per avere i ferri per l’operazione dopo aver preparato il campo. 

PROFESSORE – Bisturi… trapano… cacciavite… sega elettrica…

Il professore mette in moto la sega e sta per iniziare il taglio quando va via la luce. Rimane un semibuio. C’è un momento di silenzio e tutti restano fermi. Poi il professore piano piano si avvicina all’infermiera e comincia a corteggiarla.

PROFESSORE - Gioia, nel buio sei la mia luce, tu mi piaci, Gioia. Gioia, amore mio, Gioia… Non la provi anche tu questa atmosfera di intimità? Lasciati abbracciare. Dimmi cosa desideri. Gioielli, pellicce… Dammi un bacio. Si un bacio… amore… (l’abbraccia)

Scatta il lampo di un flash. La ragazza, trasalendo, indietreggia.

GIOIA – Mio Dio, che è stato?

PROFESSORE – Niente, niente, non è stato niente. Vieni, cara… (Cerca di riabbracciarla)

GIOIA - Mi lasci, mi lasci! 

Il professore cerca di rassicurarla ma l’incantesimo purtroppo si è rotto. Un cono di luce inquadra Fumello celato in un angolo.

FUMELLO – (Ripone la macchina fotografica e chiama con il telefonino) Pronto, signora Nerina?… Chi sono? un amico… Suo marito e l’infermiera si stanno baciando. Li ho colti sul fatto… Dove? Qui nel suo studio. La prova?… Ho scattato una foto con il professore e l’infermiera abbracciati… Non ci crede?… Sì, gliela farò vedere… Venga subito… Chiude. (Fregandosi poi le mani soddisfatto) 

PROFESSORE – (rivolto all’infermiera) Svelta, accendi la torcia di emergenza e chiama l’ENEL (L’infermiera esegue) 

INFERMIERA – (telefona) Pronto ENEL?… attenda, le passo il professor Alberico Alberici, luminare della medicina.

PROFESSORE - Pronto, Enel?… E’ andata via la luce… Sì, via Roma 14… mandi subito un tecnico… devo terminare un’operazione… non sa chi sono io! Io sono sì un luminare della reumatologia, ortopedia, traumatologia, ma non faccio quel tipo di luce… Spiritoso! (Riattacca e poi all’infermiera) Visto che non possiamo tagliare la gamba a questo paziente facciamo entrare il prossimo.

L’infermiera fa entrare Adalgisa mentre Luigi rimane sdraiato sul lettino sotto anestesia.

PROFESSORE – Accomodati (Indicando alla donna una sedia) Che patologia accusi?

ADALGISA - Come avete detto, dottore?

PROFESSORE - Ti ho chiesto di dirmi che male ti senti.

ADALGISA – Ah! Mi fa tanto male l’osso sacro. (si tocca la zona sacrale) Così tanto e forte che non gliela faccio più a camminare. Avete capito, dottore?

PROFESSORE - Hum, hum (stizzito) Che dottore e dottore! (Con sussiego) Professore, prego! 

ADALGISA – E che siete, pure santo che vi devo pregare?

PROFESSORE - Che santo e santo! Sono professore di medicina, sono il professor Alberico Alberici e perciò mi devi chiamare professore. Hai capito? (Sospira) Dunque, hai fatto un esame radiologico? Cioè, hai le lastre?

ADALGISA – Come no! Eccole. (Gliele porge)

PROFESSORE - (prende le lastre e le guarda controluce) Vediamo, vediamo la situazione anatomo-radiologica da un punto di vista clinico.

ADALGISA - Guardate un po’ quello che vi pare, basta che mi fate passare questo dolore. (Torcendosi e toccandosi la schiena)

PROFESSORE - Ahi, ahi, ahi! Hai una lordosi iperpronunciata (guardando ora le lastre ora la donna) con sospetta ernia interdiscale, nonché spondilo artrosi anchilosante, e, e… vedi, vedi…

ADALGISA - (facendo un cenno di diniego con la mano) Ma che devo vedere? Io sento dottore, oh, scusate, -professore- perché, se non vi chiamo –professore- vi incacchiate, io sento che mi fa tanto male l’osso sacro. 

PROFESSORE – (Le da una tastata nel fondoschiena) Bene, ti prescrivo delle punture e vedrai che ti passerà tutto e presto. (Si avvia alla scrivania)

ADALGISA - Che fate? Mi volete far guarire con le punture? A me la pomata mi ci vuole per guarire.

