Il lungo pranzo di Natale

Stampa questo copione

IL LUNGO PRANZO DI NATALE

di Thornton Wilder

La sala da pranzo di casa Bayard. La lunga tavola, collocata presso la ribalta, è apparecchiata con ele­ganza per il pranzo di Natale. Il posto di capotavola è all'estremità di destra (rispetto allo spettatore), e davanti ad esso un grosso tacchino è pronto per es­sere scalcato.

Una porta, in fondo a sinistra, dà sull'atrio. All'estrema sinistra, accanto al pilastro di proscenio, c'è uno strano portale, decorato di frutta e fori. Al­l'estremo opposto c'è un altro portale con tenda e drappeggi di velluto nero. I due portali simboleg­giano la nascita e la morte.

Novant'anni trascorreranno in questa commedia, che rappresenta, in scorcio, novanta pranzi di Natale nel­la casa dei Bayard. Il graduale invecchiamento dei personaggi sarà indicato dalla recitazione, e non da elaborati accorgimenti di vestiario. La maggior parte degli attori, tuttavia, avrà con sé una parrucca bianca, che si metteranno al momento indicato, sem­plicemente e senza commentì. Le signore potranno avere degli scialli che dapprima terranno sotto la tavola, e poi, invecchiando, si tireranno a poco a po­co sulle spalle. Durante tutta la commedia i perso­naggi continueranno a mangiare cibo immaginario, con coltelli e forchette immaginari. Non c'è sipario. Il pubblico, entrando, vede il palco­scenico già allestito con la sua tavola apparecchiata,sebbene ancora semibuio. Gradualmente le luci in sala s'attenuano e il palcoscenico s'illumina, finché tutta la luce d'un chiaro sole d'inverno entra dalle finestre della sala da pranzo.

Entra Lucia. Ispeziona la tavola, toccando qui un col­tello e là una forchetta. Parla a un'invisibile dome­stica.

lucia. Mi sembra che ora sia tutto in ordine, Gertru­de. Oggi non suoneremo il campanello, però. Vado a chiamarli io stessa. (Va nell'atrio e chiama?) Rode-rick. Mamma Bayard. È tutto pronto. Venite a pranzo.

Entra Roderick, spingendo Mamma Bayard nella sua poltrona a ruote.

mamma bayard. ... e anche un altro cavallo, Roderick. Una volta pensavo che due cavalli fossero un lusso addirittura scandaloso. Un cavallo nuovo, e una casa nuova, e una moglie nuova!

roderick. E cosi, mamma, che te ne pare? Il nostro primo Natale nella nuova casa! Sei contenta?

mamma bayard. Ts, ts, ts!... Non so che cosa avrebbe detto il tuo povero padre!

lucia. Ecco: qui, Mamma Bayard. Il tuo posto è qui tra noi due.

Roderick recita la preghiera di ringraziamento.

Mamma bayard. Lo sai, Lucia, che mi ricordo di quan­do proprio qui c'erano ancora gli indiani? E non ero neanche tanto ragazzina. Mi ricordo di quando per traversare il Mississippi dovemmo costruire una zat­tera apposta. Mi ricordo di quando St. Louis e Kan­sas City erano piene di indiani.

lucia, annodandole al collo il tovagliolo. Pensa un po'!... Ecco. Ma che giornata magnifica, per il nostro primo pranzo di Natale: una bella mattinata di sole, la neve, e uno splendido sermone. I sermoni del re­verendo McCarthy sono davvero splendidi. Non ho fatto che piangere.

roderick, tendendo un immaginario forchettone da scalco. Allora, che cosa prendi? Un po' di petto?

lucia. Gli alberi sono carichi di ghiaccioli fino all'ul­timo rametto. Una cosa che non capita quasi mai. Vuoi che tagli io, caro? {Si volta?) Gertrude, ho di­menticato la senape. Sai dov'è?... Si, sul ripiano più alto... Mamma Bayard, figurati che ho ritrovato una salsiera di tua madre, durante il trasloco. Come si chiamava, tua madre, da ragazza? E tu? Tu eri una... Wainright. E tua madre...

mamma bayard. Si, dovresti annotarlo da qualche parte, anzi. Io ero una Wainright. Geneviève Wainright. Mia madre era Faith Morrison. Era la figlia di un fattore nel New Hampshire che faceva anche un po' il fabbro. E sposò il giovane John Wainright.

lucia, contando sulle dita. Geneviève Wainright... Faith Morrison...

roderick. è tutto scritto in un libro che dev'essere di sopra, da qualche parte. È tutto scritto li. Un genere di faccende proprio interessantissime. Già. Ma su, Lucia, un po' di vino! Un goccio soltanto. Mamma, un goccio di vino rosso, almeno a Natale. Pieno di ferro. « Chi beve vino, campa cent'anni! »

lucia. Io, al vino, non riesco proprio ad abituarmi. Cosa direbbe mio padre? Immagino che non ci sia niente di male, però.

