Il magnifico cornuto

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di FERNAND CROMMELYNCK

PERSONAGGI

BRUNO

PIETRO

IL BORGOMASTRO

ESTRUGO

IL BOVARO

IL CONTE

QUELLO CHE VIENE DA OOSTKERQUE

IL MARITO  DI  FIORENZA

STELLA

LA NUTRICE

CORNELIA

FIORENZA

UOMINI E DONNE DEL VILLAGGIO

In Fiandra, ai giorni nostri

ATTO PRIMO

L'interno di un antico mulino adattato ad abitazione. Grande sala alta di soffitto, con pareti imbiancate, abbondantemente rischiarata da due finestre, in fondo: una a pianterreno, l'altra a livello del piano superiore. La prima dà su un giardino pieno di fiori; la seconda non inquadra che l'azzurro del cielo. A questa si accede per una scala di legno che porta a una gal­leria costruita lungo la facciata. La porta d'ingresso è a si­nistra, quasi in fondo; quella dell'appartamento a destra, al primo piano. Tutti i rivestimenti in legno (porte, cornici delle finestre, scala e galleria) sono di un bel verde rustico, un po' latteo. Il mobilio (armadi, scrivania, seggiole) è dipinto in giallo paglierino lucido.

Stella è presso la finestra, in ginocchio davanti alla gabbia del canarino e ai vasi di geranio posati in terra.

Stella (parlando a una pianta di geranio) — ... E poi e poi? Se non ci fossi io, come te la caveresti? Aspetteresti la pioggia senza seccare? e l'ombra a mezzogiorno, eh? e ch'entri il sole per le tendine? (Al canarino:) E tu, picco-lino, anche tu hai sete? Canteresti, se io non ci fossi? Chi te li dà i semi da beccare e le foglie d'insalata e le zollette di zucchero ammollite nell'acqua? Si, batti le ali. Vuoi dire che se io non ci fossi, scapperesti nel bosco? (Ride). Ah! ma non sai che non ci camperesti neppure un giorno? Tu non sai quel che è buono da mangiare e quel che no! Sei nato per vivere in gabbia, e il geranio per crescere in vaso; e io, fortunata, per voler bene a Bruno! (Ride). Sarà il buon Dio che così ha disposto? Tu, hai i fiori; questo qui, il canto; e io, l'amore di Bruno! Se tu fossi libero in un giardino, tu su un albero e io non avessi il mio amore, chi ci sarebbe di guida? Cip, cip, sì!... Nessuno, poveretti noi! (Annaffia il geranio, dà da beccare al canarino). Che sogno facevi, raggomitolato nelle tue piume?.... Sognano an­che le piante qualche volta, quando la notte è chiara... O non sarà piuttosto al crepuscolo, che sognano?... Ho sogna­to anch'io, stanotte; ma il mio sogno l'ho bell'e scordato!

                  (Finge un broncio da bambina). Così,quando Bruno torna, non avrò niente da raccontargli... Oh... ho dormito sola, con tutto il letto per me, freddo, però, e ho scordato il sogno che ho fatto! Che dirà il mio diletto?

(Cornelia, una giovane sposa del villaggio, s'arresta davanti alla finestra).

Cornelia — Buongiorno, Stella. Ho incontrato il tuo uomo, stamattina.

Stella (ha un sobbalzo, s'alza di scatto) — Cornelia, che dici? Ah, bene e male mi fai!... Tu l'hai visto? Dove, l'hai visto?

Cornelia — Alla Porta Nord.

Stella — Stamane?

Cornelia — All'albeggiare. Tornavo sul carretto con mia sorella.

Stella (emozionata) — E tu l'hai visto?... Buongiorno, Cor­nelia. Che era in strada, l'hai visto? Era allegro? Ti ha parlato di me?  (Chiamando:) Memé, Memé!... E allora?

Cornelia — Ho fermato il cavallo e lui s'è venuto ad appoggiare alla stanga.

Stella   (richiamando:) — Memé!  Memé!

Cornelia — Aveva fatto parecchio cammino, era accaldato, s'è tolto il berretto.

Stella (eccitata) — Aspetta, ora mi dirai! (Compare da de­stra Romania, la vecchia nutrice. Stella le va incontro). Memé, c'è una qui che l'ha incontrato, Bruno! stamattina! alla Porta Nord! È così, vero, Cornelia? Lei l'ha visto, visto! E tua sorella dove l'hai lasciata?... ha visto Bruno! S'è avvicinato, s'è appoggiato alla stanga, aveva caldo, si è tolto il berretto. Dillo, Cornelia!... E allora?

Cornelia — Lui ha proseguito per la sua strada e noi per la nostra.

Stella — Ma prima che ha detto?

Cornelia — Ha parlato del tempo, mi pare.

Stella — Oh! Nient'altro?

Cornelia — Non direi...  Non ricordo.

Stella (buttandosi tra le braccia della nutrice e scoppiando in pianto:) — Oh! nutrice, nutrice mia! Chi sa che belle cose Bruno "ha detto! e quella lì se le è bell'e scordate! Ma è una cosa possibile?

La nutrice (blandendola:) — Eh! buona, buona... Anche me ora vuoi far piangere?... Bruno è per istrada, piccolina... A momenti è di nuovo qui con noi.

Stella — Tre ore ancora da aspettarlo!

La nutrice — Buona, via!... Ci farà tanta festa, arrivando, che saremo ricompensate... Non esser gelosa! Ci racconterà il lungo viaggio  che ha fatto,  tutte le  cose  che ha visto... Quali alberi han messo il fiore, che pronostici fanno i con­tadini e tutto quanto. E che ad ogni passo si chiedeva: li rivedrò? e tutto, tutto, tutto...

Cornelia   (scoppiando a ridere) — Ah! Vergine Santissima!  il giovinotto le  ha incitrullite tutt'e due!

Stella — Cornelia, lascia che ti dia un bacio! (Cornelia porge la guancia). E ora chiama tua sorella: lei forse qualcosa di più ricorderà...

Cornelia   (alzando la voce:) — Fiorenza! Fiorenza!

Stella (smaniosa) — Sì, falla venire! È da ier sera che Bruno è partito. È andato a prendere mio cugino che è capitano di mare.

Cornelia — Fiorenza, sei sorda? Vieni qui!

Stella — Mio cugino Pietro, sai? te lo ricordi?... Ma viene o non viene, Fiorenza?

Fiorenza   (arrivando  trafelata) — Che  ti  gingilli  qui a fare, pigrona! Vieni a casa! di corsa! Sono arrivati quelli della birra...

Stella — Fiorenza, tu hai visto Bruno per istrada. Dimmi una cosa, ti prego: di me ha parlato?

Fiorenza   (ride) — Ah!  si! Aveva un fiore in bocca... Questo!

(Lo   cerca nella  tasca  del  grembiule,  lo  butta  a  Stella).

Piglia, te lo manda! (Mettendosi di corsa e traendo con sé la sorella:) Cammina, battifiacca!  Bisogna dargli da bere!

La nutrice — Ecco, vedi, carina: una primula ti manda! la prima che si vede!  Pazienta un po', che fra poco arriva!

Stella (pallida d'indignazione) — E osava, questo fiore, tenerselo nella tasca del grembiule! Pensa un po'!

La nutrice — Io vado nell'orto ad annaffiare...

Stella — Un fiore, un fiore mi ha mandato!... Va', va'... Memé, farà presto ad arrivare mezzogiorno?

La nutrice — Prestissimo, piccioncina! Già, non vedi?, l'ombra dei meli s'è ritirata dal muro... Ancora qualche piccola oretta.

Stella — Va', va', nutrice mia. (La vecchia esce e si chiude l'uscio alle spalle. Rimasta sola, Stella alza il fiore verso il sole e gioiosa canta:)

Alla gonna ella ha tre di neve falpalà.

Per guadare il fiume, allora...

(Mettendosi il fiore in seno, sottovoce:) Lì, lì nel canestrino... (Va di nuovo a inginocchiarsi davanti alla gabbia del canarino:) Oh! povero canterino tutto solo! Il bagnetto, vuoi fare? Batti, batti le ali, cuoricino tutto d'oro, com'è il mio se Bruno mi guarda! (Si allunga per terra davanti alla gabbia, appoggiata ai gomiti, la testa tra le mani). Sai che si fa? Certo Bruno mi racconta il suo, di sogno; e a questo modo io mi ricorderò del mio, perché senza dubbio i nostri sogni s'assomigliano. (Per gioco, rompe in singhioz­zi; esagerando:) Ih! ih! Tornerà presto il mio benamato? Potrei io vivere un giorno lontana da lui? uno solo, senza morire?

(Bussano alla porta d'ingresso. Senza muoversi di dov'è:)

Avanti!

(Entra il bovaro, un bel giovinotto dal sor­riso aperto, la capigliatura folta; è sporco e sano, calmo e gaio sotto il ferraiolo a brandelli).

Buongiorno, signore.

Il bovaro (al «signore» ride) — Il mio nome è Ludovico, Ludovic, Luigi.

Stella   (sorridendo) — È un nome che...

Il bovaro (interrompendola) — Sì, sono di Borkem, nella vallata. Vengo da te per farmi scrivere una lettera.

Stella — Bene, sedetevi. Estrugo non può tardare.

Il bovaro — È lo scrivano, Estrugo?

Stella — Sì.

Il bovaro — Non è lui che può scrivermela, ma Bruno. Ha più garbo, Bruno, a scrivere le lettere d'amore.

Stella — Bisogna allora che torniate. È andato in città, mio marito. Non sarà di ritorno che a mezzodì.

Il bovaro — Di città, a quest'ora? È partito all'alba, si vede!

Stella (imbronciandosi istintivamente) — M'ha lasciata ieri al crepuscolo!

Il bovaro — Ti ha lasciata qui?

Stella   (con un sospirone) — Sì...

Il bovaro — Sei andata a letto sola, allora?

Stella (ingenuamente) — Ahimè, si... E ho dormito e il sogno che ho fatto l'ho scordato...

Il bovaro — L'avessi indovinato, sarei venuto.

Stella — Per che fare?

Il bovaro — Per condurti con me sulla collina. Ci ho passato tutta la notte con le mie bestie.

Stella (ingenuamente) — Oh! no! Avrei avuto troppo freddo, tutta la notte sulla collina!

Il bovaro (sorridendo) — Oh! per questo!... T'avrei scaldata contro di me.

Stella — Mica io avrei voluto!

Il bovaro — Oh! si! Non sono meno bello di Bruno. Non ti voglio meno bene di lui.

Stella — Oh! davvero? Mi volete bene? Da quando?

Il bovaro — Da domenica. T'ho vista sul sagrato, che andavi a messa...

Stella   (in una risata) — Domenica! Mica da tanto, allora!

Il bovaro — A vivere solo in compagnia dei miei animali, succede che penso. Si vive in fretta, quando si pensa.

Stella — Voi mi amate e io amo Bruno: che ci si può fare? Nessuno ne ha colpa. No, non sei, tu, bello come Bruno.

Il bovaro — Più giovane sono e più forte.

Stella  (sdegnata) — Oh! ha la nostra età, Bruno!

Il bovaro — L'età... l'età, si. Ma sa troppe cose, lui; è istruito. Come  si  può  saper tutto  senza  invecchiare?   Io,  neppure scrivere so. Per ciò son venuto. Lui saprà far la lettera come si deve. È per te.

Stella   (giubilante  come  una  bambina) — Ah,  è per  me  la lettera? Ma allora Bruno non te la scrive!

Il bovaro   (fiducioso) — Oh! si!

Stella — No, no. Lo metterò in guardia!

Il bovaro — Fa pure. In pagamento gli darò un porcellino da latte.

Stella — A che pro, la lettera? Ormai lo so che mi ami.

Il bovaro — Ma bisogna dimostrarlo!

Stella   (ride) — Con delle parole! E con le parole di Bruno!

Il bovaro   (piccato) — Sono di tutti, le parole!

Stella — Sicché, se lui non ti scrivesse un bel niente, non lo dimostreresti il tuo amore!

Il bovaro   (che si è ripreso) — Ti porterei sulle mie braccia sino in vetta alla collina, di corsa, senza prendere respiro. Lassù, di fiato, ne avrei ancora abbastanza per farti caldo o freddo.

Stella   (senz'ombra di malizia) — SI, sei forte. Pure non ci riusciresti:  peso più che non paia.

(Senza fretta, il bovaro viene a lei a braccia protese).

Il bovaro — Lo pesi il peso d'una pecora pregna? Sentiamo...

Stella (indietreggiando impaurita) — Ho paura, di voi! Lasciatemi!... Siete tutto sporco!

Il bovaro  (serrandola da presso) — Ferma! Vieni qui!

Stella — Chiamo!

Il bovaro — Grida pure, io ti porto via! (L'abbranca e la solleva).

Stella (strillando) — No!!!

Il bovaro (ridendo) — Si! Mi pesi meno sulle braccia che sul cuore.

Stella (sbiancandosi di rabbia, senza un gesto) — Rimettimi a terra, villano!

Il bovaro (impuntandosi) — No, madamigella!

Stella — A Bruno, lo dico!

Il bovaro — Diglielo. Cozzeremo come capri, lui e io. Il più cattivo ti avrà.

Stella  (tremante) — Mettimi a terra!

Il bovaro (imperioso) — Abbracciami! (Ed ecco se la rovescia sul petto. Con furore represso:) E ora sulla collina! senza riprender fiato! (Con quel peso, si slancia verso l'uscita).

(Stella strilla, si dibatte selvaggiamente, gli strappa ciocche di capelli).

 

Stella — Romania! aiuto! corri! Ti mordo, se non mi lasci! Aiuto! Bruto! villanaccio! (Si aggrappa alla porta, costrin­gendo a voltarsi lui che cerca di uscire a ritroso).

Il bovaro (che di quegli sforzi ride) — Sulla collina!

Stella — Presto, presto, Romania! Aiutami! Aiuto!

(La balia accorre armata di un randello, che abbatte per di dietro sulla testa del bovaro; il quale vacilla e si lascia scivolar di braccio Stella).

La nutrice — Ah! il mascalzone! il cattivo soggetto!... Che voleva da te, Stellina?... Ah! il brutto demonio!

(Il bovaro, stordito dal colpo, s'appoggia con la schiena al muro).

Il bovaro — Assassina! (Resta dov'è, immobile).

La nutrice (abbracciando Stella) — Colpa mia! la colpa è mia, che ti ho lasciata sola, abbandonata, la mia tortorella!... Che vuol mai da te? che t'ha fatto?

Stella (guardando il bovaro che stenta a riprendersi) — Picchi troppo forte, Memé!

Il bovaro (con gli occhi ancora chiusi, sorride:) Oh! no...

La nutrice  (allarmandosi) — Non ci morirà mica qui, eh!

Il conte (comparendo alla finestra, in tenuta da cavallerizzo) — Ho sentito dei gridi. Qui, è stato? Passavo laggiù al limite del bosco, quando m'è parso di udir chiamare aiuto... Ho legato il cavallo a un albero e...

La nutrice (facendogli un inchino) — Buongiorno, signor conte!

Stella (al bovaro) — Vattene!

Il conte.— È tuo marito che ti picchiava?

La nutrice — Oh che dice, signor conte! il nostro Bruno, che le pare?... È in città da ieri.

Stella  (al bovaro) — Vattene!

Il bovaro (barcollante) — Si, tornerò... (Sorride:) Fa che ti ab­bia nella mia capanna un giorno solo, ne discenderai meno fiera. La botta me l'ha data soda, ma non troppo: ho la testa dura. (A prova, vi appioppa forti pugni con ambe le mani; e ride:) Dura, dura! (Si avvia. Stella scoppia a ridere).

Stella — Ah! ah! come se ne va mogio! Lo sai, Memé, che avresti potuto spaccargli la testa?

La nutrice — Sarà per la prossima volta! Gliela spaccherò sì!

Stella (allegramente) — No, signore: non mi ha picchiato mio marito. Se gli piacesse picchiarmi, lo sopporterei in silenzio.

La nutrice — Io vado a mettere la minestra al fuoco. Chiudi la porta, Stella, mia cara. (Fa una riverenza al conte ed esce a destra).

Il conte — Allora, gli vuoi sempre lo stesso bene?

Stella — Se non ho cominciato a volerglielo, come potrei aver finito?

Il conte — Non hai cominciato?!

Stella — Voglio dire che gli ho voluto bene sin dal primo giorno; ma ero così piccina che non ne ho ricordo.

Il conte — È andato in città?

Stella — Sì. A prendere mio cugino Pietro, che è capitano di mare.

Il conte — Hai dormito sola stanotte?

Stella (l'ha udita la domanda?) — Lo conoscete bene, vero, mio cugino. Da ragazzi si giocava insieme davanti al ca­stello: Bruno, lui ed io. Voi stavate per ore alla finestra a guardarci attraverso le tendine.

Il conte — È la prima volta che dormi sola?

Stella (senza malizia, probabilmente) — Mi pare che nitrisca il vostro cavallo:  vi chiama.

Il conte — Te sola, guardavo. Avevi già della malizia; e delle gambe, avevi, che facevi vedere... (Stella ride forte). Perché ridi?

Stella — Pensavo a quel giovinotto! per poco, lo accoppava, la mia nutrice! Voleva portarmi sulla collina!

Il conte (ride mostrando i denti, in modo poco rassicurante) — Ah! ah! il prepotente! La sa scegliere la sua selvaggina!... Ti avrebbe divorata viva!

Stella (porgendo orecchio) — Vi chiama, signore, il vostro cavallo!

Il conte (con un sorriso forzato) — Vieni con me a fare una cavalcata nella foresta... Ti metto attraverso la mia sella, vuoi?

Stella (riprendendo a ridere) — Ah! che colpo ha ricevuto sulla zucca!  ah ah!...

Il conte (spazientendosi) — Perché stanotte non sei venuta di corsa al castello? Ti avrei guardato dormire attraverso le cortine. Di solito, dormi con la testa nel cavo del braccio destro ripiegato, vero? Hai un neo giusto all'altezza della giarrettiera, un altro sotto la cintola...

Stella   (stupefatta) — Come?...

Il conte (lasciando di nuovo scorgere i denti) — ... una macchia sotto la mammellina destra, che hai dalla nascita e che quasi non si vede...

Stella   (imporporandosi) — Come, come sapete questo?

Il conte — ... Da ritta, senza piegare i ginocchi, tocchi in terra con la punta delle dita...

Stella  (furente) — Oh! oh! tacete, per favore!

Il conte — Sei così flessibile, Stella, che tutte le mattine, come un bambino, ti mordi l'alluce. (Stella dalla vergogna si co­pre con le mani la faccia e piange di stizza. Il conte affaccia il viso sopra quelle mani; in un bisbiglio, bramo­samente:)

Stella, Stella, adorabile fanciulla! (Dicendo, l'afferra per il braccio e l'attira).

Stella (si svincola con uno strattone e, fuori di sé, gli grida in faccia:) Lupo mannaro! (Lui ride, lei s'arrabbia di più:) Già quando ti vedevo dietro le tendine delle tue finestre, avevo paura dei tuoi denti bianchi. Va, va nella foresta! vacci tutte le mattine! Verrà bene quella che Bruno ti piglierà al laccio, come una cattiva bestia! È sporco, il bovaro; ma lo preferisco a te. La tua anima è nera come la cappa del camino!

Il conte (ridendo di nuovo) — Non ti arrabbiare, piccolina. Se ti avessi sposato io anziché Bruno, a quest'ora lo diresti di lui, probabilmente, che ha l'anima nera.

Stella — Come osi? Vattene o faccio venire il randello di Memé!

Il conte (sempre ridendo) — Addio, allora! E per non contrariarti, cara bambina.

Stella — Sì!

Il conte — Il mio cavallo mi attende... Addio!   (Si allontana).

Stella (lanciandogli dietro una manciata di ghiaia) — Che da­vanti alla scalinata di casa ti possa far cadere col tafanario in avanti; così le tue domestiche ti rideranno alle spalle. Sciacallo! Gufo! Volpaccia! (Sputando:) Ptu! ptu! (Rientra, picchia il piede per terra, si concentra un istante, va a guardarsi nello specchio sopra il caminetto; pudica, rialza il collo della camicetta, tira giù il gonnellino. Prendendosi la faccia tra le mani, mormora indignata:) Oh! oh!

(In quella, si ferma davanti alla finestra un giovane. Ha i capelli al vento, il collo scoperto. Prudentemente spinge l'occhio  nell'interno; vede  Stella, sorride).

Il giovane   (Sottovoce:) — Stel-lac-cia!

(Lei si volta di colpo).

Stella  (in un grido di gioia) — Oh!... il Nì mio, mio!