PROFESSORE – (irritato) E che, vuoi forse capire più di me? Del professor Alberico Alberici?

ADALGISA - Vi dico che a me mi guarisce la pomata. Adesso ve lo spiego: qualche tempo fa mi sentivo lo stesso male, allora quella volta, sono andata dal farmacista che mi dette una pomata che è stata miracolosa. E’ stato poi tanto disponibile che me l’ha pure spalmata sulla parte che mi faceva male. Sì, aveva un lettino nel retrobottega e lì sopra me la spalmava, me la spalmava prima con una mano sola po’ con tutte e due. Da dietro la schiena è passato nei fianchi e poi davanti e… parlando con poco rispetto più giù, più giù. Poi me sfregava, me sfregava con le mani dappertutto intorno alla vita e su e giù… E giù e su… Un calore professore, un calore, anzi un fuoco che me faceva scomparire ogni dolore e mi procurava un piacere, un gusto che, sempre parlando con poco rispetto, manco con mio marito l’avevo provato mai. (prende dalla tasca uno scatolino) Dottore, cioè professore, ecco la pomata del farmacista, quella che ha fatto il miracolo. E’ quasi finita. Questa stessa mi dovete segnare.

PROFESSORE - (con un sorrisetto compiacente) Vai, vai dal tuo farmacista e non mi far perdere tempo. Io non prescrivo certe “pomate”.

ADALGISA - (con tono grave) Purtroppo il povero farmacista è morto. Ecco perché sono venuta da voi. Perché anche voi siete un bell’uomo e con questa pomata e… (strizzandogli l’occhio) con un po’ di massaggi potreste farmi guarire. 

PROFESSORE - Ma per chi m’hai preso? Io, luminare della medicina, mi dovrei abbassare a fare i massaggi? Suvvia!

ADALGISA - Professore, questa volta ci ho azzeccato a chiamarvi come volete voi, mi dovete segnare la pomata e farmi i massaggi perché avete il dovere de guarire la gente. Se a me fa bene quella cura lì, quella mi dovete fare. Datemi la mano, (Gliela prende e gli mette un po’ di pomata) Eccovi un po’ di pomata… (Adalgisa si tira su la gonna. Sotto ha un paio di mutande vistose. Poi cerca di afferrare la mano del professore e di farsi massaggiare il fianco scoperto) Ora massaggiate, professore. (Il professore si ritrae e protesta. In questo frangente entra Nerina infuriata)

NERINA – Eccoli, eccoli i due piccioncini! Bravi, bravi! Mi volete dire che costa stavate facendo poco fa? 

FUMELLO – (mostrando a Nerina la foto con il marito e Gioia abbracciati) Ecco il maialone e la sua bella che si baciano. Guarda, guarda come ti cornificano. 

NERINA – Ecco la prova. (sventola la foto. Rivolta al marito) Maialone e schifoso. (A Gioia) e tu sgualdrina che non sei altro! Io ti sgraffio tutta! 

PROFESSORE – (a Nerina) Ascolta cara: un attimo fa, stavamo per amputare una gamba a quel paziente là sul lettino e lei, poverina, si è talmente impressionata che è svenuta. Io la stavo sorreggendo. 

NERINA – Cioè le stavi facendo la respirazione a bocca a bocca, eh?

PROFESSORE – Diciamo di sì.

NERINA - Mascalzone, traditore! Ora la respirazione la dovrai fare con la bombola d’ossigeno perché io t’ammazzo, t’ammazzo! (Comincia a picchiarlo con i pugni) Mi dicevi di volermi bene e invece te la spassavi allegramente con questa (rivolgendosi all’infermiera) pu… pupattola! 

PROFESSORE - (tenta di calmare Nerina) Ma… cara c’è un malinteso… hai interpretato male! 

NERINA – Mi credi proprio una stupida? Ora c’è la prova caro mio. Lo potete o no negare che vi stavate baciando?

GIOIA - (risentita) Signora, tra me e suo marito c’è stato solamente un rapporto di lavoro. 

NERINA – (inviperita) Il rapporto c’è stato... di sicuro, carina! Tu con quel visino da… oca e con le tue moine hai rimbecillito mio marito. Ma ricordati che a questa specie di “rubamaschi” io non concederò tregua. Io che sono, una cosa usa e getta? (al marito) E tu pagherai duramente ciò che hai fatto. Dovrai strisciare ai miei piedi affinché ti perdoni. 

