Il lutto si addice ad Elettra

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Trilogia   tragica   in  tre  parti

e 14 quadri

 

di EUGENIO O'NEILL

Testo integrale e integralmente rappresentato al Teatro delle Arti in Roma,

diretto da ANTON GIULIO BRAGAGLIA, il 28 marzo 1941-XIX

Prima traduzione italiana di ADELCHI MOLTEDO

Pubblicata su IL DRAMMA Anno XVII

n. 361-362, 1° e 15 Settembre 1941 - XIX

Come Agamennone venne ucciso da Clitennestra e Egisto, al suo ritorno dalla guerra li Troia: come Elettra istigò Oreste a punire con la morte il delitto della madre e del suo amante; così il tragico fato della famiglia di Agamen­none si ripete in questa trilogia che narra la storia della famiglia Mannon.



PARTE  PRIMA


AZIONE IN QUATTRO ATTI

Personaggi

Il brigadiere generale EZRA MANNON

CRISTINA, sua moglie

LAVINIA, loro figlia

ADAMO BRANT, capitano del clipper « Flying Trades »

PIETRO NILES, capitano di artiglieria nell'esercito degli Stati Uniti

HAZEL NILES, sua sorella

SETH BECKWITH

AMOS AMES

LUISA, sua moglie

MINNIE, loro cugina.

PRIMO ATTO

L'esterno della casa dei Mannon, in un tardo pome­riggio dell'aprile 1865.

Di fronte: il viale, che porta alla casa dalle due en­trate sulla strada. Dietro il viale, il portico, simile ad un bianco tempio greco, si estende, con le sue sei colonne, su tutta la larghezza della scena. Un grande pino, sul margine del prato confinante col viale, si erge sull'angolo destro della casa. La nera colonna del suo tronco contrasta viva­cemente con il candore delle colonne del portico. Sul margine del viale, a sinistra, una folta siepe di arbusti di lillà. Sul prato, di fronte a tale siepe, una panca, che parzialmente nasconde chi vi si siede, rispetto a chi guar­da dalla facciata della casa. Manca poco al tramonto e la luce delicata del sole declinante illumina in pieno la facciata, avvolgendo in una nebbia fosforescente il portico bianco e il retrostante muro di pietra grigia, accentuando il candore delle colonne, il cupo grigiore del muro, ilverde delle imposte aperte, il verde del prato e della siepe ed il verde del pino. Le bianche colonne proiettano nere sbarre di ombra sul retrostante muro di pietra grigia. Le finestre del pianterreno riflettono intensamente i raggi del sole. Il portico, simile ad un tempio, sembra una bianca maschera inconcludente, fissata sulla casa per nascondere la sua bruttezza squallida e grigia. Giunga dulia città l'eco di una banda, che suona « // corpo di John Brown ». Portata dal soffio intermittente della brez­za, la musica talora è forte e talora svanisce.

(Dall'interno, a sinistra, una voce maschile canta « Shenandoah » canzone che, più di ogni altra, è pervasa dal ritmo accorato del mare. Ben presto la voce si avvicina. E' esile . vecchia, ma rivela che un tempo è stata una buona voce di baritono :

« Oh! Shenandoah, come vorrei sentirti,

Fiume mio rapinoso.

Oh! Shenandoah, ma non posso raggiungerti,

Ahi,  ahi!  sono  diretto  lontano

Attraverso l'immenso Missouri ».

Il cantante, Seth Beckwith, finisce l'ultimo verso non appena entra in scena dall'angolo della casa, seguito da Amos Ames e da Luisa e da Minnie.

Seth Beckwith, giardiniere e uomo a tutto fare dei Mannon, è un vecchio di 75 anni, con barba e capelli bianchi, alto, asciutto e un po' curvo, dalle giunture anchilosate dai reumatismi, ma ancora vegeto e arzillo. Ha un viso emaciato, che quando è a riposo, dà la strana impres­sione d'una maschera animata. L'espressione del suo volto è dura, ma i suoi occhi, piccoli e acuti, si affissano sulla vita con una avidità curiosa e intensa. Indossa il vestito di fatica  macchiato  di terriccio.

Amos Ames, di professione falegname ma attualmente in vacanza, è vestito a festa come sua moglie e sua cu­gina. E' un uomo grasso sulla cinquantina. E' il proto­tipo del pettegolo cittadino, privo però di malignità: rappresentando lo scandalo soltanto l'argomento più in voga del suo ambiente. Sua moglie Luisa è più alta e più robusta di lui e circa della stessa età. E' anch'essa pettegola, però la sua lingua è affilata dalla malvagità. Sua cugina Minnie è una donnetta grassoccia sulla quarantina, mite, ma avida ascoltatrice di pettegolezzi. Ha una piccola faccia rotonda con occhi stupidi e tondi, e una bocca anche rotonda, come protesa a bere la mal­dicenza.

Questi ultimi sono tipi di cittadini, anziché dei perso­naggi veri e propri; un coro, rappresentante la città, ve­nuto a vedere, ascoltare e spiare i ricchi ed alteri Mannon. Guidati da Seth, non oltrepassano la siepe dei lillà e rimangono a fissare la casa. Seth si sforza di essere in qualche modo spiritoso per cercare di far colpo su Minnie. Ha infatti cantato solo per lei. Richiama la sua attenzione, toccandola col gomito e abbozzando un sorriso).

Seth (alludendo alla sua voce) — Per un uomo della mia età, mi pare che non ci sia male. Sono stato sempre famoso per le mie canzoni. (Accorgendosi che ella non gli presta attenzione, perché intenta a fissare la casa con meraviglia e sgomento, si rivolge ad Ames, giubilante) Se la notizia è vera, non vi sarà stanotte in città un solo nomo che si regga sulle gambe! E' nostro dovere pa­triottico celebrare la vittoria!

Ames (con una smorfia) — Sicuro che dovremo; certo.

Luisa — Non me lo farete mica ubriacare, mio marito, resa o  non resa. Un vecchio  scomunicato, ecco  quello che  siete!

Seth (compiaciuto) — Vecchio un corno! solo 75! Mio padre è vissuto sino a 90! Trincare non ammazzerà mai un Beckwith. (Ride assieme ad Ames. Anche Luisa ride suo malgrado. Minnie è come assente, perduta nella contemplazione della casa).

Minnie — In fede mia! Che razza di casa!

Seth — Già! Avevo promesso ad Ames che ve l'avrei fatta vedere  quando  sareste  venuta  da  loro. Non tutti possono vedere così da vicino la casa dei Mannon. Ten­gono la porta chiusa a tutti.

Minnie — Accidenti, devono essere ricchi. Dove lì hanno fatti i soldi?

Seth — Ezra ne ha fatti un mucchio e prima di lui suo padre ereditò qualcosa e mise su un mucchio ancora più grande, facendo l'armatore. E' stato uno dei primi a creare una linea regolare per l'Oceano Pacifico.

Minnie — Ezra è generale, è vero?

Seth (con orgoglio) — Sì. E' il miglior soldato dì tutto l'esercito  di  Grant.

Minnie — Ma che razza diuomo è?

Seth  — Bravissimo.  Tutti  lo  credono  freddo  e  su­perbo, perché non ha mai molto da  dire agli estranei. Ma è il modo di fare dei Mannon. Hanno dominato qui per duecento anni e non vogliono che lo si dimentichi.

Minnie — E perché se ne è andato a fare il soldato, se è tanto ricco?

Seth — Oh, era stato in servizio anche prima di que­sta guerra. Suo padre lo aveva mandato a West Point. Fece la guerra del Messico e ritornò maggiore. Abele morì proprio quell'anno ed Ezra si dimise per dirigere la sua azienda. Ma non ai fermò qui. Studiò legge e di­venne giudice. Si dette alla politica e fu eletto sindaco. Era maggiore quando scoppiò questa guerra e allora si dimise da giudice e si fece richiamare. Ora intanto è arrivato a generale. Oh, Ezra è bravissimo.

Ames — La città è veramente orgogliosa di lui.

Luisa —- Non si può dire lo stesso di sua moglie. Non la può vedere nessuno. Non è dei Mannon. Deve essere di discendenza francese o olandese. Suo padre fa il me­dico a Nuova York: ma lei non rappresenta niente, perché non ha portato neanche un centesimo di dote,

Seth (assumendo un'espressione truce, con tono aspro) — Lasciatela in pace. Non stiamo parlando di lei. Be' devo vedere Vinia. Vado dalla parte della cucina. Aspettatemi qui. E se la moglie di Ezra vi vuol mandar via, ditele che mi ha dato Vinia il permesso di farvi entrare. (Esce dalla sinistra).

(I tre si guardano attorno, disorientati, im­pauriti e a disagio. Parlano a bassa voce).

Luisa — Come è fiero Seth del suo padrone. Ma non ho potuto fare a meno di dargli una botta nei riguardi della moglie di Ezra.

Ames — Potevi farne a meno, tanto tutti la odiano.

Luisa — Zitti! Sta uscendo qualcuno: nascondiamoci.

(Si ammassano dietro la panca vicino al cespuglio dei lillà e spiano attraverso il fogliame. La porta di ingresso si apre e Cristina Mannon appare sul portico, fermandosi alla  sommità della scala).

Luisa —  (richiama l'attenzione della cugina e sussurra ec­citata) — Eccola.

(Cristina Mannon è una donna alta ed appariscente. Sebbene sulla quarantina, sembra molto più giovane. Ha una figura fine e voluttuosa e si muove con una fles­suosa grazia animale. Indossa una costosa veste di seta verde, di taglio elegante, che fa risaltare lo speciale co­lore della sua chioma folta e ondulata, in parte rame-scuro e in parte bronzo-dorato. Toni nettamente distinti eppure armonizzanti fra loro. Il suo viso non è comune, più ben fatto che bello. Si è subito colpiti dalla strana impressione, che esso suscita, quando è in riposo: di non essere fatto di carne viva, ma di essere una pallida maschera, meravigliosamente animata, in cui soltanto gli occhi, in fondo alle orbite incavate e d'un colore fra il violetto e l'azzurro, sono vivi. Le sopracciglia nere, in linea retta decisamente pronunciata, si congiungono sul naso forte. Il suo mento è forte, la bocca è larga e sen­suale, il labbro inferiore carnoso e quello superiore sot­tile, arcuato e ombreggiato da una lieve peluria. Rimane in ascolto, in una specie di attitudine difensiva, come se la musica avesse per lei un significato minaccioso. Poi scrolla le spalle con disprezzo, scende i gradini e s'avvia verso il giardino, passando dietro il cespuglio dei lillà, senza accorgersi di Ames e delle donne).

Minnie  (con un senso di ammirazione e di fervore) — Dio, come è altera!

Luisa — Troppo, per il mio gusto.

Minnie — Già, c'è qualcosa di strano nel suo viso.

Ames — C'è del mistero. Come se si fosse messa una maschera. E' l'aria dei Mannon. Tutti così. E l'attaccano anche alle loro mogli. Anche ai servi, anche a Seth, non lo vedi? Non vogliono che la gente scopra i loro segreti.

Minnie  (col respiro mozzo per l'ansia di sapere) — Segreti?

Luisa — I Mannon si tengono in casa gli scheletri dei loro morti. (Abbassando la voce e bisbigliando al marito) Racconta a Minnie qualche cosa del fratello del vecchio Abele Mannon, che dovette sposare quella ragazza fran­cese canucca, dopo averla  messa nei guai.

Ames — Sst! Finiscila! Non puoi star zitta? Ecco Seth. (Bisbigliando in fretta a Minnie) Sono cose acca­dute quando ero giovane. Te le dirò poi. (Seth è apparso dall'angolo sinistro della casa e va a raggiungerli).

Seth — Quella maledetta cuoca negra ha voluto che le portassi la legna. Non penserete mica che sia il suo schiavo. Ecco il guadagno che abbiamo fatto emancipan­doli. Be', andiamo, gente? Voglio mostrarvi la mia serra e il mio frutteto. Non mi è riuscito di trovare Vinia.

(Stanno per andarsene, quando la porta della casa si apre e appare Lavinia che s'avvia verso il sommo della scala, dove prima si è fermata sua madre. Ha 23 anni, ma sembra più vecchia. Ha la stessa altezza di sua madre, ma il corpo è sottile, angoloso e dai seni appiattiti. La sua inattrattiva è accentuata dalla semplice veste nera. I tuoi movimenti sono secchi e cammina con un rigido e duro portamento militare. Ha la voce perentoria e l'a­bitudine dì parlare alla maniera di un ufficiale che im­partisca degli ordini. Ma nonostante queste diversità, si è subito colpito dalla somiglianza del suo volto con quello della madre. Ella ha i capelli dello stesso tono particolare rame-oro, lo stesso pallore, gli stessi occhi fra l'azzurro ed il violetto cupo, le nere sopracciglia che si incontrano in linea retta sul naso, la stessa bocca sensuale e lo stesso mento forte. Ma, più. che d'ogni altra cosa, si è colpiti dall'impressione di maschera animata suscitata dal suo volto in riposo. E' evidente che Lavinia fa tutto il possi­bile per accentuare la dissomiglianza anziché la somi­glianza con la madre. Porta i capelli stretti in un nodo dietro la nuca, come se volesse nascondere la loro ondu­lazione naturale. Tutto il suo insieme è assolutamente privo di qualsiasi femminilità. La testa è grande come quella della madre, ma sul suo gracile corpo pare più pesante e più grossa).

Seth (scorgendola) — Ah! Eccola! (S'avvia verso i gra­dini affrettatamente, ma, appena s'accorge che ella non si è avvista della sua presenza, s'arresta perplesso, colpito da qualche cosa di strano nel comportamento di Lavi­nia. Ella fissa lo sguardo a destra, seguendo con l’occhio la madre, mentre questa si dirige verso la serra attra­verso il giardino, i suoi occhi freddi e duri hanno una espressione di inimicizia amara e intensa. Dopo poco, la madre ha certamente dovuto sparire nella serra, perché Lavinia gira il capo, sempre però senza notare Seth e i suoi amici, poi guarda verso sinistra, attratta dalla banda, la cui musica, portata da una brezza più viva, è all'improvviso diventata più forte. La banda suona ancora « Il corpo di John Brown ». Lavinia rimane in ascolto, come ha fatto la madre poco prima, ma la sua reazione è asso­lutamente diversa da quella materna. I suoi occhi si illu­minano di malvagia soddisfazione e le si disegna sul viso una espressione di strano e vendicativo trionfo).

Minnie — Di viso somiglia alla madre: lo stesso aspet­to strano. Però, meno di razza.

Seth — Andate verso il frutteto, gente. Vi raggiungo.

(Escono dalla sinistra della casa. Seth va in fretta verso Lavinia) Ohé! Ho delle buone notizie per te. Al telegrafo mi hanno detto che Lee si è arreso davvero, stavolta. Puoi far conto che tuo padre torna presto.

Lavinia (cupa) — Lo spero. Era ora.

Seth (scrutandola) — Già!

Lavinia — Che vuoi dire, Seth?

Seth (sfuggendo il suo sguardo evasivo) — Niente. Lo stesso che vuoi dire tu. (Egli cerca sempre di sfuggire il suo sguardo, e poi con tono grave e come per caso) Dove sei stata l'altr'ieri notte e tutto ieri?

Lavinia (trasale). — Da Hazel e Pietro.

Seth — Già. Proprio come hai detto ad Anna. Però,guarda un po', ho incontrato ieri Pietro e mi ha chiesto perché non ti si vedeva.

Lavinia (trasale di nuovo, poi lentamente, come se am­mettesse una segreta intesa fra lei e Seth) — Sono stata a Nuova York, Seth.

Seth — Eh, me l'ero immaginato. Non è da te, Vinia. Vergogna!

Lavinia (con tono duro e reciso) — Non capisco di che cosa parli.

Seth (annuendo, come chi abbia compreso) — Bene, Vinia. Come vuoi tu. (Una pausa, poi, dopo avere al­quanto esitato, non può più contenersi) E' un po' che ho in testa una cosa e volevo metterti in guardia. Si tratta di quello che ti angustia, se ho indovinato.

Lavinia (dura) — Non c'è niente che mi angustia. (Ag­gressiva) Mettermi  in  guardia?  Perché?

Seth — Oh, niente, forse. Ma può darsi che abbia ra­gione, e se l'ho, devo metterti in guardia. Si tratta del capitano Brant.

Lavinia (trasale di nuovo mantenendo il suo tono fred­do e misurato) — Che c'entra?

Seth — C'è qualcosa che ho notato solo io, perché... (S'arresta e poi in fretta, vedendo venire gente dal viale) ... Ma ecco Pietro e Hazel. Te lo dirò più tardi, Vinia. Adesso non ho proprio tempo. C'è quella gente che mi aspetta.

Lavinia — T'aspetterò qui. Torna più tardi. (La ma­schera fredda e disciplinata le si allenta per un attimo, con intensità) Ma che vengono a fare proprio ora, Pietro e Hazel? Non voglio vedere nessuno! (Fa per dirigersi verso casa).

Seth — Va dentro. Ci penso io.

Lavinia (riprendendosi e tagliando corto) — No, la­sciali venire.

(Seth esce dalla sinistra. Dopo poco Pietro ed Ha­zel entrano dal viale in fondo a sinistra. Hazel è una fanciulla diciannovenne sana e graziosa dai capelli e dagli occhi neri. Ha lineamenti delicati, ma modellati con suf­ficiente rilievo. Ha un mento pronunciato e una bocce mobile e sorridente. Il suo carattere si rivela ad un sem­plice sguardo, franco, innocente, cordiale e buono. Suo fratello Pietro le assomiglia molto per carattere: retto, impeccabile e materiato di bontà. E' un giovane robusto di ventidue anni, impacciato nei movimenti ed esitante nell'esprimersi. Ha un viso largo, comune, naso corto, capelli neri e ricciuti, occhi grigi e bocca larga. Veste l'uniforme di  capitano  d'artiglieria).

Lavinia (con una cordialità forzata) — Buona sera. Come state?   (Bacia Hazel e stringe la mano a Pietro).

Hazel — Noi benissimo. Dicci piuttosto tu come stai. E' una eternità che non ti si vede.

Lavinia — Ho avuto uno stupido raffreddore. Ma per­dio non vi sedete?

(Prendono posto sulla panca: Lavinia al centro, Hazel a sinistra e Pietro a destra, alquanto discosto da Lavinia).

Hazel — Sono venuta un momento per sentire sehai notizie di Ori.

Lavinia — No, dall'ultima lettera che ti ho fatta leggere.

Hazel — Ma è di un secolo fa! Sono mesi e mesi che non mi scrive. Si sarà trovata un'altra ragazza e mi ha piantata. (Abbozza un sorriso, senza però riuscire a na­scondere la pena che prova).

Pietro — Che Ori non scriva non vuol dire niente. Scrivere non è stato mai il suo forte.

Hazel — Lo so, ma non potrebbe essere ferito?

Lavinia — Ma no. Il babbo ce lo avrebbe scritto.

Pietro — Sicuro. Non dire sciocchezze, Hazel. Ori avrebbe dovuto essere già a casa. Naturalmente Vinia, hai  sentito  la buona  notizia?

Hazel — Pietro non ha più da tornare via. Non sei contenta?

Pietro — Ormai sono guarito della mia ferita. Avevo avuto ordine di presentarmi domani: ma ci sarà certo il  contrordine.

Hazel (impulsivamente) — Oh! Che bello rivedere Ori! (Poi imbarazzata, ride forzatamente e bacia Lavi­nia) Ma bisogna che scappi. Ho un appuntamento con Emilia. Addio, Vinia. Riguardati e vieni presto a trovarci. (Con uno sguardo significativo al fratello) E sii buona con Pietro. Muore  dal  desiderio  di chiederti una  cosa.

Pietro (assai confuso) — Maledizione!

(Hazel si al­lontana ridendo. Pietro si agita, disorientato e con gli occhi fissi a terra. Lavinia l'osserva. L'ammonimento di Hazel l'ha fatta rientrare in sé e mettere sulla difensiva. Finalmente Pietro alza gli occhi e si mette a parlare con imbarazzo)

Hazel interpreta male il silenzio di Ori. Credi  che le voglia bene  davvero?

Lavinia (irrigidendosi, con tono brusco) — Non me ne intendo d'amore! Non voglio saperne niente! (Con in­tensità) Odio l'amore!

Pietro (annientato da tale dichiarazione, ma sforzan­dosi di prendere la cosa coraggiosamente a scherzo) — E allora, se la pensi così, è meglio non domandarti una cosa che avevo in mente, oggi.

Lavinia — E' quello che m'hai chiesto l'anno scorso, quando sei venuto in licenza, no?

Pietro — E tu mi hai detto, aspetta che la guerra finita. Beh, la  guerra è finita.

Lavinia (lentamente) — Non posso sposare nessuno, Pietro. Devo restare a casa. Mio padre ha bisogno di me.

Pietro — Ma c'è tua madre.

Lavinia (tagliente) — Gli sono più necessaria io. (Una pausa. Poi gli si volge compassionevole e gli posa le mani sulle spalle) Mi dispiace, Pietro.

Pietro — Bene.

Lavinia — Lo so. le ragazze lo dicono sempre nei ro-nzi, ma ti voglio bene come a un fratello, Pietro. A nessun casto vorrei perderti come fratello. E siamo stati così fin da bambini, da quando giocavamo assieme. Ti prego, non mettere questo tra noi.

Pietro — Bene. Beh, d'altra parte non perdo la spe­ranza che cambierai idea col tempo. (Pausa) Cioè, se non sei innamorata di un altro.

Lavinia (ritirando le mani) — Non dire sciocchezze, Pietro.

Pietro — E quel misterioso capitano di mare, che viene qui?

Lavinia (con rabbia) — E puoi credere che possa cu­rarmi di quel... quel...

Pietro — Non ti arrabbiare. Del resto, lo dicono tutti che ti fa la corte.

Lavinia — Se la gente si occupasse dei propri affari!

Pietro — Allora non te ne importa? Non te ne importa  proprio  niente  di  lui?

Lavinia (con impeto) — Non lo posso nemmeno vedere.

Pietro — Sono contento di sentirti dire così! Credevo, pensavo che piacesse a tutte le ragazze. Ha un aspetto così romantico. Sembra un giocatore o un poeta, più che un capitano di mare. L'ho visto di sfuggita, mentre usciva dal cancello, l'ultima volta che è venuto qui. Strano però, mi ricorda qualcuno, ma non so chi.

Lavinia (colpita, lo fissa perplesso) — Nessuno di qui, è certo. Viene dal West. Il nonno Hamel lo ha cono­sciuto a Nuova York e lo ha preso in simpatia. La mam­ma lo ha  conosciuto  in  casa  del nonno.

Pietro — Ma che tipo è?

Lavinia — Lo conosco appena, nonostante quello che pensi. Mi ha raccontato la storia della sua vita, per fare il romantico, ma non gli ho fatto molta attenzione. Ha cominciato a navigare da ragazzo e si è trovato in California al tempo della febbre dell'oro. Ha navigato in tutto il mondo e una volta ha passato un certo tempo in un'isola dei mari del Sud, così mi ha detto.

Pietro — Una esperienza romantica non comune, pare, se gli si deve credere.

Lavinia (amara) — E' la sua moneta spicciola, il ro­manticismo. (Agitata) Ma finiamola di parlare di lui. (S'alza e s'avvia verso la destra per nascondere la sua agitazione, rimanendo con le spalle voltate a Pietro).

Pietro — Proprio lo stesso mio desiderio. Ho da pen­sare a cose più interessanti.

(Cristina Mannon appare dalla destra fra la siepe dei lillà e la casa. Lavinia av­verte la sua presenza e si volta di scatto. Per un mo­mento madre e figlia si fissano negli occhi. La loro atti­tudine tesa rivela l'acre antagonismo, che vi è fra loro. Ma Cristina riprende immediatamente il proprio dominio e quella sua aria di disdegnosa distanza).

Cristina — Ah! Finalmente ti si vede! (Si accorge di Pietro, visibilmente imbarazzato dalla sua presenza) Ah, buon giorno, Pietro! Non ti avevo visto.

Pietro — Buona sera, signora Mannon. Passavo di qui e sono entrato un momento. Ma è meglio che me ne vada, Vinia.

Lavinia (senza celare il desiderio di levarselo d'attorno, in fretta) — Va bene. Arrivederci, Pietro.             

Pietro — Arrivederci. Arrivederci, signora Mannon.

Cristina — Arrivederci, Pietro. (Egli esce dalla sini­stra. Cristina si avanza) A quanto pare, tratti abbastanza male il tuo unico spasimante. (Lavinia non risponde. Cristina continua con freddezza) Mentre venivo qui, pen­savo che l'altra notte, quando sono tornata da Nuova York, sembra che tu fossi andata a letto.

Lavinia — Ero a letto.

Cristina — Hai l'abitudine di leggere troppo a letto. Ho cercato d'aprire la porta della tua camera, ma ti eri chiusa a chiave. Tutte le volte che ti chiudi così, per una giornata intera, sono sicura che lo fai per evitarmi. Ma Anna mi ha detto che avevi l'emicrania.

(Parlando, si è avvicinata alla figlia, sin quasi a toccarla. La somiglianza dei loro volti, mentre se ne stanno di fronte, è straordi­naria. Cristina la fissa freddamente, ma si indovina che quella sua attitudine è forzata)

Ti faceva proprio male la  testa?

Lavinia — No. Volevo star sola, e... pensare.

Cristina — A che cosa, se è lecito?  (Ma, come spa­ventata   dalla   risposta   che   potrebbe   ricevere,   cambio argomento)   Chi è quella gente, che ho visto girare per casa?

Lavinia — Amici di Seth.

Cristina — E per il semplice fatto che sono amici di quel vecchio scemo si sentono in diritto di entrarci in casa?

Lavinia — Ho dato io il permesso a Seth.

Cristina — E da quando dài il permesso, senza nem­meno avvertirmi?

Lavinia — Non mi era possibile, quando Seth me lo ha chiesto. Tu eri a Nuova York... (si ferma un momento, poi aggiunge, scandendo le parole e con lo sguardo fisso sulla madre) a trovare il nonno. Sta un po' meglio? E' stato  ammalato   spesso,   quest'anno.

Cristina (con indifferenza forzata, senza guardare la figlia) — Già. Ma ora sta molto meglio. Tra poco ripren­derà il suo lavoro, almeno spera. (Come desiderosa di cambiare argomento, guardando i fiori che porta) Sono stata a coglierli nella serra. Mi sembra che la nostra tomba avesse bisogno di essere un po' ravvivata. (Ac­cenna alla casa con un gesto sprezzante del capo) Tutte le volte che ci ritorno, dopo essere stata via, mi sembra sempre più simile a un sepolcro. Il sepolcro imbiancato della Bibbia. Il frontale di tempio pagano appiccicato come una maschera sul grigio squallore puritano. Solo il vecchio Mannon poteva costruire un tale orrore. Scu­sami, Vinia. Dimenticavo che ti piace. E hai ragione. S'accorda con il tuo temperamento.

(Lavinia la fissa senza replicare. Cristina posa di nuovo lo sguardo sui fiori, ma, nell'avviarsi verso la casa, si volta con una studiata indifferenza)

A proposito, prima che me ne dimentichi, a Nuova York ho incontrato il capitano Brant. Mi ha detto che sarebbe arrivato oggi e mi ha chiesto se po­teva passare da noi per vederti. Gli ho detto di si e l'ho anche invitato a cena.

(Senza guardare Lavinia, che la fissa con una espressione cupa e dura)

Non ti va? Vuoi rimanere fedele a Pietro, al tuo unico e solo amore?

Lavinia — E' per questo che sei andata a cogliere i fiori? Perché viene lui? (La madre non le risponde. Continua, con un accento di minaccia nella voce) Hai sen­tito?  Il babbo tornerà presto a casa.

Cristina   (senza guardarla:  freddamente) — Corrono tante voci. Del resto la notizia non è stata ancora confer­mata. E poi non si è ancora sentito  sparare dal forte.

Lavinia  Lo sentirai presto!

Cristina — Lo spero almeno quanto te.

Lavinia — E lo dici anche?

Cristina (dissimulando la propria apprensione: fred­damente) — Che intendi? Non prenderai questo tono con me, immagino, (tagliando corto) ma se vuoi proprio litigare, entriamo in casa. Qui ci possono sentire.

(Si volta e vede Seth, entrato proprio allora dall'angolo della casa a sinistra e che se ne sta fermo ad osservare)

Là c'è il tuo vecchio, che fa di tutto per ascoltare. (S'avvia verso la scala) Vado a riposare un poco. (Comincia a salire).

Lavinia (aspra) — Mamma, ho bisogno di parlarti, e   subito...

Cristina (volgendosi con aria di sfida) — Quando vuoi. Stasera, dopo che se ne è andato il capitano Brant. se ti va. Ma di che si tratta?

Lavinia — Lo saprai abbastanza presto.

Cristina — Hai la mania dei misteri, eh, Vinia? (En­tra in casa e chiude la porta).

(Seth, che s'era ritirato dietro l'angolo sinistra della casa, riappare. Lavinia gli fa cenno di seguirla e va a sedersi sulla panca. Una pausa. Lavinia rimane a guardare dinanzi a sé, col viso impietrito e gli occhi cattivi. Seth la fissa in modo si­gnificativo).

Lavinia (all'improvviso) — Ebbene, dimmi: cos'è che volevi dirmi del capitano Brant? Voglio sapere tutto di lui, perché pare che venga qui per farmi la corte.

Seth    (cercando   di   condensare   in   un   monosillabo tutta la sua incredulità) — Aah!

Lavinia  (aspra) — Cos'è? Non mi credi?

Seth — Credo a tutto quello che mi dici di credere, io. Non son stato  sessant'anni  con  i Mannon senza im­pararlo.   (Pensa,   poi  lentamente)   Non hai mai notato che questo Brant ricorda qualcuno?

Lavinia (colpita) — Sì. Da quando l'ho visto la prima volta. Ma non so a chi.

Seth — Tuo padre, non ti pare, Vinia?

Lavinia   (agitatissima)  —  Il  babbo? No! Non  può essere. (Poi come  se  la  convinzione  si facesse  strada dentro di lei, contro la Sua volontà) Già. E' vero. Qual­che «osa   nel  viso. Per  questo   ebbi  la  strana  impres­sione di averlo già conosciuto. Per questo ho sentito... No. Non ci crederò mai. Ti devi essere sbagliato, Seth. Sarebbe troppo.

Seth — E non solo assomiglia a tuo padre, ma anche ad Ori e a tutti i Mannon che ho conosciuto.

Lavinia   (atterrita) —  Ma  perché? Perché?

Seth — Ma  specialmente  mi ricorda Davide, il  fra­tello  di tuo nonno. Che  sai tu  di Davide, Vinia? Tra i Mannon non è stato più permesso nemmeno nominarlo dal giorno che... Ma ne avrai sentito parlare anche tu, anche se è successo prima che tu nascessi.

Lavinia — Ho sentito dire che si è innamorato della canucca, governante della sorellina di mio padre; e dovette sposarla perché stava per avere un bimbo. Ho sentito dire che il nonno li mise alla porta, e poi fece abbattere la casa e costruire questa, perché non voleva vivere dove suo fratello aveva disonorato la famiglia. Ma che c'entra questo vecchio scandalo?...

Seth — Aspetta. Appena cacciati di casa si sposarono e partirono. Si dice che erano andati nel West, ma nessuno seppe più niente di loro. Solo tuo nonno si lasciò sfuggire una volta con me che avevano avuto un bambino. (Come chi voglia far colpo) A quel bam­bino pensavo, Vinia.

Lavinia   (il terrore di aver compreso  le si disegna sul volto) — Ah!

Seth — Vinia, quanti anni ha Brant?

Lavinia — Trentasei, mi pare.

Seth — Ah! Il conto torna giusto. E poi, un'altra cosa strana: il suo nome. Che razza di nome: Brant! Non ho mai sentito un nome simile. Mi sa di posticcio, come un'abbreviazione. Ti ricordi Vinia, come si chia­mava la ragazza canucca? Maria Brantóme! Hai capito?

Lavinia (agitata e lottando contro una convinzione che si fa sempre più forte) — Ma non dire sciocchezze, Seth. Si chiamerebbe Mannon e ne sarebbe orgoglioso.

Seth — Dev'avere le sue buone ragioni per non por­tare il nome dei Mannon, venendo qui, no? Se tuo padre lo riconoscesse...

Lavinia (con irruenza) — No! Non può essere! Dio non può permetterlo. Sarebbe troppo orribile! Non voglio neanche pensarci, mi capisci? Ma perché me lo hai detto?

Seth (cercando di calmarla) — Calma, calma, Vinia. Non prendertela così. Volevo dire che è strano, la faccia e il nome, e che dovresti sincerartene, per il bene di tuo padre.

Lavinia  In che modo?

Seth — Pescalo alla sprovvista e parlagliene come se tu lo sapessi, e vedi se ci casca. (Accenna ad andar­sene, guardando il viale) Eccolo che viene. Anche il modo di camminare ricorda Davide Mannon. Se non sapessi che è lui, lo crederei lo spirito di Davide di ritorno a casa (Si volta di scatto)... e torniamo al lavoro. (Esce da sinistra).

(Una pausa. Il capitano Brant entra dal fondo a sinistra. Trasale nel vedere Lavinia, ma immediatamente si riprende, assumendo l'aria più cor­retta e più attirante. Basta guardarlo per esser colpito dalla peculiarità del suo viso in riposo, che dà l'im-pressione di essere una maschera animata anziché esser fatto di carne viva. Ha fronte spaziosa, ma bassa, incor­niciata da capelli nerissimi, che porta notevolmente lunghi, buttati dietro la fronte. Pare la pettinatura di un poeta. Ha naso aquilino, sopracciglia folte, colorito bruno e occhi castani. La bocca è larga, sensuale e mu­tevole nell'espressione. Porta i baffi, ma il suo mento largo e pronunciato è accuratamente raso. E' di statura alta, robusto e quadrato di spalle. Dà l'impressione di essere sempre sulla offensiva e sulla difensiva, costan­temente in lotta con la vita. E' vestito con una stra­vaganza quasi affettata, con qualche tocco di estrema noncuranza, come se l'ideale propostosi fosse un roman­tico aspetto byroniano. Non c'è in lui quasi nulla del convenzionale capitano marittimo, se se ne accentuano le mani forti e grandi e la voce profonda).

Brant (inchinandosi con esagerata cortesia) — Buona sera. (Le si avvicina e le prende la mano, che ella si sforza di non dargli) Non ve ne avrete a male se vi sono venuto incontro senza cerimonie. Vostra madre mi disse...

Lavinia — Lo so; mi ha incaricato di tenervi compa­gnia fino  al  suo  ritorno.

Brant (galantemente) — Bene. Allora ho fortuna. Speriamo che non torni presto a farci la guardia. Non ho più avuto occasione di restare solo con voi da... da quella notte che andammo a passeggiare sotto la luna, ricordate? (Le ha preso la mano e parla a voce sempre più bassa. Lavinia non può reprimere un sussulto, li­bera con violenza la mano dalla stretta e volta la testa).

Lavinia (riprendendo il dominio su se stessa: lenta­mente) — Che ne dite della resa di Lee, capitano? Si aspetta mio padre da un momento all'altro. (Qualche cosa nella voce di Lavinia lo induce a fissarla con un certo sospetto; ma lei guarda diritto davanti a se) Per­ché non vi sedete?

Brant — Grazie. (Si siede sulla panca alla sua destra. Sì è fatto prudente, avvertendo qualcosa di strano nel suo atteggiamento senza riuscire però a comprendere a che miri. Come a caso) Dovete essere molto contenta al pensiero di rivedere vostro padre. Vostra madre mi ha  detto  come  gli  siete affezionata.

Lavinia — Lei? (Aspra) Amo mio padre più di tutto. Non so che cosa farei per evitargli un dolore.

Brant (osservandola attentamente e sempre come di­stratto) — Più di vostra madre?

Lavinia — Sì.

Brant — E' normale. Le figlie sono più attaccate al padre e i figli alla madre. Credevo però che voi foste un'eccezione a questa regola.

Lavinia   —  Perché?

Brant  Siete così simile a vostra madre, in certe cose. Il vostro viso è la copia fedele del suo. E guar­date i vostri capelli, poi! Non incontrereste dei capelli come i vostri e i suoi in un mese tutto di domeniche. Conosco solo un'altra donna che li aveva così. Vi sem­brerà strano a dirvelo: era mia madre.

Lavinia  (trasalendo) — Ah!

Brant (dando alla voce un tono rispettoso e smor­zato) — Aveva capelli meravigliosi, come vostra madre. Le scendevano fino alle ginocchia; e i suoi occhi gran­di, fondi, tristi erano azzurri come il mare dei Caraibi.

Lavinia (aspra)  Che conta l'aspetto? Non le somi­glio per niente. Tutti sanno che ho preso da mio padre.

Brant (richiamato di colpo alla realtà e meravigliato del suo tono) — Ma non siete in collera perché vi ho detto questo, no? Che avete contro di me? Forse mi sono illuso. Credevo di piacervi. Avete dimenticato quella passeggiata,  di notte, lungo la  spiaggia?

Lavinia (dura e fredda) — No. Ve l'aveva detto mia madre che potevate baciarmi?

Brant — Ma... che dite? (In un primo momento at­tribuisce la domanda alla sua ingenuità: scherzosamente) Ah! capisco. Su, Lavinia, non vorrete dire che dovevo chiederle il permesso.

Lavinia — Ah no! Non dovevate?...

Brant (disorientato cercando di volgerla in scherzo) — Veramente, a questo punto non ci sono arrivato, e ad ogni modo - dovere o non dovere - non glie l'ho chiesto é non per questo è stato meno dolce. (Qualche cosa nel viso di Lavinia lo consiglia a cambiare ar­gomento) Ho paura però di aver chiacchierato troppo, quella notte; forse vi ho annoiata a furia di parlarvi della mia passione per i velieri.

Lavinia (seccamente) — I tre alberi bianchi e alti, li chiamavate; dicevate che erano per voi come donne pallide e belle. Che li amavate come non avete mai amato  nessuna   donna.  E'  vero,  capitano?

Brant (con sforzata galanteria) — Già. Ma intendevo, prima di avervi conosciuto. (Ridendo, convinto di aver finalmente compreso la ragione del mutato atteggia­mento di Lavinia verso di lui) Ah, è per questo che ce l'avevate con me? Dovevo immaginarlo. Le donne sono gelose dello navi. (Ride di nuovo, ma con minor sicu­rezza, accorgendosi dell'espressione cupa e ferma di Lavinia) Ma se non sbaglio, vi siete interessata quando parlavo delle isole del Sud, dove naufragai al mio pri­mo  viaggio.

Lavinia (in tono secco e superficiale) — Mi ricordo la vostra ammirazione per le indigene nude. Diceste che possedevano il segreto della felicità, perché non sapevano che l'amore è peccato.

Bbant (sorpreso) — Ricordate questo? (In tono ro­mantico) Sì. sono le uniche creature della terra, che vivono nel giardino del paradiso in assoluta innocenza del peccato. Non potete immaginare la verde bellezza della loro terra stesa nell'azzurro del mare. Le nubi come prati sulle cime dei monti, il sole che vi penetra nel sangue e l'onda che di continuo si frange sui ban­chi e vi canta agli orecchi come una nenia. Isole Beate, le chiamai. Soltanto lì puoi dimenticare gli sporchi sogni di ingordigia e di potere degli uomini.

Lavinia — E i loro sporchi sogni... d'amore?

Brant (di nuovo sorpreso, la guarda disorientato) — Perché dite questo? Che volete dire, Lavinia?

Lavinia — Niente. Pensavo soltanto... alle vostre isole Beate.

Brant (incerto) — Oh. Ma voi... dicevate... (Poi con una stupida e confusa persistenza le si avvicina di più, abbassando il tono della voce e cercando di ren­derla carezzevole) Tutte le volte che penso a quelle isole, mi ricordo di voi che quella notte mi cammina­vate accanto, coi capelli disciolti nel vento e con gli occhi pieni di luce lunare. (Cerca di prenderle la mano, ma al suo tocco, ella si arresta e balza in piedi).

Lavinia (con fredda rabbia) — Non mi toccate. Come osate? Bugiardo. (Non appena egli si arretra confuso, ella comprende che quello è il momento di seguire il suggerimento di Seth e lo fissa con un'espressione deli­berata di insolente disprezzo) Già, sarebbe assurdo aspettarsi altro che storielle romantiche da poco prezzo dal figlio della serva canucca.

Brant (stupito) — Che? Che? (Poi dominato dall'ira per l'insulto scagliato contro sua madre, mettendo da parte ogni considerazione di prudenza, balza in piedi minaccioso) Basta, maledetta, o mi dimentico che siete una donna. Nessun Mannon può  insultarla, finché  io...

Lavinia (atterrita dalla verità che ha scoperto) — Al­lora è vero? Siete suo figlio!

Brant (lottando per riprendere la propria padro­nanza, acre e diffidente) — E se lo sono? Sono orgo­glioso di esserlo. L'unica mia vergogna è questo lurido sangue dei Mannon! Ecco perché prima non potevate sopportare che vi toccassi. Vero? Siete troppo per il figlio di una serva. Perdio, ma prima eravate abbastanza contenta.

Lavinia — Non è vero. Cercavo solo di farvi con­fessare la verità.

Brant — Ah, no. Solo da quando avete cominciato a sospettare. Certamente vostro padre vi ha riempito la testa di calunnie contro mia madre. Ma, perdio, vi dirò tutta la verità, ora che sapete chi sono. E vedrete se voi, o chiunque altro dei Mannon, avete diritto di guar­darci dall'alto in basso.

Lavinia — Non m'interessa. (Fa per avviarsi verso casa).

Brant (afferrandola per il braccio) — Vigliacca anche voi, come tutti i Mannon, quando si tratta di affrontare la verità che vi riguarda. (Lavinia lo affronta con aria di sfida. Egli le lascia il braccio e continua aspro) Lo sapete che vostro nonno, era innamorato di mia madre? Lavinia — Non è vero.

Brant — Per vendetta e gelosia diseredò mio padre e lo truffò  della sua parte dell'eredità.

