Il medico suo malgrado

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   Il teatro di Molière è qui presentato nella traduzione di Luigi Lunari, che per la BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) ne sta traducendo l’opera omnia.

I testi sono qui pubblicati senza presentazioni o note: gli interessati possono comunque risalire – almeno per i titoli più noti – ai singoli volumetti pubblicati nella BUR, e per vari titoli minori al volume antologico  “Molière – Commedie”, sempre a cura di Luigi Lunari, nella collana “radiciBUR”.

Le traduzioni sono condotte su testi originali  in tutta fedeltà filologica;  ma di alcuni di essi esistono anche versioni e adattamenti – sempre ad opera del sottoscritto Luigi Lunari –  in occasione di particolari allestimenti, con interventi drammaturigici e aggiunte di canzoni (come ad esempio per Il Borghese Gentiluomo e per Le Furberie di Scapino). Queste rielaborazioni – ove interessino – si possono leggere chiedendone i testi a Luigi Lunari, tel. 039.883177 o via e-mail luigi.lunari@libero.it


MOLIERE

IL  MEDICO  SUO  MALGRADO

Traduzione di Luigi Lunari

Copyright  Luigi Lunari Via Volturno 80  20047 Brugherio (MB)

Tel. +39.039.883177    e.mail   luigi.lunari@libero.it


PERSONAGGI

                            SGANARELLO, marito di Martina

                            MARTINA, moglie di Sganarello

                            MONSIEUR ROBERT, vicino di Sganarello

                            VALERIO, uomo di fiducia di Geronte

                            LUCHINO, marito di Giacomina

                            GERONTE, padre di Lucinda

                            GIACOMINA, balia in casa di Geronte e moglie di Luca

                            LUCINDA, figlia di Geronte

                            LEANDRO, innamorato di Lucinda

                            THIBAUT, padre di Perrin

                            PERRINO, figlio di Thibaut, contadino


ATTO PRIMO

Scena I – SGANARELLO, MARTINA,  che entrano in scena litigando

SGANARELLO – No, ti ho detto che non se ne fa niente;  il padrone sono io, e io comando.

MARTINA – E io voglio invece che tu faccia come dico io, che non mi sono certo sposata per sopportare le tue mattane.

SGANARELLO – Oh, che gran tormento avere una moglie!,  e come ha ragione Aristotele quando dice che una donna è peggio di un demonio!

MARTINA –  Ha parlato quello bravo, con il suo pagliaccio di Aristotele!

SGANARELLO – Quello bravo, sì! Trovamelo tu un legnaioloche sappia ragionare come me, che sia stato al servizio di un medico famoso per sei anni, e che fin da giovane sappia a memoria tutto l’abicì!

MARTINA – Morto di fame che non sei altro!

SGANARELLO – Carogna impestata che non sei altro!

MARTINA – Maledetto il giorno e l’ora che mi è saltato in mente  di dire di sì!

SGANARELLO – Maledetto quel becco cornuto di un notaio che mi ha fatto firmare la mia rovina!

MARTINA –  Proprio tu ti lamenti!  Tu che non dovresti lasciar passare neanche un minuto senza ringraziare Dio d’avermu sposata!,  come  te lo meritassi di avere una moglie come me!

SGANARELLO – Oh, troppo onore davvero!, come me ne sono accorto fin dalla prima notte di nozze!   Eh! Accidenti!, non farmi parlare, chè potrei dire certe cose…

MARTINA – Cosa?, cos’è che potresti dire?

SGANARELLO – Basta, lasciamo perdere questa storia.  Sappiamo tutti e due quel che sappiamo, e che il colpo di fortuna l’hai avuto tu, a trovare me!

MARTINA – E lo chiami colpo di fortuna?  Un uomo che mi finirà col mandarmi all’ospizio, un maledetto, un traditore, che tutto quello che ho me lo mangia?

SGANARELLO – Bugiarda: diciamo che il più te lo bevo.

MARTINA – Che mi vende, un pezzo alla volta, tutto quello che ho in casa!

SGANARELLO – Questo prova come sono legato a questa casa.

MARTINA – Che mi ha fregato anche il letto che avevo!

SGANARELLO – Così ti alzi un po’ più presto al mattino.

MARTINA – E che mi svuota la casa di tutti i mobili!

SGANARELLO – Così sarà più facile traslocare.

MARTINA – E che non fa altro che bere e giocare dalla mattina alla sera.

SGANARELLO – Così almeno non mi annoio.

MARTINA – E intanto, cosa dovrei fare io con la famiglia?

SGANARELLO – Tutto quello che vuoi.

MARTINA – Io ho quattro poveri bambini sulle braccia.

SGANARELLO – Mettili giù.

MARTINA – Che non fanno che chiedermi da mangiare.

SGANARELLO – Mandali a letto.  Una volta che ho ben mangiato e ben bevuto voglio che tutti a casa mia sian belli a posto.

MARTINA – E tu pensi, ubriacone che non sei altro, che si possa andare avanti così?

SGANARELLO – Moglie mia, vacci piano, per piacere.

MARTINA – Che io sopporti per sempre le tue insolenze e i tuoi vizi?

SGANARELLO – Non perdiamo la calma, moglie mia.

MARTINA – E che non sappia trovare il modo di farti mettere la testa a posto?

SGANARELLO – Moglie mia, tu sai che la mia pazienza non è infinita, e che le braccia ce le ho ancora robuste.

MARTINA – Io me ne infischio delle tue minacce.

SGANARELLO – Mogliettina cara, vita mia, tu parli perché hai la lingua e basta.

MARTINA – Ti faccio vedere che non ho nessuna paura di te.

SGANARELLO – Cara metà della miavita, tu vuoi spingermi a darti la paga.

MARTINA – Credi che le tue parole mi spaventino?

SGANARELLO – Dolce donna dei miei sogni, vuoi che ti scaldi le orecchie?

MARTINA – Ubriacone che non sei altro!

SGANARELLO – Vuoi proprio che te le suoni?

MARTINA – Barile di vino!

SGANARELLO – Ti do una bella pestata.

MARTINA – Disgraziato!

SGANARELLO – Ti do una bella strigliata.

MARTINA – Bugiardo, villano, imbroglione, poltrone, vigliacco, avanzo di galera, pendaglio di forca, pezzente,furfante, ladro…!

SGANARELLO (prende un bastone e gliele dà) – Ah, le vuoi proprio prendere, allora!

MARTINA – Ah! Ah, ah, ah!

SGANARELLO – Visto che lo so come si fa a calmarti!

Scena II – IL SIGNOR ROBERT, SGANARELLO, MARTINA

MONSIEUR ROBERT – Olà, olà.olà!  Ehi!  Che cosa succede?   Che cos’è questa infamia?   Ma guarda questo furfante, picchiare così sua moglie!

MARTINA (le mani sui fianchi, gli parla facendolo indietreggiare, e alla fine gli dà uno schiaffo) – E io voglio che mi picchi, va bene?

MONSIEUR ROBERT – Ah, per me va benissimo!

MARTINA – Di che cosa vi impicciate?

MONSIEUR ROBERT – Chiedo scusa.

MARTINA – Sono cose che vi riguardano?

MONSIEUR ROBERT – Avete ragione.

MARTINA –  Ma guardatelo un po’, questo impertinente, che vuole proibire ai mariti di picchiare la moglie!

MONSIEUR ROBERT – Mi ritiro.

MARTINA – Voi cosa c’entrate?

MONSIEUR ROBERT – Niente.

MARTINA – Dovete proprio ficcarci il nas?

MONSIEUR ROBERT – No.

MARTINA – Occupatevi degli affari vostri.

MONSIEUR ROBERT – Non parlo più.

MARTINA –  A me piace pigliar le botte.

MONSIEUR ROBERT – D’accordo.

MARTINA – Non siete voi che pagate.

MONSIEUR ROBERT – E’ vero.

MARTINA -  E voi siete uno stupido,  a mischiarvi in faccende che non vi riguardano.

MONSIEUR ROBERT (si rivolge allora al  marito, che a sua volta gli parla sempre facendolo indietreggiare, e alla fine lo picchia col bastone e lo mette in fuga) ­­– Compare, vi chiedo scusa di tutto cuore.  Picchiatela, fatela a pezzi: è vostra moglie,  fate quel che vi pare.  Se volete, anzi, vi do una mano.

SGANARELLO – La cosa non mi va.

MONSIEUR ROBERT – Allora, come volete.

SGANARELLO – Se voglio la picchio, se non voglio non la picchio.

MONSIEUR ROBERT – Perfetto.

SGANARELLO – Non è vostra moglie: è la mia.

MONSIEUR ROBERT – Non c’è dubbio.

SGANARELLO – E non ricevo ordini da voi

MONSIEUR ROBERT – D’accordo.

SGANARELLO –  Il vostro aiuto non mi serve.

MARTINA – Tanto meglio.

