Il mercante di Malmantile

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IL MERCATO DI MALMANTILE

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo Pastor, Arcade da rappresentarsi nel Teatro Grimani di S. Samuele il Carnovale dell'Anno .

PERSONAGGI

IL CONTE DELLA ROCCA Giurisdicente.

Il Sig. Giuseppe Borelli.
La MARCHESA GIACINTA vedova.

La Sig. Maria Monari.
LAMPRIDIO governatore di Malmantile.

Il Sig. Francesco Carattoli, Virtuoso di S. A. S. il Sig. Duca di

Modena.
 BRIGIDA figliuola di Lampridio.

La Sig. Giovanna Baglioni.RUBICCONE ciarlatano.

Il Sig. Michiel Angiolo Potenza. BERTO contadino sciocco.

Il Sig. Francesco Baglioni. LENA contadina.

La Sig. Catterina Ristorini.CECCA contadina.

La Sig. Vicenza Baglioni.Contadini. Venditori. Servitori.

La Musica è del Sig. Giuseppe Scarlatti Maestro di Cappella Napolitano.


MUTAZIONI DI SCENE

ATTO PRIMO

Piazza del Mercato con varie botteghe e banchi per i venditori.

Sala in casa del Governatore.

Deliziosa per il Ballo.

ATTO SECONDO

Cortile in casa del Governatore.

Luogo per le udienze del Governatore.

Sala per il Ballo.

ATTO TERZO

Cortile.

Sala.

I Balli sono d'invenzione del Sig... Sodi.

Le Scene sono di nuova invenzione e direzione del Sig. Andrea Urbani.

Il Vestiario è di vaga invenzione e direzione del Sig. Gio. Battista Rotta, Bolognese.


ATTO PRIMO SCENA PRIMA

Piazza rustica in pianura con fabbriche antiche, e in distanza il castello di Malmantile sopra

una collina. Varie botteghe amovibili, con merci e venditori, che formano il mercato, e vari

contadini e contadine che vendono i loro prodotti.

Berto, Lena e Cecchina ai loro posti. Lampridio, il Conte della Rocca e Brigida che passeggiano per il mercato, e Rubiccone da un lato per esercitare la

sua professione.

Tutti cantano come segue:

Che bella festa, che bel mercato!

Qui tutto è bello, qui tutto è grato: Non vi è castello più signorile Del bel castello di Malmantile. Aria sanissima, - terra buonissima, Che giocondissima - per noi sarà.

Lena, Cecchina e Berto

Chi vuol capponi, chi vuol galline? Chi vuol comprare le ricottine? Chi vuol dell'ova, si accosti qua.

Il Conte, Lampridio e Brigida

Chi va, chi viene, chi compra o vende; Ed al mercato le sue faccende Ciascun può fare con libertà.

Rubiccone

Ecco, signori, l'operatore.

Io sono un medico di gran valore Che a tutti reca la sanità.

Tutti

Che bella festa, che bel mercato!

Qui tutto è bello, qui tutto è grato! Non vi è castello più signorile Del bel castello di Malmantile. Aria sanissima, - terra buonissima, Che giocondissima - per noi sarà.

LAM.                     Che dice, signor Conte,

Di questo bel mercato?


Ne ha veduto un più bello in altro stato?
CON.                     Certo, ve lo protesto,

Il mercato miglior non vi è di questo.

Ma voi di Malmantile

Degno governatore,

Lo rendete migliore, e a maraviglia

Cresce la sua beltà la vostra figlia.

LAM.

Oh, signor, mi confonde...

Troppa grazia mi fa coi detti suoi...

Al complimento rispondete voi. (a Brigida)

BRIG.

Risponderò, come da me si suole,

Liberi sensi in semplici parole.

Il Conte della Rocca, Per grazia, per bontà,

Non ha fatto che dir la verità.

LAM.

Che tu sia benedetta!

(Pare una dottoressa).

CON.

Il padre è stolto, e un po' leggera è anch'essa.

Lena, Cecchina e Berto

Chi vuol capponi, chi vuol galline?

Chi vuol comprare le ricottine?

Chi vuol dell'ova, si accosti qua.

LAM.

(Cotesti contadini

Che vengono al mercato,

L'utile che mi vien non mi hanno dato.

Ho del Conte un pochin di soggezione). (da sé)

Via, signor Conte, andate,

Passeggiate, comprate;

E voi, figliuola mia,

Lo dovete servir di compagnia.

CON.

Se l'onor mi concede,

Eccomi qui a servirla. (offre la mano a Brigida)

BRIG.

Sono tutta disposta a favorirla. (parte col Conte)

RUB.

Ecco, signori, l'operatore.

Io sono un medico di gran valore,

Che a tutti reca la sanità.

LAM.

(Anche costui che dicesi

Medico operatore,

Dee col governatore

Far la sua obbligazione,

Se vuol esercitar la professione). (da sé)

Galantuomo.

RUB.

Signore.

LAM.

Una parola.

RUB.

Eccomi ad obbedirla. (si accosta)

Se ha qualche malattia, saprò guarirla.

LAM.

Io, per grazia del ciel, nella mia età

Godo la sanità.

RUB.

Sfortuna mia.


LAM.                     Bacio le mani di vossignoria.

RUB.                     Signor, chiedo perdono.

Per far veder chi sono, Davvero, io bramerei Che avesse almen cinque malanni o sei: La sciatica, la gotta, La febbre, lo scorbuto, il mal d'orina, Piaghe, fistole, doglie per la vita, E sarebbe da me tosto guarita.

LAM.                     Signor operatore,

Grazie al vostro buon cuore.

Io bisogno non ho del vostro aiuto,

Ma alla carica mia chiedo il tributo.

RUB.                     Subito, immantinente.

Un tesoro, signor, darle destino: Eccole per i calli un cerottino.

LAM.                     Io non voglio cerotti...

RUB.                                                          Ecco un arcano,

Da cui vedrà portenti: La polve mia per risanare i denti. Denti guasti, gelati, Dal verme divorati, Deboli, traballanti, Nelle mascelle infranti, Senza ferri, tanaglie e pulicani, Colla polvere mia ritornan sani.

LAM.                     Della polvere vostra

Noi parlerem da poi. Ora voglio da voi...

RUB.                                                       Prenda, signore,

Prenda questa porzion del mio liquore. Questo è un liquor gemmato Coll'oro incorporato, D'erbe composto, di radici e sali, Di balsami, di gomme e minerali, Buon per la digestione, Buon per la convulsione, Per calcoli, per febbri ed etisia, Per dolori di corpo e idropisia.

LAM.                     Buon per quel che volete;

Ma voi non intendete Quel che or da voi pretendo...

RUB.                     Eh, sì signore, intendo.

Ella crede ch'io sia Un di coloro ciarlatan chiamati. Ecco qui gli attestati Delle cure che ho fatto. Favorisca...

LAM.                     Io non voglio saper...

RUB.                     Senta, e stupisca.

Noi sottoscritti facciamo fede A chi ne dubita, a chi non crede, Che Rubiccone l'operatore


È un uomo celebre, è un gran dottore,

Che ha fatto cose da inorridir.

A Boboli ha guarito

Un etico spedito;

A Siena ha risanato

Un povero stroppiato;

A Pisa ad un idropico

Donò la sanità. E per la verità

Diciamo ed attestiamo,

Che il gran dottore,

L'operatore,

Ha risanati

Tanti ammalati,

Che dai maledici

Speziali e medici

Perseguitato,

Fu discacciato per impostor.

Viva il gran medico, l'operator. (parte)

SCENA SECONDA

Lampridio, Lena, Berto, Cecchina ed altre Persone come sopra.

LAM.                     Per dir la verità, non mi credeva

Ch'ei fosse un uom sì bravo. Tanta gente ha guarito! Io gli son schiavo. Merita la virtù, dove si trova, Essere rispettata. Mia figlia letterata Goderà di saper i pregi suoi; Vuò ch'egli venga a desinar con noi. Venite, contadine e contadini. (Spendere non vorrei molti quattrini).

LENA

Se vuole un bel cappone,

Lo puoi comprar da me.

CEC.

Se vuoi un bel piccione,

Nel mio cestino c'è.