Lavinia — Non lo truffò. Comprò la sua parte.

Brant — Lo costrinse a venderla per un decimo del valore. E' questo che volete dire! Lui sapeva che i miei genitori morivano di fame. Ma il denaro non durò a lungo, a mio padre. Aveva preso il vizio di bere. E quando si accorse di essere disperato, diventò un vi­gliacco, come tutti i Mannon. Cominciò ad isolarsi, a sfuggire tutti. Finì col vergognarsi di mia madre e di me. Si abbrutì sempre di più e mia madre a lavorare per vivere. Quando dall'osteria all'angolo lo portavano a casa, cadeva sulla soglia come una carcassa satura d'alcol. Una sera, quando ero ancora un ragazzo, ritornò a casa ubriaco fradicio e schiaffeggiò mia madre. Era la prima volta. Come pazzo mi sentii. Gli ruppi la testa con l'attizzatoio. Mia madre cercò di nascondermi e poi pianse, pianse su di lui, perché l'amava sempre.

Lavinia — Perché mi raccontate queste cose? Ve l'ho già  detto  che non mi interessano.

Brant (duro e minaccioso) — Vedrete dove voglio arrivare. (Assente, come se la scena gli fosse ancora di­nanzi agli occhi) Se ne stette per giorni e giorni con lo sguardo perduto nel vuoto. Una volta, mentre eravamo soli, mi pregò di perdonarlo. Ma io l'odiavo e non po­tevo. Finalmente una notte uscì e non ritornò. L'indo­mani lo trovarono impiccato in un granaio.

Lavinia  (con un brivido) — Oh!

Brant (selvaggiamente) — L'unica cosa decente che abbia saputo fare!

Lavinia — Mentite! Mentite! Nessun Mannon si sa­rebbe   mai...

Brant — Ah! Nessuno si sarebbe? Tutti gentiluomini li credete. Ma abbiate pazienza d'ascoltarmi ancora un po' e sentirete qualcosa sul conto di un altro dei loro. Per vivere, mia madre si mise a fare lavori di cucito e così mi mandò a scuola. Era molto severa con me. Pen­sava che fossi responsabile del suicidio di mio padre. Aveva deciso di fare di me un gentiluomo. Come lui. Anche se avesse dovuto spendere fino all'ultimo cente­simo e dare l'ultima striscia di pelle! (Con un sorriso acre) Come vedete, non c'è riuscita. A diciassette anni scappai per imbarcarmi. Dimenticai di avere una madre, se non per prendere una parte del suo cognome. Brant, era breve e comodo a bordo, e poi non volevo portare il cognome dei Mannon. La dimenticai fino a due anni fa, al mio ritorno dall'oriente. Di tanto in tanto le avevo scritto e mandato del denaro, quando avevo po­tuto. Ritornai a Nuova York, la trovai morente: mo­rente di malattia e di fame! E venni così a scoprire che quando s'era messa a letto per non alzarsi più e non poteva lavorare, non sapendo dove fossi, aveva gettato via l'ultimo briciolo di dignità e di orgoglio, rivolgendoti a vostro padre per un prestito. Non le rispose mai. E io arrivai troppo tardi. Mi morì fra le braccia. (In un impeto di vendetta) Avrebbe potuto sal­varla, ed invece volle farla morire. Assassino, come di quelli che ha mandato alla forca, quando era  giudice!

Lavinia (balzando in piedi, furiosa) -— Voi osate par­lare così di mio padre! Se fosse qui...

Brant — Magari ci fosse! Gli direi - come lo dico a voi  che ho giurato sul cadavere di mia madre di vendicarla.

Lavinia (con freddo ed implacabile impeto) — L'a­vete già fatto nella maniera più vile, degna del figlio d'una  serva, quale siete.

Brant (di nuovo fuori di sé, furioso) — Attenzione con questi discorsi: ve l'ho detto.

Lavinia — E lei, lei rappresenta l'unico mezzo per vendicarvi  di  mio  padre, vero?

Brant (disorientato e confuso) — Cosa? Lei? Chi? A  chi volete alludere?

Lavinia — Lo capirete presto. E anche lei. Ho saputo da voi ciò che volevo. Vado in casa a parlarle. Aspet­tatemi qui finché non vi chiamo io.

Brant (furioso per il suo tono) — Dio mi fulmini se accetterò ordini da voi, come un servo.

Lavinia (glaciale) — Se avete un poco di riguardo per lei, fate come vi dico e non obbligatemi a scrivere a mio padre. (Gli volta le spalle e s'avvia verso i gra­dini, rigida ed impettita).

Brant (disperatamente, con un tentativo grottesco di assumere un tono di amoroso) — Io non so che volete dire, Lavinia. Giuro dinanzi a Dio che siete soltanto voi quella, che io... (Lavinia, che è già al sommo delle scale, si volge verso di lui e lo fissa con tale espres­sione di odio da ridurlo al silenzio. Le sue labbra si muovono, come se stesse per parlare, ma ella rimanda giù le parole. Si avvia rigida verso la casa e ci entra, chiudendosi la porta alle spalle).

FINE DEL PRIMO ATTO


SECONDO ATTO

Subito dopo il primo atto, nello studio di Ezra Mannon.

E' una stanza spaziosa dall'atmosfera austera e greve. Il mobilio è di vecchio stile coloniale. Le pareti lisce tono dipinte d'un grigio cupo con una semplice bor­dura bianca. In fondo, a sinistra, una porta comuni­cante col vestibolo. Sulla parete destra un ritratto di Giorgio Washington, in una cornice dorata, con ai lati i ritratti più piccoli di Alessandro Hamilton e di Giovanni Marshall. In fondo, nel centro, un camino. A sinistra di questo, uno scaffale pieno di opere giuridiche. Sul camino, in una cornice disadorna, un grande ritratto di Ezra Mannon, dipinto dieci anni prima.

Si è subito colpiti dalla impressionante somiglianza fra lui e Adamo Brant. E' un uomo alto e magro sulla quarantina,  rigidamente assiso  in una poltrona con le mani posate sui braccioli e vestito della toga nera da giudice. Ha un viso ben fatto, dall'espressione rigida e austera, freddo e incapace d'emozione, viso che asso­miglia ad una maschera animata, somiglianza già no­tata nei volti della moglie, della figlia e di Brant. A si­nistra: due finestre. Fra esse una scrivania. Al centro della stanza, un'ampia tavola con una poltrona da ogni lato. Un'altra sedia al centro, a destra. Tappeti sul pa­vimento.

Fuori, il sole si avvicina al tramonto e il suo bagliore riempie la stanza di un pulviscolo d'oro, che, man mano che l'azione procede, diventa più splendente, poi pende nel cremisi ed infine si incupisce sino a diventar tenebra.

Si vede Lavinia in piedi, accanto alla tavola. Lotta per mantenere la padronanza su se stessa; ma il suo viso è come devastato dall'espressione d'angoscia conte­nuta. Si volge lenta verso il ritratto del padre e rimane a fissarlo per qualche tempo. Poi si avvicina al di­pinto e posa la mano su una delle mani del padre con un gesto di amorosa protezione. Sentendo rumore nel vestibolo, si scosta subito dal ritratto. La porta comu­nicante col vestibolo si apre ed appare Cristina. E' ab­battuta, ma simula una violenta indignazione).

Cristina — Quella notizia, non confermata, deve pro­prio averti esaltato, se no, non so spiegarmi perché mi hai fatto disturbare da Anna, sapendo che riposavo.

Lavinia — T'avevo detto che dovevo parlarti.

Cristina (guardando attorno con avversione) — E per­ché proprie  in  questa tana?

Lavinia (calma, accennando al ritratto) — Perché è lo studio di mio padre.

Cristina (trasale, guarda il ritratto e abbassa subito gli occhi. Lavinia va a chiudere la porta. Cristina, sfor­zandosi d'indignarsi) — Qualche altro  mistero?

Lavinia — E' meglio che tu sieda.

(Cristina prende posto nella sedia al centro e Lavinia nella poltrona del padre).

Cristina — Ecco. Puoi cominciare.

Lavinia — Credo che Anna ti abbia detto che du­rante la tua assenza sono stata da Hazel e Pietro.

Cristina — Sì. Mi è parso però strano. Andare a fare visita  di notte.  Come t'è venuta una tale idea?

Lavinia — A me, mai.

Cristina — Allora, non ci sei stata?

Lavinia — No.

Cristina — E allora, dove sei andata?

Lavinia (con tono accusatore) — A Nuova York!

(Cristina trasale. Lavinia continua con frasi affrettate e al­quanto incoerenti)

Avevo sospettato qualcosa su tutti quei pretesti per le tue continue gite a Nuova York, il nonno ammalato, eccetera. (Cristina accenna a prote­stare indignata) Lo so che è stato ammalato e che ti sei fermata da lui, ma non era quella la vera ragione: posso dimostrarlo. Ti ho aspettata davanti alla casa del nonno, e ti ho seguita. Ho visto che ti sei incontrata con Brant!

Cristina (allarmata ma dissimulando freddamente) — E che c'è di strano? Te l'ho detto io stessa che l'ho incontrato.

Lavinia — Sei  andata  nella  sua  camera!

Cristina (scossa) — Mi pregò di incontrarmi con una signora sua conoscente. E siamo andati appunto in casa di questa.

Lavinia — No. Mi sono informata dalla portinaia. Brant ha affittato una camera eotto altro nome. Mi ha detto che ci andavate anche l'anno scorso.

Cristina (disperatamente) — E' la prima volta che sono andata. Ha insistito tanto. Diceva che mi doveva parlare di te. Aveva bisogno del mio aiuto per avvici­nare tuo padre.

Lavinia (furiosa) — Come puoi mentire fino a questo punto? Come puoi servirti di me per nascondere il tuo tradimento?

Cristina (balzando in piedi, senza coraggio di portare all'estremo la sua indignazione) — Vinia!

Lavinia — Il tuo tradimento, ripeto!

Cristina — No!

Lavinia — Sono salita su. T'ho sentito dirgli: ti amo. E baciarlo. Non m'importa che tu sia mia madre!

(Cristina la fissa, sopraffatta da tanta irruenza e dalla per­dita momentanea del suo equilibrio. Si sforza di dare un tono indifferente alla propria voce, ma questa tut­tavia è alquanto tremula).

Cristina — Sapevo che mi odiavi ma non con tanta ferocia. (Ripresa dalla sua provocante freddezza) Bene, amo Brant. E con questo?

Lavinia — E lo dici così? senza vergogna? E non hai nemmeno un pensiero per mio padre, così buono e che ha tanta fiducia in te? Ma come, come hai potuto fare una cosa simile a mio padre! Come hai potuto?

Cristina  Capiresti se fossi moglie di un uomo che odii!

Lavinia (presa da un senso di orrore, dando uno sguardo al ritratto) — No, non dirlo davanti a lui. Non voglio sentirlo.

Cristina (afferrandola per un braccio) — Devi ascol­tarmi! Ti parlo da donna a donna e non da madre a figlia! Questo non avrebbe senso tra noi. Mi giudichi vile; è quello che ho pensato io stessa di me per oltre venti anni, dandomi ad un uomo che...

Lavinia (cercando di svincolarsi e di turarsi gli orec­chi con le mani) — Smettila! Non parlare di cose si­mili. Lasciami. (Si svincola e s'allontana dalla madre con un'espressione di repulsione profonda).

(Una pausa). (Balbettando) Tu allora hai sempre odiato mio padre?

Cristina (con amarezza) — No. Una volta lo amavo, prima che ci sposassimo. Ora non si crederebbe. Era bello nella sua uniforme di tenente. Silenzioso, miste­rioso, romantico. Ma il matrimonio ha mutato presto questo  romanzo,  in  disgusto.

Lavinia (balbettando, aspra) — Così io sono nata dal tuo disgusto? L'ho sempre intuito, mamma, fin da quan­do ero piccola, che ti correvo incontro con amore e tu mi respingevi sempre. Sin da quando posso ricordare l'ho capito quel tuo disgusto. (In una vampata di odio) Oh! Ti odio! E' più che giusto che ti odii!

Cristina (scossa, come per scusarsi) — Ho fatto di tutto per volerti bene. Mi sono detta che era inumano odiare la creatura uscita dalla mia carne. Non mi son mai potuto liberare dall'idea che tu eri nata dalla sua carne. Sei stata il ricordo continuo della mia prima notte di matrimonio e della luna di miele.

Lavinia — Basta! Basta. Come puoi essere così. (D'un

tratto con una strana e gelosa amarezza) E invece hai voluto bene ad Ori! Perché non hai odiato anche lui?

Cristina — Per quasi tutto il tempo che sono stata in­cinta di lui, tuo padre si trovava nel Messico. Lo avevo dimenticato. E quando nacque Ori, mi parve che egli fosse soltanto figlio mio, una creatura tutta mia. Per­ciò l'ho amato. (Con amarezza) L'ho amato, fino a quan­do s'arrese alle suggestioni tue e di tuo padre perché partisse per la guerra, anche se io lo supplicavo di non lasciarmi. (Fissando con odio Lavinia) Lo so, Vinia. che la sua partenza è stata tutta opera tua.

Lavinia (severa) — E' un Mannon. Doveva andare. Se non l'avesse fatto se ne sarebbe pentito. Ma io gli voglio bene più di te. Il mio pensiero lo ha sempre seguito.

Cristina — Non mi sarei mai innamorata di Brant se Ori fosse rimasto con me. Quando se ne andò, non c'era che odio e desiderio di vendetta e bisogno d'amore. Proprio allora incontrai Adamo Brant. Mi amava.

Lavinia (sarcastica e irridente) — Non ti ama! Per lui tu sei solo la sua vendetta contro mio padre! Lo sai chi è? Il figlio di quella volgare governante, che il nonno mise alla porta!

Cristina (sarcastica) — Hai saputo anche questo? Cre­devi forse che la tua rivelazione mi avrebbe schiac­ciata? Lo sapevo, me lo ha detto lui stesso il giorno che mi disse che mi amava.

Lavinia — Penso che sapere chi era, abbia aumentato la tua soddisfazione per questa bassezza.

Cristina (recisa) — Vuoi ritornare al punto di par­tenza e dirmi che vuoi fare? Scommetto che tuo padre non farà neanche a tempo a entrare e già gli avrai detto tutto!

Lavinia (ridiventando fredda e rigida: lentamente) — No. A meno che tu non mi costringa a farlo. (Notando la sorpresa della madre, dura) Non mi meraviglio che tu ti sorprenda. Sai di meritare il peggior castigo. Mio padre sarebbe capace di ripudiarti, pubblicamente, senza preoccuparsi delle conseguenze dello  scandalo.

Cristina — Ne sono pienamente convinta. Lo conosco meglio  di te.

Lavinia »— Come vorrei vederti punita! Ma bada che non è per te, ma solo per mio padre. E' ancora malato. Devo risparmiarlo! Proteggerlo da te.

Cristina — Non chiedo la tua generosità.

Lavinia — Non gli dirò nulla, a patto che tu smetta con  Brant, e ti impegni a  non vederlo più, a essere una  moglie conscia dei suoi doveri verso mio padre, e compensarlo del male che gli hai fatto.

Cristina (fissa la figlia: una pausa. Poi rompendo in un riso secco) — Come sei noiosa con questi discorsi sui doveri e su tuo padre. Ammetto che tu voglia sal­vaguardare la sua dignità. So come desideri salvare la famiglia da ogni scandalo. Ma non è questa la vera ra­gione  che ti  induce a risparmiarmi.

Lavinia (confusa, accorgendosi che la madre ha colto nel segno) — E' questa.

Cristina — Adamo Brant lo volevi per te.

Lavinia — Non è vero.

Cristina — E ora  che sai di non poterlo avere, sei decisa ed allontanarlo almeno da me.

Lavinia — No.

Cristina — Ma se tu lo dicessi a tuo padre, io me ne dovrei andare via con Adamo. E sarebbe ancora mio. Non puoi sopportare questo pensiero, anche a prezzo della  mia  disgrazia.

Lavinia — Il tuo animo malvagio...

Cristina — Ti conosco, Vinia. Fin da quando eri bimba, ti osservavo, hai sempre cercato di fare così. Ge­losa della moglie di tuo padre e della madre di Ori. Hai cercato di rubarmi il mio pasto.

Lavinia (selvaggiamente) — No. Tu mi hai tolto tutto, fin da quando son nata. (Minacciosa) Non voglio più sentire le tue scuse e le tue bugie. Voglio sapere subito se farai quello che ti ho detto.

Cristina — E se rifiuto? Se me ne vado pubblica­mente con Adamo? Che ne sarà di te, di tuo padre e del buon nome della famiglia, dopo tale scandalo? E se io stessa volessi la mia rovina? Avrei l'uomo che amo, almeno.

Lavinia (aspra) — Non per molto. Mio padre lo fa­rebbe cacciare dalla flotta. Sai che cosa rappresenta la sua nave per lui. Mio padre non divorzierebbe mai da te, non potresti mai sposarlo. Tu gli saresti un peso al collo. E ricordati anche che hai cinque anni più di lui! Sarà ancora un uomo nel pieno vigore, quando tu sarai vecchia, senza attrattive. Giungerà a non soppor­tare più la tua vista.

Cristina (atrocemente colpita, fa per slanciarsi con­tro la figlia e schiaffeggiarla) — Demonio.

(Lavinia la fissa freddamente negli occhi; Cristina si domina e la­scia cadere la mano).

Lavinia — Se fossi in te, eviterei le ingiurie. Ti chia­merei  io, col nome che meriti!

Cristina (con voce tremante) — Che sciocchezza per­dere la mia calma, per la tua malvagità gelosa.

(Una pausa. Lavinia la fissa. Cristina pare assorta in un suo pensiero. Il suo viso assume un'espressione sinistra. Fred­damente)

Volevi una risposta. Bene. Ti prometto, da stasera, non rivedrò più Adamo. Sei  soddisfatta?

Lavinia (la fissa con sospetto) — Te ne liberi in modo piuttosto  sbrigativo!

Cristina (in fretta) — Vorresti la soddisfazione di vedermi soffrire? No, cara, rinunziaci pure!

Lavinia (sempre sospettosa, con una punta di di­sprezzo) — Se io amassi qualcuno...

Cristina (con tono insultante) — Se... tu lo ami, di­speratamente! (In un improvviso impeto di gelosia) Stu­pida. Non ti sei accorta che l'ho lasciato farti la corte solo per sviare i tuoi sospetti?

Lavinia (ha un piccolo brivido. Poi aggressiva) — Non ci sono caduta. Ho capito benissimo che razza di mentitore era; gli ho dato corda solo per scoprire la verità. E l'ho sempre odiato.

(Cristina ha un sorriso di scherno e accenna ad uscire. Lavinia ridiventa mi­nacciosa)

Aspetta. Non mi fido! Già pensi come ingan­narmi. Non manterrai la promessa che ora mi hai fatto. Ma è meglio non tentarlo. Ti spierò minuto per minuto! E non io sola. Ho scritto a mio padre e a Ori, non ap­pena  tornata da  Nuova York.

Cristina (con ansia) — Di Adamo?

Lavinia — Quel che basta a metterli in guardia e in­durli a sorvegliarti. Ho scritto che un certo capitano Brant veniva a farci visita e la gente cominciava a mormorare.

Cristina — Ah! So a che cosa vuoi arrivare. Che tu avrai sempre questo per schiacciarmi, e resterò sotto il tuo pollice per tutta la vita! (Incapace di contenere la sua ira, minacciosa) Bada, Vinia! Ne avrai tu la colpa, se...

Lavinia (sospettosa) — Se, cosa?

Cristina (in fretta) — Niente. Volevo dire se me ne andrò con Brant. Ma, naturalmente, sai che non lo farò. E sai che ora non posso far altro che ubbidire ai tuoi ordini.

Lavinia (continua a fissarla sospettosa) — Ai doveri che hai verso mio padre dovresti ubbidire, non ai miei ordini, se tu fossi ancora capace di sentimenti di onestà o di onore. (Brusca) Brant è di là che aspetta. Puoi dirgli che hai deciso che non si faccia vedere più. (Conte­nendo la propria rabbia) Va', cerca di liberarti subito di lui. Vado a sentire le ultime notizie. Resterò fuori al massimo mezz'ora. Al mio ritorno intendo non trovarlo più. Intesi? Se lo troverò ancora qui, scriverò tutto a mio padre. Senza aspettare il suo ritorno. (Volge le spalle alla madre ed esce rigida ed eretta, senza degnarla neanche di uno sguardo).

(Cristina la segue con gli occhi e rimane in attesa sino a quando, sentita chiudersi la porta all'in-gresso, è sicura che la figlia è uscita. Allora si gira e ri­mane assorta macchinando mentalmente il suo piano. Il suo viso si è trasformato in una maschera sinistra e cattiva. Finalmente, come se avesse presa la sua irrevocabile deci­sione, s'avvicina alla scrivania, strappa un foglietto di carta, vi scrive su due parole e se lo mette nella ma­nica. Va poi ad aprire la finestra e chiama).

Cristina — Adamo! (Va alla porta per attendere. I suoi occhi sono attratti da quelli del ritratto del marito. Lo fissa con odio e gli si rivolge con tono vendicativo, quasi senza fiato)

Puoi ringraziare Vinia, Ezra.

(Arriva alla soglia della porta, nel momento in cui Brant ap­pare dal vestibolo. Lo afferra per mano, lo trascina nella stanza e chiude la porta. Si è subito colpiti dalla somiglianza tra il suo volto e quello di Ezra Mannon).

Brant (guardandosi a disagio, non appena sono al cen­tro della stanza) — Lo sa?

Cristina — Sì. Mi ha seguito a Nuova York. E ha scoperto anche  chi sei.

Brant (con un sorriso amaro) — Lo so. E' riuscita a cavarmelo di bocca. Senza accorgermene ci sono cascato.

Cristina — Deve aver notato la tua somiglianza con Ori. Ho sempre temuto che questo l'avrebbe messa in sospetto.

Brani (accorgendosi del ritratto di Ezra Mannon, prende immediatamente un atteggiamento combattivo, come, se stesse per avventarsi contro il dipinto. Chiede lentamente)  E questo, scommetto, è il generale Mannon?

Cristina — Allora, il giudice Mannon. Non dimenti­care che è stato giudice. Lui non se ne dimentica.

Brant (fissando sempre il ritratto, va a prender posto a sinistra del tavolo, nella poltrona di Mannon. Inco­scientemente ne prende lo stesso atteggiamento, col bu­sto eretto e con le mani posate sui braccioli) — Ori somiglia anche a suo padre?

Cristina (lo fissa agitata) — No. Chi ti ha messo in testa questa stupida idea?

Brant — Sarebbe curioso che tu ti fossi innamorato di me perché ti ricordavo Ezra Mannon.

Cbistina (gli si avvicina e gli cinge le spalle con un braccio) — No, no. Ad Ori soltanto mi hai fatto pensare. Ad Ori soltanto.

Brant — Mi ricordo quella sera, che ti son stato pre­sentato, quando sentii il tuo nome. La signora Ezra Mannon. Come ti ho odiato, perché eri sua. Perdio, pensai, gliela toglierò e farà parte della mia vendetta. E da quell'odio nacque il mio amore. Strano, no?

Cristina (stringendolo al seno) — E ora mi lascerai portar via da te, Adamo?

Brant   (appassionato) —  C'è bisogno di chiedermi?

Cristina — Giurami che non vuoi— qualunque cosa tu debba fare... Giuri?

Brani — Te lo giuro.

Cristina (lo bacia) — Ricordati questo giuramento. (Guarda il ritratto, poi si volta di nuovo verso Brant con un piccolo brivido, nervosamente) Perché ti sei seduto proprio qui? E' la sua poltrona. L'ho visto tante volte seduto a questo posto. (Con un sorriso forzato) I tuoi stupidi discorsi sulla somiglianza. Alzati. (Va verso la sedia al centro a destra. Lui accosta la pol­trona).

Brant — Bisogna decidere che dobbiamo fare. Non si può più mentire e dissimulare. Sono contento. Que­sto è un giuoco da vili, non adatto al mio tempera­mento. (Cristina fissa il ritratto) Perché non ti siedi, Cristina?

Cristina — Pensavo che è meglio andare in salotto. (Con tono di sfida) No, per troppo tempo m'hai fatto paura, Ezra. (Si siede).

Brant — Appena ho visto Vinia, ho capito che qual­cosa non andava. Ho fatto del mio meglio per sviarla, dicendole paroline dolci, come mi avevi consigliato, per abbagliarla. (Aggrottando la fronte) E' stato un er­rore, Cristina. Non ho fatto altro che attirare la sua attenzione su di me e farle aprire gli occhi.

Cristina — Ho commesso sciocchezze su sciocchezze. Come se l'amore mi costringesse a fare proprio quello che non dovevo. Non avrei mai dovuto farti venire qui. Avrebbe dovuto bastarmi vederti a Nuova York. Ma t'amavo troppo. Ti volevo accanto in ogni momento che potessimo cogliere. Mi pareva d'aver la certezza che lui non sarebbe più ritornato. Ho pregato perché rima­nesse ucciso, tanto da credere che sarei stata esaudita. (Con intensità selvaggia) Ah!  Se fosse morto!

Brant — Oh, anche questa probabilità non c'è più. ormai.

Cristina (piano senza guardarlo) — Già... in quel modo.

Brant (fissandola) — Che vuoi dire? (Cristina rimane in silenzio. Poi egli cambia argomento, con un certo imbarazzo) C'è una sola cosa da fare! Appena ritorna lo aspetto senza dare a Vinia la soddisfazione di accu­sarci. Glielo dico io. (Vendicativo) Perdìo, darei l'ani­ma per vedere la faccia che farà a sentire che ami il figlio di Maria Brantòme. E ti porto via apertamente e me ne rido di lui. E se per caso s'azzarda ad opporsi... (S'arresta e fissa con odio selvaggio il ritratto).

Cristina — Che farai?

Brant — Se arrivo a mettergli le mani addosso, lo uccido.

Cristina — Eppoi? Sarai impiccato per assassinio. E di me che ne «sarà? Non mi resterà che uccidermi.

Brant — Se lo potessi agguantare da solo a solo, senza testimoni, e ne uscisse vivo il più bravo, come ho visto fare nel West.

Cristina — Ma qui non siamo nel West.

Brant — Potrei insultarlo per strada e costringerlo a sfidarmi. Lo lascerei sparare per primo e poi lo am­mazzerei per legittima difesa.

Cristina — E credi che lo costringeresti a battersi con te? Farebbe soltanto il suo dovere di ex giudice e ti farebbe arrestare. (Con calcolo, accorgendosi dell'ira che gli bolle dentro) Sarebbe una ridicola vendetta per la morte di tua madre. Esporti al ridicolo.

Brant — Ma quando ti porterò via, al ridicolo sarà esposto lui! Potrai venire sulla mia nave.

Cristina (lo rimprovera con calcolo) — Credo che non mi faresti una tale proposta, Adamo, se avessi smesso per un momento di pensare alla tua vendetta per pensare a me. Ma non capisci che, a nessun costo chiederà il divorzio? Che cosa sarò io agli occhi del mondo? La mia vita sarà rovinata e tu con me. Finirai con  l'odiarmi!

Brani — Non parlare così. Sai, che non è possibile!

Cristina — Potessi crederlo, Adamo! Diventerò vec­chia così presto. E ho paura del tempo. (Cambiando tono) E poi, la tua nave, pensa che non l'avrai più. Ti farà includere nella lista mera e non potrai più na­vigare.

Brant — Già. Può farlo, se ci si mette.

Cristina (con calcolo, senza guardarlo) — Se fosse stato ucciso, ora potremmo essere sposati e io ti por­terei la mia parte della fortuna dei Mannon. Quella che ti spetta; che ti ha rubato suo padre.

Brant — E' vero, che Dio l'impicchi.

Cristina — E allora non dovresti affannarti in cerca di navi e armatori. Ti compreresti la tua nave e ne saresti il padrone.

Brant — E' stato sempre il mio isogno essere un giorno padrone del mio trealberi. E Clark e Dawson sarebbero disposti a vendere il « Flying Trades ». (Poi dimenticando ogni cosa nel suo entusiasmo) Tu l'hai vista la mia nave. Ed è una bella nave, come tu sei una bella donna. Come due sorelle. Se fosse mia andrem­mo a passarci la nostra luna di miele. In Cina, e al ritorno, scalo a quelle isole del Pacifico. Perdio. Pro­prio  il posto per amarsi e farci la luna  di miele.

Cristina (lenta) — Sì, ma Ezra è vivo.

Brant (richiamato alla realtà, cupo) .— Lo so che è un sogno.

Cristina (volgendosi a guardarlo, lenta) — Tu puoi far vero il tuo sogno, e il mio. Il mezzo c'è. (Girando il capo dall'altra parte) Ti ho detto una volta che aveva scritto di sentirsi male al cuore?

Brant — Non... crederai?

Cristina — No. Diceva che non era niente di grave. Io ho però spargo la voce che s«offre di cuore. Sono stata dal nostro vecchio medico di famiglia e gli ho riferito quel che Ezra aveva scritto. E' la peggiore lingua della città. Ormai tutti sanno che Ezra è ammalato di  cuore.

Brant — Dove vuoi arrivare, Cristina?

Cristina — Ci ho pensato quando ho saputo che ritornava. Eppoi, Vinia... Anche se non dovessimo preoc­cuparci di lei, sarebbe l'unico mezzo. Non posso in­gannarlo a lungo. Un uomo così strano e chiuso. Il suo silenzio s'insinua nei miei pensieri. Qualche notte, distesa accanto a lui, mi sentirei impazzire e ucciderei il suo silenzio, gridandogli la verità. (Ha parlato con gli occhi fissi nel vuoto. Ora si volge verso Brant, len­tamente) Se morisse all'improvviso tutti penserebbero al suo mal di cuore. Ho letto un trattato di medicina, quando sono stata da mio padre. Mi è capitato sotto gli occhi circa tre settimane fa, come se il destino me lo avesse messo dinanzi. (Trae dalla manica il foglietto) Ho iscritto qualcosa su questo pezzo di carta. Vorrei che tu me lo procurassi.

(Le dita di Brant si chiudono automaticamente sul biglietto. Egli fissa la carta con uno strano e stupido terrore. Ella parla in fretta per non dargli tempo di riflettere).

Le riparazioni alla tua nave sono finite, vero? .Domani dunque, parti per Boston, per caricare?

Brant — Sì.

Cristina — Compra questa medicina in una farmacia del porto. Dirai per un cane ammalato che hai a bordo. Spediscimela per posta. Io starò in guardia, che Vinia non si accorga dell'arrivo. Attendimi finché non avrai notizie sulla tua nave. Ma forse, dopo, verrò diretta­mente da te.

Brant — Ma come puoi... senza che nessuno so­spetti...

Cristina — Prende tante medicine e gli darò la sua medicina. Tutto è stato  predisposto.

Brant — E se muore d'improvviso, non può darsi che  Vinia...

Cristina  — Niente  la  insospettirà. E'  già preoccu-pata  per la malattia di cuore del padre e  poi, anche con tutto il suo odio per me, non potrà mai pensare...

Briant — Anche Ori, ritornerà tra poco.

Cristina — Ori crederà a quello che voglio io. Gli altri poi non potranno neanche sospettare che una cosa simile avvenga nella casa dei Mannon. E più presto  agisco, tanto  meno  darò  luogo a sospetti. Pen­seranno che il suo cuore già debole non ha sopportato l'emozione del ritorno e le fatiche passate. Sarà anche l'opinione del nostro medico. Ne sono certa.

Brant — Il veleno!  Che vile espediente!

Cristina   (con sferzante ironia, intuendo la neces­sità di istigarlo) —  Sarebbe  più coraggioso  lasciarmi a lui e farti portar via la tua nave?

Brant — No.

Cristina — Non hai detto che volevi ucciderlo?

Brant  —  Sì, ma lasciandogli la  possibilità di fare altrettanto con me.

Cristina — Come ha agito lui con tua madre?

Brant — Da vile.

Cristina (ironica) — E allora? Cosa sono tanti scrupoli per la sua morte? Ecco il Mannon che viene fuori, la prima volta che il tuo amore è messo dav­vero alla prova. Vuoi dimostrare che sei un debole vigliacco come tuo padre?

Brant — Cristina! Se fosse un uomo a parlarmi così!

Cristina — Non pensi a che significa, anche il suo ritorno? Significa ritorno nel mio letto. Se mi amassi, come dici, credo che non ti rimarrebbero scrupoli. Se una donna ti contendesse a me, non andrei per il sottile nello scegliere il modo di ucciderla. (Ancora più sferzante). Ma forse il tuo amore non è stato che una finzione, per vendicarti di lui, facendo il dame­rino da sottoscala.

Brant (colpito, afferrandola per le spalle, selvag­giamente) — Smettila. Farò ciò che vuoi. Lo sai. (As­sumendo un'espressione cupa e malvagia, mette il foglio in tasca) Hai ragione. Sono stupido ad avere preoc­cupazioni sul modo di morire di Ezra.              

Cristina (il suo volto si illumina di soddisfazione. Lo stringe tra le braccia e lo bacia appassionatamente) — Ah! Ora sei l'uomo che amo e non un ipocrita Mannon. Niente più scrupoli romantici. Promettilo!

Brant — Te lo prometto.

                  (Un rombo di cannone dal forte. Egli e Cristina. trasaliscono atterriti e si fissano negli occhi. Un altro rombo, che fa vibrare le vetrate delle finestre. Cristina si riprende).

Cristina — Senti? Salutano il suo ritorno. (Lo bacia con insistenza) Ricordati della morte di tua madre! Ricorda il sogno di una nave tua. Ma sopra-tutto ricorda che avrai me, tua, tua moglie! (In fretta) Ed ora va', Lavinia sta per tornare, e tu non sai dissi­mulare. (Spingendolo verso la porta) Presto, non voglio che ti incontri.

(Le salve del forte si susseguono fino alla fine dell'atto. Brant esce dalla porta comunicante col ve­stibolo e dopo poco si sente la porta d'ingresso chiudere dietro di lui. Cristina corre dalla porta alla finestra e rimane dietro alla tenda a seguirlo con lo sguardo mentre egli scende per il viale. Ella è in uno stato di eccitazione acuta ed esultante. Poi, come presa da una idea improv­visa, parla con una strana e sinistra aria d'orgoglio a Brant che si allontana).

Cristina — Ormai, Adamo, non potrai più lasciarmi per le tue navi. Per il tuo mare e le nude ragazze delle isole, anche se diventerò vecchia e brutta! (Si allontana dalla finestra. I suoi occhi sono attratti da quelli del ritratto del marito e per un momento rimane a fissarli, come affascinata. Poi distoglie lo sguardo e con un lieve brivido, che non riesce a reprimere, si allontana in fretta dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle).

FINE DEL SECONDO ATTO


TERZO ATTO

L'esterno della casa dei Mannon, come nel primo atto. Sono circa le nove di sera, una settimana dopo. La luce della mezza luna cade sulla casa, trasformandola in qual­che cosa di pauroso, di irreale e di lontano. Il frontone del candido tempio sembra più che mai simile ad una maschera inconcludente, appiccicata sulla facciata grigia della casa. Tutte le imposte sono chiuse. Le bianche colonne del panico proiettano nere sbarre di ombra sul retrostante muro grigio. Il tronco del pino a destra è come un pilastro D'ebano e la sua chioma una massa d'ombra.

(Lavinia è seduta in cima alle scale del portico, è sempre vestita severamente di nero. La sua esile persona, seduta col busto rigidamente eretto, con le braccia distese lungo i fianchi, le gambe strette, le spalle quadrale, e la testa sallevata, ha l'aspetto di una statua egizia. Ella ha gli occhi fissi nel vuoto, ha voce, una volta di baritono, di Seth, che canta melanconicamente « Shenandoah », sale dal fondo del viale. Man mano che si avvicina, si avverte più distinta.

« Oh ! Shenandoah — come ti vorrei sentire,

Fiume mio rapinoso.

Oh!  Shenandoah, non  ti  posso  avvicinare:

Son diretto lontano,

attraverso  l'immenso  Missouri,

Oh, Shenandoah, io amo tua figlia,

Fiume mio rapinoso ».

Appare Cristina. Il contorno della sua persona si di­segna sullo sfondo luminoso del vestibolo. Indossa un abito di velluto verde, che fa risaltare il colore dei suoi capelli. La luce che la investe alle spalle, mette uno sfavillio sui margini del suo abito e sui capelli. Chiude la porta e s'avanza nella luce lunare sino all'orlo del primo gradino, rimanendo un poco a destra di Lavinia. Il chiaro di luna, illuminandole insieme, accentua stra­namente la somiglianza dei loro volti e nel tempo stesso la differenza ostile fra i loro corpi e il loro abbigliamento. Lavinia non si volta, né accenna d'essersi accorta della presenza della madre. Una pausa incresciosa. Seth s'avvia a sinistra).

Seth — E' meglio filarsela! (Scompare dietro l'angolo della casa).

(Un'altra pausa. Poi Cristina parla con un tono di sferzante  ironia).

Cristina — Che stai guardando, la luna? Le giovi­nette puritane non devono indagare troppo nella prima­vera. La bellezza non è abiezione? E l'amore una cosa spregevole? (Ride beffarda e amara, poi con tono insul­tante) Perché non sposi Pietro? O vuoi restare una vec­chia  zitella?

Lavinia (con tono calmo) — Non sperare di liberarti così di me. Non sposerò nessuno. Vivrò solo per com­piere il dovere che mi tono imposta verso il babbo.

Cristina — Dovere! dovere! Quante volte ho sentito pronunciare questa parola in questa casa! Ma non puoi dire che, per tutti questi anni, io non abbia fatto il mio. Ma tutto ha una fine.

Lavinia — Ma c'è anche un'altra fine e devi fare di nuovo il tuo  dovere.

Cristina (sta per ritorcere le parole della figlia, poi dice calma) — Già, è proprio così.

Lavinia (dopo una pausa, sospettosa) — Che cosa ti succede?  Tu macchini  qualcosa.

Cristina (sta per trasalire ma si contiene in tempo) — Non dire sciocchezze.

Lavinia (calma) — Stai studiando il modo di rivedere Adamo, non è vero? Meglio per te se ci rinunci.

Cristina (calma) — Non sono pazza. Gli ho detto addio per sempre. E vuoi che mi renda io stessa la cosa più dura?

Lavinia — Ti è stata dura? Me l'immaginavo e ti ho sorvegliata...

Cristina — Ti ho detto che non t'avrei dato la gioia di godere della mia sofferenza. (Una pausa) Quando credi che potrà arrivare tuo padre? Se vuoi che al suo ritorno reciti bene la mia parte, non mancare di av­vertirmi.

Lavinia — Mi ha scritto che non avrebbe atteso lo scioglimento della sua brigata e che avrebbe cercato di esser lasciato libero al più presto. Può arrivare stasera, domani o dopodomani, forse.

Cristina (con un sorriso ironico) — Crédi che possa arrivare anche stasera? Cosicché è lui l'amato che stai aspettando in questa notte di luna? (Ancora una pausa) Ma il treno della notte è già arrivato da un po'...

Lavinia (guarda giù nel viale, poi balza in piedi ecci­tata) — C'è qualcuno!

(Cristina si alza lentamente. Si sentono risuonare dei passi; poco dopo Ezra Mannon entra dalla sinistra; si arresta d'un tratto nell'ombra e, rigido ed impettito nella posizione d'attenti, rimane a guardare la casa, la moglie, la figlia. E' un uomo sulla cinquantina, alto, asciutto e di robusta ossatura. Veste l'uniforme di brigadiere generale. Si è subito colpiti dal­l'espressione di maschera del suo volto in riposo, espres­sione più pronunciata in lui che negli altri. Rassomiglia perfettamente al ritratto, che è nello studio, se se ne eccettuino una maggiore magrezza del volto, solcato ora da rughe e i capelli e la barba brizzolati. Ha movimenti precisi e compassati ed il vezzo di starsene in piedi o seduto in una attitudine rigida e quasi manierata che ricorda quella delle statue dei guerrieri. Quando parla, la sua voce profonda è di una qualità cupa e repressa, come se cercasse continuamente di vuotarla d'ogni emo­zione. La sua aria è brusca ed autoritaria).

Lavinia (vedendo una figura maschile fermarsi nell'om­bra, chiede eccitata) — Chi è?

Mannon  (uscendo dall'ombra) — Sono io.

Lavinia (con un grido di gioia) — Babbo! (Gli corre incontro, gli butta le braccia al collo e lo bacia). Oh! babbo! (Scoppia in pianto, nascondendogli il volto sullo spalla).

Mannon (imbarazzato, sfiorandole con la mano i ca­pelli, rude) — Via! Credevo d'averti insegnato a non piangere.

Lavinia (obbediente, cerca di trattenere le lacrime) — Perdonami, babbo, ma sono così felice!

Mannon (con rude commozione) — Le lacrime sono una strana manifestazione di felicità! Ma comprendo le tue lacrime.

Cristina (ha disceso intanto lentamente i gradini, con gli occhi fissi sul marito, sostenuta) — Ma sei proprio tu, Ezra? Avevamo già rinunciato alla speranza di ve­derti stasera.

Mannon (andandole incontro con la sua solita rigi­dezza) — Il treno ha ritardato. La ferrovia era gremita. Sono stati tutti congedati. (Si incontra con lei ai piedi della scala e la bacia con fredda dignità per puro ri­spetto delle convenzioni) Sono lieto di rivederti, Cristina. Hai un bell'aspetto! (Fa un passo indietro per guardarla meglio, poi con una voce, che tradisce una commozione profonda, contenuta) Sei cambiata, però. Sei più bella che mai. Ma lo sei sempre stata.

Cristina (con tono forzatamente leggero) — Che strano ricevere dei complimenti dal proprio marito. Sei diventato galante. Ezra. (Poi con premura) Ma devi essere stanco... Ti vuoi sedere un poco? La notte è così bella.

Lavinia (che si aggira attorno in uno stato di ecci­tazione nervosa, fa in modo di insinuarsi fra i due, aspra) —  Andiamo, c'è troppo umido qui fuori. E poi il babbo deve  aver  fame.  (Pigliandolo  per  il  braccio)  Vieni   in casa con me; ti dò qualche cosa da mangiare. Povero papà mio, devi essere affamato.

