Il maestro

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IL MAESTRO

Commedia in tre atti

di LUIGI ANTONELLI

PERSONAGGI

EDITH

DANIELE

ENRICO

UBALDO

FABIANO

MISCIRUMMO

RERINALDI

MARTELLI

REGINA

LA SIGNORA SPERANZA

LA PRIMA ALLIEVA

LA SECONDA ALLIEVA

LA TERZA ALLIEVA

IL PRIMO ALLIEVO

ANNETTA

L’azione ha luogo in una villa di Daniele presso Firenze, ai giorni nostri.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena è un'ampia veranda con tettoia a volte multiple, aperte nel fondo da una specie di portico. Sembra un palcoscenico sul palco­scenico, con lo scenario fisso e un gradino di legno sul davanti che danno l'idea di una pic­cala ribalta. Il fondale è dato dai ridenti pog­gi fiorentini coperti di verde e cosparsi di case. I cipressetti illeggiadriscono l'ameno paesaggio. E' il mattino di una bella giornata primaverile. Sopra una specie di libreria, fatta a leggio e atddossata alla parete destra, è aperta una par­ta della provincia di Firenze. Enrico e Ubaldo osservano la carta e discutono in piedi. Porta a destra, porta a sinistra.

Ubaldo                          - Ci sarebbe qui, in questo gruppo, una villetta poco più grande idi questa.

Enrico                           - Di quanto più grande?

Ubaldo                          - Di tre stanze. Ti dico come è fat­ta. Non si sale, come qui, al primo piano. C'è Io scantinato.

Enrico                           - Allora niente.

Ubaldo                          - Già, perché...

Enrico                           - Tu sai, zio, che mio padre non sop­porta camere sotto terra. Lui, se potesse, co­mincerebbe a fabbricare le case dal terzo pilano.

Ubaldo                          - Allora niente « Stiattìno ».

Enrico                           - Si chiama « Stiattìno »?

Ubaldo                          - Sì. Allora si va più in là, e va al « Ferrantino ». Ma siamo già a due chilome­tri da Fiesole.

Enrico                           - Arriviamo addirittura a Bologna!

Ubaldo                          - Si sta così bene, qui! Che capric­cio gli è nato! E' vero che la casa è sua...

Enrico                           - Ma no, zio. Tu conosci mio padre? No,, non lo conosci.

Ubaldo                          - Come sarebbe a dire? Da quaran­tacinque armi siamo fratelli.

Enrico                           - Non lo conosci se pensi che cambierà di casa, che venderà la villa, che si andrà allo « Stiattìno » o al Ferrantino », e che a furia di allontanarci arriveremo a Bologna.

Ubaldo                          - Ma dal momento che si è intestar­dito!

 Enrico                          - Per otto giorni.

Ubaldo                          - Anch'io ho pensato che gli passe­rà. Ma che intanto non era prudente contrad­dirlo.

Enrico                           - Oh! Approvarlo, anzi, in tutti i modi! Gli si prospetteranno ogni giorno case e ville nuove. Questa è consigliabile per via del giardino. Questa ha in più l'uccelliera. Quella il roccolo, quell'altra ha in più il paretaio, ma non andrebbe per la distanza. Una quarta non va per il prezzo. Qui non ci siamo per lo scan­tinato. Intanto che ei discute, passano queste belle giornate primaverili. Piomberà l'estate. L'estate è una stagione immobile.

Ubaldo                          - E qui si sta bene al fresco.

Enrico                           - Mentre dappertutto si soffoca. Do­ve la trovi una casa come questa?

Ubaldo                          - Sul serio dove la trovi.

Enrico                           - A venderla poi la vorranno di re­galo. (Annetta entra con fiori che dispone in un vaso subito a sinistra).

Ubaldo                          - E a comprarne un'altra!

Enrico                           - Annetta, dammi un bicchier d'acqua.

Ubaldo                          - Dieci anni ci vogliono per ridurre la casa a quel che si vuole.

Enrico                           - E' vero. Almeno dieci anni per propiziarsela, per rendersela docile.

Ubaldo                          - Ma neanche se tu la fabbrichi a modo tuo: qua il giardino, là lo studio, giù le stanze per il desinare, neanche se te la fai co­struire su misura è tua se non dopo molto tempo.

Annetta                         - (reca il bicchier d'acqua ad Enrico).

Enrico                           - E dove trovi un'acqua come que­sta? Fresca, con la fonte giù, con una condut­tura perfetta: una fonte che è già un monu­mento dal di fuori, con lo stemma di Urbano Vili. Grazie, Annetta.

Annetta                         - Prego. (Esce a sinistra dello spet­tatore).

Enrico                           - E che freschezza quando la bevi! Ne vuoi un bicchiere anche tu?

Ubaldo                          - Sei matto? Che io beva di mat­tina?

Enrico                           - Io bevo a tutte le ore. Che c'è un'ora speciale per aver sete?

Ubaldo                          - Se io ho sete di mattina chiamo il medico.

Enrico                           - Ma davvero? Io chiamo Annetta e mi faccio portare un bicchier d'acqua. A furia di veder case e passare da un poggio all'altro il babbo avrà l'impressione di viaggiare.

Ubaldo                          - Ma poi, scusate; la casa è sua, va bene, farà quello che più gli aggrada. Ma da che gli è nata l'idea di cambiare? (Entra Fa­biano) Oh, Fabiano! Vieni, vieni! (Fabiano sa­luta, stringe la mano) Non sei di troppo... Da che gli è nata l'idea di cambiare?

Fabiano                         - (stupito) E io che ne so?

Ubaldo                          - Come, che ne sai? Non sei arriva­to tu, otto giorni fa, col discorso funebre bello e pronto? Così mio fratello ha pensato: se mi sposto ancora di più verso il nord, Fabiano non mi trova un'altra volta.

Fabiano                         - Già! Come se fosse un uomo qua­lunque! Come se egli potesse nascondersi.

Enrico                           - Per lo meno nessuno si scomode­rà tanto facilmente. Tuttavia non avrei mai cre­duto mio padre così suscettibile. E dire che c'è chi si finge morto per farsi la reclame.

Ubaldo                          - Quanta gente, che non vedevamo più, l'abbiamo rivista in quell'occasione!

Enrico                           - Il nostro Fabiano ha palandrana, col suo forbito discorso in tasca, era magnifico!

Ubaldo                          - Me lo farai rileggere.

Fabiano                         - (modestamente) Ci avevo messo tutto!

Ubaldo                          - Bene. Giacché sei al corrente in­tenderai di che si tratta. Questa storia dei fu­nerali mancati, con mio fratello vivo che si è affacciato alla finestra e dopo avervi salutati tutti cordialmente vi Ira invitati a pranzo, è stata, in certo modo, una burla divertente. Ma in fondo in fondo, hai ragione tu, Enrico: in fondo, mio fratello si è seccato. E noi ne subia­mo le conseguenze, obbligati a cercargli un'al­tra villa.

Enrico                           - S'illude, capisci? Che andando più lontano aia lasciato in pace.

Fabiano                         - E' proprio un'illusione. Quando un amico ti vuol bene, ti raggiunge dapper­tutto.

Ubaldo                          - Quello che l'ha seccato è che ab­biamo detto che lui fece spargere la notizia della sua morte per farsi la reclame.

Enrico                           - Che mio padre abbia bisogno di reclame, poi...

Ubaldo                          - Son ciance, si sa. Ma dan fastidio.

Enrico                           - Per esempio: lui aveva in animo di accettare per ottobre una bella formazione che gli offriva Martelli. Due mesi a Milano. Uno a Torino, due a Roma, un mese in Egitto. N5ente. Non ne vuol più sapere.

Fabiano                         - Lo dici a me! Dovevamo essere tutti con lui. Sono stato il suo caratterista per diciannove anni. L'occasione era eccellente. Avevamo quattro novità e un ghiro coi fiocchi. Lui avrebbe avuti onori trionfali. Più niente. Più niente. Perché un cretino qualunque sii permette di avere lo stesso nome e cognome, stupore, meraviglia, allegria, congratulazioni, pranzo eccellente e improvvisato... Ma ho visto Daniele così allegro! Si fa l'estrazione a sorte di quelli tra i convenuti che devono re­stare a pranzo. Otto in tutto, mi pare.

Enrico                           - Sì, otto.

Fabiano                         - Io leggo, al posto del brindisi, il mio elogio, e ottengo, non faccio per dire, un grande successo personale. Quell'imbecille fa starnppre che Daniele non aveva bisogno di mia così clamorosa reclame alla vigilia di tornare in arte.

Enrico                           - Clamorosa, se nessuno se ne è ac­corto! Fui io a pregare i giornali di non pub­blicare niente. Uno solo pubblicò l'annunzio, e poi lo smentì.

Fabiano                         - E Daniele monta su tutte le furie. Niente più giro. E per di più vuol cambiar casa.

Ubaldo                          - Bene. Chi viene verso Firenze?

Fabiano                         - Vai via?

Ubaldo                          - Parto. Vado a Livorno otto giorni, poi a Lisbona.

Fabiano                         - Così lontano? Affari?

Ubaldo                          - Eh sì! Affari. Salutatemi Daniele. Mi accompagni con la macchina?

Enrico                           - Ma certamente!

Ubaldo                          - Però, mi raccomando.

Enrico                           - Andremo a passo d'uomo.

Ubaldo                          - Non mi. fido.

Enrico                           - Hai troppa paura, zio.

Ubaldo                          - Venire con te è una sofferenza. Preferisco quasi andare a piedi.

Enrico                           - Allora quando vorrai arrivare a Livorno?

Ubaldo                          - Ma, caro mio, così corrono i for­sennati. La gente, in città, quando passa lui non è a dire che si scansi, che si tiri da una parte. No. Si dà alla fuga.

Enrico                           - Andiamo, via, coraggio. M'impe­gnerò di farti! arrivare alla stazione.

Ubaldo                          - Che generosità! Arrivederci, Fa­biano.

Fabiano                         - Quasi quasi vengo anch'io. Ma non è l'ora della lezione?

Ubaldo                          - Le allieve non sono ancora arri­vate.

Enrico                           - Ah, eccolo! Papà, noi si va a Fi­renze! (Entra Daniele).

Daniele                          - Oh! Salute, Fabiano! Hai portato un altro discorso?

 Fabiano                        - Eh no! Quante volte ti devo fare l'elogio? Tuttavia ti elogio dentro di me tutti i giorni.

Daniele                          - Fai bene a tenertelo dentro di te. Non lo affidare mai più alle carte, come fa­cesti quel giorno.

Fabiano                         - Tutto questo porta fortuna, lo sai? Allunga l'esistenza. Il discorso lo farai tu a me.

Daniele                          - Non lo sperare. Io non mi occu­po che dei vivi. Se un morto mi è caro me lo tengo per me. Sarà morto per voialtri, per me, no. Mia madre credi ch'io l'abbia al cimitero? Ti sbagli. Quando la si vuol dimenticare, una persona che non è più, la si lascia sot­toterra. Ma se chi resta non vuole consolarsene, la porta con sé. Io so, per esempio, che mia madre rideva di tante cose curiose che dicevo io. Ebbene, quando sono solo per la strada e mi figuro di parlare con lei, le racconto ancora delle sciocchezze che la tengono allegra: quel­le stesse che una volta la facevano ridere. E mi pare così che possa sollevarsi un poco. Questo significa non far morire i morti. Ciao. Sei ve­nuto a trovarmi per pranzare con me o mi devi dire altra cosa?

Fabiano                         - Sono venuto per salutarti. Ora vado a Firenze con Ubaldo e tuo figlio. Rimar­rai solo fino a mezzogiorno.

Daniele                          - Ho la lezione.

Fabiano                         - Arrivederci.

Enrico                           - A più tardi, papà.

(Saluti e strette di mano. Ubaldo ed Enrico escono dalla sinistra).

Annetta                         - (affacciandosi dalla sinistra, rima­ne in attesa).

Daniele                          - Sono venuti gli allievi?

Annetta                         - Sì, signore.

Daniele                          - Avanti.

(Entrano la prima, la seconda, la terza Al­lieva e Il primo allievo che salutano il Maestro).

Daniele                          - Buon giorno.

(Gli Allievi siedono a un cenno del Maestro).

La prima allieva            - Maestro, vorrei chieder­le una cosa che lei non approverà...

Daniele                          - Una cosa? Si dice cosa. E allora perché me la chiedi? Perché speri che io l'ap­provi? Male.

La prima allieva            - M'hanno pregata di par­tecipare a una recita.

Daniele                          - Niente. (Una pausa) Naturalmen­te per fare la parte di prima donna?

La prima allieva            - (tace).

Daniele                          - Ho già detto che finché lor signori stanno con me non si recita se non nelle parti che assegno io. Padronissime di far le prime donne, ma da me non si mette più piede. Le mie allieve devono saper fare le generiche e provare anche le altre parti rimanendo allie­ve, ossia rimanendo nel diritto di sbagliare e di farsi correggere. Recitando da prima donna il diritto di sbagliare non si ha più. (Alla se­conda Allieva) Tu pure la prima donna?

Seconda allieva             - No, maestro.

Daniele                          - E tu il primo attore?

Il primo allievo              - No, maestro.

Daniele                          - Vediamo come questi primi at­tori e queste prime attrici mi recitano la mode­sta scena che hanno provata e studiata. Via. Disponetevi a seconda delle vostre posizioni. (Siede a destra) Una buona risata, allegri, e poi entrate. Via.

Il primo allievo              - (entra da sinistra seguito dalla prima Allieva poi la seconda e la terza). Insomma, Lisetta, mi vuoi bene sì o no?

La prima allieva            - Andiamo via, non dire sciocchezze!

Daniele                          - Sì, ma con più grazia, più civet­teria! La civetteria vi sorregge bene tutto il giorno, è la vostra grazia. Poi quando recitate mettete giù quelle battute dure. Una donna quando dice di no a un uomo che le piace non glielo dice mai in modo definitivo, (risatina delle Allieve) in modo che più tardi, tra un'ora, tra un mese, tra cinque minuti, non possa dire di sì. Bisogna lasciar sempre adito alla speranza. Da capo, via.

Il primo allievo              - Insomma, Lisetta, mi vuoi bene, sì o no?

La prima allieva            - Andiamo, via, non dire sciocchezze! A che pensi?

Il primo allievo              - Comincio a pensare... che ti manchi qualche cosa.

La prima allieva            - A me pare di no. (Ride).

Daniele                          - Non bisogna dire la battuta e poi ridere. Bisogna dire ridendo la battuta

La prima allieva            - (ridendo) A me pare di no!

Il primo allievo              - O che tu l'abbia messa a dormire in qualche parte, chi sa dove...

La prima allieva            - Che cosa?

Il primo allievo              - Quella che ti manca.

