Il malato immaginario

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IL MALATO IMMAGINARIO di Molière - versione ridotta

Personaggi ed interpreti:

Argante, malato immaginario                                                               

Belinda, seconda moglie di Argante                                                    

Angelica, figlia di Argante                                                                   

Beraldo, fratello di Argante                                                      

Cleante, giovane innamorato di Angelica                                 

Signor o Signora Diafoirus, medico                                                     

Tommaso Diafoirus, suo figlio studente in medicina               

Dottor Purgòn, medico di Argante                                                       

Signor Flaurant, farmacista                                                                  

Signor notaio                                                                                        

Toniette, cameriera         

(3 attori possono interpretare 2 ruoli ciascuno: Notaio/Beraldo , Tommaso Diafoirus/Dottor Purgon , Cleante/Flaurant, è stata eliminata la sorella minore)

ATTO I

Scena I

Argante

ARGANTE (solo nella sua stanza, seduto al tavolo, sta calcolando con dei gettoni l'ammontare delle parcelle del farmacista; e dice, parlando fra di sé)

Tre e due cinque, e cinque fanno dieci, e dieci fanno venti. «In più, a partire dal giorno ventiquattro, un clisterino infiltrante, propedeutico ed emolliente, per ammorbidire, umettare e rinfrescare le viscere del Signore.» Quel che mi piace nel dottor Florant, il mio farmacista, è che nelle sue parcelle è sempre di un'estrema gentilezza: «le viscere del Signore, trenta soldi». Sì, ma caro dottor Florant nelle altre parcelle me li avete messi venti soldi! Mah «...Inoltre, dal giorno venticinque, una buona medicina purgativa e corroborante, composta secondo la prescrizione del dottor Purgone, per derivare ed evacuare la bile del Signore, quattro lire.» Ah! dottor Florant, adesso mi prendete in giro, quattro lire?  «Inoltre, dal giorno ventisei, un clistere carminativo per espellere le ventosità del Signore, trenta soldi.» Venti soldi, dottor Florant! «Inoltre, una pozione tonica e preventiva, composta da rabarbaro, miele rosato e sciroppo di limone e altri ingredienti, secondo prescrizione...cinque lire?!»  Tre e due cinque, e cinque fanno dieci, e dieci fanno venti. Sessantatré lire, quattro soldi, sei denari, però!

Poi vediamo... questo mese ho preso uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto medicine; e uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici e dodici lavativi; mentre il mese scorso dodici medicine e venti lavativi. Ecco! Non c'è da meravigliarsi se ora sto meno bene che nel mese scorso. Lo dirò al dottor Purgon. (Suona un campanello per chiamare i domestici) Non sentono,  il campanello non fa abbastanza rumore. (suona) Niente da fare (suona): sono sordi. Tonietta! (suona) C'è da impazzire. (suona e imita il suono gridado) Dlin, dlin, dlin: va' al diavolo, carogna! È mai possibile abbandonare in questo modo un povero malato? Dlin, dlin, dlin: ah, mio Dio! mi lasceranno morire qui. Dlin, dlin, dlin.

Scena II

Tonietta, Argante

TONIETTA (entrando nella stanza): Eccomi!

ARGANTE: Ah, canaglia! ah, carogna!...

TONIETTA (fingendo di avere battuto la testa): Maledetta la vostra impazienza! ...mettete una tale fretta alla gente, che ho dato una testata contro lo spigolo della porta.

ARGANTE (adirato) Perfida!...

TONIETTA (per interromperlo e impedirgli di gridare, continua a lamentarsi): Ah!

ARGANTE: È un'ora...

TONIETTA: Ahi!

ARGANTE: È un'ora...

TONIETTA: Ahi!

ARGANTE: Mi hai fatto sgolare, carogna.

TONIETTA: E voi mi avete fatto rompere la testa, voi! Una cosa vale l'altra.

ARGANTE: Va bene, bisognerà che ceda. Porta via queste cose. (Argante si alza) Il clisterino ha avuto effetto?

TONIETTA: Eh?

ARGANTE: Sì. Ho eliminato come si deve?

TONIETTA: Sentite, di queste cose io non m'impiccio: è il dottor Purgòn che ci deve mettere il naso, visto che ne ricava dei quattrini.

ARGANTE: Taci, ignorante, non spetta a te giudicare. Piuttosto, chiama mia figlia Angelica.

TONIETTA: Eccola che viene: ha indovinato il vostro pensiero.

Scena III

Angelica, Tonietta, Argante

ARGANTE: Vieni avanti, Angelica, devo parlarti.

ANGELICA: Sono pronta ad ascoltarvi.

ARGANTE: Aspetta. (A Tonietta) Dammi il bastone. (Ad Angelica) Torno subito. (Esce, le 2 ridono)

Scena IV

Angelica, Tonietta

ANGELICA (la guarda con occhio languido e le dice sospirando): Tonietta.

TONIETTA: Sì.

ANGELICA: Non indovini di che cosa ti voglio parlare?

TONIETTA: Da sei giorni non mi discrrete d'altro.

ANGELICA:Tonietta, tu condanni il sentimento che ho per lui?

TONIETTA: Me ne guardo bene!

ANGELICA: Sbaglio se mi abbandono a queste dolci impressioni?

TONIETTA: Non l'ho mai detto.

ANGELICA: E dimmi, non credi che fosse proprio il mio destino incontrarlo?

TONIETTA (Ironica): Certo.

ANGELICA: E non pensi, Antonietta, ch'egli sia bello da vedersi?

TONIETTA: Sicuramente.

ANGELICA: E che abbia un portamento meraviglioso?

TONIETTA: Senza dubbio.

ANGELICA: Che i suoi discorsi abbiano qualcosa di nobile?

TONIETTA: Questo è certo.

ANGELICA: E che quel che mi ha detto è quanto di più appassionato si possa sentire?

TONIETTA: Avete ragione.

ANGELICA: (cambia tono): Eh no!

TONIETTA: No?

ANGELICA: E se non mi amasse come dice?

TONIETTA (sfinita, ma ci gioca sopra): Eh, eh! in queste cose, è meglio non fidarsi troppo.

ANGELICA: Oh, Tonietta, che cosa mi dici! Povera me!

TONIETTA: In ogni caso, lo saprete presto, no? Ieri vi ha scritto dicendovi che chiederà la vostra mano; sarà la prova decisiva. (come per essersi liberata da un peso): Ecco, vostro padre sta tornando.

Scena V

Argante, Angelica, Tonietta

ARGANTE (accomodandosi sulla sua poltrona): Ecco, figliola mia, ti devo dare una notizia che forse non ti aspetti. Ti hanno chiesta in moglie. (reazione di Angelica) Che succede? Ridi?

ANGELICA (con  entusiasmo e adulazione): Io farò tutto ciò che ordina il mio signor padre.

ARGANTE: Bene, bene...Mia moglie, la vostra matrigna, avrebbe voluto che ti mandassi in convento.

TONIETTA (sottovoce, a parte): Quella vipera ha le sue ragioni.

