Il matrimonio discorde

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IL MATRIMONIO DISCORDE

di Carlo Goldoni

Farsetta per Musica a quattro voci del Signor Avvocato Carlo Goldoni da rappresentarsi nel

Teatro dell'Illustrissimo Signor Cesare Capranica nel Carnevale dell'Anno . Dedicata

all'Ill.ma ed Ecc.ma Signora, la Sig. Principessa D. Giulia Augusta Albani Chigi.

PERSONAGGI

DON IPPOLITO Cittadino benestante.            Il Sig. Carmine Bagnano Napolitano.

DONNA FLORIDA di lui Moglie.                   Il   Sig.   Gio.   Toschi   da   Camerino,   Virtuoso

dell'Ill.ma ed Ecc.ma Sig. Principessa D. Giulia

Augusta Albani Chigi.
IL MARCHESE BIZZARRO                           Il Sig. Pietro Santi d'Ancona.

LA SANDRA Campagnuola.                            Il Sig. Francesco Liberati da Osimo.

GRILLO Servitore che non parla.

La Scena si rappresenta in un casino di campagna di Don Ippolito.

La musica è del Sig. Raimondo Lorenzini Maestro di Cappella Romano.

Pittore e Inventore delle Scene: Il Sig. Giuseppe Aldobrandini.

Inventore degl'abiti: Il Sig. Lazzaro Grondona

PARTE PRIMA

Donna Florida alla tavoletta.

Gran miseria d'una sposa, Che ha il marito cacciatore! Si alza presto, e dormigliosa La condanna a star da sé. Non la guarda appena in faccia, Favellar non sa d'amore; E più stima un can da caccia Di una donna come me.

Ah mi querelo e mi tormento in vano!

Don Ippolito certo ha del villano.

Appena appena si vedea stamane

Della nascente aurora

Spuntare il primo lume,

Lo scortese balzò fuor delle piume.


Eccolo che or ritorna;

Sarà al solito stanco e affaticato.

Chi sa quanto ha sudato,

Ora al monte, ora al piano, a sol scoperto!

Per la sua moglie nol farebbe al certo.

Don Ippolito da cacciatore, e la suddetta.

IPP.

Oh bel piacere! oh bel piacer la caccia!

FLOR.

Bene. Buon pro vi faccia.

Prendete avanti di sì bel contento,

E andate sempre a contrastar col vento!

IPP.

Mi corico alle due;

Ci sto sino alle dieci; e vi par poco?

FLOR.

Ma chi puole alle due cacciarsi in letto?

IPP.

Chi può starci, qual voi, fin mezzodì?

FLOR.

Vien la conversazione, e fin che dura,

Farle conviene un trattamento onesto.

IPP.

La mia conversazion finisce presto.

FLOR.

Sempre colle villane.

IPP.

E voi coi cavalieri.

FLOR.

Avvilirvi cotanto è una vergogna.

IPP.

Voi vi alzate assai più che non bisogna.

FLOR.

Io fo onore alla casa.

IPP.

Oh il bell'onore!

Vi burlano, sorella.

FLOR.

Oh! voi deriso

Siete assai più di me.

IPP.

Ognun pensi a se stesso.

FLOR.

Ognun per sé.

IPP.

Poco non è ch'io lasci

Che facciate, signora, a modo vostro,

Poco non è ch'io taccia;

Ma lasciatemi almeno andare a caccia.

Lasciatemi ch'io possa

Divertirmi la sera

In queste nostre amabili campagne

Colle villane a pappolar castagne.

Vuò levarmi di buon'ora

La mattina, sì signora,

Voglio andarmi a solazzar.

Corri qua; salta là;

Ferma, guarda, tira, bu.

Va, Melampo, piglia su.

E la sera colle belle

Vezzosette villanelle

La fatica ristorar.

Un poco ballare - un poco cantar.


(parte)

FLOR.                           Canti, balli, alla caccia

Vada il consorte mio;

Se a suo modo vuol fare, io faccio al mio.

Più volte abbiam provato

Unirci in opinione, ed è tutt'uno.

Sposate ha ciascheduno

Le opposizioni sue;

E ostinati, a dir ver, siam tutti due.