BER.

Se vuoi dell'ova fresche,

Da me le troverà.

a tre

Io vendo roba buona:

Di meglio non si dà.

Veda, prenda,

Compri, spenda.

Io vendo roba buona:

Di meglio non si dà.

LAM.

(Questa contadinella

Tanto è graziosa e bella,

Che quasi quasi, se piacesse a lei,

La sua bella grazietta io comprerei). (da sé, parlando di Lena)


BER.

Signor, se vuol dell'ova...

LAM.

Sì, aspettate. (a B

Bella ragazza, come vi chiamate? (a Lena)

LENA

Lena ai vostri comandi.

CEC.

Signore, un piccioncino...

LAM.

Aspettate un pochino. (a Cecca)

Dove state di casa? (a Lena)

LENA

Sto qui poco lontano.

BER.

Se vuol dell'ova...

LAM.

Acchetati, villano.

Lasciatemi veder che cosa avete. (a Lena)

LENA

Ecco, signor; prendete

Questa grassa gallina.

LAM.

Datela qui. (Che morbida manina!) (da sé)

Mi fareste il piacere

Di portarmela a casa? (a Lena)

LENA

Sì, signore.

BER.

Sono freschi, signor...

LAM.

Che seccatore!

LENA

Quanto la pagherete? (a Lampridio)

LAM.

Tutto quel che vorrete,

Basta che voi vogliate...

CEC.

Vuol comprare da me?

LAM.

Non mi seccate.

Bella Lenina, Cara, carina, Questa gallina Io comprerò. (a Lena) Non mi seccate, Non mi annoiate, Da voi comprare

Per or non vuò. (a Cecca e Berto) Sarà perfetta La gallinetta, Ma graziosetta Voi siete ancor. (a Lena) Ma che insolenza! Che impertinenza! Che seccatrice!

Che seccator! (a Cecca e Berto) Vi aspetto in casa. (a Lena) Tacete un po'. (a Cecca e Berto) Venite presto. (a Lena) Comprar non vuò. (a Cecca e Berto) Andate al diavolo! Non si può vivere; In piazza a spendere Più non verrò. (parte)

SCENA TERZA


Lena, Cecca, Berto ed altri come sopra.

CEC.                      Che cara signorina!

Tutti corron da lei.
LENA                    Non v'impacciate con i fatti miei.

CEC.                      Ancor io, se volessi

Far la graziosa con i compratori,

Acquistarmi potrei degli avventori.
BER.                      Si vendon facilmente

I capponi, i pollastri e le galline,

Facendo il giocolin colle manine.
LENA                    Via tacete, invidiosi;

Son giovine onorata,

Non sono una sfacciata.

E se mi stuzzicate niente niente...

Non mi voglio scaldar fra tanta gente.

Son chi son; mi maraviglio Dir di me non si potrà, E tacere io vi consiglio, Che per voi meglio sarà. Se mi dicon ch'io son bella, Se vezzosa alcun mi appella, Non si offende l'onestà. La pecorella Nel mezzo al prato Serba illibato Suo bel candor. Son poverella Ma innocentina, Son tenerina, Dolce di cor. (parte)

SCENA QUARTA Cecca, Berto e detti, come sopra.

CEC.

Oh, quanto mi fa ridere.

Se non si conoscesse!

Se l'usanza di lei non si sapesse!

BER.

Zitto, non mormorate.

CEC.

È ver, voi dite bene;

Mormorar della gente non conviene.

BER.

La Lena è maliziosa.

CEC.

Con cento fa all'amore.

BER.

Or col governatore

Userà l'arti che con altri ha usate.

CEC.

Zitto, non dite mal.

BER.

Non mormorate.

CEC.

Di lei ne so di belle,


Ma parlar non conviene.
BER.                                                               Anch'io ne so;

Ma vuò tacere e mormorar non vuò.
CEC.                      Con Pasqual, con Medoro,

L'altro dì l'ho veduta.
BER.                      Da tutti è conosciuta;

Si sa che non sa far che ragazzate.
CEC.                      Zitto, non dite mal.

BER.                                                     Non mormorate.

Io l'ho veduta con più di cento Far la vezzosa per civettar: Ma non sta bene di mormorar. Dietro la porta L'ho ritrovata; L'innamorata Sapeva far:

Ma non sta bene di mormorar. So tante cose, Ma non le dico; Un certo intrico So ch'è accaduto, Ed ho veduto... Non vuò parlar, Ché non sta bene di mormorar. (parte)

SCENA QUINTA

Cecchina ed altri, come sopra.

Berto è un uomo prudente;

Dice tutto, e gli par di non dir niente.

Dicon che il mormorare

Della femmina sia costume ed arte,

Ma fan gli uomini ancor la loro parte.

Io dico quel che dico

Non già per mormorare;

Ma non so tollerare

Veder che tante e tante

Hanno più d'un amante; ed io, meschina,

Che di fare all'amor talvolta bramo,

Non trovo un cane che mi dica: io t'amo.

Se nessuno ora non c'è, Verrà un giorno ancor per me. Poverella, - tenerella, Per amore, o per pietà, Qualcheduno mi amerà. Come l'altre voglio far... Ma non voglio mormorar. Se bonina, - modestina,


La Cecchina si vedrà, Qualchedun mi sposerà. (parte)

SCENA SESTA

Camera in casa di Lampridio.

Il Conte e Brigida

BRIG.                    No, caro signor Conte,

Non mi lasci sì presto. Favorisca Di restare con me; mi divertisca.

CON.                     Veramente, signora,

   non ho gran talento

Per dar divertimento, e non vorrei
Vi voleste spassar de' fatti miei.
BRIG.                    So la mia obbligazione.

   mio cuore ha per lei rispettazione.
CON.                     (Tanta bellezza unita

A sì gran scioccheria non è un peccato?)
BRIG.                    (Le cerimonie mie l'hanno incantato).

CON.                     Verrò, se il permettete,

Verrò spesso a trovarvi.
BRIG.                                                          Ella è padrone;

Anzi mi farà grazia,

E quando ella verrà,

Io la riceverò con gran bontà.
CON.                     È la vostra bontà singolarissima.

BRIG.                    Oh cosa dice mai? Serva umilissima. (s'inchina)

CON.                     Oh quanto pagherei che nel mio feudo

Veniste ad albergare!
BRIG.                                                      In verità

Non so come mi faccia a restar qua.

Io che sono nutrita

Con nobiltà fiorita,

Viver con questa gente villanaccia

Mi vengono i rossori sulla faccia.
CON.                     In fatti io lo diceva,

Trovar peggio per voi non si poteva.
BRIG.                    Basta, spero che un giorno

La stella mia risplenderà propizia,

E che la sorte mi farà giustizia.

Signor Conte garbato,

Favorisca di grazia: è maritato?
CON.                     Non ancora. Ho un impegno

Con certa vedovella

Nobile, ricca e bella,

Ma non è soddisfatto il genio mio :

Siete più bella voi.
BRIG.                                                   Lo credo anch'io.

Però se il signor Conte


Mostra per me della benevoglianza, Ho anch'io per lui della concomitanza.

CON.                     Veggo che cortesissima

Siete verso di me.

BRIG.                                                 Serva umilissima.

CON.                     Per or deggio lasciarvi;

Tornerò a incomodarvi. Vicino a voi mi sento L'anima giubilar per il contento.

Il seren di quelle ciglia Mi conforta, mi consiglia, A sperar d'amor la pace, La sua face - a risvegliar.

Quelle guancie porporine Son due rose damaschine; Può quel labbro vezzosetto Il mio petto - riscaldar. (parte)

SCENA SETTIMA Brigida, poi Lampridio

BRIG.                    Il Conte mi vuoi bene,

È di me innamorato; Ma vi vorrebbe un principe d'altezza Per la bella beltà di mia bellezza. Pure, se prestamente Una sorte miglior non mi si appressa, Mi basterà di diventar contessa.

LAM.                     Figlia, così soletta?

BRIG.                                                   Signor padre,

Favorisca mandare Subito a comperare Per un messo, pedone o cavalcante, Una cuffia, un andriè e un guardinfante

LAM.                     Ma perché questa cosa?