ARGANTE: Non voleva assolutamente dare il suo consenso...

ANGELICA: Ah! padre mio siete tanto buono...

ARGANTE: Il pretendente non l'ho ancora visto; ma mi è stato detto che ne sarò soddisfatto, e tu anche.

ANGELICA: Sicuramente, padre mio.

ARGANTE: Mi hanno detto che è un bel giovanotto.

ANGELICA: Sì, padre mio.

ARGANTE: Ben piantato.

ANGELICA: Senza dubbio.

ARGANTE: Fine d'aspetto.

ANGELICA: Senz'altro.

ARGANTE: Un bel viso.

ANGELICA: Bellissimo.

ARGANTE: Molto serio e di buona famiglia.

ANGELICA: Assolutamente.

ARGANTE: Onestissimo.

ANGELICA: Il più onesto che ci sia.

ARGANTE: Parla perfettamente in latino e in greco.

ANGELICA: Ah.

ARGANTE: Fra tre giorni prenderà la laurea in medicina.

ANGELICA (sorpresa): In medicina? Ne siete sicuro?

ARGANTE: Me lo ha detto il dottor Purgone.

ANGELICA: Perché, il dottor Purgone lo conosce?

ARGANTE: Che domanda! ... è suo nipote.

ANGELICA (totalmente confusa): Il nipote del dottor Purgone?

ARGANTE: Certo! Nipote del dottor Purgone,  figlio di suo cognato,  il dottor Diafoirus; più tardi verranno a farci visita. Che c'è? Ti vedo sconvolta.

ANGELICA (veramente sconvolta): È accaduto, padre mio, che mentre voi parlavate di una persona, io ne intendevo un'altra.

TONIETTA: Sentiamo signore, per quale motivo vorreste dare vostra figlia a un medico?

ARGANTE: Perché invalido e cagionevole come sono voglio farmi amici e parenti  medici...

TONIETTA (ironica) Ma, Signore, mettetevi una mano sulla coscienza; siete davvero malato, voi?

ARGANTE (arrabbiatissimo): Come, sciagurata, mi chiedi se sono malato? Se sono malato... io?

TONIETTA: Va bene! Siete malato,  malatissimo, ma vostra figlia deve avere un marito suo; e non essendo malata, non è necessario che sposi un medico.

ARGANTE: (Agita il bastone e fa per alzarsi, lei scappa) Impudente che non sei altro! Voglio che la figliola rispetti la parola che ho dato.

TONIETTA: No, non lo farà.

ARGANTE: Ma dove siamo arrivati? Come si permette una  domestica di parlare in questa maniera al suo padrone?

TONIETTA: Quando il padrone ha la zucca vuota, una domestica di buon senso ha il diritto di intervenire.

ARGANTE (correndo verso di lei): Ah! insolente, adesso le prendi. (adirato, la rincorre attorno alla poltrona, col bastone in mano): Vieni, vieni, t'insegno io a parlare.(Antonietta esce, Argante si lascia andare sulla sedia, stanco di correrle dietro): Ah! non ne posso più. Qui si vuole la mia morte.

Scena VI

Belinda, Angelica, Antonietta, Argante

BELINDA: Che succede?

ARGANTE: Ah! cara moglie, venite avanti.

BELINDA (eccessivamente svenevole e affettuosa): Che avete, maritino caro?

ARGANTE: Correte in mio aiuto.

BELINDA: Che cosa c'è, piccolo caro?

ARGANTE: Tesoro.

BELINDA: Amore mio.

ARGANTE(quasi piagnucolando): Mi hanno fatto arrabbiare!

BELINDA: Ah! povero maritino. Ma come mai, amoruccio mio?

ARGANTE. Quella Tonietta diventa sempre più insolente.

BELINDA: Povero cucciolo!.

ARGANTE: Ha avuto la sfrontatezza di dirmi che non sono malato.

BELINDA: È un'impertinente.

ARGANTE. Amore, quella sciagurata mi farà morire.

BELINDA: (preoccupata) Oh Signore, no! Per carità! (tira fuori un voce da strega) Tonietta.

TONIETTA: Signora.

BELINDA: (ora come all'inizio) Si può sapere perché fate andare in collera mio marito?

TONIETTA (in tono mellifluo): Io, Signora? Ohimè, non capisco che cosa volete dire, io non ho altro pensiero che di compiacere il Signore.

BELINDA: (verso Tonietta come una strega) Sentitemi bene, Tonietta, se fate inquietare ancora mio marito, vi metto alla porta. (Ora di nuovo come prima) Su, datemi la coperta e dei cuscini, lo devo sistemare nella sua poltrona. (Ad Argante) Non vi so dire l'aspetto che avete. Tiratevi la berretta sopra le orecchie; ci vuole un attimo a prendere aria sulle orecchie e buscarsi un raffreddore. (accomodando i cuscini che sta disponendo attorno ad Argante): Alzatevi, questo lo mettiamo sotto. Quest'altro invece per appoggiarsi, e questo dall'altro lato. Questo va bene dietro la schiena e quest'altro per sostenere la testa.

TONIETTA (mettendogli  una coperta sulla testa e fuggendo, rimane affacciata sulla scena): E questa per difendervi dall'umidità.

ARGANTE (si alza adirato e getta i cuscini dietro a Tonietta): Ah! sciagurata, volevi soffocarmi.

BELINDA: Su, su, bambino mio, adesso calmatevi.

ARGANTE: Tesoro, voi siete la mia consolazione.

BELINDA: Povero piccolo.

ARGANTE: Devo ricambiare  il bene che mi volete; e come vi ho già detto,  voglio fare testamento.

BELINDA: Ah! no, amor mio, non voglio sentirne parlare, vi prego; non posso sopportarne l'idea, la sola parola “testamento” mi fa soffrire, mi dà gli spasimi.

ARGANTE: Vi avevo detto di parlarne al notaio...

BELINDA (subito, come se non aspettasse altro): È di là...

ARGANTE: Oh! amor mio! ma allora fatelo entrare. (Belinda va a chiamare il notaio)

Scena VII

Il Notaio, Belinda, Argante

ARGANTE: Venite, venite, signor notaio. Prendete una sedia. Mia moglie vi ha detto che vorrei fare testamento e lasciarle tutti i miei averi?

BELINDA: Non riesco a parlare di queste cose.

NOTAIO: Ne sono al corrente, ma purtroppo... non potete lasciare nulla a vostra moglie in eredità.

ARGANTE: E perché?

NOTAIO: Vi si oppongono le nostre usanze. Se vivessimo in un paese di diritto scritto, la cosa si potrebbe fare; ma a Parigi, non si può essendoci di mezzo dei figli, e la disposizione sarebbe nulla. Tutto ciò che un uomo e una donna congiunti in matrimonio possono fare a beneficio l'uno dell'altro è una  donazione fra viventi.

ARGANTE: È un'usanza molto arrogante.

NOTAIO: Già, ma io per vostra fortuna sono assai accomodante, conosco espedienti e scappatoie  per beffare le leggi  e rendere giusto ciò che non è permesso.