SGANARELLO – E siete un bel maleducato, ad occuparvi degli affari degli altri.   Voi non sapete che secondo Cicerone chi tra la moglie e il dito non si deve mettere il marito.

(Alla fine torna verso sua moglie, e tendendole la mano le dice:)

Sù, facciamo la pace, io e te!  Qua la mano!

MARTINA –  Sì, dopo le botte che mi hai dato!

SGANARELLO – Non importa: qua la mano.

MARTINA – Neanche per sogno.

SGANARELLO – Eh!

MARTINA – No.

SGANARELLO – Mogliettina mia!

MARTINA –  Niente da fare.

SGANARELLO – Su, dà retta!

MARTINA – Non ci penso nemmeno.

SGANARELLO – Dai, dai, dai!

MARTINA – No, sono troppo in collera.

SGANARELLO – Eh, sono sciocchezze! Andiamo, andiamo.

MARTINA – Lasciami stare.

SGANARELLO – Facciamo la pace.

MARTINA – M’hai trattata troppo male.

SGANARELLO – E va bene, ti chiedo scusa: dammi la mano.

MARTINA – Ti perdono;  (A bassa voce:) ma stavolta me la paghi. 

SGANARELLO – Tu sei matta a prendertela tanto: sono piccole cose che ogni tanto ci vogliono; e cinque o sei bastonate, tra due persone che si vogliono bene, servono solo a ringalluzzire il rapporto.  Dai, adesso vado ne bosco, e entro sera ti prometto almeno cento fascine di legna buona!

Scena III – MARTINA sola.

MARTINA – Va, per quante finte posso fare, non mi passa certo la rabbia; e crepo dalla voglia di farti pagare le botte che mi dai sempre.  Lo so che una donna sa sempre cosa fare se vuole vendicarsi di suo marito; ma sarebbe un castigo troppo sottile per quel furfante, e io voglio vendicarmi in un modo un po’ più robusto, che sia come quello che lui ha fatto a me.

Scena IV – VALERIO, LUCHINO, MARTINA

LUCHINO – Perdiana!  Siamo finiti  tutti e due in un bel casino di roba da fare; e non lo so, io, che cosa riusciamo a combinare.

VALERIO – Che cosa vuoi farci, amico mio: qui bisogna obbedire al padrone; tanto più che anche per noi è importante che sua figlia, la nostra padroncina, stia bene in salute; perché senz’altro con le sue nozze, rimandate per la sua malattia, qualcosa ci guadagneremo.  Orazio è molto generoso, ed è messo bene nei riguardi della signorina; e per quanto lei abbia dimostrato molta simpatia per un certo Leandro, tu sai bene che suo padre non ha mai voluto prenderlo in considerazione come possibile genero.

MARTINA (riflettendo tra sé) –  Possibile che non mi riesca di inventare qualcosa per vendicarmi?

LUCHINO –  Ma che cos’è che è questa  fantasia che si è messo in testa, con tutto il latino che gli han buttato addosso i dottori?

VALERIO – Qualche volta, a forza di cercare, si trova qualcosa che non si era trovato prima; e può succedere che quando meno te lo aspetti…

MARTINA –  Sì, bisogna proprio che riesca a vendicarmi, costi quel che costi: quelle botte ce le ho qui in testa, e non riesco a mandarle giù, e…

(Dice tutto questo soprapensiero, tanto che così facendo non si accorge della presenza dei sue uomini, e voltandosi si scontra con loro, e dice:)

Ah, signori, vi chiedo scusa: stavo pensando a una cosa che mi preoccupa, e non vi avevo visto.

VALERIO – Non c’è nessuno al mondo, che non abbia le sue preoccupazioni; anche noi stiamo cercando qualcosa che vorremmo proprio riuscire a trovare.

MARTINA – Qualcosa magari in cui io possa aitarvi?

VALERIO – Potrebbe anche darsi: stiamo cercando di trovare qualcuno molto in gamba,  magari un dottore di un certo tipo, che possa aiutare la figlia del nostro padrone, che improvvisamente si è ammalata di una malattia che le ha tolto l’uso della parola.  Un sacco di medici hanno dato fondo a tutta la loro scienza; ma a volte si trovano delle persone con dei meravigliosi segreti, delle cure  particolari, che riescono a fare cose che gli altri non hanno saputo fare; è questo che stiamo cercando.

MARTINA (dice a bassa voce le prime parole) – Ah, il cielo mi suggerisce una bellissima invenzione per vendicarmi di quel farabutto!  (Ad alta voce:)  Mai sareste potuti capitare meglio per trovare quello che cercate; qui c’è proprio un uomo, che è l’uomo più meraviglioso del mondo, per le malattie più disperate.

VALERIO – E per favore, dove possiamo trovarlo?

MARTINA – Potete trovarlo subito, in quel piccolo bosco là in fondo, che si diverte a raccogliere legnan e a far fascine.

LUCHINO – Un medico che raccoglie legna?

VALERIO – Forse intento, volete dire, a cercare radici ed erbe medicinali.

MARTINA – No: è un uomo fuori del comune che si diverte così, strano, fantasioso, bizzarro, che mai potreste prendere per quello che è.  Si veste in modo stravagante, ogni tanto fa finta di essere un ignorante, tutta la sua scienza la tiene nascosta, e la cosa che più evita al mondo è quella di dar a vedere le straordinarie capacità che il cielo gli ha dato per la medicina.

VALERIO – Davvero è incredibile come tutti i grandi uomini  abbiano le loro manie, un qualche piccolo grano di pazzia mescolato con la loro scienza.

MARTINA – La pazzia di quest’uomo è davvero incredibile, perché arriva al punto che qualche volta bisogna  picchiarlo per fargli ammetere di essere quello che è; e vi avverto che non riuscirete a far niente, e che se è di questo umore, mai confesserà di essere un medico, a meno che non prendiate un bastone ciascuno, e non lo obblighiate, a forza di bastonate, ad ammettere quello che in principio avrà negato.  Questo è quello che facciamo anche noi quando abbiamo bisogno di lui!

VALERIO – Davvero una strana mania!

MARTINA – Certo; ma comunque, poi vedrete di che miracoli è capace.

VALERIO – E come si chiama?

MARTINA – Si chiama Sganarello; ma lo si riconosce subito: ha una grande barba nera, ed è vestito di giallo e verde con un gran collarino a pieghe.

LUCHINO – Un abito gialloverde! Allora l’è il medico dei papagalli!

VALERIO – Ma davvero è bravo come dite voi?

MARTINA – Come?  Ma è uno che fa dei miracoli!  Sei mesi fa c’era una donna per la quale tutti i medici avevano rinunciato; da sei ore ormai era stata dichiarata morta, e già si stavano preparando a seppellirla, quando hanno fatto venire, a forza, l’uomo che vi ho detto. Come l’ha vista, le ha messo in bocca una goccia di non so che cosa, e immediatamente la donna si è alzata dal letto e si è messa a camminare avanti e indietro per la stanza, come se niente fosse stato.

LUCHINO – Ah!

VALERIO – Forse era una goccia di quell’oro potabile di cui tanto si parla!

MARTINA – Potrebbe anche essere.  Meno di tre settimane fa, c’è stato un ragazzino di dodici anni che è caduto giù dal campanile, e si è rotto la testa, le braccia e le gambe.  E’ bastato far venir lì quell’uomo, che lo ha massaggiato per tutto il corpo con un certo unguento fatto da lui; e il ragazzino si è subito rimesso in piedi ed è corso a giocare alle biglie.

LUCHINO – Ah!

VALERIO – Quest’uomo deve conoscere la medicina universale.

MARTINA – E chi può dubitarne?

LUCHINO – Madosca! questo è proprio quello che ci occorre. Corriamo a cercarlo.

VALERIO – Vi ringraziamo del piacere che ci avete fatto.

MARTINA- Ma ricordatevi del consiglio che vi ho fato.

LUCHINO – Eh, per diancina! Lasciate fare a noi: se non c’è che da bastonarlo,  siamo già in carrozza!

VALERIO – Siamo stati fortunati ad avere incontrato voi; e io davvero nutro le più grandi speranze.

Scena V – SGANARELLO, VALERIO, LUCHINO

SGANARELLO (entra in scena cantando, e con una bottiglia in mano) ­ - La, la, la.

VALERIO – Sento qualcuno che canta e che taglia la legna.

VALERIO – Eccolo, è lui.

LUCHINO – Senz’altro avete ragione; l’abbiamo preso in pieno

SGANARELLO – La, la, la…   Secondo me,  per adesso ho lavorato abbastanza. Meglio che tiri un po’ il fiato.  (Beve, e dopo aver bevuto dice:) Questo è un bosco che mette sete solo a guardarlo.

                                     Bottiglietta del mio cuore,

                                      che riempi i sogni miei,

                                      col tuo vino che è migliore

                                      del nettare degli dei;

                                      e che allegro mando giù

                                        finchè… ahimè… non ce n’è più!

Sù,  accidenti! Non lasciamoci prendere dalla melanconia!

VALERIO – Eccolo, è lui.

