Il macellaio

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Il Macellaio

di

Giacomo Ceccarelli

Personaggi:

Sandro

Carmen

Paolo

Madre di Sandro e Paolo

Clara Petacci

Madre di Clara

Mazzella - Macchinista -soldato

Bambino

Quadro 1

Si apre il sipario su due principali rettangolari in PVC per retroproiezioni ai lati della scena che chiudono al centro un praticabile collegato al palco con due tre scalini.

Sui due principali e sul fondale sono proiettate diapositive di quadri ed opere artistiche del periodo della guerra spagnola, Guernica spezzata in tre che si mescola con opere di Dal; quadri di Goya che appaiono dal fondo, particolari ingigantiti che mettono in risalto il valore artistico-storico delle opere proiettate.

Come una lezione di storia dell’arte si sente, registrata, la voce di una guida che spiega il percorso artistico che ha prodotto questi lavori; non la voce di una professoressa, ma proprio quello di una guida da museo, una di quelle cassettine con walk-man che si prendono all’ingresso, col biglietto nei musei.

Una guida dunque, con tanto di accento spagnolo (magari qualche errore di pronuncia) che ci accompagna in un giro all’interno di questo museo proiettato.

Assiste a questa proiezione un uomo su di una sedia a rotelle; è nel mezzo del palco, guarda dritto avanti a sé e fuma con accanimento una sigaretta.

Alcuni minuti e finisce la sigaretta, finisce la registrazione, finiscono le diapositive.

L’uomo rimane addormentato mentre il rullo del proiettore continua a mettere diapositive bianche nel totale silenzio rotto solo dal rumore del macchinario.

L’uomo dorme, mentre dal fondo del palco arriva una donna che con amore gli copre le gambe con una coperta, prende un telecomando e puntato alto verso la platea spegne, finalmente, la macchina riportando tutto ad una luce più normale, ed esce di scena.

Rimane l’uomo nel mezzo al palco sotto ad una luce spietata, immobile. Si sente un leggero russare. Tutto è immobile e si sente russare. Finalmente qualcuno dalla platea (o dalle quinte) gli fa una voce e lui di soprassalto si sveglia.

Si guarda in torno smarrito

-"Mi devo essere addormentato"

Viene avanti con la carrozzina, si fruga addosso in cerca di una sigaretta, poi dell’accendino, non lo trova, lo cerca, non lo trova; arriva al proscenio e rivolto alla prima fila:

-"Avete da accendere?"

Se lo troverà bene, altrimenti dirà una battuta in proposito.

Torna nel mezzo del palco svelando una insospettata destrezza nella guida della sua carrozzella.

Sandro-

(a voce alta, un po’ rauco) Uccidono più queste che la vecchiaia.

Già, a vederle le sigarette, tutte bianche, pulite, sembrano tanti piccoli dottori in fila, o uno squadrone di infermiere pronte ad ogni tuo bisogno, gli mancano una croce rossa sulla schiena ed il gioco è fatto… e invece uccidono più loro che la noia.

Detto ciò si rifà un altro piccolo giro sul palco e stavolta termina con una impennata su due ruote

Sandro-

Proprio così, le sigarette uccidono! Altro che dottorr ed infermiere "Sandro quelle sigarette prima o poi ti uccideranno se non smetti!"

…Me lo disse una volta una persona che ho amato...

Lo hanno fatto. Queste sigarette mi hanno già ucciso una volta, ormai una volta in più od una in meno che fa?

Rimane pensieroso con le mani sulle ruote, poi fa un’altra piccola pennata col suo "mezzo", dopo di che, meravigliandoci ancora una volta si alza in piedi per andare a passo deciso verso il proscenio. Rivolgendosi al pubblico, tranquillamente

Sandro-

Oh non ci vuole nulla (indicando la sedia a rotelle), ci ho passato gli ultimi dieci anni della mia vita sopra che ormai riuscirei ad andare fino a Madrid su due ruote (torna alla sedia e da una borsa dietro allo schienale tira fuori una pompa per biciclette ed incomincia a gonfiare le ruote). E’ strano vivere su di una sedia a rotelle, ti alzi la mattina e il tuo pensiero è di lavarti i denti e gonfiare le ruote, fare colazione ed oliare i mozzi delle ruote, pettinarti e dare il lucido alle cromature e salutare tua moglie o la tua ragazza col suono della trombetta (suona la trombetta attaccata alla sedia). Nel mio caso saluto la moglie così (trombetta), o meglio la mia ragazza, che è diventata mia moglie e che è rimasta ragazza (smette improvvisamente di lucidare il suo mezzo e guarda dritto in platea).

Dieci anni ed avrei potuto fare il giro del mondo su questa stupida trappola… Dieci anni ammazzando mosche e fumando e trotterellando per il quartiere con questa stupida carrozza senza cavallo.

Dopo un po’ di tempo ti abitui …alla noia (intanto gioca con la sedia portandola a giro per il palco, testandone la messa a punto) e nella noia incominci a pensare non più a ciò che farai ma a ciò che hai fatto, quello che ti è stato detto, ti ritornano in mente delle cose… a me è successo così, ti alzi una mattina, ti guardi allo specchio e capisci che c’è qualcosa di diverso, qualcosa di strano, e finalmente ti accorgi che sei vecchio.

Proprio così, una mattina ti alzi e capisci che quel motore che hai comprato il giorno prima e che ti eri ripromesso di montare oggi sostanzialmente non ti cambierà la vita e soprattutto non servirà certo a farti andare più veloce.

Improvvisamente, ti alzi e scopri che sei vecchio e rimani senza fiato, e ti risiedi immediatamente (si risiede pesantemente sulla sedia) perché ti accorgi che sei stanco e ti prende paura e non credevi che arrivasse così, ti metti una sciarpa al collo, chiudi la finestra, riguardi indietro alla tua vita, sei stanco. Hai ancora paura, mangi frutta cotta la sera ed intanto continui a fumare perché spavaldamente dici agli amici che tanto di qualcosa si deve pur morire; fumi e costantemente ascolti ogni qualsiasi rantolo dei tuoi polmoni domandandoti spaventato (ma solo a te stesso) da quale bronco e perché…

Oh non voglio spaventarvi, siete ancora giovani ed avete tutto il tempo che volete per smettere di fumare.

"Prima o poi le sigarette ti uccideranno" Fu l’ultima cosa che mi disse mio fratello prima di scomparire, sarà l’ultima cosa che farò nella mia vita …smettere di fumare… per forza.

Così una mattina ti svegli, ti alzi, ti guardi allo specchio ti lavi e ti risiedi e fumi, e osservi le tue gambe piegate, stese, accavallate, in ciabattate e protette trasformarsi in rotelle.

A me è successo proprio così…una mattina ti alzi ti vedi e ti risiedi, e fumi ( lancia la

sedia dietro le quinte). E passi la giornata sperando di non perdere l’accendino.

"Perché non smetti di fumare, puzzi di nicotina si sente da un miglio!"

Questa invece è la mia ragazza, Carmen mia moglie che dice pane al pane e vino al vino.

Puzzo di cicca spenta, poi della mia vita posso fare quello che voglio ma, giustamente, non del suo olfatto. Vivo su di una sedia a rotelle con le sigarette in una borsa, le mentine nell’altra ed un diffusore per ambiente nella tasca della giacca (tira fuori un deodorante e lo spruzza tutto attorno) "Perché non smetti di fumare, puzzi! (annusa l’aria e non contento ridà un’altra spruzzata) Carmen mi ha già salvato la una volta, e a modo suo sta tentando di salvarmi una seconda…

"Todo lo llenas tu, todo lo llenas Carmen" "tu tutto riempi, tutto" (sorridendo tra sé)

"Tu tutto riempi" …cristallino…

"Per me la vecchiaia è un inverno nel quale una gelata una mattina, ha spezzato tutte le ossa, ma la fortuna ha voluto che mi capitasse accanto una donna, questa donna che coi suoi gesti ed i sguardi riesce talvolta a riportarmi alle calde sere d’agosto, quando l’estate infuocata dal tramonto lentamente si spenge dietro dietro alle tue spalle."

Lo so (divertito), non sono bravo a fare poesia (si intravede sul fondo del palco una donna che in disparte ascolta).

E’ per questo che sono qui questa sera.

E’ per questo che lei è qui questa sera.

Perché non so far poesia ma voglio dirle quanto lei è grande, (comincia a spogliarsi dei vestiti che porta cambiandosi con degli indumenti anni Trenta) perché lei è lì, giù in platea e voglio dirle del tempo prima che ci conoscessimo, di una parte della mia vita nella quale lei ancora non c’era ma che ora voglio tirar fuori da sotto quel sasso dove la lasciai.