La prima allieva            - Stupido... Ho tutto con me, non dubitare. Narrami piuttosto una delle tue deliziose storie di caccia.

La seconda allieva        - Sì, sì, Corrado! An­che a me! Anche a me!

La terza allieva              - (Seconda e terza' Allieva se­dute, la prima Allieva e Il primo allievo in piedi) Anche a me! Anche a me!

Il primo allievo              - Prima di tutto che co­sa vuol dire, secondo voi, andare a caccia?

La prima allieva            - Andare a caccia vuol dire camminare col fucile a tracolla in compagnia di una civetta, arrivare in prossimità del bosco e ivi cercare il fresco. Le più belle donne della mitologia furono civette col cacciatore. Venere, che aveva la virtù fragile, fu civetta con Adone. Diana, che aveva la virtù solidissima, fu civetta con Endimione. Infine, verso sera, è bello rien­trare a casa con la civetta.

Il primo allievo              - Conosco una signorina che quando va a caccia si mette a sedere sopra un sasso e prende di mira tutti i Saltimpali e Culbianchi della contrada. La signorina è molto vanitosa. Dice a tutti che è una brava cacciatri-ce e non resiste alla tentazione di mostrare quel che ha in carniere. E se non ha che un Culbian­co, lo fa vedere al cacciatore.

Daniele                          - Anche qui con molta grazia. Se la battuta è leggermente salace e si presta all'e­quivoco, sia pure a un equivoco innocente, bi­sogna, per non darle un peso che stonerebbe, esagerare in candore: « la signorina è molto vanitosa: dice a tutti che è una brava caccia-trice, e non resiste alla tentazione di mostrare quello che ha nel carniere. E se ha un Culbian­co, lo fa vedere al cacciatore». Far notare la malizia, ma quel tanto che è nell'arte. (Alla se­conda Allieva) A te!

La seconda allieva        - (alzandosi) Oppure vuol dire fermarsi sotto un albero, tirar fuori dal carniere un libro di Ornitologia e leggere come si comportano le pernici, che cosa ne pensa la quaglia, come vivono in società le star­ne? Evocare, insomma, questa bella selvaggina, metterla nel carniere e tornare a casa? (Le Al­lieve ridono).

Il primo allievo              - Credo, piuttosto, che vo­glia dire recarsi con un'automobile sopra una collina in fiore, lasciare la macchina sul prato e andare a tirare alle allodole. Va bene, Maestro?

Daniele                          - Avanti.

Il primo allievo              - Poi si torna al posto dove era la macchina e non si trova più. Che qual­cuno l'abbia rubata? Ma che! L'automobile ne ha fatta una delle sue, e si è messa a scorraz­zare per il prato. Questi motori di città non resistono alla vista di una collina in fiore!

 Daniele                         - (si alza. Va verso gli Allievi) Più stupefatto. Bisogna dirlo con più meraviglia. Si tratta di un'automobile che ha fatto un ca­priccio - l'immagine è molto graziosa - e se ne torna mogia mogia al posto in cui era stata lasciata. « Questi motori di città non resistono alla vista di una collina fiorita, specialmente se il caso li fa capitare in prossimità di una siepe di biancospino. Allora tutti credono che l'automobile sia stata rubata, mentre in realtà si è messa scioccamente a inseguire la primave­ra. Perciò è un divertimento vederla tornare tutta ansante e traballante, a piccoli scatti, ubriaca di odori, coi grandi occhi velati dalla rugiada. Eccola ferma dinanzi a voi che chie­de perdono della ragazzata »... Bisogna farla vedere questa macchina che come un ragazzo scappato se ne torna mogia mogia... (Ad Annet­ta che viene dalla sinistra) Che vuoi, Annetta? Anche Annetta mi pare che se ne venga mogia mogia. Che c'è, Annetta?

Annetta                         - (gli dà un biglietto) Ecco qui.

Daniele                          - (corruga la fronte) Quando è ve­nuto?

Annetta                         - Ora.

Daniele                          - Solo?

Annetta                         - Con una signorina.

Daniele                          - (le Allieve parlano tra loro) Una signorina?

Annetta                         - Si. Un po' provinciale. Ha certi capelli tirati su.

Daniele                          - Non ti ho chiesto nessuna descri­zione della signorina.

Annetta                         - Lui parla come i contadini che vengono dall'America avendo dimenticato l'ita­liano.

Daniele                          - Un misto di dialettale americano. Sarà una gioia parlare con lui. (Riflette) Falli entrare. (Agli Allievi) Scusate, passate di là un istante. (Gli Allievi vanno in fretta a sinistra).

Daniele                          - Fa' entrare.

Miscirummo                  - Buon giorno.

Daniele                          - Prego, venga avanti.

Miscirummo                  - Buon giorno. Io sono Alfredo Pacifici, detto di soprannome Miscirummo.

Daniele                          - E che vuol dire Miscirummo?

Miscirummo                  - Fungo coltivato. Coltivo funghi in America. Industria molto buona una volta.

Daniele                          - Ah! mushrooms! Ho capito. Ma non aveva con sé una signorina?

Miscirummo                  - Sì. Ma è bene forse prima fare conversazione tra noi.

Daniele                          - Si accomodi.

Miscirummo                  - Senti, signore, (si siede al di­vano allargando le braccia) cosa difficile a dire. Siccome io so parlare poco, conoscevo male l'italiano quando andai in America. Pensare co­me posso conoscere ora che manco ventidue anni. Io questa sera parto per Genova.

Daniele                          - Tutte queste cose sono bellissime a sapersi, non lo nego. Ma io che c'entro?

Miscirummo                  - Veramente tu non c'entri, ti dico subito. C'entrava il tuo povero fratello.

Daniele                          - Chi?

Miscirummo                  - Tuo povero fratello.

Daniele                          - (si alza di scatto) Ah! (Si siede) Dica pure. SI tratta del mio povero fratel­lo: l'attore, in altri termini?

Miscirummo                  - Sì.

Daniele                          - Bene. Io sto a sentire.

Miscirummo                  - Io lessi la notizia sul giorna­le. Allora decisi di fare « last-wish »... l'ulti­ma volontà di mia sorella.

Daniele                          - Ecco. Mi dica come io entri in questa faccenda.

Miscirummo                  - Ti ho detto che riguarda tuo fratello defunto.

Daniele                          - Mi dica come mio fratello entri in questa faccenda.

Miscirummo                  - Breve.

Daniele                          - Sì. Breve. Lei dice che non sa parlare l'italiano. Ma santo Dolo, si vuol sem­pre fare quello che non si sa.

Miscirummo                  - Mia sorella ebbe una bim­ba da tuo fratello. Tuo fratello aveva moglie, mia sorella aveva marito. Affare complicato. Ora scomparsi tutti. E' rimasta la bimba che è una giovinetta.

Daniele                          - Oh! Dio sia lodato! Questa bam­bina non l'avete mai fatta vedere a mio fratello?

Miscirummo                  - E' vissuta in un piccolo paese sui monti. Mia sorella ne era gelosissima.

Daniele                          - E com'è?

Miscirummo                  - E' di là.

Daniele                          - (fa per andare, l'altro lo ferma) Aspetta. Non è tutto. Mia sorella era molto misteriosa con tuo fratello.

Daniele                          - Tanto misteriosa che mio fra­tello non la vide più. Scomparve.

Miscirummo                  - Disse a me:  Se suo padre muore e se la ragazza ti pesa...

Daniele                          - Scusate: perché doveva aspetta­re che morisse? Tutti lo vogliono far morire...

Miscirummo                  - Non so.

Daniele                          - (stupito) Non sa? E va bene!

Miscirummo ................ - Io non sono mai venuto in Italia. Ho saputo dopo, queste cose. Ho letto la notizia sui giornali e mi sono deciso, perché devo ripartire per l'America.

Daniele                          - Lei avrebbe pensato a disfarsi della ragazza?

Miscirummo                  - No disfarmi. Ho mia indus­tria dei miscirunimi.

Daniele                          - Ah! Il vostro soprannome!

Miscirummo                  - Io l'ho adottato per nome. Nessuno mi chiama Pacifici.

Daniele                          - La ragazza ha avuto un'istru­zione?

Miscirummo                  - Sì, perché tuo fratello die­de una somma tutta in una volta e si occupò la madre di farla educare.

Daniele                          - Perché poi quella ragazza non gliela fecero più vedere, Dio lo sa!

Miscirummo                  - Te ne ha parlato?

Daniele                          - Sì. Vagamente. Ma lui la credeva in America. Invece stava in un paesetto.

Miscirummo                  - Prima in collegio. Poi in un paesetto.

Daniele                          - Come era il nome del marito?

Miscirummo                  - Corio.

Daniele                          - (ha un gesto come per dire: « mi pareva infatti »).

Miscirummo                  - E' molto buona.

Daniele                          - Chi?

Miscirummo                  - La ragazza. E' un po' timida. Io adesso portarla con me non posso. Dovrei lasciarla andare a servire.

Daniele                          - ( ha un movimento di sdegno represso) Si può vederla?

Miscirummo                  - Che decide?

Daniele                          - Che decido! Vuole che la figlia di mio fratello la mandi a fare la donna di servizio?

Miscirummo                  - Mia! La ragazza ha voluto per forza essere condotta qui.

Daniele                          - Come si chiarata? Edith?

Miscirummo                  - Edith. Te lo aveva detto?

Daniele                          - Sì, una volta. Mi disse vagamente.

Miscirummo                  - Bene. Sano contento. (Si av. vicina alla porta) Edith, vieni!

Edith                             - (appare sulla soglia)

Daniele                          - (le si avvicina, le prende una ma­no, la fa camminare fin nel mezzo della scena) Fatevi vedere. Vi chiamate Edith, è vero?

Edith                             - Sì.

Daniele                          - (volgendosi a Miscirummo) Sta bene. Cosa dobbiamo sbrigare, adesso, fra noi?

Miscirummo                  - Niente.

Daniele                          - Niente? Va bene. Lei ora se ne torna a coltivare i suoi miscirummi.

Miscirummo                  - Sì.

Daniele                          - (lo guarda,, poi guarda Edith) Buon viaggio. La signorina sarà tenuta come si conviene.

Miscirummo                  - Oh! Ne sono persuaso.

Daniele                          - Buon viaggio.

Miscirummo                  - Addio, Edith.

Edith                             - Addio, zio. (Lo accompagna fino al­la porta. Quello saluta e se ne Va).

Daniele                          - (guarda Edith, e per nascondere la sua commozione comincia a pigliarsela con lo zio) Quello sì che è uno zio! Come zio è un fungo che meriterebbe di essere coltivato a parte.

Edith                             - (sorridendo) Sì.

Daniele                          - Accidenti, che zio!

Edith                             - Non era più venuto in Italia. Lo conosco appena.

Daniele                          - Dunque, Edith, sedete...

Edith                             - Avrei dato chi sa che cosa per co­noscere mio padre. Ho tanti ritratti suoi. (Lo guarda e ha una smorfia d'impaccio. La sua ti­midezza è leggermente goffa).

Daniele                          - Per bacco! Devono essere molto somiglianti all'originale.

Edith                             - Perché?

Daniele                          - Dove avete studiato?

Edith                             - Con le monache, a Filottamo.

Daniele                          - Che cosa vi hanno insegnato di bello?

Edith                             - Di bello mielite.

Daniele                          - E che ritratti! sono quelli che avete? (Siede sulla sedia).

Edith                             - Tutti rappresentano grandi perso­naggi truccati.

Daniele                          - Ah! (allora è più difficile.

Edith                             - Che cosa?

Daniele                          - Perché v'interessava vedere vostro padre nelle parti di attore?

Edith                             - Perché io lo ammiravo come atto­re e segretamente gli volevo bene. Le sue inter­pretazioni le porto nella mia borsetta.

Daniele                          - Fate vedere: ma no: questa è di un attore inglese. (Mette la fotografia da parte).

Edith                             - Lo so. Ma un poco gli somiglia.

Daniele                          - Non avete torto.

Edith                             - Una volta sapete che sono scappata di casa?

Daniele                          - Voi?

Edith                             - Sì. Io sembro scema. Ma è perché sono timida.

Daniele                          - Perché siete scappata? Anzi, pri­ma ditemi perché siete timida.

Edith                             - (tace, alza le spalle e sorride).

Daniele                          - Adesso ditemi perché volevate scappare.

Edith                             - Era la prima volta che mio padre recitava a Perugia. Sono andata a sentirlo. Ho preso il treno. Sono stata tre ore a bocca aperta in teatro. Ho passato una serata... Poi sono andata la dormire in un piccolo albergo. La mattina dopo sono tornata in paese.

Daniele                          - Mi figuro le accoglienze.

Edith                             - Niente. Ho finto di aver vagato - tut­ta notte in cerca della mia abitazione. Mi ave­vano fatto cercare. Ho finto di essere smemo­rata per due giorni.

Daniele                          - Non mi sembra che abbiate fatto una cosa molto originale.

Edith                             - E' molto bello custodire un segreto.

Daniele                          - Ma allora sapete simulare. E la vostra timidezza?

Edith                             - E' facile per me simulare.

Daniele                          - Non c'è da vantarsene.

Edith                             - La timidezza mi ha insegnato a simulare. Fare una cosa mi riempie di paura. Fingere di farla mi è facile. (Non osa dire) So recitare. Come mio padre.

Daniele                          - Sapete recitare come lui?

Edith                             - Dico che ho il suo sangue.

Daniele                          - Ma vostro padre nella vita era piuttosto un uomo semplice.

Edith                             - Siccome era un grande attore pa­reva veramente che non recitasse per il fatto che recitava molto bene. E io sono proprio Sua figlia! Il giorno che io sapessi vincere que­sto stato d'impaccio, sarei un'attrice forse non inferiore a tante altre.

Daniele                          - Non bastia simulare per essere attrici.

Edith                             - Ma io so simulare con arte. Ho una forza dentro di me. Ne volete una prova?

Daniele                          - Sentiamo.

Edith                             - Io avevo paura di conoscere mio padre. Ma quando ho saputo che non era mor­to, sono entrata nella simulazione molto bene.

Daniele                          - Che vuol dire?

Edith                             - Io so che voi siete mio padre.

Daniele                          - (rimane stupefatto a guardarla).

Edith                             - Edith! Sono la vostra Edith!

Daniele                          - Non c'è che dire. Ho una figlia originale. (Si alza).

Edith                             - (alzandosi) Quando fu smentita la notizia, io distrussi il giornale. Mio zio è uno zoticone. E' stato facile non fargli saper nulla. Caro papà, guardatemi.

Daniele                          - (si spostano lentamente verso il cen­tro della scena) Ti guardo.

Edith                             - Sono goffa un po'. E' una goffag­gine naturale. Aiutatemi a essere un'altra.

Daniele                          - Edith.