LUCHINO – Senz’altro avete ragione; l’abbiamo preso in pieno.

VALERIO – Osserviamolo da vicino.

SGANARELLO (li nota, li guarda, volgendosi prima all’uno poi all’altro, e abbassando la voce, dice:) ­­­– Ah, birbante di una bottiglia! sapessi quanto bene ti voglio, tesoromio!

                                    Gli altri farei crepar… di gelosia

                                   per te bottiglia mia..

Diavolo! e questi  chi sono e cosa vogliono?

VALERIO – E’ lui senz’altro.

LUCHINO – Eccolo lì, fatto e sputato come ce l’hanno sfigurato.

SGANARELLO (a parte)

(Qui posa per terra la bottiglia, e siccome Valerio si china, crede che sia per prendergliela, e allora la sposta dall’altra parte; dopo di che, siccome Luchino fa la stessa cosa, se la riprende e se la tiene stretta contro lo stomaco, con vari gesti che fanno un grande gioco di teatro)

Mi guardano e parlottano.  Che intenzioni hanno?

VALERIO – Signore, non siete voi che vi chiamate Sganarello?

SGANARELLO – Eh, come?

VALERIO -  Vi ho chiesto se non siete voi che risponde al nome di Sganarello.

SGANARELLO (voltandosi verso Valerio e poi verso Luchino)  - Sì e no, a seconda di quel che volete.

VALERIO – Noi non vogliamo altro che presentargli i nostri migliori omaggi.

SGANARELLO – In questo caso, sì: sono io che mi chiamo Sganarello.

VALERIO – Signore, siamo più che felici di vedervi.  Siamo stati indirizzati a voi per una questione che ci sta a cuore; e siamo qui ad implorare il vostro aiuto, di cui abbiamo davvero bisogno.

SGANARELLO – Se è qualcosa che rientri nelle mie umili possibilità, signori, sono prontissimo a servirvi.

VALERIO – Signore, è troppo grande la grazia che ci fate.  Ma vi prego, signore, copritevi: il sole potrebbe farvi male.

LUCHINO – Sù il cappello, insomma.

SGANARELLO (a bassa voce) – Ecco della gente che fa un sacco di cerimonie.

VALERIO – Signore, non dovete stupirvi se ci rivogliamo a voi; le persone di talento sono sempre molto ricercate, e noi siamo stati informati delle vostre qualità.

SGANARELLO – E’ vero, signori, che io sono il migliore al mondo quanto a fare  a raccogliere legna e far fascine.

VALERIO –  Ah, signore…

SGANARELLO – Le faccio a regola d’arte, d’un modo che nessuno può aver niente da dire.

VALERIO – Signore, non è di questo che si tratta.

SGANARELLO – E le vendo un centinaio a cento e dieci soldi.

VALERIO – Non parliamo di questo, per piacere.

SGANARELLO – Vi assicuro che a meno non potrei.

VALERIO – donne, noi sappiamo tutto.

SGANARELLO – Se sapete tutto, sapete anche che questo è il prezzo.

VALERIO – Signore, se volete scherzare…

SGANARELLO – Non sto scherzando, non posso tirar giù neanche un soldo.

VALERIO – Lasciamo perdere questi discorsi, vi prego.

SGANARELLO – Può darsi che riusciate a trovarne a più buon prezzo, perché ci sono fascine e fascine; e per quelle che faccio io…

VALERIO – Eh? Signore, cambiamo argomento, per favore.

SGANARELLO – Come le mie non le troverete mai, neanche dipinte.

VALERIO –  Eh, via!

SGANARELLO – No, in tutta coscienza, sono cose che hanno il loro prezzo.  Vi sto parlando col cuore, non sono uno che esagera.

VALERIO – Signore, possibile che un uomo come voi si diletti di questi scherzi grossolani?, e che si abbassi a parlare in questo modo?,  e che un uomo di scienza, un grande medico come siete voi, si voglia così camuffare agli occhi del mondo, e tener sotterra il suo straordinario talento?

SGANARELLO (a bassa voce) –  E’ matto

VALERIO –  Di grazia, signore, non fate finta con noi!

SGANARELLO – Come?

LUCHINO – Tutte queste balle non servono a niente; noi lo sappiamo chi è che è che siete.

SGANARELLO – E cioè?, come sarebbe a dire?  Per chi mi prendete?

VALERIO – Per quello che siete, per un grande medico.

SGANARELLO – Medico sarete voi!, io non lo sono e non lo sono mai stato.

VALERIO (a bassa voce) – Ecco la follia che lo coglie! (Ad alta voce)  - Signore, cessate di negare le cose, e non constringeteci, per favore, ad adottare  spiacevoli misure estreme.

SGANARELLO – E sarebbe a dire?

VALERIO – A fare cose che molto ci dorrebbero.

SGANARELLO – Perbacco!, adottate pure tutto quel che volete: io non sono medico, e non capisco quel che volete da me.

VALERIO (a bassa voce) – Vedo che qui bisogna ricorrere alla cura. (Ad alta voce) – Signore, ancora una volta vi pregon di riconoscere quello che siete.

LUCHINO – E sacripante!, mucatela lì di prenderci per le braghe, e dite senza tante storie che siete un medico eccome!

SGANARELLO – Mi viene il nervoso.

VALERIO – Che cosa serve negare quel che è vero?

LUCHINO – Perché tutte ‘ste storie?, e che cos’è che è che ve ne viene in tasca?

SGANARELLO – Signori, una volta per tutte le mille volte, vi dico che io non sono un medico neanche per sogno.

VALERIO – Non siete un medico.

SGANARELLO –  No.

LUCHINO – Niente medico.

SGANARELLO – No, ho detto di no.

VALERIO – Visto che proprio lo volete, bisogna fare quel che occorre.

(Prendonoun bastone e lo picchiano)

SGANARELLO – Ah! ah! ah!  Signori, sono tutto quel che volete voi.

VALERIO – Ma perché, signore, ci obbligate a tanta violenza?

LUCHINO – Perché questa rogna di dovervi bastonare?

VALERIO – Vi assicuro che la cosa mi duole infinitamente.

LUCHINO – A me davvero mi dà il mal di pancia.

SGANARELLO – Ma cos’è questa storia, signori?  Per piacere, è uno scherzo, o a tutti e due ha dato di volta il cervello, che volete farmi medico a tutti i costi?

VALERIO – Come?, insistete ancora, e continuate a negare di essere medico?

SGANARELLO – Che il diavolo mi porti se lo sono!

LUCHINO – Cioè secondo voi, niente medico?

SGANARELLO – No, che la peste mi colga!  (Qui ricominciamo a picchiarlo) Ah! Ah!  E va bene, signori, sì, visto che insistete, io sono medico, e anche farmacista, se vi fa piacere.  Preferisco dir di sì a tutto piuttosto che farmi pestare a questo modo.

VALERIO – Ah!, così sì che va bene, signore. Sono lieto di vedervi finalmente ragionevole.

LUCHINO – E io faccio i salti di gioia, a sentirvi dire ‘ste cose.

VALERIO – Vi domando perdono di tutto cuore.

LUCHINO – E anch’io vi domandiamo scusa per le botte.

SGANARELLO (a parte) – Ohilà! Che sia per caso io che mi sbaglio, e che sia diventato medico senza accorgermene?

VALERIO – Signore, se vi dichiararete per quel che siete non avrete a pentirvene; e certamente anzi ne sarete soddisfatto.

SGANARELLO – Ma, signori, ditemi un po’, non è che per caso vi sbagliate voi?   Siete ben sicuri che io sia un medico?

LUCHINO – Eh cacchio, sì!

SGANARELLO – Proprio sicuri?

VALERIO – Nessun dubbio.

SGANARELLO – Che il diavolo mi porti se io ne sapevo niente!

VALERIO – Ma come?, ma se siete il più grande medico del mondo.

SGANARELLO – Ah! ah!

LUCHINO – Uno che ha guarito va a sapere quante malattie.

SGANARELLO – Accidenti!

VALERIO – C’era una donna creduta morta da sei ore, stavano già per seppellirla, quando voi, con una goccia di un qualcosa, l’avete messa in piedi e fatta camminare per la stanza.

SGANARELLO – Perdiana!

LUCHINO – Un ragazzino di dodici anni era caduto da un campanile, per cui si era rotto la testa, le gambe e le braccia; e voi, non so con che unguento, avete fatto in modo che subito si è alzato e è andato a giocare alle biglie.

SGANARELLO – Perbacco!

VALERIO – E poi, signore, vi daremo delle grandi soddisfazioni;  basta che vi lasciate portare dove vogliamo condurvi, e guadagnerete tutto quel che vorrete.

SGANARELLO – Guadagnerò tutto quel che vorrò?

VALERIO – Sì.

SGANARELLO – Ah!, ma certo che sono medico: me l’ero dimenticato: ma adesso me lo ricordo.  Qual è il problema?  Dov’è che bisogna andare?