ARGANTE: Come devo fare, scusate, perché lei venga in possesso delle mie sostanze, e ne siano invece private le mie figlie?

NOTAIO: Come dovete fare? Potete scegliere tranquillamente un amico fidato di vostra moglie, al quale lasciare per testamento tutta la quota disponibile; questo amico poi la restituisce a lei. (come per sminuire questa seconda alternativa) Oppure... potete anche, mentre siete in vita, consegnare a vostra moglie del denaro contante, o dei biglietti di credito, se ne avete, pagabili al portatore, così che la signora potrà goderne anche dopo che sarete morto.

BELINDA: Morto? Cucciolo mio, se mi toccasse la sventura di perdervi la vita non avrebbe più senso per me.

ARGANTE: Amore mio!

NOTAIO: Eh, ma ora basta! Ora le lacrime sono fuori luogo.

BELINDA: Ah! Signore, voi non sapete che cosa significa avere un marito a cui si vuole un mondo di bene... e che è talmente malato da rischiare la morte. (piange)

ARGANTE: Mia cara... non è ancora il momento! Ma ora voglio fare testamento nel modo che il signor notaio mi consiglia; ma per precauzione, voglio consegnarvi ventimila franchi in oro, che conservo nel cassetto dello scrittoio, e due biglietti pagabili al portatore..

BELINDA: No, no, no,non voglio nulla.... Ah!... Quanto avete detto che c'è nel cassetto?

ARGANTE: Ventimila franchi, amor mio.

BELINDA: Non parlatemi di soldi, vi prego... Ah!... E i due biglietti di quanto sono?

ARGANTE: Tesoro, uno è di quattromila franchi, l'altro di sei.

BELINDA: Tutte le ricchezze della terra, amico mio, non sono niente a vostro confronto.

NOTAIO: Procediamo o no a questo testamento?

ARGANTE: Sì, Signore; ma saremo più a nostro agio nel mio studio.

BELINDA: Andiamo, povero bambino mio.

Scena VIII

Angelica, Tonietta

TONIETTA: Eccoli là, col notaio, e ho sentito parlare di testamento. La vostra matrigna non perde tempo, eh?

ANGELICA: Può disporre delle sue ricchezze come desidera, purché non disponga del mio cuore. Oh, almeno tu, Tonietta, non mi abbandonare in questa situazione.

TONIETTA: Questo mai!  Lascia fare a me, ho un piano: voglio fingere di condividere le intenzioni di vostro padre e della vostra matrigna.

ANGELICA: Fa quel che vuoi, ma ti scongiuro, cerca di avvisare Cleante del matrimonio che è stato combinato per me.

TONIETTA: Ci penso io.

BELINDA: Tonietta!

TONIETTA: Mi chiamano. Devo andare.

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO II

Scena I

Tonietta, Cleante

TONIETTA: Desiderate, Signore?

CLEANTE: Cosa desidero?

TONIETTA: Ah, ah, siete voi? Che sorpresa! Che cosa siete venuto a fare?

CLEANTE: A conoscere la mia sorte e a parlare con l'adorabile Angelica del fatale matrimonio a cui l'hanno destinata..

TONIETTA: Non potete vedere Angelica così, su due piedi!  Non la lasciano uscire né parlare con nessuno.

CLEANTE: Ed è per questo che io vengo qui mica come Cleante, suo innamorato, ma come amico del suo maestro di musica, il quale mi ha dato il permesso di dire che sono venuto al posto suo.

TONIETTA. Sta arrivando il padre. Via!

Scena II

Argante, Tonietta, Cleante

ARGANTE: (tra se) Il dottor Purgone mi ha consigliato di passeggiare nella mia camera tutte le mattine, dodici volte in su e dodici volte in giù... però non mi ha detto se per il lungo o per largo.

TONIETTA: Signore, c'è un...

ARGANTE: Parla piano, delinquente! Mi rintroni la testa! (abbassando la voce) Non sai che non si può parlare tanto forte ai malati?

TONIETTA: (sempre più piano) Signore... Finge di parlare.

ARGANTE: Come?

TONIETTA: Vi sto dicendo che... Finge di parlare.

ARGANTE: Che cos'hai detto?

TONIETTA: (a voce alta) Vi ho detto che di là c'è una persona che chiede di parlarvi.

ARGANTE: Ah! E venga pure.  Antonietta fa un cenno a Cleante perché entri.

CLEANTE: Signore, sono contento di trovarvi alzato e di vedere che state meglio.

TONIETTA (fingendo di essere incollerita): Come “state meglio”? Ma non è vero: il Signore sta sempre male.

CLEANTE: Mi pare che il Signore  abbia un bell'aspetto...

TONIETTA: Che cosa intendete dire con “bell'aspetto”? Il Signore ha un aspetto orribile. Il Signore non è mai stato così male!  Si muove, dorme, mangia, beve come tutti gli altri...... Ma ciò non toglie che sia malatissimo.

ARGANTE: È vero.

CLEANTE: Signore, sono desolato. Mi manda il maestro di canto della Signorina vostra figlia. È stato costretto a partire per la campagna, dove rimarrà qualche giorno; ed essendo io suo intimo amico, vengo in sua vece a continuare le lezioni.

ARGANTE: Benissimo. Chiamate Angelica.

TONIETTA: Sarebbe forse meglio, Signore, che io accompagnassi il Signore nella sua camera.

ARGANTE: No, fatela venire qui.

CLEANTE: Non potrò darle lezioni come si deve, se non sto solo con la signorina.

ARGANTE: Va benissimo qui.

TONIETTA: Signore, faranno confusione, non vi conviene affaticarvi  il cervello nello stato in cui siete.

ARGANTE: No! Niente affatto, mi piace la musica e sarò ben felice di... (sta entrando Angelica) Ah! Eccola. (Tonietta esce stizzita)

Scena III

Argante, Angelica, Cleante

ARGANTE: Venite avanti, figliola, oggi avrete un nuovo maestro di canto.

ANGELICA: Oh, Cielo!

ARGANTE: Che c'è? la cosa vi sorprende?

ANGELICA: Ecco...niente, niente, il signore ha un aspetto che mi ricordava... (si sente bussare)

TONIETTA Con permesso signori...(va ad aprire, in tono derisorio): Sono venuti in visita i signori Diaflorius madre e  figlio.

ARGANTE (Cleante fa l'atto di andarsene stizzito): Non andatevene, Signore. Sto per dare marito a mia figlia, voglio che lo conosciate anche voi.

TONIETTA: Prego signori, favoriscano.

Scena V

la signora Diafoirus, Tommaso Diafoirus, Argante, Angelica, Cleante, Tonietta

ARGANTE: Benvenuti signori

DOTTOR DIAFOIRUS:  Siamo onorati di essere vostri ospiti. (verso suo figlio) Coraggio, Tommaso, vieni avanti. Fai il tuo discorso.