Edith                             - Babbo. Voi avreste potuto essere il mio babbo in tanti modi senza che io fossi vostra figlia veramente come voglio essere. Vor­rei che foste il mio maestro.

Daniele                          - Qui in casa infatti sarai la mia allieva. Per ora nessuno deve sospettare nulla.

Edith                             - Va benissimo. Io ci pensavo.

Daniele                          - Poi vedremo. Tu per ora sei la figlia di un mio caro amico, non diciamo de­funto, se no qui facciamo tutta una storia di falsi morti. Tuo padre è vivo, ah per Dio, e sta in America. Gode una perfetta salute. E tu sei la mia allieva. Adesso va con Annetta nella tua stanza. Hai le valigie?

Edith                             - Sì.

Daniele                          - Ti vestirai più graziosamente. Ti pettinerai da cristiana. Bisogna essere belle per il teatro.

Edith                             - Lo so!

Daniele                          - O avere un enorme ingegno per farsi perdonare di non esserlo.

Edith                             - Lo so!

Daniele                          - Bisogna avere soprattutto un grande istinto. L'originalità innata.

Edith                             - Io l'ho.

Daniele                          - Tu hai la goffaggine innata. De­testo le arie. Studiare è terribile perché non si finisce mai. L'artificio richiede una specie di sublimità che farà parere semplici e naturali. Non è naturalezza. E' arte. Arte nuda. Parole che trovano l'essenza del tono, ossia il tono che quasi le crea nello stesso momento che si pronunciano. Vedi bene che non è facile.

Edith                             - E' vero.

Daniele                          - E niente bamboleggiamenti. Un lavorìo cerebrale per cui ogni parola ha il suo colore. Colorazione improvvisa. Di qui il fa­scino di parer sempre nuove. Capisci, Edith? Quand'è che saprai fare tutto questo? Ti ho spaventato un po'. E' perché tu dici leggermeli, te: voglio far l'attrice. Vieni, abbracciami... chissà...

Edith                             - Oh, babbo! (L'abbraccia. Rimane con la testa sul petto di lui come trasfigurata). Ohi! La felicità! (Poi, all'improvviso, Daniele si stacca da lei, supna e accorre Annetta).

Daniele                          - Annetta, ora accompagniamo la signorina nella stanza che dà nel giardino, quella ad angolo. Ella è nostra ospite, una mia nuova allieva. Bisogna provvedere a tante cose. Andiamo, vengo anch'io.

 Annetta                        - Venga, signorina.

Daniele                          - Di qua, di qua. (Escono dalla de­stra).

Enrico                           - (sporge il capo dalla sinistra e dice alle Allieve che sono alle sue spalle) No, non c'è nessuno. (Entrai).

La prima allieva            - Era qui, dianzi. Il Mae­stro, con qualcuno arrivato di fuori.

Enrico                           - Forse li avrà accompagnati nel giardino.

La seconda allieva        - E così, Enrico, questo anno niente scritture?

La terza allieva              - Eh! Ma è un peccato!

Il primo allievo              - Stare un anno senza re­citare!

Enrico                           - Che volete farci! Papà non ha an­cora deciso. Forse riprenderemo a ottobre. Pa­re che ci sia in aria qualche cosa. Se no aspet­teremo l'anno prossimo.

Il primo allievo              - Primo attore?

Enrico                           - Primo attor giovane. Papà non am­mette salti di nessuna specie. E tu, Giulietta?

La prima allieva            - Io mi son presa una bel­la sgridata dal maestro perché mi avevano pre­gato di recitare « La Maestrina ». Figurati!

Enrico                           - Lo potevi fare. Tutto si può fare.

Il primo allievo              - Bisogna vedere come si fa. « Questi motori di città non resistono alla vista di un prato verde, specialmente se il caso li fa capitare presso una siepe di biancospino ».

Enrico                           - Che cos'è?

La seconda allieva        - « La signorina è mol­to vanitosa. Dice a tutti che è una brava cacciatrice e non resiste a mostrare quel che ha nel carniere. E se ha un Culbianco... ».

La terza allieva              - « Lo fa vedere al caccia­tore... ».

La prima allieva            - La nostra lezione di oggi. (Ridono).

(Rientra Daniele dalla destra).

Daniele                          - Scusate, signorine. Ci vedremo mercoledì e vi presenterò una nuova allieva.

Le allieve                      - (si guardano tra di loro) Una nuova allieva?

Enrico                           - Una nuova allieva?

Daniele                          - Sì. Niente di straordinario. Arri­vederci.

Le allieve                      - (festosamente salutano) Arri­vederci, maestro. (Via, accompagnate fino alla porta da Enrico).

Daniele                          - Vieni, Enrico, senti. (Lo prende sotto braccio).

Enrico                           - (si siede dinanzi al padre. Aspetta con curiosità).

Daniele                          - (fa prima correre una lunga pausa. Poi si decide bruscamente) Non ho voglia di raccontare. Ti spiegherò un'altra volta. Io ho una figlia.

Enrico                           - Papà, tu hai una figlia!

Daniele                          - Non l'hai mai saputo?

Enrico                           - No!

Daniele                          - Bene, adesso lo sai. Ho una figlia. Adesso la conoscerai.

Enrico                           - (sbalordito) E' qui?

Daniele                          - E' qui. Credevo fosse in America. Era invece in un paesetto. Me l'hanno portata adesso. Vuol fare l'attrice. Sarà una allieva di più, una sorella per te... Cioè la tua sorella­stra...

Enrico                           - Una sorella, papà!

Daniele                          - Adesso non ci commoviamo. Non facciamo una scena patetica. Io non le amo, tu non le ami. (Si alza).

Enrico                           - -Ma una sorella, papà... Turni an­nunzi una cosa prodigiosa... E vuoi che io...

Daniele                          - Non ti dico di no. Se la scena ci tieni a farla...

Enrico                           - (vivamente)  - Ma papà! Una sorella! Com'è?

Daniele                          - Vedrai.

Enrico                           - Bella.

Daniele                          - Ha qualche cosa da aggiustare. Ma del resto...

Enrico                           - Sarà graziosa.

Daniele                          - Forse l'unica cosa che le manca per il momento è di essere graziosa.

Enrico                           - Brutta? Papà! È' brutta?

Daniele                          - No. Tutt'altro. Ti dico che ci sono delle cose da aggiustare. I capelli, il vesti­to... E' bella. Ma non si vede. Capisci?

Enrico                           - Somiglia a te?

Daniele                          - Affatto. E' una fortuna. Somiglia a sua madre.

Enrico                           - Papà, lascia che ti abbracci...

Daniele                          - Non resisti, insomma, a farla. E facciamola pure.

Enrico                           - Che cosa?

Daniele                          - (va a sedere a sinistra) La scena... Io ho tentato di evitarla come ho potuto. Ra­gazzo mio, ho voluto bene a una donna.

Enrico                           - Papà!

Daniele                          - Ti faccio il racconto. Non vuoi il racconto?

Enrico                           - Ma papà! Che ti viene in mente! Tu avevi in me un figlio che portava innata una specie di nostalgia nel cuore: la nostalgia di una sorella. Ho tante volte pensato a una so­rellina. E una bella mattina mi dici; «c'è un regalo per te! ». E vuoi che non mi commuova?

Daniele                          - Perché non voglio commuover­mi io.

Enrico                           - Tu capisci che ci si abitua a una sorellina che è in fasce... che si vede crescere, che poi è una bimbetta... Tu ora mi fai questo regalo quando ella è già donna... e già è tutto a posto...

Daniele                          - Che sia tutto a posto, dubito.

Enrico                           - Perché?

Daniele                          - Mi pare un po', come dire?, un po' turbata.

Enrico                           - Ah! si?

Daniele                          - (alzandosi) Resta inteso che per tutti qui sarà una parente. Hai capito? Per evi­tare spiegazioni. Quindi, una tua cugina lonta­na. Ho in uggia le spiegazioni.

Enrico                           - Caro papà! E tu volevi darmi spie­gazioni? Raccontarmi la storia? Non voglio co­noscere questa tua storia d'amore!

Daniele                          - Se ti dicessi che non la conosco bene neanch'io!

Enrico                           - Come! Hai avuto una donna... O fu solo un capriccio? Devo farti dei rimpro­veri?

Daniele                          - Non fu capriccio. Tuttavia fu una cosa fuggevole. A un certo momento scappò e raggiunse il marito. Ebbe una bimba e non si fece più viva.

Enrico                           - (stupito) Era maritata?

Daniele                          - Ti chiedo scusa. Era maritata. Che vuoi che ti dica? Sono desolato, ma la no­stra vita randagia... la nostra vita di attori... Ora non c'è più né madre né marito. Arriva lei, ha ventuno anno, è già nella casa. Tutto que­sto perché qualcuno ha picchiato alla porta mentre tu correvi come un dannato in automo­bile sulla via di Firenze. Vedi che succede quando tu non ci sei?

Enrico                           - Si chiama Edith?

Daniele                          - L'unica cosa che volli io. Dissi: se avremo figli e sarà una femmina si chiamerà Edith. Non ricordo bene perché in quel tempo mi piaceva il nome di Edith. Poi il contegno di sua madre fu un mistero per me. Tu sai co­me son fatto. Non ho indagato. Non ho saputo. Rientrai in casa e c'eri tu, la mia famiglia fu questa. Mandai un aiuto, una volta per sempre, perché si provvedesse alla educazione. Non ebbi più notizia di niente.

Enrico                           - Poi stamane è arrivata.

Daniele                          - « Sono vostra figlia. Voglio fare l'attrice ».

Enrico                           - Mia a vent'anni sarà un po' tardi.

Daniele                          - Sa già recitare: dice. Saprà a suo modo. Ossia non saprà. Credo, immagino. Ma ha qualche cosa. C'è forse un temperamento in lei. Questo è molto. Chissà che cosa potrà dare. Capisci, questo mi attrae. Quanto al re­sto... Chi sa! Sarà più facile per te sentirla tua sorella che a me sentirla mia figlia. C'è poi qualche cosa che non capisco. Qualche cosa oscura. Non ti saprei spiegare la mia impres­sione. Perché, per esempio, dovevo aspettare a morire perché questa Ragazza fosse portata qui?

Enrico                           - A morire chi?

Daniele                          - Io. La falsa notizia -della mia morte... quel piacevole scherzo mi ha fruttato, oltre le seccature, il regalo di Edith.

Enrico                           - Per questo non ti potrai più la-gnare! Anzi... Per riconoscenza dovresti rinunziare a cambiar casa.

Daniele                          - Vedremo, vedremo.

Enrico                           - Ah sì, papà! Papà! Basta. Parle­remo dopo. Ma intanto fammi capire: la madre proibì che Edith fosse data a te, vivo. Con­dotta nella tuia casa, sì, dopo.

Daniele                          - Ecco. Una volta che suo marito era morto e la tua povera mamma non c'era più, che cosa impediva a questa donna di far­mela vedere? Che ragione ci poteva essere così grave, nella sua testa? Nella realtà o nella sua testa?

Enrico                           - Che bellezza! Abbiamo un mi­stero per casa.

Daniele                          - Non facciamo inchieste. E' una cosa che devo scoprire io. Saprò che cosa fare.

Enrico                           - E chi l'ha accompagnata?

Daniele                          - Un parente. Un coltivatore di fun­ghi. Quello improvvisa un fungo da un giorno all'altro, in America. Figurati come gli è stato facile improvvisare la consegna di sua nipote! Poi è andato verso l'uscio, l'uscio che lo resti­tuiva all'America. Addio, zio, addio Edith.

Enrico                           - Strano.

Daniele                          - C'è questo di buono, che non si farà più vedere.

Enrico                           - Così avremo tutta per noi questa ragazza...

Daniele                          - Sicuro. Questa ragazza fungo.

(Edith è sulla soglia).

Edith                             - E' permesso?

Daniele                          - Eccola qua. (Edith ha indossato un altro vestito più aggraziato, ma che non le toglie del tutto quella certa goffaggine con cui si è presentata prima) Vieni, vieni avanti. En­rico, mio figlio. Edith, mia figlia.

Edith                             - Buon giorno. (Fa un piccolo inchino. Poi lo guarda e volta subito il capo sorridendo).

Daniele                          - Sapevate che avevo un figlio?

Edith                             - Se l'ho sentito recitare con voi, babbo!

Daniele                          - Ah già! E' vero. Ci ha sentiti a Perugia.

Edith                             - (dopo essersi guardata intorno chiede a Enrico) Che impressione vi fa a vedermi?

Enrico                           - Piacevole. Sono stupito, sono con­tento. Sono commosso.

Edith                             - Come sembro?

Enrico                           - Edith, voi avrete in me un com­pagno e un amico.

Edith                             - (si volta a guardarlo quasi con dif­fidenza).

Enrico                           - Mi accettate per compagno?

Edith                             - Come si fa a sapere? Bisognerà che nasca una amicizia.

Enrico                           - Nascerà certamente.

Edith                             - Io lo spero. (Sorride) Mi sembra tutto bello, troppo bello...

Enrico                           - Vuol dire che starete volentieri con noi.

Edith                             - Certamente. Però vorrei...

Enrico                           - Dite.

Edith                             - (quasi con una improvvisa angoscia) Non vorrei troppe premure per me.

Daniele                          - Mi pare che ti trattiamo con molta semplicità. Che io sappia, finora ti ho soltanto accompagnata nella tua stanza.

Edith                             - E' bellissimo quel che si vede dalla finestra.

Daniele                          - Il paesaggio c'era anche prima. Non è una cortesia che ti abbiamo fatta noi.

Edith                             - Ecco. Dicevo... che non voglio es­sere amata subito.

Daniele                          - Sta pur sicura che io non mi sforzerò. E tu, Enrico, cerca di moderarti.

Edith                             - (confusa, quasi con dolore) Non mi so spiegare. Voglio meritarmelo il bene.

Daniele                          - Sarà fatto.

Edith                             - In modo da sentirmi libera per quel che riguarda la mia riconoscenza.

Daniele                          - Ah! Va bene! Era per questo? Avremo premura a che la tua riconoscenza non abbia a farsi male.

Edith                             - Essere amata per me... per quello che saprò essere io... non già perché sono vo­stra figlia, non già perché sono vostra sorella!

Daniele                          - Non vuoi essere amata subito!

Edith                             - Ecco.

Daniele                          - Ci dirai quando possiamo co­minciare.

Edith                             - (lo guarda angosciata).

Enrico                           - Papà! (Gli fa un gesto come per dire: non la mortificare).

Edith                             - (passa a sinistra e va sulla pedana) E' vero. Non voglio essere amata subito. Vorrei che mi trattaste come se non fossi nulla per voi... una povera zoticona... da educare... Voglio essere libera, libera dentro di me!

Enrico                           - Ma certo, Edith! Nessuno farà vio­lenza ai vostri sentimenti.