La storia di alcune persone alle quali ho voluto bene, di mia madre rimasta sola, di mio fratello, di una amica che ho amato e che poi è morta d’amore, di un destino che agisce per conto suo, incurante della carne che macina e delle vite stritolate dalla sua indifferenza

Ora voglio raccontare! Forse perché non ho altro da fare, forse perché la noia mi uccide, forse per lenire il rimorso che nascondo dentro o forse solo perché anche questo ti appartiene Carmen, perché (si leva la camicia mettendosene una nera) la guerra per me è stata più di un inverno freddo nel quale la gelata una mattina ha spezzato le ossa, ed è a questa tua grande magia (alza la mano sinistra per mostrare la fede al dito), che debbo ora tutta la mia vita. E’ a te, moglie mia, Carmen, giù in platea che dedico questa storia

Si mette il Fez in testa, si cala i pantaloni mentre si spengono le luci che rimangono deboli solo sulla donna in fondo.

Quadro 3

Carmen -

(con voce forte) Mente!

La donna immediatamente dopo l’affermazione fatta quasi al buio, viene avanti insieme alle luci e prende il posto prima occupato dal marito che ormai non c’è più. E’ vestita semplicemente, porta un grembiule da lavoro e dimostra una certa età, parla duramente ma non è in grado di nascondere una chiara dolcezza forse dovuta anche agli anni

Carmen -

Vi ha mentito! Non è vero!

Si sono sua moglie, si forse l’ho salvato (sorride), ma non sono giù in platea, lì con voi, sono qui sul palco, perché non puoi ascoltare la storia della tua vita standotene seduta su di una sedia… Vi ha mentito! (non traspare incertezza ma è evidente che ciò che sta per dire gli costa un grande sforzo; stropiccia il grembiule come per asciugarsi le mani) non sono io colei che riempie il suo cuore

Lo so gliel’ho letto negli occhi!

Lo so l’ho sentito come solo una donna può sentire!

Si! Vi ha mentito! Sono qui perché lo amo e sola devo e voglio sapere ciò che lui non è stato in grado di dirmi per tutti questi anni.

Todo illenas tu!

Mente! A me, a voi, ma soprattutto a se stesso ed io mi costringo, per amore, al silenzio

pensando che non può, certo, essere un fantasma a distruggere (alza la mano sinistra,

e, sempre sorridendo dell’ingenuità del marito, mostra la fede) questa sua magia.

Lo vedo, glielo leggo negli occhi quando per caso il ricordo si avvicina a quei tempi. E’ questo suo non raccontare che fa male, perché Claretta Petacci, la giovane amante del Duce d’Italia è ancora viva profondamente radicata in fondo al suo cuore.

(si leva il grembiule) Sono qui e non sono gelosa; sono qui per sapere, devo e voglio solo sapere (anche lei comincia a cambiarsi, si scioglie i capelli, si sbottona la

camicetta).

"Todo illenas tu"

Ma questo anello non è una magia è una promessa, una lunga ed estenuante promessa.

E quindi, per questo, con questo (sempre riferita all’anello) sono qui e non sono gelosa, sono qui e voglio sapere, sono qui per dovere e voglio solo capire.

La donna continuando a cambiarsi sparisce camminando all’indietro sul praticabile buio, mentre i due principali vengono illuminati solarmente uno di giallo oro dei campi di grano in luglio, l’altro di uno splendente verde erba. Appena la donna scompare il fondale s’illumina di azzurro cielo.

Quadro 4

Entra nuovamente l’uomo, ma stavolta è visibilmente più giovane; i "due inverni" della sua vita non l’hanno ancora toccato ed emozionato e spavaldo si piazza come prima al centro del palco cominciando a raccontare. Tiene in mano il fez e dei ciuffi di grano coi quali gioca distrattamente.

Sandro-

Eravamo tutti ragazzi in quel tempo, stupidi ragazzetti di campagna che pensano solo alle lucertole e alle vacanze. No, non al lavoro, quello mai, anche se tutti noi ci spezzavamo la schiena coi nostri genitori nei campi fuori casa.

C’era la fame, una gran brutta fame in giro, c’era la depressione, ma c’era anche la speranza, c’era l’idrolitina per fare le bibite e la locomotiva proletaria, che ci portava gratis in giro per le gite; le canzonette, le palle fatte con gli stracci e le nostre partite, ma soprattutto c’erano per noi questi immensi campi di grano nei quali correre e nascondersi o dei quali biascicarne i

semi, per poi sputarseli addosso.

C’erano le lunghe giornate assolate in attesa della mietitura ed i nostri dieci anni che portavamo fieri sulla nostra fronte bruciata dal sole, e nei nostri discorsi pieni di boria e nei nostri sorrisi stupidi, da stupidi ragazzetti di campagna.

Non l’avevo mai vista prima d’allora; era appunto una bambina in quel tempo quando per la prima volta la vidi scendere dalla macchina (sulla scena, arriva una donna, anch’essa vestita anni Trenta. Rimane in piedi, emozionata, accanto all’uomo, come se stesse aspettando di essere presentata) che aveva trasportato il dottore del Vaticano e sua figlia fino a noi dalla sua casa di campagna.

Sapevo del suo arrivo, e come tutti i ragazzi di quell’età avrei preferito certo andare ad uccidere serpi piuttosto che rimanere a far da balia alla figlia di amici di famiglia.

Comunque quelle erano le direttive imposte da mia madre (l’uomo accarezza affettuosamente la donna che risponde al gesto ma senza guardarlo. E’ un’attrice che emozionata e felice aspetta il tempo per dire la sua battuta), e pertanto non erano in discussione.

La bambina che scese dalla macchina decappottabile guidata dallo choiffeur, era vestita come

si usa per una visita, ma non certamente per una gita in campagna; aveva corti riccioli castani che non coprivano il collo, era impolverata e lamentava una sete terribile dovuta al sole che picchiava ignorante sulla macchina senza copertura.

Io, affacciato alla finestra della mia camera, guardavo lontano la gracchiante lotta tra un mare di grano luccicante e i corvi liberi e neri, mentre desideravo e pensavo di essere lì con gli amici con una palla, con una fionda o semplicemente lanciando sassi il più lontano possibile, fumando tronchetti di verbena.

Rassegnato con gli occhi sull’orizzonte ascoltai mia madre, colla quale quel giorno avevo litigato e pianto un quarto d’ora prima, richiamarmi al dovere, dolcemente, come se nulla di quanto prima fosse mai accaduto.

Finalmente la donna accanto a lui si scorda del pubblico ed incomincia a recitare la sua parte.

E’ una donna semplice, dolce e molto giovane.

Madre -

Sandro! Sandro! Vieni giù che abbiamo visite! (rivolta agli ospiti, in platea). Un attimo vado a chiamarlo, starà giocando in camera sua è un discolo, ma è buon ragazzo (avvicinandosi alle scale). Sandro accidenti scendi o stasera te le suono!

Scende un bambino dalle scale che senza dir niente, quasi correndo per evitare uno scapaccione della madre corre fuori scena dall’altra parte del palco, dove sono gli invitati; la madre sorridendo senza farsi vedere, lo segue.

Madre -

E non farmi fare brutte figure!

Il bimbo passando davanti al se stesso grande guarda curioso l’uomo e con uno scarto sul lato schiva la carezza che l’uomo tenta di dargli sulla testa, poi lo supera ed esce. La madre supera l’uomo senza curarsi della sua presenza e segue il bambino. Sandro guardando i due, mette un bacio in una mano e lo getta in direzione delle quinte verso la donna ed il bambino.

Sandro -

Avevo dieci anni…

(ritornando al racconto) Non l’avevo mai vista prima d’allora ma diventammo subito amici. Eravamo ancora bambini quando per la prima volta, fuori dalla vista dei nostri genitori, ci levammo le scarpe ed il vestito per correre nel campo dietro la casa, vicino alle acacie, dove il torrente che passava di là faceva una grossa curva creando una pozza d’acqua profonda

nella dove ogni pomeriggio ci davamo appuntamento con i miei amici per fare il bagno.

Di quell’incontro, il primo, ricordo la curiosità di tutti per le cose che lei raccontava su Roma, il mio sentirmi così fiero di avere un’amica che era in grado di trattenere il respiro come e quanto Paolo mio fratello (entra il fratello e con noncuranza si avvicina a Sandro, tiene le mani in tasca ed un violino sotto il braccio) che si vantava sempre di essere il migliore sott’acqua ma che quella volta essendo stato con mio padre tutto il giorno al lavoro, lamentava una fiacca dovuta alla corsa per arrivare fin lì dove s’era.