Grillo e la suddetta

GRI.                              (Fa la sua riverenza, e si accosta per dire)

FLOR.                           Qualche visita? Bene:

Avrò sodisfazione.

Venga il signor Marchese; egli è padrone.

(Grillo parte)

Onora la mia casa, e mio marito

Pratica sol villani. In questa nostra

Lunga villeggiatura,

Solo per cagion mia si fa figura.

Il Marchese Bizzarro e la suddetta.

MAR.

M'inchino a donna Florida.

FLOR.

Serva, signor Marchese. (con un inchino)

MAR.

Sempre bella e gentil, sempre garbata.

FLOR.

Sempre sua serva. (inchinandosi)

MAR.

(È sempre caricata).

FLOR.

Ha riposato bene?

MAR.

Anzi benissimo:

Meglio mi ha fatto riposare assai

Quel che al gioco ier sera io guadagnai.

FLOR.

Furono sei zecchini.

MAR.

Mi dispiace.

D'averli vinti a lei.

FLOR.

Mi maraviglio;

Pena di queste cose io non mi piglio.

Perdere sei zecchini

È avvantaggio per me non sì leggero,

Guadagnando il favor d'un cavaliero.

MAR.

Obbligato davver me le professo.

(Procurerò di favorirla spesso).

FLOR.

Ora, se si compiace,

Una grazia vorrei, signor Marchese.

MAR.

Comandi pur.


FLOR.

Vorrei,

Se disturbo soverchio io non le reco,

Che oggi restasse a desinar con meco.

MAR.

Un generoso invito

Non si può ricusare.

(Per queste grazie non mi fo pregare).

FLOR.

Lo so che non son degna

Di trattar un marchese.

MAR.

Voi siete sì cortese,

Siete gentil cotanto,

Che avete, in ver, di principessa il vanto.

FLOR.

Certo, per dir il vero,

M'è venuto in pensiero,

Misurando col cuor la mia fortuna,

M'abbiano i genitor cambiato in cuna.

MAR.

Lo dubito ancor io; chiaro si vede,

In quella fronte ed in quel ciglio altero,

Che vostra madre non ha detto il vero.

FLOR.

Se per mia buona sorte

Un discreto consorte avessi almeno,

Potrei far col mio spirto altra figura!

MAR.

(Che bella original caricatura!)

FLOR.

Adattarmi non posso

A trattar gente vile.

MAR.

Un animo gentile

Non so come trar possa

In abbietto villaggio i giorni suoi.

Come fate a star qui?

FLOR.

Ci sto per voi. (dolcemente)

MAR.

Per me?

FLOR.

Sì, Marchesino.

La vostra nobiltade, il grado vostro,

Il vostro spirto d'eroismi adorno,

Piacevole mi rende il mio soggiorno.

MAR.

Troppo gentil, troppo obbligante.

FLOR.

In grazia,

Perdonate; ora torno.

Deggio avvisare il cuoco,

Lo scalco, il maggiordomo, il credenziere,

Che oggi abbiamo alla mensa un cavaliere.

Perdonatemi adunque

Se per poco da voi mi ho da dividere.

MAR.

(Mi vuol fare costei crepar di ridere).

FLOR.

Signor Marchese, fo riverenza;

La mi perdoni, ritornerò. Gli vorrei dire, con sua licenza, Certa cosetta... gliela dirò. Mi piace tanto quel trattar nobile, Quel vezzo amabile, quell'occhio mobile... Non vorrei perdere - la libertà.


Serva umilissima, ritorno subito. Che bella grazia! che nobiltà! (parte)

MAR.                            Bella, bella davvero, arcibellissima!

Donna deliziosissima, All'estremo del buon tanto s'accosta, Che per farsi burlare è fatta apposta. Vuol ch'io pranzi con lei? si pranzerà. Sarebbe inciviltà Non accettar sì bella cortesia, Non goderla sarebbe una pazzia. Ella ha il catarro in testa Di non voler trattar con i suoi pari; E a forza di denari, E a forza ancora d'essere schernita, Vuol essere servita da un marchese; Ed io godo il buon tempo alle sue spese.

Donne care, se bramate Ch'io vi serva, eccomi qui. Io con tutte fo così, Non mi lascio infinocchiar. Servitù quanta volete: Vi dirò che bella siete: Sarò pronto a sospirar. Ma gl'inchini Coi zecchini Me li avete da pagar.