Edith                             - (con improvvisa angoscia) Se no la­sciatemi andar via. Forse è meglio, forse è meglio che io vada via!

Daniele                          - (la osserva) Su, su, calma... E' il primo momento.

Enrico                           - Edith, cara, non vi agitate, non c'è ragione che vi eccitiate così. Va bene quello che dite voi, va bene. (/ due passano a sinistra) Adesso andiamo in giardino. Vi mostrerò la casa. E' vero babbo?

Edith                             - (si è seduta in fondo e guarda fuori).

Daniele                          - Che ne dici?

Enrico                           - E' curiosa. E' interessante.

Daniele                          - Va un poco aggiustata.

Enrico                           - Eh sì!...

Daniele                          - Va un momento giù. Precedila. Te la mando subito.

Enrico                           - Benissimo. (Indi a Edith) Io vi precedo e vi aspetto, Edith.

Edith                             - (non risponde).

Enrico                           - (via).

Daniele                          - Edith.

Edith                             - (si alza) Dite.

Daniele                          - C'è qualche cosa che tu non vuoi dire e che ti mette in, angoscia?

Edith                             - Non so. Ho sentito vagamente qual­che cosa.

Daniele                          - Ma non c'è nulla che tu non possa dire?

Edith                             - Nulla. (E' come rinfrancata).

Daniele                          - Hai superato un momento di an­goscia che ti dava come uno stimolo a parlare, ad aprire l'animo tuo?

Edith                             - Sì.

Daniele                          - Ora è passato.

Edith                             - (non risponde).

Daniele                          - Sei il ritratto di tua madre.

Edith                             - (scende dalla pedana, lei a sinistra, Daniele a destra, al centro della scena) Le somiglio. Tranne che lei era bella!

Daniele                          - Tu diventerai.

Edith                             - (animandosi) Credete?

Daniele                          - Diventerai come lei. Te lo assi­curo. Ora ti guardo e vedo la stessa espressione, gli stessi occhi incantati.

Edith                             - (lo guarda sorridendo, senza parlare, poi dice) Dio volesse!

Daniele                          - Che cosa?

Edith                             - Che io potessi diventare come lei!

Daniele                          - Ti piacerebbe?

Edith                             - Voi che l'avete amata, voi potreste aiutarmi a essere lei!

Daniele                          - E come potrei aiutarvi?

Edith                             - Volendomi bene per quella che sarò ai vostri occhi.

Daniele                          - E perché vorresti compiere que­sta specie di prodigio?

Edith                             - Per compensarvi con qualche cosa che non viene dal fatto che io sono vostra figlia.

Daniele                          - La gratitudine ti pesa, insomma, prima ancora di sperimentarla?

Edith                             - Mi pesa farvi credere che quanto farete per me sia un dovere.

Edith                             - Che vorresti che fosse?

Edith                             - Una specie di sogno.

Daniele                          - Non sogno più.

Edith                             - (con ansietà) Perché chiamavate Edith mia madre? Il suo nome era Edda.

Daniele                          - (stupito) E tu come lo sai?

Edith                             - Me lo disse. (Lo guarda misteriosamente. Poi si avvia a sinistra).

Daniele                          - (mentre Edith si allontana) Non c'è che dire. Ha qualche cosa qui! (Si tocca la fronte) Ha qualche cosa!

Edith                             - (si volge a guardarlo. Il suo viso è raggiante).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo atto tranne che sia­mo d'estate ed è un pomeriggio.

Annetta                         - (attraversa la scena e va ad aprire la porta. Appaiono sull'uscio Martelli e Reri­naldi. Il primo è un impresario teatrale, a. sdutto e sbarbato come un attore. Rerinaldi ha passato tutta la vita nei camerini e sui palco­scenici. Ha la testa piena di aneddoti, e il si­garo «Virginia » sempre in bocca. Piacevole ad ascoltarlo quando non si ha molta fretta. An­netta s'inchina ai due visitatori sorridendo co­me a persone conosciute. Martelli entra per il primo. Segue Rerinaldi che rivolge occhiate galanti ad Annetta).

Rerinaldi                       - Ah! Ecco qua la nostra vezzosa Annetta, Come va, Annetta?

Annetta                         - Bene, commendatore. E lei?

Martelli                         - E' di là il maestro? Forse ri­posava.

Annetta                         - No. E' di là che studia, scrive. Non dorane mai di giorno.

Martelli                         - Ah no?

Rerinaldi                       - Dorme poco. Un altro; che non riposava mai era Sardou. Quando l'ho conosciuto a Parigi nel '96, come vedi non è dall'anno scorso e mi dispiace che lo sappia An­netta che ha sempre credulo che io avessi 40 anni...

Annetta                         - (ride).

Rerinaldi                       - Senti come ride bene? Io avrei bisogno di sentirla ridere così tre volte il gior­no per ringiovanire di un anno per volta.

Martelli                         - Così in poco tempo torneresti alla tua infanzia.

Rerinaldi                       - Sicuro.

Martelli                         - Vuole, signorina, avvertire il maestro che noi siamo qui?

Annetta                         - Subito.

Rerinaldi                       - Ti dicevo che quando conobbi a Parigi Sardou, sai a che ora riceveva?

Martelli                         - Dimmelo.

Rerinaldi                       - Dalle 6 alle 9 del mattino. Dalle 6 alle 8 gli uomini. Dalle 8 alle 9 le signore. Appena imi vide, mi disse: «Vous ètes italien, vous ètes paresseux, vous aimez dormir tout le matin! ».

Annetta                         - Il signore viene subito.

Martelli                         - Ah benissimo!

Rerinaldi                       - Sai che faceva Sardou, Annet­ta? Aveva un difetto... Anzi un'abitudine... Prima di tutto sai chi era Sardou?

Annetta                         - L'autore di Fedora.

Rerinaldi                       - Brava!

Martelli                         - Che vuoi che la cameriera di una famiglia di attori non sappia...

Rerinaldi                       - A proposito di Fedora, lui cre­deva che tutti i titoli con desinenza in «ora » gli portassero fortuna: Dora, Fedora, Teodora... Bene, dunque, Annetta, sai che vizio aveva Sar­dou? Pizzicava - e lo fece dinanzi a me senza parsimonia - la balia del nipotino, bellissima, che tra le altre cose era italiana, di Moncalieri, e parlava con me il dialetto piemon­tese. E lei ci stava, che ne dici Annetta?

Annetta                         - Ci stava a che cosa?

Rerinaldi                       - Ci stava con Sardou.

Annetta                         - Ah! Ma io non sono di Moncalieri! (Via in fretta).

 Rerinaldi e Martelli      - (ridono).

Martelli                         - Non è stupida!

Rerinaldi                       - Dicono che questa allieva, que­sta parente che Daniele ha con sé, sia un bel pezzo di ragazza. Tu l'hai vista?

Martelli                         - Io no.

Rerinaldi                       - Dicono anche che reciti bene.

Martelli                         - Sfido! Con quella scuola! Pare che lui sia rigorosissimo con la signorina e che la faccia provare tutti i giorni assoggettandola a una disciplina ferrea.

 Rerìnaldi                      - Dio voglia che venga fuori una attrice. Ne abbiamo bisogno.

Martelli                         - Ma per quale via è sua parente? Dico: quella signorina com'è che è sua pa­rente?

Rerìnaldi                       - Mi diceva il buon Hennequin che l'uomo diventa parente d'urna dorma per una via sola.

Martelli                         - Sempre maligno!

Rerìnaldi                       - Senza essere maligno, io credo che sia la figlia di qualche sua antica amante.

Martelli                         - (alzandosi vivamente con le mani tese) Oh! Buon giorno! Ti abbiamo fatto una sorpresa! (Va incontro a Daniele).

Rerìnaldi                       - Come stai bene, Daniele! Fa piacere vederti! Dicevo dunque che Henne­quin...

Martelli                         - Ma finiscila! Lui andrebbe fino alla fine dell'anno a raccontare barzellette, mentre noi dobbiamo ragionare di affari.

Annetta                         - (attraversa la scena).

Rerìnaldi                       - Parlate! Parlate! Io i miei af­fari li ho conclusi sempre fumando. Annetta, mi porti una bibita fresca? Che avete di fre­sco qui?

Annetta                         - Qui tutto è fresco.

Rerìnaldi                       - Eh, lo vedo!...

Annnetta                       - (via).

Martelli                         - Dunque: la facciamo questa sta­gione colossale?

Rerìnaldi                       - Lui ha già tutto: primo attore, primo attor giovane e prima donna.

Daniele                          - Prima donna, un momento! Una prima attrice non si improvvisa. Edith ha fatto dei progressi, non lo nego. Insomma, ai può tentare.

Martelli                         - A me basta questa dichiarazio­ne. Con tre novità straniere e tre italiane si inizia il giro.

Daniele                          - Bisogna vedere, leggere.

Martelli                         - Ho tutto nella macchina.

Daniele                          - Sta bene. E le piazze?

Martelli                         - A Milano un mese. A Torino 20 giorni. Poi Bologna, Roma, Napoli. Poi al ritorno Firenze, Torino, Milano e ancora Ro­ma. Ti va?

Daniele                          - Va benissimo.

Rerìnaldi                       - Grazie, Annetta. Dunque tu non sei di Moncalieri.

Annetta                         - No.

Rerìnaldi                       - Che peccato. E' una bella città.

Annetta                         - Lo credo, lo credo.

Rerìnaldi                       - (ha bevuto, restituisce il bicchiere) Grazie.

Annetta                         - Prego. (Via).

(Dalla sinistra entrano Enrico ed Edith. Enrico è in abito estivo. Edith pure. Un grande cambiamento si è operato in lei. Ella è ora magnifica, sfolgorante. La sua bellezza è come rivelata e ingentilita).

Enrico                           - (salutando allegramente) Oh! Illustre Martelli! Caro Rerinaldi. Come va la salute? (Saluti festosi).

Rerìnaldi                       - ; Bene, giovanotto, soltanto mi mancano i tuoi anni. I miei li ho in più.

Daniele                          - (presentando) La signorina Edith, il commendatore Martelli, il commendator Rerì­naldi. (Strette di mano, saluti).

Rerìnaldi                       - Mi compiaccio con voi, signori­na. Mi avevano detto mirabilia di voi, ma io vedo che hanno avuto il torto di fare delle de­scrizioni inferiori all'originale.

Edith                             - Che dite mai!

Martelli                         - Vogliamo passare nello studio? Abbiamo un quarto d'ora di tempo. Devo ripartire per Torino.

Daniele                          - Eccomi con voi.

Rerìnaldi                       - Arrivederci, signorina. Io conto di applaudirvi presto.

Edith                             - Eh, chi lo sa! Speriamo!

Rerìnaldi                       - Addio, giovinetto!

Daniele e Martelli         - (si avviano).

Rerìnaldi                       - Sai a chi mi fa pensare? A una attrice che conobbi al ristorante Maxime, pre­sentatami dia Feydeau.

Martelli                         - (afferrandolo per il braccio) Vieni qua, lascia andare! Lo sai che abbiamo un quarto d'ora di tempo! (Esce trascinandosi Rerinaldi che tuttavia si volta a guardare Edith).

Prima allieva                 - (dalla destra) Arrivederci dunque. Vi saluto.

Enrico                           - (che la segue) Oh aspettate! Che fretta avete?

Prima allieva                 - Sono attesa.

Enrico                           - Da chi? Sentiamo da chi.

Prima allieva                 - (canticchiando) E' un se­greto. (Edith va verso destra impaziente).

Enrico                           - (a Edith) Guarda la pelle di que­sta fanciulla (Le prende una mano) Non so come l'estate non riesca a esercitare nessuna azione. E dire che va anche al mare.

Prima allieva                 - Sì, vado al mare. Ma il sole non mi guarda.

Enrico                           - Il sole ha torto.

Prima allieva                 - Il sole chiude gli occhi e io rimango pallida. (Gli mostra il braccio).

Enrico                           - (glie lo finisce di scoprire) Proprio una pelle inattaccabile. (Le prende le due mani) E dunque chi è questo misterioso uomo che aspetta?

Prima allieva                 - (canticchiando) E' un se­greto...

Enrico                           - Un attore?

Prima allieva                 - No.

Enrico                           - Un signore forestiero?

Prima allieva                 - No. Non voglio dir niente. Oh! (Finge di essere corrucciata).

Edith                             - Andiamo, Enrico. Se non lo vuol dire, perché insistere?

Enrico                           - Uno che conosco io?

Prima allieva                 - Uno che tu non conosci.

Enrico                           - (minacciando) Ah ah ah ah! Fai la misteriosa!

Edith                             - (si fa da una parte fingendo di es­sere indifferente).

Prima allieva                 - Certo. Tu non mi mai mai onorata della più piccola attenzione. Io ho aspettato, ho aspettato. Poi me ne sono scelto un altro. Che devo fare? Colpa tua.

Enrico                           - Proprio adesso che cominciavo a volerti bene.

Prima allieva                 - (sorridendo) Già! Ti sei accorto dopo due anni che avevo la pelle bianca.

Enrico                           - Ho aspettato che acquistasse que­sto tono caldo ambrato.

Prima allieva                 - (ridendo) Buffone.

Enrico                           - Ucciderò quell'uomo. Peccato che non lo conosca.

Prima allieva                 - Buffone.

Enrico                           - Si salverà perché è un ignoto qua­lunque.

Prima allieva                 - Già! Un trovatello! Addio, Enrico. Addio, Edith.

Edith                             - (con una certa premura nel conge­darla) Addio Giulietta.

Prima allieva                 - (via a sinistra).

Enrico                           - E' graziosa, Giulietta. E' sèmpre stata. Ma non le ho mai badato.

Edith                             - Sarà una sciocchezza, ma sentire lei che ti dà del buffone, sia pure per gioco...

Enrico                           - . Cara Edith! Gara sorellina! Al­meno posso dirti sorellina quando siamo soli! Ma sai che la nostra è una situazione alquanto equivoca? La gente ci crede par cinti, cugini. Nessuno sa che tu sei mia sorella. Ci son cu­gini alla larga che si amano, si sposano. La gente immagina che siamo cugini, o meno an­cora. Crederà fermamente che noi ci amiamo. Giulietta per esempio ne è persuada.

Edith                             - In tal caso è ancora peggio. Se crede questo come si permette di fare la civetta con te? Per farmi dispetto, allora? E che t'im­porta di Giulietta?

Enrico                           - M'importa perché ha una pelle luminosa.

Edith                             - L'ho anch'io!

Enrico                           - Ma tu sei mia sorella.

Edith                             - Fammi il piacere di non fare il ga­lante con altre donne davanti a me.

Enrico                           - Ma se sei mia sorella!

Edith                             - Sì, ma la gente crede tutt'altro. E credendo tutt'altro chi ci fa una mediocre fi­gura sono io.