Mannon (pur lusingato dalla premura della figlia, non può nascondere l'imbarazzo che ne prova a causa della presenza della moglie; liberando il braccio brusco) —  No, grazie. Preferisco riposare un po' qui fuori. Sie­diti, Vinia.

(Cristina siede su l'ultimo gradino in alto al centro. Mannon sul gradino centrale a destra e Lavinia su quello più basso a sinistra. Egli continua a parlare a scatti, come se si sforzasse di nascondere un segreto senso di disagio)

Ho pochi giorni di licenza. Devo tornare a sciogliere  la  mia  brigata. La  pace sarà firmata  presto. L'assassinio del Presidente è stato una grande sventura, ma non può mutare il corso degli eventi.

Lavinia — Poveretto! E' terribile dover morire pro­prio al momento della vittoria.

Mannon — Già. (Dopo una pausa) Ogni vittoria si conchiude con la disfatta della morte. E' certo. Anche la disfatta finisce con la vittoria della morte? E' questo che mi domando.

(Le due donne lo fissano: Lavinia sorpresa, Cristina sconcertata. Una pausa).

Cristina — E Ori dov'è? Non potevi ottenere un po' di licenza tinche per lui?

Mannon (esita, poi brusco) — Non ve l'ho mai scritto. Ori è stato ferito.

Lavinia — Ferito? Gravemente?

Cristina (scatta in piedi impulsiva, più per irosa amarezza che per dolore) — Eh, lo sapevo! Sin da quando lo hai costretto ad andare alla tua guerra. (Si siede, dura) E' inutile che ti preoccupi di darci la no­tizia a poco a poco, Ezra. Ori è morto, dimmi.

Lavinia — No. No, non è vero, babbo!

Mannon (reciso, con un lieve tono di gelosia nella voce) — Ma no, non è morto! Se tua madre mi fa fi­nire, invece di saltare senz'altro alla conclusione. Il tuo piccolino, che ora non è più piccolino, ne ho fatto un uomo, ha compiuto l'atto più coraggioso che ho visto durante la guerra: è stato ferito alla testa. Una semplice scalfittura che però produsse una meningite. E' stato molto grave. Non l'avrei immaginato. Nervi. Io non ho dato mai eccessiva importanza ai nervi. E' sempre stato inquieto.  (Alla moglie)  Ha preso  da te.

Cristina — Ma quando potrà ritornare a casa?

Mannon — Presto. Il medico ha consigliato ancora alcuni giorni di riposo. E' ancora malato. E' stato molto tempo fuori di conoscenza, si comportava come se fosse ridiventato bambino. Gli sembrava che tu fossi vicino a lui. Parlava continuamente alla mamma.

Cristina (trattenendo il respiro) — Ah!

Lavinia (compassionevole ma con una punta di di­leggio) — Povero Ori!

Mannon — Non voglio che tu lo tratti come un bam­bino, quando ritornerà a casa, Cristina. Gli farebbe male riattaccarsi alle tue gonne.

Cristina — Non preoccupartene. Questo è passato, da quando mi ha lasciata. 

(Una pausa).

Lavinia — E tu, i tuoi disturbi di cuore? Ho temuto sempre tanto che tu li facessi meno gravi per non allar­marci.

Mannon — Se si fosse trattato di cosa seria ve l'avrei detto. Se aveste veduto tanta morte quanta ne ho vista io in questi quattro anni, non ne avreste più paura. Ora desidero soltanto dimenticarmene.

(Si mette a passeggiare sul lato destro del gradino. Lavinia lo guarda preoccu­pata)

E' un dolore, come una trafittura. Quando mi prende sono incapace di fare qualunque cosa. Il medico mi ha ordinato di evitare eccitazioni e dispiaceri.

Cristina (fissandolo) — Hai l'aspetto di chi non sta bene. Forse perché sei stanco. Devi andare subito a letto, Ezra.

Mannon (smette di passeggiare, fermandosi dinanzi a lei, la fissa negli occhi. Una pausa, poi dice con tono che vorrebbe essere indifferente) — Sì, subito; ne ho bisogno.

Lavinia (che è rimasta ad osservarlo con gelosia, lo afferra pel braccio, con volubilità fanciullesca) — No, non ancora. Per favore, babbo. Sei appena arrivato. E abbiamo scambiato solo qualche parola. (Rivolgendosi alla madre con tono insolente) Ma come puoi dire che ha l'aspetto stanco? Non l'ho mai visto così bene! (Poi al padre, lanciando uno sguardo vendicativo a Cristina) Abbiamo tante cose da dirti. Ti dobbiamo parlare del capitano Brant. (Se si attendeva di veder la madre tra­salire a tale accenno, rimane delusa. Cristina era pre­parata e rimane perciò impassibile, e sotto lo sguardo scrutatore e sospettoso di Mannon).

Mannon  Vinia mi ha scritto che avevi trovato compagnia. Non lo avevo mai sentito nominare. Che è venuto a fare qui?

Cristina — Domandalo a Vinia. E' il suo ultimo spa­simante. Grandi passeggiate con lui al chiaro di luna!

Lavinia (trattenendo il respiro, nel sentirsi provocata così sfacciatamente) — Oh!

Mannon (geloso e sospettoso di sua figlia) — Questo non me lo avevi scritto nella tua lettera, signorina.

Lavinia — Sono andata una volta sola a passeggio con lui, ma, prima...  (Si interrompe di colpo).

Mannon — Prima  di che?

Lavinia — Prima di accorgermi che è uno di quelli che corrono dietro ad ogni donna.

Mannon (con ira a Cristina) — Oh! un bell'ospite da ricevere in mia assenza.

Lavinia — Credo che cercasse di filare anche con la mamma. Ecco perché mi sono sentita in dovere di scri­verti. Tu sai come sparlano in città. Anche tu avresti dovuto avvertire la mamma che era imprudente permet­tergli di venir qui.

Mannon — Altro che imprudente.

Cristina (freddamente) — Ezra, preferirei rimandare questa discussione a quando saremo soli, a meno che tu non ci tenga. Vinia è una scervellata ad annoiarti con queste ridicole sciocchezze, non appena hai rimesso piede in  casa! (Volgendosi alla figlia) Mi  pare che male ne hai fatto abbastanza. Vuoi lasciarci soli, per cortesia?

Lavinia — No.

Mannon — Finitela di litigare. Speravo che l'avreste smessa con questa storia. Non posso più tollerarlo in casa mia!

Lavinia (obbediente) — Sì, babbo.

Mannon — E' ora di andare a letto, Vinia.

Lavinia — Sì,  babbo.   (Lo  bacia  eccitata)  Sono  così felice che tu sia qui. Ma non dare ascolto alla mamma. Tu sei l'unico uomo che io amo. Non mi staccherò mai da te.

Mannon (carezzandole i capelli, con molta tenerezza) — Lo spero. Voglio che tu rimanga sempre la mia pic­cola, almeno per molto tempo ancora. (Poi incontrando lo sguardo beffardo di Cristina, la allontana con vio­lenza, brusco) E ora, a letto.

Lavinia — Sì, babbo. (Sale i gradini, senza degnare di uno sguardo la madre, nel passarle accanto. Quando è nel portico si ferma e si volta) Non ti preoccupare di nulla, babbo. Avrò sempre cura di te. (Entra).

(Mannon guarda la moglie, assorta, poi ricomincia a passeggiare sul gradino).

Cristina (forzatamente cortese) — Siediti, Ezra. Ti stancherai ancora, stando così in piedi.

(Mannon siede sul gradino più basso, girato da un lato per poterla guardare. Cristina, con una semplicità che disarma)

E ora. dimmi, di che cosa mi sospetti?

Mannon (disorientato) — Perché mai pensi che so­spetti di te?

Cristina — Per tutto! Ho sentito la tua diffidenza da quando sei arrivato. I tuoi occhi mi hanno scrutata come se tu fossi di nuovo giudice ed io il reo.

Mannon (come pentito) — Io?

Cristina — E tutto per una stupida ed inopportuna lettera di Lavinia. Mi sembra un po' troppo tardi, ora­mai che sono vecchia e con dei figli già grandi, accu­sarmi di amoreggiare con uno sciocco capitano di mare!

Mannon (colpito e risollevato, con un tono conci­liante) — Nessuno ti vuole accusare di questo. Soltanto, sei stata imprudente a provocare così le chiacchiere della gente.

Cristina — Veramente non hai altro  contro di me?

Mannon — Ma no, certo. E che altro?  (Le accarezza la mano imbarazzato) Non parliamo più di questo. (Poi aggiunge burbero) Però vorrei che tu mi spiegassi come è capitato qui questo Brant.

Cristina — Ma certo. L'ho incontrato in casa di mio padre, che l'ha preso in simpatia; così quando è venuto qui, non potevo essere scortese con lui. Gli ho fatto garbatamente capire che le sue visite erano inopportune. Ma gli uomini di questo genere non le capiscono, certe cose. In fondo mi sembra che sia venuto qui solo quat­tro volte. E che le sue visite abbiano provocate chiac­chiere, è stupido. Hanno detto che veniva a corteggiare Vinia. Puoi domandarlo a tutti in città.

Mannon — Un bel tipo di sfacciato. Dovevi dirglielo chiaro che non era gradito.

Cristina (con aria forzatamente contrita) — Ma, ti devo confessare che non ci ho badato molto. Mi portava notizie di mio padre, che, come sai, è stato ammalato. (Poi tenendo le labbra come per trattenere un sorriso di scherno) Non puoi immaginare in che pena sono stata con la preoccupazione di Ori, di mio padre e di te.

Mannon (profondamente commosso, stringe la mano di Cristina tra le sue) — Cristina, mi dispiace davvero di essere stato ingiusto. (Le bacia impulsivamente la mano, poi imbarazzato di aver manifestato la propria commo­zione, aggiunge con tono burbero e scherzoso) Paura che il vecchio Johnny Reb mi avesse scelto dal mazzo?

Cristina (trattenendo un violento impulso di scoppiare in una risata di scherno) — E devi chiedermelo? (Una pausa. La fissa, affascinato ed eccitato).

Mannon (senza potersi più contenere) — Ho sognato di ritornare a casa per te, Cristina! (Si china verso di lei con la voce tremante di desiderio e con un senti­mento di strana paura, toccandole i capelli con una ca­rezza maldestra) Tu sei bella! Sei più bella che mai, lontana da me. Non ti conosco. Tu sei più giovane. Mi sento come un vecchio accanto a te. Solo i tuoi capelli sono gli stessi, i tuoi strani magnifici capelli, che sem­pre...

Cristina (con uno scatto di repulsione ai sottrae alle carezza del marito) — No! (Ma come egli si scosta, offeso e contrariato dal diniego, ella dice in fretta) Scusami Ezra. Non volevo, sono così nervosa questa sera.

(Mannon va a destra e rimane a fissare gli alberi. Cristina fissa la sua schiena con un'espressione di odio. Sospira con una stanchezza affettata, posa le spalle contro la colonna e chiude gli occhi).

Cristina — Sono stanca. Ezra.

Mannon — Mi dispiace annoiarti con queste cose. (Ab­bozza un sorriso) Ero un po' geloso, a dirti la verità. (Si volta, facendo quasi uno sforzo su se stesso; veden­dola con gli occhi chiusi le si avvicina e si china gof­famente su lei per baciarla. Ma è trattenuto dalla sua strana immobilità).

Cristina (avvertendo il suo desiderio si scosta istin­tivamente senza aprire gli occhi) — Perché mi guardi così?

Mannon (si volta come preso in fallo) — Come? (A disagio) Come te ne sei accorta con gli occhi chiusi? (Come liberandosi da un senso di oppressione, cupo) Non mi so abituare alla casa. E' così solitaria. M'ero abituato a sentire di notte l'accampamento con migliaia di uomini attorno a me. Forse un senso di protezione... (Improvvisamente, di nuovo a disagio) Non tenere gli occhi chiusi. Perché stai così immobile? (Poi mentre ella apre gli occhi, con un tono inconsueto, tanto esso è intenso) Dio mio, voglio parlarti, Cristina; devo spie­garti qualcosa che è dentro di me... almeno tentarlo. (Le siede vicino) Chiudi ancora gli occhi! Posso parlare meglio. Mi è stato sempre difficile parlare dei miei senti­menti. Non ci riuscivo mai quando mi guardavi. I tuoi occhi erano sempre così pieni di silenzio. (Pausa) Ed è stato sempre così, fin da quando ci siamo sposati. Prima no, da fidanzati. Avevano l'abitudine di parlare, allora, e  mi  facevano  parlare,  perché   mi  rispondevano.

Cristina  (con gli occhi chiusi, dura)  — Taci, Ezra.

Mannon (come se avesse deciso, una volta cominciato, di continuare ostinatamente, senza tener conto delle interruzioni) — La vista continua della morte, in guerra, mi ha fatto pensare al nostro passato. La morte era una cosa così comune, non significava più nulla. E questo mi lasciò modo di pensare alla vita. Strano, no? La morte mi ha indotto a pensare alla vita. Prima la vita mi aveva fatto pensare alla morte.

Cristina (sempre con gli occhi chiusi) — Ma perché parli della morte?

Mannon — Così hanno sempre pensato i Mannon. Ogni sabato si riunivano nel tempio per meditare Bulla morte. Vivere è morire. Esser nato vuol dire cominciare a morire. La morte è nella nascita. (Scuotendo la testa) Dove va a pescarle certe idee, la gente. La casa bianca di riunione! Mi si è fitta in testa, imbiancata come un tempio funebre. Ma, durante questa guerra, ho visto tanti muri bianchi chiazzati di sangue, che non valeva più dell'acqua sporca! Mi son visto attorno cadaveri e cada­veri, non ci si badava più che a della spazzatura. La bianca casa di riunione mi sembrava così una cosa senza senso, con tutto quel suo chiasso, inutilmente so­lenne, sulla morte.

Cristina (apre gli occhi e lo fissa con uno strano ter­rore) — Ma che cosa c'entra con me tutto questo di­scorso  sulla morte?

Mannon (evitando il suo sguardo: con insistenza) — Stai con gli occhi chiusi. Ascoltami e saprai. (Ella chiude gli occhi. Mannon con una nota di disperazione nella voce) Ho pensato, in lunghe notti d'insonnia, alla mia vita, alla tua vita. Nel mezzo della battaglia ho pensato che avrei potuto morire da un momento all'altro. Ma la mia fine e tutta la mia vita non mi parevano degne neanche del minimo pensiero. Stammi a sentire. Mi sembrava strano e ingiusto che io — tuo marito — dovessi rimanere ucciso: una cosa che muore senza aver mai vissuto. E allora tutti gli anni del nostro matrimonio riaffioravano alla mia memoria, cercavo di guardarli. Niente era chiaro, solo una specie di muro tra noi due, che ci nascondeva a vicenda. Mi sono sforzato di sco­prire che cosa fosse quel muro, ma non ci sono mai riuscito.  (Con un gesto  implorante)  Mi  comprendi?

Cristina — No.

Mannon — Ma anche tu hai sentito che c'era qualcosa che ci divideva. Non mentire, Cristina. (Fissa il viso immobile della moglie, che sta con gli occhi chiusi e continua ostinato) Forse tu hai sempre saputo di non amarmi. Ricordi la guerra del Messico? Mi accorsi che tu desideravi che io ci andassi. Sentivo che mi odiavi. E' vero? (Ella non risponde) E questo mi fece partire. Speravo di restare ucciso. Forse anche tu lo speravi. E' vero?

Cristina (balbetta) — No, no... perché dici così?

Mannon — Al mio ritorno eri tutta presa dal tuo bambino, da Ori. Per te non contavo quasi più nulla. Me ne accorsi. Feci di tutto per non odiarlo. Mi attaccai a Vinia; ma una figlia non è la moglie. Mi diedi allora alla vita pubblica, deciso a lasciarti alla tua vita, a non curarmene. Ecco perché non mi bastò più la mia atti­vità d'armatore e divenni giudice e sindaco, perché i miei concittadini mi dimostravano tanta stima e mi crede­vano così bravo. Ah; ma bravo in che? Non in quello che più desideravo nella vita. Non per il tuo amore. No. Capace soltanto di allontanare il mio pensiero da ciò che avevo perduto. (La fissa, poi le chiede con tono di giustificazione) Perché tu mi amavi prima che ci spo­sassimo. Non puoi  negarlo.

Cristina (disperatamente) — Non nego nulla.

Mannon (si alza dignitoso e superbo, con l'aria di chi si dichiara vinto) — Sta bene. Son tornato per dirti quello che ho dentro. Ti ho amato allora, dopo e anche adesso.

Cristina   (distrattamente)  — Per favore,  Ezra.

Mannon — Sono contento di sentire da te questo nome. Forse l'avevi dimenticato. Non te ne rimprovero. Mi accorgo che non avrei dovuto parlare così e che mi sono forse troppo aperto. C'è qualcosa di strano in me, che mi serra le labbra, tutte le volte che vorrei parlare di quello che mi sta più a cuore, e che mi costringe a na­scondere appunto quello che vorrei mostrare. Qualche cosa che mi fa rimanere asisiso senza parole, nel mio cuore, come la statua di un morto in una piazza. (Si riprende d'un tratto e le piglia una mano) Devo cercare cos'è questa barriera che il matrimonio ha alzato tra noi! E tu devi aiutarmi ad abbatterla! Abbiamo ancora vent'anni davanti a noi! Ho pensato molto a quel che do­vremmo fare per tornare l'uno all'altro. Ho pensato di lasciare i ragazzi e di partire assieme, andare in un'altra parte del mondo, e trovare un'isola per restare soli qual­che tempo. Ti accorgerai che sono mutato, Cristina. Sono stanco di morte! Voglio la vita! Forse ora potrai amarmi! (Con accento di estrema supplica disperata) E voglio farmi amare da te!

Cristina (ritrae la mano da quella del marito e balza in piedi, selvaggia) — Per amor di Dio, finiscila! Non ti capisco; quel che deve essere, deve essere, mi snervi. (Di colpo) E' tardi.

Mannon (profondamente ferito, si ricompone nella sua rigidezza militare, tira fuori automaticamente l'orologio) — Sì. Sono le undici e sei. E' ora di entrare. (Sale due gradini col viso rivolto alla porta. Esclama con amarezza)  Mi  dici  di tacere! E' strano, perdio!

Cristina (ritornata in se stessa e con calcolo, gli prende il braccio con aria di seduzione) — Volevo dire: che bene ne viene da tante parole? Non c'è nessun muro tra noi. Ti amo.

Mannon (l'afferra per le spalle e la fissa in viso) — Cristina, darei l'anima per crederci, ma ho paura! (Ella lo bacia. Egli se la stringe forte fra le braccia, con passione) Cristina!

(La porta alle spalle di lui si apre ad un tratto e appare Lavinia al limite del portico. Ha i piedi nudi calzati di pantofole e l'abito nero gettato sulla veste da notte. Ella si ritrae con avversione, nello scoprirli abbracciati. Essi si separano, trasalendo).

Mannon (confuso, con irritazione) — Ti credevo già a  letto,   Signorina!

Lavinia (dura) — Non riuscivo a dormire, ho pen­sato  di fare una passeggiata. La notte  è così bella.

Cristina — Stavamo per andare a letto. Tuo padre è stanco. (S'avvia verso la porta, conducendo il marito per mano).

Mannon — Non è ora di passeggiate. Torna in casa.

Lavinia — Sì, babbo.

Mannon — Buona notte.

(La porta si chiude dietro a Mannon e alla moglie. Lavinia rimane con lo sguardo perduto nel vuoto, poi scende rigida la scala e, disce­sala, si ferma di nuovo. Dalle imposte della camera da letto, al secondo piano a sinistra, filtra della luce. Lavinia guarda in quella direzione).

Lavinia (in un accesso di odio e di gelosia) — Ti odio! Mi rubi anche l'amore di mio padre. Ogni amore mi hai tolto da quando sono nata. (Poi, quasi con un singhiozzo, nascondendo il volto tra le mani) Oh! mamma! Perché hai fatto questo? Che male ti ho fatto? (Alzando di nuovo gli occhi alla finestra, con intenso disgusto) Padre, come puoi amare quella svergo­gnata? (Forsennata) Non posso sopportarlo! Non voglio sopportarlo Devo dirglielo! Devo! (Chiama disperata) Babbo! Babbo!

(L'imposta della camera da letto si apre di colpo e s'affaccia Mannon).

Mannon  (aspro) — Che c'è?  Non gridare così!

Lavinia — Mi è venuto in mente che non ti ho dato la buona notte, babbo!

Mannon (esasperato) — Santo cielo! (Addolcendo la voce) Oh! Va bene; buona notte, Vinia. Va a letto presto.

Lavinia — Sì, babbo, buona notte.

(Mannon richiude la finestra. Ella rimane a fissarla come affascinata e si torce disperatamente le mani).

FINE DEL TERZO ATTO

QUARTO ATTO

La camera da letto di Ezra Mannon. Un grande letto al centro della parete in fondo, con i piedi rivolti verso il proscenio. A capo del letto, a sinistra un co­modino e su di esso una candela. A sinistra del como­dino, la porta comunicante con la camera di Cristina: essa è aperta. Nella parete di sinistra due finestre. A sinistra, davanti, una tavola con un lume e con una sedia accanto. Nella parete destra, la porta comuni­cante col vestibolo. Più indietro, contro il muro, una scrivania.

(Da principio, non è possibile scorgere nessuno di questi particolari, poiché la camera è al buio, se se ne eccettui quel poco chiaro di luna, che filtra dagli spiragli  delle  imposte.  E' quasi  l'alba  del giorno  seguente. Si scorge la forma confusa di Cristina, pallido fantasma nelle tenebre, mentre scivola piano e furtiva dal letto. S'avvicina in punta di piedi alla tavola. Leva dalla sedia una vestaglia a colori, gettata sulla spal­liera, e se la butta sulle spalle. Rimane in ascolto per accertarsi che non arrivi nessun suono dal letto. Una pausa. Poi risuona la voce di Mannon dal fondo del letto, cupa e senza vita).

Mannon — Cristina!

Cristina (trasalendo violentemente con voce forzata) — Sì.

Mannon — Sarà quasi l'alba, vero?

Cristina — Sì, comincia a far giorno.

Mannon — Perché hai trasalito, sentendomi parlare? Ti riesce così strana la mia voce?

Cristina — Credevo che dormissi.

Mannon   —  Non ho potuto dormire. Sono rimasto disteso a pensare. Ma perché sei così inquieta?

Cristina — Neanch'io ho potuto dormire.

Mannon — Sei sgusciata dal letto così piano.

Cristina — Non volevo svegliarti.

Mannon   (con  amarezza)   —   Non sopportavi di re­stare accanto a me?

Cristina — Non volevo disturbarti, rigirandomi con­tinuamente.

Mannon — Forse è meglio accendere la luce e par­lare un poco.

Cristina (atterrita) — Non ho voglia di parlare. Pre­ferisco il buio.

Mannon — Ti voglio vedere. (Prende i fiammiferi dal comodino e accende la candela. Cristina siede in fretta sulla sedia accanto al tavolo e la colloca in modo da volgergli la faccia di appena un quarto. Mannon si leva a sedere sul letto, appoggiando la schiena alla spal­liera. Il suo viso, nella luce tremula della candela, ha un'espressione paurosa e amara) Preferisci il buio, per non vedere questo vecchio marito, non è vero?

Cristina — Non dire così, Ezra. Se continui a par­lare così me ne vado nella mia camera. (Si alza, disto­gliendo  sempre il viso  dagli occhi del marito).

Mannon — Un momento! (Con un tono implorante nella voce) Non te ne andare. Non voglio rimaner solo. (Ella siede di nuovo riassumendo la posizione di prima. Egli continua umile) Non volevo. C'è in me dell'amarezza e talvolta viene fuori senza che riesca a soffocarla.

Cristina — Sei sempre stato amaro.

Mannon — Anche prima che ci sposassimo?

Cristina — Non ricordo.

Mannon — Non vuoi ricordare che una volta mi hai amato.

Cristina  —  Non voglio parlare del  passato. (Mu­tando d'un tratto argomento) Hai sentito Vinia sul prin­cipio della notte? Ha passeggiato su e giù davanti alla casa come una sentinella che ti facesse la guardia. Non è andata a letto fino alle due. Ho sentito battere le ore.

Mannon — C'è almeno qualcuno  che mi  ama.  (Una pausa) Mi sento strano, Cristina.

Cristina — Il cuore, forse? Non stai bene?

Mannon (aspro) — No. (Una pausa, poi accusatore) E' questo che aspetti? E' per questo che ti sei data così volentieri,  stanotte? Speravi...

Cristina (balzando in piedi) — Ezra! Smetti di par­lare così! Non posso sopportarlo. (Accenna ad uscire).

Mannon — Aspetta. Mi dispiace di aver detto così. (Ella risiede; continua cupo) Non è il cuore. E' un'in­quietudine che mi assilla, come se qualcosa in me stesse in guardia, in attesa di qualcosa che stia per accadere.

Cristina — Cosa  dovrebbe  accadere?

Mannon — Non so. (Una pausa) Questa non è la mia casa. Questa non è la mia camera e questo non è il mio letto. Sono vuoti e attendono qualcun'altro. E tu non sei mia moglie! Aspetti qualche cosa, tu.

Cristina (cominciando a fremere sotto la violenza, che fa a se stessa, balza di nuovo in piedi) — Ma cosa starei  aspettando?

Mannon — La mia morte, per esser libera!

Cristina — Lasciami stare! Finiscila di torturarmi con i tuoi stupidi sospetti. (Con un tono di collera e d'odio nella voce) Non sono tua moglie? Ma poco fa mi hai trattala proprio come tua moglie, come cosa tua.

Mannon (con onta) — Il tuo corpo? Che conta il corpo per me? Ne ho visto tanti che imputridivano al sole per fare l'erba più verde. Cenere su cenere, fango su fango. Così tu concepisci l'amore? Ma credi forse che io abbia sposato un corpo? (Poi, come se tutta l'amarezza e tutta l'umiliazione accumulatesi in cuore, spezzassero all'improvviso ogni argine) Tu mentivi con me questa notte, mi hai sempre mentito. Tu fingevi l'amore. E ti sei lasciata prendere come una schiava negra che avessi comprata all'asta. Mi hai fatto apparire ai miei stessi ocelli come una bestia in foia, come hai fatto sempre fin dalla prima notte di matrimonio! Mi sentirei più pulito ora, se fossi stato in un postribolo. Sentirei più onore tra me e la vita.

Cristina (con voce soffocata) — Bada, Ezra. Non sopporterò.

Mannon (con un riso duro) — E io avevo sperato che il mio ritorno avrebbe segnato un nuovo inizio, un nuovo amore tra noi due. Ti ho detto i miei senti­menti più segreti, mi sono strappato il cuore per te, sperando che avresti compreso! Perdio! Sono un vec­chio pazzo!

Cristina (con voce sempre più stridente) — Speravi di farmi debole, di farmi dimenticare il passato? E, no, Ezra, troppo tardi, ormai. (La sua voce si trasforma, come se avesse deciso d'un tratto di attuare un piano e diventa deliberatamente insultante) Vuoi la verità? Eccola. Mi hai fatto fare dei figli, ma non sono stata tua, nemmeno una volta. Non potrei esserlo mai! Di chi la colpa? Ti amavo, quando ci siamo sposati. De-sideravo darti tutto di me, e non l'ho potuto per causa tua! Mi hai riempita di disgusto.

Mannon (furioso) — E me lo dici! (Poi tenta di cal­marsi e balbetta) No! Calmati! Non ci mettiamo l'uno contro l'altro. Non devo perdere la mia calma! Questo potrebbe esser causa...

Cristina (istigandolo, con crudeltà calcolata) — Oh, no! Non hai bisogno d'adoperare questo tono compas­sionevole. Volevi la verità?  Ora l'ascolterai.

Mannon (atterrito, quasi supplichevole) — Calmati, Cristina.

Cristina — Ho mentito su tutto. Ho mentito sul capi­tano Brant. E' il figlio di Maria Brantôme. Ed è ve­nuto qui per me, non per Vinia!  Io l'ho fatto venire!

Mannon (cieco di rabbia) — Hai osato... quel figlio d'una serva !

Cristina  Sì, ho osato. E quando andavo a Nuova York era per incontrare Adamo Brant, non per vedere mio padre! Lui è affettuoso, dolce, tutto ciò che tu non sei mai stato. E' quello che ho desiderato in tutti questi anni, con te, un amante. Io lo amo! Ed ora sai la verità.

Mannon (forsennato, cercando di balzare dal letto) — Sgualdrina! Sgualdrina! Ti ammazzo! (Si abbatte di colpo, con un gemito, raggomitolandosi sul fianco sinistro, come preso nella morsa d'uno spasimo atroce).

Cristina (con soddisfazione selvaggia) — Ah! (Va di corsa nella sua camera e ritorna con una scatoletta in mano. Mannon volge le spalle alla porta e anche se lo spasimo intenso gli avesse lasciato un barlume di per­cezione, non avrebbe potuto accorgersi dell'uscita e del ritorno della moglie, tanto silenziosamente ella si è mossa).

Mannon (respirando a stento) — Presto, la medicina.

Cristina (distogliendo il viso da quello del marito, prende una pillola dalla scatola e, nel far ciò, chiede ansiosa) — Dov'è la tua medicina?

Mannon  — Sul tavolino. Presto!

Cristina — Aspetta! Ah! Eccola! (Finge di prendere qualche cosa dal comodino, poi gli porge la pillola e un bicchier d'acqua, che è sullo stesso mobile) Eccola. (Mannon si volta verso di lei, con un lamento e apre la bocca. Ella gli posa la pillola sulla lingua e gli avvi­cina il bicchiere alle labbra) Bevi!

Mannon (beve un sorso d'acqua; all'improvviso il volto gli si copre di una mortale espressione di terrore, rantola) — Ma non è la mia medicina!

                  (Ella si ritrae verso il tavolo, con la mano, che stringe la scatola, di­stesa, come se cercasse un posto per nasconderla. Al­lenta le dita e lascia cadere la scatola al centro del ta­volo. Fatto ciò mostra la mano, come istintivamente co­stretta a provare che non nascondeva nulla. Gli occhi di Mannon si affissano su lei con una terribile espres­sione accusatrice. Egli tenta di chiamare aiuto, ma la sua voce e appena un bisbiglio)

Aiuto, Vinia! (Cade in coma rantolando).

(Cristina lo fissa come affascinata, poi trasale terrorizzata, nel sentire del rumore nel vesti­bolo. Afferra allora furiosa la scatola e se la nasconde dietro il dorso volgendo il viso alla porta, quando que­sta si apre e appare sulla soglia Lavinia. E' abbagliata, impaurita ed esitante, come se si fosse svegliata allora. Quest'ultima  è  vestita  come  alla  fine   del  terzo  atto).

Lavinia — Ho fatto un orribile sogno. Mi sembrava che il  babbo mi chiamasse:  mi sono  svegliata.

Cristina (tremando di colpevole terrore, balbetta) — Proprio ora, ha avuto un attacco.

Lavinia (corre verso il letto) — Babbo! (Lo cinge con le  braccia)  E' svenuto!

Cristina — No. E' passata ora. Lascialo dormire.

(In questo momento Mannon, con uno sforzo estremo, riesce a sollevarsi sul letto fra le braccia di Lavinia, con gli occhi fiammeggianti fissi sulla moglie e cercando di alzare il braccio e di mostrarla a dito come per accu-sarla).

Mannon (rantolante) — Lei è stata... non medicina... (Cade riverso di colpo).

Lavinia — Babbo! (Atterrita gli cerca il polso, gli mette l'orecchio sul cuore per sentirne  il palpito),

Cristina — Lascialo in pace. Non vedi che  dorme?

Lavinia — E' morto!

Cristina (ripete come un automa) — Morto? (Poi con uno strano tono addolcito)   Che riposi in pace!

Lavinia (aggressiva, con odio) — E così... Volevi che morisse...! Tu! (Si ferma e fissa la madre con un orri­bile sospetto, con tono aspro d'accusa) Perché ti ha indicata? Perché ha detto che eri stata tu? Rispondimi.

Cristina — Gli ho confessato che Adamo è il mio amante.

Lavinia (pietrificata dall'orrore) — Gli hai detto que­sto e sapevi del suo cuore? L'hai fatto apposta! L'hai ucciso.

Cristina — No, la colpa è tua, tu l'hai messo in so­spetto, continuava a parlare d'amore e di morte e mi ha costretta a parlare. (La sua voce diviene spessa, come se fosse ubriaca e cadesse dal sonno. Gli occhi le si chiudono   quasi).

Lavinia (afferrandola per le spalle, feroce) — Stammi a sentire! Guardami in faccia! Ha detto: Non la medi­cina. Che ha voluto dire?

Cristina (tenendo sempre nascosta dietro la schiena la mano che stringe il veleno) — Non lo so.

Lavinia —  Lo sai. Che cos'era? Dimmelo.

Cristina (con un ultimo sforzo di volontà cerca di alzarsi in piedi e parla, simulando di sentirsi offesa) — Tu accusi tua madre di...

Lavinia — Sì... Io... (Poi perplessa) No, non puoi es­sere così malvagia.

Cristina (con le forze che le vengono meno) — Non so che stai dicendo. (Si scosta dalla figlia avviandosi a piccoli passi verso la porta della sua camera, con la mano che stringe il veleno nascosta dietro il dorso; con un tono appena percettibile) Mi sento male. Vado a stendermi un poco... (Si volta, come se volesse andare di corsa nella sua camera ma i ginocchi le mancano ad un tratto e cade svenuta ai piedi del letto. Nel bat­tere con la mano a terra le dita s'allentano e lasciano cadere la scatoletta sul tappeto).

Lavinia (non se ne accorge. Colpita dallo svenimento della madre, si china meccanicamente su di lei, appog­giando un ginocchio a terra e le cerca in fretta il polso. Vede che è un semplice svenimento; è ripresa dal suo odio e parla come se l'accusasse in presenza di testi­moni) — L'hai ucciso lo stesso, con la tua confessione... Hai commesso lo stesso un assassinio. Forse pensi di essere libera, ora, di sposare Adamo. Ma io non voglio. Almeno finché vivrò io. Devo farti pagare il tuo de­litto.  Troverò il modo di punirti.  

(Nell'alzarsi  le  cadono gli occhi sulla scatoletta sul tappeto. L'afferra in fretta e la fissa, mutando l'espressione di sospetto del suo sguardo in una di paurosa, orrenda certezza. Poi con un grido di orrore, balza indietro sino a raggiun­gere la sponda del letto e stringendo sempre la scato-letta in mano getta le braccia attorno al cadavere)

Babbo! Non lasciarmi sola. Torna con me e dimmi che devo fare.

FINE DELLA PRIMA PARTE


PARTE  SECONDA


AZIONE IN CINQUE ATTI

PERSONAGGI

CRISTINA, vedova di Ezra Mannon

LAVINIA, sua figlia

ORI, suo figlio, primo tenente di fanteria

ADAMO BRANT, il capitano marittimo

HAZEL NILES

PIETRO, suo fratello, capitano d'artiglieria

JOSIAH BORDEN, direttore della Compagnia di navigazione

EMMA, sua moglie

EVERETT HILLS, dottore in teologia della prima chiesa congregazionista

LA MOGLIE di Everett Hills

Il dottor GIUSEPPE BLAKE

SETH BECKWITH  IL CANTORE

PRIMO ATTO

L'esterno della casa dei Mannon, come nel primo e nel terzo atto  del  « Ritorno ».

E' una notte di luna due giorni dopo l'assassinio di Ezra Mannon. Come in quella notte, la casa ha lo stesso aspetto lugubre e strano e come in quella notte il candido portico sembra una maschera, nel chiaro di luna. Una corona mortuaria è fissata alla colonna a destra dei gradini. Un'altra corona è fissata alla porta.

(Si sentono delle voci dall'interno, poi la porta si apre, ed escono Josiah Borden e la moglie, il pastore Everett Hills e la moglie e il dottore Blake, medico di famiglia dei Mannon.

S'intravede Cristina nel vestibolo, quasi ferma sulla soglia della porta. Tutti scambiano con lei la buona notte  e poi la porta si chiude.

I Borden, gli Hills e il dottore Blake sono, come gli Ames del primo atto del « Ritorno », tipi di cittadini, un coro, che rappresenta alla stessa maniera degli Ames, ma in un diverso livello sociale, la città come uno sfondo umano al dramma dei Mannon.

Josiah Borden, direttore della Compagnia di naviga­zione Mannon, è un uomo astuto e competente. E' sulla sessantina, piccolo e asciutto, con barba e capelli bian­chi, voce nasale e aspra e occhi piccoli e acuti. Sua moglie, di circa dieci anni più giovane di lui, è una tipica donna della Nuova Inghilterra, di pura discen­denza britannica, col volto equino, denti di coniglio e piedi immensi. Ha modi taglienti e perentori.

Hills è il tipo del pastore ben nutrito di una piccola e ricca comunità, corpulento e untuoso, volgare insi­nuante, consapevole della sua qualità di Ministro del culto, ma al tempo stesso timido e cauto. E' sulla cin­quantina. Sua moglie è moglie di pastore, flaccida, gialliccia e proclive a tirarsi in disparte.

Il dottor Blake è il tipo di medico curante delle migliori famiglie: un vecchio imponente e pieno di sé, testardo, ostinato.

Scendono le scale e si dirigono verso il viale. La signora Borden e la signora Hills s'avviano a sinistra e si fermano presso la panca ad aspettare i mariti e il dottor Blake, che si sono arrestati ai piedi della scala per accendere i sigari).

La signora Borden (acida) — Quella donna non mi va  proprio   giù!

La signora Hills  — Già. Ha  qualcosa di  strano.

La signora Borden (con forzata sincerità) — Però, quasi quasi mi diventa simpatica, ora che la vedo così abbattuta per la morte del marito.

La signora Hills — E' vero! Ha una cera spaven­tosa. Il dottor Blake ha detto che, se non si ha ri­guardo,  si   ammalerà   certamente.

La signora Borden — Eppure, non mi immaginavo che fosse così sensibile. Non è stata sempre una moglie fedele, a quanto si  dice.

La signora Hills — Già, pare che sia così.

La signora Borden — E questo dimostra come, senza volerlo, si possa giudicar male una persona, special­mente poi, una Mannon. Non è gente che si giudica con facilità. Strano: che differenza tra lei e Lavinia, come hanno preso la morte di Ezra Mannon. Lavinia è fredda e calma come un pezzo di ghiaccio.

La signora Hills — Già! Non pare che provi il do­lore che  dovrebbe.

La signora Borden — Oh, in questo vi sbagliate, si­gnora. Lo sente quanto sua madre, soltanto lei è troppo Mannon per mostrare quello che sente. Ma avete notato l'espressione dei suoi occhi?

La signora Hills — Ho notato che non ha rivolto parola a nessuno. Dov'è scomparsa così all'improvviso?

La signora Borden — E' andata alla stazione con Pietro Niles incontro a Ori. Ho sentito la madre che parlava a Lavinia nel vestibolo. Insisteva perché Pietro l'accompagnasse; Lavinia invece insisteva per andar sola. La madre sembrava proprio infuriata per questo. (Guardando verso i tre uomini, che ancora fermi ai piedi della scala, parlano sottovoce tra loro) Ma di che diamine parlano quei tre? Josiah, è ora d'andare a casa.

Borden — Vengo, Emma. (I tre raggiungono le donne accanto alla panca. Borden continua a parlare, mentre si avvicinano) — Non tocca a me, discutere quello che lei ha disposto, Joe; ma mi sembra che Ezra doveva essere esposto nel salone del Municipio, dove tutta la città potesse rendergli omaggio e fargli pubbliche ono­ranze domani.

Hills — Lo penso anch'io. Era sindaco della città e un eroe della guerra nazionale.

Blake — Lei ha detto che Ezra spesso manifestò la volontà che si facesse tutto semplicemente e in silenzio. Era proprio il suo modo di pensare. Non era uno che si mettesse in mostra. Lui lavorava e lasciava il merito  agli  altri.

Hills (untuosamente) — Un grande uomo. La sua morte è una vera perdita per tutti noi, Era una forza del bene.

Borden — E' vero. Faceva andare avanti le cose.

Hills — Che tragedia morire, la prima notte appena tornato, e dopo aver fatto tutta la guerra!

Borden — Non ci potevo credere. Chi l'avrebbe im­maginato? E' strano. Come un destino.

La signora Hills (intervenendo inopportunamente) — Chissà se è il destino. Ti ricordi, Everett, che hai sempre detto dei Mannon che l'orgoglio spinge alla rovina e che un giorno Iddio li avrebbe umiliati nel loro peccaminoso orgoglio?

(Tutti la fissano, scandalizzati e irritati).

Hills   (confuso)  —  Non mi ricordo d'averlo detto.

Blake (offeso) — Se lo dite per scusarvi, è stupido. Sono stato sempre amico di Ezra Mannon e con quelli che gli andavano a genio era così semplice e alla buona!

Hills (in fretta) — Certo, dottore. Mia moglie non mi ha capito bene. Mi riferivo, forse a torto, alla signora Mannon.

Blake — Oh, ma anche lei è molto per bene, basta conoscerla.

Hills (secco) — Non ne dubito.

Blake — E non mi sembra, ora che questa famiglia è colpita improvvisamente dalla morte, il momento di...

Hills — Avete perfettamente ragione, dottore. Mia moglie avrebbe dovuto ricordare...

La signora Hills (mortificata e confusa) — Non volevo dire nulla di male, dottore.

Blake (addolcito) — Non ne parliamo più. (Rivolgen­dosi a Borden soddisfatto e pretenzioso) Quanto a quello che dicevate, che nessuno se lo sarebbe aspettato, beh, voi ed Emma sapete che avevo già previsto che Ezra non sarebbe vissuto a lungo.

Borden — Sì, mi ricordo che eravate preoccupato per lo stato del suo cuore.

La signora Borden — Me ne ricordo anch'io.