BRIG.                    La figlia sua d'un cavaliere è sposa.

LAM.                     Come! come! Narrate.

BRIG.                                                        Il signor Conte

Va di me stupefatto, E mi vuole sua sposa in ipso fatto.

LAM.                     Ti ringrazio, fortuna. Veramente

Si vede che tua madre, Ch'era donna di nobili pensieri, Ebbe grande amistà coi cavalieri.

BRIG.                    Anch'io, se andrò in città,

Vuò praticare il fior di nobiltà.

LAM.                     Appunto, ora è venuta

Una dama da noi, ch'io non conosco. lo non sono avvezzato ai complimenti:


Vuò che tu la riceva in vece mia.

BRIG.

Venga, la tratterò con cortesia.

LAM.

Ehi, dite a quella dama (verso la scena)

Che, se vuole venir, venga di qua.

BRIG.

Bella cosa è, signor, la civiltà.

SCENA OTTAVA

La Marchesa e detti.

MAR.

Serva di lor signori.

LAM.

Schiavo, padrona mia.

BRIG.

Con un tributo

D'ossequioso rispetto io la saluto.

Chi è di là? da sedere.

MAR.

Signor, bramo un favore... (a Lampridio)

BRIG.

Io son la figlia del governatore.

MAR.

Seco me ne consolo.

BRIG.

È compitissima

Favorisca seder. Serva umilissima.

LAM.

(Gran figliuola!) (da sé)

MAR.

Perdoni...

BRIG.

Favorisca sedere, e poi ragioni. (siede)

MAR.

Vorrei, con permissione

Della di lui figliuola,

Con il padre parlar da solo a sola.

BRIG.

È ver che l'illustrissimo

Mio signor genitore

Di qui è il governatore,

Ma s'egli è il principale,

Nel governo son io collaterale.

LAM.

Certo, la mia figliuola

Fa tutti i fatti miei;

Chi vuol meco parlar, parli con lei.

MAR.

Dunque alla sua presenza

Svelerò le cagioni...

BRIG.

Favorisca sedere, e poi ragioni. (siede)

LAM.

(Che tu sia benedetta!

Che nobile maniera!

È propriamente una ceremoniera). (da sé)

MAR.

Voi sapete, signori,

Che l'amore e il timor son due gemelli.

BRIG.

Favorisca il suo nome, e poi favelli.

LAM.

Brava!

MAR.

Io son la Marchesa

Giacinta di Bel Poggio,

Vedova di pochi anni, a cui la fede

Diè il Conte della Rocca,

E dev'essere il Conte a me marito.

BRIG.

Basta, signora mia, basta, ho capito. (s'alza)

Il Conte della Rocca,


Con sua buona licenza, Diede a un'altra beltà la preferenza. Una sposa averà pregievolissima, E la sposa son io. Serva umilissima.

Marchesina vedovella,

Siete cara, siete bella,

Ma vi manca un non so che,

Che ritrova il Conte in me :

Un'aria nobile,

Un vezzo amabile,

Un occhio tenero

Che in voi non vi è.

Se lo sperate,

Voi v'ingannate.

Non vi è pericolo.

Conosce il merito;

Quel cor amabile

Tutto è per me. (parte)

SCENA NONA

La Marchesa e Lampridio

MAR.

Non curo i detti suoi.

Mi spiegherò con voi.

LAM.

Cosa volete,

Cara signora mia, che in ciò vi dica?

Meco il tempo gettate e la fatica.

MAR.

Voi che padre le siete,

Voi pur seconderete

La vostra figlia in simile pazzia?

LAM.

Pazza la figlia mia?

MAR.

S'ella pretende

Il Conte della Rocca...

LAM.

Brigida non è sciocca.

MAR.

Un cavaliere

Se pretende sposar...

LAM.

La mia ragazza

Figlia è d'un uom civile:

Sono il governator di Malmantile.

MAR.

È ver, ma non per questo...

LAM.

Non parlate così: ve l'avvertisco.

MAR.

Che vorreste voi dir?

LAM.

Vi riverisco. (parte)

SCENA DECIMA

La Marchesa sola.


Padre e figlia egualmente

Sono arditi di cuor, stolti di mente.

Ma non sariano meco

Audaci a questo segno,

Se il Conte non avesse

Di costei fomentato il folle amore.

Ah, pur troppo m'inganna il traditore!

Non vi è costanza al mondo, Non vi è più fedeltà. Misera, mi confondo; Tutto penar mi fa.

Ma se il crudel ritrovo, Lo sdegno mio saprà. O l'amor suo rinnovo, O il fio mi pagherà. (parte)

SCENA UNDICESIMA Brigida, poi Lampridio

BRIG.                    La signora Marchesa

Se torna a importunarmi,

Della mia civiltà saprò scordarmi.

Son umile, son buona,

Son la stessa prudenza,

Ma perdo la pazienza facilmente.

Non mi posso tener con certa gente.

LAM.                     Figlia, figlia, una visita.

BRIG.                    Chi è che vuol farmi onore?

LAM.                     Un arcistupendissimo dottore:

Un medico eccellente Che ho conosciuto in piazza, Che desia riverir la mia ragazza.

BRIG.                    Mi conosce?

LAM.                                        È informato:

Della vostra sapienza è innamorato.

BRIG.                    Venga, quand'è così.

LAM.                     Figlia, fatevi onore; eccolo qui.

SCENA DODICESIMA

Rubiccone e detti, poi la Lena, poi Berto

RUB.                               Mia signora, a voi m'inchino.

Vi son servo, o mio signor. Che bel volto peregrino! Mi ha ferito in seno il cor.


BRIG.

(Ecco di una beltà gli usati frutti.

Tutti restano presi; incanto tutti). (da sé)

LAM.

Che dite di mia figlia?

RUB.

La miro, e nel mirarla io mi confondo.

La più bella di lei non vidi al mondo.

BRIG.

Effetto della grazia,

Che perviene da lei pregevolissima.

RUB.

Anzi merito suo.

BRIG.

Serva umilissima.

LAM.

Che ne dite? (a Rubiccone)

RUB.

È un incanto.

LAM.

(Ma non sapete ancora,

Che gran pezzo ella sia di virtuosa!

Domandatele un poco qualche cosa). (da sé)

RUB.

Signora, io mi consolo

Di vedere una giovane

Sì bella e virtuosissima.

Mi rallegro davver.

BRIG.

Serva umilissima.

LAM.

(Domandatele un poco

Di legge, medicina, o matematica:

Sentirete che in tutto è donna pratica). (da sé)

RUB.

Sa ancor di medicina? (a Brigida)

BRIG.

Ne so quanto conviene.

RUB.

Saprà da che proviene

La febbre, l'emicrania e l'etisia.

LAM.

Presto, figliuola mia, fatevi onore.

BRIG.

La febbre, mio signore,

Vien dall'alterazione;

Lo sputo è la cagione

Dell'etisia funesta.

Vien l'emicrania dal dolor di testa.

LAM.

Ah? Che dite?

RUB.

Bravissima!

Non si può far di più.

BRIG.

Serva umilissima.

RUB.

Si conosce, si vede, si sa

Di quel volto la rara beltà,

Ma del bello si apprezza ancor più

La famosa stupenda virtù.

LAM.

Ma del bello si apprezza ancor più

La famosa stupenda virtù.

BRIG.

Quel ch'io sono, signore, lo so,

Ma di questo vantarmi non vuò.

Non è facil trovare oggidì

Una donna che parli così.

LAM.

Non è facil trovare oggidì

Una donna che parli così.

RUB.

Sì, lo dico: voi siete un incanto.

LAM.

È un incanto mia figlia davver.

BRIG.

Il sapere fu sempre il mio vanto.


LAM.

Il suo vanto fu sempre il saper.

a tre

Se si ricercano

Del mondo i termini,

No, non si trovano

Di tali femmine,

Che quando parlano,

Diano piacer.

BRIG.

Voi siete un gran dottore,

Lo riconosco affé.

LAM.

Un uom del suo valore

Fra gli uomini non c'è.

RUB.

Un uomo di buon core

Ritroverete in me.

BRIG.

Siete voi nobile?

LAM.