Enrico                           - Ma, santo Iddio! Così mi precludo l'amore! Così impedirò alle donne di farsi avan­ti con l'intenzione di sposarmi! A proposito, è a Firenze la mia fidanzata.

Edith                             - Chi?

Enrico                           - Una mia quasi fidanzata.

Edith                             - Figurati che donna può essere!

Enrico                           - . Mi permetterai un giorno o l'altro di avere una fidanzata. Se no per il solo fatto che tu devi salvare il tuo decoro dinanzi a ohi ti crede la etnia innamorata o la mia amante... io rimango a farti la guardia.

Edith                             - (animata) Come hai detto?

Enrico                           - La mia amante.

Edith                             - (scoppia a ridere).

Enrico                           - Che c'è di strano? La mia aman­te, sì!

Edith                             - (ancora scoppia a ridere. A un tratto il riso si fa stridulo e lei si ferma).

Enrico                           - (la guarda. Ella, improvvisamente, assume un volto impassibile) Come sei curio­sa. Io ti guardo stupefatto.

Edith                             - (indifferente) Perché? Andiamo dal Maestro.

Enrico                           - Ecco. Ora sei un'altra. Fredda, tutta ricomposta e irriconoscibile. Ci sono di­verse nature in te. Non si sa in quale ora del giorno ci sia questa o quella. Ecco, adesso ti sento ostile.

Edith                             - Sono. Quasi ti odio.

Enrico                           - Perché?

Edith                             - Perché sono sciocca a occuparmi di te. In realtà non me ne importa niente. Una so­la cosa adoro: lavorare, studiare con tuo padre! Vorrei dargli la vita per fargli capire come gli sono riconoscente e che bene gli voglio. Per te non provo nulla. Provo una gentile avversio­ne. E questo, bisogna rendermi giustizia, fin dal primo momento.

Enrico                           - So che non dici quel che pensi, tuttavia mi rincresce.

Edith                             - Che cosa sai tu di me?

Enrico                           - Come, che cosa so!

Edith                             - Tu mi conosci?

Enrico                           - Edith.

Edith                             - Bravo, sai il mio nome! Com'è quella parte che abbiamo provato col Maestro stamane? « Io mi odio e ti odio! Non c'è nulla in me, per fortuna, che tu conosca. Non cesserò di appartenermi, di dominare te e gli altri! Finché sarò padrona del segreto dell'anima mia, io potrò odiarti senza che tu possa difenderti ».

Enrico                           - Perché tu parli così a me, a me che ti ho sempre guardata con tenerezza?

Edith                             - (deridendolo, quasi sghignazzando) « Ah ah! La tenerezza! Non è un sentimento per me. Io ho tutta la mia carne che grida! Potrei soltanto ucciderti o essere tua ».

Enrico                           - « Maria! ».

Edith                             - « Giovanni! ». Quella Maria e quel Giovanni raffreddano.

Enrico                           - Perché non l'abbiamo detto bene. « Maria »!

Edith                             - « Giovanni »!

Enrico                           - Ecco. E' così.

Il primo allievo              - (dalla sinistra) Buon giorno. Provate?

Edith                             - (prendendolo pel braccio) Oh, Cor­rado! Sì, proviamo a punzecchiarci.

Il primo allievo              - (a Enrico) Sono venuto a prenderti.

Enrico                           - Bravo. Due minuti per cambiarmi.

Il primo allievo              - Come va, signorina?

Enrico                           - (via a destra).

Edith                             - (staccandosi dall'Allievo va verso destra) Così. Sono felice. E tu?

Il primo allievo              - Mi sforzo per cercare di esserlo anch'io, ma non ci riesco.

Edith                             - Non è facile.

Il primo allievo              - Del resto non si può dire che tu mi aiuti un poco.

Edith                             - Corrado, te l'ho detto, non ho vo­glia di legarmi con nessuno. Io non vedo dinanzi a me che l'ambizione di riuscire. (A sinistra).

Il primo allievo              - Ci sei già.

Edith                             - Bravo! Bisogna vedere il pubblico.

Il primo allievo              - Ma sì! Poi, al fianco suo!

Edith                             - Del maestro? Ma questo, caro mio, farà rilevare la profonda distanza fra lui e tut­ti noi.

Il primo allievo              - D'accordo. Ma la possi­bilità di affermarsi non è esclusa.

Edith                             - Non è esclusa ma ho tanta paura, Corrado! Lo posso dire a te che hai più paura di me!

 Il primo allievo             - Ma non è più il panico di 1 una volta!

Edith                             - Lui mi ha guarita.

Il primo allievo              - Che c'entra poi tutto questo col caso mio?

Edith                             - Esiste anche un caso tuo? Per fa­vore, Corrado, dimmi perché dovrei voler bene a te. (Passando a destra) Dimmelo in fretta che io lo sappia!

Il primo allievo              - Vuoi bene a Enrico?

Edith                             - (incuriosita e subito illuminata in viso) -Io? Perché? La gente dice questo?

Il primo allievo              - C'è chi lo dice. Non ci sarebbe niente di straordinario. C'è anche chi dice che sei innamorata del maestro.

Edith                             - Che? Ma io lo adoro! Per essere al­lieva sua avrei fatto tutti i sacrifici, avrei com­piuto qualunque bassezza! Lo capisci questo?

Il primo allievo              - Oh, si vede perfettamente che tu non ami nessuno. Tu sei un'anima chiu­sa e arida.

Edith                             - Ti darei un bacio per la soddisfa­zione che provo di essere stata capita così be­ne da te. (Ride, allegrissimo,).

Enrico                           - Eccomi pronto. Arrivederci, Edith. Tra mezz'ora sarò di ritorno.

Edith                             - Addio, Enrico. Addio, Corrado.

(Enrico e Il primo allievo escono a sinistra. Anche lei sta per uscire a destra allorché si in­contra con Daniele).

Daniele                          - Non te ne andare, Edith. Devo parlarti.

Edith                             - Voi?

Daniele                          - O, sì. Perché ti meravigli? Non parliamo tutti i giorni? Non facciamo che parlare! Io vorrei dirti: Edith, la tua storia è oscura. Aiutami a chiarirla; e que­sta è la domanda meno brutale. Ma dando retta a tutto quello che di accomodante, di pra­tico, e di vile è in ogni uomo, io ti dico; Edith! con quella tua bella faccia soffusa di candore io so che m'inganni. Ma se mi guardi mi in­canti. Forse che non sei entrata qui qualche mese fa per annunziarmi che volevi tra me e te creare una specie di sogno? Ora come è pos­sibile fabbricare il sogno se non ammettendo quella buona parte di menzogne di cui tu giusta­mente hai gratificata la prima parte della nostra istoria?

Edith                             - Maestro!

Daniele                          - Io non mi lagno delle tue menzo­gne. L'accetto come condizione necessaria a tutto il resto. Tu potevi essere cento volte mia figlia e tuttavia non rappresentare ancora niente per me! Noi saremmo oggi qui a guardarci in faccia immobilizzati dinanzi a questa terribile verità di non sapere essere padre e figlia!, perché quella è una provvidenza che non viene dal sangue ma viene dall'abitudine. Ma mi vuoi dire ora perché hai mentito?

Edith                             - Che cosa vi fa credere...

Daniele                          - Non lo so. E' una cosa che si sen­te. Tranne quel ragazzone di Enrico, anche le mura diffidano di te. Tuttavia, messi noi due di fronte, il debitore sono io, capisci?

Edith                             - Sicché io avrei, da una parte, que­sta cosa bella che è tutta lucente nella verità...

Daniele                          - O nella illusione, che lo stesso.

Edith                             - E un'altra tutta in ombra e misera, e brutta?

Daniele                          - Credo.

Edith                             - La menzogna.

Daniele                          - Sì.

Edith                             - E se da quell'altra parte, quella di­sprezzabile, ci fosse tanto dolore, e perciò un'al­tra bellezza?

Daniele                          - Se così fosse ti affretteresti a mo­strarla! Non si è mai vista una donna rinunzia­re ad accrescere il suo fascino.

Edith                             - Vi piacerebbe che io andassi via da questa casa? (Va verso sinistra).

Daniele                          - Sarebbe per me un immenso dolo­re. Ma ti dirò di più: che non credo affatto che tu andresti via. Perché vuoi più bene al mestiere che stai imparando che a me e a te. Dammi retta. Impara prima il tuo mestiere. Poi si vedrà quel che c'è da fare.

Edith                             - Maestro...

Daniele                          - (fissandola) Chiamami babbo, se puoi.

Edith                             - (pausa) Babbo. (Sorride),

Daniele                          - Lo dici sorridendo come una don­na che potrebbe dire altra cosa. Manca alla pa­rola quella piccola innocenza della verità, che c'è sempre, qualunque sia il sorriso o l'ango­scia o l'indifferenza della voce.

Edith                             - Babbo.

Daniele                          - (le accarezza il volto).

Edith                             - Vi regalerò un ritratto di mamma. Un ritratto di profilo.

Daniele                          - L'ho anch'io!

Edith                             - Vestita di bianco?

Daniele                          - L'unico che abbia.

Edith                             - Lo ha dato a tutti e due!

Daniele                          - Non chiedesti mai a tua madre di venire da me? Non le facesti notare che era tuo diritto?

Edith                             - Sì.

Daniele                          - E lei che rispose?

Edith                             - (spavalda e misteriosa) Si mise a ri­dere sgangheratamente, come faccio io quando sento della cattiveria in me, che ho bisogno di smaltire. Prima, sì, prima era la sola maniera di liberarmi.

Daniele                          - E adesso?

Edith                             - Adesso ho imparato a piangere.

Daniele                          - Neanche tua madre sono riuscito a penetrare in fondo all'anima.

Edith                             - (lo guarda e abbassa gli occhi).

Daniele                          - (mentre se ne va. Ma subito torna sui suoi passi e bruscamente la interroga) Se vuoi, ti aiuto io a liberarti.

Edith                             - No.

Daniele                          - Dimmi perché.

Edith                             - Perché non è un segreto mio.

Daniele                          - E' di tua madre.

Edith                             - (accenna di sì) Sì. Perciò non mi appartiene. Non bisogna chiedermelo.

Daniele                          - (scuotendola) Anche tu! Anche tu armata dei tuoi segreti, come lei!

Edith                             - (felice) Abbiamo la stessa anima!

Daniele                          - Mai un piccolo gesto di chiarezza. Chiusa, astiosa, diffidente, crudele!

Edith                             - Io vi adoro. Ho una venerazione per voi.

Daniele                          - Perché tua madre stabilì che tu non dovessi mettere piede in casa mia finché io ero in vita?

Edith                             - Perché aveva paura che io parlassi, che la nostra tenerezza ci inducesse a una spie­gazione. (Disperata) E, infatti, che cosa man­ca perché io parli?

Daniele                          - (fissandola) Se parli, ti perdi?

Edith                             - Forse.

Daniele                          - (dopo una pausa) Confessa che lei mi odiava!

Edith                             - (guardandolo con profonda gioia) Vi adorava.

Daniele                          - (con improvvisa irrefrenabile ango­scia) E allora perché è fuggita?

Edith                             - Non lo dirò mai... Mai! Mai! (E' presa da una specie di disperazione. Daniele se ne va).

Voce di Enrico              - (interna) Papà, papà! Guarda chi ti ho rimorchiato! Ma è mezz'ora che siamo giunti! (Appare sulla soglia) Guar­da che bella visita!

Edith                             - (alza la testa come trasognata. Sta per andarsene ma si ferma all'apparire di Enrico).

Enrico                           - Dov'è papà?

Edith                             - E' di là.

(Entrano Regina, Ubaldo e la signora Speranza. Regina è una fiorente aristocratica signorina. La signora Speranza sua madre è una, ex bella donna con velleità giovanili).

Enrico                           - (presentando) La signorina Edith, la Signora Speranza Corsini. La signorina Re­gina sua leggiadra figliuola.

La signora Speranza      - (osservando Edith con l'occhialino) Ah! questa è la nuova attrice di cui tanto si parla. (Scambio di) saluti).

Edith                             - Si parla di me, signora? Di già? Come mai? Se non ho aperto bocca già si parla di me...

Regina                           - Che cosa avverrà mai quando sarà entrata in scena?

La signora Speranza      - Io vi auguro di mag­giori trionfi. Io ho conosciuto personalmente Eleonora Duse. Creda: era molto modesta.

Edith                             - E' l'unica qualità che io potrò riu­scire a imitare.

Enrico                           - (se ne va a destra, dopo aver con un gesto chiesto licenza a Regina).

La signora Speranza      - (enfatica) E recita­va, poi...

Edith                             - Ah sì?

Ubaldo                          - Perbacco, se non faceva altro in vita sua!

Edith                             - E in che commedia l'ha sentita?

La signora Speranza      - Veramente, non l'ho mai sentita recitare. Ma era così mode­sta! L'ho conosciuta in una gita alla campa­gna romana. Lodava molto il sole.

Edith                             - Oh guarda! E come faceva a lo­darlo?

La signora Speranza      - Ogni momento di­ceva: che bel sole!

Edith                             - Ah! E il sole come si regolava?

La signora Speranza      - Non so.

Regina                           - Mammà, smettila! Non ti accor­gi che la signorina ha rumore pungente? El­la accoppila alla grazia l'osservazione salace.

Edith                             - Lei è gentile, signorina, ma io non sono pungente. E' un momento di ama­rezza che mi ha colto all'improvviso.

Regina                           - Proprio quando entravamo noi? Non siamo avventurate.

Edith                             - Perdonate. Prego. (Accenna a se­dersi).

La signora Speranza      - Venga a trovarci all'albergo.

Edith                             - Grazie. Ma sa... qui tutto il pome­riggio si sta a provare. Prima di iniziare le prove sul palcoscenico regolare, il Maestro vuole che si sappiano tutte le parti. Poi c'è la scuola, ci sono le lezioni. Vengono qui parecchi allievi. Questo salone con una veranda è il nostro palcoscenico di famiglia.

La signora Speranza      - Infatti è come urna scena.

Edith                             - Sicuro, e le colline potrebbero es­sere il fondale di una scena. Anche il pavi­mento, vedono? con quella pedana, dà l'idea del distacco della ribalta. Qui si prova benis­simo. Non erano mail state?

La signora Speranza      - No. E' la prima volta.

Regina                           - Ma è già un po' che siamo arri­vate, lo sa?

La signora Speranza      - Enrico ci ha fatto visitare il parco, e perfino la stalla.

Edith                             - Ah sì?

La signora Speranza      - Abbiamo Mentito le loro voci confuse, ma vibranti. Forse pro­vavano una parte.

Edith                             - Sì, infatti. (Entrano Daniele ed Enrico).