Entra dall'atrio il Cugino Brandon. Si siede accanto a Lucia.

cugino brandon, fregandosi le mani. Bene, bene, sen­to odore di tacchino. Cari cugini, non so dirvi quanto sia contento di trovarmi a questo pranzo di Natale con tutti voi. Ho vissuto tanti di quegli anni lassù in Alaska, senza nessuno della famiglia! Tu, Roderick, da quand'è che hai questa nuova casa?

roderick. Ma, dovrebbero essere...

mamma bayard. Cinque anni. Sono cinque anni, fi­glioli. Dovreste proprio tenere un diario. Questo è il vostro sesto pranzo di Natale qui.

lucia. Pensa un po', Roderick! E per noi, è come se ci vivessimo già da vent'anni.

cugino brandon. In ogni modo, sembra ancora come nuova.

roderick,,j£alcand^jl facchino. Cosa prendi, Brandon? Petto o coscia? Frida, riempi il bicchiere del cugino Brandon.

lucia. Ah, io proprio non riesco a farci l'abitudine, a questi vini. E non so che ne avrebbe detto mio padre, davvero. Tu cosa prendi, Mamma Bayard?

Durante la conversazione che segue, la poltrona a ruote dì Mamma Bayard — senza spinta apparente -comincia ad allontanarsi dalla tavola; poi volta a de­stra e s'avvia lentamente al portale scuro.

mamma bayard. Già, mi ricordo di quando proprio qui c'erano gli indiani.

lucia, piano. Mamma Bayard non sta molto bene, da un po' di tempo.

mamma bayard. Mia madre era una Morrison. Faith Morrison. E nel New Hampshire sposò un giovanot­to, John Wainright, che era pastore congregazionista. Lui la vide un giorno nella sua congregazione...

lucia. Mamma Bayard, non vorresti andare a coricarti un po'?

mamma bayard. ... e proprio a metà del sermone, si disse: «Sposerò quella ragazza». E la sposò, e io sono figlia loro.

lucia, alzandosi a metà e guardandola preoccupata. Un sonnellino ti farebbe bene.

mamma bayard. Ma sto benissimo. Continuate il vostro pranzo. Mi ricordo che avevo dieci anni, e dissi a mio fratello...

Esce. Una pausa, ma molto breve.


cugino brandon. Peccato che sia una cosi brutta gior­nata. Fredda, scura. Dovremmo quasi accendere le lampade. Mi sono fermato a chiacchierare un po' col maggiore Lewis, uscendo di chiesa. La sua sciatica gli dà fastidio, ma a parte questo è sempre in gamba.

lucia, asciugandosi gli occhi. Lo so che Mamma Ba­yard non vorrebbe vederci tristi per lei, il giorno di Natale, ma non posso dimenticare che soltanto un anno fa sedeva ancora qui con noi, sulla sua pol­trona a ruote. E le farebbe tanto piacere conoscere la buona notizia...

roderick, battendole un colpetto affettuoso sulla ma­no. Via, via. £ Natale. {Con formalità.) Cugino Brandon, un bicchiere di vino con voi, signore.

cugino brandon, cavalleresco, alzando il bicchiere. Un bicchiere di vino con voi, signore.

lucia. Come va la sciatica del maggiore? Lo fa sof­frire molto?

cugino brandon. Parecchio, probabilmente. Ma lo sai com'è il maggiore. Dice che tanto, di qui a cent'anni, non farà più nessuna differenza.

lucia. Già, lui è un grande filosofo.

roderick. Sua moglie ti manda mille ringraziamenti, per il regalo di Natale.

lucia. Non ricordo neanche più che cosa le ho man­dato. Ah, si, un cestino da lavoro! {Dal portale del­le nascite entra una balia spingendo una carrozzina '   ornata di nastri celesti. Lucia le corre incontro, con gli uomini dietro?) Oh, il mio tesoro nuovo! Il mio ;J   meraviglioso tesoro! S'è mai visto un bambino più : bello? Ma è un bambino o una bambina? Un bam-ì bino, Roderick! Come lo chiameremo? Non è vero, 1 balia, che non s'è mai visto un bambino più bello?

roderick. Lo chiameremo Charles come tuo padre e tuo nonno.

lucia. Ma non ci sono Charles, nella Bibbia, Rode­rick.

roderick. Ma certo, che ci sono. Almeno uno, c'è sicuramente.

lucia. Roderick!... Comunque, d'accordo. Ma per me sarà sempre Samuel. Che manine miracolose, ha! Davvero, sono proprio le più belle manine del mon­do. Va bene, balia. Dormi bene, bambino mio.

roderick. Attenta a non lasciarlo cadere, balia. Bran­don e io ne abbiamo bisogno in ditta. (La balia esce con la carrozzina nell'atrio. Gli altri tornano ai loro posti. Lucìa si siede al posto lasciato vuoto da Mamma? Bayard, e il Cugino Brandon, spostandosi d'un posto, siede accanto a lei. Il Cugino Brandon si mette la parrucca bianca?) Lucia, un po' di petto? Un po' di ripieno? E salsa di mirtilli, nessuno ne vuole?

lucia, voltandosi. Margaret, il ripieno è proprio squi­sito, oggi. Solo un po', grazie.

roderick. Ora qualche cosa per mandarlo giù. (57 alza a metà.) Cugino Brandon, un bicchiere di vino con voi, signore. Alle signore, che Dio le benedica.

lucia. Grazie, gentili signori.

cugino brandon. Peccato che sia cosi nuvolo, oggi. E niente neve.

lucia. Ma il sermone è stato bellissimo. Non ho fatto che piangere. Il reverendo Spaulding fa sempre dei bellissimi sermoni.

roderick. Mi sono fermato col maggiore Lewis,, uscen­do di chiesa. Dice che i suoi reumatismi vanno e ven­gono. Sua moglie dice che ha qualche cosa per Char­les; ce la porterà questo pomeriggio.