È nobilissimo.

BRIG.

Siete voi ricco?

LAM.

Egli è ricchissimo.

RUB.

Per la mia nascita,

Per il mio merito,

Io son notissimo

Per le città.

a tre

Viva il sapere,

Viva il potere,

Viva la scienza,

La nobiltà.

LENA

La gallina gli vengo a portar,

Che stamane voleva comprar.

LAM.

Sì, carina, mi fate piacer:

La gallina lasciate veder.

BRIG.

Quella donna si faccia partir:

Contadine non posso soffrir.

LENA

Che gran nobiltà.

RUB.

Partite di qua.

LENA

Non voglio partir.

LAM.

Lasciatela star.

BRIG.

Non voglio soffrir.

RUB.

Non vuol sopportar.

LENA

Lasciatemi star.

BER.

Dell'ova fresche chi vuol comprar?

BRIG.

Quest'altro villano

Sen vada di qua.

BER.

Volete dell'ova? (a Lampridio)

LAM.

Ritirati in là.

BER.

Dell'ova, signore. (a Rubiccone)

RUB.

Non fanno per me.

BER.

Son freschi, signora. (a Brigida)

BRIG.

Non parlo con te.

LENA

Non far che si offenda

La sua nobiltà. (a Berto)

BRIG.

Ciascuno m'intenda:

Partite di qua.

LENA

BER.         } a due        Io voglio star qua.


BRIG. RUB.

} adue

Partite di qua.

LAM.

Fermatevi qua. (alla Lena)

LENA

} atre

BER.

Qua, qua, qua.

LAM.

BRIG.

} adue

Qua, qua, qua. (burlandoli)

RUB.

Partite di qua.

LENA

Chi vuol piccioni?

BRIG. RUB.

} adue

Che villanacci!

BER.

Chi vuol dell'ova?

BRIG. RUB.

} adue

Che insolentacci!

LAM.

Ma non gridate, Ma non strillate, Ma state zitti, Per carità.

TUTTI

Non posso stare, Non vuò crepare. Che impertinenza, Che prepotenza! Quest'insolenza - si finirà. (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Giardino in casa di Lampridio.

Il Conte e la Marchesa

MAR.                     Questa è la fede, ingrato,

Che mi giuraste un dì?
CON.                                                         Voi vi lagnate

A torto del mio amor.
MAR.                                                         Veggio il bel frutto

Di un volubile cor. Crudel, so tutto.
CON.                     Voi mi rimproverate

Perché con questa semplice

Finger provai per divertirmi alquanto,

Ma al sincero amor mio fedel mi vanto.
MAR.                     Voi siete un menzognero.

Le prometteste amor.
CON.                                                       No, non è vero.

MAR.                     Ella non ardirebbe

Dir che le prometteste il cuor, la mano,

Se generoso, umano,

Seco stato non foste, e lusinghiero.
CON.                     Io prometterle il cor?

No, non è vero. Finsi d'amore il foco

Per trattenermi un poco.

Per diletto talora io scherzo e rido,

Ma voi siete il mio bene e a voi son fido.

Non temete, mio dolce tesoro, Ch'io mi scordi la fede, l'amor; Vi promisi la mano ed il cor. E a voi serbo la mia fedeltà.

Per pietà, - non mi fate languir: Mi vedrete a' vostri occhi morir, Se conforto quel cor non mi dà. A voi serbo la mia fedeltà. (parte)

SCENA SECONDA

La Marchesa sola.

Della sua fedeltà non mi contento, S'egli di gelosia mi dà il tormento.


Di questa presontuosa,

Che mi fa sospirar, vuò vendicarmi.

Sì, sì, voglio provarmi,

Per punire la figlia e il genitore,

Far sì che a Malmantile

Sia mandato un miglior governatore.

Saprò l'altero orgoglio Punir di quell'audace: Se turba la mia pace, Mi voglio - vendicar.

All'onor mio s'aspetta Ricuperar quel core, E son per troppo amore Costretta - a dubitar. (parte)

SCENA TERZA

La Lena sola.

Ho venduto la gallina, Vorrei vendere il mio cor. Ma son tanto poverina, Non ritrovo il comprator.

Mi diceva mia madre

Che, venendo al mercato,

Qualcun che mi volesse avrei trovato.

Sì, vengo di buon'ora,

Ci sto fin mezzo giorno,

E a casa sola, poveretta, io torno;

Ma tanto cercherò,

Che un qualche giorno lo ritroverò.

SCENA QUARTA

Berto e la suddetta.

BER.                                 Ho vendute tutte l'ova,

Vorrei vendere anche me. Ma nessuna non si trova, Che mi dica: voglio te.

LENA                    (Ecco Berto. Costui,

Quando viene al mercato,

Procura sempre di venirmi allato). (da sé)
BER.                      (Ecco qui la Lenina;

Per dir la verità, mi par bellina). (da sé)
LENA                    (S'egli si dichiarasse...


Chi sa?... Ma io la prima

Non voglio essere certo a dichiararmi). (da sé)

BER.

(Siamo da maritar, voglio provarmi). (da sé)

Buon giorno, ragazzotta.

LENA

Buon dì, Berto.

BER.

Dove andate?

LENA

Ritorno a casa mia.

BER.

Io vi posso servir di compagnia.

LENA

No, no, me ne ricordo:

Sono con voi sdegnata,

Che mi avete testé mortificata.

BER.

Se ho detto qualche cosa

Per il governatore,

L'ho detto anch'io perché vi porto amore.

LENA

Oh certo!

BER.

In verità,

Vi voglio bene.

LENA

Andate via di qua.

BER.

Sola volete andar?

LENA

Voglio andar sola:

Già ne sono avvezzata.

Meglio sola che male accompagnata.

BER.

Ah, furbetta, furbetta.

Vi rassembra ch'io sia da disprezzare?

Ma disprezza talor chi vuol comprare.

LENA

Io non vengo a comprar, vengo per vendere.

BER.

Qualche cosa ho ancor io da poter spendere.

LENA

Se volete comprare, andate in piazza.

BER.

Voglio comprare il cor di una ragazza.

LENA

Andatelo a cercar, lo troverete.

BER.

Il vostro comprerò, se mel vendete.

LENA

Questa è una mercanzia

Che si deve comprare a casa mia.

BER.

Andiam; verrò con voi.

LENA

No, no, mia madre

M'ha detto ch'io non vada accompagnata,

Se non sono promessa o maritata.

BER.

Dunque, per non lasciarvi andar più sola,

Di volervi sposar vi do parola.

LENA

Davver?

BER.

Davver, carina.

Datemi la manina.

LENA

Signor no.

Aspettate un pochino.

BER.

Aspetterò.

LENA

(Voglio pria consigliarmi). (da sé)

BER.

Avvertite, ragazza, a non burlarmi.

Ritorno in sul mercato.

Nella solita strada

Ci troverem, caretta,

E chi primo ci va, primo si aspetta.

La mia sposina - Lenina sarà.


E sul mercato con me si vedrà. Quando ti parlano, voltati in là. A chi ti cerca, rispondi così: Questo è il mio caro Che mi ha sposata. Son maritata, signori sì. Oh che contento Che al cor mi sento! Venga quell'ora, Venga quel dì. (parte)

SCENA QUINTA La Lena, poi Lampridio

LENA                    Berto per un marito

Non è tristo partito:

Ma se meglio trovassi a' giorni miei,

Con un altro miglior lo cambierei.
LAM.                     (Eccola nel giardino.

Affé, che quel visino m'innamora.

Le voglio ben, ma non l'ho detto ancora). (da sé)
LENA                    (Basta; ci penserò). (da sé)

LAM.                                                    Lena.

LENA                                                             Signore.

Spiacemi del rumore

Seguito in casa mia, ma non temete;

Vi potete tornar quando volete.
LENA                    Oh, illustrissimo, no:

Dalla figliuola sua non tornerò.
LAM.                     Mia figlia si marita

Col Conte della Rocca,

E allor che più non c'è,

Voglio che voi venite a star con me.
LENA                    Vossignoria perdoni,

Son giovane d'onore;

Non vado in casa del governatore.
LAM.                     Di che avete timor?