GIOIA – Le ripeto che c’è stato tra noi solo un rapporto di lavoro. Di rubare suo marito non ci ho mai pensato nemmeno lontanamente.

NERINA – Sarai pure più giovane, ma prova a guardarti bene. Non sei quella che fai credere di essere. Sei tutta rifatta di silicone!

GIOIA – Di silicone io? Guardi, tocchi, tutta roba naturale, tutta! 

NERINA – Sì, sei tutta rifatta di silicone! A lui gli basta vedere una tetta e non capisce più niente, ma a me non inganni. Le tette mie saranno un po’ mosce, ma sono tutte naturali.

GIOIA – le ripeto che tra noi c’è stato solo un rapporto di lavoro. Se avessi voluto trarre qualche vantaggio avrei saputo come conquistare suo marito, sa?

Fa capolino alla porta Roberto, un artista imitatore, credendo che si tratti dell’ufficio di un Talent Scout. 

ROBERTO – Do-re-mi… do-re-mi… sol-la-si… sol-la si… (Entra in scena eseguendo alcune performance per cercare di attirare l’attenzione del professore scambiato per il Talent Scout) E’ qui l’ufficio “E’ nata una stella?”. Lei è il manager, il talent scout? Sono Rob, artista, imitatore, musicista, cantante, animatore. (Gli da la mano con una stretta vigorosa e prolungata)

PROFESSORE – (cercando di staccarsi, irritato) Ma lei chi è? Chi cerca?

ROBERTO – (cantando) Io cerco la Titina, la cerco e non la trovo… Come chi sono’ le ho già detto, sono Rob. E questa è la mia sigla. do-re-mi… do-re-mi… sol-la si… sol-la si… 

PROFESSORE – (imbestialito) Ma si levi di torno, non mi scocci! Che ne so io della sua Titina

NERINA - (come se niente fosse, al marito) Non ti perdonerò nemmeno se torni in ginocchio.

ROBERTO – (imitando) Ritornerò, in ginocchio da te… 

Nel trambusto entra Mario, l’informatore scientifico di farmaci che cerca di parlare con il professore facendo altra confusione.

MARIO – (mostrando le forbicine) Permette, professor Alberici? Sono venuto, come mi aveva detto, per mostrarle le forbicine. Guardi che concentrato di altissima tecnologia. Guardi che roba! Quante me ne ordina? Ecco la copia commissione. Facciamo 5 scatole? (Sottoponendogli una copia commissioni) Firmi, firmi qui.

PROFESSORE – (costernato) Ma le sembra questo il momento? Non vede che casino?

FUMELLO – (Saltando e ballando) Che bello questo casino. Evviva, evviva! Che bello, che bello! 

ROBERTO – (cantando) La vita è bella e la voglio goder… Allora mi scrittura? Io ballo, canto, suono, faccio imitazioni. Quali sono i suoi spettacoli in cartellone? Sul cascet ci mettiamo d’accordo. La mia arte non ha prezzo, ma sono modesto nelle pretese economiche.

Adalgisa rincorre il professore per farsi massaggiare, così pure l’imitatore e l’informatore scientifico. Ognuno cerca di parlare al professore sovrastando le voci degli altri. 
Nerina e l’infermiera si guardano inferocite e alla fine si azzuffano. 

NERINA – Sgualdrina! Hai cercato di rubare mio marito, confessa.

GIOIA – Io non ho rubato nessuno, io cerco l’amore di un bravo ragazzo altro che quel vecchiaccio di suo marito.

NERINA – Come sai fingere! Sgualdrina, sgualdrina!

GIOIA – Io non le permetto di chiamarmi sgualdrina, ha capito! (Si azzuffano correndo anche loro intorno al tavolo) 

Si sveglia Luigi e frastornato scende dal lettino.

LUIGI – Ah, la mia testa! Dove sono? (Si tasta addosso per controllare che i suoi pezzi ci siano tutti) Ah, professore, senta, sono guarito, vero? Quando mi toglie l’ingessatura?

PROFESSORE – Ma che guarito, che guarito!

FUMELLO – bene, bene. Gran Satan, ti mando un’infornata di gente che vedrai… Altro che cessi!

Entra l’operaio dell’ENEL con la cassetta degli attrezzi.

OPERAIO DELL’ENEL – (Gridando sopra la baraonda) Sono il tecnico dell’ENEL, chi è il professor Luminare?