TOMMASO DIAFOIRUS (un giuggiolone che ha appena terminato gli studi e che fa ogni cosa senza grazia e nel momento sbagliato): Devo cominciare dal padre, giusto?

DOTTOR DIAFOIRUS: Certo.

TOMMASO DIAFOIRUS: (ogni tanto sbircia il discorso su un foglietto) Signore, io vengo a salutare, conoscere, onorare, riverire in voi un secondo padre; ma un secondo padre al quale, oso dire, sono più obbligato che al primo. Il primo mi ha generato; ma voi mi avete rigenerato... ehm... mi avete scelto.  Quel che in me si trova di lui è opera del suo corpo; ma quel che in me si trova di voi è opera della vostra volontà; (da qui legge quasi tutto) e poiché le facoltà spirituali sono tanto più eccelse delle corporali, così tanto più grande è il mio debito e tanto più preziosa io stimo la prossima affiliazione, della quale vengo oggi, precorrendola, a rendere gli umilissimi e rispettosissimi omaggi.

TONIETTA: Bravo! (applaude)

TOMMASO DIAFOIRUS: Ho detto bene mamma?

DOTTOR DIAFOIRUS: Optime! Vai avanti. (indicando Angelica)

TOMMASO DIAFOIRUS: (alla madre) Che faccio, le bacio la mano?

DOTTOR DIAFOIRUS: Ma certo.

TOMMASO DIAFOIRUS: (ad Angelica) Signora, io vengo a salutare, conoscere, onorare, riverire in voi una seconda madre... il cielo vi ha concesso il grazioso nome di suocera...

ARGANTE: Non state parlando a mia moglie, ma a mia figlia.

TOMMASO DIAFOIRUS: (lascia la mano ad Angelica in modo molto sgraziato) E la suocera dov'è?

TONIETTA: Verrà subito.

TOMMASO DIAFOIRUS: Mamma, dovrò aspettare che arrivi?

DOTTOR DIAFOIRUS: No. Intanto fa i complimenti alla signorina.

TOMMASO DIAFOIRUS: Signorina, come la statua di Memnone, che mandava un armonioso suono quando la illuminavano i raggi del sole, allo stesso modo io mi sento animato da un dolce empito all'apparir di quel sole che son le bellezze vostre. (ora rilegge il foglio, ma sbaglia) ... e un secondo padre al quale... oh, no, non è questo... (piagnucolante) Mamma!

DOTTOR DIAFOIRUS: Su, figliolo... “E come...”

TOMMASO DIAFOIRUS: E come il fiore chiamato eliotropio si volge sempre verso l'astro del giorno, così il mio cuore, d'ora in avanti, sempre si volgerà agli astri luminosi delle vostre adorabili bellezze. Soffrite... (correggendosi) Sopportate... (come prima, guardando il padre che suggerisce) Accettate dunque, Signorina, che io appenda all'altare delle vostre grazie l'offerta di questo cuore, che non respira altra gloria... (correggendosi) che non aspira ad altra gloria se non a quella d'essere amato, Signorina. Il vostro umilissimo, obbedientissimo e fedelissimo servitore e marito. (le bacia la mano con uno schiocco decisamente eccessivo)

CLEANTE: Il Signore non finisce di stupirmi; se è buon medico quanto buon oratore, sarà un piacere farsi curare da lui.

DOTTOR DIAFOIRUS: Signori, non perché io sia sua madre, ma posso dire che ho buone ragioni per essere orgogliosa di lui. Non ha mai avuto troppa immaginazione, né grossi sprazzi di intelligenza; ma ha grandi facoltà di giudizio, indispensabili per la nostra arte.  Non vi dico la fatica che abbiamo fatto per insegnargli a leggere: aveva già nove anni e ancora non distingueva le lettere dell'alfabeto. «Bene,» dicevo fra me e me, «gli alberi tardivi son quelli che danno i frutti migliori.» Quando lo mandai a scuola, fece molta fatica ma infine, a furia di battere il ferro, è  riuscito ad ottenere i suoi bravi diplomi. In ogni discussione di tesi  egli ha sempre l'opinione contraria, in particolar modo riguardo alle ultime ridicole scoperte intorno alla circolazione del sangue.

TOMMASO DIAFOIRUS: (estraendo dalla tasca il rotolo di una dissertazione, che egli presenta ad Angelica) Ho scritto una dissertazione contro la circolazione del sangue, che col permesso del Signore oso presentare alla Signorina quale doveroso omaggio delle primizie del mio sapere.

ANGELICA: Signore, permetta, ma non so che farmene. Io non mi intendo di questi argomenti.

ARGANTE: Permettetemi, ma non avreste intenzione, Signore, di mandarlo a corte e trovare per lui una carica di medico?

DOTTOR DIAFOIRUS: Parlando con franchezza, non è buona cosa servire i potenti;  con la gente comune non si deve rispondere delle proprie azioni e  non ci si deve preoccupare di quello che può succedere. Quel che dà fastidio nei potenti, invece, è che quando sono malati pretendono assolutamente che i medici li guariscano.

TONIETTA: Questa si che è bella! Sono veramente sfacciati!  Mica siete lì per questo! Voi dovete soltanto prendere il vostro stipendio e ordinare delle medicine; quanto al guarire, che ci pensino loro!

DOTTOR DIAFOIRUS: Giustissimo. Noi abbiamo soltanto l'obbligo di eseguire i trattamenti secondo le regole... se non funzionano mica è colpa nostra!

ARGANTE (a Cleante): Signore, perché non fate cantare mia figlia davanti agli ospiti?

CLEANTE: Attendevo i vostri ordini, Per divertire i convenuti, potremmo cantare con la Signorina la scena di un'operina composta da poco. (passa ad Angelica un foglietto) Ecco, questa è la vostra parte.

ANGELICA: Io?

CLEANTE: (parlando piano, ad Angelica) Non dite di no, vi prego.  (forte)  Si tratta propriamente di un'operina in prosa ritmata.

ARGANTE: Benissimo. Ascoltiamo.

CLEANTE: L'argomento della scena è il seguente: Un pastore sta seguendo uno spettacolo appena iniziato, quando viene distratto da un rumore accanto a sé. Si gira e vede che un prepotente sta offendendo una Pastorella. Prende subito le difese di lei, punisce il bruto e consola le amare lacrime della dolce Pastorella. Il gioco di sguardi tra i due li fa cadere subito innamorati; ma lo spettacolo è al termine e i due sono costretti a separarsi. Di li a poco il pastore  viene a sapere che il padre della sua bella ha deciso che essa debba sposare un altro. Il povero ragazzo non può sopportare questo pensiero spaventoso  e così il suo amore gli fa trovare la forza di introdursi in casa di lei: vuole sapere quale destino gli toccherà. Vede i preparativi al funesto matrimonio e vede arrivare l'indegno rivale che il capriccio di un padre oppone al suo amore. Infine la sua disperazione lo costringe a parlare in questo modo (canta):

Fillide, troppo grande è il mio patire;

Duro è il silenzio, il vostro cuor m'aprite.

