Il mantello

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IL MANTELLO

 


dramma in  un atto

di Dino Buzzati

(Su IL DRAMMA n. 285 - Giugno 1960)

rappresentato al Teatro del Convegno di Milano il 14 marzo 1960

LE PERSONE

Signora Anna, la madre - 43 anni,

donna energica, orgogliosa, un po' ostinata

Giovanni, suo figlio, soldato - 20 anni

Rita, sua figlia - 18 anni

Marietta, amica di Rita - 17 anni

Il sindaco - 50 anni

Il segretario comunale - 20 anni

Gino      bambini di circa 11 anni,

Pietro    scolari della signora Anna

Altro bambino

I due vecchi


L'atto di Dino Buzzati, Il man­tello, è tratto da una sua novel­la. Una madre attende il ritor­no di suo figlio Giovanni, caporal maggiore, dato per disperso. Ogni scricchiolio di ghiaia dei vialetti del giardino la fa sussul­tare. La notte spesso si alza e va ad appoggiare la fronte ai vetri della finestra scrutando nel buio. Si consuma dietro una speranza. Unico conforto è il far da mae­stra ad alcuni ragazzi. In casa tutti sono persuasi che, ormai, passato tanto tempo, s'ha da ras­segnarsi a pensar Giovanni morto. Ma la madre no. Ha collocato un suo ritratto in una bella cornice; ma ella lo immagina sempre vivo. Una sera Giovanni entra in ca­sa. E' una gioia e un affanno per la sorella. La madre, chiamata, interrompe la lezione e accorre. E' per lei un tripudio e per pri­ma cosa stacca il ritratto e lo chiude in un cassetto. Giovanni è avvolto in un mantello e, seb­bene invitato dalla madre a le­varselo, non acconsente. Deve par­tire subito: ha avuto un breve permesso. Fuori c'è qualcuno che lo attende. E' venuto per un ra­pido saluto e non può far aspet­tare a lungo il misterioso com­pagno che non ha voluto entra­re con lui. Dalle pareti i ritratti dei suoi bisnonni gli parlano il linguaggio dei trapassati. Egli sol­tanto lo sente.

Il sindaco e il segretario comu­nale intanto hanno saputo del suo arrivo e sono accorsi a rendergli omaggio. Avevano dato, essi, alla madre la notizia del «disperso», si affrettano a felicitare ora il reduce. Ma Giovanni non può in­dugiare. Invano la madre insiste perché si levi il mantello, invano vano glielo chiede il segretario comunale. Non può, non ha tem­po, deve partire. Il segretario co­munale lo abbraccia per salutar­lo e apertogli il mantello, arretra spaventato. E' apparso un intri­co di bende insanguinate. Giovanni resta impietrito. La madre gri­da: « Ma questo è sangue! Giovanni, figlio mio, che cosa ti han­no fatto? ». Ma egli deve andare, non può far aspettare di più co­lui che è fuori. Saluta: addio so­rella, addio mamma! Si odono i passi che si allontanano, il rumo­re d'una macchina che s'avvia. La madre toglie  dal  cassetto la  foto­grafia e la rimette al suo posto. Poi riprende la interrotta lezione ai suoi alunni.

Eligio Possenti

E' il pianterreno di una modesta casa di monta­gna, che può essere anche graziosa, comunque acco­gliente e pulitissima. Per due terzi è costituito da una specie di sala di soggiorno, in cui si entra diret­tamente dall'esterno; coi segni di una esistenza quieta e decorosa. Tendine alla finestra, un tavolo su cui sono i lavori di Rita, rammendatrice, una poltrona, alcune sedie, un armadio da vestiario, un ritratto fotografico di Giovanni con cornice o ap­poggiato sopra un mobile o appeso a una parete (questo ritratto deve potersi rompere facilmente). Un vaso con fiori. A volontà: un orologio, corni di cervo e camoscio, oleografie, a gusto del regista; eventuale scala di legno che porta al piano superiore. A destra una porta che dà sulla cucina. A sinistra, separato da una parete vista di sezione, in cui si apre una porta, è uno studiolo dove la signora Anna dà lezioni ai bambini. Basta che ci sia un tavolo, con tre calamai, quaderni, libri. Una lavagna con su scritto un calcolo in calligrafia infantile. Una scansia con libri. Una finestra che dà sull'esterno. Fuori c'è un prato, e attraverso questo prato un violetto conduce alla strada provinciale, distante circa duecento metri. Non importa che questo si veda.

La parte più a destra della stanza di soggiorno do­vrebbe essere in penombra, in modo che improvvi­samente possano emergere, circonfusi dì pallida luce, i due vecchi bisnonni di Giovanni, i quali non devono avere nulla di cadaverico; anzi ben vestiti e coloriti in volto, a guisa di antichi ritratti. Essi sono seduti uno di fianco all'altro, le mani sulle ginocchio, perfettamente immobili. Al gusto del regista è del resto affidata la realizzazione sce­nica di questi due personaggi simbolici più che fantomatici; potrebbe trattarsi ad esempio di due vecchi ritratti i quali di volta in volta si animano in volto e parlano. Al principio dell'atto (a meno che non si ricorra ai due ritratti) essi devono essere del tutto invisibili.

Al principio dell'atto il sole entra festosamente dalle finestre. Poi si attenuerà rapidamente come per nubi. A un certo punto una specie di ombra, quasi proiettata dall'invisibile personaggio che aspetta fuori sullo stradone, comincerà a dondolare lenta­mente su e giù, quasi come un gigantesco e silen­zioso pendolo oscillante dinanzi al sole. Naturalmente il regista può trovare altri modi per richiamare in forma visiva la suggestione dell'uffi­ciale misterioso in attesa sulla strada o, se crede, può anche rinunciarvi del tutto. Quando si apre il sipario Rita sta cucendo, seduta nella stanza d'ingresso; nell'altra la signora Anna, sua madre, dà lezione a tre bambini seduti al ta­volo davanti a lei. Dalle finestre entra il sole.

Gino       (leggendo un libro) ... ma, giunti nel pun­to destinato, i due scudieri, impietositi dall'aspetto innocente del piccolo principe, gli dissero: « Il duca Corradino ci ha ordinato di ucciderti. Va', nascon­diti nel folto del bosco e non farti più vedere. Tu e noi altrimenti saremmo perduti. Toltogli poi il giubbetto ricamato d'oro e ucciso nelle prossimità un cerbiatto, tuffarono la... ».