LENA                                                   Presso la gente

Non vuò discreditarmi.

Vuò cercar l'occasion di maritarmi.
LAM.                     Credete che non sia

Facile il maritarvi in casa mia?
LENA                    I nostri contadini

Vogliono che le loro innamorate

Stiano in casa modeste e ritirate.
LAM.                     Lena mia, in conclusione

Voi non siete un boccone

Da strapazzar così. La vostra mano

Degna è d'un gran signor, non di un villano.
LENA                    Oh, cosa dice mai? Lei mi mortifica.


Contadina son nata, e il mio destino

Mi obbliga ad isposare un contadino.
LAM.                     E se un uomo di garbo,

Un uomo letterato,

Un signor graduato

Vi volesse sposar?
LENA                                                   Non so che dire,

Se fossi destinata...

Ma non sono, signor, sì fortunata.
LAM.                     E pur vi è una persona

Che ha titoli, che ha gradi e facoltà,

Che per voi non avria difficoltà.
LENA                    Un signor titolato,

Un signor graduato

Inclina all'amor mio?
LAM.                     Sì, un gran signore, e il gran signor son io.

LENA                    (Capperi! una fortuna

Saria questa per me). (da sé)
LAM.                                                       Su via, parlate.

LENA                    Lo conosco, signor, voi mi burlate.

LAM.                     Ve lo dico di core,

Ardo per voi d'amore.

Se mia figlia si sposa, io resto solo;

E mi vuò maritare anch'io di volo.
LENA                    Ma vorrà una signora...

LAM.                                                           No, non voglio

Con madame o signore aver imbroglio.

Con voi sarò felice;

Se volete, vi fo governatrice.
LENA                    Governatrice? Capperi!

Allor la sfoggerei.

(Se dicesse davver, lo piglierei). (da sé)
LAM.                     Tant'è, se mi volete,

Cara, vi sposerò.

Non lo dite a nessuno.
LENA                                                        Io tacerò.

Ma poi non mi burlate.
LAM.                     Lena, non dubitate:

Presto sarete mia, ve lo prometto.
LENA                    Il cor per l'allegria balzami in petto.

Coll'abito da sposa Se anch'io mi vestirò, Più bella e più vezzosa, Sposina anch'io sarò.

La testa a tutta moda, Col cerchio e colla coda, A passeggiare andrò; E con un'occhiatina La gente ammazzerò. (parte)


SCENA SESTA

Lampridio solo.

Tosto ch'io son venuto a Malmantile,

Quel volto signorile,

Quegli occhi, quella bocca e quel nasino

Mi han fatto per amor tornar bambino.

Della mia vedovanza

Sono annoiato e stracco,

E la voglio sposar, corpo di Bacco.

Ma... Lampridio, Lampridio... una parola:

Che dirà la figliuola?

Brigida che ha pensieri da sovrana,

Che dirà s'io mi sposo a una villana?

Eh, v'ho da pensar io.

Soddisfo il genio mio...

Ma piano un poco,

Sono un uomo civile;

Sono il governator di Malmantile.

Pensieri a capitolo,

Che abbiamo da far?

La carica, il titolo

Mi fanno pensar.

Mi dice l'amore:

«Contenta il tuo core»;

L'onore mi dice:

«Non fare, non lice».

Che abbiamo da far?

Nel cor poverello

Campana martello

Sentire mi par.

Che dicano, che parlino,

Che gridino, che ciarlino.

Oh, questa sì ch'è buona,

Oh, questa sì ch'è bella!

La cara villanella

Contento vuò sposar. (parte)

SCENA SETTIMA

Brigida e Rubiccone

BRIG.

Vada innanzi, favorisca.

RUB.

Tocca a lei, mi compatisca.

BRIG.

Le son serva.

RUB.

A lei, m'inchino.

BRIG.

Pare proprio un amorino.

RUB.

Tutta grazia e civiltà.

a due

Viva sempre la beltà.


BRIG.

Signor, nel vostro volto

Amor con dolce cura

Collocata ha dei cor la cinosura.

RUB.

Espressione bellissima,

Degna appunto di voi.

BRIG.

Serva umilissima.

RUB.

Chi sarà il fortunato

Che la grazia averà

Di possedere una sì gran beltà?

BRIG.

Finor mi ha vagheggiato

Un Conte titolato, e se non trovo

Presto un qualche partito più magnifico,

Con il Conte mi sposo, e mi mortifico.

RUB.

Non fo per dir, signora,

Ma certo in casa mia

Di titoli non evvi carestia.

BRIG.

E quai son questi titoli?

Dite: si può sapere?

RUB.

Eccoli qui, ve li farò vedere. (le mostra il libro de' privilegi)

(Con tal caricatura

Prevalere mi vuò dell'impostura). (da sé)

Ecco qui un marchesato

Che il padre mi ha lasciato.

Ecco, signora mia,

Ecco una baronia.

Ecco qui una contea, ma questo è niente:

Son di trenta città giurisdicente.

BRIG.

Ella è giurisdicente?

Ella è conte, e barone, ed è marchese?

Ella è molto onorevole.

La sua gran nobiltade è strabocchevole.

RUB.

Nell'oro e nell'argento

In casa mia si sguazza,

Si tripudia, si gode e si sollazza.

BRIG.

Mi ha detto il padre mio, cioè l'illustrissimo

Signor governatore,

Ch'ella di medicina era un dottore.

RUB.

Son medico, egli è vero,

Ma nol fo per mestiero.

Bramo di far spiccar l'abilità,

E medico ciascun per carità.

SCENA OTTAVA

Cecca e detti.

CEC.

Oh signor ciarlatano,

Cerco appunto di voi.

BRIG.

Con chi parlate?

CEC.

Con costui che le genti ha corbellate.


RUB.

Voi non mi conoscete.

CEC.

Eh, so ben io chi siete.

So che avete venduto

Le porcherie che lasciano gli armenti

Per un segreto da pulire i denti.

RUB.

È una pazza costei. (a Brigida)

BRIG.

Me lo figuro

Ai detti, alle parole.

Ma dalla nebbia non si offusca il sole.

SCENA NONA

Berto e detti.

BER.

Oh signor Rubiccone,

Al mercato finora

Vi ho cercato invano.

BRIG.

Con chi parlate voi? (a Berto)

BER.

Col ciarlatano.

BRIG.

Oh rustica progenie,

Così parli d'un conte e d'un barone?

BER.

È un barone costui? Non lo sapeva.

So che in piazza ei vendeva

Le pillole, i cerotti e l'orvietano,

E l'ho sempre creduto un ciarlatano.

RUB.

Gente senza rispetto e civiltà.

BRIG.

Egli medica ognun per carità.

BER.

Quand'è così, scusate:

Datemi un cerottin, se lo donate.

CEC.

Quand'è così, signore,

La roba per i denti io vi ho pagato.

Datemi il mezzo paolo che vi ho dato.

RUB.

Mezzo paolo, fraschetta?

Non pagasti nemmeno la boccetta.

Vattene via di qua.

CEC.

Che bella carità!

Vendere per i denti una sporcizia?

Basta così, mi farò far giustizia. (parte)

SCENA DECIMA

Rubiccone, Brigida e Berto

RUB.

Questa è troppa insolenza:

Ma con tale genia vi vuol pazienza.

BRIG.

Vi giuro, nell'udir tal vituperio

Mi si aveva scaldato il mesenterio.

RUB.

Mesenterio? Bravissima.

Siete erudita assai.


BRIG.

Serva umilissima.

BER.

Fate che, in grazia vostra,

Mi doni un cerottino.

Fatelo, e quattro mela anch'io vi dono. (a Brigida)

BRIG.

Talpa, selce, villan, non sai chi sono?

BER.

Uh uh, quanta superbia! Vostro padre,

Ch'ora è governator di Malmantile,

Nato è anch'egli villan nel mio cortile.

BRIG.

Oimè! quel temerario,

Quel mentitor, quell'uom senza rispetto,

Mi fa venir le convulsioni al petto.

RUB.

Presto, presto, uno spirito,

Che vi conforterà.

BRIG.

Povera nobiltà! Povera stirpe mia!

Povera e nuda vai, filosofia.