Entra di nuovo la balia con la carrozzina. Nastri ro-•   sa. Nuovo accorrere verso sinistra.

lucia. Oh, la mia bella bambina nuova! E dire che non avevo mai pensato che avrebbe potuto essere una bambina! Ma non è una perfezione, balia? È una perfezione!

roderick. Questa qui chiamala come vuoi. Stavolta spetta a te, di scegliere.

lucia, vezzeggiando la bambina. Lululululù!... Sississis-sissi!... (Al marito.) Si, questa volta farò a modo mio. Si chiamerà Geneviève, come tua madre. Fa un buon sonnellino, tesoro mio. (Segue con gli occhi la car­rozzina, che la balia spìnge verso l'atrio?) Ma ve l'im­maginate? Tra un po' di tempo, eccola già cresciuta e che dice : « Buon giorno, mamma. Buon giorno, papà ». Davvero, cugino Brandon, una bambina cosi non si trova mica tutti i giorni, sapete?

cugino brandon. Certo. E per di più anche la nuova fabbrica.

lucia. Una nuova fabbrica? Ma no!... Senti, Roderick, lo sai che io non mi sentirò per niente a mio agio, se ci succederà di diventare ricchi? Ne ho avuto paura per anni... Ma non dobbiamo parlare di certe cose a Natale... Prendo solo un po' di  etto, grazie... E sai un'altra cosa, Roderick? Charles è destinato al sacerdozio. Ne sono sicura.

roderick. Cara mia, ha solo dodici anni! Lasciagli il tempo di pensarci da sé! E poi noi lo vogliamo in dit­ta, te lo dico francamente. In ogni modo, è certo che 11         tempo non passa mai cosi lentamente come quando aspettiamo che i nostri marmocchi crescano e si sistemino negli affari.

lucia. Ah, io non ci tengo affatto che il tempo vada più svelto, grazie! I bambini mi piacciono cosi come sono. Ma davvero, Roderick, lo sai cos'ha detto il medico, no? Non più di un bicchiere per pasto. (Copre il bicchiere del marito con la mano.) No, Margaret, basta cosi.

roderick, col bicchiere in mano, s'alza con un'espres­sione angosciata sul volto e fa qualche passo verso il portale scuro. Mi chiedo che cosa mi succede, adesso...


lucia. Roderick, sii ragionevole.

roderick, vacillando, ma con spavalderìa. Ma le statì­stiche, mia cara, dimostrano che noialtri bevitori re­golari e moderati...

lucia, s'alza guardandolo angosciata. Roderick! Mio caro! Che...

roderick, torna al suo posto con un'espressione tra impaurita e sollevata. Be', è proprio bello ritrovarsi qui a tavola con voi! Quanti buoni pranzi di Natale ho mancato, in tutto il tempo che ho dovuto starmene di sopra? Ma eccomi di nuovo qui. E in una bella giornata di sole, anche.

lucia. Ah, mio caro, in che ansie siamo st2iti\ Ecco il tuo bicchiere di latte. Josephine, andate a prendere la medicina del signor Bayard, nell'armadio dello stu­dio.

roderick. Adesso che sto meglio, in ogni modo, vo­glio occuparmi un po' sul serio di questa casa.

lucia. Della casa? Ma Roderick! Non vorrai farci dei cambiamenti ?

roderick. Be', giusto una ritoccatina qua e là. Mi sem­bra diventata vecchia di cent'anni.

Charles entra con aria disinvolta dall'atrio. Bacia la madre sui capelli e si siede.

lucia. Charles, oggi l'addetto al tacchino sei tu. Tuo padre non si sente troppo bene. Dici sempre che per te è una fatica terribile scalcare il pollo o il tacchino, ma in verità lo fai benissimo.

Padre e figlio si scambiano i posti.

Charles. Che vento, stamattina, eh, mamma? Soffiava giù dalla collina come una cannonata.

lucia. E il sermone è stato cosi bello! Non ho fatto che piangere. A Mamma Bayard piaceva talmente un bel sermone. Gl'inni di Natale, poi, li cantava tutto l'anno. Ah, Dio mio! Ho pensato a lei tutta la mat­tina...

roderick. Mamma, è Natale. Non devi pensare a cose tristi! Non devi affliggerti!

lucia. Ma le cose tristi e le cose che affliggono, vedi, non sono mica le stesse. E io, sarà che sto invecchian­do, ma... mi piacciono.

CHARLES. Zio Brandon, ma non avete preso niente! Passatemi il suo piatto, Hilda... e la salsa di mirtilli...

Entra Geneviève. Bacia suo padre sulla tempia e si siede.

geneviève. Una giornata magnifica. Gli alberi sono co­perti di ghiaccioli fino all'ultimo rametto. Una cosa che non capita quasi mai.

lucia. Hai avuto tempo di portare quei regali, Geneviève, uscendo di chiesa?

roderick, alzandosi e avviandosi verso il portale scu­ro. Le statistiche, signore e signori, dimostrano che noialtri regolari e moderati...

