IL MATRIMONIO
MONOLOGO TEATRALE DI GIULIANO MANGANO
Che il matrimonio sia una cosa seria non ho alcun dubbio. Per questo mi sto preparando in modo scrupoloso. Sotto ogni punto di vista.
Ho dunque compiuto i venticinque anni con una certa tranquillità. Sicura che quel che dovevo fare l’ho fatto. E quel che mi rimane da compiere va affrontato con meticolosità. Senza improvvisazioni.
Ho amato. Sono stata amata. Ho dato. E sono stata ricambiata.
Così mi sento pronta al matrimonio.
Rimane, per altro, da scegliere l’uomo giusto. Il problema, in ultima analisi, è quello di capirsi reciprocamente. Con ciò apparirebbe tutto meno difficoltoso. Perchè se prima il non comprendersi (tra me ed il mio partner ) comportava una lacrima, un rimorso, uno svenimento, adesso significherebbe la distruzione di una vita. Come se un’intera impalcatura si sprofondasse, senza motivo, per terra.
Insomma, è giunto il momento in cui alla società verrò presentata come " questa è mia moglie " e non semplicemente " la mia ragazza ".
Ciò implica naturalmente maggior rischio.
Sacrifici alquanto diversi da come ero abituata a sostenere. Ma la posta in gioco è senz’altro degna del nuovo impegno, del nuovo ruolo.
Ne vale la pena.
Calcolando approsimativamente il guadagno che ne ricaverò, ho dalla mia circa il settanta, ottanta per cento di vantaggio. Sicuramente il restante venti per cento, decisamente contrario al mio matrimonio, è di ordine prevalentemente ideologico - romantico. E può per ciò stesso essere sacrificato.
E’ chiaro: dovrò rinunciare ad alcuni interessi spirituali - chiamiamoli così - che fino ad ora sono stati i princìpi motori del mio agire e del mio pensare. Innanzitutto le libertà insopprimibili dell’animo umano, la giustizia sociale ( non posso dimenticare d’appartenere ad una modesta famiglia d’operai ), la parità di diritti tra uomini e donne. E via discorrendo.
Ma la mia ascesa sociale attraverso l’istituzione del matrimonio, comporta appunto la rinuncia a questo venti per cento. Di più, a volte pure lo esclude. Categoricamente.
Sposarmi è evidentemente in contrasto col mio diritto ( teorico, tengo a sottolinearlo ) di vita e di libertà. L’ottanta per cento del ricavato compensa, a oltranza posso ben dire, la rinuncia a fedi ideologiche per nulla immutabili e universali.
Lavoro in uno studio di pubblicità, per la parte grafica. Ma mi sento portata verso traguardi più ambiti, se avessi un po’ più di fortuna. Certa, d’altra parte, che quest’ultima bisogna andarsela a scovare, guardo al matrimonio con comprensibile trepidazione.
Un buon matrimonio costituirebbe un passo avanti, e del tutto rispettabile, nei miei progetti.
Si tratta, per finire, di cercare l’uomo. Come ho già detto.
Così ho deciso che devo sposarmi.
*** ***
" Possiamo divorziare noi per incompatibilità di carattere?"
L’ho chiesto ieri sera a Gianni.
Mi ha fissato con un’aria sciocca. Ebete. Poi ha esclamato, stupidamente: " Sei affascinante quando parli di cose serie. Divina."
Mi sono adirata. Ma non molto palesemente.
Lo sa che non posso soffrire questi momenti di intimità così assurdi. Non servono a nulla, privatamente.
Bisogna risparmiarseli per quando siamo con gli amici.
Ha fatto l’aria di non capire.
" Certo, dobbiamo consocerci di più, più approfonditamente, prima di sposarci."
" Certo " ha ripetuto papagallescamente.
Incomincio a dubitare. Non tanto della sua inteligenza, quanto se potrò mai soffrire un uomo al mio fianco.
Eppure devo sposarmi.
Una volta che gli ho accennato ai miei amori passati - e lontani - sentimentalmente finiti - ( bisogna pur mettere in chiaro anche queste cose ) è arrossito fin sopra i capelli. Come un seminarista alla vista d’una nudità.
Dunque, mi ama?
Sul momento non ho avuto il coraggio di insistere.
Se avessi continuato avrei potuto mandare a monte tutto quanto. Ma il giorno dopo gli ho ripetuto il discorso dell’amicizia.
" E’ stupido mascherarsi dietro un sentimento come l’amore " ho diagnosticato.
" E’ indubbio " è stata la sua risposta. E tutto è finito lì.
Ci sono momenti in cui mi sembra però impacciato più d’uno studente colto impreparato. E gli occhi gli brillano d’una ottusità insaziabile.
" Non si può fondare la nostra unione sulla menzogna " gli propongo.
E così lui afferma che ho degli istanti di cinismo.
" Machiavellica " mi accusa. E poi ride.
Oggi, ad esempio, appena mi ha vista, ha attaccato con un preambolo alla Piccioni ( reminiscenze di scuola ) " Sebbene l’oggettività è per Sthendal ... "
Lo correggo " Sebbene sia ... "
Non afferra la finezza e prosegue.
Insomma, il succo è questo. Io sarei Julien Sorel ( per lui ). Naturalmente il poco francese che mi fa ascoltare è talmente strapazzato che mi metto a ridere. Apertamente.