Anna      Cerbiatto. Gino, sai che cos'è un cerbiatto?

Gino      Un cerbiatto, un cerbiatto... lo sapevo... dev'essere una bestia, una specie di volpe. Anna (guarda alla finestra) — Perché non doman­di spiegazioni quando non sai? No, non è una specie di volpe... mi pare che ne abbiamo già parlato.

Pietro   Ha due corna, signora Anna, ha quat­tro gambe, assomiglia a un cervo.

Anna     Bravo. Il cerbiatto è un piccolo cervo. Va' avanti, Gino.

Gino      «... tuffarono la veste nel sangue caldo della bestiola e, abbandonato il principino nella selva, tornarono dal duca Corradino a cui conse­gnarono il giubbetto insanguinato, come prova che l'ordine era stato eseguito. Allora il malvagio duca si recò dalla principessa Leonora madre del giovanetto e con volto addolorato... ».

(Si ode la voce del vento, il bimbo si interrompe un attimo).

Anna     E adesso che c'è? (Guarda ancora verso la finestra).

Gino       (riprende) «... con volto addolorato le annunciò che durante la caccia suo figlio era stato assalito dai briganti e trucidato; e le. mostrò il giub­betto tutto intriso di sangue. (Respira) Così Corra­dino salì al trono. E la principessa Leonora pianse tre giorni e tre notti ma da allora tutte le sere ella scese nel parco, soffermandosi sulla riva del laghetto, là dove suo figlio usava pescare e trastul­larsi. Infatti un misterioso presentimento era nato in lei da quando... ».

Anna     Gino, ti ripeto. Perché quando incontri una parola che non sai continui a leggere senza domandare? Oppure tu sai che cosa vuol dire pre­sentimento?

Gino      Mi pareva di sì... lo sapevo... Una volta l'ho sentito dire... lo sapevo... Ma adesso...

Anna     Tu dici: lo sapevo, lo sapevo... Sempre così... E tu, Pietro?

Pietro   Credo che vogliadire come quando si fa un sogno...

Anna      (guardando ancora verso la finestra, si ri-scuote. A voce alta e apprensiva) Rita! Rita!

Rita       (dall'altra stanza)  Cosa c'è, mamma?

Anna      (quasi irritata) C'è uno che viene dallo stradone. Ti prego, va' a vedere... si direbbe un militare. 

(Rumore di vento. All'esterno si avvici­nano dei passi affrettati).

Rita       (va alla porta) Sì,  c'è uno...  vestito in strano modo... E chi può essere a quest'ora?

 Anna     (rigida,   aspettando,   mentre i bambini la fissano incuriositi. Dominandosi) Chi è? (I passi sono ormai sulla soglia) Chi è?

Marietta (sui 18 anni, graziosa. Si affaccia, tra­felata,  sulle spalle un  cappotto  da  ufficiale)  Rita, Rita!

Rita       (ridendo) Dio, che spavento mi hai fatto! E che cos'hai addosso? Te l'ha regalato il colon­nello?

Anna      (ai bambini) Un momento... (Si affaccia all'altra stanza) Oh, Marietta! (Dominando la de­lusione) Buondì.

Marietta Riverisco, signora Anna. Ecco qua. (Getta il pastrano sul tavolo da lavoro, fa vedere uno strappo)  Un bel disastro vedi?...  Rita, non dirmi di no, ti supplico... Aggiustamelo subito.

Rita       E come hai fatto?

Marietta E' il cappotto del signor colonnello, capisci?... Un maledetto fil di ferro... guarda che sette... La signora me l'aveva dato da spazzolare e mentre spazzolavo ho preso dentro in Dio sa cosa... un gancio o un fil di ferro... E stasera lui deve ripartire. Ti immagini se se ne accorge? Rita, non dirmi di no.

Anna      (stranamente seccata) E con tutto que­sto che bisogno c'era di metterselo indosso per venire fin qui? Che cosa ti è saltato in mente?

Marietta (disorientata) Mah, non credevo che ci fosse niente di male... me lo sono messo sulle spalle nell'ultimo pezzo di strada. Tirava un vento, non capisco neanch'io che razza di vento... E al­lora, Rita, me lo fai questo rammendo?

Anna      (avvicinandosi) Ecco i paltò dei signori colonnelli... (Palpa la stoffa) Stanno caldi in que­sto bel panno i signori colonnelli... Stanno caldi e dimenticano... E se poi una vedova domanda no­tizie di suo figlio, se qualcuno chiede informazioni del caporalmaggiore Berton Giovanni, dato per di­sperso, che pure era del suo reggimento... allora il signor colonnello scuote la testa, risponde che lui non sa, lui non ricorda il nome in mezzo a tanti altri. (Con improvvisa tristezza) Guarda, qui c'è anche la sua bottoniera per le medaglie. (Di scatto si volge verso la porta, come se dovesse apparire qualcuno).

Rita       (esaminando il cappotto) Un magnifico sette, non c'è niente da dire. Panno fine... Mica semplice rammendare questo panno... E con tutto il lavoro indietro che ho! (Si accinge tuttavia al lavoro).

Marietta Oh, brava... Allenove lui riparte, capisci? Se almeno per le otto non glielo riporto in ordine, povera Marietta! Te lo immagini se lo vedessero questo sbrego?

Anna     Marietta, ne ha tante di medaglie il tuo signor colonnello.

Marietta Credo, credo di sì, signora.

Anna     Ne ha avuta una anche per la battaglia di Monte Ferro? Tu non lo sai?

Marietta  Oh, io non so. Certo ne ha tante. Quando cammina sembrano tante campanelle.

Anna      (rientra nello studiolo) Ragazzi, che cosa fate? Esco un attimo, torno e voi siete là con le mani in  mano...   Quante  volte  vi  ho  raccoman­dato... Il tempo fa presto a passare... Per esempio, l'avete   già   fatto   il   compito   di   aritmetica?   No, vero?...   E   fatelo,   allora,   questo   benedetto   pro­blema.

(Si ode in lontananza una tromba, poi un rumore  di automobile  in  salita che si avvicina).

Ora risolvete il problema e prima di andarvene vi farò quattro righe di dettato... Mi raccomando la divisione. E tu, Gino, impara a non guardare sempre nel quaderno di Pietro... Io mi istruirò coi vostri capolavori di ieri... (Prende alcuni quaderni mentre i bambini si dispongono a fare il compito).

Marietta (a Rita, che intanto si è messa al la­voro) Rita, senti che vento?