Blake  Dai sintomi che la signora Mannon aveva desunto dalla lettera del marito, ero certo, come se lo avessi visitato, che soffriva di angina. E non me ne sor­presi. Avevo molte volte ammonito Ezra che egli si affati­cava troppo e che se non si fosse riposato, alla fine non avrebbe resistito. Al momento in cui mi mandarono a chiamare, intuii subito di che cosa si trattava. Lei mi ha raccontato che si era svegliata, richiamata dai suoi lamenti, e l'aveva trovato raggomitolalo suse stesso e gli aveva dato la sua medicina - quella che io stesso avrei pre­scritto  ma era troppo tardi. Quando poi alla sua morte, proprio la prima notte del suo ritorno: ebbene, la guerra era terminata, egli era esaurito e aveva sopportato un lungo e faticoso viaggio e l'angina non rispetta né i tempi né i luoghi, colpisce quando ne ha voglia.

Borden (scuotendo il capo) — E' terribile! E' terribile! La città non troverà così su due piedi un altro che possa sostituirlo!

(Tutti scuotono il capo e paiono tristi. Una pausa).

La sicnora Borden — Perché continuiamo a stare qui? (Al marito) Andiamo a casa.

La signora Hills — Sì. Dobbiamo andare anche noi, Everett.

(Cominciano ad avviarsi lentamente verso sini­stra. Hills è assieme alle due donne. Il dottore Blake tocca Borden col gomito e gli fa cenno di rallentare il passo. Quando gli altri sono scomparsi, mormora con una smorfia significativa).

Blake — Vi dirò un segreto, Josiah, ma che resti asso­lutamente tra noi.

Borden (premuroso) — Naturalmente. Di che si tratta?

Blake — Non ho rivolto a Cristina Mannon nessuna domanda imbarazzante; ma sospetto molto che sia stato l'amore ad uccidere Ezra!

Borden — L'amore?

Blake — Proprio così! In breve, l'amore ha messo l'angina in grado di ucciderlo, se afferrate ciò che voglio dire. Lei è una bella donna e lui era stato tanto tempo lontano. Cosa naturale fra marito e moglie ma non è proprio la cura prescritta. Avrebbe dovuto essere più prudente ma anche lui era un uomo.

Borden (con un riso salace) — Non posso dire di biasi­marlo. E' un tipo! Non mi piace e non mi è mai pia­ciuta, ma penso che ci siano maniere peggiori di morire! (Abbozzano dei sorrisi) Via, andiamo a raggiungere gli altri.

(Escono dalla sinistra. Non appena scomparsi, si apre la porta d'ingresso della casa ed appare Cristina Mannon. Si ferma un attimo in cima alla scala, poi di­scende e s'avvia verso il viale. E' in un terribile stato di tensione nervosa dietro la maschera impiallacciata del suo volto. Ha rughe profonde attorno alla bocca. Gli occhi risplendono d'una luce febbrile. Sentendosi al riparo da chi possa osservarla, si lascia andare per un attimo: la bocca si contrae e gli occhi guardano disperatamente per ogni dove, come se desiderasse sfuggire a qualche cosa. Hazel Niles esce dalla casa e si ferma in cima alla scala. E' la stessa che nel

« Ritorno ». Cristina avverte immedia­tamente la sua presenza e riprende il controllo su se stessa).

Hazel   (con aria consolatrice e affettuosa) — Ah! Siete qui? Vi ho cercata per tutta la casa, senza trovarvi.

Cristina — Non potevo restar dentro. Sono così nervosa. E' stato così tormentoso, tutta quella gente che gira  a guardare il morto e me.

Hazel — Avete ragione. Ora non verrà più nessuno. (Poi con un tono impetuoso, sfuggitole suo malgrado) Ma Pietro e Vinia dovrebbero essere ritornati, a meno che il treno non sia in ritardo. Oh, spero che Ori torni davvero.

Cristina (dolce, come assente) — Lo stesso treno! Era in ritardo la sera che è arrivato! Appena due giorni fa! Pare un secolo! Sono diventata vecchia.

Hazel (dolce) — Cercate di non pensarci.

Cristina (con impeto) — Come se non l'avessi tentato! Ma il mio cervello continua a...

Hazel — Ho paura che v'ammaliate.

Cristina (riprendendosi e sforzandosi di sorridere) — Ecco. Sto  bene.  Non  devo  sembrare  troppo  vecchia  e sofferente quando Ori arriva. Voleva che io fossi sempre bella.

Hazel — Che piacere rivederlo! (In fretta) Dovrebbe essere un conforto per voi nel vostro dolore.

Cristina — Sì. (Stranamente) Egli era il mio piccolo, lo sai, prima che mi lasciasse. (D'un tratto fissa Hazel, come colpita da un'idea) Tu ami Ori, è vero?

Hazel (confusa e vergognosa balbetta) — Io... io...

Cristina — Ne sono tanto contenta. Voglio che tu lo ami e che vi sposiate. (Cingendola con un braccio, con tono forzato) Saremo in segreto alleate e io aiuterò te e tu me, no?

Hazel — Non capisco.

Cristina — Sai che Vinia considera suo fratello come sua proprietà assoluta. E' stata sempre gelosa di te. Ti avverto che farà di tutto per fare che non ti sposi.

Hazel (scossa) — No, signora Mannon, non posso cre­dere che Vinia...

Cristina (senza badarle) — Per questo devi aiutarmi. Non dobbiamo lasciare che Ori ritorni sotto la sua in­fluenza. E specialmente ora, nello stato di squilibrio e di dolore, in cui lei si trova. Hai notato come è divenuta strana? Non ha più aperto bocca dalla morte del padre. Se le parlo, non mi risponde. E però mi segue come un'ombra. E' molto se mi lascia sola qualche momento. (Con un riso forzato) Mi urta i nervi da farmi gridare.

Hazel — Povera Vinia, voleva tanto bene a suo padre. Non mi stupisce.

Cristina (fissandola stranamente) — Tu sei davvero buona e pura, no?

Hazel (imbarazzata) — No, non sono affatto...

Cristina  Una volta ero come te, tanto tempo fa, prima. (Con amara nostalgia) Se potessi essere come al­lora! Perché non si può restare tutti innocenti, pieni di amore e di fiducia? Ma Iddio non ci vuole lasciar soli! Egli congiunge intreccia e tortura le nostre vite con quelle degli altri, finché ci avveleniamo gli uni con gli altri a morte! (Vedendo l'espressione sconcertata di Hazel, si riprende immediatamente) Non badare a ciò che ho detto. Entriamo? Preferirei aspettare Ori in casa. Non posso stare ad attenderlo qui e vederlo salire per il viale, proprio come... assomiglia tanto a suo padre... o come... ma quante sciocchezze sto dicendo. Entriamo. Odio la luce della luna; rende tutto così spettrale.

(Cristina si volta di scatto ed entra in casa. Hazel la segue e chiude la porta. Una pausa. Si odono da destra delle voci e un rumore di passi e dopo poco entra Ori, accompagnato da Pietro e da Lavinia. Si è subito colpiti dalla sua impressionante somi­glianza con Ezra Mannon e Adamo Brant. Il suo viso in riposo ha la stessa apparenza di maschera animata, lo stesso naso aquilino, le stesse sopracciglia folte, lo stesso colorito abbronzato, gli stessi capelli neri e folti e gli stessi occhi bruni. La sua bocca e il suo mento hanno le stesse caratteristiche di quelli del padre; ma l'espres-sione della sua bocca dà l'impressione di una estrema iper­sensibilità, che era estranea a quella di suo padre. Il suo mento è una versione attenuata e raffinata di quello del morto. E' quasi della stessa altezza di Mannon e di Brant ; ma il corpo è più gracile e il suo colorito abbronzato ha un tono giallastro. Ha la fronte fasciata. Ha un suo por­tamento a volte trasandato a volte esageratamente rigido, cosa che. dimostra che il portamento militare non è ade­rente alla sua natura. Parla a scatti, con un'aria strana, preoccupata e vaga. Ma, quando spontaneamente sorride, il suo volto ha un gentile fascino fanciullesco, che risve­glia nelle donne un tenero istinto materno nei suoi ri­guardi. Porta baffi come Brant, i quali accentuano la somiglianza fra i due. Sebbene abbia appena venti anni, ne dimostra trenta. Indossa l'uniforme, troppo ampia e mal fatta, di primo tenente di fanteria nell'esercito del­l'Unione).

Ori (nell'entrare guarda con impazienza verso casa, poi con una espressione di amaro disappunto) — Dov'è la mamma? Ero certo che stesse ad aspettarmi. (Guarda la casa) Dio come ho sognato questo ritorno! Mi pareva che non dovesse finire più e che avremmo dovuto continuare ad uccidere e ad essere uccisi, sino a che nessuno più fosse rimasto vivo! Finalmente a casa! Ma no, forse sogno ancora! (Con voce atterrita) Ma come sembra strana la casa, oppure sono io che porto questo senso di stranezza? Sono rimasto per tanto fuori di me e tutto mi sembra così strano da quando sono ritornato sulla terra. Ma la casa è sempre etata «osi funebre e spettrale?

Pietro — Sciocco, perché c'è la luna!

Ori — Come una tomba! E' quello che veniva sem-pre in mente alla mamma, mi  ricordo!

Lavinia (con un tono di rimprovero) — Adesso è una tomba, Ori!

Ori (in fretta, mortificato) — Avevo... avevo... dimen­ticato! Non posso proprio convincermi che sia morto. Forse mi pareva che ormai dovesse sempre vivere. (Con un certo risentimento nella voce) O almeno so­pravvivermi. Non avevo pensato mai che il suo cuore fosse debole. Mi aveva detto che i suoi disturbi non erano per nulla gravi.

Lavinia (colpita) — Il babbo ti disse questo? Lo speravo. (A Pietro) Va avanti tu, Pietro, di' che siamo rimasti un poco indietro. Desidero parlare un momento con Ori.

Pietro — Certamente, Vinia. (Entra in casa, chiu­dendo dietro di sé la porta).

Ori — Hai fatto bene a mandarlo via. Pietro è un bravo ragazzo, ma desideravo parlare da solo con te. (Cingendola con un braccio, con un'aria infantile e fra­terna) Come fa bene vederti, dopo tanto dolore, Vinia. Come sta la mia cara Fussi-Buzzi? Perbacco, mi sem­bra tanto naturale chiamarti ancora con quel vecchio nomignolo! Sei contenta di rivedermi?

Lavinia (affettuosamente) — Certo, che lo sono!

Ori — E chi l'avrebbe immaginato? Da quando mi hai visto non mi hai detto nemmeno una parola. Che ti è successo? (Poi, mentre ella lo guarda con un'e­spressione di rimprovero, egli ritira il braccio, con una certa impazienza) Ti ho detto che non posso abituarmi all'idea della sua morte. Perdonami, Vinia. Comprendo che colpo dev'essere stato per te.

Lavinia — Per te non è stato un colpo, Ori?

Ori — Certo! Che cosa credi che sia; oh non riesco a spiegarmi. Non si può capire, se non si è stati al fronte. Mi sono abituato ad attendere la mia morte o quella di qualunque altro, senza farne nessun conto. Quello che dovevo fare, era rimanere vivo e mostrare ilei coraggio. Questo faceva parte della educazione militare che lui mi ha dato. Fu lui ad insegnarmelo, puoi dire. Cosicché, ve­nuto il suo turno, non può certo aspettarsi... (Ha parlato con crescente amarezza).

Lavinia  —  Ori, come puoi essere così insensibile?

Ori (di nuovo mortificato) — Non volevo dir questo. La mia mente è ancora piena di spettri. Non posso pensare ad altro che alla guerra, nella quale lui era così vivo. Lui era la guerra per me, la guerra che non sarebbe finita mai finché non morissi. Non posso capire la pace, la sua fine. (Esasperato) Maledizione, Vinia, aiu­tami a riabituarmi alla casa.

Lavinia — Ori!

Ori (con risentimento) — Scusami! Oh! So che stai pensando. Una volta ero così caro e gentile, ti ricordi? Ma ora! Ebbene, tu volevi che fossi un eroe, e perciò rasse­gnati! Far la guerra non raffina certo le buone maniere. (Cambiando d'un tratto argomento) Ma perché diamine stiamo parlando di me? Ascoltami, Vinia, c'è qualcosa che dovrei chiederti prima di vedere la mamma.

Lavinia — Allora, sbrigati! Può uscire da un momento all'altro. Anch'io ho  qualche cosa da  dirti.

Ori — Cos'è quella storia che hai scritto a proposito di un certo capitano Brant, che veniva a vedere la mam­ma? Volevi dire che si sono fatte delle chiacchiere sul suo conto? (Poi, senz'attendere risposta, scoppiando in un impeto di rabbia e di gelosia) Perdio, se osa ritornare, lo farò pentire io come si merita.

Lavinia — Sono contenta che tu la pensi così su di lui. Ma ora non è tempo di parlare. Voglio solo avvertirti di stare in guardia. Non ti fare trattare più da bambino, come una volta. Non credere, alle menzogne che ti raccon­terà. Aspetta fino a che non avrai parlato con me. Me lo prometti?

Ori (fissandola disorientato) — Vuoi dire che... la mamma? (Con ira) Ma di che diamine parli? Davvero, Vinia, mi pare che la tua continua animosità contro la mamma stia per passare i limiti! Dovresti vergognartene. (Sospettoso) Perché sei tanto misteriosa? Si tratta forse di Brant?

Lavinia (avvertendo dei rumori provenienti dall'in-terno della casa) — Sst!

(Cristina esce di corsa dalla porta  d'ingresso).

Cristina (irata a Pietro, che si trova nel vestibolo) — Pietro, perché non mi hai avvertita? Non dovevi lasciarlo solo! Ori!

Ori — Mamma!

(Ella fa i gradini di corsa e gli butta le braccia al collo).

Cristina — Piccolo, piccolo mio!   (Lo bacia).

Ori (commosso e dimentico di ogni sospetto) — Mam­ma!  Come è bello vederti!  (Rude, scostandola e fissan­dola)  Come sei  cambiata! Cos'è successo?

Cristina (con un sorriso forzato) — Io cambiata? Non mi pare, caro. Almeno non per te, spero. (Toccan­dogli la benda attorno alla fronte, con tenerezza) La tua testa! Ti fa tanto male? Quanto hai dovuto sof­frire, povero piccolo mio! (Lo bacia) Ma, grazie a Dio, ora tutto è passato. Finalmente ti ho un'altra volta con me! (Cingendolo con un braccio lo guida su per i gra­dini) Entriamo. C'è anche un'altra persona che ti aspet­ta e che sarà 'contenta di rivederti!

Lavinia (dai piedi della scala: aspra) — Ricordati, Ori!

(Cristina si volge a guardarla. Si scambiano uno sguar­do carico d'odio. Ori guarda sospettoso la madre e si libera del suo braccio).

Cristina (subito si riprende: ad Ori, come se Lavinia non avesse parlato) — Entriamo, caro. Fa freddo. La tua povera testa. (Lo prende per mano e lo conduce dentro, chiudendo la porta).

(Lavinia ai piedi della scala li segue con lo sguardo. Dopo poco, la porta si riapre di colpo e ne esce Cristina, che, dopo averla chiusa, s'avvia verso la sommità dei gradini. Per un momento, la madre e la figlia si fissano negli occhi. Poi Cristina comincia  parlare esitante e con un tono, che si sforza vanamente di rendere cortese e persuasivo).

Cristina  Vinia: ora debbo parlarti un momento. Adesso che Ori è qui. Mi rendo conto che il dolore abbia potuto metterti in uno stato non completamente normale e ti giustifico. Ma ciò che non mi spiego è il tuo atteggiamento verso di ime. Perché mi segui dap­pertutto, e mi guardi sempre a quel modo? Sono stata una buona moglie per ventitré anni: sino a quando ho incontrato Adamo. Ammetto di essere stata colpevole. Ma mi sono pentita e l'ho cancellato dalla mia vita. Sarei stata di nuovo una buona moglie se tuo padre fosse vissuto. Ma, Vinia, dopo tutto sono tua madre! Io t'ho messa al mondo! E dovresti provare qualche casa per me! 

(Sale in attesa d'una risposta; ma Lavinia continua solo a fissarla, gelida e in silenzio. Nella voce di Cristina comincia ad affiorare un senso di paura)

Ma non guardarmi così! A che pensi? Non è possibile che tu abbia ancora il sospetto che io... ma che hai fatto quella notte, dopo che sono svenuta? Io... avevo perduto qualche cosa, una  medicina che prendevo per dormire.  

(Le labbra di Lavinia si atteggiano ad un feroce sorriso di soddisfazione. Cristina esclama atter­rita)

Oh! tu...  tu l'hai trovata... e suppongo che riferisca questo a... ma non vedi che pazzia... sospettare quando il dottor Blake sa che è morto per... (Con ira) Ma lo soperché hai atteso: per raccontare ad Ori le tue men­zogne e indurlo a denunciarmi! Non osi prenderti que­sta responsabilità, ma se può farlo Ori, non è vero? Non è questo che sei  andata tramando in questi due giorni?  Dimmelo! 

(Siccome Lavinia rimane in silenzio, Cristina si abbandona alla sua furia, si precipita per i gradini, l'afferra per un braccio e la scuote)

Rispondimi, quando ti parlo!  Che stai tramando? Che hai  de­ciso di fare? Dimmelo!

(Lavinia si mantiene rigida, con gli occhi fissi in quelli della madre. Cristina la lascia e si ritrae da lei. Lavinia, volgendole le spalle, si avvia rigida e lenta verso la sinistra e scompare fra i cespu­gli di lillà e la casa).

Cristina la segue con gli occhi,pare che le forze l'abbandonino e trema atterrita. Giunge alla casa la voce di Ori, che chiama aspra: « Mamma! dove sei? ». Cristina trasale e con uno sforzo supremo di volontà riprende subito il dominio di se stessa. Sale di corsa le scale e apre la porta. Risponde al figlio con voce forzatamente calma e normale)

Eccomi, caro! (Chiude la porta dietro di sé).

FINE DEL PRIMO ATTO

SECONDO ATTO

Il salotto di casa Mannon, simile allo studio, ma più spazioso, è un interno composto di linee rigide e severe con particolari pesanti. Le pareti sono intonacate e senza decorazioni e tinteggiate in grigio-chiaro con bor­dura bianca. E' una stanza fredda e senza intimità, per­vasa da un'atmosfera di inquieta e affettata incertezza. Il mobilio è disposto con esatta precisione. Sul davanti a sinistra, la porta, comunicante con la sala da pranzo. Più in fondo a sinistra un tavolinetto addossato al muro con una sedia, davanti a uno scrittoio con un'altra se­dia. Nella parete in fondo, al centro, la porta comuni­cante col vestibolo e con le scale. A destra, un camino di marmo nero, fiancheggiato da due finestre. Alle pa­reti, ritratti di antenati. Contro il camino, a destra, c'è il ritratto di un ministro dalla espressione crudele, vis­suto al tempo in cui si bruciavano le streghe. Tra il camino e il fondo un ritratto del nonno di Ezra Mannon nella uniforme di ufficiale dell'esercito di Washington. Sul camino un ritratto del padre di Ezra, Abete Man­non, fatto quando aveva sessanta anni. Salvo la diffe­renza di età, il suo viso è perfettamente simile a quello di Ezra nel ritratto appeso nello studio. Dei tre ritratti sull'altra parete, due sono di donne: la moglie di Abele Mannon e la moglie dell'ufficiale di Washington. L'uo­mo poi, raffigurato nel terzo ritratto, ha l'aspetto di un prospero armatore del periodo coloniale. Tutti i volti dei ritratti hanno la stessa caratteristica di maschera, come quelli dei personaggi del dramma.

Nel centro della stanza a sinistra, una tavola con due sedie. Un'altra sedia al centro e un divano s destra, ri­volto verso sinistra.

(Hazel è seduta sulla sedia al centro. Pietro sul divano a destra. Dal vestibolo si ode la voce di Ori: «Mamma, dove sei? » come alla fine dell'atto precedente).

Hazel — Dove può essere andata? E' tormentata da un dolore così intenso che non sa quello che fa.

Pietro — Vinia poi è completamente distrutta.

Hazel — E il povero Ori: che terribile ritorno per lui! Come è mutato e sofferente, non ti sembra, Pietro?

Pietro — Le ferite alla testa non sono uno scherzo. E' già fortunato d'essersela scampata.

(Tacciono all'entrare di Cristina e di Ori. Quest'ultimo la sta interro­gando sospettoso).

Ori — Perché ti sei allontanata così? Che stavi fa­cendo ?

Cristina (con un sorriso forzato) — Ho paura, caro, che la felicità di rivederti sia troppo forte per me! Mi è parso ad un tratto di sentirmi venir meno, e sono corsa  all'aria aperta.

Ori (subito mortificato, la cinge teneramente con un braccio) — Povera mamma! Mi dispiace! Guarda, ma ora... siediti e riposati. Forse è meglio che te ne vada subito a letto.

Hazel  E' bene che vada, Ori. Ho cercato dicon-vincerla, ma non ha voluto ascoltarmi.

Cristina — Andare a letto, proprio quando tu torni a casa. Ma non è possibile.

Ori (contrariato e compiaciuto nel tempo stesso) — Ma tu non devi fare niente che...

Cristina   (carezzandogli la guancia) —  Sciocchezze! Averti vicino è l'unico rimedio  che mi dia la forza di sopportare le cose.   (Rivolgendosi ad Hazel)  Lo senti, Hazel? Sembra quasi che il ferito sia io e non lui.

Hazel — Sì. Bisogna che ti riguardi, Ori.

Ori — Non ve ne preoccupate. Sto bene.

Cristina —  Ti faremo noi da infermiere. Hazel ed io, e presto starai come prima. Vero Hazel?

Hazel  (con un sorriso di felicità) — Naturalmente.

Cristina — Non stare in piedi, caro, devi essere sfi­nito. Aspetta. Vedrai come starai comodo. Hazel, per favore, mi dai un cuscino?  

(Hazel prende  un  cuscino e aiuta Cristina a collocarlo dietro le spalle di Ori, sulla poltrona a destra della tavola. Gli si illuminano gli occhi e fa una smorfia soddisfatta,  divertito nel vedersi così vezzeggiato).

Ori — Che ne dici della comodità della famiglia, Pietro?

Pietro — Almeno lo noti tu.

Ori (ammiccando ad Hazel) — Pietro diventerà ge­loso. E' meglio chiamare Vinia perché venga a mettere anche a lui un cuscino dietro la schiena.

Hazel (sorridendo) — Non mi riesce di immaginare Vinia così dolce.

Ori (con un risentimento geloso nella voce) — Al­l'occasione, Vinia sa essere dolce. Ha avuto sempre tante affettuose premure per il babbo e lui ne è felice, per quanto  pretenda.

Cristina (distogliendo il volto e reprimendo un bri­vido) — Ori! Ne parli come se fosse vivo!

(Un silenzio gelato. Hazel riprende il suo posto. Cristina gira attorno Ma tavola e va a sedersi nella poltrona di fronte ad Ori)

Ori (con un sorriso forzato) — Ci siamo tutti dimen­ticati che è morto. Non è così? Eppure, non passo cre­derci ancora! Lo sento in casa, vivo!

Cristina — Ori !

Ori (stramimente) — Tutto è cambiato in una strana maniera: la casa, Vinia, tu; tutto, ma non lui. E' rima­sto lo stesso e rimarrà sempre - qui - lo stesso! Non pare anche a te, mamma?

(Cristina rabbrividisce e ri­mane senza rispondere, con lo sguardo perduto nel vuoto).

Hazel (dolce) — Non dovresti farla pensare a que­sto, Ori.

Ori (fissandola con una strana espressione di grati­tudine nella voce) — Tu sei la stessa, Hazel, dolce e buona. (Alla madre, con tono di rimprovero) Almeno Hazel non è cambiata, grazie a Dio.

Cristina (cerca di rimettersi e si volge sforzandosi di sorridergli) — Hazel non cambierà mai, spero. Sono contenta che tu l'apprezzi.

(Hazel guarda imbarazzata Cristina continua con sollecitudine materna) Ti sei molto affaticato in questo lungo viaggio in treno, caro?

Ori — Beh, non era certo un viaggio di piacere. La testa mi faceva tanto male che sembrava volesse scoppiare.

Cristina (si china su lui e gli posa la mano sulla fronte) — Povero caro! Ti fa male, ora?

Ori — Non troppo. E niente quando ci si posa la tua mano. (Le prende di scatto la mano e gliela bacia fanciullescamente) Mamma, come si sta bene a casa, con te. (La fissa di nuovo sospettoso) Ma lasciati guar­dare bene! Ti sei tanto mutata! Me ne sono accorto da fuori. Come mai?

Cristina (distogliendo lo sguardo e sforzandosi di sorridere) — Perché sto invecchiando, ho paura, caro.

Ori — No. Tu sei più bella che mai. Sei anche più giovane, in qualche modo. Ma non è questo. (Allonta­nando quasi brusco la sua mano, con amarezza) Forse, l'indovino!

Cristina (ridendo sempre forzatamente) — Più gio­vane e più bella! Hai sentito come parla, Hazel? Ha imparato ad essere galante!

(Lavinia appare dalla porta in fondo, ferma sulla soglia, rimane a fissare la madre e il fratello).

Ori (guardando Hazel, di nuovo aspro) — Ti ricordi, Hazel, agitavi il fazzoletto, il giorno che sono partito. Temevo che ti slogassi il polso. E tutte le madri, le mo­gli, le sorelle e le fidanzate facevano lo stesso! In una prossima guerra bisognerebbe far prendere alle donne, per un mese, il posto degli uomini. Far provare anche a loro il gusto dell'assassinio!

Cristina — Ori!

Ori  Fate loro schizzare i cervelli a colpi di calcio di fucile e squarciare il ventre a colpi di baionetta! Dopo di che credo che finirebbero di sventolare i fazzoletti e di ciarlare degli eroi!

(Hazel dà in una esclamazione di indignazione).

Cristina — Per favore!

Pietro (burbero) — Falla finita, Ori! Ormai è passata. Cerca di dimenticarla. Eri più entusiasta di tutti.

Ori (mortificato) — Hai ragione, Pietro. Sono uno scemo a lamentarmi. Scusami  Hazel.

Hazel — Non è nulla, Ori, capisco come ti senti. Davvero.

Ori — Non resistevo, se non mi sfogavo. (D'un tratto) Canti ancora, Hazel? Ti sentivo cantare anche laggiù. E mi faceva sentire che la vita poteva essere ancora viva in qualche modo. Questo e il sognare la mamma e il ri­cordo di Vinia mi erano sempre accanto come un ser­gente alle manovre. Ti sentivo cantare nei momenti più strani: così dolce, chiara e pura! E il canto sovrastava gli urli dei moribondi.

Cristina — Ti prego, non parlare di morte.

Lavinia (dalla soglia, con tono brusco ed imperativo come suo padre) — Ori! Vieni a vedere il babbo!

Ori (balza in piedi e fa automaticamente il gesto del saluto: meccanicamente) — Sì, signore. (Poi confuso) Ma che diamine! La tua voce pareva proprio la sua! Non farlo più, per amor di Dio!   (Cerca di sorridere. poi mortificato) Volevo subito andare a vedere ma poi ho cominciato a parlare. Vengo subito.

Cristina — No, aspetta! (Con ira a Lavinia) Ma non puoi lasciarlo riposare almeno un minuto. Non vedi com'è sfinito? (Ad Ori) Non ti ho potuto dire ancora neanche una parola: ed è tanto. Resta un poco con me.

Ori (commosso, ritorna verso la mamma) — Ma certo, mamma, tu vieni prima di tutto.

Lavinia (sta per dare una risposta amara. Lancia uno sguardo a Pietro e ad Hazel, si limita a dire con calma) — Sta bene. Ricordati solo di quanto ti ho detto, Ori. (Si volta e fa per uscire nel vestibolo).

Cristina (atterrita) — Vinia dove vai?

Lavinia (non le risponde e rivolgendosi al fratello da sopra la spalla) — Allora a tra poco. (Scompare nel vestibolo).

(Ori lancia di sfuggita uno sguardo inquieto e sospettoso alla madre. Cristina fa degli sforzi dispe­rati per mostrarsi calma. Pietro ed Hazel si alzano, a disagio).

Hazel — Pietro, credo proprio che sia ora di tornare.

Pietro — Sì.

Cristina — Siete stati tanto gentili a venire.

Hazel  (tendendo la mano ad Ori) — Adesso devi ri­posarti quanto più puoi, e cerca di non pensare troppo.

Ori — Sei proprio tanto gentile, Hazel! E' bello ri­vederti la stessa di prima.

Hazel (compiaciuta, ma ritirando timidamente la mano) — Anche per me. Buona notte, Ori.

Pietro (stringendo la mano ad Ori) — Buona notte. Riposati e prenditela con calma.

Ori — Buona notte, Pietro. E grazie d'essere venuto.

Cristina — Mi dispiace che ora questa non sia una casa molto lieta, ma venite a rivederci presto. E tu, Hazel, puoi far bene a Ori più di ogni altro.

(Negli occhi di Ori ritorna lo sguardo sospettoso. Si siede nella poltrona a sinistra della tavola e guarda cupo davanti a sé. Cristina ritorna e chiude piano la porta scorrevole. Rimane un poco a guardare il figlio, raccogliendosi vi­sibilmente per la prova del colloquio che sta per ini­ziare. Ha gli occhi pieni di un'espressione d'intensa paura).

Ori (senza guardarla) — Come ti è venuta tntta questa simpatia per Hazel? Non te ne sei mai curata. Prima non  volevi  nemmeno  che  andassi  in  giro  con  lei?

Cristina (viene avanti e siede all'altro lato della ta­vola. Con un dolce tono, materno) — Allora ero un'e­goista. Ero anche gelosa: te lo confesso. Ma ora desidero solo la tua felicità, se Hazel ti piace.

Ori (violento) — Solo per ingelosirti. Ma ora che sei vedova ed io non sono a casa che da un'ora, cerchi di farmi sposare. Devi avere una maledetta ansia di libe­rarti di me. Perché?

Cristina — Ti sbagli. Se sapessi come sono stata sola  senza di te!

Ori — Così sola, che mi hai scritto appena due let­tere in sei  mesi!

Cristina — Ti ho scritto molto di più, si saranno smarrite.

Ori — Ma quelle di Hazel e di Vinia le ho rice­vute tutte. E' strano che siano state le tue le uniche a perdersi. (Incapace di contenersi ancora) Ma chi è que­sto tale capitano Brant, che veniva a farti visita?

Cristina (preparata a ciò, con ben simulato stupore) — A me? Vorrai dire a Vinia. (Ori sembra colto alla sprovvista) Ma come t'è venuta questa stupida idea? Ah! già! Vinia ti avrà certamente scritto le stesse sciocchezze, che scrisse a tuo padre.

Ori — Gli ha scritto? E lui che cosa ha fatto?

Cristina — Cosa? Ci ha riso su, naturalmente. Tuo padre era molto affezionato a Vinia, ma sapeva quanto è gelosa di me e che è capace di inventare qualsiasi menzogna pur di...

Ori — Via, mamma! Solo perché vi date sui nervi l'una con l'altra, non vuol dire che Vinia di proposito...

Cristina — Ah, non vuol dire? Non tarderai molto a scoprire come nulla possa arrestare tua sorella e che è capace di accusarmi anche delle cose più orribili!

Ori (prendendole la mano) — Davvero. Non devi par­lare così.

Cristina — Lo penso, Ori. Non lo direi a nessun altro che a te. Siamo stati sempre così intimamente vicini, noi due. Tu sei veramente la mia carne e il mio sangue, lei no, lei è carne e sangue di suo padre! Tu sei veramente una parte di me!

   Ori   (con uno strano ardore)  —  Lo sento anch'io, mamma!

Cristina — Sono sicura che tu mi comprenderai ades­so, come hai fatto sempre. (Con un tenero sorriso) Nei giorni lontani avevamo un piccolo mondo tutto nostro, ti ricordi? Che nessuno conosceva all'infuori di noi.

Ori (felice) — E come lo avevamo! La nostra parola d'ordine era: « Vietato ai Mannon », ricordi?

Cristina — Ed è proprio questo che tuo padre e Vi­nia non potevano perdonarci. Ma noi lo rifaremo, quel piccolo mondo tutto per noi, vero?

Ori — Sì.

Cristina — Voglio compensarti delle ingiustizie che hai sofferto a causa di tuo padre. Può essere penoso dirlo ora che è morto, ma era geloso di te. Ti odiava perché sapeva che ti amavo più di ogni altra cosa al mondo.

Ori (stringendole le mani tra le sue) — Ma è vero? E' proprio vero, mamma? (Poi, come colpito da ciò che lei ha detto sul conto di suo padre, ferito) Lo so cosa sentiva per me. Ma non ho mai pensato che giungesse ad odiarmi.

Cristina — Te lo assicuro: ti odiava.

Ori (con amaro risentimento) — Ma sì! Ti dirò la verità, mamma, non mi fingerò addolorato per la sua morte.

Cristina (a bassa voce) — Sì! sono contenta anch'io che ci abbia lasciati soli. Come potremo essere felici, se non lascerai avvelenare la tua mente contro di me, da Lavinia, con le sue menzogne.

Ori (di nuovo inquieto) — Che menzogne? (Le lascia la mano e la fissa con sospetto) Ma non mi hai detto ancora niente di quel tale Brant.

Cristina — Non c'è niente da dire, se non nell'imma­ginazione malata e vendicativa di Lavinia. Non puoi im­maginare come sìa cambiata, durante la tua assenza. E' stata sempre una ragazza malinconica e strana, ma dopo la tua partenza si è tanto tormentata e macerata che credo proprio sia diventata un po' pazza. Si è fissata a inventar le cose più orribili sul conto di tutti. Tu non mi crederesti se te ne raccontassi qualcuna. Credo che il colpo della morte di tuo padre l'abbia fatta uscire di senno. Non ti ha colpito il suo  strano modo di fare?

Ori — Sì, ho visto che è molto cambiata: mi è parsa strana... ma...

Cristina — E la sua pazzia si rivolge col suo odio verso di me. Ne vuoi un esempio? L'affare del capitano Brant.

Ori — Ah!

Cristina — Un'insignificante capitano di mare, incon­trato per caso da tuo nonno e che ha avuto la stupida idea di venirci a trovare qualche volta, senza essere in­vitato. Vinia immaginava che venisse per lei. Credo davvero che Vinia se ne sia innamorata, Ori. Ma ben presto ha dovuto accorgersi che non andava per nulla dietro a lei.

Ori — E a chi andava dietro... a te?

Cristina (aspra) — Ori, dovrei andare in collera se non fosse proprio ridicolo. (Con un riso forzato) Mi sem­bra che non ti rendi conto che sono ormai vecchia e con due figli già grandi. No, egli tendeva solo a diven­tare nostro intimo e ottenere da tuo padre, al suo ri­torno, un imbarco migliore. Mi sono accorta subito del suo piano meschino e - te lo assicuro - non ha più messo piede da noi. (Ride con aria ironica) Questo è tutto lo scandalo del capitano Brant!

Ori (pentito e felice) — Che stupido! La ferita mi ha istupidito. Se sapessi per che inferno son passato.

Cristina — E' colpa di Vinia se sei partito. Non glie lo perdonerò mai. La tua partenza mi ha spezzato il cuore. (Poi in fretta) Ma voglio darti un altro esempio degli sciocchi sospetti di Vinia sul capitano Brant. Figurati che per il semplice fatto che si chiama Brant è andata a escogitare che deve essere il figlio di quella governante Maria Brantôme. Non ti sembra una pazzia? Il pensare soltanto che, se lo fosse, avrebbe osato venire  da noi?

Ori (con un'espressione dura e cupa) — Perdio. Avrei voluto vederlo. Sua madre ha già dato abbastanza guai alla nostra famiglia, senza...

Cristin\ (arretra, atterrita) — Ori, non fare così, come somigli a tuo padre. (In fretta) Ma non ti ho ancora detto il peggio. Vinia accusa me, tua madre, di essermi innamo­rata di quell'idiota, di averlo incontrato a Nuova York e seguito nella sua camera! Non sono che una prostituta, per tua sorella.

Ori (stordito) — Non ci credo! Non è possibile che Vinia...

Cristina — Ti ho detto che è impazzita! Mi ha se­guito anche a Nuova York, quando sono andata da tuo nonno ammalato, per spiarmi; mi ha visto per la strada con un uomo e alla sua fantasia, malata naturalmente, quest'uomo apparve come Brant. E' disgustoso, Ori. Se sapessi tutto quello che ho dovuto soffrire per Vinia, avresti pietà di me.

Ori — Gran Dio, ha raccontato questo al babbo? Si capisce che è morto! (Aspro) Chi era quell'uomo che hai incontrato a Nuova York?

Cristina — Il signor Lamarr, vecchio amico di tuo non­no e che mi conosce da bambina. Lo incontrai per caso e mi pregò di andare con lui a far visita a suo figlio. (Accorgendosi dell'incredulità del figlio) Oh Ori, e dici di volermi bene, e mi interroghi come se anche tu mi sospettassi. E non hai scuse, come Vinia, non sei fuori di senno. (S'abbandona ad uno scoppio di pianto).

Ori (sopraffatto dal rimorso e dall'affetto) — No! Te lo giuro. (Le si inginocchia accanto e la cinge con un brac­cio) Mamma ti scongiuro, non piangere più! Ti voglio bene. Ti voglio bene.

Cristina — Ti dico che è pazza, pazza al punto di sospettare che io abbia avvelenato tuo padre!

Ori (atterrito) — Come? No, questo è troppo, perdio! Se è vero, bisogna ricoverarla.

Cristina — Mi ha trovato una medicina che prendo per dormire, ma è così pazza che forse pensa... (Presa da un profondo senso di terrore, si avvinghia al figlio) Ho tanta paura di lei, Ori! Lo sa Dio di che cosa può essere capace in questo stato. Potrebbe anche andare alla poli­zia e... Non lasciarti metter su contro di me. Ricordati che tu solo puoi proteggermi. Tu sei tutto quello che ho di più caro al mondo.

Ori (calmandola teneramente) — Mettermi su contro di te? Non sarà così pazza da provarcisi. Ma ascolta. Io credo sinceramente che tu... Tu sei un po' nervosa, rico­noscilo. Quest'affare... del babbo... è una tale assurdità. E poi che lei vada alla polizia, credi che non lo evi­terei... per cento ragioni: il nome della famiglia, il bene mio e di Vinia, anche, così come il tuo. Perfino se sa­pessi...

Cristina (fissandolo, a bassa voce) — Se sapessi... Ori, ma non crederai?

Ori — No, per amor di Dio; volevo dire che qual-siasi  cosa tu  possa aver fatto, ti  amo più di tutto  e...

Cristina (in un impeto di gratitudine e di gioia se lo stringe al petto e lo bacia) — Ori. Sei il mio piccolo. Ti amo.

Ori — Mamma! (L'afferra per le spalle e la fissa negli occhi, con una cupa intensità) Tutto in mia madre po­trei perdonare: non quella storia di Brant.

Cristina — Ti giuro...

Ori — Se pensassi che quel maledetto... (Selvaggio e vendicativo) Perdio, ti mostrerei allora che non per niente ho imparato ad uccidere!

Cristina (presa da un nuovo terrore, temendo per la vita di Brant, fuori di sé) — Per amor di Dio, non par­lare così! Non sei più il mio Ori. Sei crudele e terribile. Mi spaventi.

Ori (subito pentito, con tenerezza, cercando di cal­marla) — Su, su mamma! Non ci penseremo più. Par­liamo di altro. Ti devo dire qualcosa. (Le si siede ai piedi e la guarda in viso. Una pausa. Le chiede tenera­mente, prendendole una mano) Mamma, desideravi pro­prio  che ritornassi?

Cristina (sebbene si sia calmata, ha lo sguardo ancora atterrito e la voce tremante) — Che sciocca domanda caro!

Ori — Ma le tue lettere erano sempre più rare e sem­bravano così fredde. Era da impazzire; mi veniva voglia di fuggire e correre a casa. O di farmi ammazzare. Se sapessi quanto ho desiderato di essere qui con te, così. (Le abbandona il capo sulle ginocchia. La voce gli di­venta sognante, bassa e carezzevole) Sognavo di te cose meravigliose. Hai mai letto un libro intitolato « Typee » sulle isole dei mari del Sud?

Cristina (sussultando stranamente) — Isole? Dove c'è la pace?

Ori — L'hai letto, allora?

Cristina — No.

Ori — Qualcuno mi portò il libro e lo lessi e rilessi finché quelle isole finirono per significare per me tutto ciò che non era guerra, tutto ciò che era pace, calore e sicurezza. Sognavo di essere là. E poi, per tutto il tempo che deliravo mi sembrava di esserci realmente. Là non c'era nessuno all'infuori di te e di me. eppure non ti vedevo mai, questo è lo strano. Ti sentivo, soltanto, at­torno a me. Il rompersi delle onde era la tua voce. Il cielo era lo stesso colore dei tuoi occhi, la sabbia cal­da era la tua pelle. Tutta l'isola eri tu. (Sorride con tenerezza sognante) Che strana idea, no? Ma tu non devi sentirtene offesa, a sentirti un'isola, perché era l'isola più bella del mondo. Bella come te, mamma.

Cristina(è rimasta, guardando al di sopra della sua vita, ad ascoltare affascinata, sempre più profondamente commossa. Quando egli tace, una spasimante tenerezza per lui le sale dal cuore, con un desiderio torturante) — Oh, se tu non fossi mai andato via. Se non ti fossi lasciato strappare da me.

Ori (inquieto) — Ma sono tornato. Tutto è come prima, ora, no?

Cristina (in fretta) — Sì, non volevo dir questo, do­veva accadere.

Ori — E io non ti lascerò più, ora. Non voglio né Hazel, né nessun'altra. (Con una tenera smorfia) Tu sei la mia sola innamorata.

Cristina (di nuovo con tenerezza, accarezzandogli i capelli e sorridendo) — Ora sei un uomo. Non posso cre­derci. Mi sembra ieri, quando titrovavo in camicia da notte, nascosto sulla scala, e speravi che io salissi e ti dessi ancora il bacio della notte. Ti ricordi?