(parte)

Don Ippolito e la Sandra

IPP.                               Venite qui, venite;

E non abbiate mica soggezione:

Che, alfin, di questa casa io son padrone.

SAN.                             È ver, ma la signora

Pratica cavalieri, E so che non mi vede volentieri.

IPP.                               Eh, lasciatela dire.

So che la mia signora

Vuol dar questa mattina alle mie spese

Da pranzo ad un marchese.

Vuò che voi ci venghiate in compagnia,

E anch'io voglio goder la parte mia.

SAN.                             Signor sì, ci verrò,

Che paura non ho de' brutti musi.

Contadina son nata,

Ma sono al par di lei donna onorata.

IPP.                               E per tale vi tengo, e più vi stimo,


Voi altre contadine,

Delle nostre superbe cittadine.

SAN.                             Almeno ci vedete

Se siamo brutte o belle:

Noi non sappiamo colorir la pelle.

Noi non tiriamo in su...

Per comparir di più,

E coperta tenghiam la robba nostra,

Perché vendere vuol chi fa la mostra.

IPP.                               E spesso poi si compra

Per vitella mongana Carne di qualche bestia poco sana.

SAN.                             Vado del vostro invito

A dirlo a mio marito.

IPP.                                                                 Eh non importa.

SAN.                             Importa, signor sì:

Da noi si fa così.

Non come fan le vostre mogli belle, Che a dispetto dell'uom comandan elle. E voi altri babbei di maritati, In vece di dar loro delle botte, Tacete e state lì, come marmotte.

La pecorella al prato Coll'agnellin sen va: Coll'agneIlino allato, Non usa infedeltà. Ma sola per il campo Lasciata in libertà, La pecora lo scampo Dal lupo non avrà. (parte)

IPP.                               Dice bene la Sandra, dice bene:

Mia moglie è un'agnellina, Ma se sola sen va per i dirupi, Un qualche dì non fuggirà dai lupi. Eccola col Marchese. Non la voglio trattar con villania; Stiamo in pace per oggi, e in allegria.

Donna Florida, il Marchese Bizzarro ed il suddetto.

FLOR.

Marito, oggi ci onora

Il marchese Bizzarro.

MAR.

Ospite sono

Favorito da lei.

IPP.

Me ne consolo. (al Marchese)

MAR.

Tutta vostra bontà. (a don Ippolito)

FLOR.

Usategli un po' più di civiltà. (a don Ippolito)


Siete pur grossolano.

IPP.

Oh quest'è bella!

Voi l'avete invitato, io son contento.

Che? c'è bisogno d'altro complimento?

MAR.

Dice bene il signore. (a donna Florida)

FLOR.

Dice male.

Vossignoria mi scusi:

Ei della civiltà sa poco gli usi. (al Marchese)

IPP.

Voi ne sapete assai. (ironico, a donna Florida)

FLOR.

Con vostra pace,

D'insegnarvi a trattar sarei capace.

MAR.

Dice ben la signora. (a don Ippolito)

IPP.

Dice male.

Vossignoria perdoni. (al Marchese)

MAR.

Ciaschedun ha di voi le sue ragioni,

Ma per me non le usate.

Fra di voi ritornate in armonia:

Pace, pace, signori, in grazia mia.

IPP.

Io non mi sdegno mai.

FLOR.

Donna più placida

Non si trova di me.

IPP.

La quiete io bramo.

FLOR.

Amo il consorte mio.

IPP.

La moglie io amo.

MAR.

Bravi, bravi davvero.

Oggi goder io spero i dolci effetti

Della vostra virtù.

Griderete fra voi?

IPP.

Mai più.

FLOR.

Mai più.

MAR.

Questo è quel che mi piace.

(Almen per oggi che si mangi in pace). (da sé)

FLOR.

Doman, prima del giorno

Mi lascerete voi? (a don Ippolito)

IPP.

Voi questa sera

Vi farete aspettar?

FLOR.

Presto verrò.

IPP.

Fin che volete in casa resterò.

MAR.

Bravi, bravi davvero.

FLOR.

Mai più guerre fra noi.