(È già fra le sue braccia).

Il giovane (teneramente, lungamente) — Nere, nere me l'hai fatte, mio stradivario!

Stella (stiracchiando la voce) — Core, core, baci, baci lunghi, lunghi, degli amo e degli adoro!

(Si baciano e ribaciano).

Il giovane (aprecipizio) — Oh Colombia! America tre volte! «Nuova terra scoperta!». Straripa nel cuore di lui, incanto degli incanti, anima dell'aurora boreale! Io bere la fresca con lente cannucce, all'infinito, e dir grazie quanti fili d'erba!

Stella  (liquefacendosi di gioia) — Ni-i-i-i!

Il giovane (mandando lo sguardo per la sala) — Il consorte non c'è?

Stella (divertita) — No, no, è via! È in città, in città, da ieri! (Gli si rannicchia contro). Elemosina, in grazia, nel cantuccio dei dormi,  a manca!

Il giovane (guardandosela) — Versa i tuoi cieli pieni di musica, la Stellata!

Stella (carezzevole) — ... e ghiaccioli alla tanto, tanto amma­lata! (Un bacio. Poi, in tono accorato:) Il consorte non deve rincasare che a mezzogiorno. Brillante è rimasta sola. Ha dormito; e i suoi sogni, tutti oblii.

Il giovane (ninnandola) — Quando il cattivone tornerà, il cuore della piagnucolosa spiccherà il volo! Voga, voga, barchetta, ai ninnananna di colui che dice gli adoro! Ce ne sono, dei lunghi viaggi, nell'anima di lui!

Stella (come ebbra) — Inventa, inventa!... (Si abbracciano, si baciano ancora. Poi Stella scostandosi dalla finestra chia­ma:) Memé! Memé! (Il giovane scavalca d'un salto il pa­rapetto ed eccolo nella sala. Stella gli si appende al collo:) Sposo diletto! tesoro mio caro!

(Compare la vecchia nu­trice. Stella gridando:)

È Bruno, guarda! Bruno è ritornato a noi!

Bruno — Buongiorno, vecchia Romania!... Piglia a volo!   (Le lancia il berretto che si è tolto di tasca).

La nutrice   (raggiante,  come non credesse  ai suoi occhi) — Eh! sì! proprio vero! È lui, lui in carne ed ossa! Eccolo qui il nostro bravo figliolo!

Stella   (rannicchiata contro Bruno) — Quanto l'abbiamo sospirato questa mattina!  È bello, non è vero, Memé?

Bruno   (ridendo) — E io, dacché manco, mi sono smarrito in una selva selvaggia, ho come minimo fatto naufragio; sono da ier sera invecchiato parecchio, eh, nutrice?

La nutrice — Oh! no! Bello lo è sempre, ma ha bisogno d'una spazzolata;  è tutto impolverato!   (Esce  a destra, in cerca della spazzola).

Bruno (stringendo Stella contro di sé) — Davvero! sapessi quel che ho sofferto! Non avevo fatto un'ora di strada, che, vol­tandomi, m'è parso di scorgere un bagliore dietro le abe­taie. Per poco non sono tornato indietro per salvarti dal­l'incendio. Non ridere! Agli Stagni Neri ho creduto di udire una voce che mi chiamasse da lontano; potevi essermi corsa dietro scalza e in vestaglia. In questo timore, mi sono se­duto sulla scarpata. Eppure sapevo bene che ha paura, la piccolina, delle ombre e dei rumori della notte! Oh! gattina acciambellata, ce n'erano, sai, dei conciliaboli di streghe nella campagna e dei raggi e degli specchi volanti!

Stella (civettando) — Uh! uh! Soffi gelo su Puccettino! (Ed ecco si scosta, fissa Bruno ed esclama:) Che sventata! e tu, mio diletto, non mi dicevi niente! C'è Pietro dietro la porta! (Corre ad aprire).

Bruno — Ma no! non c'è!

Stella (aprendo) — Pietro è qui, Pietro! (Non vedendolo rientra sorpresa e delusa:) Dov'è?

Bruno — È per istrada.

La nutrice   (arrivando con la spazzola) — Dà qui la giacca...

Bruno (togliendosi la giacca che la vecchia va a spazzolare presso la finestra) — Grazie... Sarà qui a momenti: aveva ancora degli ordini da dare e ne aspettava. (Si siede; Stella si accuccia alle sue ginocchia. Abbassando la voce:) E io, in pensiero com'ero per te, non mi sono sentito di atten­derlo. Lascia che ti accarezzi i capelli. A momenti lo vedi... Non è affatto mutato: timido e franco come un tempo. Ti ricordi? quando si giocava a saltarsi sulle spalle, dieci ne scavalcava; e viceversa non ardiva guardare le ragazze. Co­me allora, è coraggioso solo nel pericolo.

Stella (sottovoce) — Fiorenza mi ha portato la tua primula, ma ci ha messo a darmela!  È qui nel canestrino...

Bruno — Pietro comanda un tre alberi che canta al vento co­me tutto un bosco di pioppi. Che uomo in gamba! Il giro del mondo, su mari sempre in burrasca! Ti racconterà. È ancora un giovinotto, ma i freddi e i caldi li ha sperimen­tati tutti!

La nutrice — Rimettiti la giacca, figliolo, e alzati.  

(Bruno si alza e anche Stella. La vecchia si inginocchia a spazzolare i calzoni del giovane).

Bruno — Pietro ora si prenderà sei mesi di vacanza. Tu, Stella, gli preparerai la camera accanto alla nostra.

Stella   (sgranando, sorpresa, gli occhi) — La sua camera, su, amico mio? quella a fianco della nostra?

Bruno  (ride) — Quella, si, che male c'è? Dopo aver per tanto tempo  vissuto  solo,   gli  farà  bene  sentirsi  in  compagnia, coccolato. Non tarderà ad arrivare. La stanza mettila in modo che paja abitata, che lui non abbia l'impressione d'en­trare nella solita gelida camera degli ospiti.

Stella — Bene,  caro.

La nutrice — Questa qui è la polvere della strada infossata! la riconosco! morde gli abiti come una mano di calce!

Bruno — Arriverà in vettura.  

(Estrugo, lo scrivano, compare sull'ingresso. È il doppione di Bruno. Ha l'aria attenta e distratta al tempo  stesso. Prima di parlare  ci pensa, ma quando si decide, quasi, dalla fretta, si mangia le parole. Il gesto gli serve di trampolino alla parola; se la parola tarda, in attesa il gesto si arresta. Bruno, festoso).

 

Ed ecco qui   Estrugo,   il   buono,   il   fedele   Estrugo!   Buongiorno, Estrugo!

Estrugo — Buongiorno, Bruno. Hai fatto buon viaggio?

Bruno — Quasi cinque leghe, iersera all'andata; altrettante sta­mane, tornando per la stessa strada: il cammino, su per giù, che le contadine fanno ogni giorno. Nella mia assenza, Stella ha corso seri pericoli... (Estrugo apre bocca per chie­dere quali, ma Stella non gliene dà il tempo buttandosi nelle braccia di Bruno; che aggiunge:) Con l'immaginazione l'ho vista annegata, arsa viva, soffocata sotto le macerie, morta!... Va', Stella, a preparare la camera di Pietro. E tu, Estrugo, al tuo tavolo, a far sfoggio della tua migliore calligrafia!

(Stella e la nutrice rimangon lì, fianco a fianco, come incantate).

Estrugo — Fra poco è qui il borgomastro. Vuole che tu gli scriva un proclama.

Bruno — Benissimo. Ed io in pagamento esigerò un nastro per Stella: largo così! (Stella, a udir questo, accorre). Ha una passione, lei, per i nastri marezzati, dico bene, Stellinaccia? E per le scatole da sapone e i merletti di carta. Va', Stella.

Stella  (ritirandosi a malincuore) — Sì, caro.

Bruno (aEstrugo) — C'è dell'altro: il conte di Morten vende le sue terre e il castello. Questa vendita desidera annun­ciarla in modo diverso dal solito. Mi ha commissionato una descrizione del podere, un paesaggio vero e proprio...

Estrugo  (senza ironia) — In versi?

Bruno — Pressappoco. Vedrai.

(Estrugo sì è seduto alla scrivania. La vecchia nutrice scopa in terra dove ha spazzolato gli abiti di Bruno).

Stella (a malincuore) — Addio, allora, Bruno. Noi due non facciamo che lasciarci.

Bruno (sottovoce) — Ma ogni volta anche ci ritroviamo... (La bacia).

Stella (non paga) — Oh! i baci che fan tre volte il giro del mondo!

(Entra in quella il borgomastro, un omaccione trafelato e sudante).

La nutrice (uscendo a destra) — E io andrò a mettere un pollo allo spiedo, in onore di Bruno e anche di Pietro!

Il borgomastro — Salute a tutti, presenti e venturi!

Stella (ricambiando il saluto) — Con permesso, signore. (Sor­ridendo, si avvia al piano di sopra. I due uomini la se­guono con lo sguardo, in silenzio. Giunta sulla galleria, lei si volge, accenna un broncio, sorride, saluta di nuovo sot­tovoce e scompare dietro l'uscio di destra).

Bruno (al borgomastro, esaltandosi) — Non è la più graziosa creatura che esista, la più aerea? Camminerebbe sull'acqua senza bagnarsi le scarpette!

Il borgomastro  (sbottando in una risata incredula) — Oh! no! oh questo no!...

Bruno (sorpreso) — Non credete? Io lo credo. Con che ele­ganza ha fatto l'inchino! È più snella, più flessuosa di un cigno! Ciò che le dà quell'andatura elastica è che il calca­gno tocca appena terra, che ha le gambe lunghe e diritte, il busto piuttosto corto e i seni piccoletti. È un'autentica sil­fide danzante! (Dopo una pausa, serissimo, con la forza della convinzione). Io la porto nel mio cuore come il can­guro porta i suoi piccoli nella tasca del ventre!

Il borgomastro (protesta di nuovo e ride) — Oh! no! oh questo no!

Bruno (allo scrivano) — Estrugo, scrivi. Due fogli, uno per il proclama, l'altro per l'annuncio di vendita. Te li detto tutti e due in pari tempo. Voglio aver finito prima che Pietro arrivi. (Al borgomastro, con un sorriso persuasivo:) Confer­mo: come il canguro i suoi piccini...

Il borgomastro — Ho bisogno dell'opera tua... Zitto e mosca!... La gente seguita a far man bassa sulla proprietà altrui. Ancora l'altra notte, nel bosco della «Donna-senza-cuore» han tagliato dieci giovani alberi. Stammi bene a sentire: non voglio diventare impopolare qui, né malvisto in pro­vincia. Bisogna che io proibisca di abbattere gli alberi e al tempo stesso, senza parere, lo permetta. Capito? Trova tu una via di mezzo. Zitto e mosca!

Bruno (dettando a Estrugo) — «Il castello dei conti di Morten, costruito su roccia, domina l'amena e profonda vallata della Mieuvre».

Il borgomastro — Ascolta, non ho finito: la gente vorrebbe an­che cacciare di frodo, è il suo divertimento. Vedi se puoi... Zitto e mosca! Ma che il governatore della provincia non abbia a prendersela con me, eh? Che anzi...

Bruno (a Estrugo) — «Cari miei concittadini! Nonostante la vigilanza dei pubblici poteri, l'audacia dei malfattori è riu­scita una volta di più ad esercitarsi sul nostro territorio». Ci sei? (Prendendo per il braccio il borgomastro). Stella è talmente snella che, lo credereste?, si piega come una liana, dalla nuca al tallone... Un'acrobata!... Giochiamo insieme a questi giochi infantili. Da ritta, senza flettere i ginocchi, si china sino a toccare l'impiantito con la punta delle dita. Io l'amo alla follia!

Estrugo — «... sul nostro territorio».

Bruno   (dettando) — «Nella notte sul lunedì i vandali hanno abbattuto...»    (Volgendosi  al   borgomastro:)   Venti,   trenta, cinquanta, cento alberi?

Il borgomastro — Dieci.

Bruno (perentorio) — «... cento alberi nel bosco della "Donna-senza-cuore"...».

Il borgomastro (sbuffando dal ridere) — Ah! già, già! Zitto e mosca, ho capito! così quelli ne possono tagliare ancora! Zitto!

Bruno — «Per la sicurezza della popolazione si rende necessario che si organizzi immediatamente una rigorosa sorveglian­za». Scrivi! Dianzi, quando ha fatto la riverenza, avete no­tato che somigliava a una cerbiatta che si inginocchia?

Il borgomastro  (trasecolato) — Noooo!

Bruno (chiamando:) — Stella! Stella! Osservatela meglio! che si chini un po' e di sotto la gonna potrete ammirare le sue gambe... Stella!

Stella  (comparendo sulla galleria) — Mi chiami, caro?

Bruno (fa finta di non vederla e detta in fretta ad Estrugo:). — Scrivi, scrivi! «Dalle garitte che fiancheggiano il castel­lo e che un tempo dominavano il ducato nemico di Meng, si vedono il mare, le foreste del Sud e tutte le praterie sino all'orizzonte».

Stella — Mi chiamavi, caro?

Bruno (teneramente) — Sei tu? sì, cuor mio, sì. Avevo un fe­roce bisogno di vederti un istante, solo un istante. Ora ti vedo e sono felice... Non farmi il broncio. Non scendere, no. T'abbraccio di qui.

Stella (con un sorriso triste) — Così lontana, così lontana da te!

Bruno — Non t'addolorare... Va', bene mio, va'. È questione d'un momento; poi si ristà insieme.

Stella (sospirando) — Addio, mio caro. (Torna in camera a malincuore).

Bruno (con esaltazione) — Il suo sguardo sulla mia vita è co­me un'ombra soave! Ah! questo amore mi colma, mi sopraf­fa tutto! Dite, adesso: non sono quelle gambe di uno slan­cio incomparabile? 1 contorni della caviglia si riavvicinano insensibilmente, di guisa che l'occhio crede di assistere al foggiarsi di quella attaccatura delicata! Ah!... Poi, che getto prodigioso di forza e di dolcezza nella linea che s'incurva sul polpaccio, si distende miracolosamente all'incavo del gi­nocchio!... Più in su il vostro sguardo non è andato; pen­serete che dopo una simile aspirazione al cielo, la linea s'adagi in una grazia indolente. Ah! no! ve lo dico io. Alla sua estremità, per nulla stanca, riprende il suo slancio, si flette con la purezza delle elissi astrali, senza urto di sorta, per disegnare il pensile didietro, ah! ah! Vi ren­dete  conto?

Il borgomastro   (trasecolato) — No.

Bruno (con crescente esaltazione) — Sì, sì: quella linea, squi­sita fra tutte, s'incurva agevolmente al profilo del dorso ambrato; con morbidezza sale alle spalle; si tende contro la nuca; chiude la capigliatura con sapienti volute; dona al viso un segno quasi divino; si inarca sotto il mento ardito; scorre mollemente sul collo pieno, ed ecco si gonfia e s'arrotonda nel movimento di cogliere il seno turgido di giovinezza innocente! Finché, spezzata per la prima e l'unica volta, quella linea si frange sul ventre puro come coppa d'oro e si perde come l'onda nella rena della spiaggia.

Estrugo — «... che si organizzi immediatamente una rigorosa sorveglianza».

Bruno (senza udirlo) — Ed è una linea, una linea sola! E come questa ve ne son mille, centomila, che dico? mille miliardi, di linee, secondo che giro intorno a questo mo­dello unico; ciascuna altrettanto perfetta; e che tutte, riu­nite in fasci, frastagliate, a voluta, a onda, rette o curve, grosse o sottili, sgorganti o ricadenti, vibranti o in riposo, lunghe o accorciate, tonde, ondeggiate, arricciate, annodate, distese, dipanate, sferzanti o spioventi, o carezzevoli o onduleggianti, a spira, a elica, a torciglione, una di seguito all'altra o insieme, codeste linee non hanno che una traiet­toria, una sola, che porta nel mio cuore l'amore!

Estrugo — «... e tutte le praterie sino all'orizzonte».

Bruno — La sua bellezza mi sconvolge, al punto che il fiato mi manca! (Dettando ad Estrugo, tutto d'un fiato). «In­vito i miei concittadini a costituire entro ventiquattr'ore una guardia forestale, di cui faranno parte tutti gli uo­mini d'età oltre i quindici e non oltre i sessant'anni. Il servizio verrà disimpegnato a turno».

Il borgomastro (fuor di sé dalla gioia) — Zitto e mosca! Zitto e mosca!

Bruno — «I componenti della guardia porteranno un distin­tivo e saranno armati di fucile a due colpi».

(Il  borgomastro  si abbandona  su  una sedia,  scoppiando dal ridere).

Il borgomastro — Ah! ah! magnifico! Così si contentano tutti! Zitto e mosca! Metteranno ogni cosa a ferro e fuoco!

Bruno — Mi manderete per Stella dei nastri di colore. È il suo lusso.

Il borgomastro — Ah! ah! li vedo, quegli accidenti! Li vedo a due per due per la foresta a mezzanotte.  Ne  faranno del  lavoro!

Bruno — Stella, tu la potessi vedere a mezzanotte! Dei piedi di  neve,  un ginocchio roseo,  espressivo come un timido viso, e più in su una pelle fine e tiepida: una vera pelle d'uovo! Un neo, lì, una voglia che, a vederla, fa gridare di tenerezza! E molto in su, due mammelline ingenue!

(Sull'ingresso compare il bovaro e lì si arresta).

Il bovaro — Buongiorno.

Bruno  — Buongiorno.

Il bovaro (sorridendo, sicuro di sé) — Io sono Ludovico di Borkem. Vedo che sei tornato: mi vuoi scrivere una lettera?

Bruno — Sì. Non oggi, però: domani. Sei innamorato? Che le vuoi dire nella lettera?

Il bovaro — Questo!

Estrugo — «.. disimpegneranno il servizio a turno».

Il borgomastro (trionfante, detta a Estrugo) — «Le guardie porteranno un distintivo e saranno armate di fucile a due colpi». Ah! perfetto!...

Bruno   (al bovaro) — Come la chiami?

Il bovaro — Stella!

Bruno   (senza intenzione) — Come mia moglie. Le somiglia?

Il bovaro (con semplicità) — È la tua che amo.

Bruno   (ride) — Burlone!

Il bovaro — È proprio lei. Non vuoi più scriverla, la lettera?

Bruno (allegramente) — Oh! sì. Perché no? Vieni domani a prenderla.

Il bovaro (con aria di sfida) — Inutile. Consegnala tu stesso a Stella da parte mia. Rifiuti di farlo?

Bruno — Gliela consegnerò, lo prometto.

Il bovaro — Giura.

Bruno — Lo giuro.

Il bovaro  (sconcertato) — Non hai paura?

Bruno (ridendo) — No! 

(Il bovaro lo guarda con stupore).

Il borgomastro (prendendo copia del proclama) — E io ci metto tanto di firma!

(La porta si apre e Pietro compare. Bruno gli si pre­cipita incontro e i due si abbracciano in silenzio, poi in silenzio si guardano).

Il bovaro — Ti porterò in compenso un porcellino da latte... Grazie. (Se ne va).

Il borgomastro  (sventolando in aria il proclama) — Lo faccio affiggere all'albo,  sulla porta del Municipio e gridare sul mercato...   Ah! ah! è meraviglioso!

                  (Scorgendo   Pietro:)

Zitto e mosca! Ti conosco, te!

Bruno   (commosso) — È Pietro! il cugino di Stella!

Il borgomastro — Ah! già!... ricordo!   (Avviandosi all'uscita). Arrivederci, ragazzi!

Bruno — Dei nastri,  ricordatelo.   (Appena il borgomastro  è uscito, volgendosi a Estrugo). Estrugo, va a fare il giro del bastione. (Quindi a Pietro, con accento di grande cor­dialità). Sono proprio contento. Eccoti fra noi. Il villaggio l'hai riconosciuto?  

(Estrugo va via).

Pietro — M'ha fatto l'effetto d'essere più piccolo, ammassato; ma familiare, modesto e gaio. La strada infossata non m'ha più fatto la paura di un tempo.

Bruno — E Stella, a momenti la vedi. Sta preparandoti la stanza accanto alla nostra. La vedrai! Provi al pensiero una certa emozione? Io, in vece tua, tremo: è come stessi per ritrovarla. Aveva quattordici anni quando sei partito. Era già bella. Ma ora la vedrai!

Pietro  (sorridendo) — Ci si bisticciava spesso, noi due.

Bruno (sempre a bassa voce) — Oggi non sarebbe più pos­sibile! Prima di chiamarla, te ne voglio parlare. Guardi la casa?