Charles. Che ne diresti di andarcene un po' a patti­nare, questo pomeriggio, papà?

roderick. E io vivrò fino a novantanni, vedrete!

lucia. Però non credo proprio che dovrebbe andare a pattinare.

roderick, ormai al portale, con improvviso stupore. Si, ma... ma... non ancora!

Esce.

lucia, asciugandosi gli occhi. Era cosi giovane e cosi intelligente, cugino Brandon. (Alza la voce per la sordità del Cugino Brandon) Dico che era cosi gio­vane e cosi intelligente. Non dimenticatelo mai, vo­stro padre, figlioli. Era un uomo buono, giusto. Be' lui non vorrebbe vederci afflitti per causa sua, oggi.

Charles. Coscia o petto, Geneviève? Un'altra fettina, mamma ?

lucia, mettendosi la parrucca bianca. Mi ricordo del nostro primo pranzo di Natale in questa casa, Gene­viève, venticinque anni fa. Venticinque anni giusti. Mamma Bayard era seduta qui, nella sua poltrona a ruote. Si ricordava di quando qui ci vivevano gli in­diani e di quando dovette traversare il fiume su una zattera.

Charles e geneviève. Ma non è possibile, mamma. Non può essere.

lucia. Ma certo, che può essere. Io stessa mi ricordo di quando qui, per esempio, c'era una sola strada lastricata. E quanto a marciapiedi, era già bello se c'erano dei passaggi di tavole. (Più forte, al Cugino Brandon.) Noialtri ci ricordiamo di quando qui non c'erano ancora i marciapiedi, vero, cugino Bran­don?

cugino brandon, contentissimo. Ah, certo! Quelli si, che erano tempi.

charles e geneviève, sottovoce, nel tono di chi ripete scherzando un ritornello familiare. Quelli si, che era­no tempi.

lucia. ... e al ballo di ieri sera, Geneviève, vi siete di­vertiti? Spero che non avrai ballato il valzer, cara. Credo che una ragazza della tua posizione dovrebbe dare l'esempio. E Charles, ti ha tenuto d'occhio?

geneviève. Be', non vedo proprio come avrebbe potuto. Lui non ha più occhi che per Leonora Banning. Non può più nasconderlo, mamma. Secondo me s'è già fidanzato..

Charles. Io non mi sono fidanzato con nessuno.

lucia. Be', Leonora Banning è una ragazza molto ca­rina.

geneviève. Io invece non mi sposerò mai, mamma... Resterò sempre qui accanto a te, in questa casa, e sarà come se tutta la vita fosse un lungo e felice pranzo di Natale.

lucia. Ah, non dovresti dire certe cose, bambina mia!

geneviève, in tono di scherzo. Non mi vuoi? Non mi vuoi? {Lucia scoppia in lacrime?) Ma via, mamma, che sciocchina, che sei! Non c'è niente di triste in tutto questo... Che cosa potrebbe esserci di triste?

lucia, asciugandosi gli occhi. Scusami. Sono soltanto un po'... imprevedibile, ecco tutto.

Charles va alla porta e fa passare Leonora Banning.

leonora, baciando Lucia sulla tempia. Buongiorno, Mamma Bayard. Buongiorno a tutti. Una mattina di Natale davvero splendida.

Charles. Un po' di petto? Geneviève? Mamma? Leo­nora?

leonora. Gli alberi sono carichi di ghiaccioli fino al­l'ultimo rwnetto. Una cosa che non capita quasi mai.

charles, gridando. Zio Brandon, un altro? Rogers, riempite il bicchiere allo zio.   -

lucia, a Charles. Fa' come faceva tuo padre. Il cu­gino Brandon ne sarà felice. Lo sai come faceva. (Fingendo di alzare un bicchiere?) « Zio Brandon, un bicchiere di vino... »

charles, alzandosi. Zio Brandon, un bicchiere di vino con voi, signore.

brandon. Un bicchiere di vino con voi, signore. Alle signore, che Dio le benedica tutte.

le signore. Grazie, gentili signori.

geneviève. E se andrò in Germania a studiare musica, prometto di tornare per Natale. Non vorrei man­carlo a nessun prezzo, un Natale qui.

lucia. Ah, quanto non mi piace di pensare a te lag-.  giù tutta sola, in quelle strane pensioni...

geneviève. Ma vedrai, mamma: il tempo passerà cosi presto, che farai appena in tempo ad accorgerti che sono partita. Tornerò in un batter d'occhio.

Entrano da sinistra balia e carrozzina. Nastri verdi.

leonora. Oh, che angelo! Il bambino più carino del mondo. Fatemelo prendere in collo un momento, balia. (Ma la balia traversa risolutamente la scena, spingendo la carrozzina, ed esce dalla porta scura?) Ah, gli volevo cosi bene!

Lucia s'avvicina e le passa un braccio attorno alle spalle. Le due fanno il giro della stanza, sussurrando. Eoi Lucia consegna la nuora a Charles, che la conduce intorno alla stanza nella stessa maniera.

geneviève, piano, mentre sua madre torna a sedersi. Non c'è niente che io possa fare?

lucia, con voce -rotta. No, cara. Solo il tempo, solo il passare del tempo, può aiutare in queste cose. (Char­les e Leonora tornano a tavola?) Non credete che po­tremmo dire alla cugina Ermengarde di venire ad abitare con noi? C'è posto per tutti, qui, e non c'è ra­gione che lei continui a fare la maestra in eterno. Non darebbe fastidio, non è vero, Charles?