IPP.

Mai più contese.

FLOR.

Sposo mio di buon cor!

IPP.

Moglie cortese!

Quell'amor che il primo dì

Per voi, cara, mi ferì,

Torni in petto - il mio diletto

Più felice a ravvivar.

FLOR.

Quel desio che fin d'allor

Nel mio seno impresse amor,

Più vivace - la mia pace


Deh mi faccia un dì provar.

MAR.

Cari sposi, ah nell'udir

Tali accenti a proferir,

Vengo meno; - nel mio seno

Voi mi fate liquefar.

a tre

Pace, pace, dolce amore

Fa il mio core - giubbilar.

IPP.

Andiam, signor Marchese,

Andiam a desinar.

FLOR.

Un poco più cortese. (a don Ippolito)

Ci venga ad onorar. (al Marchese)

MAR.

Andiamo, se vi piace.

a tre

E che si viva in pace.

Mai più s'ha da gridar.

La Sandra e detti.

SAN.

Schiavo, signori.

IPP.

Bene arrivata;

Siete aspettata.

FLOR.

Che cosa vuoi? (a Sandra)

IPP.

Viene con noi. (a donna Florida)

FLOR.

Viene a che far? (a don Ippolito)

IPP.

Per desinar. (a donna Florida)

SAN.

Fatto l'invito

M'ha suo marito. (a donna Florida)

FLOR.

(S'ha un torto simile

Da sopportar?) (da sé)

MAR.

(L'acqua s'intorbida

Per il mangiar). (da sé)

SAN.

Che? Non si degna? (a donna Florida)

IPP.

Che? Non volete? (a donna Florida)

FLOR.

No che non voglio.

MAR.

(Cresce l'imbroglio).

IPP.

Ci ha da venire. (a donna Florida)

FLOR.

Non ci verrà.

IPP.

L'hai da soffrire.

FLOR.

Questo non già.

MAR.

}

Fra lor si scaldano.

Fra lor s'accendono: a due

Che mai sarà?

FLOR.

Temeraria, via di qua. (a Sandra)

SAN.

Ehi, parlate come va.

FLOR.

Villanaccia.

SAN.

Superbaccia.

MAR.

}

Deh cessate;

Deh lasciate: a due

Non facciam pubblicità.

FLOR.

Vuoi andare? (a Sandra)


SAN.

FLOR.

SAN.

MAR. IPP.

FLOR.

IPP.

MAR.

a quattro

FLOR.

SAN.

FLOR.

SAN.

a due

MAR.

IPP.


} adue } adue

}

a due


Ci vuò stare. (a donna Florida) Disgraziata. (a Sandra) Malcreata. (a donna Florida) Deh tacete,

Se potete,

Che la cosa finirà. (Si sospenda il desinare,

Che pensare - si potrà). (Già me l'ero immaginato: Desinare, sei andato). Mi vien certa volontà.

Ma... no... sta... (rabbiosi) Villanaccia. Superbaccia. Disgraziata. Malcreata.

Mi vien certa volontà... Deh tacete, se potete,

Che la cosa finirà.



PARTE SECONDA

Donna Florida ed il Marchese

MAR.

Placatevi, o bella,

Calmate il furore.

FLOR.

È una bestia, è una bestia, signore.

MAR.

Dite a me?

FLOR.

M'hanno stordito.

È una bestia mio marito,

E con lui non ci sto più.

MAR.

Deh placatevi, o bella.

FLOR.

Mai più.

MAR.

(Mi spiacerebbe assai

Di quella divisione.

Non potrebbe più far conversazione).

FLOR.

Voglio assolutamente

Separarmi da lui.

MAR.

Ma poi, signora,

Come farete voi,

Senza il marito e le sue grosse entrate,

La figura e lo scialo che ora fate?

FLOR.

Dite bene, Marchese, in verità:

Non so come anderà. Ma certamente

Non vuò mettermi a rischio un'altra volta

Che quella testa originale e strana

Mi conduca sugli occhi una villana.

MAR.

Ora mi viene in mente...

Vuò servirvi davvero come va.

Vostro marito, affé, si cangierà.

FLOR.

Come pensate far?

MAR.

Metterlo a segno

Spero con un pochino di paura.