Pietro — Sì. A parte la galleria, non riconosco niente. I sacchi li issavano attraverso quella finestra. Là, c'era il granaio; la farina ne sfuggiva per tutte le fessure.

Bruno — Ora è la nostra camera, la camera di Stella. La troverai imbellita, la piccola Estella dei nostri giochi. S'è fatta alta, capisci, e al tempo stesso sviluppata. Ora la vedi! Io l'amavo già allora, lo sai; da allora il mio amore è andato ogni giorno crescendo; d'istante in istante diventa più grande e più caro. Ti annoio, Pietro?

Pietro   (con vivacità) — Oh!  no!

Bruno (con la passione nella voce) — Questo amore sta den­tro di me come un bambino nel grembo della madre. Cre­sce, Pietro! Lo nutro di tutta la mia sostanza. Può du­rare, secondo te, una cosa così? Stella è anche tanto buo­na, talmente abbandonata al suo destino! Ha un'anima... Ora, la vedi! (Chiamando ad alta voce:) Stella! Stella! Vieni presto, nostra Stellina! (Impaziente si avvicina a Pietro, gli si pone al fianco, in attesa). Stella!

(Stella compare in cima alla scala, s'arresta un istante a guardar giù, lancia dalla sorpresa un grido gioioso).

Stella — Oh!  Pietro! tu!

Pietro   (affettuosamente) — Buongiorno,  Stella.

Stella (scendendo a precipizio) — Mica abbagli nella divisa! Pure sei capitano. Buongiorno, Pietro.

Bruno — Datevi un bacio!

(Spinge Pietro verso Stella. I due si baciano, non senza impaccio).

Stella — Eravamo nemici.

Pietro   (sorridendo) — Era più facile.

Bruno — Vieni, Stella. (Stella viene a rannicchiarglisi contro. Lui indicando Pietro). Che ne dici? non è cambiato, eh! Lo sguardo solo è meno vivo. È l'oceano, il mare aperto. Ha conservato il suo aspetto di selvaggio.

Stella — Dove li hai i bagagli?

Pietro — A momenti saran qui:   ho preso un furgone.

Bruno (incapace di contenersi) — Ebbene, Pietro, che impressione ti fa Stella? Ho esagerato?

Pietro  (sorridendo) — È bella, è molto bella!...

Bruno (esaltandosi) — E snella e vivace e leggera come una piuma!... Stella, fa la riverenza, ti prego... saluta... Tre passi verso la porta... così... Torna indietro... Fa dietro fronte...

Stella   (stupita, sorridendo:) — Perché?

Bruno (rapito) — Dammi la mano. (Alza la mano che lei le dà, costringe Stella a girare su se stessa). Gira, gira, dan­za!... Pietro, non è una meravigliosa ballerina? La sua an­datura è come un respiro calmo. Si lascia dietro una scia luminosa. Si culla come un gavitello sul flutto. Ah! Pie­tro!...

(Si stacca da Stella, corre a Pietro, gli pone le mani sulle spalle, lo guarda negli occhi:) Ti annoio, Pietro?

Pietro   (sorridendo) — Tu l'ami, figlio mio!

Bruno (dominando a stento la sua fiamma) — Sì! È vero! ma se tu sapessi... Ascolta, Pietro... tu sei il mio amico... No, le parole non rendono! (Si è deciso, si volge a Stella:) Stella, mio fiore, mia piccola fata... fagli vedere la gamba!

Stella   (sbalordita, in un grido:) — Oh!

Bruno — Te ne supplico, alza un niente la gonna!

Stella  (facendosi di brace) — Oh! caro, come potrei?...

Bruno — Pietro è tuo cugino e amico mio... Ci tengo che sappia quanto sei bella!... Via, alza un po' la gonna; alzala, diletta mia. (Stella, abbassando il capo, solleva un tantino la gonna). Ammira, Pietro, ammira! Non è una cornuco­pia, lo stelo d'un giglio, la purezza di un'anfora? (Sotto­voce a Pietro:) Vedi che fortunato mortale!... Un po' di più, un po' di più, Stella. Ancora, mia cara! Pietro, ma guarda, Pietro!

Pietro   (senza ridere) — Tu l'ami, Bruno!

Bruno — Da' retta, Stella, mia piccola ninfa: fin sopra il gi­nocchio. Ch'egli ti scopra quale sei degna di essere so­gnata! Ah! Pietro, che ne dici? (Stella lascia ricadere la gonna che Bruno bacia a volo. Si alza, stringe a sé Stella). Limpida come la rugiada, fresca come la luna... e sottile e flessibile e ammaliante e piena d'ogni grazia!

(Smanioso, socchiude la camicetta di Stella).

Stella   (allarmata) — Oh! che fai, caro?!

Bruno — Il tuo seno, il tuo piccolo seno,  simile a turgide perle!

Stella — No!

Pietro   (con disapprovazione) — Bruno, tu l'ami troppo!

Bruno (con slancio) — Tutti e due vi amo! Dica, dica lui se mai sulle spiagge dei Tropici ha visto una conchiglia più gradevole allo sguardo e di un disegno più squisito! Il tuo seno, il tuo piccolo seno senza peccato! il tuo piccolo seno che fa sì presto a commuoversi! (Scopre il seno di Stella. Lei nasconde il viso nel braccio. Bruno balza verso Pietro, esultante:) Ho mentito? ho esagerato anche d'un nien­te?  Parla, rispondi!... Ma guarda, soprattutto:   guarda!

Stella   (col pianto in gola, supplichevole) — Mio caro...

(Profondo silenzio. Pietro avidamente guarda, mentre gli occhi di Bruno non si staccano da quel viso che si man­tiene impassibile. Ed ecco che, di punto in bianco, senza motivo apparente, Bruno avventa a Pietro un sonorissimo schiaffo. Tre gridi. Stella crolla su un seggiolone, semi­svenuta. Pietro non ha il tempo di rinvenire dal colpo, che Bruno lo abbraccia frenetico, gli si incolla addosso, paralizzandolo).

Bruno (ansimante) — Pietro, ti scongiuro, non ricambiare! Che ci sta succedendo? Non picchiamoci come bestie!

Pietro   (immobile, furente) — Pazzo! Pazzo!

Bruno — Ricordati che abbiamo giocato insieme! Te ne ho dati  allora degli schiaffi!  E non ne ho ricevuti di meno!

Pietro   (calmandosi) — Pazzo!

Bruno (senza allentare la stretta) — Perdonami! Ho creduto di vedere accendersi nel tuo sguardo una fiamma!... È la prima volta che un tale sentimento si impadronisce di me!... Dimmi che non ci rotoleremo per terra, che non ci sbra­neremo. Io ti voglio bene come a un fratello. Come mai mi sono sentito così scottare? Pietro, la tua stanza è pron­ta, lassù. Consenti, per favore, a restare con noi... Per favore!

Pietro (vinto) — Sia. Lasciami... L'avrei ucciso se fosse stato un altro al tuo posto.

La nutrice (entrando e vedendo i due abbracciati) — Oh! c'è Pietro e nessuno me lo dice! Ve' come s'abbracciano, gran Dìo! Se ne vogliono bene! (Bruno libera Pietro dalla stret­ta). Buongiorno,  figliolo.  Ora  si che hai un bel berretto!

Pietro (chinandosi a baciarla in fronte) — Buongiorno, vecchiettina.   Sempre  arzilla  e  chiacchierona,   eh?

La nutrice — Sì, caro; ma i denti non son più quelli di una volta! Hai dunque visto i pellerossa, tu, e i negri e gli uomini di bronzo, sento dire!

(Bruno è andato a Stella che va riprendendosi, la cinge alla vita. Tutti e quattro parlano contemporaneamente).

Stella (a Bruno, pianissimo) — Oh! il cattivacelo! Ha fatto piangere l'unica fra tutte! Finiti, finiti i segreti più nostri!

Pietro (rivolto alla nutrice) — Sì. E gli americani e le scimmie d'oro. Ti farò vedere sulla carta, Memé.

Bruno — Fragoletta, mia crema, mia bussola, mia baiadera, mia almèa!...

La nutrice — E tu mi dirai se il mio pollo è tenero. Si sta rosolando allo spiedo,  su un'allegra fiamma, cuginetto...

Bruno (in un improvviso silenzio) — È passata, siamo guariti. Stella, conduci Pietro nella sua camera.

Stella (balzando su) — Vieni, cugino. Tu non le conosci ancora le belle finestre piene di immagini. Nella tua, c'è un prato, metà di un tetto rosso e, sul cielo, un ramo di ciliegio.

La nutrice — Vi accompagno: gli metterò a posto la roba.

(Stella sale di sopra; dietro a lei, Pietro e la vecchia).

Vedo che i pantaloni te li stiri stendendoli tra materasso e materasso...

Pietro (ride) — Hai indovinato, proprio così! E tu sai anche che non tutte le notti dormo nel mio letto...

Stella — La mia invece inquadra il frutteto, più due pioppi freddolosi...

(I tre scompaiono lassù. Da un istante Bruno s'è lasciato andare su un seggiolone, annichilito. Lungo silenzio: dal piano di sopra giungono risate. Finché sull'ingresso com­pare Estrugo).

Bruno (tetro) — Estrugo, siediti li. No, qui vicino. Zitto un istante! zitto, ti dico! Vuoi capirla, di star zitto?! (Pausa. Poi senza guardare Estrugo, con asprezza). Rispondimi: credi che Stella mi sia fedele? (Risatina secca). Ah! ah! problema! Sì, rispondi semplicemente: fedele o infedele, sì o no. Il quesito si pone... Perché? (Ora, e in seguito, non dà all'altro il tempo di rispondere. Gesti sospesi. Rispon­dendo per Estrugo:) È fedele come il cielo è azzurro... oggi!... Come la terra gira. (Illuminandosi:) Sì! (Poi offu­scandosi:) Niente paragoni, ti prego! Sì o no! Fedele, dici? Dimostralo! (Si alza:) Ah! ti ci prendo! non puoi dimo­strarlo. Mentivi!... Lo giureresti, dici? Giuralo! Non osi? (S'arrabbia). Confessa, confessa, sciagurato! Se non con­fessi, ammetti almeno che, di lei, si può dubitare. Di tutto? Di tutto, ma non di Stella!... (Fuori di sé:) Che di lei si possa dubitare, è già troppo! Non la difendere. Zitto, si­lenzio! (Pausa. Si accascia:) Non so; questa incertezza si è impadronita di me tutto a un tratto. Ho creduto di sor­prendere una fiamma negli occhi di Pietro: La guardava, lui. Si si, Pietro! Vive solo. Ma anche di lui allora debbo dubitare? T'è parso leale e padrone di se stesso; è un buon segno. Una donna è abbastanza abile e sa fingere abba­stanza per creare intorno a sé un'atmosfera di fiducia e di purezza. Stella no; le altre, indubbiamente... (S'indigna:) Perché Stella no? non ha forse Stella, al pari delle altre, due occhi, due braccia, due gambe e il sigillo ombelicale? Non fai dunque che mentire? perché? (Si calma un po'; compiangendosi:) Sì, non sto bene. Non la vedo più con gli occhi di prima. (Si siede). Estrugo, rispondimi: è pru­dente alloggiare Pietro sotto questo tetto, così a contatto di una giovane donna impressionabile? Quanto Stella sia sensibile, lo sai! Anche senza avere intenzione di ingan­narmi, essi possono a poco a poco essere indotti ad amarsi. Che dici? Resisteranno? Anche senza spingersi così oltre, riusciranno a comandare alla loro immaginazione? Fa pre­sto, un cattivo pensiero, a impossessarsi di noi! Se non il pensiero, il fantasticare o il sogno! Eh! certo! nel sonno, i piccoli ricordi che hanno in comune possono portarli a sognare uno dell'altro, a metterli insieme, loro e mio mal­grado! Non dici, tu? Loro malgrado, l'indomani si senti­ranno uniti da una intimità complice. Al risveglio, con che occhi si guarderanno? Ed io... (Si alza, scosso da un bri­vido:) È possibile che il pensiero di Stella non abbia mai avuto, mai, altro oggetto che me? che mai i sogni delle sue notti febbrili l'abbiano insudiciata? (Di colpo, gridan­do). Estrugo, sono becco! (E chiamando a gran voce:) Stel­la, Stella, scendi! Stella, vieni! (A Estrugo). Il tuo silenzio vale più di una confessione! si, sì, ho bell'e capito! Stella, Stella!

Stella   (comparendo  sulla  galleria) —  Eccomi, eccomi, caro.

Bruno (facendo uno sforzo per dominarsi) — Alla buon'ora! ce ne metti a comparire!

Stella  (con grazia) — Sì, caro, hai ragione!

Bruno   (a disagio) — Siediti lì.

(Sono seduti in triangolo, Bruno in fondo, Stella ed Estrugo uno di fronte all'altro   tutti e tre piuttosto vicini).

Stella (esultante) — Qualche nuovo giochetto che hai escogitato, eh? per il quale bisogna essere in tre. Ah! ah! un rebus,   scommetto!

Bruno (scandendo le parole) — Dimmi qualche cosa che tu non possa dirmi.

Stella   (ci pensa su; poi) — Non ce la faccio, non indovino.

Bruno (rabbuiandosi) — Che hai fatto ier sera dopo la mia partenza?

Stella — Mi sono messa alla finestra e ti ho seguito con gli occhi finché non sei scomparso.

Bruno — No.

Stella — Si.

Bruno — No. Non è così che bisogna rispondere.

Stella (divertita) — Vuoi farmici cascare! Ah! non indovino, non ce la faccio.

Bruno — Raccontami qualcosa di proibito che tu abbia commesso.

Stella — Ah! Che ho scordato il sogno che ho fatto!

Bruno   (sobbalzando) — Un  sogno?

Stella   (battendo  le mani) — Ci sono cascata!

Bruno (seccamente) — No! Stamattina! qualcosa-che-hai-fatto-stamattina!

Stella (cercando) — Stamattina?... Stamattina è venuta Cornelia...

Bruno   (spazientendosi) — Una cosa che tu non-possa-dirmi!

Stella — Il bovaro...

Bruno — Ti ama, lo so, me l'ha detto lui. Una cosa che tu non-possa-dirmi.

Stella — Il conte...

Bruno (implacabile) — Una-cosa-che-tu-non-mi-possa-dire! Non è per ridere, sciocca!

Stella (s'impressiona) — Ah! mio Dio, non era un rebus, allora! (Piange. Risovvenendosi:) Ah! si! Un momento fa, quando m'hai sbottonato davanti, la tua primula è caduta e senza accorgermene, l'ho tutta spiaccicata col piede.

Bruno — Ah! questo lo dici! puoi dunque dirlo e osi! (Si alza, freddo, deciso). Estrugo, sali su. Tu sei il mio vero amico, nulla tu mi hai nascosto della mia sventura. Va. Di' a Pietro che se ne vada. Non lo voglio in casa un'ora di più. Va' (A Stella). Silenzio! (A Estrugo). Che aspetti?... Non ci hai pensato tanto quando si trattava di darmi un dolore!...

(Estrugo, manifestata a gesti la sua riluttanza ad eseguire l'ordine, si rassegna ad andare).

Stella (sgomenta) — Oh! Bruno, sola speranza mia, che brutto male ti piglia? Ti guarirò, io...

Bruno  (cupo) — Starò meglio quando Pietro sarà andato via.

Stella — Che vada allora! (È desolata). Ma avrà mica portato con sé dai paesi caldi qualche febbre che ti si è attaccata? chi lo poteva prevedere? Stavi così bene prima che arrivasse lui! Non mi ami più?

Bruno — Troppo! troppo! Se ne è accorto anche Pietro! Taci!

Stella — Dimmi allora che hai!... Spiegami che cosa ti senti! Quali erbe devo cogliere che possano darti sollievo? Devo ridere,  sorridere,  mettermi  in ginocchio, danzare?

Bruno   (secco) — Tacere!

Stella (piange) — Bruno, gli è perché ho schiacciato il tuo fiore che mi punisci?

Bruno   (che vede comparire Pietro,  abbassando  la voce:) Taci, se vuoi farmi piacere! Non chiedere, non risponder niente!

(Un silenzio. Pietro scende, seguito dalla balia e da Estrugo. A pie' della scala si ferma).

Pietro (gravemente) — Bruno, agisci male. Ti scuso perché sei fuori di te.

(Pausa. Attraversa la sala. A Stella). Addio, Stella.

La nutrice — Come? ci lasci? E perché? Resta con noi, figliolo! Sicché non l'assaggerai i miei intingoli?

Pietro (sorridendo) — Grazie, Memé; sei una gran buona donna. Bruno, ti perdono.  (Esce. Silenzio).

La nutrice (che non si raccapezza) — Oh! oh! quante storie! Non ci capisco un'acca!... Allora, vado a mettere in tavola... Un così bel pollo... (Esce).

Bruno (preso improvvisamente da un accesso di disperazione, scoppia in pianto) — Estrugo, tu l'hai cacciato!... Mai di­menticherò quanto sei stato malvagio!... Si, so quel che vuoi rispondermi; ma non si lasciano annegare le perso­ne!... La tua compiacenza è sospetta; e la tua docilità nell'obbedirmi... Preferirei ricevere io cento volte lo schiaffo che ho dato... Estrugo, tu m'hai avvelenato l'esistenza! Fo­sti tu a farmi dubitare di Pietro... Ed ecco che lui, nell'an-darsene, mi ha piantato nel cuore una spina intossicata... Non ti scolpare, taci! M'hai spinto a dubitar di me stesso e di Stella!... Vattene!

Stella (scoppia in lagrime) — Oh! Estrugo, perfido uomo, che hai macchinato?   (Si lascia andare su una sedia).

Bruno (morso da un nuovo sospetto) — Perché piangi? (In un crescendo d'ira). Perché, chi, chi, piangi?


ATTO SECONDO

Stessa scena. Alla finestra di pianterreno le imposte sono chiuse; la luce scende dall'altra; una luce calda, dorata.

Silenzio.

Giunge dal di fuori il tintinnio di un mazzo di chiavi. Poi la porta di ingresso si socchiude e per lo spiraglio Bruno si affaccia nella stanza. Ispezionato che ha con gli occhi l'interno, entra, seguito da Estrugo.

Bruno è parecchio mutato dalla partenza di Pietro: ha lo sguardo inquieto, il colorito da itterico e va perdendo i ca­pelli.