VALERIO – Vi condurremo noi.  E il problema è che dovrete visitare una signorina che ha perduto la parola.

SGANARELLO – Ma non è che io l’abbia trovata!

VALERIO – Gli piace scherzare. Andiamo, signore.

SGANARELLO – Senza un vestito da medico?

VALERIO – Ne troveremo uno.

SGANARELLO (porgendo la bottiglia a Valerio) –  Prendete, signore: questo è il mio nettare.

(Poi si volta verso Luchino sputando)

E tu, camminaci sopra: ordine del medico.

LUCHINO -  Sangue di Giuda! questo sì che è un medico che mi piace: e io credo che riuscirà bene, perché è un bel pagliaccio.


ATTO SECONDO

Scena I – GERONTE, VALERIO, LUCHINO, GIACOMINA

VALERIO – Sì, signore, credo proprio che sarete soddsfatto, perché quello che vi abbiamo portato è il più grande medico del mondo.

LUCHINO – Oh, perdiana!, dopo questo si può anche chiudere baracca, perché tutti gli altri non son degni neanche di infilargli le ciabatte.

VALERIO – Un uomo che ha trovato delle cure meravigliose.

LUCHINO – Che ha guarito gente già morta.

VALERIO – Come vi ho già detto, è un tipo un po’ capriccioso; e ogni tanto ha dei momenti in cui la testa gli va via, e non sembra più quello che è.

LUCHINO – Sì, gli piace fare il buffone; e qualche volte va a sapere, col vostro permesso, se non sembra che ha preso chissà che botta in testa.

VALERIO – Ma in sostanza è un grande uomo di scienza, e molte volte dice cose molto profonde.

LUCHINO – Quando si smolla, parla così bene che pare leggere un libro.

VALERIO – La sua fama è arrivata anche qui, e tutti corrono da lui.

GERONTE – Muoio dalla voglia di vederlo; portatemelo subito qui.

VALERIO – Vado a prenderlo.

GIACOMINA – Per me, io dico che anche questo qui farà quello che han fatto gli altri, gallina più gallina meno; e che la meglio medicina che si può dare a vostra figlia, secondo me, è un bel marito grande e grosso, che sia di suo gusto.

GERONTE – Oh la la! Mia cara balia, devi proprio dire sempre la tua!

LUCHINO – Sta zitta, Giacomina, padrona di casa o no; son cose che tu non devi ficcarci il naso.

GIACOMINA – E io vi dico e contraddico che tutti questi medici non sono altro che acqua fresca; e che a vostra figlia occorrono altre robe che il barbaro e la senna, e che l’unico cataplasma che fa guarire tutte le malattie delle ragazze è un bel marito.

GERONTE          - Ti sembra che sia in condizione che qualcuno voglia prendersela, con questo guaio che le è capitato?  E quando sono stato io a pensare di farla sposare, non è stata lei che si è opposta alla mia volontà?

GIACOMINA – Vorrei ben vedere: volevate rifilarle uno che non le piaceva neanche morta.  Perché non le avete proposto quel signor Leandro, che quello sì che era di suo gusto?  E allora vedevate come si faceva obbediente; e anche lui, io sono convinta che l’avrebbe presa, così malata com’è, se solo gliela avesse proposta.

GERONTE – Quel Leandro non è quel che ci vuole per lei: è molto meno ricco dell’altro.

GIACOMINA – Ha uno zio che è ricco tale e quale, e lui è l’erede.

GERONTE – Tutte queste ricchezze che ci saranno in futuro mi sanno tanto di canzonette.  Niente vale quando quello che si ha; e a far conto di un patrimonio che è ancora in mano d’altri, si corre il rischio di illudersi e basta.  La morte non è sempre lì con le orecchie spalancate alle speranze e alle preghiere dei signori ereditieri; e c’è tutto il tempo di farsi venir la barba bianca quando si aspetta, per vivere, che muoia qualcuno.

GIACOMINA – E io invece ho sentito dire che in un matrimonio il gusto vale più dei soldi. I patri e le madri hanno questo maledetto vizio di chiedere sempre: “E lui quanti soldi ha?” e “E lei quanti soldi ha?” , e così è successo che compare Biarre ha dato in moglie sua figlia Simonetta al vecchio Tommaso, per  un tanto così di vigneto che quello aveva in più del giovane Robin, che a lei piaceva eccome!; e ecco allora che la povera creatura si è fatta gialla come  un limone,  e di tutti quei soldi non si è goduta niente.  E che questo sia di buon esempio per voi, signor Geronte caro.  A questo mondo c’è solo quel che ci piace; e io preferirei cento volte dare a mia figlia un bel marito che le piaccia, che non tutte le rendite di una contea.

GERONTE  - Accidenti! Signora balia, che scilinguagnolo! Sta zitta, per piacere: ti preoccupi troppo, e poi ti si scalda il latte.

LUCHINO (dicendo questo, batte sul petto Geronte) – Madosca! Smettila, di essere ficcare il naso dove non c’entri!  Al signore qui non gli servono niente le tue chiacchiere, e quel che c’è da fare lo sa lui.  Pensa ad allattare il tuo bambino, senza far tanto quella che sa tutto.  Il signore qui è il padre di sua figlia, e è abbastanza bravo e saggio per sapere quel che c’è da fare.

GERONTE - Piano!  ehi! piano!              

LUCHINO – Signor Geronte, voglio solo farla stare al suo posto, e insegnarle e rispettarvi come si deve.

GERONTE - Sì; ma queste manate non sono necessarie.

Scena II – VALERIO, SGANARELLO, GERONTE, LUCHINO, GIACOMINA

VALERIO – Signore, preparatevi.  Ecco qui il nostro medico.

GERONTE – Signore, sono felice di vedervi a casa mia, poiché abbiamo grande bisogno di voi.

SGANARELLO (vestito da medico, con  un cappello più a punta che mai) – Ippocrate dice… che possiamo tenere il cappello in testa tutti e due.

GERONTE – Ippocrate dice questo?

SGANARELLO –  Sì.

GERONTE – E scusate: in  quale capitolo?

SGANARELLO – Nel capitolo sui cappelli.

GERONTE – Se lo dice Ippocrate, bisogna obbedire.

SGANARELLO – Signor medico, avendo sentito meravigliose voci…

GERONTE – Con chi state parlando, per piacere?

SGANARELLO – Con voi.

GERONTE – Io non sono medico.

SGANARELLO – Non siete medico?

GERONTE – Neanche per idea.

SGANARELLO (prende un bastone e lo picchia così come era stato fatto con lui) – Ma davvero?

GERONTE – Davvero.   Ah! ah! ah!

SGANARELLO – Adesso siete medico anche voi: io non ho avuto altri diplomi che questo.

GERONTE – Ma che diavolo d’un uomo mi avete portato?

VALERIO – Glielo avevo ben detto che era un medico un po’ mattacchione.

GERONTE – Sì, ma io lo mando anche a spasso, lui e le sue mattacchionate.

LUCHINO – Non dategli retta, signor Geronte; lo fa solo per scherzo.

GERONTE – Sono scherzi che non mi piacciono.

SGANARELLO – Signore, vi chiedo perdono per la libertà che mi son preso.

GERONTE – Signore, sono servo vostro.

SGANARELLO – Mi dispiace molto…

GERONTE – Non importa.

SGANARELLO – Per le bastonate…

GERONTE – Niente di male

SGANARELLO – Che ho avuto l’onore di darvi.

GERONTE – Non parliamone più.  Signore, ho una figlia  che è stata presa da una strana malattia.

SGANARELLO – Sono felice, signore, che vostra figlia abbia bisogno di me; e mi augurerei di tutto cuore che anche voi aveste bisogno di me, voi e tutta la vostra famiglia, per testimoniarvi quanto grane è la voglia di pormi al vostro servizio.

 GERONTE – Vi sono grato di questi sentimenti.

SGANARELLO – Vi assicuro che parlo dal più profondo della mia anima.

GERONTE – Mi fate troppo onore.

SGANARELLO – Come si chiama vostra figlia?

GERONTE – Lucinda.

SGANARELLO – Lucinda!  Ah! proprio un bel nome da curare! Lucinda![1]

GERONTE – Vado subito a vedere dov’è.

SGANARELLO – E quella bella contadinotta chi è?

GERONTE – E’ la balia di un bambino che ho appena avuto.

SGANARELLO – Accidenti! Ma che bel mobile!  Ah!  Balia, adorabile balia, la mia medicina è l’umilissima schiava del vostro baliatico, e davvero vorrei essere il fortunato marmocchio che succhia il latte (le mette la mano sul seno) dalle vostre buone grazie. Tutte le mie cure, tutta la mia scienza, tutta la mia abilità è al vostro servizio.

LUCHINO – Col vostro permesso, signor medico, lasciate stare mia moglie, per piacere.

SGANARELLO – Come:  è vostra moglie?

LUCHINO – Sì.