Charles. No, no, per me andrebbe benissimo... Nes­suno vuole ancora patate? E il sugo? Un altro po' di tacchino, mamma?

Brandon si alza e s'avvia lentamente verso il portale scuro. Lucia s'alza e resta ferma con la faccia tra le mani.

cugino brandon, borbottando. Erano grandi tempi, quelli, là in Alaska...

geneviève, alzandosi a metà e guardando impaurita la madre. Mamma, che cos'hai? Che...

lucia, in fretta. Niente, cara. Passerà. Tu non lasciare la tua musica, eh? (Vedendo che Geneviève fa per andarle accanto) No, no. Voglio restare qualche mi­nuto sola.

Si volta e s'avvia verso destra, dietro il Cugino Bran­don.

Charles. Se i repubblicani votassero tutti uniti, invece di dividersi in tante cricche, potrebbero impedirgli di venire eletto per la seconda volta.

geneviève. Charles, la mamma non ci dice niente, ma da un po' di tempo non sta affatto bene.

Charles. Su, mamma. Ce ne andremo in Florida, per qualche settimana.

Esce Brandon.

lucia, sorrìdendo a Geneviève e salutandola con la mano. Non fare la bambina, sai! Non affliggerti.

Congiunge le mani sotto il mento e le sue labbra si muovono in un sussurro; varca serenamente la porta. Geneviève resta a guardare, irrigidita. Nello stesso momento, da sinistra, entra la balia con la carrozzina. Nastri giallini. Leonora si precipita.

Leonora. O miei cari... Gemelli... Charles, non sono magnifici? Guardali, guardali.

geneviève, s'abbandona sulla sua seggiola, con le brac­cia sul tavolo e il volto nascosto tra le braccia. E io adesso che farò? Che resta più da fare, a me?

Charles, chinandosi sulla carrozzina. Ma qual è il bam­bino e qual è la bambina?

Leonora. Mi sembra di essere la prima madre che ab­bia avuto dei gemelli. Guardali adesso! Ah, perché Mamma Bayard non è potuta restare tanto da ve­derli!

geneviève, alzandosi d'un tratto sconvolta, e quasi gri­dando. Non voglio più andare avanti. Non posso. Non ne posso più.

Charles, le corre accanto, e si siede con lei, parlando­le a bassa voce e tenendole le mani. Ma Geneviève, Geneviève! Pensa che dolore sarebbe per la mamma pensare che... Geneviève!

geneviève, scuotendo la testa, con disperazione. Non le ho mai detto com'era meravigliosa... Noi la trat­tavamo tutti come se fosse stata soltanto un'amica di casa. E m'immaginavo che dovesse restare qui con noi per sempre.

Leonora, timidamente. Geneviève, cara, vieni un mo­mento qui a tenere le mani dei bambini. La femmi­nuccia la chiameremo Lucia come sua nonna... Sei d'accordo? Vieni a vedere che manine adorabili, han­no!

geneviève, si riprende e s'accosta alla carrozzina. Sor­ride incerta, chinandosi a guardare. Sono meraviglio­si, Leonora.

Leonora. Prova a dargli un dito. Vedrai, come lo strin­gono!

Charles. Il maschietto lo chiameremo Samuel. Bene, adesso torniamo a tavola e finiamo di mangiare. Non ve li fate cadere, balia. O in ogni modo, non fatevi cadere il maschio. Ne abbiamo bisogno in ditta.

leonora, resta ancora un momento a guardarli, mentre la balìa spinge la carrozzina verso l'atrio. Un giorno saranno grandi. Ve l'immaginate? Entreranno qui e diranno: «Ciao, mamma!».

Fa con la gola dei rumori dì rapita meravìglia.

charles. Su, avanti, un po' di vino, Leonora, Gene­viève. Pieno di ferro! Edoardo, riempite i bicchieri delle signore. Bella mattinata davvero. Un bel fred­do asciutto. Andavamo sempre a pattinare, con papà, le mattine di Natale come questa. E la mamma tor­nava di chiesa dicendo...

geneviève, con aria trasognata. Lo so. Dicendo : « Uno splendido sermone. Non ho fatto che piangere ».

leonora. Ma perché piangeva, cara?

geneviève. Tutti quelli della sua generazione piange­vano, al sermone. Erano fatti cosi.

Leonora. Ma davvero?

geneviève. Sai, in chiesa, loro dovevano andarci fin da piccoli; e cosi penso che ascoltando il sermone, si ri­cordassero dei loro genitori: come succede a noi a questi pranzi di Natale, specialmente in una vecchia casa come questa.

Leonora. è davvero molto vecchia, Charles! E cosi brutta, con la sua orribile torretta a cupola e quei fronzoli di ferro battuto tutt'intorno.

geneviève. Charles! Non vorrai farci dei cambiamenti!

Charles. Non voglio buttarla giù, ma buon Dio, è vecchia di cinquant'anni! Questa primavera faremo demolire la cupola e costruiremo un'ala nuova, verso il campo da tennis.