Bruno (a bassa voce, in fretta) — La porta! Presto, chiudi la porta. Là... Ci ha seguito nessuno in istrada? Vieni qui... Metti il catenaccio. Sei ben certo che non ci abbiano se­guito? Vieni dunque avanti! È chiusa la porta? Ah! Estrugo, non sono felice... Potrebbero guardar dentro dalla top­pa... Appendici il cappello. Siediti... Ch'io vada a spiare dalla serratura che fa Stella, è perfettamente inutile: la troverei buttata in terra, allo stesso posto in cui l'ho la­sciata... La sua passività è una astuzia. (Dice, ma va a mettere l'occhio alla toppa dell'uscio di sinistra. Tornando). Precisamente! (Pausa). Estrugo, tu sei stato testimone della mia felicità. Pensa! dall'infanzia eravamo fidanzati! (Pausa). Che caldo! non lo senti tu? Non ho mai visto un sole più spietato. Davanti casa, il suolo scricchiola come una castagna al fuoco. Non si può vivere che al cimitero: là almeno c'è dell'ombra, degli uccelli. (Viene a sedersi presso Estrugo. Abbassando più ancora la voce). Troverà strano la gente che teniamo le persiane chiuse?... Ci si ripara dal sole, mica altro... (Pausa. Riflette? No, attende). Ebbene, ti ascolto. (Con amarezza). Ti ascolto. Sei il solo amico che ho: non risparmiarmi. Mi vuoi bene, tu, vero, mio caro Estrugo? Scorticami, trafiggimi il cuore, brucia, storci, strappa, buca, attenaglia, fora, secca, corrodi, uccidi; uc­cidimi! Sono corazzato contro i colpi.   (Pausa). Che mi volevi dire? (Adirandosi, sempre a voce bassa:) Niente, vuoi dire? Ti rifiuti di tradirla? E pretendi di volermi bene! Abbiamo camminato tutta la vita fianco a fianco perché tu ora ti chiuda nel silenzio? Sei il suo complice, per caso? Le hai giurato di mantenere il segreto? (Pausa. Risolle­vato). Promesso, promesso, glielo hai solo promesso; ah! bene, allora! Non ti sei impegnato. Lei quindi ti perdo­nerà una indiscrezione senza importanza.... Dal momento che hai cominciato, finisci: non mi tenere sulla graticola! (Pausa). Non te ne senti coraggio!!! È dunque ben spa­ventoso! Ah! tu mi vuoi bene davvero! sai che strazio sarà per me!... Non importa, amico mio caro: parla, sono preparato a tutto, vuota una buona volta il sacco!... Quan­do l'hai vista, per prometterle il silenzio? (Scattando in piedi, indignato). Sei forse entrato qui in mia assenza? Questa audacia hai avuto?... Ma no! È uscita stanotte e tu l'hai incontrata in compagnia del ganzo! (Tende minac­cioso il pugno verso la stanza in cui Stella è rinchiusa. In un grido soffocato di dolore). Ah, capra lubrica! Girerai intorno al tuo paletto! Accorcerò la corda che ti lega! (Pausa. Dominandosi). Lascia, non badare... Sfogo così la rabbia che mi mangia il cuore! È passato!... Dove l'hai incontrata? (Come prima, senza attendere risposta). Sta­notte, nel sonno, ero schiacciato sotto un peso tale che di me, nel materasso, restò non l'impronta, ma il calco! Un sonno di pietra! Del mio annientamento, lei ha approfit­tato per sgusciare fuori del letto! Come ha fatto ad uscir di casa? te l'ha detto? No, eh? E già! neppure di te si fida, sapendo quanto mi sei affezionato! (Pausa). Le chiavi, sia delle porte che delle imposte, le avevo sotto il cuscino. Lei me le avrebbe trafugate di certo, se la mia testa non fosse stata così pesante! pesante a tal punto che un uomo non l'avrebbe sollevata! (Pausa). Ora, come ha fatto senza chiavi ad uscir di casa? Qualche sua invenzione diabolica! (Pausa). Credi tu che una donna sia capace di trasformarsi in sorcio e di passare sotto una porta? (Convinto di colpo, amaramente:) Lo può; lo può si, lo affermo! È un essere, la donna, di altra natura che te e me... Se no, come avrebbe fatto? (Riflette). Stammi a sentire: credi tu che sovrap­ponendo un tavolo a un altro e ponendovi sopra una se­dia e sopra la sedia mettendo uno sgabello, lo raggiungerei il finestrino tondo che c'è in camera mia? (Fa un balzo:) Bell'e capito! non occorre tu aggiunga altro! Nessun dub­bio più: è attraverso quel finestrino che è passata! Ah! la sgualdrina! la prodigiosa femmina! Una donna così per­fetta, così eccezionale, amico mio caro! Quando me la raf­figuro mentre ignuda si scioglie le trecce, il mio cuore si scortica!   (Pausa). E lui, lui, era li fuori ad attenderla con  una  scala!   Per  forza!   come  avrebbe,  se no,  potuto scendere dal tetto nel frutteto? ti sentiresti tu di saltare di là in cima senza fiaccarti le reni? Cammina forse sulla nebbia? su un raggio di luna? ha le ali?... Mi ritieni pazzo, eh?   (Geme). Oh tu mi strappi il migliore dei miei denti! perché mi  hai  riferito  questo?   (Inutilmente, Estrugo  fa segni di diniego). Sss't, parla più piano!... Hai ragione, non ho alcun rimprovero da muoverti... Tu non ti preoccupi che del mio  onore...  Sennonché le tue  parole  operano  in me come il lievito!   (Pausa). Oh! mi rendo conto! sta' tran­quillo:   Lei  non saprà mai che ti  sei  confidato...   (Smor­zando ancora la voce). Sognavo, mio caro Estrugo, sognavo che lui la conduceva in fondo al verziere, che la portava sulle  braccia...   (Ha un singulto  e  storce  dal ribrezzo  la faccia). Che la deponeva sul prato, di là dalla siepe; che lei correva a piedi nudi sull'erba bagnata sino al boschetto e che là l'ombra me li sottraeva alla vista.   (Punteggia il racconto  di interiezioni  di  schifo.  Pausa).   Non  dondolar la testa come un tacchino! Dimmi piuttosto:   si realizzano i sogni? Non sempre? Di rado? Qualche volta, allora. Qual­che volta? una volta, una sola volta si realizzano? È quella! Mi basta!   (Pausa). Perché sostenere che non è un luogo adatto,  il boschetto?   Rispondi,   se  non hai  la lingua  se­questrata in bocca come il nocciolo nella pesca!   (Pausa). Ah!  ecco,  ci  siamo.  Mica son sordo!  Ah!   prostituta  alla terza potenza!  Le razionerò il pane e  l'acqua,  la luce e il sole!  Quale beveraggio m'ha propinato ieri, perché ca­dessi in quel sonno di piombo?  (Pausa). La vedessi, Estrugo,   quando   la   interrogo!   piglia   un'espressione   ingenua, scherzosa!... Estrugo, se tu conoscessi la perfezione del suo corpo, i suoi seni, quelle lunghe gambe dalla pelle di seta, stenteresti   a   credere   alla  mostruosità   della   sua   anima! (Schiumando di rabbia). Cagna! cagna!... Un altro che non sia io l'ha conosciuta! E non l'aveva da un istante lasciata, che, certo, all'osteria, faceva sperpero dei miei tesori: avrà raccontato  che ha la pelle liscia e dorata, se nel piacere ride o piange! E questo, mentre io dormivo come un ghi­ro, accoppato dalla sua tisana di papaveri!   (Pausa. Come scottato). Vattene, vattene!  Il tuo sguardo mi spoglia. Vo­glio nascondermi alla gente, vattene.   (Estrugo si alza). No, un  momento.  Dimmi  il  suo  nome.  Si:   il  nome  del suo ganzo!   (Pausa). Non me lo vuoi dire? Sii maledetto... Va'! (Richiamandolo).   Estrugo,   per   pietà:   dammi   il  colpo   di grazia, dimmi il suo nome!  (Pausa). Vattene, vattene, falso fratello, satanico mentitore! Che è innocente, hai la faccia di dirmi! quella che, per abbindolarmi meglio, affetta un'aria di candore! quella che si rifugiava con lui, ma chi? il suo nome! con lui nel buio del boschetto! quella che correva in camicia sull'erba, che è uscita di casa attraverso il fine­strino, si è calata per la scala, mi ha pressoché avvele­nato! quella cui tu hai promesso di mantenere il segreto!

(Concitato, spingendo Estrugo verso l'uscita, a voce som­messa).

Zitto, zitto. Sta bene, ho capito. Fa' conto di non avermi detto nulla, assolutamente nulla. Fidati di me: sarò muto come la terra dei morti. (Sulla soglia, trattenendolo). Un momento! se raccogli qualche altro particolare sulla sua dissolutezza, informamene. Arrivederci, caro Estrugo, fedele amico. Tienti nei pressi di casa: potrò aver biso­gno di te.

(Lo spinge in istrada e richiude la porta. L'ha appena chiusa che corre ad aprir l'altra porta e chiama, tra furente e sprezzante).

A me, diavolessa! a me, strega! Qui, ranocchia! Troia! cagna!... Figlia dello scimpanzé e della sfinge dalla coda di pesce, qui! Qui, figlia del gelido serpente e del pomo marcio! Qui, donna! Donna, m'odi tu?

(Pausa). Stella!

(Stella si fa avanti. Indossa un manto nero col cappuccio calato e ha il viso nascosto da una grottesca maschera di cartone).

Stella  (con dolcezza) — Son qui, amico mio.

Bruno — Ti ho chiamato, prostituta!  Perché, mostro, impieghi tanto a comparire?

Stella — È a me che dai questi nomi?

Bruno — A te sì! e a chi se non a te? Sfacciata mentitrice, femmina spudorata, vorresti dire che non ti riconosci in questi nomi? Che facevi quando sono entrato? Che cosa hai fatto durante la mia assenza? A che, a chi pensavi? E perché pensi?  Rispondi!

Stella — Non me ne dai il tempo, amico mio.

Bruno — Il tempo di pensare però lo trovi! E non è certo a me che pensi! Di macchinare complotti e tradimenti il tempo lo trovi, non è vero? (A bruciapelo). Chi c'è lì dietro a te?

Stella — Nessuno, amico mio.

Bruno — C'è qualcuno dietro a te! Ferma! non ti muovere! (Gira tutto intorno a Stella). Sgualdrina! sarebbe capace di far con lui come il campanile con la sua ombra! (Piantandolesi di fronte). Accosciati! (Stella obbedisce; lui s'af­faccia a guardare di sopra la sua testa). In piedi! Dov'è? (Pausa). Perché ti metti una gonna svasata come una cam­pana? Togliti il mantello. (Lei se lo toglie). Alza la gonna. (Lei l'alza. Lui subito, indignandosi). Ah! abbassala, abbas­sala! Una ranocchia spellata ha più pudore di te. (Si siede; e gemendo). Ah! mio Dio, quale tortura! Mai, che mi dia un attimo di tregua! Di quali invenzioni non è capace!

Stella (stringendoglisi contro e cercando di consolarlo) — Oh! Bruno, se il mio delitto è di amarti, non c'è per me pu­nizione che basti; non mi farai mai soffrire abbastanza. Ma se la mia sparizione può rimetterti in pace, ch'io muoia all'istante!

Bruno (respingendola) — Non pigliare questo tono doloroso, maliarda!

Stella — È colpa mia se è il tono che ti piace?

Bruno — Dove sei stata stanotte?

Stella — Ho dormito contro di te, amico mio.

Bruno (scattando in piedi come scottato) — Ah! lingua vele­nosa! Non c'è parola in cui tu non metta dell'astuzia! L'hai detto! «Contro di me»! parlare contro di me, agire contro i miei interessi, adoprarti contro la mia pace, dor­mire contro ed in senso contrario di me! Si, l'hai detto! Se dormivi, che sogno facevi?

Stella (con un piccolo riso, al ricordo) — Oh! un sogno strano facevo! Ho fatto un sogno strano!... Figurati che ero in mutandine...

Bruno (interrompendola furioso) — In camicia eri! Ecco che menti! È in camicia che stanotte sei uscita dalla stanza!

Stella — E come avrei potuto? Le chiavi non le tieni sempre sotto il cuscino?

Bruno — E che fa? E poi, come sai che le tengo sotto il cu­scino? Non le perdi d'occhio, si vede! La porta non l'apri­resti per caso senza chiavi? Ma no, vuoi farmi presumere troppo di te. Più probabile che il mazzo di chiavi tu me lo abbia sottratto mentre facevo sogni spaventosi sotto l'in­flusso della tua tisana. Sì, sì! la tua tisana di papaveri... O era qualche altra droga?

Stella — Oh! anche la droga! Ti giuro che non mi son mossa da letto sino al mattino...

Bruno — Ed io giuro, io, che ti sei arrampicata come una bertuccia sino alla finestrella!

Stella — Ma no, amico mio!

Bruno — ... che una scala là sotto ti attendeva...

Stella — No!

Bruno — ... che hai attraversato l'orto...

Stella — No!

Bruno — ... che ti sei unita a qualche ganzo con la complicità della notte...

Stella — No!  no!

Bruno — ... e che io ti torcerò il collo! Non dir di no! Perché l'uomo conoscesse la menzogna, occorreva che una bella cosa del Creato gli facesse torto... Non dir di no! la tua faccia di bambola è la più perfetta delle menzogne! Il tuo vero viso è codesta maschera di mostro. Conservala! Che la sua repellente espressione ti si imprima nella carne. Così nessuno  sarà più  vittima  del tuo  sorriso pudico.  Smetti di negar sempre! Non è ostinandoti a dir di no che m'hai fatto diventare acido e digrignante?  (Accasciato, si risiede).

Stella — Sì, amico mio.

Bruno — Ho perduto la giovinezza e gran parte del senno.

Stella — Sì, amico mio.

Bruno — Sono stanco, tetro, sono di peso a me e agli altri.

Stella — Sì, amico mio.

Bruno  (abbandonandosi) — Ah! mi assassina!... Si, dice! E io son bell'e morto!

Stella  (spaventandosi) — Bruno! Torna in te! Mio caro, mio unico pensiero!

Bruno  (respingendola) — Vade retro! Dimmi il nome del tuo amante!

Stella — Ahimè!

Bruno — Il suo nome! È Gianni, il figlio di Pierluigi il carradore?

Stella (docilmente) — È Gianni...

Bruno — No! È Ettore delle Poste?

Stella — È Ettore...

Bruno — No, pesa troppo. È Alain, che pesca alla canna?

Stella — È Alain, che pesca alla canna...

Bruno — No, no: troppo effeminato!... È Paolo, quello del maniscalco?

Stella — Paolo, quello del maniscalco...

Bruno — Troppo sporco! Scaracchia... È il segretario comunale?

Stella — Il segretario comunale.

Bruno — O  Cristoforo,   quello  del  barbiere   all'angolo  di  via Verde?

Stella — Cristoforo, quello del barbiere all'angolo di via Verde.

Bruno — O il signore che parla alla signora quando la domenica viene al castello, ad esercitarsi nella balestra?

Stella — Il signore che parla alla signora quando... Bruno (alla disperazione) — Nessuno! nessuno di questi!... Non confesserà mai!

Stella — Per non affliggerti non dirò più né si né no, amico mio. Sarà come vorrai. Ma, di grazia, non reprimere più la tua collera! uccidimi una buona volta! (Cade in ginocchio e sotto la maschera singhiozza).

Bruno (a disagio, vergognoso di sé, raddolcendosi) — Sta bene. Rialzati. Sul serio, piangi? Non è ancora una simulazione per intenerirmi?... Togliti quella maschera; toglitela, ch'io legga sul tuo viso la dolcissima menzogna... No, al tempo! attendi un momento! (Vola alla porta, per la spia guarda fuori, torna). Scopriti, ora. (Stella si toglie la maschera, lascia vedere un viso desolato, incantevole. Bruno, vinto, in un grido di amore e di rimorso). Oh! meraviglia!... Come son tristi e belli i tuoi occhi! Stella, per pietà trattieni le lagrime e perdonami! Colombella mia, fragile lampada, fior di neve!... Ecco che il mio cuore è sotto il tuo sguardo come l'uccellino  sotto  l'ala materna!   Non  piangere  più.  Alzati! o in terra mi butto io, indegno che sono! (Si lascia sci­volare sulle ginocchia davanti a lei inginocchiata). Un or­ribile caldo, dovevi soffrire, sotto codesta maschera! Lascia almeno ch'io asciughi la rugiada che t'imperla la fronte, o mia amata!... È codesta maschera che attizza il mio furore! Mai più te la metterai, mai più!... Estrugo, è stato Estrugo, se ben ricordo, a suggerirmi di infagottarti così... Ah! che la gente ti ammiri e ti desideri, tanto meglio!  Stella, il tuo labbro è tumido di gioventù, fondente come un frutto dei tropici, ah! Se ancora lo puoi, perdonami, adorabile!

Stella — Oh! non dire, te ne prego! Non c'è niente di te che non mi sia prezioso: la tua gelosia, la tua durezza non me­no dei tuoi più dolci trasporti! Ti amerei io abbastanza se non accettassi con gioia quel che piace a te? (Si abbracciano).

Bruno — Estrugo, lo caccio! Alla malora quel guastafeste! È lui che alimenta la mia diffidenza. Lo mando via, lo mando via! Sai dirmi, Stella, perché quell'uomo nutre contro di te un odio così profondo? Ah, Stellacela, incantatrice di ser­penti! addomestica intorno a me i serpenti boa e tornerò il Bruno di prima!

Stella (stringendolo a sé) — Ah! sì!... Li ha, il Fuggitivo, gli stivali delle sette leghe per correre a scaldare il cuore della sua amata!

Bruno (esaltandosi, raggiante) — Butta via quel mantello! Che la fiducia rinasca intera! Nella mia anima, tutte le stelle che il cielo piange la notte di San Lorenzo! Piovi, piovi tu, o mio Cielo, le tue stelle sino all'alba!... Se Estrugo fa tanto di comparire, lo accoppo, lo sminuzzolo! Per invidia, l'ha fatto, non c'è dubbio! È un uomo inaridito dalla so­litudine. Vada nel deserto a cibarsi di locuste!

Stella (ridendo, senz'ombra di cattiveria) — Di locuste, sì!... e di scorpioni!...

Bruno — Come ho fatto a essere così cattivo? Via quel man­tello del malaugurio! Ti comprerò un abito di trine, scar-pette dorate e calze di seta fine come tela di ragno; un cappello di paglia di Firenze, ti comprerò e tutti i giorni vi appunterai dei fiori freschi. E andremo a pavoneggiarci sulla piazza!

Stella  (felice) — E una collana di bosso!... E per te, una cravatta rossa fiammante e un bastone ferrato che farai volteggiare!

(Bussano all'ingresso).

Bruno (con vivacità, sospettoso) — Zitta! (Si tira su). Han bussato? Alzati.

Stella (restando male) — Oh! così presto? (supplichevole). Non ancora!

Bruno (tra i denti) — Se è Estrugo, lo scaccio! Sì, infallantemente! Alzati.

Stella — Ah! peccato! peccato!   (Lui l'aiuta ad alzarsi). Bruno   (attirandola a sé) — Che aspetti!... Ti regalerò anche un vestito rosa a tre balze. Un altro celeste, ampio, pie­ghettato;  un altro ancora,  viola,  che  ti  stia strettissimo. (Ribussano). Sss't! è lui... è Estrugo. Non se l'aspetta, la la­vata di capo che gli darò appena entra! Bisogna dire che sia proprio pazzo per inventare simili fandonie...  Il man­tello, però, rimettitelo: non si sa mai. Potrebbero spiarci per le fessure; ci sono delle fessure nella porta...

Stella  (sorridendo mestamente) — Il mantello sulla gonna a tre balze?

Bruno (contrariato) — Poi, poi, la gonna... Fa' presto... E... e... riméttiti, si, riméttiti, per l'ultima volta, anche la maschera.. Eh? ti dispiace?

Stella (subito) — Oh! no! Sono brutta, intanto.

Bruno (guardandola mascherata e col cappuccio calato) — Tutta opera di Estrugo, sì! È lui che mi mette su! la testa non Ma proprio a posto! Oh! glielo dirò! Mi sentirà! Va' in ca­mera tua.   (Bussano più forte). Va', presto! No, una cosa... Veramente, tu non sei uscita stanotte? E piangevi proprio sincera, un momento fa? Non l'hai fatto, eh, per mettermi nel sacco? Sta bene:  va' in camera tua.  (Lei china il capo ed  esce.  Lui si offusca,  la richiama).  Non metterti  mica a ricamare, sai! è un genere di lavoro che non mi va. Non so bene quel che ci vedi nei fiori che ricami, né quello che ci metti. È un'occupazione che da campo alla fantasia di sbizzarrirsi... (Bussano daccapo con raddoppiata impazienza). Su, su, va' nella tua stanza!   (Stella obbedisce. Lui va ad aprire.  Gli si presenta un giovane  dall'aria estremamente timida e ingenua; e dietro il giovane, Estrugo). Che cosa c'è? Avanti, avanti...   (Al giovane). In che posso servirvi?... Si, tengo chiuse le imposte per via del caldo. C'è quasi buio, si; ma alla lunga l'occhio si abitua... Entra, Estrugo... (Pren­dendolo a parte). Mio caro, sei sicuro di non aver parlato contro  Stella per  rancore  o per malevolenza?   Sì,   sì.   (Al giovane). Prendete una sedia, là...   (A Estrugo:) Ti prego, torna in te, scrutati, riprendi in esame al lume della co­scienza  gli  strani discorsi  che m'hai tenuto...  Sì,  pensaci bene, te lo consiglio. E se i tuoi moventi sono disinteressati, sviscera ancora una volta i fatti prima di pronunciarti.  (Al giovane). Sono subito a voi... (A Estrugo). Pensa quale enor­mità sarebbe accusare Stella alla leggera... Si, non dubito della purezza delle tue intenzioni; ma... ma... Pondera, insomma; valuta, confronta eh? e poi giudica... (Battendogli la mano sulla spalla). Buon vecchio Estrugo! (Al giovane). È per una lettera d'amore?

Il giovane — Si, se non disturbo...

Bruno (secco) — Sono venti soldi. (In una risata di scherno). Ah! ah! siete tutti gli stessi! Imbecille!... Che fai nella vita, a parte l'amore?... Non sei mica di qui, tu...

Il giovane — Di Oostkerque. Sono bottaio.

Bruno — E le riempi di lagrime le botti?

Il giovane — Sì...  (China il capo e piange).

Bruno — E tu vieni da Oostkerque fin qui in cerca di belle frasi! Ah! ah! Ci rimetti mezza giornata di lavoro e due mezze suole per i begli occhi di una donna!... L'hai mai vista una donna che valga un paio di scarpe? Tutte le hai viste e nessuna!... A piacer tuo, ragazzo mio: ti scriverò la lettera.