PROFESSORE – Sono io, sono il professor Alberico Alberici, “il” luminare…

FUMELLO – Vai via! Al buio si sta tanto bene. Vai via! vai via! (Cerca di spingere fuori L’operaio dell’ENEL)

OPERAIO DELL’ENEL – Ma che maniere! Che spinge, lei! (Dà una gomitata nelle costole di Fumello) Che è questo casino? (gridando per farsi sentire in quella confusione) Il quadro elettrico dov’è?

PROFESSORE – E’ là dietro, a destra…

L’operaio dell’ENEL fa dietro le quinte. 

Il professore tenta di separare le due donne con una mano mentre con l’altra tiene a bada Adalgisa. L’imitatore canta e balla e il rappresentante agita le forbicine sotto il naso del professore.
Dopo un po’ ritorna la luce. C’è un forte sospiro liberatorio e tutti rimangono muti e immobili. Solo Fumello si agita e batte i piedi contrariato imprecando contro la luce. Fa alcune piroette e sempre imprecando esce in una nube di fumo. 

GIOIA – (vede nell’imitatore un suo ex ammiratore) Roberto! Sei proprio tu? Mi sembrava e non mi sembrava, ora che è ritornata la luce ti ho riconosciuto e sono contenta di rivederti.

ROBERTO - (Avvicinandosi) Gioia, che piacere! Quanto ho desiderato d’incontrarti… Sei sempre bellissima. (le prende una mano e la bacia)

GIOIA - Grazie, Roberto. (Civettuola) Ti piaccio ancora? 

ROBERTO – Mi piaci… moltissimo.

GIOIA - Che fai da queste parti?

ROBERTO - Sono un artista, lo sai… Mi sto affermando nel settore delle imitazioni con un certo successo. Ho saputo che c’è qui un Talent Scout e volevo contattarlo per una qualche scrittura. (Fa alcune imitazioni)

GIOIA – Ma tu hai sbagliato piano! Quello ha l’ufficio al piano di sopra. 

ROBERTO – E allora è stato il destino che ci ha fatto ritrovare. Sai, molte volte ti ho pensato e dicevo tra me: se avrò modo di incontrarla le devo dire una cosa… Posso dirtela? Gioia, tu mi piaci sempre… Cioè… io ti amo sempre…

GIOIA – Anch’io, Roberto… Anch’io… 

ROBERTO – E allora al diavolo il Talent Scout. Andiamo cara, c’è fuori una primavera… 

GIOIA _ Si, Roberto. (Rivolta a Nerina) Io ho sognato sempre e solo l’amore. L’ha capito ora, cara signora! Si tenga quel vecchio vitellone di suo marito con tutto il lume della sua scienza.(Si toglie il grembiule e lo getta a terra come per liberarsi di un peso e si accinge ad uscire insieme al ragazzo) 

PROFESSORE – (a Nerina) Hai visto, cara, che tra me e l’infermiera non c’era niente?

GIOIA – (con cattiveria, a Nerina) Non c’era niente perché io non ho accettato le sue proposte: Rio de Janeiro, la suite, Copacabana, i gioielli i Vip… Io sognavo un piccolo lembo di spiaggia dove andare con il mio ragazzo e basta. (A Roberto, con tenerezza) Ora ci andremo, vero Roby?

ROBERTO – Cosa, cosa? Che proposte ti ha fatto questo martufo? (Si fa sotto al professore, minaccioso)

NERINA – (interviene anche lei contro il marito) Vedi che ci hai provato a tradirmi. Lo sapevo! Ora ti aggiusto io! Che cos’era questo Rio de Janeiro, la suite, Copacabana? Parla, parla!

ROBERTO – Allora, professore luminare, vogliamo chiarire questo suo comportamento nei confronti di Gioia o vuole che sia io a schiarirle la memoria?

PROFESSORE – Calma, calma. (Si asciuga la fronte con un fazzoletto, sfinito) Ora vi spiego. Avevo pensato di portarmi la signorina come segretaria per smistare la corrispondenza, organizzare al meglio la mia partecipazione al Congresso…

NERINA – (saltando su, inviperita) Ma che mi pigli proprio per una scema? Te la do io la corrispondenza… (Cerca di schiaffeggiarlo e lui si difende parando i colpi)

GIOIA – Lascia perdere, Roberto. Era solo un pover’uomo che avendo la moglie vecchia cercava qualche diversivo. Ma a me fa solo pena. Andiamo, la nostra vita ci si sta aprendo davanti. (escono mano nella mano, sorridenti)

Il professore e la moglie continuano a bisticciare. 