Da questo momento Geneviève comincia a cambiare. Siede più rigida, a labbra strette, con pieghe ormai fisse agli angoli della bocca. Diventa una vera zitel­la, dall'aria un po' disincantata. Charles diventa il tipico uomo d'affari, un tantino pomposo.

Leonora. E poi, non potremmo dire alla nostra vecchia cugina Ermengarde di venire a vivere con noi. No? È il tipo di cara persona che non dà nessun fastidio.

Charles. Ma diciamoglielo subito, anzi. E che lasci una buona volta quel suo lavoro di maestra.

geneviève. Si direbbe che ci ricordiamo di lei soltan­to a Natale, quando abbiamo la sua cartolina di auguri sotto il naso.

Entrano, da sinistra, balia e carrozzina. Nastri az­zurri.

Leonora. Un altro bambino! Un altro bambino! Ecco qui un Roderick per voi, finalmente!

Charles. Roderick Brandon Bayard. Un vero piccolo lottatore.

leonora. Ciao, caro. Non crescere troppo presto, sai? Sissi! Sississi! Resta cosi come sei. Grazie, balia.

geneviève, che non ha lasciato la tavola, ripete in tono asciutto. Resta cosi come sei.

Escono balia e carrozzina. Gli altri tornano ai loro posti.

leonora. Adesso ho tre bambini. Uno, due, tre. Due bambini e una bambina. Ne sto facendo collezione. Una cosa molto eccitante. {Si volta) Come, Hilda? Ah, è arrivata la cugina Ermengarde. Entrate, cu­gina.

Va nell'atrio e torna accompagnando la Cugina Er­mengarde, che già porta la sua parrucca bianca.

ermengarde, timidamente. Sono cosi contenta di ve­nire a stare qui... con tutti voi...

Charles, offrendole una seggiola. I gemelli vi hanno già preso in grandissima simpatia, cugina.

leonora. E il più piccolo le si è attaccato subito.

Charles. Noi, com'è che siamo imparentati, esatta­mente, cugina Ermengarde? Ah, ma diccelo tu, Ge­neviève, è la tua specialità... Ancora un po' di tac­chino e di salsa, mamma? Salsa di mirtilli, nessuno?

geneviève. Si, credo di poterci arrivare: dunque, cu­gina Ermengarde, Mamma Bayard era vostra...

ermengarde. Vostra bisnonna Bayard era seconda cu­gina di mia bisnonna Haskins attraverso i Wain-right.

Charles. Be', è tutto scritto in un libro che dev'essere di sopra, da qualche parte. Un genere di faccende interessantissime...

geneviève. Sciocchezze. Non c'è nessun libro di so­pra. Le mie note le raccolgo dalle lapidi delle tom­be, e bisogna grattar via una quantità di muschio, credete a me, per ritrovare il bisnonno di qualcuno.

Charles. Nonna Bayard traversò il Mississippi su una zattera, prima che ci fossero i ponti e i ferryboat. Cosi, almeno, ho sentito raccontare; perché quando lei mori, Geneviève ed io non eravamo ancora nati. Certo che il tempo passa presto, in un grande paese nuovo come questo. Non prendete ancora un po' di salsa, cugina Ermengarde?

ermengarde, timidamente. In Europa, invece, il tem­po deve passare terribilmente lento, con questa tre­menda guerra che non finisce mai...

charles. Be', forse una guerra di tanto in tanto non è poi questo gran male. Elimina una quantità di ve­leni che s'accumulano nelle nazioni. È come quando scoppia un foruncolo.

ermengarde. Ah, Signore, Signore!

Charles, con soddisfazione. Si, proprio come un fo­runcolo. Oh, ma ecco i nostri gemelli!

I gemelli entrano dall'atrio e si soffermano sulla porta. Sam è in uniforme di cadetto, e Lucia sta occupandosi di qualche particolare dell' uniforme stessa.

lucia. Non è magnifico, in divisa, mamma? Charles. Vieni a farti vedere.

sam. Mamma, baderai tu che Roderick non traffichi con la mia collezione di francobolli, mentre io non ci sono?

Leonora. E tu, Sam, scrivici una letterina ogni tanto. Fa' il bravo ragazzo e scrivi, ricordatene.

sam. E tu, cugina Ermengarde, mandami ogni tanto qualcuno di quei tuoi dolcetti, eh?

ermengarde, fremente d'affetto. Certo, mio caro! Certo!

charles. Se hai bisogno di denaro, ricordati che ab­biamo agenti a Parigi e a Londra.

sam. Be', arrivederci...

S'avvia risolutamente a destra ed esce dal portale scuro, gettando davanti a sé la parrucca bianca di cui non avrà più bisogno. Lucia si siede a tavola con gli occhi bassi.

ermengarde, dopo una breve pausa, a voce bassa, in tono sforzato di conversazione. Mi sono fermata a chiacchierare un momento con la signora Fairchild, uscendo di chiesa. Dice che i suoi reumatismi vanno un po' meglio, e ti manda mille ringraziamenti per il regalo di Natale, Leonora. Un cestino da lavoro, mi pare? Il sermone è stato ammirevole, e la no­stra vetrata era cosi bella. Davvero cosi bella. Tutti ne parlavano, e parlavano con tanto affetto di Sam-my. {Leonora si porta una mano alla bocca) Scu­sami, Leonora, ma è meglio parlarne che non par­lame, dal momento che stiamo tutti pensando a lui cosi forte...