SGANARELLO (fa finta di abbracciare Luchino, ma voltandosi verso la balia abbraccia lei) – Ah! questo proprio non lo sapevo, e mi compiaccio dell’amore  dell’uno per l’altra.

LUCHINO (tirandolo via) – Calma, calma, per piacere.

SGANARELLO – Vi assicuro che sono incantato nel vedervi così bene uniti.   E io con la signora mi compiaccio (Fa ancora il gesto di abbracciare Luchino, ma passandogli sotto le braccia, si butta al collo della donna.)  per avere un marito come voi; e quanto a voi mi felicito che abbiate una moglie bella, saggia e ben fatta come lei.

LUCHINO (continuando a tirarlo via) – Eh! Perdìncina! Un po’ meno complimenti, per piacere.

SGANARELLO – Vi dispiace che io mi rallegri con voi per una così felice unuone?

LUCHINO – Con me, felicitatevi quanto volete; ma con mia moglie, preferisco meno cerimonie.

SGANARELLO – Io prendo parte in egual misura alla fortuna di tutti e due; e (ripete il gioco) se testimonio la mia gioia abbracciando voi, abraccio allo stesso modo anche lei per la stessa ragione.

LUCHINO (tirandolo di nuovo)Ah!, perdiana, signor dottore, quante parole e vanvera.

Scena III – SGANARELLO, GERONTE, LUCHINO, GIACOMINA

GERONTE – Signore, ecco mia figlia che sta per venire.

SGANARELLO – E io l’aspetto, signore, con tutta la mia medicina.

GERONTE – E dove sarebbe?

SGANARELLO (toccandosi la fronte) – Qui dentro.

GERONTE – Benissimo.

SGANARELLO (cercando di toccare i seni della balia) – Ma poiché tutta la vostra famiglia mi interessa, bisogna che assaggi un po’ il latte della vostra  balia, e che le visiti le tette.

LUCHINO  - Macchè, macchè; queste son cose che non ci interessano.

SGANARELLO – E’ compito dei medici vedere le tette della balie.

LUCHINO – Servo vostro, ma non c’è compito che tenga.

SGANARELLO   - E tu avresti l’ardire di contrapporti alla medicina?  Pussa via!

LUCHINO – Io me ne frego della medicina.

SGANARELLO (guardandolo di traverso) – Ti farò venire la febbre.

GIACOMINA (prendendo Luchino per un braccio e facendogli fare una piroetta) – Tìrati via anche te;  come se non sono abbastanza grande da difendermi da sola, se quello mi fa qualcosa che non si deve fare?

LUCHINO – A me non mi va che ti palpi

SGANARELLO – Pf, che cafone, che è geloso di sua moglie!

GERONTE – Ecco mia figlia.

Scena IV – LUCINDA, VALERIO, GERONTE, LUCHINO, SGANARELO, GIACOMINA

SGANARELLO –  E’ questa l’ammalata?

GERONTE –  Sì, è è l’unica figlia che ho; e sarebbe una grande tragedia se mi dovesse morire.

SGANARELLO – Guai a lei!  non può morire senza l’ordine di un medico!

GERONTE – Orsù, una sedia.

SGANARELLO – Ecco una malata che non ha niente di repellente, e sono convinto che a un qualsiasi uomo normale andrebbe più che bene.

GERONTE – Voi l’avete fatta ridere, signore.

SGANARELLO – Tanto meglio: non c’è miglior segno al mondo di quando un medico fa ridere l’ammalato.  Eh, e allora!, che cos’è che è che c’è? che cosa avete? che cos’è che vi fa male?

LUCINDA (risponde a segni, portandosi la mano alla bocca, alla testa e sotto il mento) ­– Han, hi, hom, han.

SGANARELLO – Eh?, che cosa dite?

LUCINDA (continua con gli stessi gesti) ­- Han, hi, hom, han, han, hi, hom.

SGANARELLO – Come?

LUCINDA - Han, hi, hom.

SGANARELLO (imitandola) - Han, hi, hom, han, ha.  Io non vi capisco. Che diavolo  di lingua parlate?

GERONTE – Signore, è questa la sua malattia. E’ diventata muta, e ancora non siamo riusciti a trovare la causa; e per questo guaio abbiamo anche dovuto rimandare il suo matrimonio.

SGANARELLO – E perché?

GERONTE – Perché l’uomo che dovrebbe sposarla prima di concludere aspetta che guarisca.

SGANARELLO – E chi è quello stupido che non vuole che sua moglie sia muta?  Volesse Iddio che anche mia moglie di ammalasse di questa malattia!, io mi guarderei bene dal farla guarire.

GERONTE – Comunque, signore, noi vi preghiamo di impegnarvi con tutta la cura possibile per guarirla dal suo male.

SGANARELLO – Ah!, non preoccupatevi.  Ditemi un po’, è molto tempo che è così?

GERONTE – Sì, signore.

SGANARELLO – Tanto meglio.  E ha molti dolori forti.

GERONTE –  Molto forti.

SGANARELLO – Benissimo.  Va bene, là dove sappiamo?

GERONTE – Sì.

SGANARELLO –  In abbondanza?

GERONTE – Di questo non mi intendo.

SGANARELLO – Il prodotto è apprezzabile?

GERONTE – Io non saprei dire.

SGANARELLO (voltandosi verso l’ammalata) – Datemi il braccio.  Ecco il polso che avverte che vostra figlia è muta.

GERONTE – Eh sì, signore, è proprio questa la sua malattia, e voi l’avete scoperto di primo acchito.

SGANARELLO – Ah, ah!

GIACOMINA – Ma guarda te come ha capito subito che cos’è che ha!

SGANARELLO – Tutti noi, grandi medici, capiamo subito tutto. Un ignorante si sarebbe trovato in imbarazzo, e avrebbe cominciato a dire “Forse è questo, forse è quello”; io invece arrivo in fondo subito alla prima botta, e vi comunico che vostra figlia è muta.

GERONTE – Sì; ma a me piacerebbe anche che mi diceste perché è diventata muta

SGANARELLO – Niente di più facile! Dipende dal fatto che ha perduto la parola.

GERONTE – Benissimo; ma, per piacere, qual è la causa per cui ha perduto la parola?

SGANARELLO – Tutti i nostri migliori autori vi diranno che la causa è un impedimento dell’azione della lingua.

GERONTE – Ma poi?, la vostra opinione su questo impedimento della lingua?

SGANARELLO – Aristotile, a questo proposito dice…. delle gran belle cose.

GERONTE – Lo credo.

SGANARELLO – Ah! quello era davvero un grand’uomo.

GERONTE – Non c’è dubbio.

SGANARELLO (sollevando l’avambraccio) – Un grand’uomo sul serio: uno che era più alto di me di tanto così.  Ma per tornare al nostro ragionamento, io sono convinto che questo impedimento dell’azione della lingua è causato da certi umori  che noi chiamiamo umori secrezioni; secrezione che sarebbe a dire… umori secrezionati; mentre i i vapori che si formano mercè le esalazioni delle varie forme di influenza che si evolvono nell’ambito delle malattie, e che si trovano… per così dire… a… Voi conoscete il latino?

GERONTE – Proprio per niente.

SGANARELLO (con stupore) – Voi non conoscete il latino!

GERONTE – No.

SGANARELLO (prendendo varie posture divertenti) –  Cabricias arci thuram, catalamus, singulariter, nominativo haec Musa, “la Musa”, bonus, bona, bonum, Deus sanctus, estne oratio latinas?  Etiam “oui”.  Quare “perché”?  Quia substantivo et adjectivum concordat in generi, numerum, et casus.

GERONTE –   Ah!, perché non ho studiato?

GIACOMINA – Ma senti che uomo!

LUCHINO – Sì, dice cose così belle che io non ci capisco un cavolo.

SGANARELLO – Ordunque: poiché questi vapori di cui vi sto dicendo si trovano a passare o a dalla parte sinistra, dove c’è il fegato, o dalla parte destra, dove c’è il cuore, succede che i polmoni, che noi in latino chiamiamo armyan, e che sono in comunicazione col cervello, che noi in greco chiamiamo nasmus, grazie alla vena cava, che noi in ebraico chiamiamo cubile, incontrano sulla loro strada i suddetti vapori, che riempiono i ventricoli dell’omoplata;  e poiché questi vapori…  seguite bene il ragionamento, vi prego; e poiché poi i suddetti vapori conservano una certa malignità… State bene a sentire, mi raccomando.

GERONTE – Sì.

SGANARELLO –  Conservano una certa malignità, causata a sua volta…  State bene attento, per piacere.

GERONTE –

SGANARELLO –

GERONTE – Sto attento.

SGANARELLO – Che è causato dall’acidità degli umori generati nella concavità del diaframma, succede che questi vapori…  Ossabandus, nequeys, nequer, potarinum, quipsa milus.  Ed ecco esattamente il perché vostra figlia è muta.

GIACOMINA – Ah!, questo sì, com’è che parla bene!

LUCHINO – Perché non ho anch’io una lingua lunga così?