Quale sarà mia sorte?

Vivere io dovrò? Dovrò morire?

ANGELICA: Voi mi vedete, Tirsi, malinconica e triste

Per l'imeneo che causa in voi tema e doglianza:

Levo al cielo lo sguardo, vi contemplo e sospiro.

Ho già detto abbastanza.

CLEANTE: Ohimè! Fillide bella,

Accadrà mai che Tirsi innamorato

Sia tanto fortunato

D'aver sua stanza dentro al vostro cuore?

ANGELICA:

Sì, Tirsi, io vi amo.

CLEANTE: O parola meravigliosa!

Fillide, ripetetela! dissipate i dubbi miei .

ANGELICA: Sì, Tirsi, vi amo.

CLEANTE:

Ma, Fillide, un pensiero

Or vien la gioa a conturbare:

Un rivale, un rivale...

ANGELICA: Egli è odioso più che morte;

Non v'è pena che sia più forte

CLEANTE: Ma del  padre crudo  desire.

ANGELICA: Ahim!Ahimé,  piuttosto morire,

ARGANTE: E che dice il padre ?

CLEANTE: Non dice niente.

ARGANTE: È un bel babbeo quel padre !

CLEANTE: Amor mio...

ARGANTE: No, no, basta così, questa commedia è di cattivo esempio. Fatemi un po' vedere il testo. (strappa il testo di mano a uno dei due) Ah! ma dove sono le parole che avete cantato? Qui ci sono soltanto delle note musicali.

CLEANTE: Come, Signore? Non sapete che hanno inventato da poco il modo di scrivere le note musicali con già dentro le parole?

ARGANTE: Ah, si? (un po' scontroso e insospettito) ...Benissimo. Servitor vostro, Signore. Arrivederci.

CLEANTE: Io credevo di divertirvi.

ARGANTE: Le sciocchezze non mi divertono mai. Ah! ecco mia moglie.

Scena VI

Belinda, Argante, Tonietta, Angelica, la signora Diafoirus, Tommaso Diafoirus

ARGANTE: Amor mio, questo è il figlio del dottor Diafoirus.

TOMMASO DIAFOIRUS: Signora, il Cielo nella sua giustizia vi ha concesso il nome di suocera, poiché sul vostro viso si vede... la luce (cerca di improvvisare) ...No... si vede l'azzurro... (cerca un altro foglietto)

BELINDA: (dopo qualche istante di imbarazzo) Signore, sono felice di avere l'onore di conoscervi...

TOMMASO DIAFOIRUS: Poiché sul vostro viso si vede... poiché sul vostro viso si vede... (arrabbiato) Signora, mi avete interrotto nel bel mezzo del periodo, e questo mi ha provocato un vuoto di memoria. (piagnucolante) Mamma!

DOTTOR DIAFOIRUS: Tommaso, rimandate il discorso ad altro momento.

ARGANTE: (imbarazzato) Suvvia, figliola, date la mano al Signore, e promettetegli fedeltà, come si deve al marito.

ANGELICA: Padre mio non precipitate le cose. Dateci almeno il tempo di conoscerci.

TOMMASO DIAFOIRUS: Io non ho bisogno di attendere oltre.

ANGELICA: (acida) Se voi siete tanto sicuro io non lo sono per niente e usar violenza non è un buon sistema per farsi amare da qualcuno.

TOMMASO DIAFOIRUS: Come possiamo leggere nei libri, Signorina, era costume degli antichi rapire con la forza dalla casa paterna le ragazze che si volevano sposare...

ANGELICA: Gli antichi, Signore, sono gli antichi, e noi viviamo oggi. Nel nostro secolo non sono necessarie le messe in scena!

TONIETTA: È inutile che vi mettiate a discutere; il Signore è fresco di studi, e voi avrete sempre torto.

BELINDA: Forse c'è qualcun'altro nel suo cuore.

ANGELICA: (acida) E se anche fosse? .

BELINDA: (dolce, al marito)Se fossi in voi, caro, non la costringerei a maritarsi; (subdola, ad Angelica) Se fosse per me vi manderei in convento.

ANGELICA: So il bene che mi volete, signora!

BELINDA: Marito caro le ragazze di oggi se ne infischiano di essere sottomesse e di obbedire alla volontà paterna, e pretendono addirittura di scegliersi da sole lo sposo!

ANGELICA: Io voglio un marito per amarlo davvero. Ci sono ragazze che prendono marito soltanto per uscire dalla casa dei genitori.  E ce ne sono altre, (Alludendo a Belinda) che si sposano per avere un'eredità, corrono senza scrupoli da un marito all'altro, aspettano che crepi e si prendono tutto il denaro!

BELINDA: Angelica! Ma che parole sono queste! Dite tante sciocchezze, mia cara, che finirete per farvi detestare.

ANGELICA: Signora io mi sono sempre comportata bene;  toglietevi la speranza di riuscire nel vostro scopo, e io mi toglierò dalla vostra vista. (fa la riverenza e va verso l'uscita)

ARGANTE: Ascolta, (Angelica si blocca senza voltarsi) non ci sono vie di mezzo; devi decidere se sposare questo Signore o andare in convento. (esce Angelica; Argante agli altri) Non preoccupatevi, saprò metterla in riga.

BELINDA: Caro, anch'io sono costretta a lasciarvi, ho un impegno in città che non posso evitare. Tornerò presto.

ARGANTE: Andate, amor mio.

BELINDA: A presto. (esce, ma verso le stanze)

ARGANTE: A presto, cara. Ecco una donna che mi ama... sembra incredibile.

DOT. DIAFOIRUS: Signore, noi dobbiamo congedarci.

ARGANTE: Prima di andarvene, vi predo, come mi trovate?

DOTTOR DIAFOIRUS (tastandogli il polso): Coraggio, Tommaso, prendete l'altro braccio del Signore e vediamo se sapete dare una definizione corretta del suo polso. Quid dicis?

TOMMASO DIAFIRUS: Il polso del Signore è il polso di un uomo che non sta affatto bene.

DOTTOR DIAFOIRUS: Giusto.

TOMMASO DIAFOIRUS Che è duriuscolo, per non dire duro.

DOTTOR DIAFOIRUS: Perfetto.

TOMMASO DIAFOIRUS: E persino un tantino galoppante.

DOTTOR DIAFOIRUS: Optime.

TOMMASO DIAFOIRUS: E questo denota qualche anomalia nel parenchima splenico, e cioè la milza.

DOTTOR DIAFOIRUS: Perfetto.

ARGANTE: No, il dottor Purgone sostiene che è malato il fegato.

DOTTOR DIAFOIRUS: Sì, sì:  sia fegato che milza, per via della stretta simpatia che c'è tra loro. Vi avrà senz'altro prescritto le carni arrosto.

ARGANTE: No, soltanto il bollito.

DOTTOR DIAFOIRUS: Ah! sì: arrosto, bollito, è la stessa cosa.

ARGANTE: Signori, quanti granelli di sale posso mettere in un uovo?