Il giovane — È da appena un mese che ci amiamo e lei già si mostra indifferente...

Bruno — Naturalmente!... Non aggiunger motto, ho bell'e ca­pito. Affar mio. Scrivi, Estrugo, scrivi. (Dettando). «Ingra­ta Perfida» con due maiuscole! «e Teneramente Amata!» con due maiuscole! «Allorché noi andavamo, le mani nelle mani, stretti uno all'altro da non esser più che una luce e un'ombra, la gente si faceva sulle soglie con stizza ed in­vidia, credendosi derubata di tutta la nostra felicità. Ah! come si sentono ricchi, oggi!». (Si arresta. Guarda con sprezzo il giovane, che si concentra per capire).

Il giovane (che c'è arrivato) — Giusto! (E raddrizzandosi, en­tusiasmato). Quale poeta, quale poeta! (Ma fulminato dal gelido sguardo di Bruno, rimettendosi a sedere:) Oh! scusate!...

Bruno (riprendendo a dettare) — «Colombella mia, fragile lam­pada, fior di neve! Il mio cuore era sotto il tuo sguardo come l'uccellino sotto l'ala materna. Il tuo labbro era tu­mido di giovinezza, fondente come un frutto dei tropici».

(Dettando si esalta. Immaginando che il giovane stia per interromperlo, sibila). Silenzio!

Il giovane (istintivamente) — Scusate!

Bruno — Scrivi, Estrugo, scrivi! «Ahimè! Simile a un ospite ingrato, tu già ti allontani senza volgere il capo. Ma, bada bene! Se tu stacchi dalla mia la tua anima, se il tuo pensiero cessa di essere lo stampo fedele del mio, ti ammazzo!».

Il giovane   (spaventatissimo) — No!

Bruno (lanciato) — «Se quando parli il mio orecchio sorpren­de una parola che gli suoni nuova, ti faccio la pelle!».

Il giovane — Oh! no, no!

Bruno — «... Se ti guardi tre volte allo specchio senza ridere, se senza motivo atteggi in diverso modo le pieghe della gonna...». (È in preda a uno strano orgasmo). L'ammazzo! l'ammazzo prima di sera, se ho la benché minima prova che mi tradisce!... Il mio fucile è qui, carico di cento colpi! (Questa volta persino Estrugo si alza, allarmatissimo. Ma Bruno si domina, si costringe a ridere). Niente paura! A volte l'ispirazione mi trascina, e non so più quel che mi dico! Eclissi del mio spirito tempestoso! Finirò per sotto­mettere la mia vita ai capricci dell'immaginazione! Tran­quillizzati! È vero: a volte, sogno e realtà mi si presen­tano mescolati insieme al punto che non distinguo più quel­lo da questa... Dove eravamo? Scrivi, Estrugo! (Al giovane). Mio caro, forniscimi qualche altro dato per la chiusa. È di Oostkerque la tua bella?

Il giovane — Oh! no, abita qui, lei: nel villaggio.

Bruno — La conoscerò, allora. Non ti domando come si chiama; nella nostra professione la discrezione è la prima virtù. È bella?

Il giovane — È la più bella del paese.

Bruno (impallidendo) — La più bella? Qui?! La più bella, dici? Lo senti, Estrugo? Dici la più bella? Ne sei ben sicuro?

Il giovane — Non c'è chi non lo riconosca.

Bruno (verde il lume degli occhi, e scrolla come un sacco il giovane che non si raccapezza) — E non tremi tu? non hai paura di asserirlo?... Estrugo, Estrugo! In faccia, ardisce sfidarci! La più bella noi la conosciamo, non è così, Estrugo? (Di nuovo si padroneggia. Al giovane). Oh! scusa, scusami, mio caro! È di nuovo un attacco di lirismo! Si spiega! è così viva la parte che prendo alla tua causa!... (Pausa. A Estrugo). Estrugo, tu sei un ipocrita! (Pausa). La più bella, eh! eh! (Al giovane). Allora non la conosci tu, Stella! no, no, non la conosci, vero?, in tutta la sua avvenenza... È un ca­ducèo, un tirso, una viva colonna d'alabastro, una pigna d'uva, un verziere in fiore!... Una pelle fine e tiepida, un neo...

Il giovane — ... sopra il ginocchio...

Bruno — ... dei seni delicati, eretti...

Il giovane — ... una voglia di nascita...

Bruno   (vacillando) — Come lo sai?

Il giovane (ingenuamente) — Tutti, lo sanno!

Bruno  (va ad afflosciarsi su una sedia; gemendo) — Mi si sot­terri!...   (Pausa). No,  no, zitti, non chiamate!  Un semplice capogiro... Estrugo, la luce si fa, tu sei un ipocrita!... È inutile che resti muto... Ah! ah! il mio cuore...  (Pausa. Al giovane). Vedi, sto poco bene... Estrugo, tu non lasciarmi, si va a prendere una boccata d'aria... (Al giovane). Ma tu rassicurati: non ti sei scomodato per niente. Aspettami, e al ritorno ti finirò la lettera. (Si tira su a stento). Nel frat­tempo, mia moglie ti terrà compagnia. (Si dirige verso l'usci­ta). Estrugo, la luce sta per farsi!... (Chiamando). Stella Stella, anima cara! Si, vieni qui. Togliti quel mantello... si, te lo permetto. Anche la maschera, levati. (Al giovane). Si diverte a mascherarsi, dovete sapere, mio caro. Viene!

Stella (senza mantello né maschera; quanto mai sorpresa) — Eccomi, amico mio.

Bruno (osservati i due, ad Estrugo) — Quale forza di simula­zione! L'han di bronzo, la faccia! (A Stella). Oh! nulla! di­cevo... Mio bene, finché non torno, terrai compagnia a que­sto giovinotto. Ho bisogno di prendere una boccata d'aria e ne approfitto per andare sino al castello, dove ho per l'appunto qualcosa da sbrigare. Sarà il pretesto per fare due passi. Non starò via più di mezz'ora...

(Al giovane, con un sorriso forzato). Non ti annoierai, in sua compagnia, spero. Vieni, Estrugo, vieni: una mezz'ora, non più né meno-; potete contare i minuti... Vieni, Estrugo... (Sulla soglia) ... i secondi...

(Escono, chiudendosi dietro la porta. Scena muta. Stella e il giovane rimangono silenziosi; non un gesto o uno sguardo: due statue. Lungo silenzio. Alla finestra del piano di sopra s'affaccia dal di fuori Bruno. Le statue di­ventano tre. Il silenzio si prolunga. Non può resistere oltre: grida).

Insensato, insensato che ero! (Due strilli gli rispon­dono nell'interno. Bruno, gesticolando). Per quanto astuto, il mio stratagemma non poteva che spuntarsi contro la loro prudenza! Bottaio, ti piegherò come una doga! Scellerati! Sapendo che li spio, non muoveranno un dito, rimanessi a questa finestra cent'anni! Che avrei visto, che cosa avrei visto, se avesse giocato la sorpresa! Ma il vostro silenzio e il controllo di cui date prova, vi denunciano! Una immo­bilità, la vostra, che equivale a un abbraccio frenetico! Estrugo, tienilo! Intendo grattargli il pelo sino all'osso! (Scompare dalla finestra).

(Entra Estrugo in preda a panico, e, una volta tanto, abbondante di parole).

Estrugo — Giovanotto, fuggite, mettetevi in salvo! A Bruno, deve aver dato di volta il cervello!

Stella   (tremante) — Oh! povera me!

Estrugo — È capace di tutto quando monta in furia!

La vostra lettera! Ah! vedete cos'è l'amore! Non scrivete piutto­sto, se non sapete scrivere! e la lingua tenetevela in bocca, se vi riesce! (Consigli al vento, perché il giovane non c'è già più).

Bruno (da fuori) — Ah! fellone! approfitta della tua sveltezza! Metti le ali! non ti salverai dalla mia vendetta! Vola, che voli alla tua perdita e per la strada più corta!

(Rientra, ilare in viso, ilare quanto di più non si può).

Stella (che, nell'angoscia in cui è ancora, non crede ai suoi occhi) — Oh! sei tu, amore mio caro? tu, sei?

Bruno  (ridendo) — E tu, sei tu? Confesserai, almeno adesso?

Stella (uscita d'apprensione, sorridendo) — Che cosa potrei confessare che tu non sappia?

Bruno (agrodolce) — Odi, Estrugo? sempre risposte a doppio senso: uno che molce, l'altro che inasprisce... Ah! ah! (Pausa). Estrugo, tu che mi vuoi bene, corri all'istante da Pietro e digli da parte mia che lo scongiuro di non partire prima che ci siamo riconciliati. La settimana ventura deve imbarcarsi, lo sai. Rivolgigli parole fiorite; digli che, indi­sposto come sono, non mi sento di andar io da lui e che inoltre la vergogna mi trattiene dal farlo. Sono stato duro con lui; ma ho modo, digli, di risarcirlo dell'oltraggioso trat­tamento. Diglielo. Che venga subito, se serba ricordo della nostra antica amicizia. Va', non esitare. Ti dò la mia pa­rola, Estrugo, che lo attendo, animato dal più vivo desiderio di riparare. Riconducilo!   (Spinge Estrugo fuori).

Stella (commossa) — Oh! Bruno! Devo ancora temere o posso sperare?

Bruno (in preda a un'allegria eccessiva) — Oh! Stella!... Per prima cosa, spalancheremo porte e finestre... (spalancandole) e imposte! Che chi desidera ammirarti, ti trovi in tutto il fulgore della tua bellezza! Il regno dell'ombra è finito, la luce si farà. Dico bene, Estrugo?... Ah! già:   è andato!

Stella (che ancora stenta a credere) — È possibile?

Bruno (contemplandola sorridente) — E me, la tua bellezza mi abbaglierà! D'ora innanzi va' e vieni a tuo talento, ho finito di tenerti prigioniera. Dove ci avrebbe portato, la mia severità?

Stella (in un impeto di folle gioia) — È guarito, è miracolosamente guarito, il mio benamato!

Bruno — Non ancora; ma tu mi guarirai. Mi vorrai guarire?

Stella  (stringendolo fra le braccia) — Oh! subito! all'istante!

(Bruno si siede, l'attira, se la fa sedere sui ginocchi).

Bruno — Da un orecchio all'altro: in questi tre mesi sono in­vecchiato parecchio; il mio colorito è smorto, la bile mi soffoca, l'intestino si impigrisce, vivo tra incubi paurosi, mi cadono i capelli... Ancora un po' che l'incertezza mi roda e scenderò nella tomba.

Stella — Oh! non dire così!... Io ti guarirò; dimmi che devo fare.

Bruno — Ecco: i passi che fai in casa, li conto; sorveglio il tuo sguardo dal timore che passi attraverso i muri; misuro i tuoi sospiri; spio il tuo sonno, che non lo visitino i fan­tasmi; ti imprigiono insomma, senza sapere se prigioniero tengo anche il tuo pensiero... (Pausa). Stella, parliamo da persone grandi. (Pausa). Dalla tua bocca non m'attendo più nessuna confessione: è cucita a fil doppio... Zitta! lasciami parlare. (Pausa). Un marito, per astuto che sia, non sma­schererà mai l'astuzia della moglie, per sciocca che questa sia. E, gran Dio, di furberia tu non ti puoi dire sprovvista! (Pausa). Rinuncio dunque d'ora in poi a sorvegliarti. Sennonché la perpetua incertezza in cui vivo mi spossa; ed è il fegato che ci va di mezzo. Voglio uscire da questa in­certezza che mi opprime; la debellerò, la annienterò entro oggi stesso.

Stella — Dio sia lodato!

Bruno — Sì; e il diavolo pure!... E il modo di liberarmi da que­sta incertezza, di troncarla definitivamente e subito, il toc­casana universale insomma, l'ho: per non sospettarti più infedele, ch'io sia una buona volta sicuro che lo sei!

Stella   (sobbalzando) — Come?

Bruno (subito, furioso) — Ch'io sia sicuro che mi sei infedele! (Costringendosi alla calma per non allarmarla:) No, non t'allarmare: sono nel pieno possesso delle mie facoltà. Resta qui. Ho detto. Visto che al mio sospetto tu opponi il silen­zio, avrò in tal modo la prova della tua indegnità. Mi in­gannerai quindi oggi stesso, sotto il mio tetto, me presente.

Stella (scostandosi costernata) — Oh! amico mio, che dici mai?!

Bruno  (con semplicità) — Preferisci allora ch'io muoia?

Stella — Oh! no, mai, me infelice! Ma posso morire io. Uccidimi!

Bruno — Non portando con te il tuo segreto! Dopo, se mai. (Pausa). Non c'è altra soluzione per me: o perire o essere cornificato. Becco un marito lo deve essere, è inevitabile; ed io voglio esserlo. Non c'è remissione. Il ridicolo e la sof­ferenza nascono dall'ignoranza e dall'incertezza. Sarò al cor­rente della mia disgrazia e per primo.

Stella (disperata) — Amico mio, abbi pietà di me! Ricorda com'ero innocente quando mi conoscesti; persino il nome delle cose, ignoravo... E tale sono ancora, perché l'amore cancella il peccato...

Bruno — Per l'appunto! io ti voglio impura e voglio me stesso disonorato! Niente compromessi: oggi stesso sarò becco o sarò morto. Le corna o la corda. Scegli per me.

Stella (tremante) — Non avrò il coraggio che ci vuole! È ima cosa così brutta, un altro uomo!... Bruno, tu scherzi, è vero? O è che vuoi mettermi alla prova? Già fremo di ribrezzo!

Bruno  (impassibile) — Scegli per me:  o le corna o la corda.

Stella — Che cosa mi farà quello là? Bruno, preferisco men­tirti e confessare tutto quello che vuoi... Ah! no, no! chi mi vien vicino, lo mordo! Cessa di spaventarmi!

Bruno — Scegli per me, Stella.

Stella — Dopo, non mi potrai più vedere... E io? la gente mi segnerà a dito... Bene te ne voglio abbastanza per morire, ma per...

Bruno — C'è più merito nel soffrire a lungo che nel morire.

Stella — ... e per soffrire anche. Ma...

Bruno — Eh! via! mica poi soffrirai tanto, ipocrita!

Stella — Oh! sì! sì!

Bruno (perdendo la pazienza) — Basta con tutte queste smorfie! Scegli per me.

Stella — Grazia! Risparmiami!

Bruno - Scegli...

(Silenzio).

Stella (in lagrime) — Obbedirò... Sei il mio padrone e signore... Obbedirò... Ma misura di che amore ti amo per trovar la forza di farlo...

Bruno (con calma ardente) — Ora sì!... Ho dunque mandato a chiamare Pietro...

Stella  (in un grido) — Con lui?

Bruno — Non protestare, non gridare! o dovrò credere che non è soltanto nei miei riguardi che la tua virtù si allarma. Troppe storie per un semplice marito!

Stella (in un gemito) — Con Pietro!

Bruno (dopo una breve pausa, raddolcito) — Pietro l'ho umiliato, gli debbo una riparazione. Non saprei offrirgliene una più completa.

Stella — Per fortuna, lui non accetterà.

Bruno (perentorio) — Oh! spero che accetterà!... A questo modo, siamo dunque intesi, mi libererò dall'incertezza che mi soffoca. Becco, agirò da becco.

Stella — Potrò vivere dopo una tale vergogna?

Bruno — Forse. Chi sa! Ignoro come mi comporterò. Conosco l'incertezza, non la certezza. Vedremo. Sapere, tutto sta lì.

Stella  (appendendoglisi al collo) — Oh! crudele, bisogna che il mio amore sia ben forte, per...

Bruno (con vivacità) — Bada, Pietro è qui. Se cerca di sottrarsi, aiutami a persuaderlo.

Stella (sottovoce, concitata) — Pensaci ancora!

Bruno — Abbastanza ci ho pensato! è deciso!

Stella — Dopo, non sarai felice di più...

Bruno — Oh! ben di più, siine certa!

Stella — Ma io...

Bruno — Tu vivi per me.

Stella — Ma...

Bruno — Silenzio! (Entra Pietro, accompagnato da Estrugo). Estrugo, lasciaci. Ma senza allontanarti:  ti richiamerò.

(Pietro si fa incontro a Bruno e gli tende la mano come nulla fosse stato).

Pietro — Buongiorno, Bruno.

Bruno (a Stella, trionfante) — Accetta, accetta certo...

Pietro — Buongiorno, cuginetta... (Stella china gli occhi, arrossisce). Non ti confondere, Stella: ho scordato ogni cosa.

Bruno — Dici davvero, Pietro? Grazie, grazie! Tu hai la ricchezza del cuore. Sempre ti ho conosciuto così!... Mi ha perdonato, Stella! accetta di sicuro.

Pietro — Non avrei potuto lasciare il paese senza rivedervi entrambi; sarei venuto da solo...

Bruno — Oh! anima generosa! Non ero responsabile dei miei, atti, quel giorno... Perché mi scruti così? mi metti a disagio. Ho l'aria disfatta, è vero?

Pietro — Sì, un po'. Sei ammalato?

Bruno (con un sorriso stentato) — Uno strano male che mi tiene tra il meglio ed il peggio.

Pietro — Perché non mi avete chiamato?

Bruno — Arrivi ancora in tempo, se vuoi darmi sollievo.

Stella (in un bisbiglio) — Grazia!

Bruno (reciso) — Zitta! (Pausa. A Pietro). Quel giorno là, quel giorno là, Pietro, nel guardare, me consenziente, Stella, gli occhi ti luccicavano come due tizzoni.

Pietro — Non parliamone più.

Bruno (reciso) — Al contrario! (Animandosi). Da quel giorno la gelosia m'ha messo alla tortura, arrostito sulla graticola, fat­to a brani. Non ho trovato più un'ora di requie. Ogni ge­sto, ogni parola di Stella, ogni battito del suo cuore, il suo silenzio e la sua immobilità, vegli o dorma, tutto ciò che è di lei nel tempo e nello spazio, tutto mi è motivo di ango­scia! Sono geloso, con un furore che mi distrugge, il so­spetto folle corre in me su mille peste che serbano il suo odore. Come un cane aizzato! Pietro, devo averne ragione, di questo dubbio!

Stella (con un filo di voce) — Grazia!

Bruno (furente) — Silenzio! (Esaltandosi). Questo dubbio o io lo uccido o mi uccide! Sulla fedeltà d'una donna non si possono avere che presunzioni, ma della sua infedeltà è im­possibile raggiungere la prova. Hans Carvel, nell'anello del diavolo, non ci mette che un dito di certezza. Sua moglie dorme e il suo spirito è in moto. Nel caso specifico, il dia­volo in persona può esser becco, doppiamente. A che serve vigilare?

Stella— Grazia...

Bruno (furibondo) — Silenzio, signora Carvel! (Pausa). Qui, il corpo trascinerà con sé lo spirito e tutto sarà consumato! Lasciarsi vincere dal dubbio o vincerlo. Dal momento che solo la prova del delitto può salvarmi, per mostruosa che sia, io la reclamo! (Con crescente esaltazione). Pietro, for­niscimi la certezza salvatrice!

Pietro (trasecolando) — Eh? come?

Bruno (martellando col pugno il tavolo) — In risarcimento del­l'ingiuria che ti feci, Pietro, ingiuriami a tua volta. Prenditi Stella, che il diavolo la strigli! Prendila: te la consegno calda calda. Conducila in camera sua, comprendi? Io accon­sento, ti invito a farlo, te lo chiedo, te ne prego! (Gridando). Te ne supplico in ginocchio! (È senza fiato). Lei è prepa­rata, ti seguirà... Salite su insieme, chiudetevi, carnefici! Pos­sano dai vostri corpi sprigionarsi scintille come da pietre fo­caie! Fate fuoco e fiamma, ch'io ne schiatti! E piantatemi sulla fronte un bosco, che con la sua ombra metta al buio la contrada (È sfinito. Pausa). Che farò? La ucciderò, la scaccerò, la perdonerò? Lo ignoro; ma saprò almeno a che tenermi.

Pietro (scoppia a ridere come un matto e si siede tenendosi i fianchi) — Ah! ah, questa è bella!... Non riuscirò mai a ridere quanto sarebbe il caso!... È più pazzo di un pazzo!

Bruno  (impallidendo) — Codardo! codardo!

Pietro (alzandosi e impallidendo a sua volta) — Bruno!

Bruno — Vigliacco!

Stella (atterrita, interponendosi) — Oh! Pietro! abbi pietà di noi! Vedi a che punto è ammalato!