Leonora, alzandosi con un singhiozzo. Era appena un ragazzo, appena un ragazzo, Charles.

Charles. Mia cara... Mia cara...

Leonora. Vorrei dirgli com'era caro, com'era mera­viglioso... E l'abbiamo lasciato andare cosi! Cosi! Co­me se niente fosse... Scusatemi. (S'alza e cammina per la stanza-) Si, certo, Ermengarde... è meglio par­larne.

lucia, a bassa voce, a Genevìève. Non c'è niente che io possa fare, Geneviève?

genevìève. No, no. Solo il tempo, solo il passare del tempo può aiutare, in queste cose.

Leonora, camminando per la stanza, si trova accanto alla porta dell'atrio nel momento in cui entra Rode-rick. Il figlio la prende affettuosamente a braccetto e la riconduce al suo posto.

roderick. Ma che è successo? Perché avete tutti que­st'aria scura? Il pattinaggio era proprio una meravi­glia, oggi.

Charles. Siediti, giovanotto. Devo parlarti.

roderick. C'erano tutti. E Lucia è rimasta tutto il tem­po a pattinare negli angoli con Dan Creighton. Dun­que a quando, eh, Lucia? A quando?

lucia. Non capisco proprio che vuoi dire.

roderick. Lucia ci lascerà presto, mamma. Dan Crei­ghton, eh? Ma guarda un po'! Chi l'avrebbe detto?

charles, minaccioso. Roderick, devo parlarti.

roderick. Si, papà.

Charles. è vero, Roderick, che ieri sera hai dato scan­dalo al Country Club? E proprio al ballo della Vi­gilia di Natale?

leonora. Non adesso, Charles, ti prego. E il pranzo di Natale.

roderick, forte. No, non è vero.

lucia. Davvero, non è stata colpa sua, papà. è stata tutta colpa di quel terribile Johnny Lewis.

Charles. Non voglio saperne niente, io, di Johnny Lewis! Voglio sapere se mio figlio... se uno della mia famiglia...

Leonora. Charles, ti supplico...

Charles. ... la famiglia più onorata di questa città!

roderick, alzandosi. Odio questa città, e tutto quello che c'è in questa città. L'ho sempre odiata.

Charles. Ti sei comportato da giovinastro viziato, ec­co, come ti sei comportato! Da giovinastro viziato!


roderick. Ma che ho fatto? Insomma che ho fatto, di così spaventoso?

Charles. Ti sei ubriacato, e ti sei comportato da vil­lanzone con le figlie dei miei migliori amici...

geneviève, battendo una mano sul tavolo. Basta! Niente può giustificare una scenata come questa. Charles, mi vergogno di te.

roderick. Dio santo, bisogna bene ubriacarsi per for­za in questa città, per dimenticarsi di quant'è noiosa. Il tempo cammina cosi piano, qui, che sembra addi­rittura fermo. Ecco qual è il guaio.

Charles. E allora, giovanotto, un bell'impiego del tem­po te lo trovo subito io. Lascerai l'università, e dal 2 gennaio verrai a lavorare in fabbrica.

roderick, dalla, -porta dell'atrio. Ho di meglio da fa­re, io, che di venire a lavorare nella tua vecchia fab­brica. Me ne vado da qualche parte dove il tempo cammini, Dio santo!

Esce nell'atrio.

leonora, alzandosi. Roderick, Roderick, vieni qui. Tor­na qui un momento... Charles, ma dove vuole an­dare? Dove può...

lucia, alzandosi. Mamma, tornerà, vedrai. Io adesso devo andare di sopra a preparare il mio baule.

leonora. Non avrò più qui nessuno dei miei figli!

lucia. Tornerà, mamma. è andato soltanto in Califor­nia, o da qualche parte cosi. La cugina Ermengarde ha già preparato quasi tutto il mio bagaglio. Grazie tanto, cugina Ermengarde. (Bacia sua madre?) Non starò via molto.

Corre via nell'atrio. Geneviève e Leonora si metto­no le -parrucche bianche.

ermengarde. Un tempo bellissimo, oggi. Tornando di chiesa mi sono fermata a chiacchierare un po' con la signora Foster. I suoi dolori artritici vanno e ven­gono.

Leonora, Ma la fanno soffrire molto?

ermengarde. Be', lei dice che di qui a cent'anni, in ogni modo, non farà più differenze!

Leonora. Eh si, è proprio stoica.

charles. Su, mamma, un altro po' di petto. Mary, passatemi il piatto della signorina Ermengarde.

Leonora. Che c'è, Mary? Oh, un telegramma degli sposi da Parigi! « Baci e auguri di buon Natale a tutti. » Io gli avevo scritto che avremmo pensato a loro, oggi, e mangiato una fetta del loro dolce di • nozze... Sai, Ermengarde? Sembra beli'e deciso che si sistemeranno nell'est. Non potrò averla neppure come vicina di casa, mia figlia. Contano di costruirsi presto una casa a New York, sulla riva nord.

geneviève. Ma non c'è, a New York, una riva nord.


leonora. Be', sulla riva ovest, o est, o quello che sia. Pausa.