DOTTOR DIAFOIRUS: Sei, otto, dieci, comunque in numero pari. Le medicine, invece, si prendono in numero dispari.

ARGANTE: A ben rivedervi, Signore.

( Diafoirus e figlio escono)

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO III

Scena I

Beraldo, Argante

BERALDO: Ebbene, fratello caro, come va? State bene?

ARGANTE: Oh, fratello mio, malissimo.

BERALDO: Come «malissimo»?

ARGANTE: Sì, ho addosso una debolezza da non credere.

BERALDO: Che seccatura.

ARGANTE: Non ho nemmeno la forza di parlare.

BERALDO: Sono venuto, caro mio, a proporvi un partito per mia nipote Angelica.

ARGANTE (parlando freneticamente e alzandosi dalla poltrona): Fratello, non parlatemi di quella sciagurata. È una briccona, un'impertinente, una sfrontata, non passeranno due giorni e finirà in convento.

BERALDO: Ma bene! Benissimo: sono proprio contento che vi stiano ritornando un po' le forze. Parleremo poi delle nostre faccende. Sentite: ho portato dal mio ultimo viaggio un vino che è una vera bontà. Dovete assaggiarlo: sarà anche meglio di una medicina del dottor Purgone! (chiamando fuori) Tonietta... dei bicchieri!

Scena II

Beraldo, Argante, Tonietta

(entra Tonietta con due bicchieri, si fa dare il vino da Beraldo, lo versa e lo serve)

BERALDO: E allora, fratello, che cosa ne dite? Non è forse meglio dell'olio di ricino?

TONIETTA: Beh, è buono, ma anche l'olio di ricino è buono.

BERALDO: Dunque, vogliamo parlare un po' insieme?

ARGANTE: Un momento di pazienza, fratello. Torno subito.(si alza e parte senza il bastone)

TONIETTA: Prendete, Signore, state dimenticando che senza bastone non riuscite a camminare.

ARGANTE: Ah... Hai ragione.

Scena III

Beraldo, Tonietta

BERALDO: Continua a credere di essere ammalato e di aver bisogno di medici...

TONIETTA: Signore a questo proposito... avrei in mente uno scherzo.  Avevo pensato a introdurre in casa un finto medico, che mettesse in cattiva luce il dottor Purgone così da far perdere qualunque fiducia in lui.

BERALDO: Sarà certo divertente, contate su di me. Oh! Eccolo che torna.

Scena IV

Argante, Beraldo

BERALDO: Prima di tutto devo chiedervi un favore: evitate di andare su tutte le furie durante la nostra discussione.

ARGANTE: Promesso.

BERALDO: Come mai, fratello, ricco come siete e con una sola figlia da maritare pensate di metterla in convento?

ARGANTE: Perché ha rifiutato di sposare il giovane che le avevo destinato, mi sarei imparentato con una stirpe di medici, ma lei... niente!

BERALDO: Ma il marito che deve prendere è per lei o per voi?

ARGANTE: Per lei e per me.

BERALDO: E per cosa? Fratello mio caro non conosco una persona che sia meno malata di voi,  e la  prova che state bene e che  non siete crepato dopo tutte le medicine che vi hanno fatto prendere.

ARGANTE: Lo devo proprio a questi rimedi se sono ancora vivo! Secondo il dottor Purgone morirei in tre giorni se non facessi più nessuna cura.

BERALDO: Argante, io non ho alcuna intenzione di combattere la medicina, volevo solo farvi ragionare. Per divertirvi, dovreste vedere qualche commedia che Molière ha scritto sull'argomento.

ARGANTE: (infastidito) Il vostro Molière, con tutte le sue commedie non è altro che un impertinente Se fossi medico, mi vendicherei bene bene... potrebbe agitarsi e urlare fin che vuole, non gli prescriverei il minimo salasso, il minimo clistere, e gli direi: «Crepa, crepa! ».

BERALDO: Ce l'avete proprio con lui. (ride)

Scena V

dottor Florant, farmacista, con una siringa in mano; Argante, Beraldo

FIORANTE (inizia a parlare da fuori scena, abbastanza rude): Allora, Signore... siamo pronti per il clistere?

ARGANTE: Si, si, signore... Ah! fratello, col vostro permesso.

BERALDO: Come? Che dovete fare adesso?

ARGANTE: Solo un clisterino.

BERALDO: Non lo potete rimandare a un'altra volta e rimanere un po' in pace? Possibile che non possiate stare un minuto senza purghe?

ARGANTE: Signor Florant, facciamolo stasera o domani mattina, lo dica pure al dottore.

FIORANTE: (a Beraldo) Voi di che v'impicciate? Con quale diritto vi opponete a una prescrizione fatta dal medico? Come vi permettete di impedire al Signore di fare il clistere? Eccola, eccola la prescrizione. (tira fuori un foglietto e lo mostra) Vedete? La purga si deve fare! Avete proprio una bella faccia tosta!

BERALDO: Io una faccia tosta...Oh! Signore, non volevo certo offendervi... ma, mi permetta, si vede che non siete abituato a guardarla la gente in faccia.

FIORANTE: Ma che impudenza! Non si può scherzare in questo modo e farmi perdere tempo. Sono venuto qui  su precisa indicazione del medico, dirò al dottor Purgone che mi è stato impedito di eseguire i suoi ordini e di esplicare le mie funzioni. Vedrete, vedrete... (esce borbottando)

ARGANTE: Fratello, finirete per provocare un disastro.

BERALDO: Certo, sai che disastro evitare l'ennesimo lavativo del dottor Purgone!

Scena VI

Il dottor Purgone, Argante, Beraldo, Tonietta

DOTTOR PURGONE: Appunto, del dottor Purgone! Ne ho sentite delle belle, giù alla porta; qui ci si prende gioco delle mie prescrizioni, ci si rifiuta di assumere i rimedi che ho ordinato.

ARGANTE: Signore, non è...

DOTTOR PURGONE: Ci vuole un bel coraggio, siamo di fronte all'aperta ribellione di un malato al proprio medico. Un clistere, che avevo con tanto piacere ideato io stesso.

ARGANTE: Io non...

DOTTOR PURGONE: Composto e formato a regola d'arte. E che avrebbe prodotto nelle viscere un effetto meraviglioso.

ARGANTE: Mio fratello...

DOTTOR PURGONE: Mandarlo indietro con disprezzo!

ARGANTE: È stato lui...

DOTTOR PURGONE: Un'autentica diffamazione! Un reato contro la medicina.

ARGANTE: Non è colpa mia...

TONIETTA: (al dottore) Mi dia retta, è un vero delitto.

DOTTOR PURGONE: Un delitto che non sarà mai punito abbastanza.

TONIETTA: E fate bene!

ARGANTE: È stato mio fratello...

DOTTOR PURGONE: Disprezzare il mio clistere!

ARGANTE:  Fatelo preparare, lo faccio subito.

DOTTOR PURGONE: Avrei risolto il vostro caso in breve tempo. Vi avrei ripulito l'organismo, fatto evacuare interamente i cattivi umori.