GERONTE –  Certamente non si può dir meglio. C’è una sola cosa che mi ha lasciato un po’ lì: e è il posto del fegato e del cuore. Mi sembra che voi li mettiate in posti diversi da quelli dove sono; perché il cuore è a sinistra e il fegato a destra.  

SGANARELLO – Sì, una volta era così; ma noi abbiamo cambiato tutto, e adesso la medicina segue un metodo completamente diverso.

GERONTE – Io questo non lo sapevo, e  vi chiedo di voler scusare la mia ignoranza.

SGANARELLO – Niente di male: voi non siete obbligato ad essere bravo come me.

GERONTE – Naturalmente. Ma, signore, che cosa pensate che si possa fare per questa malattia?

SGANARELLO –  Che cosa penso che si possa fare?

GERONTE – Sì.

SGANARELLO – La mia opinione è che la si rimetta a letto e che come medicina le si faccia prendete un bel po’ di pane inzuppato nel vino.

GERONTE – E perché, signore?

SGANARELLO – Perché nel vino e nel pane, mescolati insieme, c’è una virtù simpatica che induce a parlare.  Non lo sapete anche voi che ai pappagalli non si dà altro, e che è per questo che imparano a parlare?

GERONTE – E’ vero.  Ah, che grande sapiente!  Presto, pane e vino in quantità!

SGANARELLO – E verso sera tornerò a vedere come sta.  (Alla balia)  Qui un momento, voi.  Signore, questa è una balia alla quale vorrei praticare qualche cura.

GIACOMINA – Chi? A me?  Ma io scoppio di salute.

SGANARELLO ­– Motivo di più, balia, motivo di più.  Bisogna sempre diffidare di quando si scoppia di salute, e sarebbe meglio farvi un qualche piccolo e simpatico salasso, e  un qualche piccolo clistere ammoliente.

GERONTE – Ma, signore, questa è una moda che io non riesco a capire.  Perché farsi fare un salasso quando si sta benissimo?

SGANARELLO – Non importa, questa moda è molto salutare; e così come si beve per prevenire la sete, così ci si salassa in vista delle malattie che verranno.

GIACOMINA (tirandosi indietro) – Perdiana! io me ne infischio, e mica voglio diventare la bottega di un farmacista.

SGANARELLO - Voi siete riluttante alle medicine e alle cure; ma ci penseremo noi a ricondurvi alla ragione. (Parlando a Geronte)  Signore, buona giornata a voi.

GERONTE – Aspettate un momento, per piacere.

SGANARELLO – Cosa volete fare?

GERONTE – Darvi dei soldi, signore.

SGANARELLO (tende la mano dietro la schiena, di sotto la veste, mentre Geronte apre la borsa) ­­ - Non ne voglio, signore.

GERONTE – Signore...

SGANARELLO – Mai.

GERONTE – Solo un momento.

SGANARELLO – Assolutamente no.

GERONTE – Vi prego!

SGANARELLO – Voi scherzate.

GERONTE – Ecco fatto.

SGANARELLO – Niente da fare.

GERONTE – Eh!

SGANARELLO – Non per danaro che agisco.

GERONTE – Lo so.

SGANARELLO (dopo aver preso i soldi) -  Sono monete di buon peso?

GERONTE – Sì, signore.

SGANARELLO – Io non sono un medico mercenario.

GERONTE – Lo so bene.

SGANARELLO – Non è l’interesse a guidarmi.

GERONTE – Non ne ho mai dubitato.

Scena V – SGANARELLO, LEANDRO

SGANARELLO (guardando i suoi soldi) – Parola mia, le cose non vanno poi male. E sempre che.....

LEANDRO – Signore, è molto tempo che vi aspetto per implorare la vostra assistenza.

SGANARELLO (prendendogli il polso) –  Ecco un polso che va molto male.

LEANDRO –  Io non sono malato, signore, e non è per me che sono qui.

SGANARELLO – Se non siete malato, perché diavolo non me lo dite subito?

LEANDRO – No, per dirvi tutto in due parole, io mi chiamo Leandro e sono innamorato di Lucinda, che voi avete appena visitato. E siccome, causa il brutto carattere di suo padre, tutte le strade che conducono a lei mi sono interdette, io mi azzardo a pregarvi di favorire il nostro amore, e di darmi il modo di realizzare uno stratagemma che ho escogitato, onde poterle dire un paio di parole, da cui dipendono assolutamente la mia felicità e la mia vita.

SGANARELLO (mostrando collera) –  Ma per chi dunque mi prendete? Come osate rivolgervi a me per servire al vostro amore, e umiliare la dignità della scienza medica in un compito di questa natura?

LEANDRO –Signore, non fate tanto chiasso.

SGANARELLO (facendolo indietreggiare) –  Faccio tutto il chiasso che voglio. Siete un impertinente.

LEANDRO – Eh, signore, calma!

SGANARELLO – Uno spudorato.

LEANDRO – Vi prego!

SGANARELLO – Vi insegnerò io che non sono uomo da far cose simili, e che è atto di estrema insolenza....

LEANDRO (tirando fuori una borsa e dandogliela) –  Signore....

SGANARELLO (prendendo la borsa) – Volermi impiegare...  Non sto parlando di voi, naturalmente: voi siete una persona perbene e io sono felice di rendervi un servigio; ma ci sono al mondo un sacco di impertinenti che amano considerare la gente per quello che non sono; e vi confesso che questo mi fa andare in collera.

LEANDRO – Vi chiedo perdono, signore, della libertà che mi son preso....

SGANARELLO – Voi scherzate. Di che cosa si tratta?

LEANDRO – Dovete dunque sapere, signore, che questa malattia che voi dovete guarire è una finta malattia. I dottori l’hanno discussa a fondo, e non hanno mancato di dire qualcuno che la causa procedeva dal cervello, altri dagli intestini, altri dalla milza, altri dal fegato; ma quel che è certo è che la vera causa è l’amore, e che Lucinda ha inventato questa malattia solo per liberarsi dal pericolo di un matrimonio che la insidiava.  Ma scostiamoci da qui, per paura che ci si veda insieme: camminando vi dirò che cosa mi aspetto da voi.

SGANARELLO – Andiamo, signore. Avete ispirato in me per il vostro amore una tenerezza pressochè inimmaginabile; io metterò in gioco tutta la mia medicina, e vi assicuro che l’ammalata, se non morirà, sarà vostra. 


ATTO TERZO

Scena I – SGANARELLO, LEANDRO

LEANDRO – Mi sembra di non essere poi male com farmacista.  E siccome il padre non mi ha mai visto, questo cambiamento d’abito e di parrucca dovrebbe essere in grado, direi, di mascherarmi ai suoi occhi.

SGANARELLO – Senza dubbio.

LEANDRO – Quello che mi occorrerebbe, sono cinque o sei parole di medicina, da ficcar dentro nei miei discorsi e darmi arie di persona colta.

SGANARELLO – Sù, su, non è assolutamente necessario: basta l’abito, e comunque neanch’io ne so più di voi.

LEANDRO – Come?

SGANARELLO – Che il diavolo mi porti se io so qualcosa di medicina!   Voi siete un brav’uomo, e io posso bene confidarmi con voi così come voi vi siete confidato con me.

LEANDRO – Come? Voi non siete....

SGANARELLO – No, vi dico: mi hanno fatto medico mio malgrado. Io non mi ero mai sognato di essere sapiente fino a questo punto; e tutti i miei studi si fermano alle elementari.  Io non so neanche come ha fatto a venirgli questa idea; ma quando ho visto che volevano a tutti i costi che io fossi un dottore, mi sono rassegnato ad esserlo, e tanto peggio per chi ci avrà a che fare.  Eppure, voi neanche vi immaginate come l’equivoco si sia diffuso, e come tutti si siano indivolati a credermi un grande medico. Vengono a cercarmi da tutte le parti; e se le cose vanno avanti così, credo che d’ora in avanti farò il medico per tutta la vita.  Davvero mi convinco che non c’è mestiere più bello: anche perché, si faccia bene o si faccia male, si vien pagati sempre e comunque.  Qualsiasi fiasco, non ricade mai sulle nostre spalle; e con il materiale che abbiamo facciamo noi tutto quel che ci pare. Se un calzolaio, quando fa un paio di scarpe, rovina un pezzo di cuoio, il danno lo paga lui: ma noi possiamo rovinare un uomo e nessuno ci presenta il conto.  Nessuno può mai coglierci in castagna, e se un paziente muore è sempre colpa sua.  E poi, questa professione presenta un gran vantaggio: che tra i morti vi è una grande onestà, e la maggior discrezione del mondo, tanto che non si è mai visto nessu no lamentarsi del medico che lo ha ammazzato.

LEANDRO –  E’ vero: quanto a questo i morti sono persone molto perbene.

SGANARELLO (vedendo della gente che si avvicina) ­– Ecco della gente che ha tutta l’aria di venirmi a consultare. Voi andate ad aspettarmi davanti alla casa della vostra innamorata.