Si distrae giocando con il grano e tentando di accenderlo per fumarlo lasciando la parola a Paolo che si presenta giovane, grande e forte.

Paolo -

Ero più grande, solo per questo quel giorno ero a lavorare mentre lui no.

Li raggiunsi però più tardi e fu lì che anch’io, quel giorno conobbi Claretta Petacci, la futura amante del Duce.

E’ vero anch’io quel giorno ne fui subito colpito, era ancora una bambina, ma aveva una dolcezza, un modo di guardare le cose (guarda il violino che tiene tra le mani) che non poteva passare inosservato (pizzica le corde dello strumento).

Era sorridente, felice, come può esserlo una bambina leggera che muore dalla voglia di giocare e che finalmente è lontana dallo sguardo vigile dei suoi genitori. Cosa poteva fare, si levò le scarpe, il vestito e fece il bagno con tutti noi, e nessuno quella sera non fu in grado di non sognare, una volta solo nel suo letto, di quella ragazzina un po’ maschiaccio ed un po’ signorina.

Sandro -

Ricordo che ero sdraiato sull’erba, e guardavo le nuvole e gli uccelli alti nel cielo mentre il sole ci asciugava la pelle e l’ascoltavo parlare con Luigi, Francesco, o Paolo (appoggia la mano sulla spalla del fratello) che restava in silenzio seguendo le sue storie sulla città, e ricordo che a tratti chiudevo gli occhi e mescolavo alle parole il frinire delle cicale, il bruciare del sole, l’odore del grano ed il sapore dell’erba in bocca… chiudevo gli occhi e mescolavo i miei amici la mia libertà e la mia fantastica vita col dolce pensiero della scuola ancora molto lontana.

Il pomeriggio volò, e per quel pomeriggio la nostra palla di stracci, che sempre prendevamo a calci, rimase, per la prima volta, come cuscino sotto le nostre teste.

Non l’avevo mai vista prima d’allora; eravamo ancora bambini entrambi, mio fratello, tutti, eravamo a metà degli anni Venti e da sempre, e per sempre collego a quell’incontro la felicità della mia ultima, spensierata, e giocosa estate.

Esce di scena mentre i colori della scena cambiano lentamente, il giallo si fa più ocra il verde si scurisce mentre il cielo si porta al grigio. Paolo si alza dal suo posto quasi meravigliato del cambiamento della scena e si porta al centro del palco e poi si volta annunciando l’ingresso di Carmen.

Quadro 5

Da dove era scomparsa prima ritorna Carmen, anch’essa più giovanile ma senza la contentezza espressa dal marito.

Carmen -

Si conobbero.

(Paolo si avvicina, le prende la mano e galante gliela bacia, lei ricambia con una carezza, poi si allontana)

Si conobbero che erano ancora bambini, s’incontrarono in un’Italia che da poco aveva incominciato a cavalcare il purosangue fascista. Erano bambini e giocavano, e studiavano e come bambini crescevano ed imparavano e come loro tutti i bambini di tutta quella piccola Italia che ascoltando le promesse del suo cavaliere, entusiasticamente alzava il braccio fiero, col sorriso in faccia e lo sguardo bruciato al sole.

Come tutti i bambini e con i loro genitori si guardavano intorno con occhi sgranati spettatori inconsapevoli del circo più grande del mondo messo in scena dalla storia e da un uomo che nel ’25 piegando la stampa e tutti i mezzi di comunicazione al suo servizio, raccontò, ad una nazione, che a stento riusciva a sfamarsi, la favola di un impero con la sua ripresa economica, il lavoro, le sue fabbriche e la sua ricchezza.

Non aspettavano altro, e tutti, tutti quanti ci credettero, salirono in groppa e come bambini cavalcarono!

Quadro 6

Entra improvvisamente in scena Sandro pedalando su di una bicicletta coi freni a bacchetta. Entusiasta petto in fuori e fiero per la sua divisa.

I colori sui principali tornano decisamente più normali mentre il cielo si fa ancora più cupo.

Sandro-

Ma era un bel cavalcare, come non rendersene conto, ecco! in una situazione politica ormai in sfacelo finalmente avevamo trovato una guida.

C’era l’Italia c’era la fame la povertà, c’era la grandine a rovinare i raccolti, c’era il governo caduto nel caos e non più in grado di governare; c’erano tanti problemi e nessuna soluzione.

Tutti aspettavamo succedesse qualcosa e tutti festeggiammo quando qualcosa successe.

Arrivò Mussolini, un uomo, un lavoratore, e riuscì a dare una direzione unica agli sforzi politici del governo, con la forza si intende, ma quello era l’unico modo per farlo. Lavoro, ripresa economica, terra diritti! Non avremmo più aspettato che piovessero dal cielo!

Subito, il fascismo a me, come a migliaia di altri miei coetanei, dette il lavoro e delle scarpe (le guarda) di cuoio!

La marcia su Roma, (intanto pedala per il palco…) l’ostentata forza e sicurezza della gioventù fascista, il saluto romano, figli non più di un Italia estranea al suo popolo, ma chiamati uno ad uno a rendere conto del nostro operato, ognuno davanti a se stesso ed alla patria.

Forti perché eravamo forti, grandi perché eravamo grandi qualcuno era riuscito a comprendere che solo noi saremmo stati in grado di cambiare veramente le cose.

Questo era ciò che ci univa questo era ciò di cui c’era bisogno; ordine!

Eravamo nel giusto e finalmente trovammo la forza per far valere i nostri diritti!

Volevamo una guida e la storia ne partorì una più luminosa del cielo, forte come un impero. Volevamo credere, sorse la stella e le credemmo.

Mentre pedala gli salta la catena alla bicicletta che lo costringe a fermarsi per

rimetterla. Poi riprende con un altro tono

Del tempo mi ci volle per convincere mio padre che ciò era cosa buona

-"Non sarà certo il tuo Mussolini ad ammorbidire la terra o non sarà certo lui ad impedire alla grandine di venir giù sulle nostre teste"-

Ma mio padre era duro, duro col mondo e duro con se stesso, duro almeno quanto la terra che zappava o come il suo bastone che non era in grado di reggere la fatica consumata.

Duro, sì, ma la vecchiaia, come la pioggia riuscì ad ammorbidire quella terra che si dissolse da lì a poco tempo, fortunatamente, forse, prima dell’avvento della guerra. Morì improvvisamente lasciandoci tutti quanti senza fiato, compresa mia madre che rimase senza più lacrime ad addolcirgli gli occhi.

Entra ora in scena il fratello, vestito in abiti civili mentre la luce cambiando fa

scendere lentamente la notte

Mio fratello invece era duro e duro rimase; lasciò l’Italia, per la Francia prima e poi la Spagna.

Ormai il partito fascista stava facendo pulito dei suoi nemici e lui da bravo comunista, (ironico) da grande rivoluzionario, da eroe del dopo lavoro, tanto per alleggerire il cuore di mia madre non mancò di collezionare arresti e denunce, tanto che circa pochi mesi dopo la morte di mio padre fu costretto a darsi alla macchia.

Lasciò mia madre ormai vedova, la casa, lasciò me, i suoi amici, la sua famiglia, la sua terra.

Era comunista e lui, la sua testa, il suo corpo il suo coltello non riuscivano a capire il senso del fascismo.

Si! scappò in Francia prima e in Spagna poi.

Era un indesiderato ed a stento ormai riuscivo a tenermi fuori dalle ronde che lo andavano a cercare, era scappato per non farsi punire ed io fascista suo fratello a stento riuscivo a trovare il coraggio per provare a difenderlo.

Era andato via non c’era più e non lo stavo proteggendo, fu facile per me dimostrarlo, quanto non fu facile per me fascista rinnegarlo.

Mette mano al cinturone e militarmente fa un passo indietro entrando nell’ombra per lasciar parlare il fratello.

Intanto la notte si fa fonda, si vedono le stelle nel cielo ed un leggero cantare di grilli

Quadro 7

Paolo-

…Fascisti…

Già, fu facile per lui diventarlo, lui aveva studiato, lui conosceva la situazione politica, amava l’arte la letteratura leggeva di Marinetti e recitava poesie di D’Annunzio, la sera vicino al camino era a lui che mia madre con dolcezza chiedeva di raccontare storie.

Era il più piccolo è vero e non ce l’avevo con lui per questo.

Era il più piccolo ma non lo proteggevo certo per questo.

Amavo mio fratello almeno quanto odiavo il fascismo; amavo mio fratello, i miei amici la mia terra!

Ho odiato il fascismo solo in virtù di questo amore.

Non esiste odio senza amore, e non esiste amore che non sia invidiato.

Ho odiato il fascismo perché ti ruggiva dentro con tutta la sua forza e la sua prepotenza facendoti credere, finalmente d’essere vivo.