" Che c’è? Non sei d’accordo? "
" E come no! Ma tu allora sei Fouquet "
Fa il viso soddisfatto. Fouquet è un abile mercante.
E lo preferisco così: attento a non lasciarsi sfuggire il minimo affare. Anche se poi, nel romanzo, Julien muore e Fouquet gli sopravvive immeritatamente. Ma non importa.
" Il tuo voler essere intellettuale, ad ogni costo" mi accusa.
E sono i pochi momenti in cui ci comprendiamo senza riserve, senza smancerie. Lui abile a farsi la clientela. Io a sfogliare scrupolosamente libri in biblioteca.
Perciò mi sono decisa, alcune volte, di ascoltarlo quando parla dei suoi affari.
Pieno di insospettata vitalità ( più di quando mi bacia - ma mi sta bene così, se non siamo in pubblico ) mi ha confessato come riuscisse a vendere dei bulloni scadenti.
" Pagando un tanto sui bulloni che mi acquistano " " E il guadagno? " chiedo ingenuamente.
" Sulla quantità "
Ancora non riesco a capire. Ma tanto vale.
" Do ut dat " esclama con enfasi " Come diceva Socrate "
Faccio umilmente notare, ma sottovoce, per non irritare la sua suscettibilità, " do ut des ", senza mettere in discussione la paternità della frase: sarebbe troppo per lui. E poi se necessita osservare tutta gli apocrifi che circolano non ci salveremmo più. Beate ignoranze!
" La tua mania intellettuale " mi rimprovera. Ma serve come un complimento.
Un giorno gli ho persino confessato con slancio, da vera neofita, che mi ero fatta protestante. Per seguire le parole di Paolo. " Greca coi greci, serva coi servi, giudea coi giudei. " Protestante con i protestanti.
" Non ci credo " risponde senza convinzione.
" Per capirli meglio. Come movimento religioso. La loro aspirazione verso la libertà, l’indipendenza da Roma. E’ tra loro che nasce la prima e vera borghesia. No? Devo pur acquisire una mentalità capitalistica. Purificarmi di tutte le scorie operaiste e cattoliche che sono ancora presenti in me. "
" Non ci credo. " Ribatte più deciso " Almeno: non fino a questo punto. Non è possibile. Non puoi. Non ne hai il coraggio, la forza "
" Che ne sai tu della mia forza e del mio coraggio?"
" Non ci credo e basta "
Non mi importa della sua risposta, comunque. Tanto non è vero. Fu solamente una mia intuizione di qualche anno fa. Mai realizzata.
La confessione però ha fatto presa sul suo animo, perchè alla fine mi chiede:
" Davvero? "
*** ***
Adesso so cos’è un fidanzamento.
Ricevimenti, baciamano, dessert. E biglietti da visita. Tanti biglietti da visita. Non so più dove metterli.
E dovreste veder Gianni come gli si illumina il viso quando mi presenta agli amici o ai parenti. Ho scoperto che è fiero di me. O meglio: non di me, ma della mia bellezza. Mi ricorda un mercante d’arte che ho sentito una volta elogiare un Ligabue.
Comunque, evita sempre ( e con eleganza devo ammettere ) di riferire il mio passato, la mia provenienza. Il bugigattolo dei miei (un due locali più servizi: Ina Casa) è divenuto un recidence periferico con vista lago. Niente meno!
Certo, però, nel complesso non mi posso lamentare.
Ma anche Gianni non si lamenta di me. Nell’alta società, mi confida, mi sono ambientata più che a sufficienza.
" Meriteresti dieci " ha esclamato ( E’ un patito dei numeri. Non so perchè )
E quando, giocando a bridge, mi sono lasciata sfuggire: " Non è per me: non è gioco da donne " gli ho letto sul volto tutta la sua ammirazione nei miei confronti.
Fino a che punto mi sono lasciata andare?
Per il resto, ho voluto mettere alcune condizioni prima della nostra definitiva unione. E devo ammettere come Gianni abbia acconsentito con piacere e affatto d’accordo. Un gentiluomo non avrebbe agito meglio.
Innanzitutto si è trattato di stabilire un’equa divisione dei beni immobili in caso di divorzio. Successivamente, il mantenimento di una eventuale prole. Abbiamo così deciso per i due figli, come è scritto nelle statistiche ufficili della repubblica.
Sempre in caso di divorzio io avrei tenuto il maschio, lui la femmina, oppure, a parità di sesso, lui il maggiore ed io il minore.
Le rimanenti cose, come ad esempio la gelosia, le avventure extra matrimoniali, l’acquisto di ulteriori beni, e altre questioni di minor importanza che non starò ad elencare, sono state concordate da entrambe le parti con molta sensibilità reciproca, e con un pizzico di quella liberalità che mi ha fatto sentire meno pesanti le mie rinunce ideologiche giovanili.
Il matrimonio è stato fissato per il 10 settembre all’Abazzia di Chiaravalle, sebbene nè lui nè io fossimo di fede prettamente cattolica. Ma vi è un fatto. Non possiamo iniziare il nostro ingresso ufficiale nella società con un passo falso.
Il matrimonio religioso è un punto a nostro favore che prima o poi ci potrebbe diventar utile.
E bisogna sfruttarlo.