Bruno — Vigliacco, vigliacco!

Pietro  (avviandosi per andarsene) — Addio.

Stella (trattenendolo) — Pietro, non mi lasciare in balia del suo umor nero! Se un tempo gli hai voluto bene come io glielo voglio, non andar via!

Bruno (con un riso insultante) — Ti lascerà in mano i galloni!

Pietro (arrestandosi; minaccioso) — Bada a te, Bruno!

Bruno — Eh! bella mia, non sei drogata abbastanza, tu, per codesto mangiatore di spezie! Puoi andare per un palato sciapo come il mio!

Stella (aggrappandosi a Pietro) — Pietro, soccorriamolo! Non mi respingere ormai che ho fatto sacrificio del mio pudore! non fare insulto alla mia disperazione, cuginetto!

Bruno — Cantàridi, ci vogliono, per stuzzicarlo!... Il rosaio ne è coperto! Scrollalo, Stella, scrollalo!

Pietro   (piccato) — Bada Bruno che non ti prenda in parola!

Bruno — Non osi!

Pietro (andando in collera) — Non sarò ridicolo sino in fondo!

Bruno — Non osi, capitano!

Pietro (con fredda decisione) — Vieni, Stella!

Bruno  (in un grido di trionfo) — Ah!

Pietro — Sia dunque becco chi vuol esserlo! (Attraversa senza esitazione la sala, seguito da Stella rassegnata).

Stella — Che mi sia perdonato per il troppo amore...

Bruno   (gongolante) — Va',  Stella,  va',  Pietro!  andate,  prodi!

Pietro (di sulla scala) — Vieni, cugina!

Bruno — E spingete bene il paletto!... E se dietro l'uscio mi udite chiamare, gridare, disperarmi, «restate intrecciati come due iniziali». È quello che desidero!

Pietro (entrando nella camera) — Vieni, Stella: i suoi desideri saranno appagati!

Stella — Bruno, mi sento la donna più infelice del mondo!

Bruno — Va', docile puttanella!

(L'uscio lassù si chiude. Bruno, all'estremo delle forze, si lascia cadere su una poltrona. Lungo silenzio. Poi, con voce alterata:)

Estrugo!  Estrugo!

(Silenzio).

Estrugo (mostrandosi; allarmato alla vista di Bruno) — Sei pallido come una lampada in pieno giorno!

Bruno (inebetito) — Estrugo, credo che ci sta capitando una curiosa disavventura... È a causa della mia eloquenza. Qua­le estro mi trascinava! (Pausa). Sali su in punta di piedi. Obbedisci. È una brutta faccenda che ci capita... Piano, sss't, che non ti sentano... (Estrugo sale su. Bruno senza volgersi). Attento a non far scricchiolare l'assito del pianerottolo... Ci sei? Guarda per il buco della serratura... (Tra sé:) Ben brutta! ben brutta!

(Estrugo mette l'occhio alla toppa e su­bito si raddrizza sbalordito e gesticola per richiamare l'at­tenzione di Bruno).

Bruno (calmissimo) — Ebbene? (Estrugo scende a precipizio, si ferma davanti a Bruno. Gesticola, ma non riesce a spic­cicare parola). Che c'è?

Estrugo (traboccando) — Pietro con Stella, Stella con Pietro, Pietro con Stella, nella camera, chiusi!

Bruno (senza batter ciglio) — No.

Estrugo (con una speditezza d'eloquio stupefacente) — Dei galloni e dei falpalà, lo giuro, le tendine abbassate, Pietro e Stella, lo giuro, chiusi dentro!

Bruno  (testardo) — No, no.

Estrugo (rallentando un po') — Guarda dentro i miei occhi: l'immagine non s'è forse ancora cancellata. Li ho visti io!

Bruno (ergendoglisi di colpo davanti, furioso) — Tu menti! tu menti!

Estrugo  (intimidito, ma senza cedere) - Stello e Pietra!

Bruno (perdendo la pazienza) — Tu menti trentadue volte!

(Estrugo è di nuovo ridotto ad esprimersi a gesti).

(Bruno corre a staccar dal muro il fucile. Estrugo, atterrito, se la dà a gambe).

 

Estrugo (scappando grida) — Aiuto! M'ammazza!

Bruno (sferzante) — Stupido! È forse a te che miro?! (Estrugo è già sparito. Eccitandosi). Li uccido, li accoppo tutti e due! Faccian tanto di uscire, sono bell'e morti e io sputo sulle loro carogne!   (Urlando). Stella! Pietro! Aprite, ch'io vi ab­batta ai miei piedi! Una muta di cani perché vi sbrani!... Ammazza, ammazza!... Pietro, non hai scampo! Stella, che il diavolo ti inforchi, scendi giù!  (Si avventa su per la scala) Al rogo, i fornicatori! Che le arpie vi suggano il midollo! Pietro, qui c'è un uomo che ti aspetta!  (Urtando nell'uscio col calcio del fucile). Confessate, maledetti! Ancora non sie­te satolli?  Ardite  farvi beffa  di me sotto il mio tetto?! Apri la porta, Stella!  (Pausa. Cadendo in una disperazione frenetica:) L'avevo prevista la mia debolezza, gli avevo proi­bito di dar retta alle mie suppliche! Stella, disobbedisci una volta tanto! Ah! crudeltà senza esempio: sono io stesso che tengo   chiusa   la   porta!    (Cadendo   in   ginocchio).   Gri­do mercé!... Becco si, ma non a questo punto! Uscite, su! Tutta la mia ira è sbollita per incanto! Non andiamo oltre! Pietro, tu sei un prode capitano, ne hai dato prova abba­stanza! E anch'io, Stella, mi sento becco abbastanza!  (Dall’interno nessuna risposta. Si alza cupo, risoluto. Scende). Vuoi dire che dovrò ammazzarli. La loro anima è perduta; e la mia!

(Clamore di folla dalla strada).

Voci — Adunata! qui tutti! A me, la guardia! Siate prudenti! Nessuno spari senza mio ordine! Disciplina! Ricordate che è pazzo! Entrate tutti insieme! Avanti.

(La folla irrompe in casa. Guardie forestali, capitanate dal borgomastro. In coda a tutti, Estrugo, guardingo).

Il borgomastro — Alt! Attenti!

Bruno (scorgendo Estrugo) — Imbecille, perché questa sommossa?

Il borgomastro — Guardie, impadronitevi di quell'uomo!

Bruno (dibattendosi furente) — Qui sono in casa mia! Amici, non avete nulla da temere: non è con voi che l'ho! Ma mi si provoca, mi si schernisce, mi si offende mortalmente! Ho il diritto dalla parte mia. Stella, la mia moglie mille volte amata, mia moglie, è qui sopra, chiusa in camera con suo cugino Pietro. Tu li hai visti, vero, Estrugo? (Siccome Estrugo non risponde). Dice di sì: per il buco della serratura. Lei e lui.

Il borgomastro (scandalizzato) — Stella!?

Estrugo — ... con Pietro! Pietro e Stella!

Bruno — Che stanno, come si dice, insozzando il mio letto. Giustizia! Lasciatemi! Li uccido!

Il borgomastro — La legge, in questo caso, è dalla tua. Nessun giudice ti condannerebbe, per poco che abbia moglie.

Bruno — Bravo! Di' dunque a costoro che non mi tengano!

Il borgomastro — Uccidi Stella quanto ti pare; ma io non posso darti una mano. Non è me che ha cornificato. Bruno (sarcastico) — Finora no, ma col tempo...

Il borgomastro (senza scomporsi) — È possibile. Sarebbe stato bene evitarlo questo scandalo.

Bruno — Ah! Estrugo, traditore! Sempre tu, a mettermi nei guai!

Il borgomastro  (sottovoce) — Sss't!... Tolgono i chiavistelli, di sopra!

Bruno (piano, a chi lo tiene) — Lasciatemi!

Il borgomastro   (pronto) — Tenetelo ben fermo!...  Girano la chiave...

(Curiosità tesa.  Silenzio. Bruno  non riesce  a svincolarsi L'uscio al piano di sopra si apre. Pietro e Stella compaiono)

Stella (sgomenta) — Oh! amico mio, cos'è tutta questa gente! (Vergognosa, scende controvoglia).

Pietro (sbottando in una fragorosa risata) — Eccoti servito, Bruno! di barba e capelli!

Bruno (esitante) — È vero, Stella?

Stella (arrossendo) — Sii almeno felice, ora.

(Bruno e la folla osservano la coppia).

Pietro (inchinandosi cavallerescamente a Stella) — Addio, Stel­la! addio, cuginetta! È senza dubbio l'ultima volta che ci vediamo. Quando m'imbarcherò, avrò a farmi compagnia un ricordo prezioso, un rimpianto cocente. La tua immagine visiterà spesso la mia solitudine. Perdonami se ho potuto cagionarti qualche guasto...  (Fa l'atto di baciarle la mano).

Stella (ritirandola prontamente, confusa) — Oh! no! questo, no!

(Improvvisamente, tra lo sbalordimento generale, Bruno sbotta a ridere).

Bruno — Ah! ah! la bella farsa! Vorrebbero darmela a bere! Riappendete il mio fucile, brava gente! Ah! caro Pietro, io sono più scaltro di te! (Al borgomastro). Si denigra, per farmi paura, capisci? E in due si son messi per architettare questa mediocre commedia!... No, no: non sperare che ci caschi! Non credo a nulla di nulla!

Pietro (alza le spalle. Avviandosi all'uscita) — A piacer tuo! accomodati se la vedi così. Resta un fatto: che sei stupido quanto si può esserlo. Addio!

Bruno (tenendogli dietro) — Arrivederci, eccellente amico! non mi serbare rancore. Prima che tu parta, passerò a salutarti.

Stella (disperata) — Ahimè, Bruno! mi sono dunque sacrificata per niente?

Bruno (ride; e con lui tutta la folla) — Avvicinati, discolaccia! (Se la stringe al petto). Anche lei mi crede ben ingenuo! Che menti, ti si legge sulla faccia!

Estrugo (indignato, traboccando) — Ma se li ho visti, Bruno! Visti e rivisti attraverso il buco della serratura!

Bruno (battendogli affettuosamente la mano sulla spalla) — Già, grazie mille! Ti conosco, compagno! Ti sacrifichi, sei tutto buon cuore, tu! Basta, basta! (Alla folla). Andate, amici miei, andate in pace, siete tutti dei bravi ragazzi! Vi affiderò Stel­la; Stella è sotto la vostra custodia e sotto quella di Pietro: l'una vale l'altra. Andate!

(Ridendo, tutti se ne vanno).

Stella   (timidamente) — Bruno, sei allora guarito del tutto? Bruno — Sì!!!  (Ma ha contemporaneamente una smorfia di do­lore). Ahi! Estrugo, il male si risveglia! Se non è Pietro, chi è allora?


ATTO  TERZO

Stessa scena. Le finestre sono spalancate sulla campagna di settembre. Tardo pomeriggio. Arriva il ridere squillante di Stella, che è nel frutteto, attorniata da uno sciame di giovinotti.

Nell'interno Bruno, invecchiato, curvo, stempiato, è seduto alla scrivania e ha di fronte una fila di bei giovinotti, seduti come ragazzi per terra, le spalle appoggiate al muro.

Scrive. Lungo silenzio.

Entra di premura Estrugo, preoccupato; viene a Bruno, gli bisbiglia qualcosa all'orecchio; che cosa non si ode.

Bruno (che ha ascoltato imperturbabile, ridendo) — Fanciullag­gini! fanciullaggini! (Seguitando l'altro a parlare a voce bassa). Non credere ai tuoi occhi, caro! (Estrugo ha un ge­sto verso la finestra, come a dire: Guarda tu stesso! Ma senza volgere neppure il capo, Bruno, ridendo). Ah! ah! Sciocchezze! sei ancora ingenuo. Che male ci vedi? Se Stel­la avesse cattive intenzioni, lo farebbe di nascosto, no? Ti fermi all'apparenza, tu! Ah! poverino, ti farai infinocchiare da tutti! (E poiché Estrugo insiste, spazientito). Eh! pian­tala! No, ti dico, non turberai la mia serenità. Finge, gioca di astuzia; sbarbatelli, che hanno ancora, non vedi?, il latte sulle labbra! così giocava d'astuzia con Pietro, per eludere la mia legittima sorveglianza... Lascia, ho il mio progetto!

Voce di Stella (inseguita dallo sciame dei vagheggini) — Bruno! Vieni, Bruno! Mi sono addosso in quattro! Aiuto, maritino mio! (Ride forte).

Bruno (ridendo anche lui e alzando la voce) — Digli di pazientare, gattina mia! Verrà per ciascuno il suo turno!

(A udirlo, i giovani che ha in faccia si appioppano pugni a vicenda, in una esplosione di maschia allegria).

Voci — Tu e io! Io e te! Verrà per ciascuno il suo turno! Tutti se la godranno!... A meno che sian muli!...

Bruno (lì per lì inarca dalla sorpresa le sopracciglia; ma poi sorride, ammicca) — Fanciullaggini! (Si alza, allegro). Eccovi accontentati tutti!

(A spintoni, i giovani lo circondano).

 

Voci — Qui!... A me, quella lì!... E perché a te?... Intanto, non verrà per ciascuno il suo turno?

Bruno (respingendoli, bonario) — Eh! calmi, calmi! Le lettere, analoghe nella stesura, sono ciascuna di trenta righe pre­cise; ma trenta righe che cantano! un vero poema! Ecco venti soldi spesi bene!... Che scegliete a fare, sciocchi? Qua­lunque sia la lettera che vi tocca... toccherà sempre il cuore della vostra bella! (In una risata che gli sgorga dal cuore). Ah! che dannata farsa, l'amore!

(Sborsato il prezzo e avuta la lettera, i giovani irrompono fuori tra grandi scoppi di risa).

Voci — Tocca a me adesso giocare!... Addio!... Ci si rivede... Che si fa, una partita a bocce?... Si, si, sul sagrato!... Quanti punti, tu?... Croce!... No, è testa!

Bruno (prende Estrugo per il braccio; sorridendo bonario) — Credi, credi pure che non bisogna aver fretta di conclu­dere. Il contegno che ti rivolta, di Stella, non è che un maneggio per confondermi le idee, una trappola che mi ten­de. Non ci casco, non temere. Stella non ci mostra che quel che vuole e può decentemente mostrarci: fa finta!

Estrugo  (sfogato che si è in gesti) — Ma ti giuro, Bruno, che il fabbro, quello spilungone, l'ha baciata in piena bocca!

Bruno — Ah! e con questo speri di confondermi? Ci vuol ben altro! Che l'abbia baciata, come sono disposto a credere, e altri l'abbiano baciata prima di lui e altri la bacino in av­venire, che importa? Sono un'allodola che si prende con lo specchietto? In apparenza, lei non fa che obbedirmi! Le ho detto: «Sarò pago solo il giorno che tutti i maschi del villaggio, dai quindici ai sessant'anni, saranno passati per la tua stradina». Ah! ah! lo stratagemma è nuovo! Lei fa finta di obbedirmi perché io non spinga oltre le mie inve­stigazioni! Ma io ho la mia idea, vale a dire...

Estrugo — Ma è vero o no che una volta al giorno, una a dir poco, si chiude in camera con un giovinotto?

Bruno (trionfante) — Oh! candore! incredibile ingenuità! Fanno finta, ti dico! La verità non è mai così semplice. È conce­pibile che una ragazza di buona famiglia corra la cavallina di pieno giorno sotto gli occhi del marito.?  Andiamo, via! Tu vaneggi! È possibile che uno sposo innamoratissimo, per­ché di lei io sono innamorato, Estrugo, in un modo pauroso, tolleri questo inaudito libertinaggio? Chi crederebbe una co­sa simile? e come puoi crederlo tu, ingenuo?

Estrugo — Ce n'è  già un centinaio che pretendono d'averla avuta a discrezione! mentre, a vederti, sembri tu l'autore delle loro prodezze, da tanto ti sei incurvato e rinsecchito!

Bruno — Bah! si vantano! è della loro età!

Estrugo — Ahimè! Che prova allora ti ci vuole?     

Bruno — Ciò che mi ci vuole è scoprire quello che a corteg­giarla non verrà: lui! il solo che lei intende sottrarre alla mia vendetta! Stella maschera il suo gioco sotto un'allegria esagerata: schermaglie, rigiri, sotterfugi... Io la assecondo. L'uomo che lei ama... (vacilla, dicendo). No, no, è un males­sere passeggero!... quello li, non lo riceverà sotto i miei oc­chi, sta ben certo. Sventura quindi a chi non verrà!

Estrugo — E se invece venisse?...

Bruno — Non verrà, cretino! (Risata). Anzi... Ho il mio pro­getto. Questa sera stessa raggiungeremo la prova che ci cornifica, effettivamente e di proposito!

(In questa, Stella irrompe nella sala ridendo come una mat­ta, tra lo sciame dei suoi spasimanti che se la disputano. Tra di essi si riconoscono già i giovani per i quali Bruno scriveva la lettera d'amore).

Stella (difendendosi, accesa di gioia, dal loro assedio) — Lasciatemi, dissoluti! Bruno, liberami da loro!

Voci — La sua nuca! Qui, Stella! Scegli! Che mammellina fredda che ha!

Stella — Caccia riservata!... Uh!... Aiuto, Bruno!

Voci — Scegli o ti tiro su la sottanina!... Guarda, non ha nulla sotto!...

Stella (rifugiandosi nelle braccia di Bruno) — M'han tutta spettinata, Bruno! Coperta di lividi!... M'han saccheggiato tutta!

Bruno (ai giovani che si fermano interdetta senza risentirsi) — Là, là, a modino!... Chi strappa i fiori non gusta i frutti!... Troppi gridi, troppi gesti, amici miei! Non la vedete? È una ragazza, scaltra, Stella; ma fragile, delicata! Usate con lei maggiore dolcezza! Se tutti ne spilluzzicano un po', ad­dio torta! Sta nel lasciarla intera, l'abilità!

Voci — Eh! già!... Bravo, Bruno! ben detto... Evviva, Bruno!

Stella (supplichevole) — Di' loro di non starmi così addosso, amico mio! Hanno le mani fredde, la barba che punge!

Bruno — Sentite eh, che dice?

Tutti   (entusiasti) — Altrocché!!

Bruno — Trattatela come merita: è fresca, senza macchia, ancora di primo pelo! (A Stella:) Va', mia cara, va'. (Ai giovani). Ve la riaffido; ma non usatele sgarberie.

(Stella ricade in balia dell'ingordo sciame).

Voci — A me!... Giù le mani! Evviva Bruno!... Un po' per uno!...

Stella  (strillando) — Tu sarai punito! Oh! un pizzicotto, m'ha dato!... Picchiatevi tra voi,  ma  lasciatemi  stare!...  Ah!  sì?  tu non l'avrai il tuo giorno!

Voci — Il giorno no, ma la notte sì!... È più grassottella di Giannina!... La mia lettera!...  La mia!... E  più bianca di carnagione! È come la vuoi!

Bruno   (a Estrugo) — Che faccia da funerale,  fai,  Estrugo! Non  credere ai tuoi occhi,  Estrugo,  non credere  ai tuoi occhi!

(Entra il  bovaro.  Vedendo Bruno  che ride  e  Stella alle prese coi ragazzacci).

Il bovaro (fremente d'indignazione) — Marcello, cane! Gianni, Giacobbe, Quintino, maiali! Fermi! A te, Bruno, ti sputo in faccia! (Balza avanti e respinge brutalmente i giovani). Via di qui! Arturo, basta! basta voialtri! Vi rompo il filo della schiena a tutti!

Uno dei giovani (affrontando il bovaro) — E io ti faccio ringoiare il veleno, rospo!

Voci — Menagli! Dagliele sode!

(Ma già Stella s'intromette e Bruno accorre. Parapiglia. Le battute seguenti si susseguono come colpi di frusta).

Stella (al bovaro) — Con che diritto? L'hai una faccia!

Bruno — Pazzo da legare!

Il bovaro — Ti sputo in faccia!

Tutti — Dai! Caricalo di botte!

Stella — Tacete!

Bruno — Cos'è che vuoi tu?

Stella  (tra il gruppo dei giovani che avanza minaccioso e il bovaro  che indietreggia) — Zitti tutti! Tocca a me...   (Al bovaro). Sei il mio padrone tu o vuoi farlo credere?

Tutti — Al porcile! Nel letamaio, buttiamolo!

Bruno — Sì, rispondi! Sei il suo padrone tu?

Stella — Non posso disporre di me stessa, se mio marito me lo permette? Che diritto hai tu?

Il bovaro — Poltiglia, ne faccio!