Rita (senza sollevare la testa) Eh?

Marietta Ma che cos'ha tua mamma? Parlava in un certo modo...

Rita       Lo puoi immaginare. Sempre la stessa storia. (Fa cenno alla fotografia del fratello) Non pensa ad altro. Mai che ne parli, naturalmente... E' così orgogliosa... Ma è come un'idea fissa. Basta che si senta un passo di fuori e le viene l'orgasmo. Sempre con gli occhi fissi sulla strada... Non sta due minuti senza guardare alla strada; come se lui dovesse arrivare da un momento al­l'altro...

Marietta Povera signora Anna! E quanto tempo è, ormai?

Rita       (sempre lavorando) Un anno buono, ormai, che è arrivata la notifica di disperso. Un anno. Come ci si può illudere ancora? Ma lei aspetta sempre... Anche di notte... Mi sveglio nel pieno e la vedo là, in piedi, con le orecchie die­tro le persiane, che ascolta chissà cosa... Sta là immobile per delle ore.

(Marietta scuote il capo. Intanto nell'altra stanza i bambini sono intenti al problema. La signora Anna alza gli occhi dai qua­derni, sempre gettando occhiate verso la finestra. In tutto questo tempo il rumore dell'auto con ansiti alterni si è fatto vicino. Poi si ferma. Breve pausa di silenzio. All'improvviso)

Anna      (balzata in piedi) Su, continuate da bravi, devo  lasciarvi   soli   per   un   minuto.   (Passa  nella stanza di ingresso, chiude la porta divisoria. Con voce bassa e agitata) Rita!

Rita       (la guarda) Mamma, non stai bene?

Anna   (fa  cenno  alla  porta)  Guarda   tu,   ti prego,  guarda.   (Nel silenzio si odono avvicinarsi dei passi lenti e pesanti) Va' tu... preferisco.

Rita       (la guarda con pietà.  Poi si alza svogliata­mente quasi ripetesse una cerimonia troppe volte eseguita invano, e va alla porta. Qui ha un sopras­salto. Con voce ferma) Madonna Santa!

Anna      (le spalle appoggiate alla porta dello studialo. Senza   muoversi,   imperiosa)   —   Chi è? Dimmi, su!   E' lui?  Dimmi,  è lui? Dimmelo,  prima che lo veda!

Giovanni (compare sulla soglia, con una strana luce. Ha il berretto militare, un mantello scuro con un lembo gettato sulle spalle, il volto pallido è affilato, le scarpe bianche di polvere. Non deve avere nulla di macabro ma dà l'impressione di essere svuotato dalla vita; i movimenti incerti e fragili come di certi vecchi) Mamma!... Rita!...

 Anna     (ansimando) Tu! Benedetto! (Si lancia ad abbracciarlo, subito imitata da Rita) Lo sapevo! Lo sapevo! Ti aspettavo, io... Sapevo io che do­vevi tornare!

Giovanni Mamma! Mamma! (Non sa dire al­tro per la commozione. Avanza alcuni passi nella stanza, si guarda le scarpe impolverate, sorride co­me scusandosi) Oh, scusami sai, mi dimentico sem­pre di pulirmi...

Anna (raggiante e scherzosa) Il solito, il so­lito, mai che si ricordi! Su su, fatti vedere come sei bello... Giovanni, Giovanni, ci hai fatto pen­sare sai?... Che lunga storia... sembrava non do­vesse mai finire... Ma sei pallido, Giovanni... Come sei pallido... Devi essere un po' stanco... Hai bisogno di un buon sonno... Chissà poi che porcherie vi davano da mangiare... E chissà quan­ta strada hai fatto. (Con dubbio improvviso) Ma non sei mica malato, dimmi, non sei malato?

Giovanni No, mamma, non son mai stato malato. (Per cambiare discorso, alla sorella) E guardala qui, la Rita!... Ti sei fatta grande, sì... proprio una signorina. (Vede i suoi lavori) E che fai con tutti questi stracci? Ti sei messa a lavo­rare?

Rita       Lavorare!...   Faccio qualche rammendo, cucio,  ecco...  bisogna industriarsi...  E la mamma ha i suoi piccoli studenti.

Anna      (quasi stentando a capacitarsi) — E'  tor­nato, è tornato!

Giovanni Ancora a scuola, mamma? Sempre quegli spaventosi bambini coi loro strafalcioni?

 Anna    Dò lezioni. Qui in casa, sai? La vita non è più facile come una volta... Ma tu? Dove sei stato, ragazzo benedetto? E' questo il modo di farsi aspettare? E' più di un anno, lo sai? Disperso, ti avevano dato... Dimmi, sei stato prigioniero?

Giovanni Prigioniero? Lasciatemi respirare, mi pare ancora un sogno. Poi vi racconterò. (Ridendo con fatica) ...Il tempo di prendere un po' di fiato. (Si guarda intorno) Ma qui è tutto in ordine, tutto come prima, non è cambiato proprio niente... (Si accorge della Marietta, rimasta in disparte) E chi è questa bella ragazza?

Marietta (avanza sorridendo) Come, Giovanni, non mi riconosci?

Giovanni (anche lui sorridendo) Prova a dire qualcosa... Aspetta...

Marietta La barca... il laghetto... il molino...

Giovanni Tu scherzi. Vorresti farmi credere di essere la Marietta? La piccola selvaggia avrebbe messo su questo simpatico faccino?

Anna      Oh, Giovanni! E' grande, ormai, Ma­rietta... Fa presto una bambina a crescere... Ma non ti siedi? Non ti levi il mantello?

Giovanni (evasivo) Sì, sì... Ma raccontami, mamma, tu cosa pensavi, che fossi morto?

Anna      No, io no... Gli altri ti credevano morto... E' arrivato l'avviso giusto dodici mesi fa... era un giorno come oggi... Merita che te lo faccia vedere. (Cerca in un cassetto e prende una certa carta, la legge) «... siamo dolenti di dovervi annunciare... », leggi, leggi... E poi è venuto il sindaco con una faccia da funerale, non sapeva neanchelui da dove cominciare... E poi sono passati i giorni, e la gente ha cominciato a guardarmi in un certo modo. Scommetto che dicevano: ma quando si decide la signora Anna a mettere illutto? E' così stupida da non aver capito? E ho dovuto accon-tentarli... La domenica mi sono vestita di nero... e ti ho fatto fare anche il ritratto, un bell'ingran-dimento con la cornice nera... guardalo, guardalo là.  (Con improvvisa risoluzione) Ecco che cosa ne facciamo adesso del tuo ritratto,  non lo voglio vedere un minuto di più. (Toglie il ritratto,  lo piega in due spaccandolo) Ecco, per quel che mi ha fatto soffrire...