ADALGISA - (fissando il rappresentante, gli gira intorno) Ma guarda, guarda chi si vede! Sei proprio tu? Non ci posso credere. Ne hai messo di tempo per comprare le sigarette, eh? E dove accidenti stava il tabaccaio? Al polo sud? (Gi si pianta davanti con le mani sui fianchi) 

MARIO - Adalgisa! E che fai tu qui?

ADALGISA - Un maledetto male all’osso sacro… Ma le braccia ce le ho buone. (Si arrotola le maniche della veste come per prenderlo a pugni) Non dobbiamo saldare qualche conticino, noi due?

MARIO – Perdonami, cara… (Si inginocchia) Sì, è stata una sbandata… Era giovane… bella… Ma ora è tutto finito. Vuoi sapere anche un’altra cosa? Ho smesso di fumare. 

ADALGISA – (più conciliante) Allora, a comprare le sigarette non ci vai più? 

MARIO – No, no! Sono diventato virtuoso. Niente fumo, niente vino, niente donne…

ADALGISA – Oh, piano, piano. Niente donne no… Eh! Niente di “quelle” donne…

MARIO – Allora, posso tornare a casa?

ADALGISA – Beh… però a una condizione: vedi questa pomata? (Gli mostra lo scatolino) E’ miracolosa per il mio male. Mi ci faceva i massaggi il farmacista. Che mano! (Sospira estasiata, quasi in deliquio)

MARIO – (rimane a guardarla interdetto) Come, come? Ti facevi fare i massaggi dal quel donnaiolo del farmacista?

ADALGISA – Eh! Io stavo male, tu non c’eri… 

MARIO – Ma guarda che faccia tosta! Allora tu…?

ADALGISA - Qualcuno mi doveva curare, non ti pare?

MARIO – Allora, mentre io… tu… ti facevi massaggiare…

ADALGISA - Ti ci sta bene a lasciar la moglie così e col mal di schiena. Che coscienza!

MARIO - Adesso come stai?

ADALGISA – Come sto mi chiedi? Se sto qui dal dottore, anzi dal professore è perché non mi sento bene per niente. Dopo che è morto il farmacista i dolori m’hanno ripreso, ma il professore ha fatto tante storie… (Sottovoce) Secondo me, quello là (indica il professore) non ci ha capito niente. E comunque io di questi massaggi ho bisogno per guarire e allora chi me li fa, me li fa! Hai capito?

MARIO – Se le cose stanno così… Se questi massaggi ti fanno bene vuoi che te li faccia io?

ADALGISA – Io ti dico che sto male e che ho bisogno dei massaggi. Qualcuno me li deve fare e chi è, è!

MARIO – Ho capito, ho capito… Andiamo, che i massaggi te li farò io con la pomata, senza pomata… Ti assicuro, cara, che ti farò una cura miracolosa e sono sicuro che guarirai perfettamente. 

ADALGISA – Oh, era ora che qualcuno si prendesse cura di me! E allora muoviti, sbrigati, che non vedo l’ora di star bene. (Mario e Adalgisa escono)

Mentre Mario e Adalgisa ancora parlano, Luigi prova a fare qualche passo ma ha difficoltà a camminare. Si rivolge quindi al professore che ancora litiga con la moglie.

LUIGI – Brrr, brr… ha capito professore che io voglio guarire? Perché non resisto se non vado in moto. Brrr, brrr… la moto è la mia vita, è tutto per me. Brrr, brrr… (Sta per cadere e si aggrappa a Nerina)

PROFESSORE – Non vedi che ho altro da pensare che alla tua brrr, brrr…

NERINA – (premurosa, lo sostiene per un braccio e lo aiuta a camminare) Ah, tu sei un motociclista… Che bello!

LUIGI – La moto è tutto per me. Brrr,brrr…

NERINA – Esagerato! Tutto alla tua età? Più della donna?

LUIGI – Certamente! La moto è bella, potente, inebriante. Brrr… brrr, prima, seconda, terza… Via veloci come il fulmine. La donna? Avevo una ragazza e quando facevamo l’amore l’unica cosa che percepivo era un fastidioso rumore di mascelle. Masticava sempre un maledetto chewing gum. Quando hai sotto di te una moto senti invece un cuore che pulsa a migliaia di giri, un rombo che è una musica, e via una volata verso il paradiso. Brrr, brrr…

NERINA – Segno che non era la donna giusta.