Il petto, unica gabbia al tuo cuore, gonfio e tronfio, lavagna scura, buona solo per appuntarvi medaglie!

Questo non era amore…

Leggeva Carducci in classe mentre io scioperavo in fabbrica coi miei compagni. Parlava di Nietzche e del super uomo mentre a noi le camicie nere ci massacravano coi loro bastoni.

Matematica, filosofia inglese; ci imprigionavano e ci interrogavano schiacciandoci i coglioni!

I Nomi! Volevano che raccontassimo i nomi!!

La sera accanto al camino mia madre chiedeva a lui di raccontare storie mentre mio padre in silenzio e disperato si procurava di fasciarmi la schiena pregandomi il giorno dopo di restare a casa.

Amavo mio fratello e con lui mia madre e la mia terra… (Sandro si accende una sigaretta illuminando il suo volto alla fiamma del fiammifero)

…(guarda il fratello con affetto) attento Sandro, quelle sigarette un giorno ti uccideranno, se non smetti di fumare…

Lasciai l’Italia, una notte, l’ultima che Sandro mio era di ronda.

Immediatamente Sandro sente un rumore nel buio e sempre militarmente con uno scatto estrae un grosso pistolone che punta sul fratello nel buio.

Sandro-

Chi è là fermo o sparo! Fatti avanti!

Rimane immobile col braccio teso cercando di vedere nel buio. Paolo, per istinto, estrae il coltello e poi si ferma. La notte è splendente e viva, col suo cielo, le stelle i grilli ed i rumori di animali notturni.

Paolo

Era l’ultima notte la più bella e splendida che riuscii a fermare nella mente.

Amavo il mio paese e me ne andai in Francia prima ed in Spagna poi.

Era una bellissima notte, splendida e troppo bella per uccidersi tra fratelli.

Ripone il coltello, si bacia la mano e getta il bacio a Sandro come lui prima aveva fatto col bambino e la madre, e, silenziosamente, sparisce nel buio. Sandro abbassa l’arma mentre una bellissima luna sorge nel cielo.

Alcuni secondi…

Torna la moglie di Sandro che si avvicina al marito forse per abbracciarlo ed in qualche modo consolarlo

Quadro 8

Sui due principali si leggono ora le facciate di due palazzi che trasformano il nostro palco in una strada cittadina.

Cambia totalmente atmosfera.

Sul tetto di uno di questi "palazzi" appare una donna che in camicia da notte suona un violino come per fare una serenata alla luna.

Carmen vede la donna e presa dall’emozione e dalla sorpresa porta la mano davanti alla bocca, poi guarda il marito che resta immobile di spalle, e silenziosamente esce quasi scappando dalla scena.

Sandro, ancora nel mezzo del palco sente la melodia, allarga le braccia senza però voltarsi verso la ragazza e comincia a parlare lentamente, guardando il pubblico in faccia, per far capire appieno la frase.

Sandro-

Cara Chiara Clarissa Carissima e Bellissima Claretta (detto questo finalmente esce lasciando spazio alla luna, alla città ed alla serenata)

C’è la luna, la città, la serenata ed una ragazza in camicia da notte sul tetto di un palazzo davanti ad uno sfondo stellato che sta suonando. Viene da pensare a come realmente potessero essere romantiche le notti di tanti anni fa coi lampioni, il silenzio ed il rumore delle carrozze; quando, improvvisamente un grido quasi disumano distrugge l’atmosfera.

Madre-

Claraaa!

La ragazza vacilla mentre con non poche difficoltà scompare col suo strumento dietro al principale.

Quadro 9

Dal praticabile scende sul palco una donna che a gran falcate raggiunge il centro della scena.

Il suo ingresso corrisponde ad un totale cambio di luci riportandoci dalla strada all’interno del palazzo. Dalla graticcia scende rapidamente un grosso lampadario di cristallo.

La luce è forte e chiara.

Madre-

(gridando isterica) Claraa!

(evidentemente in stato di apprensione) Ma si è mai vista una cosa simile! Ma questa è pazza! Ma si deve far curare!

Entra la ragazza sempre in camicia da notte ma con una vestaglia che si è appena messa e che ancora deve abbottonare.

Non ha più in mano il violino.

Clara-

(candidamente come nulla fosse) Eccomi mamma, cosa è successo?

Madre-

(in preda all’ira tentando di acchiappare la figlia) Cosa vorrebbe dire cos’è successo! Ma ora ti faccio vedere io! Te le suono come alla domenica di Pasqua.

Clara-

Ma… Non ho fatto nulla!

Madre-

Ma ti sei ammattita?!? Cosa penserà la gente!?

Clara-

Perché che ho fatto?

Madre-

Come che hai fatto! Salire sul tetto a suonare, ti crederanno una forsennata!

Clara-

(ora sicura di se, arrogante ed anche un po’ offesa) Me ne frego di quello che può dire la gente!

La madre si sente mancare e viene ripresa al volo dalla figlia che la fa sedere su di una poltroncina portata immediatamente da un macchinista (con tanto di borsa e martello) in veste di valletta.

Si siede e subito dopo arriva anche un bicchiere d’acqua portato dallo stesso.

Clara-

(la ragazza prende il bicchiere e lo porge alla madre) Prendi è orzata

La donna beve avidamente, poi, finalmente calmatasi ricomincia a parlare alla figlia.

Madre-

Ma Clara ti rendi conto? Non è normale, ma cosa ti credi di fare salendo sul tetto a quest’ora e di buio per giunta!

Non solo c’è da prendersi un malanno, si può rischiare di cadere!

Clara-

Oh via mamma, sto attenta che credi… …e poi avevo la vestaglia…

Madre-

(Nuovamente rigirandosi verso la figlia in malo modo) Non è vero! Ti ho sentita sai che avevi tutte le braccia ghiacce!

Clara-

Oh insomma mamma! Sono grande abbastanza per fare quello che credo sia meglio!

Madre-

Arrampicarsi su di un tetto per fare una serenata al vento non credo sia il proprio meglio! È’ da stupidi!

La ragazza si offende e volta le spalle alla madre che continua

Madre-

Ed è da stupidi continuare ancora con questa storia (alzandosi agitata), è da quando l’hai incontrato ad Ostia che non sei più la stessa ma credi davvero che una persona come lui coi suoi pensieri possa dar retta ad una stupida serenata suonata da un’altrettanto stupida ragazza?

Clara-

Non sono stupida! E tanto meno una ragazza!

Madre-

(ridendo di gusto) Perché credi di aver fatto una cosa intelligente? Da donna matura?

Rischiare di ammazzarsi per andare a suonare la musica ai gatti randagi!

Clara-

Basta! Tu non puoi capire!

Di certo non erano gatti randagi che mi stavano ascoltando!

Madre-

(sempre prendendo in giro la figlia) Perché credi forse che Mussolini abbia tempo da perdere con le serenate?

Credi forse che da palazzo Venezia possa sentirti lontano com’è!?

La madre ancora ride mentre si rimette a sedere sulla poltroncina finendo di bere il suo bicchiere d’orzata; Clara passa avanti verso il pubblico

Quadro 10

Clara-

(tra sé dolcemente, sul proscenio) No, non credo possa sentirmi, è lontano certo, ma penso che forse, se tutta la città per un istante facesse silenzio, se una leggera brezza riuscisse a portare le note in quella direzione, se lui per un secondo decidesse di riposarsi un attimo e staccatosi dal suo lavoro magari aprisse una finestra per affacciarsi e godere del cielo.

Se magari si soffermasse a guardare una piccola stella, forse delle Pleiadi, la seconda sotto Alcione, e così, fresco dell’aria fresca della sera e nel silenzio del silenzio della notte se guardando quella piccolissima luce sperduta nell’infinito buio riuscisse a credere che quella sottilissima melodia che pensa di sentire dentro di sé non è in lui ma è per lui, ecco se solo riuscissi a regalargli un attimo di serenità, certo ne sarei felice.

Basterebbe che una sera, una qualunque, stasera! Decidesse di aprire una finestra per riposarsi un attimo.

Quadro 11

Termina lo sfogo di Clara il suono del telefono che squillante viene portato dal valletto/macchinista alla madre che aspetta a tirar su la cornetta per rispondere alla figlia.

Madre-

Mussolini non si riposa mai! Tanto meno va ad aprire le finestre per ascoltare la musica di una ragazzetta che tiene solo riccioli nella testa

Finalmente alza la cornetta e rimane in ascolto. Come per un altro mancamento è costretta ad aggrapparsi alla poltrona, la figlia accorre ma la donna resiste all’apparecchio.