(Tutti ridono)

Giovanni (disorientato) Ma perché, mamma?

Gino       (dall'altra stanza, con l'occhio a una fessura della porta, sottovoce agli altri due bambini) Venite a vedere!... Il figlio della signora! Guarda come è magro!

(Da questo momento i bimbi si av­vicenderanno alla porta bisbigliando).

Anna      (dura) Mi credevano una fissata... Sem­brava  che li  defraudassi  di  qualche  cosa  conti­nuando ad aspettarti...  E invece sei qui, sano e salvo...  Tutto  sta  nel  non  perdere  la  speranza... Il  giorno  che  non  ti  avessi  aspettato  più  avevo l'impressione che saresti  morto   davvero.   Così è figlio mio... Guarda per esempio la Poletti. Te lo ricordi Manlio Poletti, quello che dipingeva?

Giovanni  Figurati se non me lo ricordo.

Anna      La Poletti, quando è arrivata la lettera che lui era disperso, si è buttata lunga distesa per terra...  Subito vestiti di lutto,  lacrime,  messe da requiem... E così lui non è più tornato... Ancora adesso sta chiusa tutto il giorno nello sgabuzzino dove  lui  dipingeva   e  piange,  piange.   Passando per la strada si sente. « Manlio, perché mi hai la­sciato? »,   dice.   « Qui c'è tutto quel che ti oc­corre, qui c'è la lampada, qui c'è la matita, qui ci sono le tue carte ». Un lamento da cavar l'ani­ma. E lui naturalmente non tornerà più. Insom-ma guai a disperarsi neppure quando si è soli in una stanza... Anche quando c'è solo Dio bisogna farsi vedere coraggiosi... Ah, io no che non ho mai pianto... neanche quando è venuto il sindaco. Di' tu, Rita, se mi hai vista piangere.

Rita       E' vero, non ha mai pianto.

Anna      Possibile che tu non tornassi? Pensa: la tua casa... il tuo letto... la tua doppietta... E adesso vedrai, in due o tre giorni, che bella cera ti torna... Ma perché non ti levi il mantello?

Giovanni  No,  mamma,  lascia.  Preferisco di no. Non ho caldo.

Anna      Hai freddo? Non avrai mica la febbre?

Giovanni (con vago imbarazzo) No no. Per­ché la febbre? Solo che non ho caldo. Mi hanno lasciato un gelo addosso quelle montagne. Da al­lora, non so neppure io come, ma ho sempre freddo.

Anna      Che assurdità. Non ti terrai il mantello in casa di questa stagione, spero. Mettiti una ma­glia di più, se hai freddo. Siamo in maggio, ormai.

Marietta  Già, non senti che caldo?

Rita       (guardando fissa la mamma) Che male c'è, poi? Se preferisce tenerlo, che lo tenga, dopo tutto male non gli sta... Perché contrariarlo?

Giovanni Ma non sono contrariato!

 

(Volgendo in giro gli sguardi avvista i due vecchi da pochi istanti usciti dall'ombra. Essi sono seduti fianco a fianco, uomo e donna, vestiti di vecchissimi costumi della metà Ottocento. Lui, sui 60 anni, con un grande cappello di feltro a larghissima tesa. Lei molto più giovane. Un alone di luce li illumina. Devono apparire statuari e antichi ma non spet­trali. A volontà del regista la realizzazione di que­sti due personaggi. Potrebbero essere anche due ritratti appesi al muro che ogni tanto si animano e parlano)

E chi sono quelli?

Anna      Quelli chi? Che vuoi dire? Non c'è nessuno.

(I vecchi fanno cenno di tacere).

Giovanni  Niente, mamma, che strano... mi pareva.

Anna      Ti pareva che cosa?

Giovanni  Mi pareva che ci fosse qualcuno...

Anna      Ah, quando si è molto stanchi succede, specie in queste vecchie case di montagna... Avrai anche fame... Che cosa vuoi che ti prepari?... Hai bisogno di tirarti un po' su...

I Vecchi (recitando un po' lui e un po' lei, le parole della donna sottolineate; con voce dolce e semplice, ritmando con una specie di automatismo, poetico) Giovanni, tu vuoi sapere? Siamo i tuoi vecchi sepolti. Uomo, donna: bisnonno, bisnonna.

Giovanni (scuotendosi) — No, mamma, grazie. Io non ho fame... Ho già mangiato giù a un'osteria. Proprio non ho fame.

Anna      (delusa) Un caffè almeno. Un buon caffè non lo prendi volentieri? E una bella fetta di torta... Giusto ieri abbiamo fatto la torta di man­dorle, una volta era la tua passione...

Giovanni  Un caffè, sì... preparami un caffè, grazie.

Anna      Allora vado. Vado e torno. E tu, Rita, vieni ad aiutarmi. (Esce in cucina con la figlia).

I Vecchi  Giovanni, perché sei tornato? An­che a noi piaceva la casa, le buone cose da man­giare, e stare al fuoco la sera, e il caldo letto e cantare quando la valle era nera, e dall'inquieto cuore si spandeva l'amore... Ma noi non siamo tornati, nessuno è tornato di noi, da migliaia di anni. Da migliaia d'anni. Tu il primo oggi, Giovanni.

Giovanni  (guardando i vecchi, confuso)  Ma... voi...

Marietta  Con chi parli, Giovanni? Sei così strano.

Giovanni (riprendendosi) Niente... Pensavo...

Marietta (gaiamente) Senti, Giovanni, sii sincero, con me puoi avere confidenza, vero? Sei ammalato? Cos'hai? Ti vedo tanto pallido...

Giovanni Non ho niente, ti dico, non ho nien­te. Forse è il rancio cattivo, lo strapazzo del viaggio.

Marietta Però  come sei diventato serio  in questi anni, una volta non eri così.

Giovanni  Serio? Chi lo sa se sono diventato più serio. (Sorride).

Marietta Eh, sì, quando sei partito per la guerra eri diverso. Scommetto che non sapresti più giocare come una volta. Ti vergogneresti. A proposito, lo sai, Giovanni, della nostra barca? Te la ricordi?

Giovanni (sopra pensiero) — La nostra barca...