Ora vado a drittura a prepararmi.

FLOR.

Marchesino, pensate a vendicarmi.

MAR.

E poi?...

FLOR.

E poi non so...

Di questo cor non vi mettete in pena.

MAR.

(Bastami qualche pranzo e qualche cena). (parte)

FLOR.

Mettermi a fianco una villana? a me

Che posso stare a tavola d'un re?

E posso col mio spirito

E colla gentilezza

Farmi servir da un principe d'Altezza?

No; certo, mio marito

Di venire con me non è più degno.

Il Marchese ha l'impegno


Di renderlo ben ben mortificato. Marito indecoroso! Omo mal nato!

Dell'ingiusta ingrata sorte Voglio i torti vendicar. Se morisse mio consorte, Mi vorrei rimaritar... Un marchese?... Non mi basta; Qualche duca?... È poco ancora. Ah mi piace e m'innamora Il sentirmi a titolar: «Serva umilissima Di vostr'Altezza». La mia bellezza Mi fa sperar. (parte)

Don Ippolito

IPP.

Oh cospetto di Bacco!

Non posso in casa mia

Condur chi voglio! e mi ha da comandare

La moglie dottoressa?

Questo non sarà mai:

Vuò fare a modo mio,

E i calzoni li voglio portar io.

Se finora ho taciuto

E l'ho lasciata fare, in avvenire

Dovrà starsene bassa, ed obbedire.

Alfine io son chi sono.

E intendere mi fo, quando ragiono.

Il Marchese travestito, con baffi, ed il suddetto.

MAR.

Ehi. Buon giorno.

IPP.

Chi è lei?

Che vuol da' fatti miei?

MAR.

Una parola.

Venga Vossignoria.

IPP.

(Brutta fisonomia! Che mai vorrà?)

MAR.

E ben?

IPP.

Che cosa vuol?

MAR.

Venite qua.

IPP.

Parli, che non son sordo.

MAR.

Io da lontano

Parlar non vuò. Venite a' cenni miei.

IPP.

Scomodar si potrebbe ancora lei.

MAR.

Giuro al cielo; vedremo


Se venir vi farò. (minacciandolo)

IPP.

La non si scaldi.

Per due passi di più, si potrà fare.

(Io non ho voglia di precipitare).

Eccomi: cosa vuole?

MAR.

Avete moglie?

IPP.

Signor sì, per disgrazia.

MAR.

Avete seco

Altercato, conteso?

IPP.

In casa mia

Come ci vuol entrar Vossignoria?

MAR.

C'entro, perché di lei

Parente, amico e protettore io sono,

E a lei dovete domandar perdono.

IPP.

Io perdono? di che?

MAR.

D'averla offesa.

IPP.

Ma se nella contesa

Ho ragione, signor, che me ne avanza!

MAR.

Men parole, vi dico, e men baldanza.

Venga qui donna Florida. (al Servo)

Voi chiedete perdono alla consorte,

O questa spada vi darà la morte.

IPP.

Ma signore...

MAR.

Tant'è,

Avrete a far con me.

Se restio vi vedrò,

Ora colle mie man vi ammazzerò.

IPP.

(Povero disgraziato!

Ho da essere ammazzato?

Ho da chieder perdono a quell'ardita?

Non so che dir: preme salvar la vita).

MAR.

Eccola: preparate,

Per placarla, di cuor un complimento.

IPP.

(Maledetta!... costui mi fa spavento).

Donna Florida e detti.

FLOR.

È lei che mi domanda? (al Marchese)

MAR.

Sì signora.

Son qui per vendicar le vostre offese.

FLOR.

Grazie alla sua bontà. (Bravo Marchese!)

IPP.

(Mi vien voglia di darle

Un pugno nella testa).

MAR.

A voi: chiedete (a don Ippolito)

Alla sposa sdegnata umil perdono:

O che vi passo il cor, da quel ch'io sono.

IPP.

E voi coraggio avete

Di ricever da me simile offizio? (a donna Florida)

FLOR.

Imparate a trattar con più giudizio.


IPP.                               (Arrabbio di dispetto). (da sé)

MAR.                            Presto, vi dico, o che vi passo il petto.

IPP.                               Adagio, per pietà; sì, lo farò.