Madre-

Si! Mi passi, Grazie (è visibilmente agitata) Si pronto buonasera un attimo solo gliela passo…

Clara-

(preoccupata) Chi è! Cos’è successo! Mamma non farmi restare in pena!

Claretta prima esita, poi strappa la cornetta alla madre che intanto si è risieduta; stringe l’apparecchio al petto poi finalmente lo porta all’orecchio, finge calma ma il suo pronto risulta strozzato e ridicolo – "si sono io" –riesce appena a dire e poi si confonde tra un "Duce" ed un "sua eccellenza". Finalmente riesce ad annuire –"si certo non mancherò" e riattacca.

Guarda la madre seduta, barcolla anche lei e subito arriva il valletto con un'altra poltroncina.

La ragazza crolla sulla poltrona, guarda la madre in silenzio, la madre ricambia lo sguardo ed il silenzio della figlia.

Torna il valletto con l’orzata per Clara, ma la madre gliela strappa dal vassoio e la beve tutto d’un sorso. Il macchinista rimane sorpreso, poi prende i bicchieri vuoti e sparisce dietro le quinte.

Cala il buio sulle due donne e sul loro silenzio.

Quadro 12

Entra Paolo

Paolo-

Fu così che Claretta Petacci, amica di Andrea, divenne l’amante del Duce.

Per un istante il destino volle Mussolini stanco affacciato alla finestra a guardare le

stelle (guarda complice il pubblico)… roba da non credere.

Amavano la stessa persona mio fratello e lei; lui colla testa e col braccio, lei col cuore

E con tutta se stessa.

Claretta scrisse una lettera a Sandro nella quale, entusiasta, raccontava l’accaduto.

Lui non rispose mai a quella lettera e partì soldato.

In Africa prima ed in Spagna poi.

Quella fu la sua risposta.

L’amava, certo, amava il suo sorriso, forse la sua voce, quel suo modo d’amare.

Forse non erano stati solo amici.

Scappò! Si scappò come feci io, ma io corsi lontano dall’odio, e lui, lui dall’amore.

In Africa prima ed in Spagna poi.

Io scappai per lottare contro quel regime, lui scappò per lottare per quel regime e per sostenere la sua causa.

Tutte le guerre avrebbe voluto sul suo petto ma non bastava la guerra e non si accontentava il cuore di combattere e di morire per l’uomo del suo amore!

Entra la madre dei due. Sorge dal buio, si guarda intorno come se stesse attenta di essere sola e parla sottovoce.

La madre-

Paolo! Paolo ci sei?

Sandro-

Mamma!

Paolo porta commosso una mano alla bocca e lentamente esce, la madre non lo vede.

La madre-

(sottovoce) Paolo sono io! Non c’è nessuno!

Vieni ti ho portato dei panni puliti ed un po’ di pane!

Paolo rispondi sono la mamma!

E’ Sandro che uscendo dal buio risponde alla madre.

Sandro-

Non c’è mamma!

La madre-

Sandro! Che fai qui ! (volta le spalle al figlio abbracciando il fagotto) mi hai seguita! Hai seguito tua madre!

Sandro-

Mamma (va dalla madre a l’abbraccia da dietro le spalle)!

La madre-

Dov’è Paolo!

Sandro-

Non c’è non verrà più!

La madre-

Dov’è! Cos’ha fatto! Dov’è!

Sandro-

E’ partito Mamma! E’ partito!

Ho trovato questa lettera vicino alla legnaia e sono venuto a cercarti.

Sapevo che vi incontravate qui.

La donna prende il foglio e lo stringe a sé.

Da dove era scomparso, Paolo riappare e legge nella sua memoria.

Paolo-

Quadro 13

Mamma, mamma cara.

Perché tanto odio in tanto amore?

Ti lascio, lascio te la casa, lascio l’Italia, ti lascio con Sandro che meglio di me potrà proteggerti;

ma il mio cuore resta appiccicato a te, al tuo profumo e tornerò vedrai un giorno per poterlo riprendere, e allora saranno tempi migliori, e potremo tornare tutti insieme a fare festa, sederci al tavolo la sera ed ascoltare i racconti di Sandro purché non siano seri. E mangeremo olive e rideremo col pane caldo in mano e ripensando a questi momenti ci sentiremo ancora più uniti.

Mamma, mamma cara, un bacio, un altro bacio soltanto; quello che mi lasciasti sulla fronte la settimana scorsa quando mi portasti i vestiti puliti, se mi tocco la testa lo sento ancora e mi brucia e ne sono fiero, e se cammino me lo vedono in molti.

Sono pazzo della mia grande mamma!

Addio e pensa a te

Tuo e soltanto tuo Paolo.

I due fratelli escono di scena

Quadro 14

La madre-

Partirono, tutti e tre.

Uno per mare, Sandro, verso sud, partì per non pensare all’amore.

Un altro, Paolo, per terra verso nord, lasciò tutto per l’odio…

L’ultimo, ma non ultimo, il mio più vicino, il più forte, mio marito, partì in cielo con Dio

…Forse, così, perché per il destino era la sua ora!

Ma dov’è quest’orologio? Di chi è questa lancetta?

Dio no! Non dire!

Sei forse quel grande macellaio?

Entra Carmen e fa una carezza alla donna, per consolarla.

La donna risponde alla carezza e le lascia il palco. Esce.

Carmen-

Mamma cara,

Cara madre di mio marito così come mia madre.

Il tuo cuore hai diviso ed in tre parti l’hai tagliato.

Un pezzo in Francia l’hai spedito col tuo figlio che ha tradito.

L’altro in Africa hai mandato con lui che ti ha lasciato.

L’ultimo pezzo che è rimasto chissà dove l’avrai nascosto

E’ con tuo marito sotto terra che aspetta la fine della guerra.

Mamma cara, cara madre, non è avanzato neanche un pezzo per te che sei rimasta da sola lì nel mezzo.

E per questo mi domando come farai poi forse un giorno se un figliolo sfortunato il suo pezzo

avrà smarrito.

Ma cara mamma mi scordavo e per questo non capivo!

Che per quel giorno col tuo amore ti sarà già, certo, ricresciuto il cuore.

Quadro 15

Carmen esce di scena mentre la luce diventa più calda, solare.

Cala dalla graticcia una tela leggera che scenderà fino a terra rimanendo legata in alto per un lembo. Coprirà come una vela tutta la scena formando una grande tenda da deserto.

Entra Sandro in divisa, con una di cassa da viaggio in braccio.

Sandro-

Attendente! Attendente!!

Ma possibile che dopo pranzo sparisce tutto il plotone!

(gridando) Mazzella! Mazzella !!

Corri immediatamente senno ti…

Mazzella-

(Mazzella parla napoletano ) Eccomi maresciallo! Sono qua!

Sandro-

Sono qua un corno è un’ora che grido!

Mazzella-

Ehhh maresciallo …è che mi ero appisolato un poco.

Sandro-

Erano questi gli ordini?

Mazzella-

Fa caldo maresciallo! E poi la guerra è finita.

Sandro-

Ma finché sarai ai miei ordini la guerra dura ancora e sarà peggio di quella che hai passato se non fai esattamente ciò che dico!

Mazzella-

Va bene maresciallo.

Sandro-

Dov’è la scrivania con i cassetti.

Mazzella-

Sul camion, maresciallo!

Sandro-

E chi diavolo ce l’ha messa sul camion la mia scrivania!

Mazzella-

I soldati! traslocano il campo, maresciallo! Caricano tutto.

Sandro-

Ma c’era tutto il mio carteggio nei cassetti!

Esce di scena e Mazzella si siede sulla cassa. Mazzella è una persona semplice, a cui ormai non interessa più nulla della guerra, dei gradi, vuole solo tornare a casa. Il caldo gli abbassa la pressione facendolo sembrare quasi fuori di sé

Mazzella-

Che caldo!

Che razza di caldo! (tira fuori un grosso fazzoletto e si asciuga tutto il sudore)

Ma che caldo manca proprio…(boccheggia)… …(scuote la testa si sdraia sulla cassa) manca.

Sembra che stia per dire qualcosa ma poi sospira e desiste sembra non reggere e si accascia sulla cassa. Torna Sandro con un cassetto da scrivania in braccio, traboccano alcuni fogli; sembra un po’ più tranquillo.

Sandro-

Che vuole anche una bibita signor Mazzella ?

Mazzella-

(rialzandosi) E’ la pressione signore!

Sandro-

Su avanti resisti, (si siede sulla cassa al posto del soldato e riguarda le carte appoggiando il cassetto sulle ginocchia) pensa che tra meno di una settimana tornerai di nuovo a casa a Napoli

Mazzella-

Ma quante volte ve lo devo dire maresciallo io sono di Caserta!