Tutti — Oh! il terribile!

Stella — Tutto il diritto che hai è di reclamare il tuo turno, niente di più!

Il bovaro — Io non spartisco coi maiali!

Voci — Ah! ah! Gli è che è un cappone! Fa' vedere se non è vero!

Bruno   (andando d'un balzo sotto il viso del bovaro) — Spartirai  sì,  orgoglioso  di un gallo!   o  io verrò  a  tagliarti  la cresta! Come gli altri, verrai! Guai a chi non verrà! Stella   (impaurita,  con  slancio)  —  Bruno,   non  t'arrabbiare: l'andrò a cercare, se non viene! Ma calmati!

Voci — Tiriamogli giù i calzoni, facciamolo vergognare! Guardiano d'harem! Voce bianca!

Bruno — Guai a chi non verrà!

Voci — Alla porta! Accoppalo! Nel pozzo! Dagli!

Il bovaro  (seguitando a indietreggiare) — Vi aspetto uno ad uno sulla strada!

Stella  (davanti alla porta) — Chi esce perde il suo turno!   (A Bruno). Se se ne va, tornerà, caro, non dubitare!

(Il putiferio è al colmo, si sta per venire alle mani, quando ecco compare il borgomastro, seguito dalle guardie campe­stri col fucile a tracolla, e da un codazzo di donne).

Il borgomastro (congestionato in faccia, spolmonandosi) — Scandalo!   scandalo!   scandalo! Bruno! Silenzio! Fermi tutti! Quand'è che lo fai finire questo scandalo?

(Stupore, silenzio).

Il bovaro (sputando in terra) — Per te, questo, Bruno! Io non spartisco!

(Gesto generale di stupore).

Bruno (al bovaro che se ne va) — Va', va' pure! Saprà bene Stella come farti tornare, se non sei un eunuco!

Il borgomastro (indignato) — Oh! questo poi! (Mettendosi in autorità). Si può sapere, Bruno, a che miri? Sono dunque  diventato il tuo nemico ereditario? Il tuo scopo è di farmi destituire? Non approvi il modo con cui reggo le sorti del  Comune? Non ti trovi bene sotto le mie leggi? Silenzio nelle file! (Pausa. Cambiando tono, con accento improvvi­samente accorato). Bruno, sei tu il Bruno che ho visto crescere e farsi onore sotto i miei occhi? A dodici anni già eri in possesso della licenza elementare!... E tu, Stella, sei ancora quella Stella che veniva additata ad esempio per la sua verecondia?

Stella (ride: troppo forte, forse) — Ah! essi non comprenderanno mai niente del nostro meraviglioso amore!

Bruno — Lasciali cianciare, volpetta, e seguita a fare come ti dice il cuore!

Il borgomastro — Rifletti, figlio mio... A che ti serve insor­gere contro i costumi del paese? Tu sei, e con te Stella, sei l'onta e l'ignominia di una terra leale! (Sic). La gente per bene è indignata di abitare vicino a una casa come la tua!

Bruno  (stropicciandosi le mani) — A meraviglia!

Il borgomastro — I giovinotti, senza cervello come sono, an­ziché al lavoro, hanno la mente a Stella. Le mogli trepi­dano per la pace dei loro focolari. In tutti i centri abitati, ai quali è giunta la voce della tua inaudita perversità, gli scabini si sono radunati; provvedimenti verranno presi. Già si ventila di proibire a tutti i capi di famiglia di uscire dal Comune. Poco manca, mio caro, e sarà lo stato d'as­sedio.

Bruno (giubilante) — A gonfie vele, a gonfie vele!

Stella (appendendosi al collo del marito) — Oh! amor mio, presto non avrai più nulla a desiderare!

Il borgomastro (scaldandosi) — È intollerabile, insomma! Dap­pertutto scoppiano tafferugli! La notte risuona di gridi e di gemiti! Le mogli oltraggiate minacciano d'appiccar fuoco alla tua casa, di buttar Stella nel fiume!

Gridi di donne — Al fiume!

(Minacciosa, la folla rumoreggia).

Il borgomastro (montando in furia) — Fuori tutti di qui! Sgombrate la sala! Fuori di qui, megere! Guardie, fate il vostro dovere!

(Le guardie spingono la folla fuori).

Voci dalla folla — Stella! ti strapperò la barba dall'inguine!... Tosatela, la vacca! la strega!

Il borgomastro — Non lasciate entrare nessuno! Bruno — Stupide  creature!  San farsi  amare ben poco se i loro uomini le  piantano così presto!  Mi ha  abbandonato, me, Stella? Oggi, Stella mi ama di un amore che infiamma trenta villaggi!

Voce (dalla strada, attraverso la finestra) — Le tatueremo sul ventre una scrofa, a mo' d'insegna!

Altra voce — Buttiamola a bagno che le si calmino i pruriti!

(Le guardie allontanano la folla).

La nutrice (che al chiasso è accorsa, mettendosi, per proteg­gerla, a fianco di Stella) — Oh! piccolina! Sono indemoniati! Non si può dunque vivere felici senza esser molestati? Non aver paura, tesoruccio mio, son qui io a proteggerti! So essere cattiva, all'occorrenza, lo sai! Vieni, vieni con me. (La trascina via con sé).

Il borgomastro (che si è seduto. Emettendo un sospiro) — Hai visto, eh! che furie! Ora che siamo finalmente soli, ascolta, Bruno, i miei consigli. Oggi, lo sai, vero?, è la festa del patrono, San Gherardo. Sii prudente!

Bruno — Ci pensavo proprio e ho in proposito il mio progetto.

Il borgomastro — Anche gli altri lo hanno, il loro progetto! Fra un'ora è notte. Attento alle rappresaglie!

Bruno — Appunto, sì: tra un'ora.

Il borgomastro — Mascherate, serenate e altre diavolerie.

Bruno (con gli occhi che luccicano) — Per l'appunto! per l'appunto!

Il borgomastro — Qualcosa mi dice che ti preparano uno scherzo spiacevole.

Bruno — Tranquillizzati! Non ho paura. Ritieni che la gente sia credula come te. Ah! quanto sei stupido, con rispetto par­lando! Non è che Stella attiri tutti i maschi del paese:  è

che essi vengono da me per farsi scrivere delle lettere d'a­more... Non ne ho mai scritte tante come in questo tempo, di lettere d'amore!

Il borgomastro — Con rispetto parlando, lo stupido sei tu! stu­pido come una gallina che non ci vede! È questo il colmo del tuo accecamento! Tutte le lettere che scrivi è a Stella che sono destinate!

Bruno (beffardo) — Oh! che idea da manicomio. Che altro vi resta da inventare? Borgomastro, tu hai il cervello piatto e sempre in moto come il culo di una scimmia. Salvo il rispetto! salvo il dovuto rispetto!

Il borgomastro (si alza, indignato) — A un magistrato! (Ma assicuratosi che nessuno ha udito perché non c'è nessuno, riprendendosi:) Zitto e mosca! (Con grande sussiego). Ti prevengo che ti abbandono alla vendetta popolare! (Pausa). Estremo argomento: fossero solo gli uomini a scandalizzarsi! ma anche le bestie se ne impicciano!

Bruno — Sarebbe a dire?

Il borgomastro — Le bestie, sì, le bestie! Anche agli uccelli si fa dir la loro! i bambini hanno insegnato ai pappagalli e alle gazze frasi che ti concernono... La tua triste gloria è com­pleta. Mi son visto costretto ad emanare un editto per far cessare lo sconcio. Un editto che ho redatto io di mia mano, non osando in questa contingenza ricorrere ai tuoi lumi.

Bruno  (sinceramente sorpreso) — E perché mai?

Il borgomastro — Ti saresti rifiutato. Sul decreto, devi sapere, figura per esteso il tuo nome, corredato di tutte le qualifi­che; ed esso verrà affisso dappertutto, all'ingresso del mu­nicipio, sui muri dell'ospizio e della gendarmeria. Posso però leggertelo.

Bruno — Leggicelo, caro, leggicelo! Esso ha fin d'ora il nostro benestare, non è vero, Estrugo?

Il borgomastro (spiegando un foglio) — È stata l'indignazione a dettarmelo! (Legge). «Per ordine del collegio dei borgo­mastri e degli scabini, si dispone che entro otto giorni ven­gano tolti dalla circolazione tutti i volatili, addomesticati e parlatori, come piche, ghiandaie, corvi, pappagalli, ai quali gli abitanti hanno insegnato frasi come: «Bruno è becco» «Chi vuole la moglie di Bruno...» e simili. Il commissario incaricato della esecuzione del presente ordine segnerà esat­tamente su un registro ciò che ogni alato sa dire e in casa di chi si trova».

Bruno (dispiaciuto) — A che ti sei dato questa pena, mio  caro? Potevi ben lasciare che gli uccelli cianciassero a piacer loro. A noi non importa un fico secco.

Il borgomastro (furente) — L'egoista! solo a sé pensa! Quanto a me, ristabilirò l'ordine prima che il governatore della provincia intervenga.  Stammi bene!

Bruno  (ridendo) — Sicché citi in giudizio piche e corvi. Che nome gli darai a codesto tribunale?

Il borgomastro  (fuori di sé) — E tu che nome darai al figlio di Stella, se te ne scodella uno?

Bruno   (con orgoglio) — Lo  chiamerò  Cortryk,   il  nome  del paese!

Il borgomastro (sconfitto) — Scherza, scherza! Io ti abbandono al tuo destino!  (Esce).

(Subito Bruno si volge a Estrugo).

Bruno   (declamando) —

Vien la notte impellicciata.

Già al margine del prato

ha il salice fremente

tra le braccia catturato

quella birba della luna.

Ma per poco!  ma per poco!

(Si interrompe; e accorandosi) Estrugo, io sono in peggiori acque che non dicano gli uccelli. (Pausa). Preferirei essere becco mille e una volta, come farnetica la gente, anziché esserlo una volta sola, come in realtà è. Stella si prende gioco di questi cicisbei e di me. Tra parentesi, sarei cu­rioso di sapere che cosa gli racconta quando se li tira in camera! Che là non mantiene quello che gli promette qui, sono ben sicuro. E poi essi, delusi, sparlano di Stella, è naturale! Io non mi dò pensiero né di costoro né della gente. Ma l'altro, Estrugo, l'altro! (Pausa). L'altro, di cui lei fa di tutto perché non sospetti l'esistenza... L'altro che si nasconde nella folla, l'altro che lei riceve in segreto, ma quando, buon Dio, quando? l'altro che mi disonora, l'altro, insomma, che non si lascia vedere! (Pausa; abbassando la voce). Quando questi stupidi sbarbatelli se ne vanno e in casa si rimane soli, io non mi stanco di vigilare. Ma per quanto spii, scruti, fiuti, tasti, nulla ancora ho scoperto. Quando la vedo, con tutte le arie che si dà di spudorata, accomiatarsi da uno di quegli scemi, le ingiungo di con­fessare la sua doppiezza... Ma anche allora, niente! non un indizio! Ah! Estrugo! (Pausa. Si scuote, prende un'aria ri­soluta e gioviale). Animo! Questa volta saremo più astuti di lei!   (Declamando).

Ma per poco! ma per poco!

In riva agli stagni le rane,

come altrettante stelle,

schiudono gli occhi d'oro;

ed in lor nenie rozze

cullano il lungo tempo delle nozze.

(Ride). È una specie di ballata che ho composto. (Pausa). Estrugo, scende la notte, il momento è giunto ch'io metta in atto il mio progetto... Tu verrai con me. Andremo in­sieme a festeggiare, a nostra guisa, il Santo del villaggio. Entro un'ora, io ti farò toccar con mano che Stella ci in­ganna per conto suo... (Chiamando). Stella, Stella! mia pri­mavera, mio zuccherino! Stella! (Pausa). Vedrai, Estrugo, che non son uomo da temere le farse e che ne so io stesso architettare di ingegnose!

(Stella compare insieme alla nutrice).

La nutrice — Se ne sono andati quegli energumeni?

Bruno — Stella, mio miele, mio zibibbo, prendimi il mantello; mantello e bastone.

Stella — Oh!  di nuovo, caro, mi lasci?

Bruno (brusco) — È necessario! Abbiamo, io ed Estrugo, una visita da restituire. Non è così, vecchio mio? (Tardando la risposta, si risponde da sé). Sì, Bruno... Il mio cappello, per piacere.

La nutrice — Vado io, vado io a prenderglielo. (Esce).

Stella (sospirando) — Attenderò allora il tuo ritorno... Con impazienza...

Bruno — Non ti mancheranno distrazioni, stasera. Ci saranno cortei, mascherate, canti sotto le finestre. Aspettami. E se venisse in mia assenza qualche diavolo a reclamare il suo turno, ricevilo come riceveresti me.

Stella — Oh! certo, di buona voglia.

Bruno (accigliandosi) — Bugiarda!

Stella — Lo accoglierò senza fallo!

Bruno (con asprezza) — Con fallo! con fallo! se possibile.

Stella (con un affetto pieno di coraggio) — Oh! Bruno, sta di buon animo! Vederti felice è la cosa cui più tengo al mondo! Questo male che ti mina, lo sradicherò così a fondo che non possa rigerminar più. Se finora ho fatto troppo poco perché tu ti possa dir pago, da domani raddoppierò di zelo!

Bruno (scosso) — Mi vuoi commuovere... (Reciso). Zitta! (La nutrice entra col cappello). Voglio crederti in questo momen­to. Ma sta all'erta, ti smaschererò!... No, non baciarmi: ho troppo fiele in corpo! Buonasera.

Stella  (sospira) — Come vuoi, amico mio! Buonasera.

La nutrice — Va' tranquillo, piccolo; fa' in pace la tua passeggiata: veglio io sulla nostra prediletta.

Bruno — Vieni, Estrugo.

(Escono).

Stella (soffermandosi sulla soglia) — A momenti è buio, vedi, Memé. A momenti in piazza s'accende la luminaria; agli alberi hanno appeso festoni di lampioncini, moccolotti. Perché Bruno non mi ha condotto con sé?

La nutrice — Non vedi che dafare ha, com'è tormentato? Ha bisogno di solitudine.

Stella — Estrugo, però, lo conduce con sé!

La nutrice — Ma quello non s'accorge nemmeno di averlo a fianco!  È  così poco  ciarliero,  Estrugo!   È  la  sua ombra, Estrugo!

(Rientrano).

Stella (improvvisamente inquieta) — Di', Memé, io lo amo Bruno, è vero?

La nutrice (sorpresa) — E come, non sapresti più che lo ami? lui che per te si tormenta tanto! Avete giocato insieme, da piccoli, sotto i miei occhi.

Stella (con un brivido) — Pensa che sarebbe di me se non lo amassi più! Ma, bene, più di quanto gliene voglio, non si può volerne, è vero?

La nutrice — Anche più bene di quanto si possa, tu gliene vuoi, bambolina!

Stella — Perché non vuoi credere al sacrificio che gli faccio di me stessa?

La nutrice — Non ti scoraggiare... Tanto farai che lo convincerai!

Stella (rassicurata, raggiante) — Si, è vero!

La nutrice (con un risolino malizioso) — Di sopra c'è uno, in camera tua, un bel ragazzo che ti aspetta.

Stella — In camera mia?

La nutrice (arzilla) — È là chiuso da mezzogiorno... Ne ha della pazienza! Eh! ma è giusto che l'abbia, anche!... Una fidanzata carina come te, tutta freschezza e tutta tenerezza, e che canta come un usignolo... Comunque, una bella co­stanza! (Pausa). Sospiri? Di' una parola e lo mando via.

Stella — Grazie!  perché vada dappertutto a vantarsene!

La nutrice (divertita) — Vantarsene! ah! ah! tu vedi delle cose.... Ma tu sei più istruita di me. Lo ricevi, quindi?

Stella (con allegra impazienza) — Certo, all'istante! (Seden­dosi). Nutrice, scioglimi i capelli e fammi le trecce. Presto! Mi farei scrupolo di obbedire di malavoglia, e di presen­tarmi con un viso da vittima.

La nutrice — Mica poi tanto infelice, sei!

Stella — Oh! no. Piuttosto, ben umiliata sarei, se dopo aver accolto tutto il villaggio, Bruno rifiutasse di credermi! Ma mi crederà, eh? Di'!

La nutrice — Certo, certo. Col suo rimedio tu lo guarirai.

Stella  (impaziente) — Spicciati, spicciati, allora!

La nutrice — Ti faccio bella, ti faccio bella come una madonna.Qui t'annodo un bel nastro, largo, che ho profumato di...

(La porta d'ingresso s'apre con violenza; Stella ha un sob­balzo. Irrompono Cornelia e Fiorenza, gonfie di collera e armate di randelli).

Cornelia — Ah! sgualdrina, trema! Per te è venuta l'ora della resa dei conti!

Fiorenza — Troia! cagna!

Cornelia e Fiorenza (insieme, gesticolando) — È la tua volta, adesso! Nel fiume, ti butteremo, che ti si calmino i pruriti! cagna in calore! Sotto l'ombelico vogliono guardarti? lo sco­priremo alla faccia del cielo il tuo ventre, consumato come il gradino della fontana! Cammina avanti! basta l'odore che lasci per non perderti! Che la rogna ti roda dentro, spu­dorata! che le piattole ti mangino il pelo, se te ne resta!

(Avanzano minacciose verso Stella che arretra).

La nutrice (proteggendola) — Ehi! ma! ma! Come s'arrabbiano, guardate un po'! Capaci di picchiare sarebbero, queste senza cuore!

Fiorenza — Dov'è mio marito? Mio marito, dov'è, il mio! So che è qui. mio marito! Vengo a riprendermelo. Mio marito!

Stella (tremando verga a verga) — Non so! Non scelgo mai, io! Per non commettere peccato...

Fiorenza  (decisa a salir su) — Di qui, Cornelia!

La nutrice (sbarrandole il passo) — Dove vai, tu? Non salirai! È la maniera di entrare in casa d'altri?

Cornelia (ridendo di scherno) — Ah! ah! questa è buona! per non commettere peccato! (Respingendo la vecchia). Indietro, vecchia! Monta a cavallo della scopa, che è tempo!... Per non commettere peccato! San Pietro le chiederà: Figlia mia, chi te l'ha procurato questo grosso callo?

Fiorenza — Ora gli carezziamo il pelo, al tuo ganzo!

(Le due sorelle salgono su senza cessare di sfogarsi).

Cornelia (sghignazzando di scherno) — Sta' attenta, che Bruno è capace di difenderlo!

Fiorenza — Troppo vigliacco, per farlo! Se fosse un uomo, quella puttana non si attaccherebbe ai nostri mariti!

Cornelia (con ferocia) — Ah! ah! gli succede il contrario che ai bovi! più è castrato, più le corna gli crescono!

(Entrano nella camera di Stella).

Stella (atterrata) — Oh! Memé! che ho fatto per meritarmi d'esser trattata così?

La nutrice — Passerà la burrasca, mia perla, mio diamante sfaccettato... Quel che soffri ti sarà ripagato in tanta felicità.

Stella (col pianto in gola) — È una prova ben dura!... Ho tanta paura!

 

(Le due sorelle ricompaiono in cima alla scala; caricandolo di pugni e bastonate, inseguono il marito di Fiorenza che scappa in veste da camera, i piedi scalzi in un paio di san­dali).

Fiorenza — Piglia, bugiardo!

Cornelia — Toh! per la veste da Camera di Bruno!

Fiorenza — Toh! per le sue babbucce!

L'uomo (scendendo e traballando sotto i colpi) — Che c'entri tu, Cornelia?... Con che diritto...

Cornelia — Toh! per il diritto!

Fiorenza — Che l'hai tu forse il diritto di trovarti qui?

L'uomo — Battimi pure come un tappeto, tu! ma non Cornelia!

Cornelia — Mica son io che picchio! è il bastone! Piglia!

L'uomo — Ah! bestiaccia! Smettila, Cornelia! Ahi, Fiorenza!... Che avrebbero detto gli amici, ahi! ahi! che avrebbero detto se non fossi venuto?

Fiorenza (infierendo) — Che direbbero se non fossi venuta anch'io?

Cornelia — Che tu ce l'hai per l'altro verso, avrebbero detto, sorella!

L'uomo (attraversando, sempre inseguito, la sala) — Piantala, Cornelia! Mica siamo stati a letto insieme, io e te!

Cornelia — Piantarla? Tante te ne voglio dare che anche mio marito perda la voglia d'andare con altre! È per lui, questa: piglia! pago anticipato!

L'uomo (in un grido, scappando) — Ahi! Pellaccia! il braccio m'hai rotto!

Fiorenza — Via, Cornelia! basta, ora!