ARGANTE: (a Beraldo) Ah! fratello.

TONIETTA: È indegno delle vostre cure.

DOTTOR PURGONE: Ma poiché non avete voluto essere guarito dalle mie mani.

ARGANTE: Non è colpa mia.

DOTTOR PURGONE: Poiché vi siete sottratto all'obbedienza che si deve al medico.

ARGANTE: Ma niente affatto.

DOTTOR PURGONE: Devo comunicarvi che vi abbandono alla vostra cattiva costituzione, ai disordini delle vostre viscere, alla corruzione del vostro sangue, all'acidità della vostra bile, alla fecciosità dei vostri umori.

TONIETTA: Ben fatto.

ARGANTE: Dio mio!

DOTTOR PURGONE: Fra quattro giorni sarete incurabile!

ARGANTE: Ah! misericordia!

DOTTOR PURGONE: Preda della bradipepsia.

ARGANTE: Dottore!

DOTTOR PURGONE: E passare dalla bradipepsia alla dispepsia.

ARGANTE: Dottore!

DOTTOR PURGONE: Dalla dispepsia all'apepsia.

ARGANTE: Dottore!

DOTTOR PURGONE: Dall'apepsia all'acolia...

ARGANTE: Signor Purgone!

DOTTOR PURGONE: Dall'acolia alla dissenteria...

ARGANTE: Signor Purgone!!

DOTTOR PURGONE: Dalla dissenteria all'idropisia...

ARGANTE: Signor Purgone, per carità!

DOTTOR PURGONE: dall'idropisia alla  morte!

(Il dottore esce, Tonietta mostra al pubblico e agli altri un gran sorriso, ma quando Argante la vede le lancia contro qualcosa e la caccia fuori)

Scena VII

Argante, Beraldo

ARGANTE: Ah, mio Dio! sono morto. Sento già che la medicina si vendica.

BERALDO: Fratello, datevi un pizzicotto, vi prego, tornate in voi,  non lasciatevi più trasportare dall'immaginazione.

ARGANTE: Avete sentito le tremende malattie che ha previsto!

BERALDO: Siete veramente uno stupido!

Scena VIII

Tonietta, Argante, Beraldo

TONIETTA (entrando): Signore, c'è un medico che chiede di voi.

ARGANTE: Quale medico?

TONIETTA: Un medico...

ARGANTE: Fatelo entrare. (Tonietta esce)

Scena IX

Tonietta, vestita da medico; Argante, Beraldo

TONIETTA: Signore, spero non vi dispiaccia ch'io vi renda visita e vi offra i miei modesti servigi per tutti i salassi e le purghe di cui potreste aver bisogno.

ARGANTE: Vi sono obbligatissimo, Signore.

TONIETTA: Sono molto onorato di conocere un illustre malato come voi...

ARGANTE: Servitor vostro, Signore.

TONIETTA: Vedo, Signore, che mi state osservando attentamente. Quanti anni mi date?

ARGANTE: Ventisei o ventisette anni.

TONIETTA: Ah, ah, ah, ah, ah! ne ho novanta.

ARGANTE: Novanta?

TONIETTA: Sì. È un effetto della mia arte, conosco il segreto per mantenermi fresco e vigoroso.

Vado di città in città alla ricerca di casi clinici disperati, non mi degno di occuparmi delle malattie comuni: reumatismi,  febbricciole, mal di testa. Io esigo  febbri altissime,  pestilenze,   pleuriti  e infezioni mortali, polmoniti e broncopolmoniti; è lì che mi sento appagato, è lì che trionfo; e vorrei, Signore, che voi soffriste di tutte le malattie che ho elencato, che foste  in agonia, per mostrarvi quanto siano efficaci i miei rimedi.

ARGANTE: Vi sono obbligato, Signore.

TONIETTA: Datemi il polso. Su, coraggio. Oh! Ma questo polso fa i capricci. E colpa del vostro medico...chi è il vostro medico?

ARGANTE: Il dottor Purgone.

TONIETTA: Non è presente nella lista dei grandi medici. Secondo lui, di che cosa siete malato?

ARGANTE: Dice che è malato il fegato... altri dicono che è la milza.

TONIETTA: Tutti ignoranti: malati sono i polmoni.

ARGANTE: I polmoni?

TONIETTA: Sì. Che cosa vi sentite?

ARGANTE: Mal di testa...

TONIETTA: Ha visto? I polmoni.

ARGANTE: Talvolta mi pare di avere un velo davanti agli occhi.

TONIETTA: I polmoni.

ARGANTE: ...dolori al cuore.

TONIETTA: I polmoni.

ARGANTE: Stanchezza ...

TONIETTA: I polmoni.

ARGANTE: ...dolori al ventre.

TONIETTA: Sempre i polmoni. Mangiate con appetito?

ARGANTE: Sì, Signore.

TONIETTA: I polmoni. Vi piace bere un po' di vino?

ARGANTE: Sì, Signore.

TONIETTA: I polmoni. Dopo il pasto  vi fa piacere schiacciare un sonnellino?

ARGANTE: Sì, Signore.

TONIETTA: I polmoni, i polmoni, vi dico. Che dieta vi ha prescritto il vostro medico?

ARGANTE: Una dieta a base di minestre e di brodi ristretti .

TONIETTA: Che ignorante.

ARGANTE: Di carne di pollo e di vitello .

TONIETTA: Che ignorante.

ARGANTE: Di uova fresche e la sera prugne cotte per l'intestino .

TONIETTA: Che ignorante.

ARGANTE E soprattutto bere sempre vino molto annacquato.

TONIETTA: Ignorantus, ignoranta, ignorantum. Ci vuole del buon manzo, del sano maiale, del buon formaggio olandese, avena e riso, e castagne e pasticceria fresca, a scopo amalgamante e conglutinante. Il vostro medico è un somaro! Ve ne manderò uno io.

ARGANTE: Vi sono molto obbligato.

TONIETTA: E di quel braccio lì, cosa ne fate?

ARGANTE: Come?

TONIETTA: Se fossi in voi, questo braccio me lo farei tagliare immediatamente.

ARGANTE: E perché?

TONIETTA: Non vedete che trae a sé tutto il nutrimento, e che impedisce all'altro di disporne adeguatamente?

ARGANTE: Sì, ma del mio braccio io ho bisogno.

TONIETTA: Anche l'occhio destro mi farei cavare, se fossi in voi.

ARGANTE: Cavare un occhio?

TONIETTA: Non vedete che è di ostacolo all'altro e gli sottrae tutto il nutrimento? Credetemi, fatevelo cavare al più presto, vedrete assai meglio con l'occhio sinistro.

ARGANTE (dubbioso): Non c'è fretta, però...

TONIETTA: Vi saluto. Mi dispiace di lasciarvi così presto; ma devo partecipare a un importante consulto, per un uomo che è morto ieri.

BERALDO: Per un uomo  morto ieri?