Sandro-

Si va bene tanto sempre di lì sei

Mazzella-

Certo maresciallo (si asciuga nuovamente il collo)!

Ma voi come fate a stare così sveglio …con questo caldo.

Sandro-

(chiacchiera con non curanza rimettendo a posto le carte che sono nel cassetto) Ringrazia il cielo che non sei nella milizia sennò a quest’ora tenevi la divisa scura addosso.

Mazzella-

Sudavo meno a fare il muratore!

Sandro-

E allora perché non hai fatto il muratore così non venivi a rompere qui a noi!!

Mazzella-

Si e chi vi sopportava a voi maresciallo! Sapeste quello che dicono di voi gli altri soldati; (serio) e poi non ce n’era lavoro come muratore, neanche come manovale.

… …

Maresciallo crede che al nostro ritorno ce lo daranno un lavoro?

Sandro-

Come non sei stanco di sudare?

Mazzella-

No signore non sto scherzando, parlo di un lavoro vero che ti alzi la mattina e ci vai, che ritorni a casa la sera, che ci mantieni la famiglia.

Eh? Crede che ce lo daranno? Quando torneremo…

Sandro-

Mazzella Hai conquistato un impero, hai lottato, ucciso e rischiato di morire per l’Italia intera…

Certo che ti daranno il lavoro quando tornerai!

Altro che solo un lavoro ti daranno!

Nel tuo paese ti tratteranno tutti da eroe!

Mazzella-

(sorridendo contento) E’ sicuro Signò che io non voglio fare un’altra guerra voglio stare a casa nel mio paese.

Sandro-

Hai la mia parola tornerai e l’Italia intera ti sarà riconoscente.

Mazzella-

Che bravo signore che è il mio maresciallo spero proprio di rincontrarla quando saremo civili.

Si avvicina al superiore forse per abbracciarlo o forse solo per stringergli la mano. Sandro indietreggia e comanda:

Sandro-

Ma che fai soldato! Avanti leva le tende che torniamo a casa

Si tira la tenda a nascondere la cassa ed i due uomini, mentre da dietro alla tela spunta fuori Carmen che si avvicina al proscenio.

Quadro 16

Carmen-

Migliaia di disoccupati!

Questo era il loro fascismo in tempo di pace.

Tutti giovani che avevano trovato nella carriera militare la loro unica via di uscita dalla fame e

che con la guerra d’Africa sentivano di aver finalmente conquistato un po’ di rispetto, ora rimanevano a carico delle famiglie, disoccupati, umiliati, in attesa di un impiego civile o di

un’altra guerra.

Ed il fascismo subito non mancò di deluderli appoggiando immediatamente dopo la prima una

seconda guerra, assurda come assurda può essere solo la guerra.

Gli italiani, la gioventù fascista, i coscritti, e la milizia, partirono; accanto al generale Franco in Spagna contro gli spagnoli; ed i comunisti, gli italiani, gli anarchici, i socialisti, accanto agli

spagnoli, dalla Francia in Spagna, contro gli spagnoli!

Sandro, coi suoi soldati tornati dall’Africa disoccupato, umiliato restava in attesa di un impiego civile o di un'altra guerra.

Fu una guerra civile, spagnola.

Fu una guerra civile violenta e fratricida.

Finisce ogni rumore e si spenge ogni luce.

Quadro 17

Rimane un cielo stellato sullo sfondo.

E’ buio e davanti al chiarore stellare leggiamo solo le sagome nere dei due principali.

Nella calma e nel buio si sentono delle voci che piano parlano in spagnolo. Un parlare sommesso, tranquillo, un soldato sembra lamentarsi, mentre un altro un po’ più ansioso tenta di farlo tacere. Ne nasce un piccolo diverbio quasi ridicolo fatto sottovoce.

Improvvisamente un terzo uomo, sempre in spagnolo, fa tacere tutti con un richiamo allarmato.

Torna immediato il silenzio per alcuni momenti.

Nel buio si sentono altre voci, vengono da un’altra direzione e sono in italiano.

Anche qui in molti si lamentano.

Si riconosce chiaramente la voce e la cadenza di Mazzella che parla nel buio.

Mazzella -

Maresciallo, è freddo, i soldati si lamentano, sono veramente stanchi.

Sandro-

Ok fermiamoci qui, ma non più di un ora che non siamo al sicuro.

Si sente il rumore di molti uomini che mettono a terra gli zaini.

Nel buio Sandro si accende una sigaretta illuminandosi il volto.

Improvvisamente scoppia un inferno di colpi d’arma da fuoco e di mitra!

Sandro-

Tutti a terra è un’imboscata!

Grida in spagnolo ed in italiano si mescolano agli spari ed ai bagliori dei proiettili esplosi.

D’improvviso due colpi contemporanei, un bagliore più forte degli altri, un solo ed unico flash, mostra per una frazione di secondo Sandro e Paolo sul proscenio, uno a destra l’altro a sinistra, fratelli, braccia tese, armi in pugno, che si sparano l’uno contro l’altro.

Il loro colpo è il finale della scena.

Silenzio e sipario.

Secondo Tempo

Quadro 1

Si riapre il sipario sull’interno di una stanza di un palazzo. Il lussuoso lampadario pende dalla soffitta.

Un tavolino nel mezzo, con un candeliere con le candele spente, un porta ghiaccio con una bottiglia dentro, due calici, una piccola radio anch’essa spenta. Una poltroncina accanto al tavolo con sopra seduta, sdraiata, stanca ed annoiata Claretta che veste solo una suntuosa vestaglia sopra ad una pari camicia da letto.

E’ annoiata stanca, triste; appoggia la testa e le braccia sul tavolo, cambia svogliatamente posto ai bicchieri.

Prende in mano un fiore che era sul tavolo, lascia le pantofole a terra e tira su le gambe, se le abbraccia mentre annusa il fiore. Rimette giù le gambe, guarda il fiore e delicatamente, quasi con curiosità ne stacca un petalo. Lo appoggia sul tavolo. Si rigira il fiore tra le mani e poi ne stacca un altro, e poi un altro ancora e di nuovo e non si ferma e gli stacca tutti e poi, annoiata, ascoltando i tonfi sordi, sbatte ripetutamente il fiore sul tavolo.

Del fiore non rimane più nulla e lo getta a terra; immediatamente dopo suona il campanello.

Si alza di scatto, un attimo smarrita, agitata rimette a posto i bicchieri, si fruga addosso ma trova i fiammiferi solo dopo, sul tavolo; accende in fretta e furia le candele, e la radio, corre verso la porta ma poi torna indietro raccoglie il fiore e quel che ne resta e si in fila tutto in tasca.

Finalmente va verso la porta

Clara-

(la voce è dolce, un po’ maliziosa) Prego avanti!

Entra a gran passo un uomo in divisa con un gigantesco mazzo di fiori.

Soldato-

Il signore si scusa ma è stato trattenuto per affari di stato.

Le manda questi fiori per scusarsi,certo che la signora capirà.

Mi ha detto di dirle che cercherà di telefonarle più tardi per farle gli auguri di buon compleanno.

Porge i fiori alla donna, che silenziosamente li prende in braccio, e fa per andarsene impacciato, ma si ferma bloccato dalla donna.

Clara-

(delusa) Lei non potrebbe rimanere, almeno un momento, per brindare, ho dello spumante lì e sarebbe uno spreco non assaggiarlo, un solo momento, è il mio compleanno, un brindisi appena.

Soldato-

(un po’ impacciato) Mi dispiace signora, sono in servizio, non posso proprio, arrivederci (esce).

Claretta torna in mezzo al palco con in braccio i fiori tenendoli delicatamente come se fossero una piccola creatura, mentre la stanza lentamente si fa più buia come se la notte arrivasse solo ora.

Alla radio si sente un dolce ballabile e lei, lentamente, insieme al lampadario sopra di lei che dolcemente inizia a muoversi, comincia a ballare da sola. La luce si fa più crepuscolare e mentre lei ormai balla disperatamente con un mazzo di fiori come cavaliere; dal fondo come un fantasma arriva Sandro.

Quadro 2

Lei sembra non vederlo, neanche quando, approfittando di una giravolta della donna subentra lui al posto dei fiori riuscendo in un attimo ad appoggiare il mazzo sulla poltrona.

No, non si è accorta di niente e si abbandona completamente fra le braccia di quest’uomo che assieme alla musica la sta facendo volteggiare per tutta la stanza.

Si abbandona completamente, piccola ed indifesa e stanca, per una sera, del ruolo che la Storia le ha dato.

Rallenta il ritmo e rallenta la danza, Sandro, passati vicino al tavolo, approfitta di nuovo di una piroetta per sostituire il suo corpo coi fiori.