Insolente! (a Berto) Mi vien male.

Presto, presto, date qua. (chiede lo spirito a Rubiccone)

Con tal grazia me lo dà,

Che mi sento innamorar.

Villanaccio! Fatti in là. (a Berto)

Non lo posso sopportar.

Che bel garbo! che bel vezzo! (a Rubiccone)

Non ha pari, non ha prezzo

La sua bella civiltà.

Marchesino, - baroncino,

Bel contino, - ah che beltà!

Villanaccio, via di qua. (a Berto, e parte)

SCENA UNDICESIMA

Rubiccone e Berto

BER.

Affé, mi fa da ridere

La povera ragazza.

Si vede ben ch'è scimunita e pazza.

RUB.

Parla con riverenza:

Suo protettore io sono.

Se le perdi il rispetto, io ti bastono.

BER.

A me? Se mi toccate,

Vi rompo il cranio a forza di sassate.

RUB.

Villano impertinente.

BER.

Ciarlatano insolente.

RUB.

Son medico, briccon, non ciarlatano.

BER.

Ed io son contadino, e non villano.

RUB.

Vil feccia.

BER.

Gabbamondo.

RUB.

Così parli di me?

BER.

Così rispondo.


SCENA DODICESIMA La Lena con vari Contadini, e detti.

LENA                    Signor operatore,

Questi che qui vedete,

Da voi, se nol sapete,

Furon tutti ingannati,

E vogliono i danar che vi hanno dati.
RUB.                     Non si parla così con un dottore.

BER.                      Andiamo tutti dal governatore.

Io, che son della villa

Sindaco, deputato, io condurrò

Questa gente dinanzi, e parlerò.
RUB.                     (Ah, son precipitato.

Di qua me ne anderei,

Ma Brigida lasciare io non vorrei). (da sé)
LENA                    Voi avete operato

Con arte e con malizia.
BER.                      Andiamo pur, vi farò far giustizia. (ai Contadini)

RUB.                     Amico, un forestiere

Non trattate così; bella ragazza,

Non mi precipitate.

Tutto per voi farò quel che bramate.

Se siete bella, siate buonina; Per voi, carina... tutto vuò far. Berto gentile, Berto grazioso, No, non mi fate precipitar. Che non mi sentano, Che non mi vedano: Queste monete vi vuò donar. Anime ingrate, - le ricusate? Perfidi, andate, - non vuò tremar. (Brigida cara, Brigida bella! Posso da quella - tutto sperar). (da sé) Gente villana, - gente inumana, Sono il dottore, - l'operatore. Di voi non voglio più paventar. (parte)

SCENA TREDICESIMA Berto, la Lena, Cecca ed i Contadini.

BER.                      Costui mi ha strapazzato.

Sì, lo voglio veder precipitato.
LENA                    A voi si raccomandano

Tutti questi, che fur da lui gabbati.
BER.                      Insieme radunati

Troviamoci tra poco,


LENA BER.


Ed al governatore

Accusiam l'impostore; e fatto questo,

Lena, fra voi e me si farà il resto.

So che dir mi volete,

Ma a tempo or più non siete.

Compatitemi, Berto. In verità,

Me ne dispiace assai

D'avervi abbandonato,

Ma un partito migliore ho ritrovato. (parte)

A me codesti torti? Il diavolo mi porti,

Pettegola, fraschetta,

Se anche con te non saprò far vendetta.

Andiamo al tribunale,

Lasciatemi parlare,

Due liti in una volta io voglio fare. (parte coi Contadini)


SCENA QUATTORDICESIMA

Cecca sola.

Berto è un uom che sa dire;

Ci farà far giustizia;

E dal governatore

Castigato sarà l'operatore.

Costui è un ignorante,

E la gente lo crede

Un uomo di virtù.

Alle parole sue non credo più.

Ciarlatani van girando Per le ville e le città, Che la gente van gabbando Con parole in quantità. Chi li sente, son dottori, Ricchi son d'argenti ed ori. Chi lor crede - se n'avvede, Che se ha poca sanità, Da costor si stroppierà. (parte)


LAM.


SCENA QUINDICESIMA

Camera in casa di Lampridio con tavolino e sedie.

Lampridio con un Servitore, poi Berto, poi Rubiccone

Ora che è terminato

Nella piazza il mercato,

Al solito mi aspetto

Che vengano le usate seccature.



Ma che vengano pure:

Sono il governator, vi vuol pazienza.

Venga innanzi da me chi vuole udienza. (siede)
BER.                      Signor, da un ciarlatano

Hanno varie persone

Del balsamo comprato,

Ed ogni uno da lui restò gabbato.

Io che il sindaco son di Malmantile,

Per lor chiedo ragione.

Condannatelo a far restituzione.
RUB.                     Signor governatore, (Lampridio a poco a poco s'addormenta)

Quel che a costoro ho dato,

Si può dir l'ho donato:

Lo diedi a un prezzo vil per carità.

A ciascuno donai la sanità.
BER.                      Non è vero, signore,

Costui è un impostore.

I suoi medicinali

Sono buoni per ungere i stivali.
RUB.                     Codesta è un'insolenza.

Vi è più d'una sperienza

Che approva i miei rimedi singolari.
BER.                      Chi ha speso i suoi denari,

Si ritrovò gabbato.
RUB.                     Chi provò i miei segreti, è risanato.

BER.                      Non è ver. Più di cento

Diran che quel ch'ei vende è una sporcizia.

Signor governator, fate giustizia. (batte colla mano sul tavolino, e Lampridio

si sveglia)
LAM.                     Ho capito, ho capito;

So io quel che farò.

Alla galera lo condannerò.
RUB.                     Condannarmi? Perché?

LAM.                                                           Non dico a voi.

BER.                      Dunque chi condannate?

LAM.                     Io non ho inteso ben quel che diciate.

BER.                      Dico che questo qui

Ha gabbato la gente, ed è così.
RUB.                     Ed io dico e sostengo

Che tutti in questo loco

Obbligati mi son...
LAM.                                                    Tacete un poco.

La causa è di rimarco.

Io non mi fido

Della mia testa sola.

Ehi! andate a chiamar la mia figliuola. (ad un Servitore, e si alza)
BER.                      Scrivete la querela;

Formategli processo.

Vo per i testimoni e torno adesso. (parte)

SCENA SEDICESIMA


Lampridio, Rubiccone, poi Brigida, poi Berto coi Contadini, poi la Lena

RUB.

Signor, non gli badate.

Son genti scellerate; io son chi sono.

Alla vostra giustizia io mi abbandono.

LAM.

Tutto va bene, amico,

Ma io nel tribunale

Il mio dover vuò fare.

La sentenza qualcun mi ha da pagare.

RUB.

Son qui, pagherò io.

Fate che in mio favor nasca il decreto,

E vi do per i calli il mio segreto.

LAM.

Per i calli il segreto? Con licenza,

Voglio far come va la mia sentenza.

BRIG.

Eccomi qui, signore.

Che comanda da me?

LAM.

Nel tribunale

Voi dovete seder collaterale.

BRIG.

Terrò nella mia destra

Contro la gente rea

Le bilancie d'Astrea.

LAM.

Chi è la signora Astrea?

BRIG.

La dea propizia

Che insegna al mondo a propagar giustizia.

LAM.

Figlia mia benedetta,

Tu sai di quelle cose

Che fan trasecolar.

RUB.

La dea giustissima

Siede nel vostro cor. (a Brigida)

BRIG.

Serva umilissima.

RUB.

Io son perseguitato,

Sono a torto accusato,

E dal vostro bel cuor giustizia attendo.

BRIG.

Sissignore, ha ragione, io lo difendo. (a Lampridio)

LAM.

Ha ragion?

BRIG.

Signor sì.

LAM.

Quando lo dici tu, sarà così.

BRIG.

Quel signor che qui vedete,

Padre mio, non conoscete.

Egli è conte, ed è marchese,

E barone e cavalier.

LAM.

È marchese? (a Rubiccone)

RUB.

Sì signore.

LAM.

È un barone? (a Brigida)

BRIG.

Signor sì.

LAM.

Ha ragion, quand'è così.

BER.