TONIETTA: Sì, dobbiamo rifletterci sopra, e vedere che cosa si sarebbe dovuto fare per guarirlo. Arrivederci. (esce)

BERALDO: Ecco un medico che mi sembra davvero competente.

ARGANTE: Sì, sì (titubante)

Scena XII

Antonietta, Argante, Beraldo

BERALDO: Sentite, fratello ora posso parlarvi del partito che è saltato fuori per mia nipote?

ARGANTE: No, fratello; voglio metterla in convento.

BERALDO: Lo fate perché lo ha deciso vostra moglie!

TONIETTA: Lasciate stare la signora: è una donna sulla quale non c'è niente da dire, una donna incapace di mentire, e che  ama il signore ... non riesco nemmeno a dire quanto.

ARGANTE: (A Beraldo, verso Tonietta) Avete sentito?

TONIETTA: È vero. Posso mostrarvi seduta stante quanto la Signora ami il Signore.

BERALDO: E come?

TONIETTA: (ad Argante) La Signora sta per tornare. Stendetevi sulla poltrona e fingete d'essere morto. Vedrete quanta disperazione, quando le darò la notizia.

ARGANTE: Ben volentieri.

TONIETTA (piano a Beraldo): Voi, nascondetevi laggiù.  Ecco la Signora.

Scena XIII

Belinda, Tonietta, Argante, Beraldo

TONIETTA (gridando): Ah, mio Dio! Ah, che disgrazia! Che cosa tremenda!

BELINDA (entrando) : Cosa c'è, Tonietta?

TONIETTA: Ah, Signora!

BELINDA: Che è successo?

TONIETTA: Vostro marito è morto.

BELINDA: Mio marito è morto?

TONIETTA: Sì, poveri noi!

BELINDA: Davvero?

TONIETTA: Davvero.  È morto fra le mie braccia. Eccolo lì, steso sulla poltrona.

BELINDA: Ne siete sicura? (si avvicina un po', ride) Il Cielo sia lodato! Mi son liberata di un gran fardello.

TONIETTA: Pensavo, Signora, che si dovesse piangere.

BELINDA: Ma no, ma no, non vale la pena. Che cosa perdiamo in fondo?  Un uomo che procurava fastidi a tutti, sudicio, disgustoso, sempre con un clistere o una purga in pancia; che si soffiava il naso, tossiva, sputava in continuazione; senza un minimo d'intelligenza, noioso, di cattivo umore, capace soltanto di dar seccature alla gente e di gridare giorno e notte dietro alle cameriere e ai servi.

TONIETTA: Bella, come orazione funebre.

BELINDA: Tonietta, mi devi aiutare, e se mi servi bene ti darò una ricompensa. Non diciamo a nessuno che è morto, finché la faccenda sia conclusa. Ci sono dei soldi che vorrei recuperare: non è giusto che abbia trascorso accanto a lui i miei anni migliori per niente. Vieni, prima di tutto dobbiamo prendere le chiavi del cassetto.

ARGANTE (alzandosi d'improvviso): Piano. Piano!

BELINDA (sorpresa e spaventata): Ah!

ARGANTE: Brava, signora moglie, è così che mi amate?

TONIETTA: Ah, ah! Il defunto non è morto.

ARGANTE (a Belinda che esce): Una bella lezione mi avete dato,che mi impedirà di fare altre sciocchezze!

BERALDO (uscendo dal luogo in cui s'era nascosto): Allora, fratello, avete visto?

TONIETTA: Davvero, non l'avrei mai creduto. Ma arriva vostra figlia; rimettetevi un po' giù come prima, vediamo come reagirà lei sapendovi morto.

Scena XIV

Angelica, Argante, Tonietta, Beraldo

TONIETTA (gridando): Santissimo Iddio! che cosa tremenda! che orrenda giornata!

ANGELICA: Cos'hai, Tonietta? perché piangi?

TONIETTA: Poveri noi! che triste notizia vi devo dare.

ANGELICA: Che c'è?

TONIETTA: Vostro padre è morto.

ANGELICA: Mio padre è morto? Oh, Tonietta.

TONIETTA: Sì, guardatelo là. Gli è venuto un malore poco fa, ed è morto.

ANGELICA: O Cielo! che disgrazia! che colpo terribile! Poveretta me, perdere il padre, la sola cosa che mi restava al mondo! E per di più perderlo in un momento in cui era arrabbiato con me. Che cosa farò ora, me infelice, e quale conforto posso trovare dopo una perdita come questa?

Scena XV

Angelica, Argante, Tonietta, Beraldo, Cleante

CLEANTE: Che avete, bella Angelica? e per quale disgrazia piangete?

ANGELICA: Ahimè! piango  perché ho perso ciò che avevo di più caro e  prezioso; piango la morte di mio padre.

CLEANTE: O Cielo! Che disastro! Ahimè! Avevo scongiurato vostro zio di fare per me la domanda di matrimonio, stavo per presentarmi a lui e speravo di toccargli il cuore e indurlo ad accordarmi la vostra mano.

ANGELICA: Ah! Cleante, non parliamo più di questo. Non possiamo pensare al matrimonio. Ormai senza mio padre, non ho più nulla da fare al mondo.

ARGANTE (alzandosi): Ah, figlia mia!

ANGELICA (spaventata): Ah!

ARGANTE: Vieni. Non aver paura, non sono morto. Oh, figlia mia, sono felice di avere visto quanto mi sei affezionata.

ANGELICA: Ah! padre mio! Ora che il cielo vi ha restituito a me vi supplico di una cosa:  non costringetemi a sposare quel ridicolo Tommaso  Diafoirus !

CLEANTE (in ginocchio): Ah! Signore, ascoltate le sue preghiere e le mie, e non mostratevi contrario al nostro amore.

BERALDO: Fratello mio, come potete opporvi?

ARGANTE: Se lui diventa medico, acconsento al matrimonio. Diventate medico, e vi dò mia figlia.

CLEANTE: Molto volentieri, Signore: se non devo fare altro per essere vostro genero, diventerò medico.

BERALDO: Fratello mio, mi è venuta un'idea; perché non diventate medico voi stesso?

ARGANTE: Fratello, voi mi state prendendo in giro; ho forse l'età per iniziare degli studi?

BERALDO: Sì, studiare, figuriamoci!  Conosco una Facoltà fatta di amici, che può essere convocata immediatamente e conferirvi la laurea, con relativa cerimonia, qui dentro. Non vi costerà un soldo.

ARGANTE: Ma io...

BERALDO: Non preoccupatevi. Su, andate a mettervi un abito decente, io li mando a chiamare.

ARGANTE: Vado.

CLEANTE: Che cosa volete dire con questa Facoltà fatta di amici?...

BERALDO: Lasciate fare a me, l'importante è che vostro padre creda che siano medici... in realtà sono degli attori; è per assecondarlo nelle fantasie, vederlo contento, fare un grasso matrimonio in santa pace e...... vedrete, vedrete come ci sarà da ridere!

(Beraldo fa una gran risata, musica entrano i finti dottori, finta cerimonia “cala la tela”)

F I N E