Ori (con una smorfia infantile) — Se me ne ricordo! E che tragedia quando il babbo mi scopriva. E ti ricordi quando mi lasciavi pettinare i tuoi capelli... e come mi piaceva? Lui non poteva sopportare che lo facessi. Hai sempre gli stessi bei capelli, mamma. Non sono cam­biati.

(Le carezza i capelli. Cristina ha un lieve brivido di repulsione e si scosta; ma egli è troppo felice per no­tarlo)

Oh, mamma, sarà così bello da ora in poi. Faremo sposare Vinia e Pietro e allora saremo soli io e te.

(Le porte scorrevoli in fondo si aprono di quel tanto neces­sario per lasciar passare Lavinia, che entra silenziosa e rimane a fissarli).

Cristina (avvertendo immediatamente la presenza della figlia, reprimendo un sobbalzo, aspra) — Che vuoi?

(Ori si volta a  guardare risentito la sorella).

Lavinia (con voce fredda e impassibile) — Non vieni avedere il babbo, Ori?

Ori (alzandosi, irritato) — Sì, va bene, adesso vengo.

(Esce, in fretta con l'aria di chi voglia liberarsi una buona volta di un dovere increscioso e chiude con furia la porta. Lavinia fissa un momento la madre, poi si gira rigida per seguire il fratello).

Cristina (balza in piedi) — Vinia! (Aspra, come la figlia si volge) Vieni qui. Non ho voglia di gridare attraverso la stanza.

(Lavinia s'avanza piano e si ferma a pochi passi dalla madre. I suoi occhi si incupiscono e le labbra le diventano ancora più sottili. Mentre si fissano, colpi­sce straordinariamente la somiglianza fra loro due. Cristina comincia a parlare a bassa voce, freddamente, con tono provocatorio e quasi di trionfo)

Ed ora puoi segui­tare a raccontare ad Ori tutto quello che vuoi: gliel'ho già detto io, perciò, se vuoi, puoi risparmiarti questa fatica. Mi ha detto che devi essere pazza. Gli ho raccon­tato le tue menzogne sui miei viaggi a Nuova York, per vendicarti, perché anche tu amavi Adamo.

(Lavinia ha come un lieve brivido, ma immediatamente ritorna gelida e rigida. Cristina sorride in tono provocatorio)

Così non ti pare che sia meglio lasciare Ori in pace? Non riuscirai a farlo andare alla polizia. E anche se tu lo convincessi che io ho avvelenato tuo padre, non lo farebbe. Non vuole come te, come tutti i Mannon, non vuole un diso­nore così pubblico come un processo per assassinio. Per­ché tutto verrebbe a galla. Tutto. Chi è Adamo, il mio adulterio e che tu lo sapevi e il tuo amore per Adamo. Oh, credimi che non mi lascerò sfuggire nessuna occa­sione, al processo. Ti mostrerò a tutti come una figlia che ha desiderato l'amante della madre e poi per gelosia e odio ha tentato di far impiccare sua madre.

(Ha un riso di scherno. Lavinia trema, ma il viso le rimane impassi­bile e duro. Le si schiudono le labbra, come se volesse parlare, ma subito si richiudono. Cristina sembra ebbra della sua temerarietà provocatrice)

Avanti, cerca di con­vincere Ori della mia colpa. Egli mi ama. Odiava tuo padre! Ed è felice che sia morto! Anche se sapesse che l'ho ucciso, mi proteggerebbe.

(D'un tratto la sua attitu­dine provocatrice cade ed ella supplica, come in preda ad un folle terrore, ad una paura che ha tenuta nascosta) Per amor di Dio, tieni Ori all'oscuro di tutto. E' ancora ammalato. E' mutato. Divenuto duro e crudele e non pensa che alla morte. Non dirgli nulla d'Adamo! L'ucci­derebbe. E non potrei vivere allora! M'ucciderei anche io.

(Lavinia trasale e le si illuminano gli occhi d'un odio crudele. Le sue pallide labbra si riaprono, come se ella stesse per parlare; ma reprime il proprio impulso, si gira di colpo ed esce dalla stanza col passo di una tra­gica bambola meccanica. Cristina la segue con lo sguardo; ma appena la figlia è scomparsa si sente venir meno e si afferra alla tavola per non cadere. Con tono atterrito)

Devo vedere Adamo! Devo avvertirlo! (Si abbandona sulla poltrona a destra della tavola)

FINE DEL SECONDO ATTO


TERZO ATTO

Lo studio di Ezra Mannon come nel secondo atto del « Ritorno ».

(Il cadavere, in gran divisa, giace su una bara drap­peggiata in nero collocata per lungo sotto il ritratto appeso sul camino. La testa è a destra. Il suo volto simile ad una maschera è una sorprendente riproduzione di quello del ritratto, ma cupamente remoto ed austero nella morte, come il viso scolpito d'una statua. La tavola e le sedie, che erano al centro, sono state scostate a sinistra. Sulla tavola c'è un lume. Due candelabri, con tre candele accese ognuno, ardono alle due estremità della mensola di marmo nero del camino e spandono la loro luce sul ritratto e sul cadavere. Una sedia, in direzione della testa del cadavere, di fronte alla bara. Ori è in piedi, a capo della bara, nella posizione rigida d'una sentinella sul­l'attenti. Anziché guardare suo padre, ha gli occhi fissi dinanzi a sé, come assorto in una profonda meditazione. Nella luce delle candele il suo viso è straordinariamente somigliante a quello del ritratto e a quello del morto. L'atto s'inizia pochi minuti dopo la fine del precedente).

Ori (confuso e pentito, parlando in uno scoppio im­provviso contro se stesso, con tono irato) — Cristo ! Basta con questi pensieri. Sono un lurido porco a... sia male­detta Vinia! E' pazza. E' pazza!

(Poi come per disto­gliere il pensiero da tali riflessioni, si mette a fissare suo padre. Nello stesso momento Lavinia appare sulla porta del vestibolo, e rimame a guardarlo. Egli non si accorge, della sua presenza: continua a fissare la maschera del padre, apostrofandolo con una specie di ironia stranamente amichevole)

Chi sei? Un altro cadavere! E dire che tu ed io abbiamo visto seminati di essi campi e colline; e non avevano nessun senso; nessuno se non quello di un macabro scherzo che la vita gioca alla vita. (Con un arido sorriso) La morte ti sta così bene. La morte si addice ai Mannon. Tu sei sempre stato come la statua d'un emi­nente defunto, seduto su una sedia in un parco o a cavallo in una pubblica piazza, guardando dall'alto al basso la vita, senza un segno di comprensione e soffocandola per l'incapacità di vivere. (Ride tra sé con una strana aria divertita e affettuosa) Non ti sei mai curato di conoscermi in vita, ma credo che potremmo essere amici ora che sei morto!

Lavinia (duramente) — Ori!

Ori (si volge, trasalendo) — Accidenti, non strisciare così! Che cerchi di fare? Sono già eccitato abbastanza, anche senza... (Poi mentre Lavinia chiude dietro di sé la porta a chiave) Perché chiudi la porta a chiave?

Lavinia  Devo parlarti, e voglio che nessuno ci disturbi. (Duramente) Come hai potuto dire simili cose? Non avrei creduto che tu fossi diventato così insensibile a ogni sentimento di rispetto.

Ori (colpevole e risentito) — Ma voi di casa prendete la morte con tal solennità! Al fronte, avreste subito imparato che non è che uno scherzo. Non puoi capire, Vinia! Sei costretto a riderne, o a impazzire. Non ho voluto dire nulla di spiacevole. Mi colpisce il fatto che egli sembri così stranamente familiare, lo stesso familiare straniero, che non ho mai conosciuto. (Fissando il cada­vere con un sorriso divertito) Sai che soprannome aveva nell'esercito? Vecchio bastone, abbreviazione di « Bastone nel fango ». E' stato proprio Grant a metterglielo, perché diceva che nostro padre non era abile nell'offensiva, ma che gli avrebbe affidato il compito di affondare nel fango e di tenere la posizione sino a che l'inferno non gli fosse ghiacciato sopra.

Lavinia — Ori, non capisci che era tuo padre, ed è morto?

Ori — In fondo, le parole di Grant erano un bel com­plimento !

Lavinia — Quando penso a come era fiero di te quando tornò a casa. Vantava che avevi compiuto uno degli atti più audaci che avesse visto in tutta la guerra!

Ori (sorpreso, con amara ironia) — Uno degli atti più audaci che avesse visto! Ah, è troppo. Lascia che ti rac­conti quella mia eroica impresa. Essa cominciò di fatto la notte prima, quando penetrai di soppiatto nelle linee nemiche. Mi offrivo sempre volontario per le azioni più pericolose. Ero così atterrito. Temevo che qualcuno si accorgesse che avevo paura. C'era una nebbia fitta e tanto silenzio da sentir cadere le gocce sul terreno. Incontrai un « Reb » che s'avanzava strisciando verso le nostre linee. La sua faccia emerse dalla nebbia contro la mia. Alzai la spada e gli portai la punta sotto l'orecchio. Mi fissò con uno sguardo ebete, come se si fosse seduto all'improvviso su un chiodo, e i suoi occhi si oscurarono e si spensero.

(La sua voce è diventata sempre più bassa, come se parlasse fra sé. S'arresta e fissa lo sguardo nel vuoto, come affascinato dal corpo del padre).

Lavinia (con un brivido) — Non ci pensare più.

Ori (continua con la stessa espressione) — Prima di ritornarmene, dovevo uccidere qualche altro alla stessa maniera. Era come uccidere due volte lo stesso uomo. Avevo uno strano senso che la guerra significasse uccidere lo stesso uomo più e più volte e che alla fine avrei sco­perto che quell'uomo ero io! I loro visi continuano a ritornarmi in sogno e si trasformano in quello di nostro padre, nel mio. Che cosa significa, Vinia?

Lavinia — Non lo so. Ascoltami: devo assolutamente parlarti! Per amor del cielo, non pensare più a queste cose. Sono passate ormai!

Ori — Ma non per noi. (Rapido, con tono amaramente scherzoso) I resto è giuoco! L'indomani ero in trincea - questo succedeva a Petersburg - non avevo dormito, mi sentivo la testa strana. Pensai che sarebbe stato un bel tiro per i generali, stupidi come nostro padre, se tutti, dall'una e dall'altra parte, si fossero improvvisamente accorti che la guerra era uno scherzo alle loro spalle e si fossero messi a ridere, stringendosi le mani! Cominciai perciò a ridere e ad avviarmi verso le loro linee, con la mano tesa. Naturalmente, lo scherzo ricascò su me, che mi buscai questa ferita alla testa per il mio disturbo. Impazzii, ero assetato di strage e mi misi a correre, ur­lando. Allora un mucchio d'imbecilli, preso anch'esso da pazzia, mi venne dietro e conquistammo così una parte della linea avversaria, che prima non avevamo mai osato di attaccare. Avevo agito di mia iniziativa naturalmente: ma nostro padre decise che era più politico non farci caso e farmi passare da eroe. Così ti sembra strano che rida!

Lavinia (gli si avvicina e gli prende un braccio, cal­mandolo) — Sei stato coraggioso e lo sai. Anch'io sono fiera di te.

Ori — Va bene, sii fiera, allora. (Va a sedersi nella poltrona a sinistra della tavola) Allora vuota il sacco e non parliamo di questo. Ma sprecherai il fiato. So già che cosa mi vuoi dire. La mamma mi ha avvertito. (E' assalito dal ricordo di ciò che gli ha detto la madre) Perdio, come puoi pensare cose simili sulla mamma? Che diavolo ti succede? (Cambiando tono) Capisco che non sei in te. So come ti ha profondamente scosso la sua morte. Non credi che sia meglio rimandare il nostro colloquio sino...

Lavinia (amara) — No! E' riuscita a convincerti che sono pazza. Ma Ori, come fai ad essere così stupido? (Gli si avvicina, lo afferra per le spalle e con la faccia contro la faccia del fratello, con tono autoritario) Guar­dami! Tu sai dentro te stesso che sono quella che sono sempre stata per te - tua sorella, che ti ama, Ori.

Ori (commosso) — Non volevo dire... Solo che il colpo della sua morte...

Lavinia — Non ti ho mai mentito, è vero? Anche quand'eravamo bambini sai che ti dicevo sempre la verità. E' vero?

Ori — Sì, ma...

Lavinia — E allora devi credere che non ti mentirei adesso.

Ori — Nessuno dice che tu menta volutamente. Si tratta solo...

Lavinia — E se anche lei ti ha di nuovo così stretto in pugno da farti dubitare della mia parola, non puoi certo dubitare della prova.

Ohi (rude) — Non mi importa di quelle che chiami prove. So già tutto di loro. (Eccitato) Se pensi di raccon­tarmi un mucchio di stupide storie sulla mamma, ti av­verto che non le ascolterò. Così finisci prima di inco­minciare.

Lavinia  (minacciosa) — Se non mi ascolti tu, andrò alla polizia!

Ori — Ma sei pazza!

Lavinia — Come ultima carta, lo farò, se tu mi costringi.

Ori — Perdio,  devi essere proprio pazza, soltanto  a dirlo...

Lavinia — La polizia non la penserà così!

Ori — Vinia, ti rendi conto che vorrebbe dire?

Lavinia — Sin troppo. Noi  due che siamo innocenti dovremmo sopportare una pena maggiore della colpevole, perché dovremmo continuare a vivere. Vorrebbe dire che la memoria di nostro padre e quella di tutti gli onorati defunti  Mannon sarebbe trascinata  nel disonore di un processo per assassinio. Ma preferirei soffrire questo piut­tosto che lasciare impunito l'assassinio di nostro padre.

Ori — Ma, Dio buono, tu credi sul serio?...

Lavinia — Sì, la accuso di assassinio. (Leva dal petto la scatoletta trovata nella camera del padre subito dopo il delitto e gliela  mostra) Vedi?  L'ho  trovata  dopo  la morte del babbo.

Ori — Ma non farneticare. Mi ha già detto tutto; non è che un intruglio che le serve per addormentarsi.

Lavinia (continuando implacabile, senza curarsi della interruzione)  E nostro padre sapeva che lei lo aveva avvelenato! Mi disse: «E' stata lei! ».

Ori — Ma è la tua mente malata! Dio, come puoi pensare... capisci che stai deliberatamente accusando tua madre? E' orribile, pazzesco. Ti farò dichiarare pazza dal dottor Blake e ti chiuderò in manicomio!

Lavinia — Ti giuro sulla memoria di nostro padre che dico la verità. (Tende le mani sul cadavere e lo apostrofa) Babbo, fa che Ori mi creda!

Ori  (rude) — Lascialo  in pace. Lui  è stato sempre dalla tua parte, contro me e la mamma. (Le strappa la scatoletta di mano) Dammela. (Se la mette in tasca).

Lavinia — Ah, hai paura che sia vero.

Ori — No!  Ma fermerò, la tua maledetta... Ma sono uno stupido a starti a sentire. E' troppo assurdo!  Non voglio parlare a una pazza. Ma, perdio, bada, Vinia; o lasci in pace la mamma, o...

Lavinia  (guardandolo sconsolata e amara) — Povero babbo. Credeva che la guerra avesse fatto un uomo di te. E invece sei rimasto ancora il bambino viziato di una volta, che lei prende per il naso quando vuole.

Ori (punto) — Smettila!

Lavinia — Oh, lei stessa mi ha avvertito di quello che mi dovevo aspettare. Poco fa si è vantata che non mi avresti creduto e che, se avessi scoperto che nostro padre era stato ucciso da lei, ne saresti stato contento, perché l'odiavi. (Con tono implorante) Per amor di Dio, qui, davanti a lui, dimmi che non è vero, almeno.

Ori (vinto dal rimorso, violentemente difensivo) — Naturalmente, non ho mai detto questo né credo che l'abbia detto lei. Ma la mamma vuol dire per me mille volte più di lui. E lo dico davanti a lui ora, come lo direi se mi potesse sentire.

Lavinia (con tono di calcolato e sferzante disprezzo) — Ebbene! Se non posso farti capire il tuo dovere in un modo, lo farò in un altro. Se non vuoi aiutarmi a pu­nirla, spero che non sarai così vile da lasciarti sfuggire il suo amante.

Ori — Che vuoi dire?

Lavinia — Voglio dire l'uomo che ha preparato con lei l'assassinio di nostro padre, e che deve averle procurato il veleno. Voglio dire il capitano Brant, di cui ti scrissi.

Ori (cercando di soffocare il sospetto geloso) — Tu menti: mi ha raccontato le tue sudice menzogne su lui e che l'hai seguita a Nuova York. L'uomo che incontrò era il signor Lamarr.

Lavinia — Ti ha detto questo! Come se potessi scam­biare Lamarr per Adamo Brant. Come sei stupido, Ori. Ti bacia e finge di volerti bene, mentre aveva dimenticato che eri vivo e non pensava che a questo suo amante.

Ori  (selvaggiamente) — Basta! Non permetterò...

Lavinia — Mentre ora non pensa che al modo di ser­virsi di  te per farmi star quieta, così le sarà possibile fuggire e sposarselo.

Ori  Non è vero.

Lavinia  Ti accarezza e fa la madre amorosa e tu sei così cieco da non poter vedere dentro di lei. Ti assi­curo che è andata nella camera di Brant. L'ho seguita per le scale. L'ho sentita esclamare: «Adamo, ti amo». Lo stava baciando.

Ori (l'afferra per le spalle e la fa cadere in ginocchio come folle) — Maledetta! Dimmi che menti, se no...

Lavinia (impassibile e fredda fissandolo negli occhi) — Sai che non mento. E' andata a Nuova York col pretesto di vedere il nonno, ma in realtà per darsi a...

Ori — E' falso, maledetta! (Minaccioso) E osi dir questo della mamma? Ora me lo provi, se no... Non sei pazza!  Sai quello che dici. Allora provalo... o, perdio!

Lavinia (si libera le spalle dalle mani del fratello e si alza) — Quello che chiedo è di poterlo provare. (Con intensità) Ma quando l'avrò fatto mi aiuterai a punire gli assassini di nostro padre?

Ori (in un impeto di rabbia omicida) — Lo ammazzerò quel bastardo! (Ripreso da paurosa incertezza) Ma non hai provato ancora niente! Solo le tue parole contro di lei. Non ti credo. Dici che Brant è il suo amante. Se è vero, la odierò. Saprò allora che lei ha ucciso il babbo. Ti aiuterò a punirla. Ma devi provarmelo.

Lavinia (freddamente) — Potrò farlo molto presto. Non è più in sé dalla paura. Alla prima occasione favorevole andrà da Brant. Diamole l'occasione. Mi crederai quando li vedrai assieme?

Ori (con angoscia) — Sì! (In un impeto di rabbia) Iddio lo maledica, io lo...

Lavinia (con voce acuta) — Sst! Silenzio! C'è qualcuno nel vestibolo. (Rimangono in ascolto, fissando la porta).

(Si sente battere forte dall'esterno).

Cristina (da fuori, con voce sconvolta) — Ori!

Ori (balbetta) — Dio! Non posso vederla ora...

Lavinia  (a bassa voce, in fretta) — Non farle capire che la sospetti. Fingi di esser convinto della mia pazzia, come lei voleva.

Cristina — Ori, perché non rispondi? (Forza la ma­niglia della porta, ma s'accorge che essa è chiusa a chiave; la sua voce si fa sempre più atterrita) — Perché ti sei chiuso dentro? Fammi entrare. (Fa violentemente forza contro la porta).

Lavinia (a bassa voce) — Rispondile. Falla entrare. Ori (obbedendo come un automa, con voce soffocata) — Sì, vengo. (S'avvia riluttante verso la porta).

Lavinia (colpita da un'idea improvvisa, l'afferra per un braccio) — Aspetta! (Prima che egli possa prevenire il tuo gesto, Lavinia gli prende dalla tasca la scatoletta e la posa in modo da esser ben visibile, sul petto del morto) Osservala quando la vedrà, se vuoi avere una prova.

Cristina — Apri la porta!

(Ori apre vincendo la pro­pria riluttanza e si scosta da un lato. Cristina, nell'en­trare, sta quasi per cadere. E' in uno stato prossimo al deliquio. Getta le braccia al collo del figlio, come se cercasse la sua protezione) — Ori! Che paura, quando ho trovato la porta chiusa a chiave!

Ori (reprimendo a stento l'impulso, provocato dalla sua gelosia, di staccarla violentemente da sé, aspro) — Che ti ha fatto paura, madre?

Cristina (balbettando) — Perché mi guardi... così? So­migli tanto a tuo padre!

Ori — Sono suo figlio: ricordatene!

Lavinia (con tono ammonitore) — Ori!

Cristina   (rivolgendosi a  Lavinia,  in  piedi presso  la bara) — Immagino che gli avrai raccontato le tue basse menzogne.

Ori (ricordando il suo proposito, si sforza a dire) — Ma lei... lei è pazza, mamma!

Cristina — Non te l'avevo detto? Ero certa che l'avresti visto anche tu. (Con ansia, fissando Lavinia) Ti ha detto che vuol fare, Ori? So che sta macchinando qualche cosa... pazza! Ha minacciato d'andare alla polizia! Là, potrebbero non credere che è pazza! (Supplichevole, di­speratamente, con gli occhi sempre su Lavinia) Ma tu non le lascerai commettere una cosa così mostruosa, vero?

Ori (acquistando sempre più la certezza della colpa della madre, balbetta) — No, mamma!

Cristina (gli occhi che hanno sempre evitato la salma, si fissano ora sul viso del cadavere, come attratti da un fascino di orrore) — No. Ricordati che tuo padre non voleva scandali, ha bisogno di pace e riposo. (Apostrofa il cadavere con uno strano tono di provocante disprezzo) Anche morto, mi sembri lo stesso, Ezra! Sei stato sempre un morto per me! Io odio la vista della morte! Ne odio il pensiero! (Il suo sguardo scorre dal viso al petto del cadavere e scorge la scatoletta del veleno. Arretra con un balzo, con un grido soffocato e rimane a fissarla con una espressione di colpevole paura).

Ori — Mamma, calmati, per amor di Dio! (Non po­tendo più dominarsi, ride, con selvaggia ironia) Dio! E pensare che avevo sperato che la casa fosse uno scampare dalla morte! Non avrei dovuto più ritornare alla vita, dalla mia isola di pace! (Fissando stranamente la madre) Ma questo è perduto ora! Tu sei la mia isola perduta, vero, mamma?

(Si volta ed esce barcollando come un cieco. Lavinia stende furtivamente la mano e afferra la scatoletta. Questo gesto spezza quella specie di fascina­zione provata da Cristina, i cui occhi erano rimasti fissi sulla scatoletta, come ipnotizzati. Guarda selvaggiamente il viso gelido ed accusatore della figlia).

Lavinia (fredda e cupa) — E' stato Brant a procurarti questa medicina per farti dormire, non è vero?

Cristina (fuori di sé) — No! No! No!

Lavinia —  Lo stai dicendo che è lui. Lo sapevo, ma volevo essere sicura. (Nasconde la scatoletta in seno, poi esce rigida, ed eretta e col passo fermo).

Cristina (la segue con uno sguardo selvaggio, poi posa di nuovo gli occhi sul volto del cadavere. D'un tratto lo apostrofa, fuori di sé) — Ezra! Non farle fare del male ad Adamo! Sono io sola la colpevole! Non fare che Ori... (Poi, come se leggesse una risposta sul viso del morto, s'arresta atterrita e con gli occhi sempre fissi sulla salma arretra sino alla porta ed esce di corsa).

FINE DEL TERZO ATTO


QUARTO ATTO

La parte poppiera d'un clipper, ormeggiato al molo di East Boston. Sullo sfondo, la banchina del molo.

La nave è scarica e la sua murata nera si eleva di oltre due metri sul piano della banchina. Sul cassero, a destra, la ruota del timone. A sinistra, la camera nautica e il tambugio della scala, che porta alle sottostanti cabine.

All'estrema sinistra, l'albero di mezzana, col pennone di contromezzana soltanto visibile e con la boma della randa  ammainata — abbozzata a diritta. Dai portellini sotto coperta si diffonde il tenue riverbero delle cabine illuminate. Sul molo, a sinistra, l'estremità di un ca­pannone.

(Sono trascorsi due giorni dal terzo atto. E' la notte del giorno successivo ai funerali di Ezra Mannon. La luna si sta allora levando sull'orizzonte e il suo chiarore ac­centua la sagoma nera del veliero. Da una nave, che sta salpando dal porto, fluttua sull'acqua, portalo dal vento, il malinconico ritornello di « Shenandoah », intonato da un cantore e accompagnato dal coro dell'equipaggio. Metà dentro e metà fuori dell'ombra del capannone, il can­tore giace disteso sul dorso e russa nel suo sonno di ubriaco. Pare però che la canzone tocchi una corda sensibile del suo cervello, poiché egli si agita, borbotta con uno sforzo, si mette a sedere. In tal modo emerge dall'ombra, apparendo tutto nel chiaro di luna. E' un uomo di circa 65 anni, magro e curvo, con un ciuffo scomposto di capelli neri, con i baffi neri e barba nera incolta. Il suo viso porta le stigmate delle intemperie, e del vizio, ed è come disfatto. Ha bocca cascante, occhi azzurri e rotondi iniettati di sangue, occhi di sognatore o di ubriaco? Ma la sua personal sprigiona un certo che di romantico, che lo fa stranamente assomigliare ad una specie di trovatore del mare).

Il Cantore (ascolta, dimostrando una viva disappro­vazione) — Che razzadi cantore! Stridule civette sem­brano i cantanti d'opera di fronte a lui! Gli farò sen­tire io come si deve cantare « Shenandoah »!

(Comincia a cantare con una sorprendente voce di tenore, ora al­quanto confusa per l'ubriachezza, ora troppo sentimen­talmente lacrimosa, ma con una espressione tale da rendere perfettamente il senso della canzone):

« Oh !   Shenandoah !   Come  ti  vorrei  sentire.

Fiume mio rapinoso.

Oh!  Shenandoah!  Non posso avvicinarmi a te:

lontano, lontano  sono diretto

attraverso l'immenso Missouri!

Oh! Shenandoah! Io amo la figlia tua,

fiume mio rapinoso! ».

(Si arresta di colpo, scuotendo il capo, con tristezza) Male! Troppo ubriaco per farmi onore! Smettila, Gio­vanni! Dormici sopra! (Si rimette a giacere sul dorso, poggiandosi sui gomiti, confusamente)

Dove sono? Che importa? C'è tanta aria fresca e la luna fa da lume! Via, non esser così schizzinoso! Ma che vuoi? Un letto di piume? (Si mette a cantare in preda alla ubria­chezza) :

« Una bottiglia di vino, e una di birra,

e una di whisky irlandese — Oh

assai presto la mattina

al marinaio piace la sua bottiglia — Oh! ».

(Borbotta) Chi paga un bicchiere al cantore più gran­de dell'occidente e di qualche altro oceano maledetto? Al diavolo, allora! Posso pagarmelo io! (Si cerca nelle ta­sche dei calzoni) Eppure, li avevo in questa tasca, mi ricordo di averli messi proprio qui: dieci dollari in questa tasca. (Rivolta la tasca con rabbia di ubriaco) Per Cristo, sono spariti! Mi hanno lasciato pulito pu­lito! (Cerca di mettersi a sedere) Ma dove sono stato ultimamente? Ah! Mi ricordo! Quella sgualdrinella coi capelli gialli e il vestito rosa! Mi ha abbracciato così teneramente, mi ha detto che cantavo così bene! (Si alza, reggendosi a stento sulle gambe) Perdio, ritorno da lei e le appioppo un colpo di ciabatta sulla sua grossa coda e così le insegno. (Fa un passo, ma sbanda nell'ombra, s'appoggia al capannone) Ammaina tutto! Grosse burrasche attorno a Capo Stilfo! Tutto è andato a fondo, tranne l'onore — come si dice — ma ben poco è a galla!

(Rimane appoggiato al capannone in attesa che la terra gli smetta di barcollare sotto i piedi).

(Si apre la porta del tambugio di poppa della nave e ne esce cau­tamente Adamo Brant. Si guarda attorno, sospettoso. Veste la divisa di capitano marittimo. Soddisfatto che non c'è nessuno in coperta, va alla murata e guarda ansioso sul molo. La sua attitudine rivela che è in uno stato di nervosa aspettativa. Ha una mano nella tasca della giacca. Il cantore, perduto l'equilibrio, cade a terra con un tonfo. Brant trasale e arretra dalla murata, ti­rando immediatamente la rivoltella dalla tasca. Poi si riaffaccia e grida minaccioso).

Brant — Chi è là? Vieni fuori e fatti vedere o, per­dio, sparo.

Il Cantore (guarda in direzione della voce, trasalendo a sua volta e temporaneamente guarito della sua sbor­nia, in fretta) — Adagio, adagio, capitano! Mettete via quella rivoltella. Non faccio niente di male! (Barcol­lando, esce nel chiaro di luna nella zona illuminata dalla luna; d'un tratto aggressivo) Non che abbia paura di voi o della vostra rivoltella! Chi diavolo siete voi, per minacciare la vita di un onesto cantore? Volete farmi passare la sbornia, è così? Questa notte sono stato de­rubato! Voglio andare all'ufficio di polizia a denunciare che qui c'è un ladro.

Brant (in fretta e con tono conciliante) — Non ab­biate paura. Sono il capitano di questa nave e c'è un mucchio di ladri in giro nel porto. Non ho il guardiano e devo tenere sempre gli occhi aperti.

Il Cantore (di nuovo momentaneamente sobrio, bat­tendosi la fronte) — Già, già, signore. Tenete gli occhi aperti. Mi hanno detto che due notti fa dei ladri sono stati nella cabina dell'« Annie Lodge ». Hanno fracassato tutto e derubato il capitano di duecento dollari. E sono an­che assassini. Per poco non hanno rotto il cranio al guar­diano. (Ripreso dalla sua ebbrezza, di nuovo aggres­sivo) Se io fossi proprio uno di quelli? Scendete, scen­dete, e vi farò vedere io che cos'è un ladro! Me ne frego che siate un capitano! Potreste essere anche Bully Watermann e non vi permetterei di disturbarmi! Non sono iscritto sulla vostra vecchia ciabatta. E non avete perciò nessun diritto su me! Sono sulla terraferma, per­dio, e questo è un paese libero e... (La sua voce si è sempre più alzata di tono sino a diventare urlo. Brant è preoccupato che tale chiasso possa attrarre qualcuno. Si rimette in fretta la rivoltella in tasca e guarda ansioso sul molo. Interrompe la tirata del cantore con un or­dine secco).

Brant — Ferma la tua maledetta lingua, altrimenti scendo giù e ti pesto qualcosa sulla testa.

Il Cantore (reagendo automaticamente all'energica imposizione, calmo) — Sì, sissignore. Non avete bisogno di un cantore per il vostro prossimo viaggio?

Brant — Non partirò prima di un mese. Se allora sarete ancora a terra...

Il Cantore (con orgoglio) — Si vede che non mi co­noscete! Sono il miglior cantore che abbia mai cantato. Non sono io ad andare in cerca di cuccette: mi cercano loro. Già. E troppo contenti i capitani, avermi. Quante volte ho visto capitani ed ufficiali sudar sangue, senza ricavare niente per ottenere che l'equipaggio lavorasse; ma non riuscivano a niente finché io non intonavo un motivo e tutte le vele erano spiegate prima che se ne accorgessero !

Brant (impaziente) — Non metto in dubbio la vo­stra abilità. Ma vi consiglio d'andarvene a dormirci su.

Il Cantore (senza tener conto delle parole di Brant, con tristezza) — Sì, ma non  durerà troppo;  ora  c'è il vapore e il 'mare è pieno di teiere fumanti. I vecchi giorni passano e allora dove saremo io e voi? (la sbor­nia lo riprende e gli suscita delle idee lugubri) Tutto muore. Abele Lincoln è morto. Navigavo sulle navi dei Mannon e ho letto sul giornale che Ezra Mannon è morto. (Brant trasale) Male di cuore lo ha ucciso, così si dice, ma so io... Ho navigato sui bastimenti Mannon e lavorato come una bestia a furia di sbornie e so che non aveva cuore, dentro. Apritelo e troverete una rapa secca. E denaro ne avrà lasciato quel sordito avaro! E chi se lo prenderà? Ha lasciato una vedova, eh?

Brant (aspro) — Che ne so? (Cambiando a bella po­sta argomento) Ma che fate qui, cantore? Un uomo colla vostra voce dovrebbe essere in una sala a cantare e a spassarsela!

Il Cantore — Potessi farlo! Ma sono stato derubato, sissignore, e so chi mi ha derubato: una sgualdrinella biondiccia, che mi ha abbracciato. Occhio a queste per­sone, o vi tolgono la pelle per farne un tappeto. At­tento, capitano! Non sono per dei marittimi come voi e come me, a meno che non cerchiamo dispiaceri. (Con fare insinuante) Non ho i soldi per un bicchiere: ecco perché son qui, signore.

Brant (si cerca nella tasca e gli getta un dollaro d'ar­gento) — Tò!

Il Cantore (cerca attorno barcollando e trova il dol­laro) — Grazie, signore. (Con tono di adulatore) Che bella nave avete, signore! Metteteci una vela e batterà tutte le altre! E voi siete il tipo di metter vela, posso dirlo a occhio.

Brant (compiaciuto, guardando l'alta e slanciata al­beratura) — Già! Riesco a farla camminare abbastanza.

Il Cantore — Ma ciò che vi occorre è un cantore, che vi aiuti. Ecco : « Jonny il boia » per voi.

(Brant trasalisce. Il cantore inizia la canzone con sentimentalità accorata)

«Oh! Mi chiamano Jonny il boia

Ahi  - Ahi  - Oh!

E dicono  che impicco per denaro.

Oh!  Impiccate, impiccate, ragazzi! ».

Brant (aspro) — Smettila, con questo maledetto lagno! E levati dai piedi!  Su, un po' più di allegria!

Il Cantore (nell'andarsene) — Sì, sì, signore!  (Risen­tito) Vedo che non avete molto orecchio per la musica. Buona notte!

Brani (esasperato) — Buona notte.

Il Cantore (esce, barcollando, dalla sinistra fra il ca­pannone e la nave. Poi riprende la lugubre canzone, che si smorza man mano che egli si allontana).

« Dicono  che  ho  impiccato  mia madre

Ahi - ahi - oh!

Dicono che ho impiccato mia madre.

Oh!  Impiccate, impiccate, ragazzi! ».

(Brant, appoggiato alla murata, lo segue con lo sguar­do, gli lancia una imprecazione e poi si mette a passeg­giare in coperta).

Brant — Maledetta canzone! E' triste come la morte! Ho il presentimento  che  non  porterò  mai  in  mare  la mia nave! Ora non mi vuole più, non vuole più un vi­gliacco nascosto dietro le sottane d'una donna! Il mare odia i vigliacchi.

(Una figura femminile a lutto, nascosta da un velo, s'avanza incerta dalla zona di tenebre fra la nave e il capannone a sinistra. Vede un uomo che pas­seggia in coperta e arretra col respiro mozzato dalla paura. Brant sente il rumore. Colla rivoltella in pugno, scruta la zona d'ombra del capannone)

Brant Chi è?

Cristina (con un grido di sollievo) — Adamo!

Brant — Cristina! (In fretta) Va' alla passerella. Ti vengo incontro. (Ella ritorna sui suoi passi. Brant si al­lontana in fretta. Si sentono le loro voci e poco dopo appaiono sul cassero. Ella si appoggia a lui, che la so­stiene, tenendola abbracciata) Ho dovuto farti passare di qui:  ho  chiuso  a  chiave  la  porta  del  ponte principale.

Cristina — Ero così spaventata! Non sapevo che nave fosse. Ho incontrato un ubriaco che cantava.

Brant — Già. Me l'ero proprio allora levato dai piedi. Stamattina ho licenziato il guardiano per rimaner solo questa notte. Speravo che saresti venuta presto. Quell'u­briaco ti ha vista?

Cristina — No. Mi sono nascosta dietro a delle casse. (Impaurita) Perché hai preso la rivoltella?

Brant — Volevo farla pagar cara, se le cose fossero andate male.

Cristina — Adamo!

Brant — Non pensi certo, perdio, che voglia farmi prendere vivo.

Cristina — Ti prego, per un momento non parlare. Tienimi stretta! Dimmi che mi ami.

Brant (aspro) — Non è il momento! Voglio sapere che è successo. (Subito pentito, la bacia con rude tene­rezza) Non badarci. I miei nervi se ne sono andati a furia di aspettare qui, solo, senza sapere altro che quello che leggevo sui giornali, che è morto. Questi ultimi giorni sono stati infernali.

Cristina — Se sapessi che cosa sono stati per me !

Brant — Ci dev'esser qualcosa che è andata male! Te lo leggo in viso! Cos'è Cristina?

Cristina (esitante) — Vinia sa. Entrò in camera quando lui moriva. E le disse...

Brant (violento) — Dio! Che pensa di fare? (Poi, senza darle tempo di rispondere alla sua domanda, si guarda intorno con ansia) Come hai fatto a venir via? Stavolta non crederà che tu sia andata da tuo padre. Ti ha seguita già una volta prima...

Cristina — No. E' tutto a posto. Stamane, Ori ha detto che sarebbe andato con la sorella dai cugini Bradford. Io l'ho persuaso. Ha detto che i cugini Bradford hanno invitato lui e Vinia ad andarli a trovare a Blackridge e che ci avrebbe condotto Vinia perché sperava che una distrazione l'avrebbe fatta tornare in sé. Sono riuscita a fargli credere che Vinia è impazzita dal dolore. Così non le darà ascolto.

Brant (con ansia) — E lui ci crede?

Cristina (esitante) — Sì, ci crede ora, ma non so... per quanto.

Brant — Ah!

Cristina — Così gli ho detto in tutti i modi di andare. Ho avuto l'occasione che aspettavo, di venire da te. Sono andati via stamattina. Non sanno che mi sono allontanata e anche se lo scoprono, non possono provare dove sono andata. Posso rimaner poco, Adamo; è necessario che stabiliamo un piano: sono accadute tante cose che non potevo prevedere. Sono venuta per avvertirti.

Brant — Vieni in cabina. Siamo pazzi, a parlare qui fuori. (La guida, cingendole sempre la vita, verso il tambugio della porta delle scale e, entrati, chiude tranquilla­mente la porta).

(Una pausa, durante la quale il canto dell'equipaggio della nave, che salpa dal porto, giunge ac­corato e triste sull'acqua. Appaiono Lavinia e  Ori che avanzano furtivi sul molo. Lavinia è sempre vestita di nero. Ori porta un lungo  mantello sull'uniforme e  un cappello floscio con la falda abbassata sugli occhi. Si av­vicinano al  finestrino  della  cabina,   in  silenzio.  Ori  si curva ad ascoltare. Il suo viso si contrae in un impeto di rabbia e di gelosia. Lavinia lo trattiene per un brac­cio. La scena si immerge nel buio. Quando torna ad illu­minarsi, appare l'interno della cabina, non troppo gran­de, e con le pareti dipinte di fresco in marrone chiaro. L'osterigio,  che  dà in coperta  è  al  centro  del soffitto. Sotto  l'osterigio  è  sospesa una  bussola. Sotto  di  essa, una tavola con tre sedie: una al centro ed una ad ogni lato. Sulla tavola, un bicchiere e una bottiglia smezzata di whisky e un bicchiere e una caraffa d'acqua. Contro la parete destra, un lungo e stretto divano con cuscini di cuoio. Nella parete in fondo, a destra, la porta dell'alloggio del capitano. Al centro della parete di sinistra: un pesante cassettone e su di esso un orologio di bordo. Più  indietro,  la porta  di comunicazione con  il ponte principale della nave. Sul cassettone un lume acceso e alla estremità a destra della tavola un fanale di bordo anche acceso. Cristina e Brant sono seduti accanto alla tavola: Cristina al centro e Brant a destra. Il viso di Cri­stina è invecchiato e disfatto con la bocca cascante agli angoli: tutto il suo aspetto e l'acconciatura dei capelli e delle vesti rivelano la fretta con la quale è fuggita. Sta finendo  il racconto dell'assassinio e degli eventi succe­dutisi. Brant ascolta ansioso. Si vedono in coperta Ori e Lavinia. Ori è curvo, in ascolto, presso l'osterigio).

Cristina  — Mentre  stava  morendo  mi  indicava col dito e le disse che ero stata  io.  Dopo, lei ha  trovato il veleno.

Brant (balzando in piedi) — Ma santo cielo, perché non...

Cristina (compatendosi) — Sono svenuta prima di po­terlo nascondere! Ed avevo predisposto tutto con tanta cura. Ma come potevo prevedere che lei sarebbe entrata proprio in quel momento? E come potevo sapere che lui mi avrebbe parlato in quel modo? Mi faceva impazzire. Seguitava a parlare di morte, mi torturava! Desiderai solo che morisse e mi lasciasse in pace!

Brant (con gli occhi accesi di soddisfazione selvaggia) — Ha saputo, prima di morire, di chi ero figlio, no? Perdio, scommetto che questo lo avrà fatto impazzire!

Cristina — Avevo predisposto tutto con tanta cura, ma qualcosa ha fatto che andasse così.

Brant (sopraffatto da un cupo abbattimento, si lascia cadere sulla sedia) — Lo sapevo, ne avevo il presenti­mento nelle ossa! Mi sta bene quello che è successo e quello che succederà. Non era quella la vendetta, che avevo giurato sul cadavere di mia madre! Avrei dovuto fare come volevo: battermi con Ezra Mannon. (Con ama­ro disprezzo) Ho anch'io il sangue sporco e vile di mio padre.

Cristina — Adamo! Mi sento così colpevole!

Brant  —  Non avevo l'intenzione di rimproverarti, Cristina, è tardi per rimpianti. Ora, in ogni modo, dob­biamo pensare al da farsi.

Cristina — Sì! Ho un tale terrore di Vinia! Prometti­mi, Adamo, di stare sempre all'erta. Se convince Ori che tu sei il mio amante... Perché non possiamo andar via? Una volta lontani Lavinia non potrà farci più nulla.

Brant — Ci vuole un mese e più per la partenza del «Flying Trades ». Non possiamo avere il carico presto, come  credevano  gli armatori.