Clara anche stavolta non si accorge di niente e continua a ballare.

Sandro come era entrato lentamente se ne esce.

Clara continua a ballare festeggiando il compleanno abbracciata ad un mazzo di fiori.

La musica finisce, il lampadario si ferma e lei stanca si siede.

Squilla il telefono.

Clara-

Ciao come stai?

Si li ho ricevuti…

Si! certo capisco…

(allarmata) Come? Tra un’ora… Certo, si doveva fare… sarà una guerra breve?

Sicuro accenderò la radio… …Sì a domani.

Esce di scena correndo, quasi scappando, raccogliendo poche cose dalla tavola, mentre velocemente sale il buio insieme ad un gran rumore di folla, una piazza gremita che attende agitata il discorso.

Quadro 3

Appena inizia la registrazione storica, dalla radio, con la voce di Mussolini i due principali si illuminano di porpora, mentre man mano che va avanti il discorso sul fondale sorge gigante e proiettata l’aquila del Reich, nera su sfondo viola. Con passaggi graduali verso il cuore del discorso sui due principali inizieranno a giganteggiare due svastiche naziste, su di una luce che diventa bianca, mentre sul fondale scomparirà l’aquila lasciando la tela illuminata di un intensissimo rosso porpora.

Coriandoli scendono copiosi sulla scena vuota.

Mussolini -

(registrazione storica) Combattenti di terra, di mare e dell’aria!

Camicie nere della rivoluzione e delle legioni!

Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania! Ascoltate!

Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili.

La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di gran Bretagna e di Francia.

Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente, che in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano…

La nostra coscienza è assolutamente tranquilla.

Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto non fu vano…

L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai.

La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti.

Essa già trasvola ed accende i cuori dalle alpi all’Oceano Indiano:

Vincere! E vinceremo!…

Popolo italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!

L’apoteosi della folla scoppia sul fondale infiammato di porpora e sui principali neri con le svastiche circoscritte in un tondo bianco.

Sale il rumore col battere dei tamburi fino ad un’esplosione che spenge tutto.

Quadro 4

Appena ne abbiamo abbastanza tutto si spenge in una luce marrone, autunnale; color di ruggine che piove sopra ai due principali, un cielo di piombo, freddo sul fondo; suoni lontani, appena accennati di gabbiani e di navi che partono, echi leggeri che rimbalzano in uno spazio improvviso, svuotato. Delle leggere folate di vento smuovono a tratti i coriandoli rimasti a terra portando talvolta una leggera musica di gusto spagnolo.

Entra un uomo, attraversa il palco senza curarsi degli spettatori.

Quando si trova circa nel mezzo ne arriva di corsa un altro che tiene con le mani una grossa testa di toro e tenta di incornarlo.

Il primo uomo riesce a schivare la bestia che mancato il bersaglio stenta a fermarsi.

Immediatamente l’uomo si scioglie dalla vita un drappo rosso che usa con l’animale un torero nell’arena. Dopo qualche prova di coraggio torna in scena Carmen che parla senza curarsi della scena che si svolge alle sue spalle.

Carmen-

?Donde estavan mis hermanos? ?Que estavan hasiendo?

Esta bien, l’Italia era entrata in guerra, tutta l’Europa era in guerra

L’aquila nazista, ormai, stringeva nei suoi artigli il mondo intero.

Guernica era la nostra bandiera!

Il torero sta infilando le lance colorate sulla testa del toro

Trovarono mio marito nei boschi presso Teruel vicino a Saragozza. Era mal ridotto, in fin di vita. Doveva aver vagato in stato confusionale per diversi giorni.

Il toro barcolla ma ancora ha la forza di correre.

Aveva disertato, era senza divisa.

Non ha mai più fatto ritorno in Italia, mai più!

Jo soi espanol.

Sono spagnola.

Lavoravo come infermiera all’ospedale della città ormai riconquistata par los general Franco.

Fu lì che conobbi Sandro, in ospedale.

M’incuriosì subito quell’italiano silenzioso e schivo.

I primi giorni credevamo che lo avremmo perso poiché sembrava non voler reagire alle cure, poi lentamente il suo corpo si dovette arrendere alla vita che, lentamente, riusciva a riconquistarlo.

Il toro è sempre più stanco e lento

M’incuriosì subito quell’italiano, e non sapevo neanche da dove venisse e perché.

M’incuriosì subito quell’italiano solo, e silenzioso e con un dolore dentro che andava oltre il suo sguardo morbido.

(con odio) Non era fascista gli si leggeva negli occhi!

Tutti noi ci stavamo riprendendo da quella terribile guerra, raccogliendo da terra i nostri pezzi, i nostri morti.

Franco aveva vinto e c’era la dittatura, ma la guerra civile ci aveva spezzato dentro e non avevamo più la forza di combattere l’uno contro l’altro. C’era la nostra gente per strada e si ricostruivano i muri usando le lacrime mescolate alla polvere di cemento.

M’incuriosì quell’italiano solo e silenzioso con quel dolore, dentro, che lo trascinava in strada, tra le nostre macerie, dove seduto si fermava su di un avanzo di muro a guardare un gruppo di ragazzetti giocare, al sole, con una palla di stracci arrotolati.

Incuriosiva quell’italiano ed incuriosiva quel suo dolore.

L’amai!

E forse mi amò!

Carmen esce di scena.

Finalmente il torero tira fuori la spada luccicante e trafigge la testa del toro.

Neanche si volta per vederlo stramazzare a terra che già alza le braccia in segno di vittoria verso la platea. Ma il toro non stramazza, lentamente si volta e inizia la corsa che lo porterà a travolgere l’uomo.

Tutti e due rimarranno a terra uno sopra l’altro.

Quadro 5

Cala dall’alto, davanti all’uomo ed al toro, un sipario leggero,illuminato di rosso come un gigantesco drappo da arena.

Contemporaneamente entra anche Sandro. Ha gli occhi bendati. Si porta sul proscenio camminando incerto come appunto se non ci vedesse.

Il sipario dietro a lui si muove come se ci fosse una leggera brezza.

Un faretto giallo sottolinea le morbide onde del drappo.

Sandro, ormai solo, parla come se stesse recitando Shakespeare

Sandro-

Macerie

Vittorie

Fratelli, amici, nemici.

Dormire, meglio morire.

(alla moglie che lui crede in platea) Questo il ragno nero che porto nel cuore, amore.

Come fare finalmente per riuscire a poter morire.

Carmen, è forse meglio che capire o dover ricordare

Meglio un'altra guerra o da questo ragno finire impiccato, che restare così seduto come il fiasco svuotato.

(improvvisamente dimena le braccia come se si dovesse difendere da fantasmi) Meglio sarebbe allora prendere questa bottiglia e scaraventarla a terra! Così poi da distruggerne i pezzi in mille briciole taglienti!

(ricade a terra stringendosi il corpo e calmatosi riprende)

Ma non a noi spetta il potere di decidere di potersi uccidere.

Meglio una guerra meglio morire.

E’ questo grande macellaio che decide così le sorti mescolando i nostri volti e nascondendoci gli inganni.

Che cos’è quel macellaio che riporta tuo fratello, che non ferma la tua mano, che non fa soffiare il vento che ti fa mirare diritto!!

Ma chi sei mio macellaio ma chi sei fatti sentire e ti prego fatti odiare perché non riesco più a morire.

Finito lo sfogo si scioglie la benda dagli occhi e la lascia cadere.

Ricomincia a parlare mentre dietro al leggero sipario si vedono non più onde ma colpi dati sulla tela. Con catinelle, pezzi di gomma legati e poi lanciati si tenterà di far credere che dietro alla tela ci sia tutto un mondo vivente che si muove, che lotta e si sposta da una parte all’altra, e che solo la sottile tela, come una membrana, riesce a contenere la sua agitazione e a non farla rovesciare sul palco e giù in platea

Lontane, ovattate arrivavano le notizie di un Italia ormai in sfacelo.

La mia famiglia non c’era più, i miei amici chissà ormai da che parte stavano…

I tedeschi ormai spadroneggiavano ovunque e dettavano legge in tutta Italia.

Velocemente si stava scoprendo l’inganno, ed il circo Mussolini aveva ormai perso il suo telone mostrando solo la sua carcassa nera e i resti di tutti i suoi animali sepolti.

Per strada volti di bambini impolverati e madri coi tagliandi per il pane.

C’era rabbia, c’era paura.

L’abbaglio del Duce per la potenza nazista non era stato diverso dall’abbaglio che aveva preso una piccola Italia per questa stella.

Il fascismo non aveva ormai forza per brillare e la Germania cercava disperatamente di dargli ancora un po’ di luce riflessa.