Marietta La nostra barca è andata a fondo-Nessuno più l'adoperava e un bel giorno è andata sott'acqua... Anche il nostro laghetto non c'è più... Hanno costruito la centrale elettrica e il laghetto è sparito.

Giovanni E tu? Anche tu sei un poco cam­biata. Tu che dici, vai ancora di notte a rubare le pere? E c'è ancora qualcuno che ti dà sca­paccioni?

Marietta (ride) Partito tu, più nessuno... Sono grande adesso. Ho messo giudizio... Quello che si dice una brava ragazza... Adesso sono a servizio dal signor colonnello Melandri; proprio il tuo colon­nello.

Giovanni (pensieroso) Il mio colonnello. Da un pezzo non lo vedo più. Era un brav'uomo al­lora... Chissà, se mi vedesse...

Marietta (con improvviso entusiasmo) Giovanni, ho un'idea. Senti: domenica puoi venire con me? Domenica c'è la sagra, verranno i barac­coni, il padiglione delle scimmie, gli equilibristi, la banda, e la sera si balla. E' così bello il giorno della sagra! Da prima della guerra non si è fatta più... Mi accompagneresti, Giovanni?

Giovanni (animato) Sì, certo che mi piace­rebbe... sarei proprio felice... (Tra sé) Bisognerebbe che studiassi il modo... Di qua a domenica, chissà... O non sarebbe meglio?...

(Si alza, va alla porta, guarda fuori con insistenza. Da questo istante una ombra progressivamente più densa e precisa co­mincia a oscillare dinanzi alla casa lentamente, togliendo un poco della luce del giorno. Ombra simbolica di colui che fuori aspetta. Marietta si avvicina a Giovanni, cercando di guardare anche lei. Lui la riporta nell'interno della stanza. Ha un gesto di impazienza)

Oh, Marietta, sentì, ho paura. (Le prende le mani) Vedi? E' così difficile spie­gare...

Marietta Non vieni, scommetto. Non potrai venire, è così?

Giovanni Vedi, prima di domenica possono capitare tante cose. Potrebbero mandarmi in mis­sione. Sono qui per poco. Ho solo un permesso. Potrei essere lontano di qui a domenica...

Marietta (tristemente scherzosa) Sempre così. A me van tutte male. (Notando l'ombra fissa in­tensamente Giovanni) Chi c'è fuori?

Giovanni  Oh, niente. C'è uno...

Anna      (entra  risoluta  e  festosa,  col  vassoio  del caffè) Ecco servito il soldatino, ecco la torta. Rita, vuoi portare un tovagliolo?

Rita       (va all'armadio, apre un cassetto) Giovanni, vieni un po' a vedere.

Anna      (lietamente va col figlio a esaminare l'arma­dio) Oh sì, guarda qui... Guarda se non è vero che ti aspettavo...  Ecco tutta  la roba in ordine. (Apre i vari cassetti) Qui le camicie... qui le. ma­glie... qui le calze... (apre un'anta) e qui i vestiti... il grigio, il marrone, quello da caccia... Tutto pu­lito e stirato... e qui le scarpe... e qui in fondo il tuo schioppo... lo tengo sempre unto, come mi hai raccomandato... Vedi?

Giovanni  O mamma! (Prende in mano il lembo di un abito e lo considera scuotendo il capo).

Anna      Adesso non hai che da scegliere. (Apre un involto) E poi guarda qui... guarda questo ve­stito nuovo, ho voluto che fosse proprio una sor­presa. L'ho fatto fare di nascosto. Se no dicevano ch'ero matta... Sai poi che cosa? La bellezza del tessuto.

Giovanni  Che magnifico, mamma, come sei stata buona...

Anna      Ma adesso siedi. Prendi in pace il tuo caffè... E dimmi, ti prego: non te lo toglieresti il mantello? Mi dà quasi l'impressione che tu non ti senta a casa tua...

Giovanni  Non dirlo, mamma... Il fatto è... il fatto è che tra poco devo andare.

Anna  Andare? Vuoi dire che te ne vai?

Giovanni  Devo ripartire subito.

Anna  Ma è una pazzia! Lo capisci che è una pazzia? E' più di un anno che non so niente di te, ti credevano morto, è un'eternità che non ti vedo... Finalmente ritorni. E vuoi subito ripartire. Tu scherzi, vero? La guerra non è finita? Dove vorresti andare?

Giovanni  (prendendo la tazza del caffè) Sono venuto con un permesso straordinario. Non bisogna lamentarsi. Quasi tutti i miei compagni sono rimasti ancora al confine... C'è uno che mi aspet­ta... E' fuori, là sullo stradone, capisci? Mi ha accompagnato apposta fin qui e adesso mi aspetta. E' stato buono...    posso dirmi fortunato se mi ha accompagnato fin qui...

Anna      Chi è che ti  aspetta?  E'  fuori  sulla strada?

Giovanni L'ho lasciato là. Non credo che si sia mosso.

Anna      E perché allora non l'hai fatto entrare? E' un compagno di reggimento?

Giovanni  No. E' un ufficiale. Un capitano di Stato Maggiore credo, uno importante... Non so neanch'io perché sia stato così buono...

Rita       E' là sulla strada che aspetta e non l'hai fatto entrare? L'hai lasciato in mezzo alla strada?

I Vecchi  Porta il grado di capitano ma basta che lui passi vicino e i signori colonnelli balbet­tano, i generali si fanno bianchi, perfino le loro eccellenze, cariche di medaglie, non appena l'han visto, chiedon misericordia a Cristo. E i grandi condottieri salutano sull'attenti se la sua nera om­bra passa sulla bandiera. Eppure a te vuole bene, per te cammina su e giù, e si impolvera gli sti­vali per te, lui più forte dei re, lui grande, inna­morato di te, povero soldato. (Anna si è fatta in­tenta sulla porta a guardare verso lo stradone).

Rita       Mamma, si vede?

Anna      Deve essere lui. C'è uno che cammina su e giù, ma è troppo lontano per vedere. Cam­mina su e giù lentamente.

Giovanni  Lascialo. E' un tipo così. Ha le sue fissazioni. Passeggiare gli piace.

Anna      Dio mio, ma non sei proprio cambiato, Giovanni. Che testa! Un ufficiale ti accompagna fin qui e tu non pensi neanche a farlo accomo­dare.

Giovanni  Te l'ho detto, mamma. Lui preferisce così. Lo conosco ormai.

Rita       Ma un bicchiere di vino, non glielo pos­siamo offrire? Un bicchiere di grappa?