LUIGI – Ho cambiato ragazza e dopo un po’ le ho chiesto: facciamo l’amore? E lei: Sì, se ne sei all’altezza. Sappi che il precedente ragazzo aveva queste misure… e mi snocciolava numeri di dimensioni, diametri, lunghezze che accompagnava con gesti delle mani. Io di numeri conosco solo quelli della cilindrata della potenza, del numero dei giri del motore, della ripresa, della velocità.

NERINA – Ma è possibile che non ci sia più l’amore vero fra voi giovani?

LUIGI – Beh qualche eccezione c’è. Qualche sera fa, prima dell’incidente, ho incontrato una donna. Era dolce, gentile…

NERINA – Vedi che c’è ancora qualche brava giovane.

LUIGI - Brava, brava… Sì, sì… E non è stata nemmeno tanto esosa: ha voluto solo cinquantamila lire.

NERINA – (lo guarda arrapata) Sai che ho un debole per le moto. (Si mette a camminare gattoni facendo brrr, brrr, brrr per imitare la moto. Fa un giro di palcoscenico e poi si avvicina a Luigi) Sali, sali in sella. Sentirai che ebbrezza!

Luigi le salta a cavalcioni e insieme facendo brrr, brrr si avviano verso l’uscita.

PROFESSORE - (allibito, balbetta) Ne… Ne… Nerina, che fai, mi lasci?

NERINA - Certo, professore dei miei stivali! Professore dell’incarnita unguis che tradotto in italiano significa: Professore dell’unghia incarnita. Addio! Brr, brr (Escono)

OPERAIO DELL’ENEL – (Entra dal retro e guarda i due uscire in quel modo) Ma in che razza di casino sono capitato? Signor Luminare, ecco il conto.

PROFESSORE – Un momento. Come ti chiami?

OPERAIO DELL’ENEL – Mi chiamo Arturo, perché?

PROFESSOIRE – Ma che bel nome… (Gli gira intorno, scrutandolo da capo a piedi)

OPERAIO DELL’ENEL – Beh, che ha tanto da guardare? Allora, paga o non paga?

PROFESSORE – Ma quanta fretta… (Suadente) Senti Arturo, io vado a Rio de Janeiro per un Congresso… Che ne diresti di venirmi a fare compagnia… prenotiamo una suite…

OPERAIO DELL’ENEL – Rio de Janeiro? Ma che diavolo vuole? Io me ne vado e l’importo glielo faccio addebitare nella prossima bolletta. Luminare, Rio de Janeiro… che casino! (Esce)

PROFESSORE – Che ignorante, non ha capito niente. Era solo per avere un amico con il quale parlare, dialogare… (Crolla a sedere, preso dallo sconforto) Sono finito, sono finito… (Si prende la testa tra le mani)

FUMELLO – (Entra in una nuvola di fumo) Gran Satan, ora ti mando un’anima fresca, fresca. Vedrai che a pulire i cessi non ci vado più. (Al professore) Sì, sì, sei finito, finito. Non ti resta che ucciderti. E’ bello sai farla finita. Un colpo di pistola e…

PROFESSORE – Uccidermi? Uccidermi, io? Toh! (fa un gesto eloquente. Poi ha una crisi di stizza. Con una manata butta a terra tutti gli oggetti sopra la scrivania e si mette a battere i pugni su questa finché sfinito si accascia sulla poltrona) 

FUMELLO – Professore, se non ti vuoi uccidere significa che vuoi vivere. E allora, su, su con la vita. Ti sei finalmente liberato di quella… donna, cioè di quella vecchia, non sei contento? E allora bando al passato e via col dare finalmente sfogo a tutti i tuoi più repressi desideri. Vai a Rio de Janeiro. (ballando) La città del samba, di Copacabana, delle brasiliane… Quella sì che è vita! Le brasiliane sì che sono donne con dei sederi così (Fa il cenno con le mani) delle tette… (nuovo cenno) due labbra, una lingua…

PROFESSORE – (gridando) Che vadano tutti a quel paese! (Vede per la prima volta Fumello) E tu chi sei? Và al diavolo anche tu! 

FUMELLO – Ma io –sono- il Diavolo! 

Fra risate fragorose e nuvole di fumo si chiude il sipario