La signora Speranza      - Oh! Caro Daniele, caro Daniele!

Daniele                          - Tutti bene? Come va, signora Speranza? E lei, Regina? Sempre bella! La trovo ancora più graziosa. L'aria di Firenze avrebbe dunque il privilegio di giovare alla stia pelle? Hanno conosciuta la signorina?

La signora Speranza e Regina             - Sì, sì!

La signora Speranza      - Ne abbiamo am­mirato la bellezza e lo spirito.

Edith                             - (schermendosi) Per carità!

Daniele                          - (a Ubaldo) E tu arrivi adesso?

Ubaldo                          - Salivo da te quando ho incontra­to queste signore.

La signora Speranza      - Come è che Loro sono parenti?

Daniele                          - Una zia. C'è sempre una zia che si prende l'incarico della parentela. Bisogna lasciarla fare.

Enrico                           - (che parlava con Regina) Ho già fatto vedere il parco, il paretaio...

Daniele                          - Ah! Ma allora siete arrivate da un po'?

La signora Speranza      - Sì. Abbiamo inteso loro due che recitavano.

Edith                             - (guarda il Maestro).

La signora Speranza      - Provavano una par­te. Si udivano le voci concitate.

Daniele                          - Ah! Ho capito.

La signora Speranza      - Dio, come state be­ne qui! Avete tutte le comodità. Perfino la mucca che tutte le mattine si fa mungere, m'ha detto Enrico.

Daniele                          - Eh, sì! E' una gentilezza che nm con noi.

Regina                           - (ride) Ah, sì?

Daniele                          - Vengono qui dei visitatori, e a tutti fa impressione la mucca. Pure, ci son tan­te cose in giro: arnie, fontane, uccelli da ri­chiamo. Ma la mucca colpisce come la bellezza più vistosa.

La signora Speranza      - E' svizzera, mi pare.

Daniele                          - Sì. E' forestiera.

La signora Speranza      - In un alveare abbia­mo visto perfino l'ape regina. Ce l'ha fatta ve­dere Enrico. Ma che organizzazione!

Edith                             - (a Enrico) Perbacco, quante cose hai fatto vedere.

La signora Speranza      - Dicevo, sì: che orga­nizzazione! Non avrei mai immaginato per esempio che ci sono le api addette a nutrire le covate regali, e ad accudire le foche, mi pare...

Regina                           - Ma che foche, mamma! I fuchi!

Ubaldo                          - La signora Speranza femminilizza tutto.

Daniele                          - E' una cortesia che usa verso i maschi.

Regina                           - Abbiamo dato un'occhiata anche al pollaio. Un vero pollaio come si dice...

Ubaldo                          - Selezionato.

La signora Speranza      - Mia figlia è rimasta trasecolata dai galli.

Regina                           - Via, mamma! Ho visto aneto le galline.

La signora Speranza      - Tutte bianche, ma perché poi, tutte bianche?

Daniele                          - I galli le vogliono così. Non accet­tano mogli di colore. Imperscrutabili ragioni di razza.

Edith                             - (ironica) Ma quante cose hai fatto vedere, Enrico.

Regina                           - Se la signorina fosse stata con noi, le avrebbe viste anche lei.

La signora Speranza      - Ma se stava pro­vando!

Edith                             - Eh, sì, signora! Stavo provando a essere infelice.

Daniele                          - (la guarda) Senza tuttavia riu­scirci. E' così difficile!

La sinora Speranza        - (si alza, anche gli altri H alzano) Eh! La vita del teatro è piena di fascino! Come mi sarebbe piaciuto recitare! Che ruolo avrei potuto avere?

Regina                           - Mamma, prima attrice giovane.

La signora Speranza      - Sciocchina.

Regina                           - Ma i critici ti avrebbero stroncata sul nascere.

La signora Speranza      - Dio, i critici! Che cos'è mai un critico?

Daniele                          - Bernard Shaw dice che il critico è un signore che qualche volta ha di una com­media un'opinione diversa da quella del suo autore.

La signora Speranza      - (si alza) E' giusto! Bene, andiamo, Regina. Caro Daniele, abbiamo appuntamento con due signori russi all'albergo.

Daniele                          - Se sono russi non vi trattengo!

La signora Speranza      - Che c'è ancora da vedere in questo piano?

Ubaldo                          - La voliera.

Daniele                          - (lo guarda severamente).

La signora Speranza      - La voliera? Davvero la voliera?

Ubaldo                          - (ormai non può riparare) E' bel­lissima. Ci son dei pappagalli che sembrano... Che cosa sembrano, Daniele?

Daniele                          - Possono sembrare tante cose: an­che dei pappagalli. Ma alle volte mi potrei sba­gliare. Costa così poco andarli a vedere! (La signora Speranza, Daniele, Ubaldo, Edith, van­no a destra, mentre Regina ed Enrico indugiano nella sala. Edith, che è l'ultima a uscire, lancia una fuggevole occhiata ai due giovani).

Regina                           - E' bella la tua cugina.

Enrico                           - E' vero, sì?

Regina                           - Non c'è pericolo che...

Enrico                           - Oh! Se sapessi che cosa assurda tu dici! non Io immagini nemmeno.

Regina                           - Assurda non mi sembra. Io sono stata civetta con tutti i miei cugini. Ma il gra­ve è che tu non pensi mai a me.

Enrico                           - Ti giuro che ci penso come alla cosa più sorridente della mia vita.

Regina                           - Quando ci sposiamo?

Enrico                           - Quando vuoi.

Regina                           - Sì, lo vedo: senza entusiasmo. Né pago, né ansioso, né inquieto!

Enrico                           - Meglio così. Vedrai. Tutti quelli che si sposano con le smanie vanno a finir male. Lo vedo dalle commedie.

Regina                           -  Perciò hai deciso di sposare una signorina senza troppe smanie.

Enrico                           - Si spera nell'avvenire.

Regina                           - Il presente è proprio da buttar via?

Enrico                           - Il presente è radioso (Le carezza la fronte) Questo è certo! (Regina gli sorride ironica).

Regina                           - E se per pura ipotesi ti venisse in mente di darmi un bacio? Sta attento a non farti male.

Enrico                           - Come sei... come sei! (Le sorride).

Regina                           - Non c'è il caso che ti passi un'idea simile per la testa.

Enrico                           - Ora mi hai messo nella condizione di non potertelo più dare.

Regina                           - Perché?

Enrico                           - Pare che sia costretto.

Regina                           - Bella scusa per sottrarti. Suvvia, dammelo. Ho a cuore la mia reputazione.

Enrico                           - (le prende la testa) Che ti sei messa in mente? (La bacia, poi le mette le mani sulle spalle) Eh? Che ti sei messa in mente? (La bada più a lungo. In questo mo­mento appare nel fondo della scena Edith. Ap­pena ella si accorge di Enrico e di Regina è come colpita da una mazzata in fronte. Senza gridare poiché è senza fiato ella rimane con gli occhi sbarrati dinanzi a sé. Si sentono gaie voci venire dalla destra da cui san usciti Enrico e Regina. E' Daniele che ha chiesto loro qual­che cosa. Edith, che era caduta a sedere sopra una sedia, si alza di scatto e si avvia a destra, affettando una grande indifferenza).

Daniele                          - Edith! Edith! Dove sei? (Si fer­ma perplesso dinanzi a lei) Che è successo? Ho sentito come un presentimento, che tu fossi in pena.

Edith                             - La mia angoscia vi ha chiamato!

Daniele                          - Che hai, Edith?

Edith                             - (gli prende le mani, vorrebbe dirgli qualche cosa) Niente, niente. Dobbiamo pro­vare quella parte?

Daniele                          - Un minuto. Va' a raggiungere gli ospiti. Ti farò chiamare subito.

Ubaldo                          - (entrando) Che ha fatto?

Daniele                          - Non so. Ubaldo, vieni dunque! (Lo guarda) Tu mi porti parecchie notizie.

Ubaldo                          - Sì.

Daniele                          - Non belle.

Ubaldo                          - Non belle.

Daniele                          - Dalla provincia non aspettarti mai una consolazione.

Ubaldo                          - Le date, caro. Le date non con­sentono dubbi. Le date non coincidono. Mi dispiace ad essere proprio io a darti un'amarez­za di questo genere.

Daniele                          - Sicché...

Ubaldo                          - Edith non è tua figlia.

Daniele                          - (lo guarda. Un silenzio).

Ubaldo                          - Su questo punto posso fornirti dati di fatto e soprattutto indicazioni di tempo. Le date era facile confonderle, specialmente per te che non pensasti mai a chiarirle, ma poi...

Daniele                          - (con dolore) . - Lo immaginavo.

Ubaldo                          - La ragazza tuttavia ha avuto sempre una condotta esemplare.

Daniele                          - Ma le date non coincidono.

Ubaldo                          - Lì non c'è alcun dubbio. In tal caso, se era ottima ragazza prima, s'è com­portata qui come un'avventuriera.

Daniele                          - Lascia andare! Non giudicare!

Ubaldo                          - Certo è che ha approfittato dell'equivoco per prendersi un altro padre. Que­sto è criminoso.

Daniele                          - M'interessano due cose: che at­trice può venir fuori, e da che è stata spinta a venir qui. Interesse personale egoistico? Avi­dità di agi? Aspirazione alla ricchezza? An­sietà di studiare, di essere qualcuno? Piccola avventuriera come tu dici, e piccola esaltata? (Una pausa. Poi con altra voce) O infelice? Qui è il problema.

Ubaldo                          - Io non ho i tuoi sentimentalismi. Io la prenderei per un braccio e le direi: quel­la è la porta da cui siete venuta.

Daniele                          - Essere lontano dalla giustizia, qualunque atto tu compia: non ti spaventa?

Ubaldo                          - A te interessa l'attrice.

Daniele                          - M'interessa sapere che cosa è nell'anima di quella creatura.

Ubaldo                          - Allora tu la terrai qui?

Daniele                          - (scuote il capo) Ma ciò non to­glie che io sia preda del mio tormento. Sapere, sapere! Ma perché? Non è forse una misera cosa da parte mia? E' perché da parecchi me­si tu non fai che incitarmi. Indaga! Indaga! Classifica in qualche modo la tua amarezza! Complicità? Simulazione? Avidità? Se non classifica la sua miseria l'uomo non s'appaga. Co­me se questo l'aiutasse a essere meno infelice!

Ubaldo                          - Quando mi avrai dimostrato che la saggezza sta nell'ignorare, ti darò ragione.

Daniele                          - i E se sua madre glie lo ha fatto credere? Se è venuta da noi in buona fede?

Ubaldo                          - Il suo contegno riservato verso Enrico mi fa credere di no.

Diniele                          - E se sua madre glie lo ha fatto credere?

Ubaldo                          - E' anche possibile.

Daniele                          - Dunque vedi?

Ubaldo                          - Hai ragione. Questo è possibile.

Daniele                          - Eh mio caro! La vita può indur­re alla bassezza, ma bisogna salvare il cuore. Fimo a che punto ci siamo salvati in questa storia? Lo vedremo da qui un poco.

Ubaldo                          - Che hai deciso di fare?

Daniele                          - Non ho deciso, come Amleto, di scoprire l'assassino del padre, ma le ho dato a studiare una scena di dramma che pare una scena staccata, mentre è quasi il nostro dramma. Impossibile recitarlo senza rivelarsi.

Ubaldo                          - Credi?

Daniele                          - Ella non è una simulatrice tena­ce. E' una impulsiva. Lo ha detto: c'è un dramma che ha qualche somiglianza con il no­stro. Che combinazione! Tranne che il nostro è innocente, mentre questo è basato sull'inganno.

Ubaldo                          - E lei?

Daniele                          - Tra pochi minuti proverà.

Ubaldo                          - Mi fai tremare.

Daniele                          - Io sentirò vibrare l'anima sua sotto la finzione delle parole. La parte rive­lerà la donna.

Ubaldo                          - Tuttavia, sei inquieto!

Daniele                          - Sì, un poco.

Ubaldo                          - Non ti ho mai visto così. Tu cre­di che osservandola bene potrai capire quello che è nel segreto dell'anima sua?

Daniele                          - Io faccio assegnamento su tutto quello che è vibrante in lei, e improvviso. Ma provo una tale angoscia! Non ho mai provato niente di simile dinanzi al pubblico.

Ubaldo                          - Coraggio, Daniele. Tra poco tut­to sarà finito. (Ubaldo via a sinistra. Daniele tocca il bottone di un campanello elettrico. Annetta appare dalla sinistra).

Daniele                          - Pregate Edith di venire qui.

Annetta                         - Sì, signore. (Per andare).

Daniele                          - Annetta, poi rimani in giardino e non far salire nessuno.

Annetta                         - Sì, signore. (Via).

Edith                             - Eccomi pronta.

Daniele                          - (la osserva) Suvvia, proviamo la nostra scena. La sai perfettamente?

Edith                             - Sì, ma non la dico.

Daniele                          - Perché?

Edith                             - Perché no.

Daniele                          - Ma è uno scherzo.

Edith                             - (con gran pena) Come sono le pa­role che dovete dire contro mia madre?

Daniele                          - Ora vedremo». Comincia col re­citare. (Fa salire sulla pedana Edith)

Edith                             - Buon giorno, signor Carpi.

Daniele                          - (si mette a sedere) Buon giorno signorina, vi chiamate Flora, mi pare.

Edith                             - Il mio nome non vi ricorda nulla?

Daniele                          - Perché? Ma è così che si recita?

Edith                             - (con voce angosciosa) Flora, sì. Il mio nome non vi ricorda niente?

Daniele                          - Perché?

Edith                             - Credevo che vi ricordasse qualche cosa,

Daniele                          - Conobbi a Lugano una signora che si chiamava Flora. Tempi lontani.

Edith                             - Il mio viso non vi ricorda nulla?

Daniele                          - Infatti, sì, io ero turbato... è pro­digioso! Avete lo stesso nome suo.

Edith                             - (angosciata) Come io posso reci­tare queste parole che si riferiscono a quanto di più geloso nascondo nell'anima? (Scende dal palcoscenico).

Daniele                          - Che fai?

Edith                             - Non recito. Questa ignobile parodia del mio dramma! (Risale sul palco) Volete sa­pere perché io ho voluto essere vostra figlia?

Daniele                          - Sì, Edith. (Si alza).

Edith                             - Allora guardate là mia madre che si torce le mani dalla vergogna! Voleva con tut­ta l'anima una figlia da voi, non è così?

Daniele                          - Sì, sì.

Edith                             - Ma fu tratta in una specie di tranel­lo da mio padre che in quei giorni la persegui­tava per riunirsi con lei... Badate! Dopo avervi raccontato questo non mi vedrete più! Nel nar­rarmi la sua sciagura, la mia povera mamma urlava e si torceva le mani. Urlava, urlava per l'offesa fatta a voi!