Io son qui coi testimoni. (vengono i Contadini)

E diranno, - e giureranno

Che gabbati - sono stati,

E lo voglion processar.

LAM.

Testimoni? (a Berto)


BER.

Sì, signore.

LAM.

Son gabbati? (a Berto)

BER.

Signor sì.

LAM.

Han ragion, quand'è così. (a Brigida)

BRIG.

Testimoni menzogneri,

I lor detti non son veri,

E scacciateli di qua.

LAM.

Testimoni, via di qua. (a Berto)

BER.

Ricorreremo.

Ce n'anderemo

Dove si va.

LAM.

Se ne anderanno,

Ricorreranno. (a Brigida)

BRIG.

È un uom d'onore.

RUB.

Non impostore.

BRIG.

È un cavaliere.

RUB.

So il mio dovere.

BRIG.

RUB.        } a

Un'ingiustizia,

due

No, non si fa.

LAM.

Un'ingiustizia

No, non si fa. (a Berto)

BER.

Ricorreremo

Dove si va.

LENA

Con licenza, mio signore,

Vuò accusare un impostore.

L'accusato eccolo qua. (additando Rubiccone a Lampridio)

LAM.

Quest'è un'altra novità.

Vuò sedere al tribunale,

E la mia collaterale

Con Astrea giudicherà. (siede, e Brigida fa lo stesso vicino a lui)

BER.

Colla Lena ho un'altra lite.

Mi ha promesso, e mi ha mancato;

E voglio esser sentenziato,

Se la man mi negherà.

LAM.

Quest'è un'altra novità.

BRIG.

Scriva, scriva, signor padre.

LAM.

Fate voi, ch'io poi farò.

BRIG.

Se comanda, io scriverò.

RUB.

Quei mentitori

Sono impostori:

Lo proverò.

BRIG.

Quei spergiurati

Sian condannati.

LAM.

Quel disgraziato

Condannerò.

Figlia, scrivete.

BRIG.

Io scriverò.

LENA

Codesto insano

Vuol la mia mano,

Né so il perché.

BRIG.

Scrivo, signore.

LAM.

No, in questo caso

Vuò far da me.


BRIG.

BER.

LAM.

BRIG.

BER.

BRIG. LAM.

BER.

BRIG

RUB.

LAM.

BER.

LAM.

BER.

BRIG.

RUB.

BER.

LENA

BER.

RUB.

BRIG.

LAM.

BER.

LAM.

BRIG.

RUB.

LAM.


}

}

}

}


a tre

a due

a tre

a tre


Quel villanaccio,

Quel bricconaccio,

Alla galera

Lo manderò. Alla galera

Sia condannato;

Sia castigato

Quell'impostor. Scriva, signor. (a Lampridio) Scrivete voi. Sia carcerato

Quel mentitor. (scrivendo) Sia carcerato,

Sia condannato,

Chi mi ha rubato

Di Lena il cor. Scrivo, signore. Scriverò io.

Berto impazzato

Sia incatenato,

Sia sentenziato

Per impostor. Io me ne appello

Dell'ingiustizia;

E vi è giustizia

Per tutti ancor. Viva Lampridio,

L'uom signorile,

Di Malmantile

Governator. Io me ne appello. Sia carcerato. Andiam bel bello.

Sia condannato.

Lena mia cara. Più non ti voglio. Son sassinato.

Frena l'orgoglio.

No, maledetti,

Non ho timor. Sia carcerato

Quell'impostor. Viva Lampridio,

L'uom signorile,

Di Malmantile

Governator. (partono)



ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Sala. La Lena e Berto

LENA

Via, lasciatemi stare,

Portatemi rispetto.

Certo, a vostro dispetto,

Sarò governatora.

BER.

Mi rallegro davver colla signora.

LENA

E porterò il mantò.

E con il velo andrò,

E colla cuffia in testa.

BER.

Parerà un bel galletto colla cresta.

LENA

Sì, signor, così è.

E chi vuoi grazie, ha da venir da me.

BER.

Quand'è così, signora mia garbata,

La prego di una grazia anticipata.

LENA

Che vorreste?

BER.

Vorrei, così per gioco,

La libertà di corbellarla un poco.

LENA

Questa è un'impertinenza.

Me la ricorderò,

Quando governatora un dì sarò.

Tu verrai dinanzi a me

Con rispetto ed umiltà.

Io, burlandomi di te,

Starò lì con gravità.

Mi dirai: «Servo, lustrissima».

«Ti saluto», io ti dirò.

Quella testa ignorantissima

Inchinarsi a me vedrò. «Mi faccia grazia»:

«Grazie non fo».

«Sono a pregarla»:

«Va via di qua».

La Lena, poveretto,

Di te si riderà.

La Lena, a tuo dispetto,

Lustrissima sarà. (parte)

SCENA SECONDA


Berto, poi la Marchesa

BER.                      Questa povera sciocca

Col fuso e colla rocca

A lavorare andrà

E le pecore sue governerà.

Lampridio è un uom ridicolo.

Volea, senza ragione,

Farmi cacciar prigione;

Ma ho fatto il mio ricorso a chi si aspetta,

E fra poco vedrò la mia vendetta.
MAR.                    Berto.

BER.                                Signora mia.

MAR.                                                    Non siete voi

Sindaco della villa?
BER.                                                     Sì, signora.

MAR.                    Ite, con quel ministro

Dalla Corte mandato,

In casa di Lampridio;

E di due testimoni alla presenza,

Intimategli tosto la partenza.
BER.                      Come! è il governator di qua scacciato?

MAR.                    Ei se l'ha meritato.

Un uom che non sa niente,

Posto qui per impegno,

Di governar questo castello è indegno.
BER.                      Brava, brava davvero:

Questa la godo, affé!

Venga, venga con me, signor notaro,

Di burlare la Lena or mi preparo. (parte col Notaro)

SCENA TERZA

La Marchesa sola.

Con ciò non solamente

Vendico i torti e l'onte

Ricevute dal Conte;

Ma svergognando un vile

Che il grado disonora,

Di far pretendo una giustizia ancora.

Venga l'ingrato Che si è scordato Del primo amore, Che questo core Soffrir non sa.

E se pentito - sia quell'ardito, Se pietà chiede, Pietade avrà. (parte)


SCENA QUARTA Lampridio, poi la Lena

LAM.                     Non so che voglia dire.

Tarda il Conte a venire,

E la figliuola mia

Per questa sua tardanza

Dice ch'è un cavalier senza creanza.
LENA                    Signor governatore,

Vi cercano per tutto.
LAM.                                                       E chi mi cerca?

LENA                    Un notaro venuto da Firenze.

LAM.                     Cosa vuole?

LENA                                       Non so.

LAM.                     Quando mi parerà, l'ascolterò.

No carina, mi preme

Che stiam un poco a ragionar insieme.
LENA                    Berto, quel disgraziato,

Testé mi ha corbellato.
LAM.                                                         Quel briccone

Deve andare prigione.

Lo dico e lo professo,

Quando credessi di legarlo io stesso.
LENA                    Ride, quando gli dico

Ch'esser io devo la governatora.
LAM.                     Sì, lo vedranno or ora.

Subito che mia figlia è maritata,

Sarà Lena gentil da me sposata.
LENA                    E mi farete un abito?

LAM.                     Un abito da sposa, come va;

E andremo alla città,

E faremo le nozze in allegria;

E voglio, Lena mia,

Che si balli, si canti e che si suoni.

Voglio per la mia sposa

Invitare un'orchestra strepitosa.

Si ha da ballare, si ha da cantar, Tutti i stromenti si han da sonar. Voglio i violini, voglio i violoni, Il violoncello vuò che si suoni, Voglio il fagotto con l'oboè.

(Dopo il suono di questi strumenti, si sentono i corni da caccia) Questi stromenti non fan per me. Viole e violini fan giubilar: Tutta l'orchestra si ha da sonar. (parte)


SCENA QUINTA

La Lena sola.

Tutto, tutto per me,

Le viole, l'oboè,

I violini, i violoni, il violoncello.

Obbligata vi son, sposino bello. (parte)

SCENA SESTA Il Conte, poi Brigida

CON.                     La Marchesa è tornata;

Meco si mostra irata.