Cristina — Non possiamo andare su un'altra nave come passeggeri per l'Est? Potremo sposarci  laggiù.

Brant (cupo) — Ma tutti, in città, saprebbero che sei fuggita. Desterebbe dei sospetti.

Cristina — No. Ori e Vinia mentirebbero a tutti. Do­vrebbero farlo per salvare se stessi. Direbbero che sono andata a Nuova York da mio padre. Oh! Adamo, è l'u­nica cosa che possiamo fare. Se non ci mettiamo al più presto in salvo da Vinia, so che accadrà qualche cosa di terribile.

Brani (avvilito) — Già, non abbiamo altra via di scam­po, ora. L'« Atlantis » parte venerdì per la Cina. Mi met­terò d'accordo col capitano perche ci dia un passaggio e tenga la bocca chiusa. Parte venerdì all'una. E' meglio che ci vediamo giovedì sera. (Con dolore) Questa sera stessa scriverò a Clark e Dawson che si trovino un altro capitano per il « Flying Trades ».

Cristina (notando il tono doloroso della sua voce) — Povero Adamo quanto ti costa lasciar la tua nave!

Brant — Di navi ce ne sono tante, ma tu sei sola, Cristina!

Cristina — Ho rimorso! Ti ho portato soltanto di­sgrazie.

Brant — Mi hai portato amore: il resto ne è soltanto il prezzo. E vale un milione di più. Ora sei tutta mia! (Se la stringe forte e guarda al disopra della lesta di Cristina con occhi tristi ed assenti).

Cristina (con voce tremante) — Ma temo che non ci sia da inorgoglirsi di avermi adesso. Questi ultimi giorni mi hanno invecchiata. Sono brutta. Ma ridiventerò bella, per te! Saprò ricompensarti di tutto! Cerca di non rim­piangere troppo la tua nave, Adamo.

Brant (brusco) — Non parliamone più! Abbandonerò il mare. Credo che ormai sia finita per me. il mare odia i vigliacchi.

Cristina (cercando di sollevarlo) — Non dire così! Ci sono io, Adamo. Sono tua e saremo felici, una volta arrivati alle tue Isole Beate. (Con un brivido quasi im­percettibile) E' strano: Ori mi parlava di un'isola.  (In coperta Ori, che si è sempre più avvicinato all'osterigio per meglio ascoltare, fa l'atto di scagliarsi. Lavinia lo trattiene, afferrandolo per un braccio).

Brant (con un senso di nostalgia amaro e disperato)  Già. Le Isole Beate! Forse possiamo ancora trovare la felicità e dimenticare! (Stranamente, come ne parlasse a se stesso) Posso vederle ora... così vicine e lontane un milione di miglia! La terra calda nel chiarore lunare, gli alisei, che fanno stormire gli alberi di cocco e Io sciac­quio delle onde sulla scogliera, che è come una ninna nanna. Già laggiù per noi c'è pace e oblio, se potremo trovarle quelle isole, ora.

Cristina (disperata) — Le troveremo! Le troveremo! (Lo bacia. Una pausa. Guarda impaurita l’orologio) E' tardi! E' tardi! Devo andare.

Brant — Per amor di Dio, bada a Vinia. Se dovesse accaderti qualcosa...

Cristina — Non m'accadrà nulla! Tu stai in guardia nel caso che Ori... Addio, amore! Devo andarmene! Devo andarmene ! (Si strappa dalle sue braccia, ma subito ci si butta di nuovo, atterrita) Oh! Mi sento così inquieta, così triste, come se non dovessi rivederti più! (Rompe in una crisi di pianto) Dimmi, dimmi che non sei pen­tito! Dimmi che saremo felici! Non passo sopportare questo orribile senso di disperazione.

Brant —  Certo che saremo felici! Su. E' solo per un paio di giorni. (Si avviano verso la porta) Passiamo sotto coperta. Si fa più presto. Verrò con te sino al molo, non più in là. Ci potrebbero vedere.

Cristina — E allora abbiamo ancora qualche minuto, prima di dirci addio. Dio, ti ringrazio! (Escono e Brant chiude la porta).

(In coperta Ori, impugnando la rivol­tella, fa per slanciarsi dietro Brant e la madre. Lavinia, che temeva appunto ciò, gli si para dinanzi e gli afferra il braccio).

Ori (furioso) — Lasciami!

Lavinia (lottando per non farselo sfuggire) — No! Fermo! Zitto! Sono in coperta. Presto! Scendiamo nella cabina!

(Lo spinge verso la porta del tambugio, lo fa entrare e poi entra anche lei, chiudendosi la porta alle spalle. Poco dopo entrano dalla porta a sinistra nella cabina).

Lavinia — Andrà sino al molo. Abbiamo solo pochi minuti. Volevi la  prova. Sei  soddisfatto,  ora?

Ori — Che Iddio lo maledica! La morte è troppo poco per lui!  Dovrebbe essere...

Lavinia (aspra e recisa) — Ricordati che hai promesso di non perdere la testa! Di fare tutto come è stabilito, che non ci siano sospetti su noi. Non sarebbe giusto che... Ori (impaziente) — Me l'hai già detto. Credi che sia stupido? Non ho proprio voglia di finire impiccato per quel somaro. E lei gli chiedeva di baciarlo. E l'ha messo in guardia contro di me... e la mia isola, di cui le avevo parlato... che era lei ed io... vuole andarci con lui. (Fu­rioso) Maledetta! Perché mi hai fermato? Gli avrei ti­rato nella pancia davanti a lei.

Lavinia (ironica) — Già, in coperta, dove il colpo si sarebbe sentito? Ci avrebbero arrestati e avrei dovuto dire la verità per salvarci. Lei sarebbe impiccata e, anche a cavarcela, la nostra vita sarebbe stata rovinata. L'unico ad uscirsene sempre, sarebbe stato Brant. Sarebbe morto felice, sapendo di essersi vendicato di noi più di quanto aveva osato sperare. E' questo, che vuoi?

Ori — No.

Lavinia — E allora non fare di nuovo come uno stu­pido. (Osserva la cabina con calcolo, poi con tono di comando) Va a nasconderti fuori. Non ti vedrà passando nel corridoio, al buio. Verrà direttamente qui. E sarà allora il momento che tu...

Ori — Non c'è bisogno che me lo dica tu, cosa devo fare. Mi sono allenato grazie a te e a nostro padre.

Lavinia — Presto! Va' fuori! Non starà molto.

Ori  (va alla porta) — Lo sento venire. (Sguscia fuori silenziosamente).

(Lavinia si nasconde in fretta accanto al cassettone. Poco dopo entra Brant, ma si ferma sulla so­glia, abbagliato dalla luce. Gira intorno lo sguardo con una espressione di tristezza).

Brant — E così, addio « Flying Trades ». E hai ra­gione. Non ero abbastanza uomo per te.

(Appare Ori sulla porta e spara due colpi a bruciapelo contro Brant, che cade morto. Ori balza accanto al cadavere con la pi­stola puntata, pronto a fare ancora fuoco).

Lavinia   (fissa affascinata il viso di Brant) — E' morto?

Ori — Sì.

Lavinia (aspra) — Muoviti! Dov'è lo scalpello? Rompi tutto nella cabina. Dobbiamo far credere che sia stato ucciso dai ladri, ricordati. Prendi tutto quello che c'è di valore. Lo getteremo in mare, dopo. Presto!

(Ori posa la pistola sulla tavola e, preso lo scalpello dalla cintola, entra nella cabina. Si sente il rumore della scassinatura).

Lavinia (s'avvicina piano al cadavere e rimane a fis­sarlo in volto. Il suo viso è gelido ed impassibile. Una pausa. Si sente sempre il rumore provocato da Ori nello scassinare. Finalmente Lavinia parla al cadavere con tono cupo ed amaro) Come hai potuto amarla tanto quella donna infame? (Si libera con violenza da questo pen­siero, aspra) Ma sei morto. E' finita. (Gira risoluta le spalle al cadavere. Poi si volge di nuovo verso di esso e rigidamente eretta accanto alla salma prega freddamente come per compiere un dovere) Possa Iddio trovare per­dono ai tuoi peccati. Possa l'anima di nostro cugino, Adamo Mannon, riposare in pace! (Ori nell'entrare, sente le ultime parole della sua preghiera).

Ori — Che riposi all'inferno, vorrai dire! Ho scassi­nato tutto quello che ho trovato.

Lavinia — Allora vieni. Sbrigati. Ecco la pistola. Non dimenticarla. (Va alla porta).

Ori (mettendosi l'arma in tasca) — Bisogna rovistargli anche le tasche, perché sembri una rapina. (Raccoglie tutto ciò che trova nelle tasche: rivoltella, danaro, oro­logio, catena, ecc.) Li butteremo in mare dal molo assie­me a ciò che stava nella stanza. (Finita la perquisizione rimane a fissare il volto di Brant, con una strana espres­sione di fascino negli occhi).

Lavinia — Ori!

Ori — Perdio, somiglia a nostro padre!

Lavinia — No!  Andiamo!

Ori (fra sé) — E' come il mio sogno! L'ho ammazzato già... tante altre volte.

Lavinia — Ori!

Ori — Ti ricordi che ti dicevo che i visi di quelli che ho ucciso ritornavano e si trasformavano nel viso di nostro padre e poi nel mio? (Ride cupo) Somiglia anche a me. Forse mi sono  suicidato.

Lavinia (atterrita, afferrandolo per un braccio) — Pre­sto, può  venire  qualcuno.

Ori (senza darle retta, fissa sempre Brant — Se fossi stato al suo posto avrei fatto come lui. L'avrei amata come l'ha amata lui. Avrei ucciso anche mio padre, per amore di lei.

Lavinia (scuotendolo per il braccio) — Ori, per amor di Dio, vuoi smetterla di dir sciocchezze? Andiamo. Vuoi proprio che ci trovino qui? (Lo trascina a forza).

Ori (dando un ultimo sguardo al cadavere) — E' strano. E' uno scherzo indegno alle spalle di qualcuno. (Si la­scia trascinare verso il corridoio).

FINE DEL QUARTO ATTO


QUINTO ATTO

L'esterno della casa dei Mannon, come nel terzo atto del « Ritorno ». E' la notte successiva a quella del quarto atto. La luna è allora sorta. La metà destra della casa è immersa nella zona d'ombra proiettata dai pini; mentre la metà di sinistra è battuta in pieno dalla luna. La porta d'ingresso è aperta e s'intravede il vestibolo illuminato. Tutte le imposte delle finestre sono chiuse.

(Si scorge Cristina, che passeggia su e giù pel viale dinanzi al portico, passando dalla zona illuminata dalla luna a quella invasa dall'ombra dei pini e viceversa. E' in un terribile stato di tensione, incapace di rimanersene ferma. Vede venire qualcuno, di cui è in attesa, e gli corre incontro sino alla panca, ove s'imbatte in Hazel, che entra dalla sinistra).

Hazel (entra dalla sinistra sorridendo dolcemente) — Eccomi; Seth mi ha dato il vostro biglietto e sono venuta subito.

Cristina (baciandola, con effusione esagerata) — Sono contenta che tu sia venuta. So che non avrei dovuto di­sturbarti.

Hazel — Nessun disturbo, signora Mannon. Sono tanto felice di tenervi compagnia.

Cristina — Mi sentivo così terribilmente triste e ner vosa. Ho dato ad Hannah e ad Annie il permesso di pernottare fuori. Sono completamente sola. (Si siede sulla panca) Sediamoci qui fuori. Non mi posso vedere in casa. (Hazel le si siede accanto).

Hazel (compatendola) — Lo comprendo. Vi dovete sentire molto sola. Dovete sentir molto la sua mancanza.

Cristina (con un brivido) — Ti prego, non parlare di lui. E' sepolto e se ne è andato!

Hazel (dolce) — E' in pace, signora Mannon!

Cristina (con amara ironia) — Una volta ero come te. Credevo nel paradiso. E ora so che c'è solo l'inferno!

Hazel — No! Non dovete dir questo.

Cristina (risollevandosi e sorridendo appena) — Temo di non essere la compagnia più adatta per una ragazza. Dovresti avere gioventù, bellezza e libertà intorno a te. Io sono vecchia brutta, e ossessionata dalla morte! (Poi come fra sé, con un tono basso e disperato) E non pos­so, non posso esser brutta!

Hazel — Siete soltanto molto esaurita. Dovreste cer­care di dormire.

Cristina — Non credo che sulla terra esista più qual­cosa come il sonno! Solo sottoterra si può dormire. Ci si deve sentire così in pace... finalmente ogni paura finita. (Sforzandosi a ridere) Ma che fastidio deve essere per te ascoltare i miei lugubri discorsi! T'ho mandata a chiamare per sapere qualcosa di Ori e Vinia.

Hazel (sorpresa) — Non li abbiamo visti dopo i fu­nerali.

Cristina (sforzandosi sempre di sorridere) — Sembra che mi abbiano abbandonato. Voglio dire che avrebbero dovuto già essere ritornati. Non so che cosa li abbia potuti trattenere. Sono andati a Blackridge a passare una notte dai Bradford.

Hazel — E allora non c'è da preoccuparsi. Ma non so come abbiano potuto lasciarvi sola, proprio ora.

Cristina — Non ne hanno colpa. Ho insistito io perché andassero. Sono partiti subito dopo i funerali ed io ho poi pensato di profittare della loro assenza per andare a Nuova York a vedere mio padre. E' ammalato, lo sai, ma l'ho trovato tanto migliorato da decidermi a ritor­nare senz'altro ieri notte. Aspettavo Ori e Vinia per mez­zogiorno; è già sera e non si vedono ancora. Devo... devo confessarti che sono preoccupata e atterrita. Non puoi comprendere l'orrore di stare tutta la notte sola in casa! (Guarda con  un  brivido  la casa).

Hazel — Se vi fa piacere questa notte resto con voi... sempre che non vengano.

Cristina — Davvero? (Dà in un pianto nervoso. Bacia Hazel in un impeto di gratitudine) Non puoi immagi­nare quanto te ne sarei grata! Come sei buona! (Cercan­do di ridere) Ma è troppo chiedertelo. Non posso star tranquilla. Il minimo rumore mi atterrisce. Non potrai chiudere occhio.

Hazel — Perdere un po' di sonno non mi disturba.

Cristina — Non devo dormire! Promettimi di sve­gliarmi  se m'addormento.

Hazel — Ma ne avete bisogno!

Cristina — Sì... dopo. Ma ora no. Devo rimanere sve­glia. (Con intensa disperazione) Vorrei che Ori e Vinia ritornassero.

Hazel (preoccupata) — Forse Ori starà male, non avrà potuto. Oh! Spero che non sia così! (Riprendendosi) Se devo rimanere qui bisogna che corra un momento a casa a dirlo alla mamma, così non starà in pensiero.

Cristina — Sì, va’. (Atterrita) Non starai molto, vero? Ho paura a star sola!

Hazel (la bacia) — Farò il più presto possibile. (S'al­lontana per il viale, salutandola con la mano.

(Cristina rimane ferma presso la panca, poi ricomincia a cammi­nare avanti e indietro).

Cristina (fra sé, guardando il viale) — Deve aver incontrato qualcuno al cancello. Ma perche ho tanta paura? (Si volta, vinta dal panico, e si precipita verso la casa. Si arresta in cima alla scala e guarda attorno, sostenendosi ad una colonna) Oh, Dio, ho paura di sa­perlo!

(Poco dopo, Ori e Lavinia entrano dal viale a sinistra. Lavinia ha la sua solita andatura, lo sguardo duro e cattivo e le labbra serrate. Ori è in uno stato di grande eccitazione ed ha in mano un giornale).

Ori (a Lavinia, mentre entrano, aspro) — Lascia par­lare a me! Voglio essere io a... (Trasale, scorgendo all'improvviso la madre) Mamma! (Con un tono di ven­dicativa ironia) Ah! Almeno ora stai ad aspettarmi quando torno.

Cristina (balbettando) — Ori! Che vi ha trattenuti?

Ori — Abbiamo visto Hazel, ci ha detto che eri molto spaventata a star qui sola. E' strano: hai per compa­gnia il ricordo del babbo.

Cristina — Siete... siete rimasti tutto questo tempo... dai Bradford?

Ori — Non siamo stati dai Bradford!

Cristina (come inebetita) — Non siete andati... a Blackridge?

Ori — Avevamo preso il treno, ma abbiamo cambiato idea e  siamo andati a Boston.

Cristina   (atterrita) — A  Boston?

Ori — E a Boston abbiamo aspettato il treno della sera. Abbiamo preso quel treno.

Cristina — Ah!

Ori — E c'è venuta l'idea che avresti approfit­tato della nostra gita a Blackridge per prenderlo e c'eri! E ti abbiamo seguita: sei andata a trovare il tuo amante nella sua cabina.

Cristina (sforzandosi di mostrarsi indignata) — Ori! Come osi dire! (A frasi spezzate) Ori! Non mi guar­dare così! Dimmi!

Ori — Il tuo amante! Non mentire! Hai mentito abbastanza, mamma! Io ero in coperta ad ascoltare. Che avresti fatto se mi scoprivi? Avresti spinto il tuo amante ad uccidermi? Ti ho sentita che lo mettevi in guardia contro di me! Ma il tuo avvertimento non è servito !

Cristina — Che?... Parla.

Ori — L'ho ucciso!

Cristina (rompe in grido di terrore) — No! (Strin­gendosi al figlio) No, Ori, tu mi dici questo per pu­nirmi, vero? Hai detto che mi amavi, che mi avresti protetta... protetto tua madre... che non potevi uccidere!

Ori (aspro, respingendola con violenza) — Hai po­tuto uccidere nostro padre, no? (Le mette il giornale in mano, indicando il punto, ove è riportata la notizia) Qui! Leggi qui se non mi credi. L'abbiamo comprato a Boston per vedere che cosa sospetta la polizia. Sono solo poche righe. Brant non era importante. Salvo che per te.

(Cristina guarda il giornale, come impietrita dal­l'orrore. Poi se lo lascia cadere di mano, s'abbatte sul gradino  più  basso  e comincia a lamentarsi,  torcendosi le mani. Ori distoglie la sguardo dalla madre e si mette a passeggiare su e già presso la gradinata. Lavinia ri­mane a sinistra dei gradini, nella sua attitudine con­sueta, col volto impassibile come una maschera).

Ori — Pensano proprio quello che avevamo stabilito che pensassero... che sia stato ucciso dai ladri. Non c'è nulla che ci implichi nella sua morte! (Si ferma presso la madre, che ha lo sguardo perduto nel vuoto e conti­nua a lamentarsi e a torcersi le mani) Mamma! Non lamentarti così. (La madre non dà segno di averlo in­teso. Ori continua a passeggiare, con feroce risentimento) Perché ti affliggi tanto per quel bastardo di una serva? E' stato lui certo a meditare d'uccidere il babbo. Tu non hai potuto farlo. Ti ha tenuto sotto la sua influenza per vendicarsi! Ti ha suggestionata. M'ero accorto che non eri più tu, al mio ritorno, ricordi? Ma chi poteva pen­sare che tu amassi quell'abbietto maiale? (Le si ferma davanti) Ho sentito che progettavi con lui di andare nell'isola, di cui ti avevo parlato, la nostra isola, che era tu ed io. (Riprende a passeggiare. Il lamento di Cristina va affievolendosi. Ori si ferma di nuovo di­nanzi alla madre, la afferra per le spalle, sedendosi sul gradino accanto a lei) Basta mamma... non lamentarti così. Sei ancora sotto la sua influenza! Ma lo dimenti­cherai! Io ti farò dimenticare! Ti farò felice! Lasce­remo Vinia qui e noi partiremo per un lungo viaggio nei mari del Sud.

Lavinia  (aspra) — Ori!

Ori (non raccoglie l'interruzione della sorella e fissa in viso la madre. Cristina non si lamenta più, gli occhi che erano pieni di terrore, perdono a poco a poco ogni espressione. La bocca si contrae in una stereotipata espressione di dolore. Rimane immobile e muta. Ori la scuote, disperatamente) Mamma! non mi senti! Perché non vuoi parlarmi? Lo amerai sempre? Mi odii allora? (Le si butta dinanzi in ginocchio) Mamma rispondimi. Dimmi che mi perdoni!

Lavinia (con amara ironia) — Ori! Ora dopo tutto questo ridiventi il suo piccolo piagnucoloso? (Ori trasale e balza in piedi. La guarda confuso e sorpreso, come se avesse dimenticato la sua esistenza. Lavinia con tono imperativo, che ricorda quello del padre) Lasciala sola! Va dentro! (Siccome egli esita, più aspra) Mi senti? Dentro!

Ori (accenna come un automa ad una specie di saluto militare... vagamente) — Sissignore! (Sale sempre come un automa la gradinata, fissando la casa) Perché le impo­ste son chiuse? Il babbo se n'è andato... lasciamo entrare la luce. (Entra).

(Lavinia, si mette in piedi accanto alla madre. Cristina continua ad avere lo sguardo fisso nel vuoto. Si è trasformata in una tragica maschera di morte. Non dà nessun segno d'accorgersi della presenza della figlia. Lavinia la guarda con una fredda espressione di condanna).

Lavinia — Ha espiato il suo delitto. Sai bene che era un atto di giustizia, l'unico mezzo perché fosse fatta giu­stizia.

(La madre trasale. Queste parole la strappano da quel suo stato di misericordioso torpore e la rimettono di fronte alla realtà del suo dolore. Balza in piedi e ri­mane a fissare la figlia con uno sguardo terribile, in cui un odio selvaggio lotta con l'orrore e con la paura. Nono­stante il freddo dominio di se stessa, Lavinia istintiva­mente si arretra. Fissando sempre la figlia, Cristina retro­cede sui gradini. Arrivata in cima, si ferma fra le due colonne del portico in corrispondenza della porta d'in­gresso).

Lavinia  (ha un moto improvviso, come se volesse trattenerla. Grida a scatti, come se le parole le fossero strappate contro la sua volontà) — Mamma! Che vuoi fare? Puoi vivere!

Cristina (la fissa come se queste parole fossero l'estremo insulto: con stridula ironia) — Vivere!

(Scoppia in un riso acuto, lo smorza d'un tratto. Fa schermo delle mani tra i suoi occhi e la figlia, con un gesto che vuol significare che vuol cancellarla per sempre dalla sua vista. Lavinia accenna di nuovo a seguirla. Ma d'un tratto frena il suo impulso. Volge deliberatamente le spalle alla casa e rimane, rigida ed eretta, come una cupa sentinella in nero).

Lavinia  (implacabilmente, fra sé) — E' la  giustizia.

(Dalla strada giunge la voce di Seth, che canta la sua canzone favorita, di ritorno dalla visita serale alla osteria). «Oh Shenandoah! Come vorrei sentirti Fiume mio rapinoso ! Oh Shenandoah, non posso appressarmiti : Lontano lontano sono diretto Attraverso l'immenso... ».

(Risuona un colpo secco di arma da fuoco dall'interno della casa).

Lavinia (trasale, fa per salire in corsa la scala, ma si ferma e balbetta) — E' la giustizia! E' la tua giustizia, babbo.

(Si sente sbattere una porta. Dopo poco giunge il grido di orrore di Ori dallo studio di Ezra, ove ha trovato il cadavere della madre. Dopo poco esce, slanciandosi come forsennato verso Lavinia).

Ori — Vinia! (Le afferra un braccio e balbetta fuori di se) — La mamma si è uccisa... la pistola del babbo... un medico! (Con angoscia disperata) No. E' tardi... E' morta. (Selvaggio) Perché, perché l'ha fatto, Vinia? (Con rimorso) Io l'ho spinta. L'ho voluta torturare. Non poteva perdonarmi. Perché mi sono vantato d'averlo ucciso? Perché?

Lavinia (atterrita, gli chiude la bocca con la mano) — Taci!

Ori (si libera la bocca dalla mano della sorella, con violenza) — E perché non le ho lasciato credere che era stato ucciso da altri? Non m'avrebbe odiato, allora, lo avrebbe dimenticato! E sarebbe tornata a me! (Disperato) Io l'ho ammazzata.

Lavinia (afferrandolo per le spalle) — Per amor di Dio, vuoi tacere?

Ori (forsennato, cercando di svincolarsi) — Lasciami! Devo trovarla ! Devo ottenere il suo perdono! Io! (Rompe in un pianto dirotto e disperato. Lavinia lo abbraccia, cer­cando di calmarlo) Ma è morta; è andata via e come potrò fare perché mi perdoni, ora?

Lavinia — Taci!  Hai me, no?  Ti amo. Ti aiuterò a dimenticare.

(Ori entra in casa, singhiozzando disperata­mente. Da sinistra giunge vicina la voce di Seth)

« Ed ella è lontana, al di là dell'acqua tempestosa

lontano  - lontano  io  sono  diretto ».

Lavinia (si volta all'entrata di Seth).

Seth — Dì, Vinia, hai inteso un colpo?

Lavinia — Corri dal dottor Blake. Digli che la mamma si è uccisa in un impeto di dolore per la morte di nostro padre.

(Siccome Seth è rimasto a fissarla muto e sorpreso, pur mantenendo il volto impassibile, il tono di Lavinia si fa più perentorio)

Ti ricorderai di dirgli così?

Seth (lentamente) — Già, gli dirò tutto quello che vuoi.

(Esce dalla destra. Lavinia, rigida ed eretta, col viso duro e simile ad una maschera, segue in casa il fratello).

FINE DELLA SECONDA PARTE


PARTE  TERZA


AZIONE IN QUATTRO ATTI E CINQUE QUADRI

PERSONAGGI

ORI MANNON

LAVINIA, sua sorella

PIETRO NILES

HAZEL, sua sorella

SETH

AMES

MACKEL

SILVA

SMALL


PRIMO ATTO

QUADRO PRIMO

L'esterno della casa dei Mannon in una limpida sera di estate, un anno dopo. Il sole è appena tramontato; ma il crepuscolo bagna il portico del candido tempio in una luce rossa. Le colonne proiettano sbarre d'ombra sul muro retrostante. Tutte le imposte sono chiuse e la porta d'in­gresso è inchiodata. S'avverte così che la casa è disabitata.

(Un gruppo di cinque uomini è fermo presso la panca e cioè: Seth Beckwith, Ames, Small, Silva e Mackel. Que­sti ultimi quattro sono come i cittadini del primo atto del « Ritorno » e dell' « Agguato »: un coro, che rappresenta la città come uno sfondo umano al dramma dei Mannon.

Small è un vecchietto segaligno di 65 anni, commesso in un negozio d'utensili di metallo. Ha capelli bianchi, una barbetta da capra, occhi lucenti e scrutatori, colorito ac­ceso, e una vocetta aspra e acuta. Silva, di nazionalità portoghese, è un capitano di barche da pesca: grasso, ru­moroso e con una cupa voce di basso. Ha folti capelli grigi e baffi grigiastri ed è sui 60 anni. Mackel, di profes-sione fattore, zoppica e cammina appoggiandosi ad un bastone. Il suo viso rugoso e oblungo, termina con una barba bianca e quadrata. E' calvo. Ha occhi astuti d'un color marrone scuro. Parla in una maniera strascicata e asmatica. Sono tutti e cinque ubriachi. Seth ha in mano un boccale. Tutti e cinque sembrano dei ragazzi, intenti a compiere qualche cosa di proibito).

Small — Dio onnipotente, Seth, ti sei incollato a quel boccale?

Mackel — Dio lo benedica, con gli anni diventa sempre più avaro.

Silva (canta) —

« Una bottiglia di birra e una bottiglia di gin.

E una bottiglia di wisky irlandese, oh!

La mattina presto.

Al marinaio piace la una bottiglia, oh! ».

Ames (ridendo) — Ti piace bere, quando la tua vecchia non ti sta con gli occhi addosso.

Silva — E' andata dai sUoi a Nuova Bedford. Che dia­volo me ne importa! (Cantando) Hurrah! Hurrah! Hur­rah! Canto il giubileo! Hurrah! Hurrah! I suoi m'hanno dato la libertà!

Ames (battendogli sulla spalla) — Che Dio ti male­dica, Joe, sta a vedere che diventi anche poeta!

(Tutti ridono).

Small — Seth, non hai un pizzico di cuore? Mi vedi morire senza wisky e te ne stai attaccato al boccale. (Cerca di prenderglielo).

Seth — No, tu no. Ho capito il trucco. (Con un'occhiata agli altri) Cerca di ingollare tanto coraggio, da non far caso se uno spirito gli salta sulle ginocchia. Bel furbo, sei, Small. Bevi il mio wisky, e poi mi soffi la scom­messa.

Mackel — E' così. Seth! Bada che non ti faccia questo scherzo !

Silva — Perdio, se gli spettri somigliano ai vivi, mi pia­cerebbe che lo spettro della moglie di Ezra mi sedesse sulle ginocchia. (Schiocca le labbra con una espressione lasciva).

Ames — Anch'io! Che donna era!

Small (guardando sconcertato la casa) — E' il suo fan­tasma, dicono, che frequenta la casa, vero?

Seth (ammiccando agli altri) — Il suo e quello di tanti altri. Il cimitero è stracarico di Mannon ed essi passano le loro notti a ronzare qui intorno. Non ci pensare, Abner, ne avrai della compagnia.

(Gli altri ridono con un'allegria alquanto forzata; ma Small sembra piuttosto preoccupato).

Small — Non è nei patti mettermi di queste idee in testa prima che entri, no? (Cercando di assumere una aria coraggiosa) Credi di mettermi paura? Non esistono gli spiriti.

Seth — La paura l'avrai a provarlo. Stabiliamo per bene i patti della scommessa davanti a testimoni. Ti fac­cio entrare nella casa dei Mannon e scommetto dieci dollari e un litro di wisky che non avrai il coraggio di rimanerci fino stasera alle dieci. Se esci prima, perdi. E devi stare al buio, senza accendere nemmeno un fiammi­fero. D'accordo?

Small (cercando d'assumere un'aria coraggiosa) — D'ac­cordo, ma è come se ti rubassi dieci dollari.

Seth — Staremo a vedere. (Con una smorfia) E dovresti entrarci senza aver bevuto troppo. Non sono così duro di cuore. Non vorrei andarci io nemmeno con un litro in pancia. (Porgendogli il boccale) Su! Una bella bevuta! Mi sembri però già palliduccio!

Small — Finiscila! (Tuttavia porta il boccale alle lab­bra e ne beve un enorme sorso).

Ames — Accidenti, non berrai per tutti.

(Small gli passa il boccale, beve, lo passa in giro, finché non torna a Seth).

Small (intanto a Seth) — Fa lo stesso se entro prima che faccia scuro? Vorrei almeno sapere dove sto fin che posso vederci.

Seth — Beh, penso di sì. Non vorrei che tu urtassi nei mobili e rompessi qualcosa quando gli spettri ti daranno la caccia. Vinia e Ori possono tornare dalla Cina tra non molto, se Vinia trova qualcosa rotto mi aggiusta lei.

(Il boccale, dopo aver fatto il giro di tutti, arriva a Seth, che, dopo aver bevuto, lo posa a terra)

Andiamo! Ho schiodato la porta. Ti porto subito dentro.

(Va verso la porta, seguito da Small, che fischietta con forzata indif­ferenza).

Small  Arrivederci! Ci piglieremo una buona sbornia con quei dieci dollari!

Silva — Chi lo sa? Abner, mi vuoi come portatore della tua bara?

Ames — Ed io conforterò la tua vecchia, supposto che abbia bisogno di conforto, cosa improbabile.

Silva — E io innaffierò la tua tomba tutte le domeniche, dopo la messa. Sono fatto così... non dimentico gli amici, che se ne sono andati.

(Intanto Seth e Small hanno rag­giunto la porta. Seth apre).

Seth — Entriamo, ti mostrerò il posto più carino per recitare le tue preghiere. Andremo dentro tutti, Joe. Se non è ancora morto perdio, lo seppelliremo là dentro.

(Risa. Small guarda torvo, come fosse insensibile allo scherzo che non lo tocca; il cielo diviene più scuro).

Small — All'inferno, con voi!

(Seth entra dalla porta inchiodata e apre la porta interna. Entrano. Il gruppo rimasto fuori diventa serio).

Ames (esprimendo l'opinione di tutti) — Beh, tuttavia non vorrei essere nei panni di Abner.

Mackel — Credi agli spiriti, Ames?

Ames — Forse. Chi dice che non vi sono?

Mackel — Beh, io ci credo. Guardate la casa di Nim. Asa Nim aveva ucciso la moglie a colpi di accetta - lo torturava sempre - poi si impiccò nel solaio. Conosco Ben Willet, che comprò la casa; non poté viverci; dovette sloggiare. Ora è caduto in rovina. Ben sentiva sempre raspare alla parete e vedeva muoversi le sedie. Non era né un bugiardo, né un coniglio.

Silva — Ci sono gli spiriti, perdio! Mio cugino Emanuele ne ha visto uno! Nell'Oceano, su una baleniera, un marinaio fu accoltellato e gettato in mare. Dopo le notti di luna lo vedevano su un pennone e lo sentivano lamentarsi. Sì, signore, mio cugino Emanuele non è un bugiardo, salvo quando ha bevuto, e lo ha visto con i suoi occhi!

Ames (con un'occhiata inquieta va a prendere il boc­cale) — Su, via beviamo un sorso. (Ne beve un gran sorso, nel momento in cui Seth esce dalla casa, chiudendosi la porta alle spalle).

Mackel — Ecco Seth. Non ha voglia di restarci troppo, mi pare!

(Seth, pur correndo loro incontro, cerca di mo­strare di non essere spinto a ciò dalla paura).

Seth (con una nota sforzata nel suo fare scherzoso) — Gran Dio, dovrete vedere Abner! Trasale dinanzi alle fe­dere dei mobili e gli battono già i denti. Tra poco cor­rerà fuori. Quello che vorrei sapere è se ha i dieci dollari.

Mackel (malizioso) — Sembri anche tu un po' agitato.

Seth (in collera) — Sei un bugiardo! Ma perché guar­date attorno come tante civette?

Mackel — Parlavamo di spiriti. In coscienza, Seth, credi davvero che nella casa ci siano gli spiriti oppure è solo per prenderti gioco di Abner?

Seth (aspro) — Non fare lo stupido, lo sto prendendo in giro, naturalmente.

Mackel (insistente) — Sarebbe più che naturale se ci fossero. Lei si è ammazzata. Credete che lo abbia fatto per il dolore della morte del marito, come sua figlia ha detto a tutti?

Seth — Certo.

Mackel — E poi Ezra che muore proprio la sera del suo ritorno è maledettamente strano!

Seth (con ira) — E' maledettamente strano che dei vecchi rimbecilliti come te, con il piede nella fossa, non pensino ai loro affari nel poco tempo che hanno. Questo è strano!

Mackel (a sua volta irato) — Ebbene, ti dirò che se non fossero stati i Mannon, ai quali tutta la città lecca le scarpe, ci sarebbero state delle belle sorprese. Se io poi sono un vecchio rimbecillito, tu sei più vecchio e più rimbecillito di me! E il tuo piede è dentro la fossa più del mio!

Seth (col pugno teso sul viso di Mackel) — Non più del tuo!

Silva (intervenendo) — Via, vecchi galli! Non è per­messo  azzuffarsi!

Mackel (calmandosi) — E' un paese libero o no? Ho il diritto delle mie opinioni!

Ames (guardando in basso a sinistra) — Zitti! Seth, viene gente dal viale.

Seth (guardando in quella direzione) — Chi diavolo? Ah! Sì. Sono Pietro e Hazel. Nascondete quel boccale, dannazione! (Nasconde il boccale sotto i lillà. Dopo poco entrano Pietro e Hazel, che si Fermano sorpresi vedendo Seth e i suoi amici) Buona sera. Stavo mostrando a questi amici...

Pietro — Ah! Seth! Proprio te cercavamo. Abbiamo ricevuto adesso un telegramma. Vinia e Ori sono sbarcati a Nuova York...

(E' interrotto da un mal represso urlo di terrore proveniente dalla casa. Tutti si voltano a guar­dare. Ad un tratto si spalanca la porta d'ingresso e ne esce di corsa Small, che si precipita per i gradini del portico, con la faccia bianca e con gli occhi stralunati).

Small (appena è vicino al gruppo, atterrito) — Buon Dio, me li sono sentiti venire dietro e sono corso nella stanza di fronte e ho visto lo spettro di Ezra, vestito da giudice, passare attraverso alla parete e, perdio (tira un biglietto di banca dalla tasca e lo porge a Seth) ecco il tuo maledetto denaro! Non starei là dentro neanche per un milione!

(Questa dichiarazione allenta la tensione e i vecchi si abbandonano a scoppi di risa rumorosi, ad una allegrezza da ubriachi e si danno scambievolmente dei pugni nella schiena).

Pietro (duro) — Che significa questo? Che faceva là dentro?

Seth (trattenendo il riso, confuso) — Oh! Un semplice scherzo, Pietro. (Volgendosi a Small con disprezzo) Era il ritratto di Ezra appeso alla parete, non uno spettro, maledetto idiota!

Small (indignato) — So riconoscere un ritratto quando lo vedo. L'ho riconosciuto! Era lui! Andiamocene! Ne ho abbastanza di questo luogo maledetto.

Seth — Vattene. Vi raggiungerò fra poco.

(Escono dalla sinistra, dopo aver borbottato buona notte a Pietro e ad Hazel. Si sente sempre più fievole, man mano che si allon­tana, la voce eccitata di Small, che ricama sugli orrori della sua avventura).

Seth — (si volge a Pietro con tono di scusa) Abner Small si vanta sempre del suo coraggio, così ho scommesso con lui che non avrebbe osato rimanere là dentro.

Hazel (indignata) — Seth! Che direbbe Vinia se sa­pesse che fate di queste cose?

Seth — Non si è fatto niente. Avevo previsto che Ab­ner non avrebbe rotto nulla. E a Vinia non importerà quando saprà perche l'ho fatto. Avevo l'intenzione di far smettere lechiacchiere che corrono in città che nella casa ci sono gli spiriti. Non ne avete sentito parlare anche voi?

Pietro — Ho sentito delle stupide storie, ma non ci ho badato.

Seth — La voce è stata messa in giro da quell'idiota di donna, che avevo preso per la pulizia, un mese dopo la partenza di Ori e di Vinia. Diceva che aveva visto girare gli spiriti, sapete come crescono queste cose. Mi è parso allora che le vanterie di Abner mi davano una buona occasione di troncare la cosa buttandola in uno scherzo: la gente avrebbe riso. Così quando domani me ne andrò in giro a raccontare la storia vedrete che la gente non parlerà più o almeno non piglierà più la cosa sul serio.

Pietro (approvando) — E' giusto, Seth. Che sciocchezze. Niente di meglio di uno scherzo per far sparire gli spiriti.

Seth — Già. Ma... (Esita, poi si decide a parlare) Fra voi e me, non sono uno scherzo come sembra, gli spiriti voglio dire.

Pietro (incredulo) — Non verrai certo a dirmi che anche tu credi che la casa sia stregata.

Seth (cupo) — Forse sì e forse no. Quello che so è che non ci starei dentro una notte, neanche se mi regalaste tutta la città!

Hazel (impressionata, ma con un falso tono di rimpro­vero) — Seth, mi meraviglio di te!

Pietro — E' la prima volta che ti sento dire che hai paura di qualcosa!

Seth — Ci sono momenti in cui si è stupidi a non aver paura. Non pensate che io creda agli spiriti che vanno in giro colle lenzuola addosso e a simili fandonie. Ma lì dentro c'è come uno spirito diabolico. E ho avvertito, entrando a dare un'occhiata di giorno, come qualche cosa di marcio nei mari!

Pietro — Sciocchezze!

Seth (con calma) — Non sono sciocchezze. Pietro! C'è stato il male in questa casa fin da quando è stata costruita con l'odio, ed è sempre continuato a crescere come lo dimostra quello che è accaduto. Voi capite bene che queste cose non le dico che a voi. E lo dico a voi per una ragione: perché siete più vicini di ogni altro a Vinia e a Ori, e dovreste convincerli, ora che tornano, a non viverci dentro. (Aggiunge, con intenzione) Per il loro bene! (Cambiando tono) Ed ora che mi son liberato da questo peso, ditemi: quando ritornano?

Pietro — Domani. Vinia ci ha pregati di aprire la casa. Così entriamo subito.

Seth (con manifesta riluttanza) — Volete farlo stasera?

Hazel — Bisogna, Seth. C'è così poco tempo. Possiamo almeno mettere le stanze un po' in ordine e togliere le federe dai mobili.

Seth — Beh. Vado a prendere due fanali. In casa, ci sono delle candele.  (Esce dalla sinistra).

Hazel (seguendolo con lo sguardo inquieto) — Non rie­sco a rendermi conto del modo di fare così strano di Seth.

Pietro — Non ci badare. E' il rum e la vecchiaia.

Hazel (scuotendo il capo, lentamente) — No. C'è qual­cosa di strano in questa casa. L'ho sempre sentito anche prima della morte del generale e del suicidio di lei. (Con un brivido) La vedo ancora seduta su quella panca, come l'ultima sera. Era così atterrita di star sola. Ma, pensai, quando tornano Ori e Vinia, starà bene. (Triste) Povero Ori! Non dimenticherò mai il suo viso quando lo vedemmo ai funerali. Lo riconobbi appena.

Pietro — Già. Doveva essere affranto.

Hazel — E il suo modo di fare... come trasognato. Non credo che quando Vinia lo ha trascinato in questo viaggio in Oriente, sapesse cosa stava facendo e dove andava.

Pietro — Un viaggio lungo come questo era la cosa migliore per aiutarli a dimenticare.

Hazel (senza convinzione) — Sì. Ma... (S'arresta e so­spira). Chi sa come sta Ori. Le lettere di Vinia non hanno detto molto di lui, né di lei, a questo riguardo.

(Seth compare dalla sinistra con due fanali accesi e fischiando forte) Ecco Seth!

(Hazel sale i gradini del portico, se­guita da Pietro. Rimane a guardare esitante la casa... a bassa voce, con paura)

Seth ha ragione. C'è un freddo che ti afferra, nel momento in cui ci si mette piede.

Pietro — Oh! Che sciocchezza! Sentilo come fischia per farsi coraggio!