Ma che mai ho da dir? mi proverò.

Illustrissima signora, Moglie mia (per mia malora), Son dolente, son pentito... (Perché son di te marito). (Sdegnato il Marchese lo minaccia) No... davver pentito sono. Illustrissima, perdono. In ginocchio? eccomi qua. Compassion, per carità. (Verrà un giorno anche per me). (piano a donna Florida) Ho fallato, così è. Il perdono a me si dà? (s'alza) Oh che grazia, oh che bontà! (parte)

MAR.                            Che ne dite? va ben?

FLOR.                                                             Non può andar meglio.

Gli ricorderò sempre, Quando meco facesse il bell'umore, Il parente, l'amico, il protettore.

MAR.                            Ora è bene atterrito;

Ma alla fine è marito, Conviene rispettarlo; Voglio io stesso placarlo: Mi levo i baffi e lo straniero arnese.

FLOR.                           Mi raccomando a voi, signor Marchese.

MAR.                            Sì sì, non dubitate:

Basta che comandiate. In ogni caso Sarò pronto a servirvi: Correrò, se bisogna, anche la posta. Per le donne servir son fatto apposta.

Son cavalier che armato Va per il sesso imbelle; Son delle donne belle Valido difensor. Con chi mi vuole irato, So fulminar lo sdegno; Con chi mi vuol placato, So praticare amor. (parte)

FLOR.                           Quanto sarei felice,

Se avessi per marito o per amante Un valoroso cavaliero errante. Uno che mi dicesse, Per esempio, così


Come diceva Don Chisciotte un dì:

«Vezzosa Dulcinea,

Mia sovrana, mia dea, mio sol, mio nume,

Ardo come farfalla intorno al lume.

Pende dagli occhi vostri il mio destino.

Pera chi non vi onora,

Cada chi non v'adora.

Provi il furor, lo sdegno,

Chi a voi non dà della bellezza il regno.

Due vaghissime stelle

Vi fanno la regina delle belle».

Se mi dicesse poi:

«Bella tiranna mia,

Moro per vostro amor.

Pena fra pene il cor;

Chiedo da voi pietà»;

Io gli risponderei:

«No, che non son tiranna.

Sento pietade anch'io;

Il tenero cuor mio

Pace negar non sa». (parte)

La Sandra e don Ippolito

IPP.

È partita?

SAN.

È partita.

IPP.

Non mi averà veduto.

SAN.

Siete stato celato

Dietro di quel portone;

Ma voi siete, davvero, un bel poltrone.

IPP.

Mi fa un po' di timore

Un certo protettore, o sia parente.

SAN.

Per quel che vedo, non sapete niente.

Ma io v'informerò,

Che so tutta la cosa come andò.

IPP.

Del forastier coi baffi?

SAN.

Poverino!

Coi brutti baffi, e con quel brutto arnese,

Lo sapete chi è? Il signor Marchese.

IPP.

Il marchese Bizzarro?

SAN.

Quello, quello.

IPP.

Lo sapete di certo?

SAN.

Sì signore,

Che me l'ha confidato il suo fattore.

IPP.

Oh corpo della luna!

A me una tal bravata?

Farmi alla moglie mia chieder perdono?

Se vendetta non fo, non son chi sono.


SAN.                             Come volete far?

IPP.                                                            Restate qui,

Che ritorno a momenti.
SAN.                                                                 Signor sì.

Averò gusto anch'io

Di veder vostra moglie

Un po' mortificata,

Perché anch'io sono stata strapazzata.
IPP.                               Restate qui, vi dico:

Trattenetevi un poco,

Vedrete un bel gioco.

A questa prosuntuosa, superbaccia,

Voglio render, affé, pan per focaccia. (parte)
SAN.                             Oh questi cittadini

Che dicono di noi, per quel ch'io veggio,

Con tutti i lor denar stanno anche peggio.

Non si contentan mai. Le genti basse

Procurano innalzarsi,

Vorrebbe ciascun nobilitarsi.

La signora chiamata

Vuol esser l'Illustrissima,

Poi l'Eccellentissima,

Prenderebbe dell'Altezza ancora;

Ma poi per sua malora,

Fatto de' capitali un bel consumo,

Va l'arrosto perdendo, e resta il fumo.