Ha ragion; non dovea trattar così:

La cagion del suo sdegno eccola qui.
BRIG.                    Signor Conte, per dirla,

È poca discrezione

Farmi fare sì lunga aspettazione.
CON.                     Appunto ora veniva

Da voi per congedarmi.
BRIG.                    Congedarvi? Capisco:

Vorrà dir che venite ad isposarmi.
CON.                     Anzi, tutto al contrario,

Vengo a prender congedo.

Prima del partir mio,

Vengo a darvi, vuol dir, l'ultimo addio.
BRIG.                    Come! Voi mi lasciate

Nel burrascoso mar della speranza?

Voi usate con me la tracotanza?
CON.                     Deh, non l'abbiate a sdegno:

Al mio primiero impegno

Esser degg'io costante.

È legato il mio cor da un'altra amante.

BRIG.                            Perfida belva ircana,

Stolida mente insana, No, che trattar non sai. Se lo provaste mai, Ditelo voi per me.

CON.                     Ma di che vi dolete?

BRIG.                    Voi promesso mi avete.

CON.                                                            Non è vero...

BRIG.                    Barbaro, menzognero,

Vendicarmi saprò, ve l'avvertisco.
CON.                     (Debole è di cervel, la compatisco). (da sé)

Non vi sdegnate, Luci vezzose;


Non m'insultate,

Labbra amorose.

Voi siete quella

Che ispira amor,

Ma a un'altra bella

Donato ho il cor. (parte)

SCENA SETTIMA

Brigida, poi Rubiccone

BRIG.

È di me innamorato,

Ma con altra impegnato;

Se sposar non mi può presentemente,

Mi servirà da cavalier servente.

RUB.

Eccomi: il cuore amante

Spingere a voi mi suole,

Come in faccia di Febo il girasole.

BRIG.

Quando siete lontano,

Questo mio cor vi invita,

Come il ferro suol trar la calamita.

RUB.

Potria, se ciò vi preme,

La magnifica forza unirci insieme.

BRIG.

Perché no, mio signore?

RUB.

Se non aveste il cuore

Con un altro impegnato.

BRIG.

D'altro laccio il mio cuore è liberato.

RUB.

Se dispor ne potete,

Via, donatelo a me.

BRIG.

La dea d'amore

Or vi presenta in caustico il mio cuore.

RUB.

Quel cuore in olocausto

A me sagrificato?

BRIG.

Sì, voi siete, signore, il fortunato.

RUB.

Oh Rubiccon felice!

Tanto sperar mi lice?

BRIG.

Per voi coi scherni e l'onte

Ho rifiutato il Conte,

Solo perch'ei non ha

Tanti gradi, qual voi, di nobiltà.

RUB.

Vedrete i feudi miei.

BRIG.

Quanti sono?

RUB.

Son sei.

BRIG.

E il Conte non avea

Altro feudo, il meschin, che una contea.

RUB.

Di nobiltade in casa mia si sguazza.

(Sono tutti i miei feudi un banco in piazza). (da sé)

SCENA OTTAVA


Lampridio e detti.

LAM.

Figlia, figlia.

BRIG.

Signore.

LAM.

Ah, son perduto.

Un notaro è venuto,

E un ordine ha portato

Che dal governo mio mi ha discacciato.

BRIG.

Codesta è un'insolenza.

LAM.

Figlia, vi vuol pazienza;

Andarsene bisogna.

BRIG.

Ah, il rossore mi copre e la vergogna.

LAM.

E voi, signor dottore,

Signor operatore,

Al governo accusato,

Vi han bandito, voi pur, da tutto il stato.

RUB.

A me tal disonore?

Mi han bandito? Perché?

LAM.

Per impostore.

RUB.

Orsù, non vi smarrite;

Ambi meco venite;

Vivremo unitamente

Alle spalle de' gonzi allegramente.

LAM.

Figlia mia, cosa dite?

BRIG.

Signor, cosa pensate?

LAM.

Brigida, in verità,

Le cose anderan male.

Farò quel che farà

La mia collaterale. (parte)

SCENA NONA

Brigida, Rubiccone e poi Berto

RUB.

Risoluzion vi vuole:

Esser vogliono fatti, e non parole.

BRIG.

Siete voi cavalier?

RUB.

Son quel che sono.

BRIG.

Signor, chiedo perdono:

Io non vi vuò, se cavalier non siete.

RUB.

E voi, signora mia, non mangerete.

BRIG.

Ah, destino protervo e sciagurato!

RUB.

Quello ch'è stato è stato.

BRIG.

Tanti titoli vostri

A che mai son ridotti?

RUB.

Sono i miei marchesati i miei cerotti.

Ma con questi si mangia,

Di paese si cangia,

Si va di qua e di là, si gode il mondo.

BRIG.

Povera nobiltade! io mi confondo.


RUB.

Non evvi altro partito.

S'io son vostro marito,

Meco almen vi potrete divertire;

O andare alfin vi converrà a servire.

BRIG.

Io servir?

RUB.

Per la fame

Voi lo farete un dì.

BRIG.

Dunque, quand'è così...

Deh perdonami, Astrea, che far non so.

Dunque, quand'è così, vi sposerò.

RUB.

Se voi mi amate,

Brigida mia,

Deh non abbiate

Malinconia,

Che di buon core

Vi sposerò.

BRIG.

Non so che dire,

Non so che fare,

Convien soffrire,

Dissimulare,

Convien pigliare

Quel che si può.

RUB.

Date la mano.

BRIG.

A un ciarlatano?

RUB.

Dunque restate,

Quand'è così.

BRIG.

Non mi lasciate,

Eccola qui.

a due

Sarà contento

Questo mio core?

Sento che amore

Dice di sì.

BER.

Me ne rallegro

Con lor signori.

Che belli amori!

Che nobiltà!

Reso è d'amore

BRIG.

} adue           LEiqetuoesiltomèioilcfoiorere,

RUB.

Di nobiltà. (Fra di loro stringonsi la mano)

BER.

Sì, miei signori,

Tutto si sa.

Che bel piacere,

Che bel vedere,

Una ragazza

Sopra la piazza

Far riverenze

Di qua e di là!

RUB.

Voi non sapete

Quel che vi dite.

BER.

Quest'è il mio balsamo

Per le ferite.


BRIG.

Brutto villano,

Brutto sguaiato.

BER.

Questa mia polvere

Guarisce il flato.

RUB.

} adue        ImVpaevrtiianednitqeu,a.

BRIG.

BER.

Canta Pagliaccio,

Balla Rosetta.

La furlanetta

Far si vedrà.

RUB.

} adue        TPacair,tivdililaqnuoa,.(tuttipartono)

BRIG.

SCENA DECIMA

La Marchesa ed il Conte

MAR.

Siete davver pentito?

CON.

Idol mio, ve lo giuro.

MAR.

Qual mi date d'amor sicuro segno?

CON.

Ecco la destra in pegno.

MAR.

Ed io l'accetto,

Ma vuò tutto anche il cor.

CON.

Sì, vel prometto.

SCENA UNDICESIMA

Berto, la Lena ed i suddetti.

BER.

No, va via, non ti voglio.

LENA

Berto, per carità.

BER.

Mi domandi pietà?

LENA

Sì, lo confesso,

Sprezzami che hai ragione.

BER.

Via, ti voglio sposar per compassione. (Dà la mano alla Lena)

SCENA ULTIMA Lampridio, Brigida, Rubiccone e detti.

LAM.                     Obbligato, signora,

Del favor che mi ha fatto. (alla Marchesa)
MAR.                     Meritava di peggio un uomo insano.

LAM.                     Vado a far per il mondo il ciarlatano.

CON.                      Degna carica invero

Di un uom come voi siete.
BRIG.                     Povera nobiltà!


LAM.                                             Figlia, tacete.

Poco più, poco meno,

Molti fanno nel mondo un tal mestiero.

Non è vero, signori?
TUTTI                    È vero, è vero.

Vi son nel mondo Tanti impostori, Raggiratori, Pieni d'arcani, Che ciarlatani Si pon chiamar. E del Mercato Rappresentato Qualche prototipo Si può trovar.

Fine del Dramma Giocoso