Seth  (porgendo un fanale a Pietro), — Eccovi, Pietro.

Hazel — Allora, entriamo. E' meglio che tu venga prima in cucina ad aiutarmi. Bisognerà accendere il fuoco.

(Entrano. Una pausa, durante la quale si sente Pietro, che apre le vetrate dietro le imposte delle stanze a pianter­reno. Un'altra pausa. Lavinia entra dal viale. Rimane a guardare la casa. Si avverte subito la straordinaria tra­sformazione avvenuta in lei. Il suo corpo, prima così gra­cile e così poco sviluppato, si è ora coperto di carne. Le sue movenze, hanno perduto ogni rigidezza. Rassomiglia ora in modo sorprendente alla madre; tanto più che è vestita di verde - colore che la madre prediligeva. Va verso il cespuglio  dei lillà  e da lì rimane a fissare la casa).

Lavinia (si volta e chiama con lo stesso tono, con età si chiama un bambino) — Non ti fermare, Ori! Di che hai paura? Avanti.

(Ori entra dalla sinistra, piano ed esitante. Ha un'andatura impettita da militare. I suoi mo­vimenti e la sua attitudine hanno quella certa qualità statuaria, che era così marcata nel padre. Porta ora, oltre i baffi, anche la barba e ciò accentua la somiglianza con il padre. La peculiarità dei Mannon - cioè la somiglianza dei loro volti in riposo ad una maschera - si è in lui più che mai accentuata. E' straordinariamente dimagrito e il vestito nero pare che gli caschi d'addosso, tanto gli va largo. Il viso ha un'espressione assente e senza vita).

Lavinia (lo fissa sconcertata, nascondendo la sua ap­prensione sotto un tono di materno rimprovero) — Devi essere bravo. Questa è la prova! E' necessario che l'af­fronti! (Con ansia, di fronte al silenzio del fratello)  Senti che potrai? Ora che ci siamo?

Ori (monotono) — Lo farò:  con te.

Lavinia (carezzandogli la mano, come per incorag­giarlo) — E' quello che volevo, sentirti dir questo. (Vol­gendosi verso la casa) Guarda, vedo della luce attraverso le imposte. Devono essere Hazel e Pietro. (Vedendo che egli mantiene sempre gli occhi distolti dalla casa) Ma perché non guardi la casa? Hai paura? (Autoritaria) Ori! Voglio che la guardi! Mi senti?

Ori — Sì, Vinia. (Gira la testa, fissa la casa ed emette un profondo sospiro di paura).

Lavinia (fissandolo, come se volesse trasfondergli la sua forza) — Ebbene? Non vedi nessun spettro, vero? Dimmi.

Ori (obbediente) — No!

Lavinia  Perché non ce ne sono! Dimmi che non cene sono, Ori.

Ori (docile) — Sì.

Lavinia (lo scruta preoccupata) — Vieni entriamo!

(Gli prende un braccio e lo guida per le scale. Ori cammina come un automa. Quando raggiungono il posto, ove la madre era seduta a piangere, l'ultima volta che egli l'ha vista ancora in vita, si ferma trasalendo).

Ori (balbetta indicando il posto) — E' stato qui... che lei... l'ultima volta che l'ho vista viva.

Lavinia (sollecitandolo, con tono di comando) — Tutto questo è passato e finito. I morti ci hanno dimenticato! Noi abbiamo dimenticato loro. Vieni!

                  (Egli obbedisce. Gli fa salire l'ultimo gradino ed entrano in casa).

QUADRO SECONDO

Il salotto dei Mannon, come nel secondo atto de « L'agguato ». Pietro ha acceso due candele sulla mensola del caminetto e posto i due fanali sulla tavola. Nella luce debole e tremula, la stanza è piena d'ombra. Ha l'aspetto morto d'un ambiente rimasto lungamente chiuso. I mobili ricoperti hanno un'apparenza spettrale. Nella tremula luce delle candele gli occhi dei ritratti dei Mannon sembrano cupi e ostili.

(Lavinia entra dalla porta in fondo. Nella stanza illu­minata si avverte ancora più la trasformazione avvenuta in lei. A  prima vista, la si potrebbe scambiare con la madre, come è apparsa nel primo atto del «Ritorno ». Ha l'aspetto d'una donna matura, conscia della sua attrattiva. Ha pettinato i suoi capelli oro scuro nella stessa foggia della madre. Il suo abito verde è una copia di quello indossato dalla madre nel primo atto del « Ritorno ». Si avanza piano. Le sue movenze hanno la stessa grazia femminea di quelle materne. Il suo sguardo è attratto degli occhi dei ritratti dei Mannon e si avvicina, come spinta a suo malgrado, sino ad arrestarsi sotto di essi, di fronte al camino. Si rivolge loro con voce aspra e ri­sentita).

Lavinia — Perché mi guardate così? Ho compiuto il mio dovere con voi. (Distoglie lo sguardo dai ritratti e si accorge che Ori non l'ha seguita. Impaurita e preoc­cupata corre alla porta e chiama) Ori!

Ori (dal vestibolo) — Eccomi.

Lavinia  Che fai lì fuori? Vieni!

(Ori appare sulla soglia. Ha il viso sconvolto e gli occhi smarriti. Corre verso la sorella, come per cercare protezione. Lavinia gli chiede ansiosa e impaurita)

Ori!  Che c'è?

Ori (con tono strano) — Sono stato nello studio. Ero sicuro che lei stesse ad aspettarmi là, dove... (Disperato) Ma non c'era! Non è in nessun luogo. Ci sono soltanto loro. (Accenna ai ritratti). Sono dappertutto!  Ma lei se ne è andata per sempre... non mi perdonerà più ora.

Lavinia (aspra) — Ori! Vuoi tacere?

Ori  (senza badarle, preso ad un tratto da rancore e sfida) — Bene, se ne vada! Che cos'è per me? Non sono più suo figlio! Sono figlio di mio padre! Sono un Man­non! Ed essi mi daranno il benvenuto!

Lavinia (perentoria ed irata) — Smettila, mi senti? Ori (richiamato alla realtà dal tono di Lavinia, umile e mortificato) — Io... non... non andare in collera, Vinia!

Lavinia   (calmandolo)  — Non vado  in  collera,  caro, soltanto,   dominati  e  fatti   coraggio.   (Accompagnandolo verso il divano) Qui, vieni, sediamoci un momento, vuoi? Abituiamoci alla nostra casa. (Seggono. Lo cinge con un braccio,  con  tono  di  rimprovero)  Ma  non  sai  quanta paura mi fai quando  sei così strano?  Non vuoi farmi soffrire, è vero?

Ori (profondamente commosso) — Lo sa Iddio che non lo voglio, Vinia! Tu sei tutto ciò che ho al mondo! (Le prende la mano e gliela bacia umilmente).

Lavinia (dolce e persuasiva) — Ora sì che sei bravo. (Con tono giocondo) Hazel e Pietro devono essere in cucina. Non hai piacere di rivedere Hazel?

Ori — Non hai fatto che parlare di loro durante tutta la traversata di ritorno. Perché? Cosa hanno più con noi ora?

Lavinia — Molto! Dobbiamo tornare alle cose semplici e normali e cominciare una nuova vita. La loro amicizia e il loro amore ci aiuteranno più di qualsiasi cosa a dimenticare.

Ori (con asprezza improvvisa) — A dimenticare? Cre­devo che avessi già dimenticato da tanto... seppure hai mai ricordato... e ne  dubito.  (Con cupa amarezza) L'a­more! Ma che diritto ho io - o tu - all'amore?

Lavinia (con tono di sfida) — Ogni diritto.

Ori — La mamma la pensava così. (La fissa in modo strano e intenso) Vinia, non puoi immaginare come sei diventata simile alla mamma. Non voglio dire soltanto di come sei diventata bella.

Lavinia (con una timida e strana curiosità) — Credi davvero che sia diventata bella come era lei, Ori?

Ori (senza badare all'interruzione) — Voglio dire il cambiamento della tua anima. L'ho notato da quando siamo partiti per l'Oriente. A poco a poco sei diventata come l'anima della mamma: come se tu gliela rubassi a poco a poco... come se la sua morte ti avesse liberata... per diventar lei!

Lavinia (inquieta) — Non ricominciare a dire assur­dità.

Ori — Allora, tu non credi più alle anime? Penso che lo farai quando avremo vissuto per un poco in questa casa! Tutti i morti Mannon ti convertiranno! (Indica i ritratti con tono di scherno) Chiedi loro se non ho ragione!

Lavinia — Ori! Che ti è accaduto? Non hai più avuto nessuna di quelle allucinazioni da quando abbiamo la­sciato le isole. Mi hai giurato che te n'eri liberato, se no non t'avrei permesso di ritornare.

Ori (con un'aria strana e maliziosa) — Dovevo allon­tanarti da quell'isola. Dovere fraterno!  Se fossi rimasta ancora...  (Ride in maniera sgradevolmente significativa).

Lavinia   (alquanto   confusa)   —  Non capisco di che vuoi parlare. Ci sono venuta solo per il tuo bene.

Ori (ridendo come prima) — Sì, ma dopo...

Lavinia (recisa) — M'hai promesso che non avresti più detto delle stramberie. Ricordati quello che ho attra­versato per causa tua. Per mesi, dopo la nostra partenza, non sapevi che cosa facevi. Dovevo vivere con la continua paura di quello che avresti potuto dire. Non vorrei riat­traversare  quei  giorni  orribili  per  nulla  al  mondo. E ricordati che questo ritorno  l'hai voluto tu. Mi dicesti che se potevi tornare a casa e affrontare i tuoi spettri, sapevi di poterti completamente liberare dei tuoi stupidi rimorsi sul passato.

Ori — Lo so Vinia.

Lavinia — E t'ho creduto, sembravi così sicuro di te. Ma adesso diventi di nuovo strano. Mi fai paura. Tutto dipende da come cominci ora che siamo a casa. (Recisa ed energica) Ascoltami, Ori! Voglio che cominci di nuovo affrontando ora stesso tutti i tuoi spettri! (Egli si volge e rimane tutto il resto del dialogo con gli occhi fissi in quelli della sorella, che domanda severa) Chi ha ucciso il babbo?

Ori (esitante) — Brant, per vendetta... perché?

Lavinia (più severa) — Chi ha ucciso il babbo? Ri­spondi!

Ori (con un brivido) — La mamma era sotto l'influenza di Brant.

Lavinia — Non è vero! Lui era sotto la sua influenza! La verità la sai!

Ori — Sì.

Lavinia — Lei è stata un'adultera ed un'assassina: non è vero?

Ori — Sì.

Lavinia — Se avessimo compiuto il nostro dovere se­condo la legge, sarebbe stata impiccata: non è così?

Ori — Sì.

Lavinia — Invece, l'abbiamo protetta. Avrebbe potuto vivere, no? Ma ha preferito uccidersi per espiare il suo delitto, di sua piena volontà! E' stato un atto di giu­stizia! Tu non c'entri! Lo capisci, o no? (Siccome egli esita, tremando violentemente, ella lo scuote per un brac­cio) Parla!

Ori (con voce appena percettibile) — Sì.

Lavinia — E la tua idea di essere responsabile della sua morte non era che la tua fantasia malata! Non l'hai più ora. Non l'avrai mai più.

Ori — No.

Lavinia (grata e debole, perché la forza che ha trasfuso in lui l'ha esaurita) — Ecco vedi? Quando vuoi puoi farlo. (Lo bacia. Ori le si abbandona sul petto, piangendo. Ella lo calma) Su! Dovresti essere orgoglioso. Hai dimo­strato che d'ora innanzi puoi ridertene dei tuoi spettri. Vieni ora. Aiutami a togliere le fodere dai mobili. Co­minciamo a renderci utili anche noi. (Esegue).

(Per un poco egli l'aiuta, poi va verso una finestra, apre un'imposta e rimane a guardare fuori. Dalla porta in fondo entra Pie­tro. Alla vista di Lavinia si ferma trasalendo e crede per un attimo che sia lo spettro della signora Mannon. Dà un'esclamazione di paura. In quel momento Lavinia lo scorge e lo fissa con una strana e ardente espressione di possesso).

Lavinia (dolce) — Pietro! (Gli va incontro con lo stesso sorriso, che avrebbe avuto la madre) Non mi riconosci più, Pietro?

Pietro — Vinia! Ho pensato che tu fossi... non posso pensare che sei tu. Sei diventata così somigliante a tua... (Cercando di correggersi) Voglio dire... sei così cambiata e poi non vi aspettavamo fino... (Le prende la mano e la guarda stupito).

Lavinia — Già. Avevamo intenzione di pernottare a Nuova York, ma poi abbiamo deciso di tornare a casa subito. Lasciati guardare, Pietro. Non ti sei cambiato. Grazie a Dio! Per tutto il viaggio ho pensato a te e ho immaginato... avevo tanta paura di trovarti cambiato.

Pietro (ricorrendo a tutto il suo coraggio) — Tu do­vresti sapete che non cambierei mai... con te! (Impaurito dalla sua audacia, volge gli occhi altrove).

Lavinia (provocante) — Ma non mi hai ancora detto che sei contento  di rivedermi.

Pietro (la fissa affascinato. Un'ondata di desiderio e di amore ha ragione della sua timidezza) — Io, lo sai quanto io... (Volge di nuovo il capo confuso e cerca di vincere ti proprio imbarazzo, accavallando frasi su frasi) Avresti dovuto avvertirmi prima del vostro ritorno. Abbiamo appena avuto il tempo di aprire la casa. Ero in cucina con Hazel ad accendere il fuoco.

Lavinia (sorridendo) —Sì. Sei sempre il vecchio Pietro d'una volta! Hai sempre paura di me! Ma adesso, non più. Lo so che una volta ero un vecchio eorribile ba-stone, ma...

Pietro — Diamine, sei così maledettamente bella; certo il viaggio ti ha fatto bene. (Fissandola, ancora come se la volesse bere con gli occhi) Non credo ai miei occhi nel vederti. Una volta vestivi sempre di nero.

Lavinia (con uno strano sorriso) — Ero morta, allora.

Pietro — Dovresti sempre vestirti così.

Lavinia (compiaciuta) — Pensi?

Pietro — Sì. Ti si addice molto. Ma... (Imbarazzato, cambia argomento) Ma dov'è Ori?

Lavinia (guardando attorno) — Come? Era qui! (Lo vede accanto alla finestra) Ori, che stai facendo? C'è Pie­tro.

(Ori richiude l'imposta e si allontana dalla finestra. Si avanza verso i due con gli occhi smarriti, come preso da una strana preoccupazione e come se non s'accorgesse della loro presenza. Lavinia lo guarda perplessa, con tono aspro)

Non vedi Pietro? Perché non gli parli? Sii un poco più gentile.

Pietro (conciliante) — Ciao Ori. Sono molto felice di rivederti.

(Si stringono la mano. Pietro dissimula con difficoltà la sua penosa sorpresa di fronte all'aspetto ma­laticcio di Ori).

Ori (cerca di sollevarsi, con un sorriso forzato e cer­cando di riprendere il tono amichevole d'una volta) — Ciao, Pietro! Tu sai che sono felice di rivederti, senza tante cerimonie. Vinia è sempre la solita bambina, ri­cordi? Che ha la mania d'insegnarmi le buone maniere.

Pietro — Diamine, se ricordo. Ma di', non è cambiata? Non la riconoscevo tanto è ingrassata. Le stavo dicendo che sta tanto bene vestita a colore. Non ti pare?

Ori (malizioso e sarcastico) —Le hai chiesto perché ha rubato il colore della mamma? Non so capire il perché, e credo che neanche lei lo sappia. Ma sarà un motivo ben strano, quando sarò riuscito a scoprirlo, ne sono sicuro.

Lavinia (fa segno a Pietro di non far caso alle parole del fratello con un sorriso forzato) — Non gli badare, Pietro.

Ori (con tono sarcastico, insinuante e tendenzioso) — Ed è diventata romantica. Pensa. Influenza del « cupo e profondo azzurro oceano » e delle isole, non è vero. Vinia?

Pietro (sorpreso) — Vi siete fermati alle isole?

Ori — Sì. Approfittando del fatto che viaggiavamo su una  nostra  nave abbiamo  fatto  fermare là  il  capitano, sulla via  del ritorno. Ci  siamo rimasti un  mese.  (Con amaro risentimento) Ma alla fine si scoprì che erano le isole di Vinia e non le mie. Mi sono soltanto ammalato, e le donne nude mi disgustavano. Temo di essere troppo un Mannon, dopo tutto, per trasformarmi in un pagano! Ma avresti dovuto vedere Vinia con gli uomini.

Lavinia (indignata) — Come puoi!

Ori (sarcastico) — Piacenti e romantici erano, no, Vinia? Con stracci colorati alla cintola e con fiori pian­tati sugli orecchi! Oh, da principio era un po' scanda­lizzata dalle loro danze, ma poi ha finito con innamorarsi degli isolani. Se ci fossimo rimasti un altro mese, sono certo che una notte di luna l'avrei trovata a danzare sotto le palme, nuda come gli altri.

Lavinia  — Ori!  Non essere  disgustoso. Ori (indicando sarcastico i ritratti) — Immagina, se ti riesce, i sentimenti dei morti Mannon timorati di Dio, a quello spettacolo!

Lavinia (guarda ansiosa Pietro) — Come puoi imma­ginare tante disgustose fandonie?

Ori (ammiccando maliziosamente) — Oh! Non ero così cieco come sembravo. Ti ricordi di Avahanni?

Lavinia (incollerita) — Smettila di dire sciocchezze! (Egli si arrende. Lavinia con un sorriso forzato e con tono materno) Sei un cattivo ragazzo. Che penserà Pietro? Lo so che vuoi solo farmi inquietare ma non devi conti­nuare così, non è gentile. (Cambiando all'improvviso argomento) Perché non vai a trovare Hazel? Vieni, la­sciati guardare. Voglio che tu sia bello quando ti vede. (Con fare materno gli mette in ordine la camicia e la cra­vatta. Ori la lascia fare, rimanendo immobile nella posi­zione di attenti) Ma non startene così impalato! E come saresti più carino se ti tagliassi questa stupida barba e non ti muovessi come un soldatino di piombo!

Ori (con tono significativo) — E non somigliassi troppo a nostro padre, eh? Ma ad un romantico capitano di velieri non è così? (Siccome la sorella lo guarda atterrita, egli ride in una maniera sarcastica e cattiva) Non ti spa­ventare così, Vinia!

Lavinia (dà un'occhiata apprensiva a Pietro; poi con tono di scusa e di ammonimento) — Ricordati che non devi più dire sciocchezze! (Dando un ultimo tocco per mettergli in ordine il vestito) Ecco! Ed ora corri da Hazel!

Ori (guardando sospettoso Pietro e la sorella) — Mi pare che abbiate una voglia maledetta di liberarvi di me. (Si volta ed esce rigido e solenne, nascondendo la sua dignità ferita. Lavinia si volge a Pietro con una espres­sione di stanchezza e di paura).

Pietro (meravigliato e urtato) — Che gli è successo?

Lavinia — Sempre lo stesso: gli effetti della ferita, e poi la morte  di nostro padre, e il colpo del suicidio della mamma.

Pietro (la cinge con un braccio, confortandola) — Tutto si aggiusterà! Non ti preoccupare, Vinia!

Lavinia (stringendosi a lui, grata) — Grazie, Pietro. Sei così buono! (Guardandolo negli occhi) Mi ami ancora, Pietro?

Pietro — Non c'è bisogno di chiederlo. Ma pensi che - tu forse - puoi amarmi?

Lavinia — Sì.

Pietro — Lo dici davvero?

Lavinia — Sì, ti amo! E ho tanto pensato a te. Tutto mi faceva ricordare di te, la nave e il mare, tutto quello che era sincero e puro! E anche gli abitanti delle isole mi facevano ricordare di te. Erano così semplici e belli. (In fretta) Non devi badare a quello che Ori ha detto delle isole. E' diventato un perfetto Mannon bigotto.

Pietro (stupito) — Ma, Vinia!

Lavinia — Lo so che ti deve sembrar strano sentirmi parlare così. Ma ricordati che io sono una Mannon sol­tanto a metà. (Guarda i ritratti con aria di sfida) E ho compiuto il mio dovere, secondo la loro volontà! Non possono negarlo!

Pietro (perplesso, ma felice) — Diamine, sei proprio trasformata! Ma sono contento!

Lavinia — Ori continua a tormentarmi dicendo che lo amoreggiavo con quell'indigeno, solo perché lui mi sorri­deva e io gli ricambiavo il sorriso.

Pietro — Comincio a diventare geloso anch'io, ora.

Lavinia — Non devi. Mi faceva pensare a te. E mi faceva sognare che ti sposavo.

Pietro — Allora, ritiro quello che ho detto. Gli devo essere grato. (La stringe forte).

Lavinia — Amavo quelle isole. Hanno finito con libe­rarmi. Cera qualche cosa di misterioso e di bello: uno spirito benigno di amore che si sprigionava dalla terra a dal mare. Mi ha fatto dimenticare la morte. Non c'era più avvenire. C'era solo questo mondo... La terra calda nel chiaro di luna, gli alisei fra gli alberi di cocco, lo sciacquio sugli scogli, i fuochi notturni, il tamburo che mi batteva in cuore, gli indigeni, che danzavano nudi e innocenti, senza conoscere il peccato! (Si riprende d'un tratto, come impaurita) Ma che diamine. Sto chiacchie­rando come una ciarlona. Mi crederai una gran sciocca.

Pietro — Anzi ne sono felice. Non dicevi mai una pa­rola se non ericostretta.

Lavinia (piena di gratitudine e di amore, si abbandona all'onda delle sue parole e gli getta le braccia al collo) — Pietro, tienimi stretta! Voglio sentire l'amore! L'amore è tutto bello! Non lo conoscevo! Ero stupida! (Lo bacia appassionatamente. Egli la bacia, eccitato ma nel tempo stesso un poco scandalizzato dalla sua audacia) Ci spose­remo, presto, no? E andremo a stabilirci in campagna, lontano dalla gente e dalle loro chiacchiere infernali. Creeremo un'isola per noi sulla terra e avremo dei bam­bini e li ameremo e insegneremo loro ad amare la vita, così non saranno mai preda dell'odio e della morte! (Trasale, a bassa voce come fra sé) Ma dimentico Ori.

Pietro — Che c'entra Ori col nostro matrimonio?

Lavinia — Non posso lasciarlo, sino a che non stia di nuovo bene. Avrei paura.

Pietro — Fallo venire con noi.

Lavinia (con forza) — Voglio liberarmi del passato! (Lo guarda di sfuggita, con tono confidenziale) Voglio dirti cos'è che va male a Ori, così tu ed Hazel potrete aiutarmi. Si sente colpevole che la mamma si sia uccisa. Capisci, aveva avuto un alterco con lei; l'ultima sera. Era pazzamente geloso, ha detto cose di cui poi si è pentito. Quest'idea s'è impadronita talmente di lui che ora si ac­cusa della sua morte.

Pietro — Ma è una pazzia!

Lavinia — Lo so, Pietro, ma non c'è niente da fare quando lo assalgono le allucinazioni. Non voglio dire che egli sia sempre come stasera. Abitualmente è in sé. Soltanto calmo e triste, così triste che mi si spezza il cuore a guardarlo, come un bambino, punito per qual­che cosa che non ha commesso. Ti prego di dirlo a Ha­zel quel che t'ho detto, così che non badi alle pazzie che potrà dirle.

Pietro — L'avvertirò. Ora non preoccuparti per lui, lo faremo ritornare in sé in qualche modo.

Lavinia (grata della sua bontà) — Dio ti benedica, Pie­tro.

(Lo bacia, ma in quel momento Hazel e Ori appaiono dalla porta in fondo. Hazel rimane alquanto scandaliz­zata, poi sorride felice. Ori trasale come se avesse rice­vuto un colpo. Li fissa con rabbia gelosa e stringe i pu­gni, come se volesse scagliarsi su loro).

Hazel — Disturbiamo, Ori.

(Pietro e Vinia si staccano confusi).

Ori (minaccioso) — Allora è così! Perdio!

Lavinia (atterrita, ma con forzata severità) — Ori!

Ori (si riprende, confuso, con un sorriso stentato) — Non esser così solenne Fussi-Buzzi! Ho voluto soltanto farti paura, per scherzo! (Rivolgendosi a Pietro e ten­dendogli la mano, con un orribile sorriso) Credo che le congratulazioni siano d'obbligo, sono felice!

(Pietro gli stringe la mano quasi riluttante. Hazel va a congratu­larsi con Lavinia, con un'espressione di ansia e di sbi­gottimento. Lavinia fissa il fratello con gli occhi pieni di paura).

FINE DEL PRIMO ATTO


SECONDO ATTO

Lo studio di Ezra Mannon, come nel terzo atto de « L'agguato ». E' trascorso un mese dal primo atto ed è sera. Le imposte delle finestre sono chiuse. Le candele ac­cese sulla mensola del camino proiettano la loro luce sul ritratto di Ezra Mannon, vestito da giudice.

(Ori è seduto alla scrivania, al posto del padre, e scrive alla luce di una lampada. Alla sua destra un mucchio di fogli già riempiti. E' assorbito dal suo lavoro. Si è invec­chiato durante il mese che è trascorso. Dimostra quasi la stessa età del padre nel ritratto. E' vestito di nero e la somiglianza fra i due è veramente portentosa. Un sor­riso di malvagia soddisfazione gli increspa le labbra, nel rileggere, dopo aver posato la penna, ciò che ha allora finito di scrivere.

Posa il foglio sulla scrivania e fissa il ritratto, abbandonandosi sulla spalliera della poltrona).

Ori (rivolgendosi al ritratto, con tono sarcastico) — La verità, tutta la verità e niente altro che la verità! E' questo che domandi, padre? Sei sicuro di voler tutta la verità? Ma che diranno i vicini se tutta la verità sarà conosciuta? E' una decisione scabrosa per voi, Vostro Onore! (Si sente battere alla porta. Raccoglie in fretta i fogli e li mette nel cassetto della scrivania) Chi è?

Lavinia — Sono io.

Ori (chiude in fretta il cassetto a chiave e mette la chiave in tasca) — Che vuoi?

Lavinia (recisa) — Per piacere, apri la porta!

Ori — Va bene. Un momento.

(Riordina in fretta la scrivania, prende a caso un libro dallo scaffale e se lo mette aperto dinanzi, come se fosse stato a leggerlo. Poi va ad aprire la porta e ritorna alla sua poltrona, mentre entra Lavinia, che indossa un abito di velluto verde, come quello portato dalla madre nel terzo atto del « Ritorno ». Il colore della veste fa risaltare straordinariamente quello dei capelli e quello degli occhi. Si intuisce che sotto una calma apparente nasconde un senso di disperazione e di paura).

Lavinia (pur mostrandosi indifferente, lo guarda so­spettosa) — Perché ti sei chiuso a chiave? (Si avvicina alla scrivania) Che stai facendo?

Ori — Leggo.

Lavinia (osserva il libro) — I libri di diritto del babbo?

Ori (ironico) — Perché no? Sto pensando di studiar legge. Se ricordi, era un suo desiderio.

Lavinia — E vuoi che ci creda, Ori? Che stavi facendo davvero?

Ori — Curiosa, eh?

Lavinia (con un sorriso forzato) — Buon Dio, perché non potrei esserlo? Da un po' ti comporti in una ma­niera così strana chiudendoti qui dentro a chiave, con le imposte chiuse e il lume acceso anche di giorno. Non ti fa bene rimanertene in questa stanza soffocante. Do­vresti uscire, con questo tempo.

Ori (aspro) — Odio la luce del giorno. E' come un occhio accusatore! Noi abbiamo rinnegato il giorno, in cui vive la gente normale, o piuttosto esso ha rinnegato noi. Perpetua notte... oscurità della morte nella vita... è questo l'ambiente che si addice alla colpa! Tu credi di potervi sfuggire, ma io non sono così pazzo!

Lavinia — Adesso ricominci a fare lo strano.

Ori — E trovo la luce artificiale più adatta per il mio lavoro. La luce dell'uomo, non quella di Dio... il de­bole tentativo dell'uomo di comprendere se stesso, di esistere per se stesso nelle tenebre! E' un simbolo della sua vita, una lampada che brucia in una camera di ombre in attesa!

Lavinia — Il tuo lavoro?  Che lavoro?

Ori  (beffardo) — Lo studio  della legge sul delitto e sulla pena, come hai visto.

Lavinia (sforzandosi un'altra volta di sorridere)  Beh, se non me lo vuoi dire, va', continua a fare il misterioso. E' così chiuso qui. Si soffoca! Ti fa male! (Va alla finestra, spalanca le imposte e guarda fuori) Stasera è buio come un pozzo. Non c'è una stella.

Ori (cupo) — Tenebre senza una stella a guidarli! Dove andiamo, Vinia? (Ironico) Oh! So che tu sai dove vai, ma ci sono tanti passi falsi, ricorda!

Lavinia (con voce aspra e mordente) — Quietati! Non puoi pensare ad altro. (Si controlla, gli si avvicina, con tono dolce) Scusami. Sono tanto nervosa questa sera. E' il caldo, credo. E mi preoccupi con questo tuo continuo rinvangare il passato. La cosa peggiore per la tua salute. (Gli batte amorevolmente sul braccio) A questo penso, caro!

Ori — Grazie della tua attenzione per la mia salute! Ma temo che non ci siano speranze per te. Mi sento proprio bene.

Lavinia (lo affronta, come fuori di sé) — Come puoi insinuare una così orribile... (Dominandosi a viva forza e sforzandosi di sorridere) Ma tu cerchi solo di irritarmi e io non lo farò. Sono felice che ti senta meglio. Sta­sera hai mangiato con appetito. La lunga passeggiata, che  abbiamo fatto  con  Hazel, ti  ha  fatto  bene.

Ori  Già! Perché non mi lasci neanche un momento solo con lei? Hai acconsentito che le chiedessi di spo­sarmi e ora che siamo fidanzati, non ci lasci mai soli! (Con un sorriso amaro) Ma capisco bene il motivo. Hai paura che mi lasci sfuggire qualche cosa.

Lavinia (gli si siede di fronte, stancamente) — Come puoi rimproverarmi, se poi fai così...

Ori (cupo) — No. Ho paura io stesso di rimanere trop­po a lungo solo con lei, paura di me. Non ho diritto di stare nel suo mondo e intanto come mi sento attratto dalla sua purezza! Il suo amore mi fa sembrare meno vile ai miei occhi. (Con una risata cattiva) E nello stesso tempo un milione di volte più vile! E' questo l'orrore. Così temo che non potrai sperare di liberarti di me, per mezzo di Hazel. E' un'altra isola perduta. E' più saggio da parte tua tenerla lontana da me, ti avverto. Perché quando vedo nei suoi occhi l'amore per un as­sassino, la colpa mi rigurgita in gola come un vomito velenoso e sento il bisogno di cacciarlo fuori e con­fessare !

Lavinia (a bassa voce) — E' per questo che vivo nel ter­rore: che in uno dei tuoi accessi tu dica qualche cosa dinanzi ad estraneo, ora che tutto è passato e dimenti­cato... quando non c'è il minimo sospetto.

Ori  (duro)   Credi di  sfuggire all'espiazione! Non puoi...  confessa e espia nel senso più completo della legge! E' l'unico mezzo per lavare le nostre anime dal rimorso del sangue di nostra madre!

Lavinia — Zitto!  Smettila!

Ori — Domanda a nostro padre, il giudice, se non è così! Lo sa! Continua a dirmelo.

Lavinia — Oh Dio! E ancora, ancora e ancora! Non ti lascerà mai questo tuo stupido rimorso? Non vedi come mi torturi? Stai diventando il mio rimorso, anche. (Riaffiora in lei la sua vecchia gelosia) Ma come puoi continuare ad amarla quando sai che voleva lasciarti per sposare quell'uomo?

Ori (con tono violento di accusa) — Sì! Proprio come tu pensi, ora, a lasciarmi per sposare Pietro! Ma, perdio, non lo farai!  Smetterai queste idee molto presto quando saprai quello che ho scritto!

Lavinia (con ansia) — Che hai scritto?

Ori (l'ira gli cade ed è preso da una soddisfazione mal­vagia) — Ah!  ti spaventa questo, eh!  Fai bene a spa­ventarti !

Lavinia — Dimmi che hai scritto.

Ori — Niente dei tuoi maledetti affari!

Lavinia — Devo saperlo!

Ori — Ho quasi finito, posso anche dirtelo, in seguito alle sue vive sollecitazioni. (Indica con aria ironica il ri­tratto del padre) Quale ultimo rampollo dei Mannon - e di ciò rendo grazie a Dio - ho scritto la storia della nostra famiglia! (Aggiunge con una occhiata al ritratto e con un malizioso schioccare delle labbra) Non intendo però dire che lui approvi tutto quello che ho buttato giù.

Lavinia (cercando di mantenersi calma, con ansia) — Che storia racconti?

Ori — La vera storia di tutti i delitti della nostra fa­miglia: a cominciare dal nonno Abele. Di tutti i delitti, compresi i nostri, capisci?

Lavinia (atterrita) — Vuoi dire che hai davvero...?

Ori — Sì! Ho cercato di rintracciare nel suo segreto più intimo il passato  dei Mannon, la malvagia fatalità che sta dietro alle nostre vite! Ho pensato che se avessi potuto vedere chiaramente tutto questo nel passato, sarei stato capace di predire il destino, che è riservato a noi, Vinia, ma non ho  osato predirlo, non  ancora,  sebbene possa immaginare.

Lavinia — Ori!

Ori — La maggior parte di ciò che ho scritto riguarda te. Ho scoperto che, fra tutti noi, sei la criminale più interessante!

Lavinia — Ma come puoi dirmi queste orribili cose, dopo tutto quello che io...

Ori (come se non l'avesse udita, inesorabile) — Tante strane cose nascoste nel passato dei Mannon si combi­nano con te. Per darti un esempio, ricordi il primo uffi­ciale Wilkins, durante la traversata per San Francisco? Oh! Lo so che mi credevi istupidito dal dolore, ma io non ero cieco. Ho visto che lo desideravi!

Lavinia (con collera, senza poter reprimere un moto di colpevole confusione) — Non l'ho mai considerato. Era un ufficiale di bordo per me e basta.

Ori (ironico) — Anche Adamo Brant era ufficiale di bordo. E Wilkins ti ricordava Brant.

Lavinia — No!

Ori — Ed ecco perché a San Francisco hai messo immediatamente il lutto e hai comprato dei vestiti nuovi, coi colori della mamma!

Lavinia (furiosa) — Smettila di parlare di lei! Tu pensi, a sentirti, che io non ho una vita tutta mia!

Ori — Desideravi Wilkins come desideravi Brant!

Lavinia — E' una menzogna!

Ori — Sei tu che menti! Sai perfettamente che, dietro la tua pretesa di considerare l'assassinio di nostra madre un atto di giustizia, c'era il tuo odio geloso ! Me ne aveva avvisato ed ora lo vedo chiaramente! Volevi Brant per te!

Lavinia — Non è vero! L'odiavo!

Ori — Sì, ma quando hai saputo che era il suo aman­te! Ma lasciamo stare questo, adesso. So che è l'ultima cosa che potresti ammettere di fronte a te stessa. Ve­niamo a quello che ho scritto sulle tue avventure nelle mie isole perdute. O, dovrei dire, nelle isole di Adamo Brant! Lui pure ci era stato, se te ne ricordi. Probabil­mente era andato con una delle indigene. Era fatto così. E' questo  che  pensavi  quando  eravamo là.

Lavinia — Basta! Basta! Ti avverto che non soppor­terò più a lungo.

Ori (senza badarle e sempre con lo stesso tono sarca­stico) — Che paradiso quelle isole, per te! Tutti quegli uomini ben fatti che guardavano te e i tuoi capelli belli e strani. Allora sei diventata finalmente bella come la mamma! Sapevi che tutti ti desideravano, no? Ti riem­piva d'orgoglio. Specialmente Avahanni! L'osservavi, men­tre ti guardava il corpo attraverso le vesti, come se ti volesse denudare con gli occhi! E lo desideravi!

Lavinia — No!

Ori — Non mentire! (La accusa, spinto da violenta gelosia) Cosa hai fatto con lui quella notte, che ero ammalato e sei andata ad assistere alle loro danze spu­dorate? Qualcosa è accaduto tra voi due! Ho visto il tuo viso quando sei tornata e sei rimasta con lui di fronte alla nostra capanna!

Lavinia  (calma e dignitosa) — L'ho soltanto baciato per dargli la buona notte... per gratitudine!  Era inno­cente e buono. M'aveva fatto capire, per la prima volta nella vita, che l'amore può essere dolce e naturale.

Ori — Così, l'hai baciato? Ed è tutto?

Lavinia   (con un improvviso scoppio di provocazione deliberata e cattiva, che ricorda la madre nell'ultimo atto del « Ritorno », quando eccitava la rabbia gelosa di Ezra Mannon poco prima di avvelenarlo) — E se non fosse tutto? Non sono cosa tua! Ho il diritto di amare!

Ori (reagendo come suo padre, col volto divenuto livido, con un orribile e furioso grido l'afferra alla gola) —   Sgualdrina! Sgualdrina! Ti  ammazzo!   (D'un tratto gli cade tutta l'ira; debole e supplichevole) No, tu menti! E' vero che menti? Per amor di Dio, Vinia, dimmi che hai mentito!

Lavinia (commossa e tremante, balbetta) — Sì, ho mentito... come hai potuto credere che io... Oh! Ori, qual­cosa mi ha costretto a parlare così... contro la mia vo­lontà... qualcosa è sorta in me... come uno spirito mal­vagio !

Ori (con un riso feroce) — Gli spettri! Ma sei stata simile alla mamma come in quel momento...

Lavinia — Non parlarmi più! Perdonami! Dimentichia­mo! Ti prego, dimentica!

Ori — Sì, purché gli spettri ci lascino dimenticare! (La fissa un momento... poi soddisfatto) Ti credo sul conto di Avahanni. Ho sempre sperato il contrario. Non ho mai sospettato realmente o lo avrei ucciso e anche te. Credo che tu lo sappia. (Poi con la sua solita e osses­sionante insistenza) Ma tu eri lo stesso colpevole, nel tuo cuore.

Lavinia  Smettila di rinvangare tutto questo! Smetti di torturarmi, altrimenti... Ti ho avvisato! Ti avviso anche ora! Non ne posso più!

Ori   (con  una smorfia sarcastica  e diabolica: calmo) —  E allora perché non mi uccidi? Ti aiuterò io a fare il piano  come abbiamo fatto per Brant, così non sarai sospettata!  E te ne sarò grato! Io odio la mia vita!

Lavinia   (muta   dall'orrore,  può profferire soltanto) —  Oh!

Ori (con folle e tranquilla insistenza) — Non vedi che io sono ora al posto di nostro padre e tu sei la mamma? E' questa la terribile fatalità, che non ho osato predire! Io sono il Mannon, al quale sei incatenata! Così non ti pare chiaro...

Lavinia (coprendosi gli orecchi con le mani) — Per amor di Dio, taci! (D'un tratto l'orrore le si trasforma in una collera violenta e ripete inconsciamente la stessa minaccia, che, con la sua provocazione, ha strappata alla madre nel secondo atto del «Ritorno ») Bada, Ori! Sarà colpa tua... se...!   (Si arresta, atterrita dalle sue parole).

Ori (con sarcasmo diabolico) — Se cosa? Se morrò misteriosamente di mal di cuore?

Lavinia — Lasciami stare. Lasciami stare. Non parlare così. Come puoi essere così cattivo? Ma non lo sai che sono tua sorella... tua sorella, che ti ama e che darebbe la vita per la tua pace?

Ori (con tono aspro e minaccioso) — Non ti credo. Lo so che stai macchinando qualche cosa! Ma bada! Non ti perdo di vista! Ti avverto che non ti permetterò di lasciarmi per Pietro! Affiderò la confessione che ho scritto perché sia letta nel caso che tu cerchi di sposarlo... o nel caso che io muoia.

Lavinia (come pazza, l'afferra per il braccio e lo scuote forte) — Smettila con queste idee! Sei un demonio che mi tortura! Non voglio sentire! (Rompe in singhiozzi. Ori  la  fissa  sorpreso:   pare  che  ritorni quasi  nel  suo stato normale e lo sguardo selvaggio gli scompare dagli occhi, lasciandoli vitrei e senza vita).

Ori (con tono strano) — Non piangere. I dannati non piangono. (Cade pesantemente nella poltrona del padre e rimane con gli occhi fissi a terra. D'un tratto, con voce aspra) Va' via! Voglio rimanere solo... per finire il mio lavoro.

(Sempre singhiozzando, con una mano sugli oc­chi, Lavinia cerca l'uscita alla cieca e trovatala, esce, chiudendosi la porta alle spalle. Ori riapre il cassetto, tira fuori il manoscritto e si rimette a scrivere).

FINE DEL SECONDO ATTO

TERZO ATTO

Il salotto, come nel secondo quadro del primo atto. Sulla mensola del camino due candele accese, che illu­minano con la loro luce tremula i ritratti di Abele Man­non, al centro, e quelli degli altri Mannon, appesi ai due lati. Pare che gli occhi dei ritratti posseggano una vita intensa e amara per quello sguardo glaciale, « che si posa sprezzante sulla vita e la isterilisce per L' incapacità di vivere », come ha detto Ori di suo padre nel secondo atto dell'«Agguato». Non è trascorso nessun intervallo tra la fine dell'atto precedente e l'inizio di quest'atto.

(Lavinia entra dal vestibolo, proveniente direttamente dallo studio. Si avvicina al tavolo ed alza la luce della lampada, che vi è accesa. E' in un terribile stato di ten­sione. Gli angoli della bocca hanno una continua con­trazione. Intreccia e scioglie le dita delle mani congiunte con un movimento lento e tormentoso, che ricorda sua madre nell'ultimo atto dell'« Agguato »).