Vanarelle, che solete Comparir più che non siete, Fate rider la brigata; Ciaschedun vi burlerà. E la povera villana Che di tutto si contenta, Non v'è dubbio che si senta Malmenar di qua e di là.

(si ritira)

Don Ippolito travestito.

IPP.                               Sì sì, non vi partite: (incontrandosi colla Sandra)

Statevi ritirata in questo loco, Che all'occasion vi chiamerò fra poco. Ah, vuò un poco vederla Con questo bell'umore Che oggi mi ha fatto la soverchieria, Se mi riesce di far la parte mia. Ecco la signorina, Ed è sola; vorrei Che ci fosse con lei quel bel signore


Che sa fare sì ben da protettore.

Donna Florida ed il suddetto.

FLOR.

(Chi è mai questa figura?) (arrestandosi)

IPP.

(Principia aver paura). (da sé)

FLOR.

(Non lo conosco affé).

IPP.

Ehi, dico. (a donna Florida, alterando la voce)

FLOR.

Mio signor.

IPP.

Presto; da me.

FLOR.

(Se ci fosse il Marchese!) (da sé, con timore)

IPP.

A chi dich'io?

Qua dovete venir quando v'invito.

FLOR.

(Ah se almeno ci fosse mio marito!) (da sé)

IPP.

Presto.

FLOR.

Cosa volete?

IPP.

Siete voi maritata?

FLOR.

Signor sì.

IPP.

Il marito com'è?

FLOR.

Così e così.

IPP.

Dite la verità.

FLOR.

Quand'ho da dire,

Quel mio marito non si può soffrire.

Malcreato, villano, è un animale.

IPP.

Non voglio che di lui si dica male.

So che l'avete offeso

Con troppa tracotanza,

E chieder gli dovete perdonanza.

FLOR.

Io, signore?

IPP.

Voi stessa;

E se non si farà quel che dirò,

Cospetto, cospetton, v'ammazzerò.

FLOR.

Oh poverina me... Signor Marchese,

Venite, presto, presto. (verso la scena)

IPP.

Venga, che anche per lui preparo il resto.

Il Marchese ne' suoi abiti, e detti.

MAR.

Che vuol dir, mia signora?

FLOR.

Oimè, colui

Vuole ch'io faccia...

IPP.

Voglio

Che faccia a modo mio; voglio che chieda

Perdono a suo marito;

E chi sarà sì ardito

A sconsigliar di farlo,

Cospetto, cospetton, voglio ammazzarlo.


MAR.

(Non mi sento per ora). (da sé)

Su via, cara signora,

Mostratevi compita e generosa.

Finalmente non è poi sì gran cosa.

FLOR.

E voi, signor Marchese,

Mi consigliate a farlo?

MAR.

Vi consiglio

Pel vostro bene (e per il mio periglio).

IPP.

Subito, immantinente;

Umile, riverente,

Vi abbasserete a lui?

FLOR.

Certo... non so...

IPP.

Vi abbasserete voi? (mostrando la spada)

FLOR.

Mi abbasserò. (tremando)

MAR.

Sì signor, lo farà, non dubitate.

(Voi avete paura). (a donna Florida)

FLOR.

(E voi tremate). (al Marchese)

IPP.

Ma ancora non mi basta:

Voglio che desinate stamattina

Con Sandra contadina.

FLOR.

Oh questo no...

IPP.

Desinerete voi? (mostrandole la spada)

FLOR.

Desinerò. (tremando)

MAR.

Sì signor, sì signor, non minacciate.

(Voi avete timor). (a donna Florida)

FLOR.

(Voi non burlate). (al Marchese)

IPP.

Ora verranno qui

La Sandra e don Ippolito.

Fate quel che comando, io qua mi celo:

Voglio starvi a vedere, e quando poi

Non si faccia così, poveri voi. (li minaccia con la spada, e parte)

FLOR.

Sì signor, si farà.

MAR.

Si farà tutto.

FLOR.

(Acchetarsi convien).

MAR.

(L'impegno è brutto).

FLOR.

Ma voi, che così ardito

Foste con mio marito,

Ora mostrate tanta codardia?

MAR.