Anna      Vuoi che glielo porti io?

Giovanni (alzandosi, allarmato) No no, mam­ma, lascia stare. E' meglio. Scommetto che si sec­cherebbe. E' fatto così.

Anna      Che stramberie. Non riesco a capire...

Rita       Ma sì, mamma, non insistere. Giovanni avrà pur le sue buone ragioni... Sarebbe bello li­tigare proprio oggi...

Anna      (sempre intorno al figliolo) Perché non bevi? Non ti piace il caffè?

Giovanni  No, no, va benissimo. (Guarda in­tensamente le tazze, ì piatti, prende una fetta di torta che mastica svogliatamente) Di', mamma... e Mario Sicco?

Anna      Mario Sicco? E' morto in guerra.

Giovanni  E Ludovico il mugnaio?

Anna      Anche lui.  Non se ne è  saputo più niente... Ma non ti piace la torta?

Giovanni  Perché, mamma? E' buonissima.

Anna      Si direbbe che tu la mangi per forza... una volta ti piaceva tanto...

Giovanni  Oh, no, è squisita, proprio. Ma oggi, te l'ho detto, non ho tanta fame.

Anna      Hai freddo ancora? (Quasi supplichevole) Senti, anche se fra poco devi andare, non te lo toglieresti il mantello, almeno per un momento?

Rita       Perché insisti, mamma? Ce l'ha detto che non ha piacere di levarselo...

Anna      (accarezzando un lembo del mantello) Ma sì, bisognerebbe almeno spazzolarlo, è tutto pieno di polvere... Guarda qui questa macchia... Ti costerebbe così poco...

Giovanni  Un'altra volta, mamma. Togliere la polvere non servirebbe, dopo mezz'ora sarebbe lo stesso...

Anna      Un'altra volta!... Chissà quando ritorni adesso... Sempre così, voi soldati. Devi andare lontano?

Giovanni  Tutto dipende da lui, dal capitano.

Anna      Ma non ti ha detto niente?

Giovanni  Niente. E' così taciturno. Io gli chie­do: dove si va signor capitano? Lui fa segno così, con la mano. Arriveremo, arriveremo. E non dice altro.

Anna      Ma è buono con te, o è severo? Ti tratta bene?

Giovanni  Hai visto, mi ha accompagnato ap­posta fin qui. Credo che mi voglia bene...

Anna      Eh, lo so, questo è il destino delle mamme. Ti sei messo a girare il mondo. Chi or­mai ti terrà più. Che ti importa ormai della tua casa?

Giovanni  Se tu potessi sapere, non diresti così, mamma.

Anna      Oh, vi conosco voi ragazzi. Più crescete e meno i genitori vi servono. Alla mamma il mi­nimo indispensabile. Un saluto di dieci minuti, e poi via!  (Con rammarico) Alla mamma però ri­servate tutti i capricci. Scommetto che quando sei con lui (fa segno alla strada) non stai mica così imbacuccato! Tu almeno hai avuto sempre l'arte di farmi stare inquieta.

Rita       (in tono di rimprovero) Mamma!

Giovanni  (il sole si è spento ma l'ombra continua a pendolare all'esterno) Se vuoi proprio che te lo dica, me l'ha ordinato lui.

Marietta (ridendo incredula)  Ti ha ordinato di non levarti il mantello?

Giovanni  Sì, lui ha di queste manie. Alle volte penso che sia un po' superstizioso. Me l'ha ordi­nato. E io devo obbedire.

Anna      Che destino. E' stato il più bel momento della vita quando tu sei comparso là, sulla soglia. Mi sei sembrato la grazia di Dio. Ero così felice, dopo tante pene. E adesso...

Giovanni  Ma perché? Cosa c'è adesso?

Anna      Non so... Tutte queste cose strane. Il mantello che non ti vuoi togliere... il tuo capitano là fuori che non vuole entrare... (Ha un pensiero. Lentamente, in tono molto significativo) Come si chiama questo tuo capitano?

I  Vecchi  Giovanni, perché non vuoi dire quel che hai sotto il mantello? O il nome di quello, il nome di quello con cui devi partire?

Giovanni  Ha un nome difficile, sai? Sarà ri­dicolo, ma non me lo ricordo. A pronunciarlo si fa una fatica!

Marietta (che si è avvicinata alla finestra) Si­gnora Anna, c'è gente.

Anna      (contrariata) Dio mio, proprio oggi.

Marietta Sono già qui... Mi pare che ci sia il sindaco.

Anna      (muovendo verso la porta) Speriamo di no.

Il  Sindaco (entra seguito dal segretario comunale. Il  sindaco  è  sui  50  anni,  tipo  professionale;  si sforza di essere piacevole e cordiale) Dov'è il nostro eroe? Ah, eccolo. (Va incontro a Giovanni) Qua la mano... bravo, bravo giovanotto... Stai bene, bravo... non sei molto grasso ma stai bene... sono proprio contento...   (Rivolto alla signora Anna) Meno male che questa volta ho motivo di ralle­grarmi...  si ricorda,  signora Anna, quell'altra mia visita? Che brutto mestiere il sindaco!  (Torna a contemplare Giovanni) E bravo! Ti sei fatto un bel soldato, Giovanni. Ma perché stai lì tutto in­fagottato nel mantello?

Rita       Sa? E' un po' freddoloso Giovanni, pre­ferisce stare coperto...

Il Sindaco Freddoloso un vecchio montanaro come te? Non ci credo. (Paterno) Ci sarà qualche altro motivo... Ma lo sai che ti avevano depennato? Nel registro di stato civile al tuo posto c'è una bella crocetta. Caduto in combattimento!... Vuol dire che stasera ti facciamo resuscitare... per questo c'è qui il nostro ottimo segretario... non occorrono presentazioni, credo.

Il Segretario   (giovane,  molliccio,  con  occhiali, piuttosto antipatico. Si fa avanti con un piccolo inchino)  Riverisco. Ben tornato, Giovanni.

Giovanni  Ciao, Stefano. Ci si rivede, eh?

Il Segretario (osservandolo, con ironia) Sei vivo, ma piuttosto magretto, caro il mio braccio di ferro. Ti ricordi quando ti chiamavano così? (Gli palpa un braccio attraverso il mantello) Pelle e ossa sei... Sei cambiato, se devo essere sincero, straordinaria­mente cambiato.

Anna      (risentita) E' un po' più asciutto di prima, ecco, un tantino pallido. Lei, segretario, mipare esagerato.