Lavinia (passeggiando per la stanza) — Non ne posso più! Perché si ostina a mettermi in testa l'idea della sua morte? Farebbe meglio a... Perché non ha il corag­gio? (In un impeto di angoscioso rimorso, i suoi occhi si posano inconsciamente sui ritratti dei Mannon sulla parete a destra, come se fossero il visibile simbolo del suo Dio) Liberatemi da questi pensieri, Signore! Sapete che amo Ori. Mostratemi la via per salvarlo! Non mi fate pensare alla morte! Non posso sopportare un'altra morte! Vi prego! Vi prego! (Sentendo venir del rumore dal vestibolo, si riprende e finge di scorrere un libro, che è sul tavolo).

Seth  (dalla soglia) — Vinia!

Lavinia — Che c'è, Seth?

Seth — Quella maledetta idiota di Hannah è da capo con le sue convulsioni. Dice che in cantina dei fantasmi le hanno strisciato dietro. Faresti bene a calmarla, o se ne andrà. (Indignato) Ecco che abbiamo guadagnato a eman­ciparli!

Lavinia (stancamente) — Sì, le parlerò. (Esce con Seth).

(Una pausa. Si sente squillare il campanello di in­gresso. Poco dopo si vede Seth attraversare il vestibolo per andare ad aprire e lo si sente salutare Pietro ed Hazel, che entrano seguiti da lui).

Seth — Vinia per il momento è occupata. Sedetevi. Verrà subito.

Pietro — Bene, Seth.

(Seth esce. I due si siedono. Pie­tro ha il suo solito aspetto cordiale e buono. Hazel ho invece un'espressione di disagio e di nervosismo e un'a­ria decisa).

Pietro — Bisogna che faccia una corsa alla riunione del Consiglio. Non posso farne a meno. Tornerò fra una mezz'ora, forse  prima.

Hazel (con un lieve brivido) — Odio questa casa, adesso. Odio venire qui. Se non fosse per Ori che va sempre peggio! Tenerlo chiuso qui è la peggior cosa che Vinia possa fare.

Pietro — E' lui che non vuole uscire. Sai benissimo che deve costringerlo per farlo passeggiare con te.

Hazel — E viene anche lei. Non lo lascia solo un minuto.

Pietro — Ah! Per questo hai rancore per lei!

Hazel — Non dir sciocchezze, Pietro! Penso semplice­mente  e sono pronta a dirglielo in faccia - che ha una cattiva influenza su Ori. Sento che c'è in qualche maniera, qualcosa di spaventoso. Certe volte mi atter­risce... e Vinia... l'ho osservata quando ti guarda. E' così cambiata!  C'è qualcosa  di sfacciato, in lei.

Pietro — Adesso comincia anche tu... Dovresti vergo­gnarti, Hazel!

Hazel — Non mi vergogno! Ho un certo diritto a dire la mia opinione sul come è trattato. Ho deciso di farlo d'ora in poi. La convincerò a farlo venire per qualche tempo da noi. Ho chiesto il permesso alla mamma e la mamma è contenta.

Pietro — Sì, credo che sia un'ottima trovata per tutti e due. Lei ha bisogno di sposarsi lontana da lui.

Hazel — Vinia non è dello stesso parere! Gliene ho parlato ieri e mi ha guardato in un modo. (Risoluta) Ma ho deciso di farmi promettere da lui che verrà da domani, qualunque cosa lei dica.

Pietro (battendo una mano sulla spalla) — Ma non t'inquietare per niente. Ti aiuterò a convincerla. Ti aiu­terò in tutto, purché Ori stia meglio. E anche solo per ragioni mie. Fino a che Vinia sarà legata a lui non potremo sposarci.

Hazel (lo fissa lentamente) — Vuoi proprio sposarla... ora?

Pietro — Perché questa stupida domanda? Che si­gnifica, vuoi sposarla ora?

Hazel (con voce tremante e sul punto di scoppiare a piangere) — Oh, non lo so! Non lo so. Pietro!

Pietro — Che diamine hai?

Hazel (sentendo rumore dal vestibolo, si ricompone) — Zitto! (Ori appare sulla soglia. Li guarda, poi gira attorno lo sguardo per accertarsi che non vi sia Lavinia).

Pietro e Hazel — Buona sera, Ori.

Ori — Buona sera. (Eccitato, si avvicina ai due e chiede a bassa voce) Dov'è Lavinia?

Hazel — Seth ci ha detto che è giù a vedere qualcosa.

Pietro (guardando l’orologio) — Bisogna che vada a questa maledetta  riunione  del  Consiglio.

Ori (con ansia) — Te ne vai?

Pietro (scherzoso) — E non farti vedere così contento per questo. Non è gentile.

Ori — Volevo star solo con Hazel!

Pietro  —  Sì.  Ma  non  hai  bisogno   di  mettermi  alta porta. (Esce, dopo aver battuto sulla spalla di Ori. Ori lo segue con lo sguardo sino a quando lo sente chiudere la  porta d'ingresso).

Ori (eccitato) — Senti, Hazel! Desidero che tu faccia una cosa. Ma aspetta! Devo andare a... (Esce in fretta e lo si sente andare dal vestibolo nello studio. Poco dopo ritorna con una grande busta sigillata in mano, che consegna ad Hazel, parlando precipitoso e girando ner­vosamente il capo, mentre fissa con apprensione la porta) Ecco! Prendi questa! Presto, non farla vedere a lei! De­sidero che tu la conservi in luogo sicuro e senza far mai sapere a nessuno che è nelle tue mani! Se la tenessi qui potrebbe essermi rubata. La conosco bene! Me lo prometti?

Hazel — Ma... che cos'è, Ori?

Ori — Non posso dirtelo. Non domandarmelo. E mi devi promettere che non l'aprirai mai... a meno che non m'accada qualcosa.

Hazel  (impaurita) — Che vuoi dire?

Ori — Se io morissi, o - questa è la cosa più impor­tante - se lei cerca di sposare Pietro... la vigilia delle nozze... desidero che tu faccia leggere a Pietro quello che  contiene.

Hazel — Non vuoi che sposi Pietro?

Ori — No! Non può avere felicità. Deve essere punita. (Le prende la mano: eccitato) Ascoltami, Hazel! Non mi devi amare più. L'unico amore, che sono ora capace di concepire, è l'amore della colpa per la colpa, che reca colpa maggiore finché non si arriva così in fondo all'inferno da non poter affondare ancora più in basso, e lì si riposa in pace. (Rompe in una risata cattiva e volge il capo dall'altra parte).

Hazel — Ori! Non dire così! (Vincendo il proprio orrore, tenera e pacificatrice) Povero caro! Vieni vicino a me! (Le si avvicina e lo cinge con un braccio) Senti. Lo so che qualcosa ti tormenta e non voglio sembrare indiscreta, ma sono così sicura che ti solleverebbe dirmi che cosa hai. Non ci hai pensato, Ori?

Ori — Sì! Sì. Voglio confessarmi. Confessarmi alla tua purezza! Voglio essere perdonato! (Si riprende in tempo) No. Non posso. Non me lo domandare. Io l'amo.

Hazel — Ma sciocco. Vinia stessa lo ha raccontato a Pietro e gli disse di dirmelo.

Ori (fissandola, stravolto) — Cosa gli ha detto?

Hazel — Che hai avuto un alterco con la mamma la sera prima che... e che questo ti ha angustiato fino ad accusarti della sua morte.

Ori (aspro) — Ah, sì? (Ironico) Così, nel caso ti rac­contassi... Oh! E' furba. Ma non abbastanza, stavolta. (Vendicativo) Ricordati che cosa ti ho dato Hazel e fa esattamente quello che ti ho detto. (Con un tono di implorazione disperata) Per amor di Dio, Hazel, se mi vuoi bene... fammi andar via di qui o accadrà qualcosa di terribile!

Hazel — E' proprio quello che voglio fare. Domani verrai a stare con noi.

Ori (con amarezza) — E credi che lei mi lascerà venire?

Hazel — Ma non hai il diritto di fare quello che vuoi?

Ori — Potrei svignarmela alla chetichella, a 6ua insa­puta, e allora tu mi potresti nascondere se venisse a cer­carmi, dirla che non ci sono.

Hazel (indignata) — Non farò una cosa simile! Non sono abituata a mentire! Come puoi avere tanta paura di Vinia?

Ori (sentendo dei rumori dal vestibolo, le fa segno di tacere e poi in fretta) — Sta venendo! Non farle ve­dere quello che ti ho dato. Va subito a casa e chiudilo a chiave. (Si scosta in punta di piedi, come se avesse paura d'essere scoperto accanto a lei e va a sedersi sul divano, assumendo un'attitudine troppo palesemente in­differente).

(Lavinia, non appena sulla soglia, trasale nel vedere soli Hazel ed il fratello. Avverte subito che c'è qualcosa nell'aria e fissa insistentemente sia l'uno che l'altra).

Lavinia (cercando di assumere un contegno indiffe­rente) — Mi rincresce di aver tardato tanto!

Hazel — Non importa.

Lavinia (sedendo sulla sedia al centro) — Dov'è Pietro?

Hazel — Ha dovuto andare ad una riunione del Con­siglio.  Ritornerà fra poco.

Lavinia (nel suo tono si avverte la sua preoccupa­zione) — E' andato via da molto?

Hazel — Non da molto.

Lavinia (aspra al fratello) — Credevo che tu fossi nello studio.

Ori (intuendo la preoccupazione della sorella, sarca­stico) — Ho finito il mio lavoro.

Lavinia — Hai finito...? (Fissa attentamente Hazel; con un forzato tono scherzoso) Che aria misteriosa avete. Che stavate macchinando?

Hazel (con un riso stentato) — Perché Vinia? Che cosa ti fa pensare?

Lavinia — Mi nascondete qualche cosa. (Hazel trasale e muove istintivamente la mano, che regge la busta, per nasconderla meglio dietro la schiena. Lavinia se ne av­vede. Se ne accorge anche Ori, che cerca di venire in aiuto di Hazel).

Ori — Non nascondiamo proprio niente. Hazel mi ha invitato ad andare qualche giorno da loro... e ci vado.

Hazel (recisa) — Sì. Ori verrà domani.

Lavinia (allarmata e risentita, con freddezza) — Sei veramente gentile. So che lo fai per il suo bene. Ma non può venire.

Hazel (aspra) — Perché?

Lavinia — Non credo che sia il caso di discuterne, Hazel. Dovresti sapere...

Hazel (con collera) — Non so nulla! Ori è in età di andare dove vuole!

Ori — Lasciala dire quello che vuole, Hazel! Ho le migliori carte in mano da ora in poi! (Lavinia lo guar­da atterrita dalla trionfante soddisfazione della sua voce).

Hazel — Mi pare che dovresti essere contenta. E' la cosa migliore per lui.

Lavinia (in collera) — Ti prego di immischiarti nei tuoi affari, Hazel!

Hazel (balza in piedi e nella collera dimentica di con­tinuare a tener nascosta la busta, che ha in mano) — Ed è proprio affare mio. Amo Ori più di te! Credo che tu non lo ami per niente, dal tuo modo di fare!

Ori (vedendo la busta in mostra, la chiama per avver­tirla) — Hazel! (Comprende e nasconde subito la busta dietro la schiena. Lavinia vede tale mossa, ma per il momento non si rende conto dello scopo) Hai detto che dovevi tornare presto a casa. Non voglio ricordartelo ma...

Hazel (in fretta) — Hai ragione. (Accenna ad andar­sene, cercando di nasconder meglio la busta, conscia che Lavinia la sorveglia sospettosa. Con tono di sfida ad Ori) Ti aspettiamo domani, la tua camera è già pronta. (A Lavinia, fredda) Dopo che mi hai insultato così Vinia, spero che tu stessa veda che non possiamo più essere amiche. (Cerca, in modo maldestro, di raggiungere la porta).

Lavinia (mettendosi fra lei e la porta, con collera e con tono di accusa) — Che nascondi dietro la schiena? (Hazel arrossisce, ma, non volendo mentire, non rispon­de. Lavinia si rivolge ad Ori) Le hai dato quello che hai scritto? (Siccome egli esita: violenta) Rispondimi!

Ori  — E' affar mio. Se glielo avessi dato?

Lavinia — Vigliacco! (Con forza ad Hazel) Dammela. Hai capito ?

Hazel — Come osi parlarmi con questo tono? (Cerca di uscire, ma Lavinia le sbarra la strada, mettendosi fra lei e la porta).

Lavinia — Non te ne andrai fino a che... (Suppliche­vole) Ori. Pensa a quello che fai! Dille che me la dia!

Ori — No!

Lavinia (lo abbraccia implorante, mentre egli distoglie lo sguardo da lei) — Sii ragionevole un momento. Non puoi far questo. Sei un Mannon!

Ori (aspro) — Appunto perché lo sono.

Lavinia — Per amor della mamma, non puoi. Tu l'amavi.

Ori — Gliene importava tanto... Lasciala in pace!

Lavinia (disperata) — Per amor mio, allora! Lo sai che ti voglio bene! Fammela dare da Hazel ed io farò qualunque cosa... qualunque cosa tu voglia!

Ori (la fissa negli occhi, piegando il capo sino ad es­sere col viso contro  il viso  della sorella) — Proprio?

Lavinia (arretrando, esitante) — Sì.

Ori (rompe in un riso di folle trionfo che lo soffoca. Si avvicina ad Hazel, che è rimasta come intontita, senza comprendere che ci sia dietro le loro parole, ma intuendo tuttavia qualcosa di sinistro, che l'atterrisce. Ori, auto­ritario, con gli occhi fissi su Lavinia) — Dammela, Hazel.

Hazel (gli porge la busta, con voce tremante) — Andrò a casa. Credo che non ti aspetteremo domani, ormai.

Ori — No. Dimenticami. L'Ori che amavi è stato uc­ciso in guerra. (Con un sorriso forzato) Ricorda il morto eroe, non il suo putrido spettro. (Aspro) Vattene. Addio. (Hazel, singhiozzando, esce in fretta dalla stanza. Ori si avvicina a Lavinia, e le consegna la busta; rude) Tieni! Comprendi che la promessa che hai fatto significa rinun­ciare a Pietro? E non vederlo più?

Lavinia — Sì.

Ori — Ma forse tu pensi che essa si limiti solo a questo e che io sarò pago d'una promessa, che ti ho strappata a forza e che farai di tutto per non mantenere. Ah! No! Non sono così stupido. Devo essere sicuro. (Ella rimane senza rispondere  e senza guardarlo. Egli la fissa e a poco a poco il suo volto assume una perversa espressione di desiderio) Hai detto che avresti fatto qua­lunque cosa per me. E' una promessa grande, Vinia, qualunque cosa!

Lavinia (ritraendosi con ribrezzo) — Che vuoi dire? Che orribili cose mediti dietro i tuoi discorsi di pazzo? No, non voglio saperlo! Perché mi guardi in questo modo?

Ori — Sembra che tu non capisca quello che significa per me ora... quello  che tu stessa hai voluto  dire da quando abbiamo ucciso nostra madre!

Lavinia — Ori!

Ori — Ora ti amo con tutta la  colpa che è in me... la colpa che dividiamo! Forse ti amo troppo, Vinia!

Lavinia — Non sai ciò che dici!

Ori — Ci sono momenti in  cui tu non sembri mia sorella, né la mamma, ma un'estranea con gli stessi ma­gnifici  capelli.  (Le tocca carezzevole  i capelli. Ella si ritrae con violenza. Egli ride in modo strano) Forse sei Maria Brantôme? E dici che non ci sono spettri in que­sta casa!

Lavinia (fissandolo, come affascinata dall'orrore)  Per amor di Dio! No! Tu sei pazzo! Non puoi pensare... Ori — E come, se no, sarei sicuro che non mi lasci? Non oseresti più lasciarmi. Ti sentiresti colpevole come mi sento io, allora... E saresti dannata come me! (Con collera improvvisa, nel veder crescere l'espressione di or­ribile repulsione sul viso della sorella) Devo in qual­che modo trovare una certezza o impazzire. E tu non vuoi che impazzisca, è vero? Parlerei troppo! Confes­serei. (Come se questa parola suscitasse qualche cosa entro di lui, il suo tono immediatamente si trasforma in una implorazione appassionata) Vinia, per amor di Dio, andiamo a confessare, ad espiare l'assassinio di no­stra madre, a trovare assieme la pace.

Lavinia (tentata e torturata, con un sussurro carico di desiderio) — La pace! (Facendo appello alla sua vo­lontà, balza in piedi selvaggia) No! Vigliacco! Non c'è niente da confessare. Si è fatta solo giustizia.

Ori (si rivolge ai ritratti con folle sarcasmo) — L'avete udita? Lavinia Mannon è più dura a spezzarsi di me. E dovrete perciò apparirle e perseguitarla per tutta la vita!

Lavinia (senza potersi più dominare, lo affronta in un accesso di furore e di odio) — Ti odio! Vorrei che fossi morto! Sei troppo vile per vivere! Ti ammazzeresti, se non fossi un vigliacco!

Ori (arretra come se avesse ricevuto un colpo. L’espressione folle e dolorosa del suo viso si trasforma in una espressione di terrore) — Vinia!

Lavinia — Lo ripeto! Lo ripeto! (Rompe in sin­ghiozzi).

Ori (implorante) — Vinia! (La fissa ancora una volta con un'espressione di terrore, poi gli occhi riprendono lo sguardo selvaggio e ossessionato. Con feroce sarcasmo) Un altro atto di giustizia, eh? Mi vuoi spingere al sui­cidio, come ho fatto io con la mamma! Occhio per oc­chio, è vero? Ma... (S'arresta di colpo e guarda dinanzi a sé, come se quest'idea s'impadronisse d'un tratto della sua torturata fantasia e parla a se stesso, come affasci­nato) Sì! questa appunto sarebbe giustizia... ora che sei la mamma!  Lei parla attraverso te!   (Sempre più ipnotizzato dal corso del suo pensiero) Sì! E' la via che porta alla pace... a ritrovar lei, la mia isola perduta. Anche la morte è un'isola di pace, e la mamma starà ad aspettarmi. (Immagina di parlare alla morta) Mamma ! Sai che farò allora? Mi butterò in ginocchio e ti chie­derò perdono, e dirò... (La bocca gli diviene convulsa, come se vomitasse del veleno) Ti dirò che sono felice che tu abbia trovato l'amore, mamma! Auguro felicità a te e ad Adamo! (Ride esultante) Tu mi ascolti! Tu sei ora qui! E mi chiami! E m'aspetti per ricondurmi a casa!   (S'avvia verso la porta).

Lavinia (che ha sollevato il capo ed è rimasta a fis­sarlo atterrita durante l'ultima parte del suo discorso, lacerata dal rimorso, lo raggiunge e gli butta le braccia al collo) — No! Ori, no!

Ori (la scosta con violenza, con una irritazione frater­namente rude) — Levati di mezzo. Hai capito? La mam­ma mi aspetta. (Sulla soglia, si volge e dice aspro) Taci! C'è Pietro! Basta ora.

(Ritorna nella stanza, non appena Pietro è sulla soglia).

Pietro — Scusatemi se sono entrato direttamente. La porta era aperta. Dov'è Hazel?

Ori (con studiata indifferenza) — E' andata a casa. (Con un'occhiata rapida, significativa e ironica a Lavinia) Stavo andando nello studio a pulire la mia pistola. E' impressionante come è arrugginita. Sono contento che tu sia venuto, Pietro. Puoi fare compagnia a Vinia.

(Esce. Pietro lo segue con lo sguardo perplesso).

Lavinia (con un grido soffocato) — Ori! (Nessuna ri­sposta... solo il rumore della porta dello studio, che si chiude. Fa per seguirlo, si arresta e si getta poi fra le braccia di Pietro, come per protezione contro se stessa e comincia a parlare con volubilità, come se volesse affogare il suo pensiero) Tienimi stretta, Pietro! Non c'è che l'amore. Non è vero? L'amore conta più di tutto. Nessun prezzo è troppo grande! O la pace! Bisogna aver la pace. Si è troppo deboli per dimenticare e nes­suno ha il diritto di togliere la pace. (Fa un gesto per coprirsi gli orecchi con le mani).

Pietro (allarmato dall'eccitazione febbrile di Lavinia) — E' pazzesco andare a smontare una pistola... nel suo stato. Vado a togliergliela?

Lavinia (stringendolo più forte) — Oh, non sarà mera­viglioso, Pietro, quando ci saremo sposati e avremo una casa con un giardino e gli alberi! Saremo così felici. Amo tutto quello che cresce semplicemente - verso il sole tutto quello che è forte e diritto! Odio tutto quello che è contorto, che striscia, che divora se stesso e muore, dopo aver vissuto sempre nell'ombra. (La sua voce di­venta più forte. Rifà il gesto di coprirsi gli orecchi con le mani) E non posso attendere... attendere.

(Dallo studio viene l'eco d'un colpo d'arma da fuoco).

Pietro (liberandosi dalla stretta di Lavinia e uscendo di corsa) — Dio mio!  Che è?

Lavinia (barcolla e s'appoggia al tavolo, con voce de­bole e tremante) —Ori, perdonami! (Riprende il proprio dominio con un terribile sforzo di volontà. Come un automa, nasconde la busta sigillata in un cassetto della scrivania, che chiude a chiave) Debbo andare dentro.

(Nell'avviarsi, i suoi occhi s'incontrano con quelli dei ri­tratti dei Mannon, fissi su lei con un'espressione accusatrice: con tono di sfida) Perché mi guardate così? Non era l'unico mezzo per mantenere anche il vostro segreto? Ma ora mi sono finalmente liberata di voi, capite? Io sono la figlia della mamma... non una di voi! Vivrò a vostro dispetto!

(Alza le spalle, con un ritorno del secco portamento militare d'una volta, imitato dal padre, come se, mediante lo stesso atto, con il quale ha rinnegato i Mannon, fosse ritornata al suo ceppo originario, ed esce dalla stanza rigida ed eretta).

FINE DEL TERZO ATTO

QUARTO ATTO

L'esterno della casa, come nel primo quadro del primo atto.

(E' un tardo pomeriggio, tre giorni dopo l'azione del­l'atto precedente. La casa dei Mannon ha lo stesso aspetto che aveva nel primo atto del « Ritorno ». La luce del sole, morbida e dorata, avvolge in un pulviscolo tremulo e luminoso il portico del tempio greco, accentuando il candore delle colonne, il verde cupo delle imposte, il verde della siepe e il verde e il nero dei pini. Le colonne proiettano sbarre d'ombra sul retrostante muro grigio.

Le imposte e le vetrate delle finestre sono spalancate. Il sole si riflette nelle vetrate a pianterreno. E quel riflesso è come lo sguardo smorzato di occhi intenti e vendicatricI).

Seth (entra dal viale. Ha in mAno un paio di cesoie e livella svogliatamente l'erba del prato, che fiancheggia il viale. In realtà, cerca solo d'ammazzare il tempo, masti­cando tabacco e canticchiando fra i denti con un tono accorato, con la sua voce un tempo di baritono, ma ora lamentevole e invecchiata, la canzone « Shenandoah ») — « Oh Shenandoah, come vorrei sentirti,

fiume mio rapinoso.

Oh Shenandoah

come vorrei avvicinarmi a te;

ma lontano, lontano sono diretto

attraverso l'immenso  Missouri

Oh, Shenandoah, io amo tua figlia,

ahi! ahi! fiume mio rapinoso! ».

(Smette di cantare e aguzza lo sguardo verso le aiuole fiorite... scuote il capo e borbotta tra sé) — E' un'altra volta là a cogliere i miei fiori. Come faceva la madre. Ha riempito tutte le stanze di fiori. Diamine speravo che la smettesse finiti i funerali. Non me rimarrà nemmeno uno nel mio giardino! (Distoglie lo sguardo e riprende svogliato il lavoro, borbottando cupo) E' maledettamente strano per un soldato rimanere ucciso, pulendo la propria pistola... almeno la gente dice così.

(Lavinia entra dalla sinistra. I tre giorni trascorsi l'hanno straordinariamente cambiata. Vestita di nero, sembra un'altra volta esile e appiattita. La somiglianzA del viso con una maschera è ancora più accentuata. Ha il volto solcato da rughe, de­vastato dall'insonnia e come solidificato in una espressione impassibile e dura. Le labbra sono esangui, stirate in una linea severa. Porta un gran fascio di fiori. Lo dà a Seth e parla con una voce strana e senza tono).

Lavinia — Prendi questi, Seth, e dalli ad Hannah. Di' che li metta in tutte le stanze. Voglio che la casa sia piena di fiori. Pietro sta per venire: voglio che tutto sia bello e allegro. (Va a sedersi in cima alla scala. Rimane col busto eretto, con le braccia rigide lungo i fianchi, con le gambe e i piedi uniti, e, in tale attitudine, fissa il river­bero del sole con occhi immobili e duri).

Seth (guardandola preoccupato) — T'ho vista seduta qui anche stamattina alle cinque... e ogni mattina da quando Ori... ma non hai dormito nemmeno un po'? (Lavinia non gli risponde, continuando a guardare dinanzi a se) Vuoi che ti porti fuori un divano? Forse potresti dormire un po' e ti farebbe bene.

Lavinia — No. Grazie, Seth. Aspetto Pietro. (Dopo una pausa, con curiosità) Perché non m'hai detto d'andare a dormire in casa? (Seth finge di non avere inteso la domanda e cerca d'evitare il suo sguardo) Capisci, vero? Sei da tanto con noi Mannon. Sai che non c'è riposo in questa casa, costruita dal nonno come un tempio d'odio e di morte!

Seth (senza potersi più contenere) — Cerca di non vivere qui, Vinia. Sposati Pietro e falla finita.

Lavinia — Lo sposerò. E me ne andrò lontano con lui e dimenticherò questa casa e quello che vi è accaduto!

Seth — Questo è parlare, Vinia!

Lavinia — La chiuderò e la lascerò morire al sole e alla pioggia. I ritratti dei Mannon si decomporranno alle pareti e gli spettri si dissolveranno nella morte. E i Mannon saranno dimenticati. Sono l'ultima e non per molto. Sarò la signora Niles. E loro saranno finiti, grazie a Dio. (Si protende verso il sole e chiude gli occhi. Seth la fissa preoccupato; scuote il capo e sputa. Sentendo un rumore di passi nel viale, guarda in quella direzione).

Seth — Vinia, sta venendo Hazel.

Lavinia (riprende la sua attitudine rigida, con una certa apprensione) — Hazel? E che vuole? (Balza in piedi, come se volesse correre in casa. Si ferma poi in cima alla scala, con voce dura) Seth, va a lavorare di là.

Seth — Sta bene. (Esce dietro la siepe dei lillà, mentre Hazel entra da sinistra. Lo si sente dare la buona sera ad Hazel) Buona sera, Hazel.

Hazel — Buona sera, Seth.

(S'arresta di colpo e fissa Lavinia. Questa la fissa a sua volta con un duro sguardo di sfida. Hazel è a lutto. Il suo viso è pallido e triste, i suoi occhi dimostrano che ha molto pianto, ma c'è in lei un'attitudine ferma e risoluta, quando, decisasi ad attuare il suo proposito, va verso i piedi della scala).

Lavinia  Che vuoi? Ho molto da fare.

Hazel (calma) — Non ci vorrà molto a dirti quel che ti voglio dire, Vinia. (D'un tratto la investe) Non è vero che Ori si sia ucciso per disgrazia! Lo so! Ha voluto uccidersi.

Lavinia — Faresti meglio a badare a quello che dici. Posso provare quello che è accaduto. C'era anche Pietro.

Hazel — Non mi importa di quello che si dice!

Lavinia — Credevo che tu saresti stata l'ultima ad accusare Ori.

Hazel — Non accuso lui! Non dirlo. Te accuso! Sei stata tu a spingerlo! So di non poterlo provare come non posso provare tante cose, che Ori mi ha fatto intuire. Ma so che sono accadute... e che in qualche modo tu ne sei responsabile!

Lavinia (nascondendo un sussulto di paura, con un tono forzato di rimprovero) — Che penserebbe Ori della tua venuta qui, il giorno dei tuoi funerali, per accusarmi della sciagura che ha colpito la nostra famiglia?

Hazel (pentita ma nel tempo stesso aggressiva e sicura della sua ragione) — Sta bene, Vinia. Non ne parlo più. Ma so che c'è qualcosa... e tu lo sai... qualcosa che ha portato Ori alla pazzia. (Rompe in singhiozzi) Povero Ori!

Lavinia (con lo sguardo perduto nel vuoto, torce le labbra con voce soffocata e a denti stretti) — Non far così!

Hazel (dominandosi... dopo una pausa) — Mi dispiace; non sono venuta qui per parlare di Ori.

Lavinia (inquieta) — Perché sei venuta?

Hazel — Per Pietro.

Lavinia (come se questa risposta contenesse appunto ciò che temeva, aspra) — Lascia in pace me e Pietro.

Hazel — No! Stai per sposare Pietro e per rovinargli la vita! (Supplichevole) Non puoi farlo! Non vedi che non potrebbe esser mai felice con te, che lo trascineresti in questa cosa terribile... qualunque essa sia, e che do­vrebbe dividerla con te.

Lavinia — Non c'è nessuna cosa terribile!

Hazel — So che Pietro è incapace di pensare male, ma, vivendo solo con te, una volta sposati non potresti nascondergliela e finirebbe col provare ciò che io provo. Non potreste mai esser felici, perché quello si frappor­rebbe tra voi. (Un'altra volta supplichevole) Vinia, te ne scongiuro, sii buona con Pietro! Devi pensare alla sua felicità, se veramente lo ami!

Lavinia (con voce roca) — Se lo amo!

Hazel — Ed ha già cominciato ad essere infelice, per causa tua!

Lavinia — Non è vero!

Hazel — Ieri sera ha litigato con la mamma quando lei ha cercato di parlargli... ed è la prima volta che ha fatto una cosa simile. Non è nel suo carattere, l'hai cam­biato. Se n'è andato da casa. Ha detto che non parlerà più né alla mamma e né a me. E' stato sempre un così bravo ragazzo. Siamo stati così felici noi tre. E' stato un colpo al cuore per la mamma. Non fa che piangere. (Di­speratamente) Oh! Vinia, non puoi fare tanto male! Sarai punita se lo fai. Pietro finirà con l'odiarti, dopo.

Lavinia — No!

Hazel — Vuoi allora rischiare di trascinare Pietro a fare quello che ha fatto Ori? Lo farebbe... se scoprisse la verità!

Lavinia — Che verità, pazza che sei? Scoprire che cosa?

Hazel — Non lo so, ma tu lo sai! Guardati in cuore e interroga la tua coscienza davanti a Dio se sei decisa a sposare Pietro!

Lavinia (disperata) — Sì, davanti a Dio! Davanti a tutto. (Come se la volesse fulminare con lo sguardo in un impeto d'ira) Lasciami in pace; vattene o prendo la pistola di Ori! (Le cade tutta l'ira e appare prostrata e scossa).

Hazel — Oh! Sei cattiva! Credo che...! Chi ti ha cam­biata così?

Lavinia — Vattene !

Hazel — Vinia! (Lavinia chiude gli occhi, Hazel con­tinua a fissarla. Dopo una pausa... con voce tremante) — Sta bene. Me ne vado. Quel che posso fare è aver fiducia in te. So che nel tuo cuore non può esser morto ogni senso di giustizia e d'onore: in te, una Mannon! (Lavinia irrompe in una risata amara, restando sempre con gli occhi chiusi) Ma almeno, devi far leggere a Pietro ciò che Ori ha lasciato scritto in quella busta. Mi aveva inca­ricato di farglielo leggere prima che ti sposasse. E Pietro lo sa, Vinia.

Lavinia (senza aprire gli occhi, stranamente, come se parlasse fra se) — I morti! Perché i morti non possono morire!

Hazel (la fissa con terrore, senza saper che fare. Si guarda incerta d'intorno. Vede venir qualcuno dal viole e dice in fretta) — E' lui. Esco dall'altra parte. Non voglio incontrarlo qui. (Fa per andarsene, poi si avvia verso i lillà: con tono commiserevole) So che tu soffri, Vinia, e so che la tua coscienza ti farà fare quello che è giusto... e Dio ti perdonerà!  (Esce).

Lavinia (seguendola con lo sguardo, con tono di sfida) — Non chiedo perdono né a Dio né agli uomini! Io perdono me stessa. (Chiude gli occhi, con amarezza) Spero che vi sia anche un inferno per i buoni!

(Pietro entra dalla sinistra. E' stravolto e addolorato. Cammina piano, con gli occhi a terra. Non appena scorge Lavinia, cerca di riprendersi e di mostrarsi allegro).

Pietro — Oh! Vinia! (Si siede al margine del portico accanto a lei. Lavinia è ancora con gli occhi chiusi, come se avesse paura di aprirli. Egli la fissa preoccupato) Sei così sciupata. Non hai dormito. Hai passato momenti ter­ribili, ma non ci pensare, presto ci sposeremo.

Lavinia (sempre con gli occhi chiusi, con ardente desi­derio) — Mi amerai sempre e mi eviterai di ricordare?

Pietro — Sì, Vinia. Ma la prima cosa è strapparti da questa maledetta casa! Sarò uno stupido, ma comincio anch'io a diventare superstizioso.

Lavinia (senza mai aprire gli occhi: stranamente) — Sì! L'amore non ci può vivere. E ce ne andremo e l'ab­bandoneremo alla morte e dimenticheremo i morti.

Pietro — Nessun posto è per me abbastanza lontano da qui! Odio questa città e tutto quello che c'è adesso.

Lavinia (apre gli occhi e lo guarda sorpresa) — Pietro, non ti avevo mai sentito parlare in quel modo... così amaro.

Pietro (sfuggendo al suo sguardo) — Certe cose ti rendono amaro.

Lavinia — Hai avuto un alterco con tua madre e con Hazel per causa mia, è così?

Pietro — Come lo hai saputo?

Lavinia  Hazel è stata qui poco fa.

Pietro — E te l'ha detto? Che stupida. Perché?

Lavinia  Non vuole che ti sposi.

Pietro — Maledetta! Che diritto ha? (Alquanto a disa­gio, con un sorriso forzato) Non darle retta!

Lavinia (come se rispondesse ad una voce, che ha ri­suonato in lei, e non già a lui, con tono di sfida) — No!

Pietro — Lei e la mamma si son messe in testa tante idee assurde. Ma se le toglieranno ben presto.

Lavinia (fissandolo con ansia... a disagio) — E se non sarà così?

Pietro — Lo sarà dopo il nostro matrimonio... se no la rompo definitivamente con loro!

Lavinia (una pausa. Poi gli prende il viso fra le mani, volgendolo verso il suo) — Pietro! Lasciati guardare! Tu soffri. I tuoi occhi hanno uno sguardo così triste. Sono stati sempre così fiduciosi! Ed ora sono invece pieni di sospetto e di timore della vita! Ti ho già fatto questo, Pietro? Cominci già a sospettare di me? Pensi a quello che Ori ha lasciato scritto?

Pietro (protestando con violenza) — No ! Non ci penso per niente... te l'assicuro! Non lo so che Ori era pazzo? E perché dovrei credere...

Lavinia — Giurami che non sospetterai mai di me... per nulla?

Pietro — Certo che no.

Lavinia — E che non permetterai mai a nessuno di frapporsi fra noi? E che nulla ci potrà proibire di esser felici? (Con crescente disperazione) Voglio che tu mi sposi subito, Pietro! Ho paura! Vuoi sposarmi stasera? Ci sarà facile trovare un prete. Mi cambio d'abito in un momento e mi vesto del colore, che ti piace! Sposami oggi Pietro. Ho paura ad attendere.

Pietro (stupefatto e alquanto scandalizzato) — Ma... non vorrai certo... non è possibile. Non sarebbe corretto nello stesso giorno che Ori... sarebbe mancanza di rispetto alla sua memoria. (Sospettoso, suo malgrado) Non capisco perché tu abbia tanta paura d'aspettare. Cosa vuoi che succeda? Forse Ori ha lasciato scritto qualcosa, che possa impedirci  di... Sarebbe...

Lavinia (con un riso selvaggio) — Ecco i morti, che si frappongono! Sarebbe sempre così Pietro. Tu mi hai affidato la tua felicità. Ma questo significa avere fiducia nei Mannon morti... e in loro non si può riporre amore! Li conosco troppo! E non potrei sopportare di vedere i tuoi occhi diventare amari, e celati a me, feriti nella loro fiducia nella vita! Ti amo troppo!

Pietro (ancora più perplesso e sospettoso per queste parole) — Ma di che parli, Vinia? Mi fai pensare che c'era qualcosa.

Lavinia (disperata) — No... niente! (Gettandogli le braccia al collo) — No! Non pensare a questo... non ancora! Concedimi solo un momento di felicità... a di­spetto di tutti i morti! Me lo sono guadagnato! Ho fatto abbastanza! (Con crescente disperazione... supplichevole) Ascoltami Pietro! Perché dobbiamo aspettare il matri­monio? Desidero un momento di gioia - un momento solo di amore  che mi compensi di ciò che sta per venire! Lo voglio ora! Non puoi esser forte, Pietro? Non puoi esser semplice e puro? Non puoi dimenticare il passato e vedere che tutto l'amore è bello? (Lo bacia con passione disperata) Baciami! Desiderami! Desiderami tanto da esser capace anche di uccidere per avermi! Questo ho fatto... per te! Portami in questa casa dei morti e amami! Il nostro amore scaccerà i morti! Li coprirà di vergogna e li ricaccerà nella morte. (Al sommo del suo abbandono folle e disperato) Desiderami! Pren­dimi, Adamo!  (Questo nome, che le è sfuggito, la fa ritornare in sé, attonita e con un sorriso da ebete) Adamo! Ma perché ti ho chiamato Adamo? E' un nome che ho letto solo nella Bibbia! (Concludendo disperata) Sempre i morti tra noi! E' inutile tentare!

Pietro (convinto che ella ha agito in un accesso d'isterismo e tuttavia scandalizzato e disgustato dalla manife­stazione di passione) — Vinia! Stai parlando come una pazza! Non sai ciò che dici! E tu non sei... così!

Lavinia (con voce fioca) — Non ti posso sposare, Pietro. Non dovrai vedermi più. Ritorna a casa. Ricon­ciliati con tua madre e con Hazel... sposa un'altra. A me non è concesso l'amore. I morti sono troppo forti!

Pietro — Vinia! Non è possibile... sei impazzita! Ma che cosa ti ha cambiata così? Forse quello che ha scritto Ori? E' quello? Ho il diritto di sapere. (Ella continua a tacere) Era così strano quando parlava di quello che ti avvenne nelle isole. C'è stato qualcosa... qualcosa con quell'indigeno?

Lavinia (offesa) — Pietro! Come puoi! (Poi conside­rando l'allusione fattale come una scappatoia, con bruta­lità calcolata) Sta bene! Sì, se lo vuoi proprio sapere! Ori sospettava che avessi avuto dei rapporti con lui! E li ho avuti!

Pietro (sciogliendosi da lei) — Vinia! Sei impazzita! (Ferito) Non ti credo! Non lo credo! Non potevi!

Lavinia — Perché non lo potevo? Lo desideravo. Desi­deravo imparare da lui l'amore... l'amore che non era peccato. E l'ho fatto. Mi ha avuta! Sono stata la sua amante !

Pietro (arretrando, come se ella lo avesse colpito con uno schiaffo, rimane a fissarla con un intenso sguardo di repulsione e d'orrore. Con collera amara) — Allora, la mamma e Hazel non avevano torto. Tu sei cattiva... e nessuna meraviglia che Ori si sia ucciso. Spero che Dio ti punisca e io... io... (Esce di corsa dalla sinistra).

Lavinia (lo segue con lo sguardo, poi con un piccolo grido disperato gli corre dietro) — Pietro, Pietro, non è vero! Non ho fatto... (Si ferma di scatto e riprende la sua attitudine rigida ed eretta. Lo segue con gli occhi, mentre egli s'allontana per il viale. Poi si volta e con un tono vano e perduto) Addio, Pietro!

(Seth entra dalla sinistra. Si ferma ad osservarla, poi, per richiamare la sua atten­zione comincia a cantare a bassa voce la sua malinconica aria di Shenandoah guardando a terra, come se cercasse qualche cosa).

Seth — « Oh, Shenandoah non posso avvicinarmi a te.

Ahi ahi sono diretto lontano ».

Lavinia (senza guardarlo, afferra le parole della can­zone increspando le labbra ad un amaro sorriso) — E io non sono diretta lontano, almeno per ora, Seth. Sono incatenata qui... ai morti... Mannon. (Dà in una risata secca e si volge come per entrare in casa).

Seth (impaurito dalla sua espressione, l'afferra per un braccio) — Vinia no. Non entrare.

Lavinia (cupa) — Non aver paura. Non m'avvio per la stessa strada seguita dalla mamma e da Ori. Significhe­rebbe sfuggire alla pena. E non è rimasto nessuno che possa punirmi. Sono l'ultima dei Mannon. E perciò sono costretta a punirmi da me! Vivere qui, sola con i morti, è un atto di giustizia peggiore della morte e della pri­gione. Non uscirò più, non vedrò più nessuno! Farò inchiodare le imposte perché la luce del sole non entri mai dentro. Vivrò sola con i morti e manterrò i loro segreti e lascerò che mi perseguitino fino a quando la maledizione sarà stata espiata e si consentirà all'ultima dei Mannon di morire! (Con uno strano e crudele sor­riso di soddisfazione, pregustando gli anni di auto-tortura) So ch'essi avranno cura di farmi vivere a lungo! E' la sorte dei Mannon. Punire se stessi per il fatto di esser nati!

Seth — Già. Non ho sentito neanche una parola di tutto quello che hai detto. (Facendo finta di cercare an­cora per terra) Ho lasciato le mie cesoie in qualche posto.

Lavinia (decisa) — Va a chiudere le imposte e in­chiodale.

Seth — Sì.

Lavinia — E di' ad Hannah di gettar via tutti i fiori.

Seth — Sì. (Sale le scale ed entra in casa).

(Lavinia ascen­de sino al portico, poi si volta e, rigida ed eretta, rimane un poco a fissare la luce con occhi assenti. Seth si sporge dalla finestra a destra della porta e chiude con violenza le imposte. Come se ciò fosse una parola d'ordine, La­vinia gira rapida sui tacchi e, rigida ed eretta, entra in casa, chiudendosi la porta alle spalle).

FINE DELLA TRILOGIA