Scena II – THIBAUT, PERRINO, SGANARELLO

THIBAUT – Signore, siamo venuti a cercarvi, mio figlio Perrino ed io.

SGANARELLO – Che cosa c’è?

THIBAUT – La sua povera mamma, che si chiama Parette, è a letto ammalata, ormai da sei mesi.

SGANARELLO (tendendo la mano, come a ricevere dei soldi) –  E che cosa ci dovrei fare?

THIBAUT – Noi vorremmo, signore, che voi tiraste fuori qualche giochetto per guarirla.

SGANARELLO –  Bisogna prima vedere di che cosa è ammalata.

THIBAUT – E’ malata d’ipocrisia, signore.

SGANARELLO – D’ipocrisia?

THIBAUT – Sì, cioè a dire che si è tutta gonfiata, e ci han detto che si tratta di un sacco di amori che c’ha per tutto il corpo, e che il fegato, il ventre, o anche la milza, come mi pare che si chiami, invece di far sangue fanno soltanto acqua.  Un giorno sì e un giorno no, c’ha la febbre giornalaia, con una grande stancheria addosso e grandi dolori alle giunzioni delle gambe; in gola le si sentono delle intasature che sembrano sian lì lì per soffocarla; e ogni tanto le prendono delle sincope e delle conversioni, che noi si pensa “questa l’è andata”.    Nel nostro villaggio c’è un farmacista, con rispetto parlando, che le ha dato non so quante storie; e già mi è costata  più di una dozzina di scudi belli e buoni, in lavativi, scusate l’espressione, in brodaglie che gli han fatto prendere, come infezioni di tiglio, e porzioni cordiali.  Ma tutta ‘sta roba, come si suol dire, non gli ha fatto né caldo né freddo.  Lui voleva anche dargli non so che droga che si chiama vino emerito; ma io, sinceramente, ho avuto paura che serviva solo a spedirla al Padreterno; perché dicono che con questa trovata qua i dottori hanno fatto fuori non so quanta gente.

SGANARELLO (sempre tendendo la mano, e agitandola, come a significare che sta chiedendo soldi) –  Veniamo ai fatti, amico mio, veniamo ai fatti.

THIBAUT – I fatti sono, signore, che io e mio figlio noi siamo qui a pregarvi di dirci che cos’è che è che dobbiamo fare.

SGANARELLO – Non ho capito assolutamente niente.

PERRINO – Signore, mia madre è ammalata; e qui ci sono due scudi che vi abbiamo portato, perché ci suggerite qualche rimedio.


SGANARELLO – Ah, voi sì che vi capisco. Ecco un giovanotto che parla bella chiaro, e che si esprime come si deve. Voi dite che vostra madre è malata d’idropisia, che ha dei gonfiori in tutto il corpo, che ha la febbre, con dolori alle gambe, e che a volte è colta da sincopi e da convulsioni, cioè a dire degli svenimenti.

PERRINO – Eh, sì, signore, è proprio così.

SGANARELLO – Le vostre parole le ho capite subito. E’ vostro  che non sa quel che dice. E adesso mi chiedete una cura?

PERRINO – Sì, signore.

SGANARELLO – Una cura che la faccia guarire?

PERRINO – E’ così che la pensiamo.

SGANARELLO – Te’, ecco qua un pezzo di formaggio: dateglelo da mangiare.

PERRINO – Un pezzo di fromaggio, signore?

SGANARELLO – Sì, è un formaggio preperato, dove c’entra dell’oro, del corallo e della perle e un sacco di altre cose preziose.

PERRINO – Signore, vi siamo molto riconoscenti: glielo faremo prendere subito.

SGANARELLO – E se muore, state bene attenti a seppellirla il meglio possibile.

Scena III – GIACOMINA, SGANARELLO, LUCHINO

SGANARELLO – Ecco la nostra bella balia:  Ah, balia del mio cuore, sono felice di questo incontro: la vostra apparizione è il rabarbaro, la cassia e la senna che purgano tutta la malinconia della mia anima.

GIACOMINA – Accidenti, signor dottore!  Troppo un bel discorso per me, che io non capisco niente del vostro latino.

SGANARELLO – Balia, ammalatevi, vi prego. Ammalatevi per amor mio, e per me guarirvi sarà la cosa più bella del mondo.

GIACOMINA –  Serva vostra, grazie: ma preferisco che non mi si guarisca.

SGANARELLO – Come vi compiango, bella balia, di avere un marito geloso e fastidioso come quello che avete!

GIACOMINA – Che cosa volete, signore, è la penitenza per i miei peccati; e anche la pecora bisogna pur che bruchi lì dove l’han legata.

SGANARELLO – Ma come!  Un cafone così!  Uno che non fa che sorvegliarvi, e che non vi lascia parlare con nessuno!

GIACOMINA – Ahimè, voi non avete visto ancora niente, è questo è solo un piccolo scampolo del suo carattere!

SGANARELLO – E’ mai possibile, che esista un uomo di animo così vile da maltrattare una donna come voi?  Ah, quanti ne conosco, bella balia, e neanche tanto lontani da qui, che sarebbero felici anche solo di baciare i mignoli dei vostri piedi!  Come è possibile che una donna bella come voi sia caduta nelle mani  di quell’animale, di quella bestia, di quello stupido, quell’ignorante....  Vi chiedo scusa, balia, se parlo così di vostr marito.

GIACOMINA – Eh, signore, lo so io se non si merita tutti quei titoli!

SGANARELLO – Sì, balia, senza dubbio se li merita; e ancora di più si meriterebbe che gli metteste qualcosa sulla testa, per punirlo di tutti i suoi gelosi sospetti!

GIACOMINA – E’ è proprio vero che se tanto non mi occupassi di lui, potrebbe anche spingermi a qualche colpo di testa!

SGANARELLO – Ah, secondo me fareste proprio bene a vendicarvi di lui con qualcun altro!  E’ uno, ve lo dico io, che se lo merita proporio; e se io potessi essere tanto fortunato, balia, da venir scelto per....

         (A questo punto, tutti e due accorgendosi che Luchino era dietro di loro ed ha sentito i loro discorsi, ciascuno si tira da parte, e il Medico in modo molto divertente.)[2]

Scena IV – GERONTE, LUCHINO

GERONTE –  Olà, LUCHINO, hai visto il nostro dottore?

LUCHINO – Eh sì, che lo visto, accidente d’un accidente! E ho visto anche mia moglie!

GERONTE – E adesso dov’è?

LUCHINO – Non lo so, ma vorrei che fosse a tutti diavoli.

GERONTE – Va un po’ a vedere che cdosa fa mia figlia.

Scena V – SGANARELLO, LEANDRO, GERONTE

GERONTE – Ah, signore, ho appena chiesta dove eravate!

SGANARELLO – Mi stavo dilettando nel vostro cortile ad espellere il superfluo di ciò che ho bevuto. Come sta l’ammalata?

GERONTE –  Dopo la vostra medicina, un po’peggio.

SGANARELLO – Tanto meglio: vuol dire che fa effetto.

GERONTE – Sì, ma se va avanti così ho paura che me la uccida.

SGANARELLO – Non preoccupatevi: ho delle cure che se ne fregano di tutto, ma devo aspettare che sia agonizzante.

GERONTE – Chi è quell’uomo che vi accompagna?

SGANARELLO (facendo gesti con la mano che si tratta di un farmacista) –  E’... ..

GERONTE – Come?

SGANARELLO – Quello....

GERONTE – Eh?

SGANARELLO – Che....

GERONTE – Ho capito.

SGANARELLO – Vostra figlia ne avrà bisogno.

 

Scena VI – GIACOMINA, LUCINDA, GERONTE, LEANDRO, SGANARELLO

SGANARELLO – Questo le farà bene.  Forza, signor farmacista, sentitele un po’ il polso, in modo che io possa discutere con voi la sua malattia.

(A questo punto, tira Geronte da parte sulla scena e, passandogli un braccio sulle spall, con la mano sotto il mento lo forza a voltare la faccia verso di lui, ogni volta che quello vuole guardare quel che fanno sua figlia e il farmacista; e intanto gli tiene questo discorso per distrarlo)

Signore, vi è in corso una grande e sottile disputa tra i dottori, sul tema se le donne guariscano più facilmente degli uomini.  Vi prego di starmi a sentire, se non vi dispiace.  Qualcuno dice che no, qualcuno dice di sì; e io non dico né sì né no; dal momento che l’incongruità degli umori opachi che si riscontrano nel carattere naturale della donne, essendo la ragione per cui la parte brutale tende sempre a prevalere sulla sensitiva, rende esplicito che l’ineguaglianza  delle loro opinioni  dipende dal movimento obliquo dell’orbita della luna; e così omew il sole, che folgora coi suoi raggi la concavità della terra, trova...

LUCINDA – No, io non sono tale da mutare i miei sentimenti.