Giovanni (al segretario) Un po' cambiato per forza. Sono pochi quelli che ingrassano in guerra.

Il Segretario  No, non dico la guerra. Sei cambiato nel complesso, voglio dire. Lo sai che mi metti quasi soggezione? (Ride con una certa mali­gnità) Adesso non ce la faresti, eh, una sfida al brac­cio di ferro? Il rammollito Fortini, segretario comu­nale, avrebbe forse qualche chance...

Giovanni  Chi lo sa. Certo io sono un po' stanco.

Anna      (interviene recisa) Signor sindaco, ma chi l'ha avvertita? Come ha fatto a sapere che Giovanni era tornato?

Il Sindaco Io stesso, signora Anna, i miei occhi mortali. Un'automobile forestiera si nota subito da queste parti. E appena l'ho vista fermarsi all'altezza di questa casa mi son detto: vuoi vedere che il giovane Berton è tornato? Io sono curioso, lei lo sa. Sono venuto qui diretto... Poi, le. con­fesso, sono anche un poco avido di notizie. Sto pre­parando un libretto, oh niente di importante, un opuscolo sulla guerra per le tecniche inferiori... sarei venuto lo stesso, si capisce... ma qui c'è un soldato autentico, uno che ha visto e combat­tuto... Eri sul fronte della montagna, vero Giovanni? (Si siede sulla poltrona offertagli).

Giovanni (siede anche lui. Gli altri fanno ala in­torno) Signor sì. Ho fatto undici mesi filati di fronte, senza neppure un giorno di licenza.

Il Sindaco  E della battaglia di Monte Ferro sai niente? Si sono fatte tante chiacchiere su que­sta sciagurata battaglia.

Giovanni  Qualche cosa ricordo, signor sindaco. Noi eravamo proprio sotto la vetta.

Il Sindaco (sorridendo)  Quando ne ho chiesto al colonnello Melandri, il tuo comandante, se non sbaglio, lui si è trincerato, come suol dirsi, in un prudente riserbo. Non c'è stato verso. Non c'è stato verso... Tu allora c'eri?

Giovanni  C'ero anch'io, si capisce.

Il Sindaco  E dimmi, allora:  che cosa è suc­cesso?

Giovanni  Che cosa è successo? E' presto detto. Noi non si aveva quasi più munizioni, si era tutti mezzi congelati... E quelli sono venuti...

Il Sindaco  Qui è il punto oscuro. I testimoni non sono d'accordo. Qualcuno sostiene che la ritirata sia avvenuta prima che il nemico avanzasse.

Giovanni (con grande distacco) Hanno fatto fuoco di preparazione, erano più di cento batterie, ci hanno coperti di rovine. E non si aveva quasi più fiato quando è cominciato l'attacco.

Il Sindaco  Vuoi dire che siete stati travolti? Uno mi ha raccontato che è stato un fuggi fuggi, mi ha detto che sembravate tante lepri.

Giovanni   Dipende, signor sindaco, dipende. Chi è stato travolto e chi no. Era di notte, buio pesto. Ma non direi proprio lepri.

Il Sindaco  I giornali hanno parlato di resi­stenza elastica, ha fatto un'orribile   impressione.

Giovanni  (sorpreso)  Io?  come faccio a dire? Non so più nemmeno io come è finita quella notte.

Il Sindaco (bonario) — Meglio sorvolare? Que­sto vuoi dire?

Giovanni  No, non voglio dire questo. E' che non sono in condizioni di rispondere. Come se a un certo punto non si ricordasse più niente.

Anna      (con inquietudine)  Sa, signor sindaco? Giovanni deve ripartire subito. Forse è un po' ner­voso. Forse è meglio non angustiarlo con questi brutti ricordi...

Il Sindaco  Deve ripartire subito? Non sapevo.

Anna      C'è il suo capitano, fuori, che l'aspetta. L'ha accompagnato apposta fin qui, ma fra poco devono ripartire.

Il Sindaco  Ah già, ho visto, qui fuori sullo stradone, un tipo sconosciuto. Ma voltava le spal­le, non ho potuto vedere la faccia... Mi perdoni, signora Anna, non sapevo... Io parlavo in via acca­demica, per una onesta curiosità, credo. Ho pure un certo diritto, per dir così, come vecchio combat­tente... Se ne sono sentite raccontare tante... Avrei avuto piacere che Giovanni mi spiegasse tutto... Pa­zienza...

Giovanni  Ciascuno dice la sua, signor sindaco, quelli che non c'erano e quelli che c'erano... certo ne sono rimasti parecchi sul Monte Ferro... Più di mezzo reggimento...

Il Segretario (ambiguo) Tu no, per fortuna, e ringraziamo Dio... E poi penso che voi siate te­nuti al segreto militare, vero? E' forse per questo che preferisci tacere? E' di una grandissima utilità alle volte il segreto militare. Uno dice: segreto. E nessuno fiata più.

Anna      Giovanni, non vuoi proprio rispondere?

Giovanni  Ti giuro, mamma, non posso...

Il Sindaco  E la nuova linea, dove si è sta­bilita?

Giovanni (serio) Non ricordo. Non ricordo as­solutamente nulla.

I Vecchi  Giovanni, sei troppo modesto. Di­glielo, diglielo questo: montagne, ghiaccio, fame, pianti, pidocchi, bombe, sterco, schianti,  sonno, urla, paura, venti;  preghiere,  pioggia,  terra  tra i denti. E poi gli occhi per sempre fermi, pace, buio, eternità, vermi.

Anna      Giovanni, scuotiti! (Al sindaco) E' stanco il mio figliolo,  signor sindaco, forse per questo non risponde. E' stanco e frastornato.

Il Segretario  Si capisce. E chi non sarebbe frastornato?...  Sei magro e stanco, Giovanni, ep pure in questo momento ti invidio. Come devi sen­tirti grande al paragone di me, per esempio, non è vero?

Giovanni (estremamente serio) Tu vuoi tentar­mi, Stefano. E' proprio così come dici.

Il Segretario  Vedi? vedi? Ma si può sapere perché non ti levi il mantello?

Il Sindaco  Già. Perché ti tieni sempre il man­tello così stretto?

Anna      Deve ripartire, è per questo. Vero Giovanni che è per questo?

Giovanni  Sì, tra poco devo andare.

Il Segretario (sempre pieno di unzione)  E' una così bella giornata, siamo già in estate si può dire, fa caldo. Tu soffocherai sotto un materasso simile.