Charles. Dio mio, che giornata scura. (Si mette la parrucca bianca. Pausa) Come passa lentamente, il tempo, senza ragazzi in casa.

Leonora. Ho tre figli, da qualche parte.

Charles, nel goffo tentativo di consolarla. Uno di loro ha dato la vita per la patria.

Leonora, con tristezza. E un altro è andato a vendere alluminio in Cina.

geneviève, montandosi a poco a poco fino a una crisi isterica. Tutto posso sopportare tranne questa terri­bile fuliggine da tutte le parti. Avremmo dovuto an­darcene già da un pezzo. Siamo circondati dalle fab­briche. Dobbiamo cambiare le tendine alle finestre ogni settimana.

Leonora. Ma via, Geneviève!

geneviève. Non ne posso più. Non ne posso assolu­tamente più. Me ne vado all'estero. Non è soltanto la fuliggine, che in questa casa filtra addirittura dai muri. Sono i pensieri. È il pensiero di quello che è stato, e di quello che avrebbe potuto essere, qui. E la sensazione che il tempo, gli anni, in questa casa si sgretolino. Mia madre è morta ieri, non venticin­que anni fa. Ah, me ne vado a vivere e a morire all'estero! Si, sarò una di quelle vecchie zitelle ame­ricane che vivono e muoiono in una pensione di Monaco o di Firenze.

ermengarde. Geneviève, sei stanca.

Charles. Via, Geneviève. Bevi un bel sorso d'acqua fresca. Mary, apri un po' la finestra.

geneviève. Mi dispiace. Mi dispiace. Scusatemi.

Corre via in lacrime, dalla porta dell'atrio.

ermengarde. La cara Geneviève tornerà con noi, ve­drete. (S'alza e s'avvia verso il portale scuro) Avre­sti dovuto uscire un po', stamattina, Leonora. È una di quelle giornate in cui tutto luccica di ghiaccioli. Davvero graziosissimo.

Charles, s'alza e segue Ermengarde. Io, Leonora, le mattine come questa andavo sempre a pattinare con papà. Eh, se soltanto mi sentissi un po' meglio...

leonora. Ma come? E io, allora, devo trovarmi tutt'a un tratto con due invalidi sulle braccia? No, via, cugina Ermengarde, tu devi star meglio e aiutarmi ad assistere Charles.

ermengarde. Farò quello che posso.

Sul punto stesso di varcare la porta scura, si volta e torna a tavola.


Charles. Va bene, Leonora, farò come dici. Scriverò al ragazzo una lettera di perdono e di scuse. È Na­tale. Farò un telegramma, ecco che cosa farò.

Esce dalla porta scura.

Leonora, asciugandosi gli occhi. Ah, Ermengarde, è un tale conforto averti qui con me. No, Mary, non posso proprio mangiare niente. Be', forse un po' di petto, ma appena appena...

ermengarde, vecchissima. Mi sono fermata a chiac­chierare un momento con la signora Keene, tornan­do di chiesa. M'ha chiesto notizie dei ragazzi... In chiesa mi sono sentita molto orgogliosa di sedere sotto le vetrate che abbiamo offerto noi, Leonora, e sotto le nostre lapidi. Li è diventato quasi un pezzo di casa Bayard, ormai! E non so dirti quanto mi piace...

Leonora. Ermengarde, senti... Me ne vorresti molto se andassi a stare un po' con i ragazzi, questa pri­mavera?

ermengarde. Ma no. Certo che no. Lo so quanto de­siderano di averti li, e anche quanto bisogno ne han­no, specialmente adesso che stanno costruendo la nuova casa.

Leonora. Non me ne vorresti proprio, allora?... Ma questa casa resterà casa tua finché vorrai, ricordatene.

ermengarde. Io non vedo perché a voialtri non piaccia più, questa casa. A me piace non so dirti quanto.

Leonora. Non starò via molto, sai. Tornerò prestissi­mo. E la sera, faremo ancora le nostre letture ad alta voce...

Bacia Ermengarde ed esce nell'atrio. Ermengarde, rimasta sola, riprende lentamente a mangiare. Si vol­ta a Mary.

ermengarde. No, scusa, Mary, ma ho cambiato idea. Se Bertha volesse invece prepararmi un uovo à la co­que? Un bell'ovetto à la coque?... Ah, che bella lette­ra dalla signora Bayard, stamattina. Una bellissima lettera, Mary. Oggi è il loro primo pranzo di Natale nella nuova casa. Come devono essere contenti! La chiamano Mamma Bayard, dice, come se fosse già una vecchia signora. E dice che per lei, adesso, è più comodo andare attorno in una poltrona a ruote. Una carissima lettera. E poi senti, Mary, ti dico un se­greto. Ma è ancora un segreto, eh? Stanno aspet­tando un nipotino. Che ne dici? Non sono grandi notizie? Ora leggerò un poco. (Si mette davanti un libro, continuando a immergere di tanto in tanto il cucchiaino nell'uovo. Da vecchissima diventa immen­samente vecchia.

Sospira. Il libro cade. Cerca quasi a tentoni un ba-stone accanto a- sé, e s'avvia vacillando verso il por­tale scuro. Uscendo mormora?) « Caro piccolo Rode­rick... Cara piccola Lucia... »


SIPARIO