Daniele                          - (ansioso, tremante) A me?

Edith                             - A voi! Sì, a voi! Perché mia madre aveva sperato che io non nascessi, a ,tal punto ella sentiva contaminato il suo sentimento per voi e l'intima gelosia di se stessa. Ma per mia maledizione, nacqui! Io non conobbi mio pa­dre. La sorte beffarda lo fece morire subito do­po quell'oltraggio a mia madre, e quanto più vidi soffrire lei, tanto più odiai lui. Così ven­ni su una bimbetta che accompagnava la mam­ma da per tutto, nei teatri, pellegrinando da una città all'altra, inseguendovi.

Daniele                          - (stupito) Voi due mi seguivate?

Edith                             - V'inseguivamo! Nascondendoci co­me due ladre! E non m'entrava nella testa co­me voi non ci sentiste, non sentiste la nostra presenza, la nostra ansietà rifugiata nell'ombra dei palchi, e quell'ansietà non arrivasse fino a voi, non vi toccasse, non vi facesse dire: «So­no là! Sono là tutte e due! ». Dapprima non capivo. Poi, vedendo mia madre estatica dinan­zi a voi che recitavate, mi sembraste un dio, un uomo soprannaturale che nella luce del palco­scenico dicesse parole elettrizzanti che delizia­vano l'anima. E il mio amore per voi cominciò da allora, cominciai da allora a essere vostra fi­glia per l'amore stesso di mia madre: quello che avevo io per lei e quello che aveva lei per voi! Quando poi a diciottenni ebbi la sua confessione e conobbi da quale brutto episodio del­la sua vita era nata la sua angoscia, io mi misi in ginocchio dinanzi a lei, dicendole: ce Mam­ma! Io sono, sua! Sono dell'uomo che t'ha amata! Dell'uomo' che tutte e due abbiamo inseguito per tanti anni! Sua! Sua! Sono nata da lui! ». E non ho avuto pace finche tutta stra­volta e piena di odio per tutti sono entrata da quella porta!

Daniele                          - (esultante, con un grido) Ma è questo grido che volevo da te!

Edith                             - (si accorge che la signora Speranza e Regina, attratte dalle voci, sono andate a seder­si sulle due sedie che si trovavano presso la por­ta, con un gesto di discrezione, come se non vo­lessero recare disturbo. Esse credono di assi­stere a una prova) Badate. Non siamo soli.

Daniele                          - Non importa. Dimmi quello che devi dirmi, liberamente.

Edith                             - (ripresa dalla sua angoscia) Ecco perché io dico che sono vostra! Se non sono nata dal vostro sangue sono nata dalla vostra passione per mia madre, che è l'unica tenerez­za della mia vita! Volevate insozzarla con l'or­ribile scena che mi avete dato da recitare! Ma mia madre aveva una bellezza che io non saprò mai imitare, il suo dolore fu tutta una bellez­za! Ora sapete perché mi sono preso questo di­ritto di picchiare alla vostra porta! Diritto as­surdo, assurdo, eppure vivo dentro l'anima mia! Diventare vostra figlia anche mentendo! Vendi­care la sorte! Questo ho voluto fare. Addio.

Daniele                          - (fa qualche passo verso la ribalta. Qui la necessità di nascondere il dramma che lo agita e la sua finzione di attore si fondono) Come tutto cambia! Come la vita prepara le sue burle! Essa si diverte a essere capricciosa a suo modo! Ma oggi, cara, oggi è una specie di alle­grezza per noi due! Perché la menzogna che ti rimproveravo veniva da una più profonda an­goscia che non riguardava te sola e feriva e u-miliava profondamente la tua gelosia di figlia! Addio ombre, addio miserabili crucci. (Gesten­do come se avesse finito la sua parte e come sa­lutando i presenti, esce rapidamente a sinistra. La signora Speranza e Regina, soddisfatte e am­mirate, fanno segno di applaudire. Anche En­rico è accorso ma è arrivato alle ultime parole e guarda incantato senza aver capito nulla).

Edith                             - (ha seguito questa parte con piccoli scatti di riso. In ultimo la sua ilarità è infrena­bile. E' gioia intima sua, ed è finzione di teatro).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La stessa scena, tranne che è notte. E' qual­che minuto dopo la mezzanotte. I colli toscani appaiono sul fondo tempestati di luci, che tan­to più si distinguono per il fatto che la scena all'aprirsi del velario è per alcuni istanti al buio. Subito si odono rumori di automobili soprag­giunte. Annetta accende le luci della stanza e poi va incontro a Daniele, a Edith, a Enrico e agli amici che tornano dal teatro. Siamo al me­se di novembre. Suoni interni di automobili).

Edith                             - (è la prima ad arrivare. Si fa aiutare da Annetta).

Annetta                         - E' contenta la signorina?

Edith                             - Eh sì! Cara Annetta!

Annetta                         - Domenica di giorno verrò anch'io a sentire!

Edith                             - Si, si, vieni vieni!

Annetta                         - E' stato un trionfo.

Edith                             - Chi te l'ha detto?

Annetta                         - Avevo un'amica a teatro che mi ha telefonato tre volte.

Edith                             - Ah sì? (Arrivano Daniele, Rerinaldi, Fabiano, Enrico. Seguono le allieve e il pri­mo allievo).

Rerinaldi                       - Siete stati tutti all'altezza del vostro compito. Tu, va bene ti sei rivelata, ma io ero uno di quelli che ci credevano! Devi tut­to a lui, intendiamoci.

Edith                             - Oh, s'immagini se non lo so. Pure ho sentito che certe cose non le ho dette co­me le avevo dette alle prove.

Rerinaldi                       - Sempre, sempre.

Fabiano                         - Questo succede sempre.

Edith                             - E' vero, Enrico? (A Rerinaldi) An­che Enrico è stato bravo.

Enrico                           - Neanch'io ho reso quello che po­tevo.

Fabiano                         - Ragazzi, mettetevi in mente che alla prima rappresentazione si dà la metà di quello che si potrebbe.

Rerinaldi                       - E quando gli attori lo ricono­scono dopo la recita vuol dire che il pubblico li ha applauditi. Ho conosciuto a Parigi... (Tut­ti protestano per gioco, e vanno sul palcosce­nico) Ah no!

Edith                             - Questa sera niente!

Daniele                          - (con indulgenza) Chi era? Sardou? Bataille?

Rerinaldi                       - Ma no, volevo dire semplice­mente questo; Bert Bady... Tu l'hai conosciuta?

Daniele                          - No...

Rerinaldi                       - Non era bella tutt'altro. Però lei (accennando a Edith)la ricorda per la maniera un po' incantata con cui dice qualche volta le battute.

Fabiano                         - (a Edith) Sai quando le dirai le tue battute come le hai dette alle prove? Da qui a qualche sera.

Rerinaldi                       - Quando ci sarai entrata den­tro, coi lumi, col pubblico...

Edith                             - E' strano. Il tono sembra quello, e in fondo è giusto anche quello. Tuttavia manca qualche cosa: e tu capisci che quel­lo non è.

Daniele                          - Tu non devi mai farti sviare dalle parole degli altri. E anche se non lo guar­di il pubblico, non devi mai pensare che ci sia, e mai uscire dalla atmosfera del personaggio. Mai una piccola assenza come chi dica: ora non tocca a me, io mi riposo. No. E' quando tu stai zitta che devi seguitare a es­sere nel personaggio, e a investire quasi della tua attenzione il compagno che parla. La ve­rità nasce da questa animazione continua. Al­lora, come s'intonano le parole, s'intonano gli spiriti.

Edith                             - Quando ho detto a lui (accenna a Enrico) « non ti amo, non sarò mai tua » ho fatto la pausa tra le due frasi, ma invece del­la pausa è venuto il vuoto. Perché? Perché non l'ho riempita con la mia... con la mia...

Fabiano                         - Con la tua ansietà.

Edith                             - Ecco. Lui doveva passare da un'an­goscia a un'altra più grande, come mi avete in­segnato. Ho sentito che mancava in lui questa cosa, che non solo non si era accresciuta ma non era nata perché non l'avevo fatta nascere io. Come è difficile recitare! Io mi sono domandata, rientrando in camerino, come avevo avuto il coraggio...

Rerinaldi                       - Tu dici questo? Ebbene, per consolarti ti avverto che ho incontrato un'at­trice che tutt'al più potrebbe fare la generica. Non vi dico chi è. Vi dico solo che recita al « Niccolini ». E sapete che mi ha detto? Che forse quest'altro anno metterà compagnia.

Daniele                          - Caro amico, la rovina è qui. Insieme:

Il primo allievo              - (alla prima al­lieva) Sai chi è? La Moretti. (Tutti ridono).

La seconda allieva        - Voglio fare anch'io la prima donna! (Ride sonoramente).

La terza allieva              - Mi vedi tu capo-comi­ca? (Ride anche lei).

Rerinaldi                       - Bene, ragazze. Noi, persone educate e niente originali che abitiamo in cit­tà, abbiamo avuto il piacere di accompagnare gli abitanti del villaggio. Ci siamo compiaciuti, congratulati...

Enrico                           - Ma se sono otto minuti di auto­mobile!

Daniele                          - Te ne vai? E ti porti via le ragazze

Rerinaldi                       - Sicuro a meno che tu non le voglia alloggiare qui.

Daniele                          - Perché no? Ma so di darti un dispiacere. Fermati, prendi qualche cosa. Io avrei quasi fame.

Rerinaldi                       - Ah io no! Dopo mezzanotte non c'è che. dormire. Poi domattina devo ripartire per Roma.

Daniele                          - Almeno beviamo qualche cosa. Festeggiamo il successo di Edith.

Edith                             - Grazie. Siete tutti così buoni! An­netta! (Dice qualche parola ad Annetta avvi­cinandosi all'uscio).

Rerinaldi                       - C'era Feydeau che da mezza­notte in poi...

Tutti                              - (protestando) Ah ah ah!

Daniele                          - Ma sì, lasciamogliela raccontare; se no, non viene più a trovarci. (Viene offerto lo champagne. Edith aiutata da Annetta offre ai presenti).

Edith                             - Evviva il nostro maestro.

Tutti                              - (alzano le coppe).

Rerinaldi                       - Evviva l'allieva degna di tanto maestro, e insieme questi bravi figlioli: En­rico, che anche stasera si è mostrato all'altezza del suo talento, e Fabiano e Corrado, (accen­nando al primo allievo).

Il primo allievo              - Grazie.

Rerinaldi                       - Anche queste signorine. (Ac­cenna alla prima e seconda allieva) Erano a posto.

Daniele                          - Eh! sì, sì.

Rerinaldi                       - Insomma io poche volte ho as­sistito a un complesso di così bella armonia.

Daniele                          - Non c'è male, non c'è male.

Edith                             - Grazie, grazie. (Scambio di sor­risi).

Rerinaldi                       - Ma tu Annetta a Moncalieri non ci vuoi proprio andare.

Annetta                         - No, commendatore. Viaggiare non è per me.

Il primo allievo              - Perché? Annetta deve partire?

Rerinaldi                       - Ma che! E' un viaggio sim­bolico.

Daniele                          - Oh! Adesso un buon sigaro. Tu puoi anche sceglierti i tuoi «Virginia ».

Rerinaldi                       - Grazie. L'ho qui. Spento, na­turalmente, per non dar noia alla signorina.

Edith                             - Peccato! Mi devo abituare!

Daniele                          - Oh! Io vado a fumare in bi­blioteca.

Edith                             - (premurosa per Daniele) Ma no! State qui! Io mi devo abituare.

Daniele                          - Ma che! Prima di tutto accompagnamo Rerinaldi, Fabiano e le signorine fino alle macchine. Vieni, Enrico. E poi questa sera ho proprio deciso: bisogna, Edith, fare il regalo a Enrico. Il regalo che sai!

Enrico                           - A me? A me? (Guarda Daniele, guarda Edith. Edith è ermetica).

Rerinaldi                       - Arrivederci. Guarda chi è ar­rivato! (Entra Ubaldo) Come mai, Ubaldo, non eri a teatro?

Ubaldo                          - Arrivo adesso. Il pubblico usciva dal teatro quando io arrivavo alla stazione. Ho saputo del successo. Sono contento.

Enrico                           - Fatti raccontare da Edith. (Via tutti).

Edith                             - Figuriamoci! Proprio da me! Nes­suno qua dentro si è accorto dei sentimenti che nutrite per me! Tuttavia vi sono grata se siete venuto a chiedere notizie. E sono anche contenta di rimanere un momento sola con voi. (Siede a destra) Perché ce l'avete tanto con me?

Ubaldo                          - Che volete che vi dica? Io sono un uomo chiaro. Ma adesso non è il momento.

Edith                             - E' sempre il momento, caro signor Ubaldo. Voi ogni tanto sventolate la bandiera della franchezza. Come è bello, eh? Ne co­nosco parecchi come voi. Ma io vi posso dire che in certi casi nascondere la verità è più cru­dele e più difficile. Molte volte uno nasce con la menzogna, come me. Non sulla bocca, ma qui dentro. La eredita, la porta in giro, e bi­sogna avvalorarla, svilupparla. E siccome la verità non è tua, tu non puoi che rimanere pri­gioniero della menzogna. E cosi vai avanti. Voi mi dite: perché vai avanti? E' perché nes­suno mi ha insegnato ad affrontare la luce del sole. Bisogna avere la forza necessaria. Ora sì, ho questa forza. Ma la devo a lui!

Ubaldo                          - Oh anche lui ha paura della verità.

Edith                             - Chi?

Ubaldo                          - Il Maestro! Sarà Maestro della sua arte...

Edith                             - Maestro di vita (si alza) soprat­tutto. E' la vita che gli ha insegnato ad avere quella indulgenza che a voi manca, caro si­gnor Ubaldo! Io sono qui per voi ancora una ragazza abominevole che è venuta con l'inganno, mentre l'inganno sapete chi lo fece a me? Lo fecero gli uomini che non ebbero for­tuna! Capite? Non già i malvagi, mia quelli che non ebbero fortuna!

Ubaldo                          - Allora perché seguitate a mentire?

Edith                             - Con chi?

Ubaldo                          - Con Enrico.

Edith                             - Oh ecco! Quella è una menzogna eroica.

Ubaldo                          - Perché?

Edith                             - Perché io amo Enrico.

Ubaldo                          - (disorientato) E allora... perché non glie lo avete detto? Perché vi fate ancora credere sua sorella?

Edith                             - Dal momento che io non lì'ho li­berato dall'ingombro dell'amore fraterno vuol dire che sono eroica.

Ubaldo                          - E Daniele è complice di questo vostro silenzio?