Giovanni  Oh, non è mica tanto pesante. Io sto bene così.

Il Segretario  Hai freddo e ti tieni coperto. Fai bene, fai. Non è così?

Giovanni  Ho freddo, sì. Il gelido vento delle montagne mi batte sempre nella schiena. Per il freddo che si prende lassù dicono che non bastino dieci anni di sole.

Il Segretario  Sia pure. Ma la casa paterna ti dovrebbe bastare. Anche i morti si scaldano al fuoco acceso dalla mamma. Dimmi, piuttosto, sii sincero, qui sono tutti amici e ti puoi completa­mente fidare. Che cosa nascondi là sotto? Perché almeno non apri uno spiraglio? Forse perché sei sudicio?

Giovanni (cercando di sorridere) Ho paura che sia proprio per questo, hai indovinato. Mi vergognerei a farmi vedere.

Il Segretario (pensandoci su) No no. Un soldato non si vergogna di essere sporco. La pol­vere e il fango non sono la bandiera del fante? Ti piace scherzare, ecco il fatto. Oppure è perché l'uniforme è tutta stracciata? E con la mamma ci tieni a far bella figura?

Giovanni O, certo, un po' è anche per questo. In verità sono ridotto tutto un brandello.

Il Segretario No,  no. A  pensarci non  può essere neppure per questo. Si è mai visto un soldato che è stato in battaglia nascondere gli strappi dell'uniforme? E poi tu sei sempre stato un giovane disinvolto. No no, non ci credo. Deve essere un altro motivo... Chissà, forse hai qualche cosa di contrabbando?

Giovanni  Sei veramente un indovino, Stefano. Neanche stavolta ti sei sbagliato. (Con sorriso ama­ro) Ho veramente qui con me qualche cosa di proibito... Non, non son diamanti, non oro... Una piccola cosa modesta che mi ha affidato il capi­tano... E non ve la posso far vedere.

Il Segretario  La curiosità è una maligna crea­tura, Giovanni. Più la respingi, più diventa gran­de. Non vuoi proprio accontentarci?...

Giovanni (si alza risoluto)  Ma adesso è ormai tardi... è l'ora di andare. Non vorrei che quello là si spazientisse.

Anna      (ansiosamente)  Giovanni, figlio mio! Sei appena tornato, non ho fatto neanche in tempo a vederti!

Il Segretario Ma sì, Giovanni, un minuto ancora. Accontenta la tua mamma. Starà dormendo nella macchina, il tuo capitano... Accomodati an­cora dieci minuti... e lasciati togliere questo tuo benedetto mantello. (Si avvicina a Giovanni) Fatti finalmente vedere, misterioso soldato, un momen­tino solo!

I  Vecchi  Giovanni, ascolta, ascolta, guardala bene la tua mamma, guardala per l'ultima volta. Guarda la vecchia casa, guarda i muri, l'armadio, guarda i fiori e la polvere, guarda il ragno nel­l'angolo, guarda il fuoco e le ombre. Guarda ne­gli occhi tua sorella, guarda il sole e la mamma, guardali bene, che mai tu più li rivedrai...

Anna      (che finalmente ha udito, con terrore) Chi ha parlato? Chi è stato a parlare?

(Giovanni smarrito arretra verso la porta).

Il Segretario  (facendoglisi addosso) —  Un ab­braccio, Giovanni!... Su su, hai paura di me? (Gli pone le mani sulle spalle, cercando di afferrare i lembi del mantello).

Giovanni  (resistendo) No, Stefano, ti  prego, lasciami, lasciami! E' meglio che non sappiate!

Anna      Ma, segretario, che cosa fa? Lo lasci stare se lui non vuole.

Il Sindaco Fortini, non sia così noioso! Che cosa vuole che gliene importi del suo abbraccio?

Rita       (afferrando il segretario per le spalle cerca di trarlo indietro) Basta, segretario, quante scene inutili!

Giovanni (la cui resistenza sta per cedere) No, no! Te ne pentirai, Stefano!

(Il mantello si è aperto. Il segretario arretra spaventato. E' apparso un intrico di bende insanguinate. Giovanni resta im­pietrito, il mantello leggermente aperto. Silenzio. Poi, acutissima e tragica, la voce della signora).

Anna      Maria Vergine! Ma questo è sangue! Giovanni, figlio mio, che cosa ti hanno fatto?

 Giovanni (con voce già assente) Devo andare, mamma... l'ho già fatto aspettare abbastanza il mio capitano... L'ho fatto aspettare fin troppo. Ciao Rita, ciao Manetta... Mamma, addio, addio!

(Si vol­ta ed esce. Voltandosi espone il petto sanguinolente agli sguardi dei bambini che guardano attraverso le fessure della porta. Poi si allontana a grandi passi).

I Bimbi (terrorizzati) Aaah!

(Pausa. Si odono i passi allontanarsi).

Anna      (lentamente, con voce alterata)  Segretario, perché ha fatto questo? Lo sapevo che doveva fi­nire così...

(Il sindaco e il segretario, borbottando incomprensibili saluti, fanno un inchino e si af­frettano fuori. Silenzio. Si ode il rumore dell'auto che mette in moto. Rita e Marietta sono sulla soglia, immobili, a guardare. La signora Anna rac­coglie da terra la fotografia del figlio, cerca di rimetterla in sesto, amorosamente, e la riappende al posto di prima).

Rita e Marietta (fisse allo stradone) E' salito in macchina... adesso partono... sì, sì... vanno, vanno... Dio, come vanno! (Si ode il rumore dell'auto svanire lontano).

Anna      (dominandosi, con mosse rigide entra nello studiolo, sorprendendo i bambini pallidi e imbaraz­zati, stretti al davanzale della finestra. Precipitosa­mente essi riprendono i loro posti e fissano ansiosi la signora. Allora, lei, con voce profondamente diversa e con desolazione tutta contenuta)

Che cosa c'è? Si può sapere che cosa avete?

(China un attimo il capo, quasi sopraffatta. Si riprende, annuncia) Un po' di dettato... Su, i quaderni a posto!... Le pen­ne! Siamo pronti?

(Aspetta che i bimbi si siano preparati. Meccanicamente, senza guardarlo, pren­de un libro e lo apre a caso. Lentamente comincia a dettare) « ... e la principessa Leonora... pianse... tre giorni... e tre notti... (i bimbi scrivono con im­pegno) ... ma da allora... tutte le sere... ».

F I N E