GERONTE – Senti mia figlia che parla!  O grande potenza della medicina! O ammirevole dottore! Quanto vi sono obbligato, signore, per questa meravigloiosa guarigione!, e che cosa mai potrò fare per voi dopo un tale servizio?

SGANARELLO (camminando per la scena e asciugandosi la fronte) – Ecco un caso che mi ha fatto molto penare!

LUCINDA – Sì, padre mio, ho ritrovato la parola; ma l’ho ritrovata per dirvi che non avrò mai altro marito che Leandro, ed è del tutto inutile che voi continuiate a volermi dare Orazio.

GERONTE –   Ma...

LUCINDA – Niente potrà mai scuotere la decisione che ho preso.

GERONTE – Come...?

LUCINDA – E’ inutile che voi mi contrapponiate le vostre ragioni.

GERONTE – Se...

LUCINDA – I vostri discorsi non serviranno a niente.

GERONTE – Io...

LUCINDA – E’ una cosa cu cui sono decissima.

GERONTE – Ma...

LUCINDA – Non vi è autorità paterna che possa costringermi a sposarmi mio malgrado.

GERONTE – Io ho...

LUCINDA – Potete fare tutto quel che volete.

GERONTE - Il...

LUCINDA – Il mio cuore non si piegherà mai a una tal tirannia.

GERONTE – La...

LUCINDA – E preferisco seppellirmi in un convento, piuttosto che sposare un uomo che  non amo.

GERONTE - Ma...

LUCINDA (parlando con un tono di voce da stordire) – No. In nessun modo. Niente da fare. State perdendo tempo.  Impoissibile.  Assolutamente deciso.

GERONTE – Ah, ma che diluvio di parole!  Non si riesce a resistere. Signore, vi prego: fatela ridiventare muta.


SGANARELLO – Questa è una cosa che non mi è possibile. Quello che posso fare  per servirvi è di rendere sordo voi, se vi interessa.

GERONTE – Vi ringrazio.  Ma tu non pensi che...

LUCINDA – No. Tutte le vostre ragioni niente potranno sul mio cuore.

GEEONTE – Tu sposerai Orazio questa sera stessa.

LUCINDA – Sposerò piuttosto la morte.

SGANARELLO – Mio dio, fermatevi! Lasciate che medicamenti io questa faccenda.  Quella che l’ha presa è un’altra malattia, e so io la cura che va praticata.

GERONTE – Possibile, signore, che voi possiate guarire anche questa malattia dello spirito?

SGANARELLO – Sì, lasciate fare a me, che ho dei rimedi per ogni cosa, e il nostro farmacista tornerà utile per questa cura.  (Chiama il Farmacista e gli parla)  Una parola. Come vedere, la sua passione per questo Leandro è del tutto contraria alle volontà del padre; non c’è tempo da perdere, gli umori si stanno tutti inacidendo, ed è necessario trovare subito una cura per questa malattia, che se non curata subito potrebbe peggiorare.   Per me, la cura non può essere che una: una presa di fuga purgativa, da mescolarsi a dovere con due dracme di matrimonium in pillole.  Forse lei opporrà qualche resistenza sottomettersi alla cura; ma dappoichè voi siete uomo di grande valore in questo mestiere, tocca a voi darvi da fare e farle inghiottire la cosa nel miglior modo possibile.  Portatela dunque a fare un giretto per il giardino, onde predisporre gli umori, mentre io mi occuperò qui di suo padre; ma soprattutto non perdete tempo. Subito il rimedio, subito il rimedio raccomandato!

Scena VII – GERONTE, SGANARELLO

GERONTE –  Che medicine sono, signore, quelle che avete detto?   Mi sembra di non averle mai sentite nominare.

SGANARELLO – Sono medicine di cui ci si serve per i casi urgenti.

GERONTE – Avete mai visto un’insolenza simile a quella di mia figlia?

SGANARELLO – Le figlie sono a volte un po’ testarde.

GERONTE – Non potete neanche immaginare come si sia infatuata di questo Leandro.

SGANARELLO – Il calore del sangue produce cotali effetti tra i giovani.

GERONTE –  Io, come mi sono accorto della violenza di questo amore, ho sempre tenuto mia figlia chiusa in casa.

SGANARELLO – Avete agito con saggezza.

GERONTE – Ed ho fatto in modo che non riuscissero a comunicare.

SGANARELLO – Benissimo.

GERONTE – Chissà cosa non sarebbe successo, se fossero riusciti a vedersi.

SGANARELLO – Non c’è dubbio.

GERONTE – Avrebbe potuto arrivare al punto di fuggirsene con lui.

SGANARELLO – Un pensiero molto previdente.

GERONTE –  Mi è stato detto che lui fa di tutto per parlarle.

SGANARELLO – Un pazzo!

GERONTE – Ma sta perdendo il suo tempo.

SGANARELLO – Ah, ah!

GERONTE – Penserò io a impedirgli di vederla.

SGANARELLO – Non si trova certo di fronte un allocco, voi che ne sapete una più del diavolo. Dovrebbe mangiarne di minestra, per passarvi davanti!

Scena VIII – LUCHINO, GERONTE, SGANARELLO

LUCHINO – Ah, sanguedigiuda, signore, questa sì che è una stregoneria! Vostra figlia è scappata con il suo Leandro.  Il farmacista era lui, e lì c’è que signor dottore che ha messo in piedi questa bella operazione.

GERONTE – Come?  Assassinarmi in questo modo?  Presto, un commissario di polizia, e intanto attenti che non esca dei qui.  Ah, traditore!  Vi farò punire per bene dalla giustizia.

LUCHINO – Ah, parola mia, signor dottore, qui finite sulla forca!  E state attento a non muovervi di dove siete.

Scena IX – MARTINA, SGANARELLO, LUCHINO

MARTINA –  Ah, dio mio, la fatica che ho fatto a trovare questa casa!  Mi dite qualcosa, per piacere, di quel dottore che vi avevo dato?

LUCHINO – Eccolo lì, che tra poco lo impiccano,

MARTINA – Come? Mio marito impiccato?  O santo cielo, e che cosa ha fatto di male?

LUCHINO – Ha fatto rapire la figlia del nostro padrone.

MARTINA – Oddio, mio caro marito, davvero stai per essere impiccato?

SGANARELLO –  Come vedi. Ah!

MARTINA – E tu ti lasci morire in presenza di tutta questa gente?

SGANARELLO – Cosa vuoi che ci faccia?

MARTINA – Avessi almeno finito di tagliare la legna, che almeno potrei consolarmi un po’.

SGANARELLO –  Allontanati, ti prego: tu mi spezzi il cuore.

MARTINA – No, io resto qui per confortarti di fronte alla morte, e non me ne andrò finchè non ti vedrò impiccato.

SGANARELLO – Ah!

Scena X -  GERONTE, SGANARELLO, MARTINA, LUCHINO

GERONTE – Il commissario sarà qui tra poco, che vi metterà in un posto dove mi si risponderà di voi.

SGANARELLO (con il cappello in mano) – Ahimè, non si può scambiare la cosa con qualche bastonata?

GERONTE – No, no, ci penserà la giustizia...   Ma che cosa vedo?

Scena  XI e ultima – LEANDRO, LUCINDA, GIACOMINA, LUCHINO, GERONTE, SGANARELLO, MARTINA

LEANDRO – Signore, vi presento Leandro, che viene a riconsegnare Lucinda alla vostra potestà.  Avevamo presa la decisione di fuggire insieme e di andare a sposarci; ma questa idea ha lasciato il posto a un più onesto comportamento. Non ho alcuna pretesa di rapire vostra figlia, ed è solo dalle vostre mani che intendo riceverla.  Quello che volevo dirvi, signore, è che ho testè ricevuto una lettera in cui mi si informa che mio zio è morto, e che io sono l’erede di tutti i suoi beni.

GERONTE – Signore, ho la massima considerazione per i vostri meriti, e vi do mia figlia con la più grande gioia del mondo.

SGANARELLO – La medicina l’ha scampata bella!

MARTINA – Visto che non ti impiccano più, ringraziami per essere medico, perché sono io che ti ho procurato questo onore.

SGANARELLO – Sì, sei proprio tu che mi hai procurato non so quante bastonate.

LEANDRO – Il risultato è troppo bello perché ce se ne possa lamentare l’uno con l’altro.

SGANARELLO – E sia! Io ti perdono per quelle bastonate, vista la dignità alla quale mi hai innalzato. Ma preparati d’ora in avanti a mostrare il massimo rispetto per un uomo della mia importanza, e ricordati sempre che la collera di un medico è da temersi più di quanto si possa credere.


[1] E’ tradizione che a questo punto Sganarello declini il nome Lucinda:  Lucinda, Lucindae, Lucindam....

[2] Il lazzo è descritto in  un’edizione più tarda: “Mentre Sganarello tende le braccia per abbracciare Giacomina, LUCHINO infila la testa tra i due. Sganarello e Giacomina lo vedono  ed escono di scena dai due lati opposti, ma il medico in modo molto comico.)