L’agitazione dietro alla tela piano si placa, scomparendo col discorso di Sandro.

Gli alleati, piano, da sud, liberavano l’Italia.

Salò la piccola repubblica sul Garda durò solo ancora per cento giorni.

La resistenza riusciva ad organizzarsi ed ad organizzare i paesi liberati al nord.

Ormai né più i tedeschi né Mussolini potevano pensare che sarebbe potuta durare ancora.

Donna, ragazza innamorata, unica a tenere viva la speranza d’amore.

Cara Chiara Clarissa carissima Claretta, non la guerra, non la morte hanno fermato il tuo amore, dove sei e che tempo batte ora il tuo cuore.

Terminate le parole di Sandro il sipario, ormai immobile, improvvisamente e morbido, cade sganciato dalla soffitta. Il lembo che prima sfiorava terra viene tirato dietro una quinta in modo che il sipario si trasforma in un leggero tappeto che va a ricoprire il centro del palco.

Si spengono i toni rossi.

Quadro 6

La luce si fa tutta grigio azzurro metallico, sul fondale, sui due principali e sul tappeto a terra.

Claretta è in fondo al palco sopra le scale.

Dei macchinisti,dietro ai principali, la gonfieranno d’aria la tela con movimenti ondulatori, simulando delle leggere onde che si sgonfieranno sul proscenio. Lentamente, come se fosse il mare.

Sandro rimane immobile vicino alla platea come se fosse seduto sulla riva di questo mare.

Clara-

Caro Benito, sogno di noi, in quest’ora immobile, sogno le vele bianche sopra di noi;

il vento le tocca e tocca anche te, le tue palpebre un po’ stanche, e tocca le tue vene delicate.

Questi versi li leggo scritti sotto un cielo terso di cristallo azzurro e leggero e tutto d’Annunzio è in questo lago trasparente, dai riflessi argentei, dalle tinte sfumate come un pastello.

Sono distesa sulla passerella di legno, dura, stretta appena quanto il mio corpo.

Intorno a me è il cielo, sotto di me il lago col suo ritmo incessante che mi ricorda il mare.

Guardo in alto con i raggi negli occhi. Vedo azzurro attraverso i rami dei pini distesi colle braccia aperte al sole.

Una vela alta passa lenta e gonfia e taglia con una nota di colore il monte.

E’ dolce, è buono questo essere sospesi tra cielo e lago.

Solo questo, ed il tuo destino sarà il mio.

Buio.

Si riaccendono le luci e ritroviamo nuovamente il sipario verticale e Sandro, sempre sul proscenio, seduto come se fosse sulla riva del mare.

Quadro 7

Sandro-

Cara Carmen, perché ci muoiono i figli nonostante il nostro amore.

Perché non venne il vento a fermare la mia mano!

Perché non fu lui a mirar diritto.

Non si può arrestare il cuore, neanche con l’amore?

Perché non c’è magia che può lenire questo dolore!

Improvvisamente si alza e si getta contro il sipario alle sue spalle. Questo si apre svelando, sul fondo della scena, un piano inclinato sul quale vi sono appesi per i piedi i corpi di Mussolini e di Claretta.

Sandro alla vista dei due corpi si ferma, incredulo si volta verso la platea, fa due passi avanti e poi torna in ginocchio.

Entra Carmen alle sue spalle mentre scompare il piano inclinato coi corpi.

Quadro 8

Carmen-

Sandro!

Il nome dell’uomo viene pronunciato nel totale silenzio.

Sandro appena si sente chiamato alza la testa, ma rimane rivolto verso il pubblico.

La donna alle sue spalle trova a terra il foulard, lo raccoglie e glielo lega amorevolmente al collo, poi si sfila la fede nuziale, e gliela porge, lui la prende; guarda l’anello mentre lei esce.

Sandro si sfila dalla mano la sua fede e insieme all’altra; chiuse nel pugno lo bacia e lancia il bacio in platea, le fedi sono sparite. Come per un gesto magico le luci cambiano portando un’atmosfera da sogno.

Quadro 9

Sul palco appare Mazzella, è vestito molto bene, pettinato, sembra pronto per andare all’opera; naturalmente ha sempre un forte accento napoletano.

Mazzella-

Maresciallo, maresciallo E’ permesso?

Sandro-

(sorpreso) Mazzella cosa ci fai qui ma tu non eri…

Mazzella-

…Eh caro maresciallo… le vie del signore sono infinite.

Pensi.. mi hanno anche trovato un lavoro

Sandro-

(lo guarda sorpreso vestito di tutto punto) Ma che sei diventato prete?

Mazzella-

Eh no! Di più, che me ne facevo io di diventare prete… poi non si poteva …poi c’era troppo da studiare, io sono per i lavori manuali lo sa benissimo…

Sandro-

Fa.. Facevi il muratore giù a Napoli….

Mazzella-

L’avrei voluto fare… ma non a Napoli io sono di Caserta

Sandro-

Mazzella…

Mazzella-

Sono un... diciamo ambasciatore ora maresciallo.

Comunque posso fare carriera, per ora faccio queste piccole commissioni sa, portare questo a quello, dire cose…

Se riesco a fare tutto senza confusione fra un po’ passerò di grado e forse mi daranno anche un paio d’ali

Sandro-

Mazzella ma tu sei un Angelo!

Mazzella-

Angelo… Maresciallo è parola grossa ora faccio solo queste cose se mi riescono tutte bene forse me (l’hanno promesso) dovrei passare di grado…

Sandro-

Tu non ce l’hai con me Mazzella?

Mazzella-

E per cosa, perché dovrei avercela con lei maresciallo?

Sandro-

Perché ti ho mentito, anch’io ti avevo promesso un lavoro e poi ti ho portato in una terra straniera a morire

Mazzella-

Ma che centra! Se è per quello hanno mentito anche a lei, ricorda andavamo a difendere un popolo!

Sandro-

Tu hai perdonato Mazzella? Hai scordato?

Mazzella-

Non ho scordato niente maresciallo, ma ho perdonato tutto, anche lei, anche me stesso.

Sandro-

Già perdonato, per forza sei un angelo!

Mazzella-

(divertito) Eh no maresciallo! Rischio di diventare angelo perché ho perdonato.

Sandro-

Perché sei qui Mazzella!

Mazzella-

Già quasi dimenticavo, sono un ambasciatore l’ho detto, e le devo consegnare una cosa….

Sandro-

Una cosa e da parte di chi?

Mazzella-

Da parte di una persona che le vuole un mondo di bene…

Suo fratello Paolo.

Sandro-

(quasi barcolla, un po’ emozionato, un po’ spaventato) E che dice, che vuole, perché non è venuto lui

Mazzella-

(sorridendo) Dice questo (mette un bacio in un pugno e lo getta a Sandro)

Arrivederci maresciallo io qui ho finito…

Sandro-

No! Aspetta! Fermati!

Mazzella-

Addio! (scompare nel buio quasi rincorso da Sandro)

Quadro 10

Tornano le luci calde come all’inizio dello spettacolo. Torna Carmen sul proscenio di nuovo col grembiule addosso, guarda il pubblico, non dice una parola.

Arriva anche Sandro è vestito anche lui come prima, è sulla sedia a rotelle.

Arriva dalla moglie ed in silenzio lui le prende la mano, lei la stringe e poi gli porge la mano sinistra per farsi rinfilare la fede al dito.

Due secondi e sul palco rotola una palla di stracci che va a sbattere sulla ruota della sedia.

Subito dopo un bambino corre a riprendersi la sua palla e riscappa fuori.

Sandro lascia la mano della moglie dopo averla baciata e corre dietro al ragazzino.

Sandro-

Esteban! (in spagnolo) Dove credi di scappare! Ho messo il turbo alla carrozza! Vedrai che ti riprendo!

Esce di scena mentre Carmen rimane immobile guardando gli spettatori.

Sembra più serena.

Dalla graticcia, incominciano a cadere fogli di carta, numerosi, tanti fogli di carta scritti.

Carmen-

La guerra ce la portiamo dentro, tutti buoni e cattivi quelli che erano nel giusto e quelli che erano nel torto.

Tutti ce la portiamo dentro, come un piccolo ragno nero che nel cuore ha fatto la sua tana, (tira fuori dalle tasche del vestito una rosa nera) o come un numero stampato, tatuato sul braccio (alza la manica svelando un numero tatuato; due secondi di silenzio) E’ un ricordo che tento di addormentare perché ogni volta mi rallenta il cuore, ma poi rifletto e mi dico:

-"Che fortuna che ho avuto, che il mio ricordo non è andato perduto."

Leggere per non dimenticare (getta il fiore in platea).

Luci e sipario

FINE