Codesto bravo non si sa chi sia.

FLOR.

E umiliarmi dovrò?

MAR.

Vi vuol pazienza:

Non siate pontigliosa,

S'egli ha fatto con voi la stessa cosa.

Don Ippolito ne' suoi primi abiti, Sandra e detti. Mentre si fa il ritornello, s'avanzano.

IPP.                                           Riverisco lor signori;

Mi ha mandato un certo tale, Per quel tal cerimoniale


Che fra noi s'ha da passar

SAN.

Ancor io fo riverenza; Mi ha mandato quel signore Per ricever quell'onore Che la dama mi vuol far.

MAR.

Via, signora, prontamente Rispondete al dolce invito; Alla donna ed al marito Fate quel che s'ha da far. (a donna Florida)

FLOR.

Così vile sarò io? Ah non posso, ché mi sento Una smania ed un tormento Che non posso più parlar.

IPP. SAN.

} adue

Ehi signore, venga qui. (verso la scena)

FLOR. MAR.

} adue

Si farà, non lo chiamate.

IPP. SAN.

} adue

Presto via. (a donna Florida)

FLOR.

Com'ho da far?

MAR.

Dica quel che dico io: Ecco qui, marito mio...

FLOR.

Ecco qui, marito mio...

MAR.

Che davver pentita sono.

FLOR.

Che davver...

MAR.

Pentita sono.

FLOR.

Ah! pentita sono.

MAR.

Ed a voi chiedo perdono.

FLOR.

Questo no.

IPP. SAN.

} adue

Venga qua. (verso la scena)

FLOR. MAR.

} adue

Aspettate, si dirà.

MAR.

Ed a voi chiedo perdono.

FLOR.

Chiedo perdono.

IPP.

A chi?

MAR.

A voi. (a don Ippolito)

FLOR.

A voi. (a don Ippolito)

IPP.

} adue

Non importa, se non viene, (verso la scena)

SAN.

Che va bene fino a qui.

FLOR.

È finita? (al Marchese)

MAR.

Certo.

IPP.

Oibò. E la Sandra?

FLOR.

Oh questo no.

IPP. SAN.

} adue

Favorisca di tornare. (alla scena)

FLOR.

} adue

Non lo state a incomodare,

MAR.

Che ancor questa si farà.


FLOR. MAR.


Che ho da dir? che ho far? (al Marchese) Voi m'avete a seguitar:


FLOR.

MAR.

FLOR.

IPP.

SAN.

FLOR.

MAR.

a quattro

FLOR. IPP.

FLOR.

IPP.

MAR.

FLOR.

MAR.

FLOR.

IPP.

FLOR.

IPP.

FLOR.

IPP.

SAN.

MAR.

IPP.

SAN.

FLOR.

MAR.

a quattro

IPP.

FLOR.

IPP. MAR. SAN. a quattro


} adue } adue

}

a due

}

a due


Ad un piccolo convito... Ad un piccolo convito... Sandra mia, con noi v'invito. Non lo posso pronunziar.

Venga, venga, mio signore. (verso la scena)

Non lo state a incomodar.

Su, si vada in compagnia, Che staremo in allegria; E mai più s'ha da gridar. Basta ancora? (a don Ippolito)

Non signora, Questa man s'ha da baciar. Quella man?

L'ho da chiamar? Via, baciate. (a donna Florida)

Signor sì. In ginocchio.

Questo no. Venga, venga. (alla scena)

Eccomi qui. (s'inginocchia) Signor sì, Che così

Colle donne s'ha da far. Lo faceste ancora voi. Il Marchese Coll'arnese

E coi baffi ah ah ah. (ridendo) Ma v'ho fatto un po' tremar. E quell'altro suo fratello... Don Ippolito era quello. M'ho lasciata corbellar. Ora tutti siam del par. Che si vada in compagnia, Stiamo tutti in allegria; E mai più s'ha da gridar. Voi verrete a casa presto? (a donna Florida) Non lo so.

Voi starete in casa tardi? Questo no.

Non vi state a provocar.

Ciascun faccia come vuole, Se accordarsi non si puole. Non si senta più a gridar. Che si vada in compagnia, Stiamo tutti in allegria; Che si vada a desinar.



Il Fine.