Cornelia (inseguendo il cognato in istrada) — Eh! no, sorella! Finché non lo rompo, il bastone...

Fiorenza (sulla soglia) — Come intenzione non c'è male! (Vol­gendosi a Stella e inveendo). E tu preparati, baldracca! Nel fiume t'abbiamo da sgrassare, sudiciona! L'unto scorre da­vanti alla tua porta, sai!   (Esce).

Cornelia (da lontano) — Per tutti quelli che son venuti e per tutti quelli che verranno... incassa!

Fiorenza — Cornelia!

(Silenzio. Stella s'accascia su una sedia singhiozzando per­dutamente, in preda alla disperazione e a uno spavento che la fa tremare da capo a piedi).

Stella (quasi gridando) — Nutrice, nutrice sono dannata! Andrò diritta all'inferno! Il diavolo mi arrostirà senza camicia sul fuoco vivo!

La nutrice (costernata) — Perché, piccolina, dici questo?

Stella — Bruno non l'amo più, lo sento! Non l'amo più, Bruno! sono maledetta! sono la donna adultera!

La nutrice — Ma no, ma no, che ti viene in mente?

Stella — Sono stata infedele! non ho saputo difendere la mia anima contro le loro macchinazioni! Ho creduto, capisci?, di far bene a obbedire, a non rifiutarmi. Ho voluto essere troppo buona! e ora non amo più Bruno; ed eccomi dan­nata!  (Singhiozza).

La nutrice — In che hai colpa tu, per piangere? Io non sono in grado di risponderti, è troppo lontana la mia giovinezza... Ma tu forse ti inganni...

Stella — Mi sento disperatamente sola, abbandonata...

La nutrice — E io? non mi conti per niente allora? Non ti abbandono, io! E se Bruno non ti piace più, ne troveremo un altro meglio!

Stella (scotendo il capo con forza) — No, no, no! basta, basta!

La nutrice (ridendo) — Ah! ah! come lo dice!... Un altro, che ti coccolerà... Io non penso che al tuo bene... Quando eri piccina e piangevi, ti davo il mio seno, gonfio di un latte tiepido e ben zuccherato, tutto zuccherato di tenerezza...

Stella (conquistata, sorride) — Si, di', di'!... Ne ho tanto bi­sogno di parole come queste che cullano e addormentano... Sono stufa dei loro modi brutali... Una sciocchina anche sono: rido, piango...

La nutrice — Un altro che ti adori in ginocchio, eh?... La mia Stella non ha che da scegliere!

Stella (ride) — Scegliere! sei ingenua, vecchiettina cara... Di piacere, oh! certo ne posso trovare da riempirmene il grembiule; ma di amore, dove?

La nutrice — Meschinetta! Va' a dormire, adesso; a dormir sola nel letto dove starai comoda una volta tanto!

Stella (alzandosi rasserenata, raggiante all'idea) — Oh! sì, sola, sola! Che gioia, finalmente!

(La nutrice l'accompagna sino ai piedi della scala).

La nutrice — Senti? la festa comincia. Di lassù vedrai le sfi­late di lanterne cinesi e in lontananza la Kermesse. (Tra sé). Eh!... eh!... Che si prepara per noi? Buonanotte, bella come nessuna, sensitiva, tesoro!

Stella  (abbracciandola) — Anche a te, mia buona!

La nutrice (guardandola salire) — Mangiati una mela, ti farà fare dei bei sogni. E se Bruno non l'ami più, tanto meglio: ne cercheremo un altro.

Stella (d'in cima alla scala) — Ho fatto male a confessarmi: ormai mi credo colpevole. Ora ci vorrebbe una terribile punizione per lavarmi di tutti i peccati.

La nutrice (dirigendosi verso la cucina) — Vai, vai! sei giovane per questo! non aver premura! Io metto un po' d'ordine in cucina, chiudo porte e finestre e vado a dormire anch'io. Per non udire i loro schiamazzi, mi tirerò la coperta sugli orecchi. Buonanotte.   (Via).

 

(È già notte, una notte di luna. In istrada la musica si avvicina. Stella ha appena messo piede sulla galleria, che due uomini mascherati e travestiti [uno, con una scala in spalla], seguiti da quattro suonatori di chitarra, si fermano davanti alla casa. Altri due fan luce con torce. Fanno la serenata a Stella, che, udendo, si sporge alla finestra del piano di sopra).

Bruno  (in falsetto) —

Vien la notte impellicciata.

Già al margine del prato

ha il salice fremente

tra le braccia catturato

quella birba della luna.

Ma per poco, ma per poco!

Stella (alla finestra) — Chi è?

(L'uomo che reca la scala viene a sedersi sul parapetto della finestra al pianterreno e si toglie la maschera per rifiatare: Estrugo).

Bruno —

In riva agli stagni le rane

come altrettante stelle

schiudono gli occhi d'oro

ed in lor nenie rozze

cullano il lungo tempo delle nozze!

Stella   (divertita) — Ah!  ah!  Però, che voce!  Temi d'essere riconosciuto?

Bruno — Imitiamole! Tutto dorme!

Solo veglia l'amore senza velo.

Stella — Non ti vedo. Alza almeno il capo verso il chiaro di luna! (Pausa). Oh! mio Dio! hai i capelli di Bruno, quando Bruno ne aveva!

Bruno —

Ho visto per la strada tuo marito,

curvo  come reggesse  il  firmamento.

Davanti a sé spingeva un'ombra enorme:

l'ombra delle sue corna smisurate!

Stella  (offesa) — Oh! come sei cattivo!

Bruno — Gliele infioreremo, gliele infioreremo!

Stella — Taci!... E piglia un'altra voce!

Bruno (ispirato) —

Luce fai come la rosa

che, toccata ancor dal sole,

il crepuscolo rischiara!

Il suo chiuso ardor mi scotta!

Felice quello che la sfoglierà!

Stella (toccata) — Perché ti sei fermato sotto la mia finestra? Per me?   per  dirmi  tutte  queste  cose gentili?   (Con  tristezza:) A che pro questi artifici, se è per sedurmi? Bruno non si dà tanta pena, né gli altri!

Bruno —

La tua voce s'alza e vola

come in bocca ai serafini

banderuola.

Su vi scrive tua parola

motti al cuore mio divini.

Stella — È in versi che parli? Li hai composti tu? Anche Bruno, un tempo! Ascolto volentieri; ma, di grazia, smetti codesta voce da carnevale!

Bruno  (sempre in falsetto) —

Le tue mani, dove indugia

la chiarezza delle vette,

nell'incanto del silenzio

spiegan voli di gabbiani.

Stella   (con malinconia) — Menti anche tu, ma menti bene. Non dovrei darti ascolto: delle tue lodi non sono più degna. Ti ringrazio, a ogni modo.

Bruno —

La mia anima s'eleva

dolce e calma come luna

in trasognato ciel d'estate!

(Sopraffatto dall'ira, con voce stridula sbotta).

... Come luna dentro secchio!

Stella, la corda cigola già!

Non la mollare, per carità!

Se cade, l'anima in pezzi va!

Stella (con disappunto) — Oh! che è questo? È la festa che richiede questa uscita? (Poi ridendo). Come sei buffo! e io che già abboccavo!

(Gesto di Bruno diretto a Estrugo: Senti, eh?).

Bruno —

Vi amo! vi amo!

così bianca vi vedo

nell'aria della sera,

che più bianca non è, né più leggera,

neve che fiocca sopra crisantemi!

Stella (lanciando un grido) — Oh! cielo, ti ho visto! Somigli a Bruno, a Bruno quando era bello. Hai lo sguardo vivace che lui ha perduto, la stessa bocca prima che si scolorisse, la stessa mano prima che avvizzisse!

Bruno —

Stella, sento il tuo cuore,

tutt'uno con il mio,

fremer d'un frullo d'ali

come nido d'amore.

La scala appoggio: 

voglio quel nido distaccar!

(Fa come dice. Le chitarre seguitano a suonare).

Stella   (col cuore in gola, precipitando le parole) — No, no, non voglio! Ti butto giù, se sali! Non devi entrare in casa! Se mi ami come dici, resta dove sei! Mi fai paura!

Bruno  (salendo lentissimamente) —

Della tua bocca scura

come il frutto che sanguina del gelso,

vo' nell'ombra più oscura

gustare il succo mortai!

Stella  (perdendo la testa) — Abbi pietà della mia debolezza! Sono così infelice, stasera!

Bruno — Dei tuoi occhi che brillan come quarzo — venga poi la morte! — provare vo' la buona e la cattiva sorte!

Stella (ansimante) — Sì, ti amo forse, ti amo... (Tra sé). Questa voce mi fa male! Ti amo, ma purché te ne vada! Non ca­dere: ti ammazzeresti! A che pro la scala, che c'era la porta aperta? Oh! cielo, mi sentivo così abbandonata! Vattene! Me meschina, me meschina!

(Bruno ha scavalcato la finestra. Adesso incupisce la voce, che sembra uscire da una tomba).

Bruno — Hai le mani di ghiaccio, tremi. Lascia che ti scaldi contro di me!

Stella (balbettando) — Ho paura! mi fai una gran paura! Togliti la maschera!

Bruno — Senti come batte il mio cuore? Io ti amo veramente. Mi amerai tu?

Stella — Sono sola... Vattene via, torna domani...

Bruno — Sono ore preziose, queste! Una notte così non torna più...

Stella — Mi dà i brividi la tua voce!... Non mi abbracciare... non stretto così!... (In un gemito). Oh! perché sei così cattivo e così appassionato?

Bruno — Vieni!... Vieni! (cerca di trascinarla verso la camera da letto).

Stella (dibattendosi, con voce supplichevole) — Oh! no! Sei buono, tu... Non questo, non questo con te che mi ami... È di affetto, di tenerezza che ho bisogno... Ti amerò, ma risparmiami.

Bruno (contenendo l'indignazione che gli bolle dentro e trasci­nandola) — È l'assoluto che cerco in te... Non ti rifiuterai certo a me, a me!

Stella (spinta in camera) — Ah smetti questa voce di tomba! Impazzisco!

(Si sono appena chiusi, che, in silenzio, delle donne del villaggio condotte da Cornelia e da Fiorenza, invadono la casa. Fuori, la musica seguita, monotona, ossessiva).

Cornelia — C'è su uno dei nostri uomini! Bastone alla mano e non risparmiate i colpi!

(Stanno salendo la scala, quando l'uscio al primo piano si apre e Bruno, ancora mascherato, scende a precipizio gridando).

Bruno — Con me! con me, Estrugo! Con me stesso, se avessi voluto! Estrugo, io son becco quanto di più non si può essere!

Cornelia e compagne (accogliendolo in fondo alla scala sotto una tempesta di randellate) — A tempo: uno, due! Come si batte il grano! Gaglioffo! Canaglia! Porco! Sudicione!

Bruno — Pazze! Furie! Cagne idrofobe! Fermatevi! Son io, io in persona!   (Si strappa la maschera).

(Sbalordimento, scoppio di risa generale). (Entra Estrugo con gli uomini della serenata; tutti e sette vanno  a  collocarsi in fondo  alla  sala,  dove  i  chitarristi seguitano imperturbabili a grattare i loro strumenti). (Ricompare  Stella e  scende,  sconvolta in viso).

Stella — Bruno, Bruno perdonami!

Le donne (sbellicandosi in faccia a Bruno) — Ah! ah! questa è buona! A ciascuno il suo!

Cornelia — Al fiume la sgualdrina!

Tutte le donne (a una voce) — Si! Al fiume, al fiume, la sgualdrina!

Bruno (assecondandole, furente) — Sì, a bagno! In un sacco, cuciamola! Portiamola in giro nuda a dorso d'asino!... Con me, se volevo, Estrugo! Con me! Al capro, la capra lubrica!

Voci — Dietro il mulino!  In acqua! in acqua!

(Le donne s'impadroniscono di Stella, la trascinano).

Bruno — Ammollatela per bene la sgualdrina che mi tradisce!

Stella — Con voi vi tradivo, amico mio!

Bruno  (pronto) — È quello appunto che non ci voleva!

(Accorre la nutrice in cuffia da notte).

La nutrice — Oh! là! Che c'è mai? Stella, Stella, dove ti portano, gattina mia?

Bruno — La tua gattinà non se la fa con l'acqua; le si va a dare una lavatina dietro il mulino!

Voci — Ah! ci sei, questa volta! Al fiume, a bagno, spudorata!

(Stella viene sollevata, portata via).

La nutrice  (cercando di andarle dietro) — Oh! i selvaggi! i barbari! i cannibali!

Bruno (trattenendola) — A letto, tu, vecchia mezzana! (Alle donne). Andate, andate! il fondo, fatele toccare! Coraggio, comari!

La nutrice (furiosa) — Oh! il cattivo!... Ti tolgo il mio affetto, sappilo!... Ti detesto, ti odio, sappilo! E andrò, andrò a riprenderla! e ti cavo gli occhi se mi tieni, cattivo sog­getto! (È uscita e arriva la sua voce che chiama). Stella, Stella!

(Bruno  ed Estrugo  sono  soli con gli uomini  della serenata).

Bruno — Ebbene? sei persuaso ora? sei convinto della sua in­degnità? Difendila ancora, se puoi! Questa volta il dubbio non  è più  possibile  e io  guarirò.   (Pausa).  Guarirò,  sì... (Ha una smorfia di dolore). Ho il fegato ostruito, si; ma sempre meglio sapere ed essere in grado di prendere una risoluzione... Quale? La uccido? La scaccio? Le perdono?... (Tutto  a un  tratto,  sobbalzando).  Che?  che  dici?  Come? Che è?  Questo, tu pensi?  Lo  dici?  Lo  affermi?   (Pausa). Sicché, sotto il travestimento mi avrebbe riconosciuto? si sarebbe quindi presa gioco di me?  Sei certo?  Ha intuito ch'era un mio stratagemma? Sapeva ch'ero io? ch'era Bru­no che  la  trascinava?  Sei  pronto a giurarlo?   (Gemendo). Ah!  la furba matricolata,  la finta ingenua,  l'orribile ser­pente!  (Accasciandosi). Ma allora, Estrugo, io ne so quanto prima! tutto allora è da ricominciare!   (Pausa). Eh! già! È stata tutta una commedia! E l'altro, Estrugo, l'altro esiste! Ahimè, e io che mi illudevo d'esser venuto a capo delle mie  investigazioni!   (Decidendosi).  Rinuncio  a cercare  an­cora! so quel che mi resta a fare! Da oggi in poi vada a dormire nei campi, nei boschi,  in prigione,  dove diavolo vuole!   Finché  non  mi  denuncia  il  suo complice,  per lei la mia porta non s'apre. Se s'attenta a presentarsi, l'ab­batto come una pollastra! 

(Stacca dal muro il fucile e sale al  piano   di   sopra.   Grida   lontane   arrivano   dal  di fuori. Rientra Stella, avviluppata nel ferraiolo tutto strappi del bovaro. La nutrice la segue consolandola; a vuoto, perché Stella è raggiante. Bruno dalla scala).

Tanto perché tu lo sappia, anima tortuosa, Estrugo m'ha aperto gli occhi! Tu mi avevi riconosciuto, demonio! È stato uno dei tuoi tiri più riusciti! Ma non credere ancora d'aver partita vinta: colui che tu vuoi salvare, non mi sfuggirà!   (Pausa). Non mi  guardare,  Gorgone!   (Pausa).  Per  te  la porta di casa mia è chiusa. Dormirai sotto le stelle, al gelo, al vento e alla pioggia, fino a che non ti degni di confessarmi la tua colpa! Ho detto!  (Scompare).

(Instancabili, i musicanti seguitano a suonare. Estrugo si siede sull'orlo della finestra).

La nutrice (piena di amorosa sollecitudine) — Non hai freddo?

Stella — No.

La nutrice — Dormirai nella mia camera, a fianco a me, come quando eri bambina.

Stella — Oh! si!

La nutrice — Non avere alcuna paura; non tornan più, quelle.

Stella — Mica ho paura.

La nutrice — 11 bovaro, con quei suoi pugni, le ricaccerà. (Ridendo sommesso:) Pensare che quel giorno per poco non lo accoppavo! È lui che ti ha avviluppata nel suo mantello. Nuda come quando sei nata, eri, poverina! Se non era per lui, ti avrebbero in quello stato portata in giro per il paese a dorso d'asino!... Non averne rossore, va': nella tua disgrazia eri più carina a vedere che tutte quelle megere nella loro gloria. È pura invidia che glielo ha fatto fare! Le ha scrollate bene, però, il bovaro! (Ride; poi sottovoce). E domani ti troveremo un amoroso, uno che ti voglia bene davvero, per sempre.

Stella   (ride) — Oh! no, no! di amorosi non più!

La nutrice — Come sarebbe a dire? Non vorrai mica restar qui con questo boia!

Stella — Si (Ride ancora, ma appena). Zitta! Un momento fa, quel che non ho sofferto! Memé, è stato il castigo che mi auguravo. Quel che m'han fatto, l'ho subito con rassegna­zione e umiltà. Ed ecco, la mia colpa è riscattata, i pec­cati mi sono rimessi. La mia anima è bianca come un cigno. (Pausa). Resterò qui come è mio dovere, essendo la sposa di Bruno. Quando dianzi lui mi si è presentato con la maschera, malgrado la sua falsa voce di pagliaccio, mi ha riconquistato. Come spiegarti? Gli è senza dubbio che lo amo ancora. (Pausa). Sono felice, Memé: la mia anima è pura come un giglio! (Pausa). Solo che non es­sendo riuscita a guarir Bruno, neppure a prezzo del Pa­radiso, non tenterò più. Il primo scemo che mi si accosta col sorriso, saprò a mia volta castigarlo! (Pausa). Va' a pre­parare la nostra camera, nutrice cara!

La nutrice (sospirando) — Avrai ragione, dirai bene... Ma io non ci capisco niente... Sono troppo vecchia, si vede...

(La nutrice esce. Contemporaneamente entra il bovaro con passo deciso).

Il bovaro (sorridente, placido nella sua forza) — Fatto! Più d'una l'ho conciata in modo che di me si ricorderà a lungo! Stella, avrai messo giudizio, a quest'ora: vieni con me.

Stella (recisa) — No!

Il bovaro (per nulla sconcertato) — Si. Non vorrai restare con Bruno, dopo quello che è avvenuto.

Stella — Resto con Bruno.

Il bovaro (sempre fiducioso) — Vieni ad abitare nella mia capanna, in mezzo ai miei animali. Il mio letto non è grande ma ti farò posto. Ti terrò con me.

Stella  (con forza) — No no e no! Ti ringrazio, ma vattene.

Il bovaro (arrabbiandosi) — Se è così, restituiscimi il mio mantello.

Stella (arretrando d'un balzo) — Non posso! non ho nulla sotto!

Il bovaro  (allungando la mano) — Che importa?

Stella   (spaurita) — Oh!  no!

Il bovaro (avanzando) — Non sarò il primo a vederti senza piume!

Stella (cercando di uscire a destra) — Aspetta un momento; m'infilo qualcosa e ti rendo il mantello.

Il bovaro (sbarrandole il passo) — No! Non ti ho fatta aspettare, io!

Stella (supplichevole) — Lascia almeno che chiami la mia nutrice...

Il bovaro  (testardo) — Vieni con me!

Stella   (ribellandosi) — No, no, no! Prepotente!

Il bovaro (d'un balzo, avvinghiandola) — Allora, reclamo anch'io la mia parte!

Stella   (strillando) — Non voglio! non voglio! Mai!

(Alle sue grida,Bruno compare sulla galleria, guarda, ascolta).

Il bovaro  (spazientito) — Di buona o di cattiva voglia, viva o morta!

Stella (dibattendosi con tutte le sue forze) — No! no! Bestia selvaggia!

(È riuscita a svincolarsi e appioppa a tutta volata un ceffone al giovinotto).

Bruno (gridando) — Lo batte! L'ha battuto! L'ha schiaffeggiato! È lui, è lui, è dunque lui! (Punta il fucile sul bovaro).

 (Stella,  come  una pazza,  si  butta  al  collo  dell'uomo,  lo bacia sulla bocca).

Stella (con passione) — Sì, sì, ti amo! Portami via con te! Non mi lasciar più!

Il bovaro   (con semplicità) — Vieni.

Stella (prima di varcare la soglia) — Aspetta. Una cosa: prometti,   giurami   che   mi   permetterai   di   restarti   fedele!

(Esce anche lei).

Bruno (si siede sulla scala e scoppiando in una risata) — Ah! no! mica così minchione! Ancora uno dei suoi tiri! Non mi ci prendi più!

Fine della Farsa