Edith                             - Io a un certo punto mi sono tro­vata dinanzi a questi due uomini. Uno l'ho liberato dalla prigionia di padre dandogli una Edith che è l'immagine del suo sogno. E di Enrico che dovevo fare? Rivelargli che sono una signorina libera che egli può portar via? No. Ecco perché la mia menzogna è eroica. Vedete? Anziché scolparmi dinanzi a voi rin­caro la dose.

Ubaldo                          - (sbalordito) E Daniele?

Edith                             - Egli è ora così felice che io cam­mini al suo fianco senza mascherarmisi da figlia!

Ubaldo                          - Voi dite che andando verso En­rico fareste del male a Daniele?

Edith                             - Ci sono cose che forse solo una donna può capire.

Ubaldo                          - Edith! Forse io vi ho giudicata troppo leggermente. Voi pensate che la vita sentimentale di un padre entra nella sua ombra man mano che il figlio si fa grande? Forse è così. E poi c'è un'altra cosa. Il pudore di chi invecchia molte volte è la tragedia del vecchio. Daniele non è vecchio. Ma è nell'età in cui anche una memoria d'amore ha la sua nostal­gia gelosa.

Edith                             - Ed ecco perché io, per non ferirla, non vorrò mai che egli mi veda allontanare al .fianco di un fidanzato.

Ubaldo                          - (la guarda) Sì. Forse ha ragione Daniele. Io non v'ho ancora capita.

Edith                             - Non sciupare l'immagine. Ecco quel che devo fare.

Ubaldo                          - E il vostro amore?

Edith                             - (commovendosi) Il mio amore è lì, tutto impacchettato e compresso. Aspetta, poverino. E' come schiacciato sopra un salta­leone. Occupa poco spazio finché si userà pru­denza.

Ubaldo                          - (fa per andare).

Edith                             - Ve ne andate? Arrivederci, signor Ubaldo. Forse un giorno non sarete più mio nemico.

Ubaldo                          - Non lo sono più fin d'adesso.

Edith                             - Oh! Ecco un bel premio per me, questa notte! Ma avete udito le parole del Maestro? « Questa sera bisogna fare un regalo a Enrico ». Sapete qual'è il regalo? Svelargli che non sono sula sorella!

Ubaldo                          - E come mai fino ad ora Daniele ha consentito a mantenere l'inganno?

Edith                             - Mille pretesti, mille scuse, cercate da me...

Ubaldo                          - E che succederà?

Edith                             - Si sciuperà una bella cosa che io avevo creato col mio dolore, ve lo giuro.

Ubaldo                          - Edith, vi consiglio di non oppor­vi a quello che è fatale che avvenga. Io non vi dico di essere ottimista come me. Io credo per esempio che tutto quello che mi capita sia per il mio bene. E' una fissazione. Lo riconosco. Ma forse quando noi ci mettiamo deci­samente contro gli eventi non sappiamo quel che facciamo.

Edith                             - Con la finzione, vedete, si aggiusta qualche cosa. Ma se ci sii! mette di mezzo la ve­rità...

Ubaldo                          - (sorridendo) Addio Edith.

Edith                             - Addio signor Ubaldo.

Ubaldo                          - (attende che Edith sin sparita a de­stra e va via a sinistra. Edith via a destra. Si sentono le voci di Ubaldo, di Enrico e di Da­niele che si scambiano festosi saluti).

La voce di Daniele        - E' di là Edith?

La voce di Ubaldo        - Era là, dianzi, con me.

Daniele                          - (entrando con Enrico) Non c'è. Ebbene, che ne dici? Ti sei persuaso che io dovevo perdonarle? Ma che perdonare! Hai capito attraverso quale dramma si è presen­tata a noi? Te la ricordi tutta stravolta quando ha picchiato a quell'uscio ed è entrata?

Enrico                           - Sono così sbalordito! Aspetto di vederla come se non conoscessi ancora il suo viso. Tutti i miei sentimenti sono sconvolti. Non ti so dire quel che provo. Mi pare che tutti i miei pensieri per lei, quelli che ho avu­to fino a oggi, cerchino altri sbocchi nell'ani­ma mila.

Daniele                          - (con un tremito nella voce e una improvvisa ansietà) Tu forse le vuoi bene?

Enrico                           - Che dici?

Daniele                          - (riprendendosi con un pronto rav­vedimento e tuttavia con un tono che indica una improvvisa tristezza, forse una inconfes­sata gelosia) Tu allora le vuoi bene!

Enrico                           - (lo guarda) Ma lei... lei che sa­peva di non essere nulla per me... lei che sen­timenti aveva? Che sentimenti ha?

Daniele                          - Non so... Ma certo... E' vero... può darsi ch'ella abbia per te altro sentimento non rivelatosi... non rivelatosi perché dinanzi a te ella figurava un'altra! E a ime perché non l'avrebbe espresso? (Rimane pensoso).

Enrico                           - (quasi torvo) Come poteva a te che non sei nulla, infine, per lei...

Daniele                          - (colpito) Non sono nulla?

Enrico                           - Sì, a te come poteva confidare un sentimento? Un sentimento che se riguardava me era mio?

Daniele                          - E' vero!

Enrico                           - Ma perché, dunque, hai consen­tito che per dei mesi, sì, per dei mesi ella na­scondesse questa cosa a me?

Daniele                          - Non ti saprei dire.

Enrico                           - Come non mi sai dire?

 Daniele                         - (lo guarda agitato, passa a sinistra) Era già tanto scossa, e mi ha detto che per nessuna cosa al mondo voleva essere ancora turbata. Non si sentiva ancora abbastanza calma da farlo sapere a te... E doveva studiare...

Enrico                           - (stupito) Ma questo lo capisco, con un estraneo. Non già con uno che vive con lei e con te tutti i giorni.

Daniele                          - L'hai saputo adesso, in un'ora di allegrezza per lei!

Enrico                           - Non ti dico di no, ma, babbo.., (Lo guarda).

Daniele                          - Dimmi quello che pensi libera­mente.

Enrico                           - Mi sembra che questa vostra com­plicità...

Daniele                          - Complicità?

Enrico                           - Nel tenere il segreto, chiamala come vuoi, non sia stata, da parte tua special­mente, una cosa leale.

Daniele                          - Perché, io che ci ho guadagnato?

Enrico                           - (lo osserva) Niente, ma, forse, il silenzio! L'immobilità dei nostri animi.

Daniele                          - L'immobilità dei nostri animi...

Enrico                           - E infine che diritto avevate voi due di ritardare una spiegazioni, una confiden­za che poteva portare a una gioia mia... mia e di Edith... una gioia che adesso è trascorsa nel tempo e potrà anche essermi preclusa?

Daniele                          - Tu l'ami?

Enrico                           - Chi lo sa! Forse! Non te lo so dire.

Daniele                          - (esplodendo) E tu ti lagni, tu che hai ventiquattro anni, ti lagni con me che io ti ho ritardato la felicità di un mese quando non sai neppure se questa cosa, doveva succe­dere o non succedere... quando c'è chi vive del fruscio di una veste che due o tre volte ha sen­tito nella vita arrivare da dietro una siepe, e che non sentirà mai più! Mai più! Capisci la profonda ingiustizia di quello che dici? Oli, so bene che è sempre una sublime crudeltà essere giovani, ma voialtri ragazzi per vivere avete una fretta, una fretta che sarà sacrosanta, ma spesso cela un egoismo spaventoso!

Enrico                           - (freddo) Ma di che egoismo parli? Del mio o del tuo?

Daniele                          - (con violenza) Enrico!

Enrico                           - (abbassa gli occhi).

Daniele                          - (come parlando a se stesso) Egoismo nell'aver ritardato, nell'aver tenuto tutto per me uno stato di cose... E perché io poi l'ho tenuto per me? Non parlare! Aspetta che lo domandi io a me stesso (Entra Edith).

 Edith                            - (li guarda, capisce).

Enrico                           - (gioioso) Edith! Io sono qui an­sioso di guardarti, come se dentro di me non ti avessi guardata ancona!... Mi pare che io debba rivivere tutte le ore passate insieme, per sovrapporle alla tua vera immagine!

Daniele                          - (ha seguito le parole del figlio quasi mormorandole per suo conto e approvando con cenni della testa).

Edith                             - Perché il Maestro è così turbato?

Enrico                           - Domandaglielo tu!

Daniele                          - (vivamente) Sì! Egli ha ragione. Ha avuto per me delle parole che nel farmi male mi hanno colto in flagrante. Nel nostro silenzio, Edith, c'è stata una sorta di com­plicità.

Edith                             - (aspra) Non è vero! son stata io che non ho voluto!

Daniele                          - E perché?

Edith                             - Perché non volevo creare né in me ne in lui un nuovo stato di cose, perché... io dovevo essere in pace per poter studiare!

Enrico                           - Non è vero.

Daniele                          - (come parlando a se stesso) Ma allora non ho io immobilizzato nessun senti­mento tra voi due!...

Edith                             - No! Affatto.

Enrico                           - (forte) Vedi? Tu me la rendi ostile.

Edith                             - Ma no. (Scoppia in pianto) Non insistere.

Daniele                          - (assai turbato) Lasciami solo un momento con lei.

Enrico                           - (se ne va in fretta senza voltarsi).

Daniele                          - (le prende le mani, la costringe a guardarlo negli occhi mentre la guarda assai turbato) Di' la verità! Gli vuoi bene.

Edith                             - (non risponde e seguita a singhioz­zare).

Daniele                          - Gli vuoi bene?

Edith                             - Sì! (E' sbalordita di averlo detto).

Daniele                          - E allora... e allora guardami in faccia... Allora ti sacrificavi per me? Rispondi, dunque! Ti sacrificavi per me?

Edith                             - Non mi sacrificavo. La mia vita aveva un prezzo, solo per quella che era da­vanti a voi.

Daniele                          - Ma insomma ti sacrificavi! Per essere con me, per apparire dinanzi a me sen­za ombra, per essere per ime l'Edith di venti anni che illuminò col suo sorriso la mia gio­vinezza, tu ti eri mutilata della tua gioia più vicina! Per non adombrarla! Per non adom­brarla!

Edith                             - Se sapeste che gioia è per me mantener vivo il ricordo di mia madre imitandola! Mi par così di impedire che ella sia morta. Mi pare che io oggi vicino a voi non debba vi­vere che per questo.

Daniele                          - Ah! Ecco! Ecco! (La guarda stupito) Tu volevi stare vicino a me per questo!

Edith                             - Io ero beata.

Daniele                          - E per essere così con me rinunziarvi a Enrico!

Edith                             - (trasognata) Era qualche cosa che nessun altro vi poteva dare. (Si asciuga gli oc­chi) Quante volte voi avete guardato quel ri­tratto che conservate di mia madre?

Daniele                          - Tante volte!

Edith                             - E avete cercato di animarlo. Vi sarà anche parso di vedere l'immagine stac­carsi e muoversi... Mia sarà stato un momento, un momento di illusione che non ha fatto che accrescere la vostra malinconia! Mentre io... Mentre io mi muovo oggi viva dinanzi a voi! Potete chiamarmi e avermi. E io rispondervi, stringervi la mano, sorridervi. Il prodigio.

Daniele                          - (guarda dinanzi sé estatico un pun­to lontano).

Edith                             - (a bassa voce) Maestro.

Daniele                          - Edith!

Edith                             - Chi guardavate?

Daniele                          - Ti vedevo.

Edith                             - Ero lei?

Daniele                          - Sì.

Edith                             - E avete dunque il coraggio di uc­cidermi?

Daniele                          - Il passato di un uomo non conta. E' la vita dei giovani quella che vale.

Edith                             - (intima, dolce) Vedermi con un uomo! (Gli sorride) Come fareste a cercare an­cora la vostra Edith?

Daniele                          - (animandosi e trovando la via man mano che dice le parole) Edith! La vita è la vita. Quante volte noi ci feriamo' a morte per dare il posto agli altri! La crudeltà è den­tro di noi, attorno a noi. Ma molte volte la cru­deltà verso noi stessi genera un bene. E per quel bene conviene anche ferirsi a morte. Tu volevi essere Edith dinanzi a me, la donna che ho ama­ta, il sogno! Questo vuol dire che tu sei tutta bella oggi, nel volto e nell'anima! E questo ti servirà a essere grande, perché bisogna essere belle dentro per capire che cos'è l'arte di re­citare, ossia per sapere che cosa deve diven­tare un'angoscia dentro di noi per essere viva! Chiama Enrico, chiamalo.

Edith                             - (con violenza) E' una cosa che non farò mai. Io non vi tradirò mai, ricordatevelo!

Daniele                          - Sacrificando te stessa, sacrifican­do mio figlio! E tu credi che questo sia un re­galo per me? Tu l'ami! Vaglielo a dire! Tu l'ami! Non c'è nulla che sia comparabile a una delizia simile! Neanche la bellezza del tuo sacrificio gli è eguale! Va! Va! Edith. (Pro­nunziate queste parole con voce esaltata come se parlasse di un suo sentimento e di se stesso) Chiamalo! Chiamalo! (Si avvicina alla porta. Edith si appoggia al fianco di Daniele e pare che sia per staccarsi per sempre da lui e cerchi ancora per un istante di essergli vicina con tutta l'anima sua)

Edith                             - Non ho più forza. (Chiama col gesto più che con la voce) Enrico!

Enrico                           - (non parla. Si ferma sul limitare).

Daniele                          - Ti ama, sai. Ti ama come sa amare una creatura che si è rifabbricata di sana pianta a furia di volontà e di patire. Un giorno io ebbi un profondo dolore quando seppi che non era mia figlia. Ma è sempre da una grande pena che deriva una piccola gioia per gli uomini. Se fosse stata mia figlia non starebbe ora per te quella che è infatti: la promessa di una grande felicità, l'unica vera felicità che esista sulla terra.

Enrico                           - (passando a sinistra) Ma tu! Tu! Io sento le tue parole come se le suggerisse la tua angoscia!

Daniele                          - Caro Enrico! Che cosa di meglio può fare un padre, che cosa può fare di più miracoloso che creare una donna come si crea una figlia e darla al proprio figlio? Più bella non la potrebbe fare. (A Edith) Non piangere, via! Salutiamoci tutti e tre per la prima volta questa sera.

Edith                             - (quasi con violenza a Enrico) Non capisci tu quello che con la nostra felicità gli togliamo?

Daniele                          - Su via, amici! Bisogna pur sa­lutarci una buona volta! Gli uomini che non sanno congedarsi dal loro bene sono sempre dei poveri esseri! Noi ci salutiamo, Edith! Ci salutiamo come quel giorno che sei venuta vent'anni fa nel viale.

Edith                             - (a Daniele che ha fatto un passo verso la porta) Addio, Daniele!

Daniele                          - (si volta. Pare trasfigurato) Ad­dio, Edith!

Edith                             - (lo guarda trepidante, Enrico ha una mano di Edith tra la sua e guarda davanti a sè).

FINE