Il mondo alla roversa

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IL MONDO ALLA ROVERSA

O SIA

LE DONNE CHE COMANDANO

Carlo Goldoni

Dramma Bernesco per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade da rappresentarsi nel Teatro

Tron di S. Cassiano l'Autunno dell'Anno .

PERSONAGGI

RINALDINO

La Sig. Angela Conti detta la Taccarini. CINTIA

La Sig. Serafina Penni. GIACINTO

Il Sig. Girolamo Piani, Virtuoso della Real Cappella di Napoli. TULLIA

La Sig. Agata Sani. AURORA

La Sig. Annunciata Manzi. GRAZIOSINO

Il Sig. Giovanni Leonardi. FERRAMONTE

Il Sig. Anastasio Massa.

La Scena si rappresenta in un'isola degli Antipodi.

LI BALLERINI

La Sig. Margherita Fusi detta la Carrozziera.

La Sig. Giustina Magini detta la Padovana.

La Sig. Geltruda Soavi.

La Sig. Angela Candi.

La Sig. Antonia Guidi.

Il Sig. Gasparo Caccioni.

Il Sig. Gasparo Angelini.

Il Sig. Gaudenzio Beri.

Il Sig. Bcrtolamio Priori.

Il Sig. Gio. Batt. Bedotti.

Li Balli sono di vaga e nova invenzione del sig. Gasparo Caccioni.

Il Vestiario del Sig. Natal Canciani.


MUTAZIONI DI SCENA

ATTO PRIMO

Atrio magnifico, corrispondente alla gran Piazza, ornato di spoglie virili, acquistate in varie guise dalle

accorte Femmine.

Appartamenti nobili del palazzo delle Femmine dominanti.

Luogo magnifico per il Ballo.

ATTO SECONDO

Camera preparata per il femminile Consiglio. Giardino delizioso alla riva del mare, il quale formando un seno nel lido offre comodo sbarco a piccioli

legni.

Camera.

Boscareccia con vedute per il Ballo.

ATTO TERZO

Appartamenti nobili.

Luogo magnifico e delizioso destinato al divertimento delle Donne primarie.

Le Scene sono d'invenzione e direzione del Sig. Domenico Mauro.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all'intorno, acquistate in varie guise dalle accorte Femmine. Termina il cortile con archi maestosi, oltre i quali vedesi la gran Piazza, da dove entrano nel cortile sovra carro

trionfale, tirato da vari uomini:

Tullia, Cintia, Aurora, precedute da Coro di Donne, le quali portano seco delle catene e delle vittoriose insegne. Mentre si canta il Coro, gli Uomini s'incatenano.


TULL. CIN. AUR. CORO

TULL.

AUR.

CIN. CORO


}


Presto, presto, alla catena. Alla usata servitù.

Non fa scorno, e non dà pena,

Volontaria schiavitù.

Ite all'opre servili,

E partite fra voi le cure e i pesi:

Altri alla rocca intesi,

Altri all'ago, altri all'orto o alla cucina,

Dove il nostro comando or vi destina.

Obbedite, servite, e poi sperate,

Ché il regno delle donne

È di speranza pieno;

Se goder non si può, si spera almeno

E chi vive sperando,

Per sua felicità muore cantando.

Presto, presto, alla catena, Alla usata servitù. Non fa scorno, non dà pena, Volontaria schiavitù.

(Partono gli Uomini incatenati, condotti dalle Donne. Le tre suddette scendono dal carro, il quale si fa retrocedere per la parte dond'è venuto.)



TULL.


SCENASECONDA

Tullia, Cintia ed Aurora

Poiché del viril sesso Abbiam noi sottomesso il fiero orgoglio, Tener l'abbiamo incatenato al soglio.


Ma quai credete voi,

Mie fedeli compagne e consigliere,

Fian migliori i progetti,

Gli uomini per tenere a noi soggetti?

CIN.                       Questo nemico sesso,

Di natura superbo ed orgoglioso,

Scuote e lacera il fren, quand'è pietoso.

Col rigor, col disprezzo,

Soglion le scaltre donne

Tener gli uomini avvinti e incatenati.

Se sono innamorati,

Tutto soglion soffrire; e quanto sono

Più sprezzanti le donne e più crudeli,

Essi son più pazienti e più fedeli.

AUR.                     È ver, ma crudeltà consuma amore.

    consiglio migliore
Credo sia il lusingarli;
Finger ognor d'amarli,
Accenderli ben bene a poco a poco,
E poi del lor amor prendersi gioco.

TULL.                    Né troppo crude, né pietose troppo

Essere ci convien, poiché il disprezzo Eccita la pietà soverchio usata; La fierezza è temuta, e non amata. Regoli la prudenza

   femminile impero:
Or clemente, or severo
Il nostro cor si mostri,

Ed il sesso virile a noi si prostri.
CIN.                       Ognun pensi a suo senno; io vuò costoro

Aspramente trattar: voglio vederli Piangere, sospirare, Fremere, delirare; E vuò che dopo un lungo Crudo servire, e amaro, Un leggero piacer mi paghin caro. (parte)

SCENATERZA

Tullia ed Aurora

TULL.                    Aurora, ah non vorrei

Che per troppo voler s'avesse a perdere L'acquistato finor dominio nostro. Donne alfin siamo, e a noi Forza non dié natura Che nei vezzi, nei sguardi e in le parole. Spade e lancie trattar, loriche e scudi,


Non è cosa da noi. Se l'uom si scuote, Val più un braccio di lui che dieci destre Di femmine vezzose e tenerelle, Ch'hanno il loro potere in esser belle.

AUR.                     Tullia, voi, per dir vero,

Saggiamente parlate; e a voi la sorte

Dié sesso femminile,

Ma il senno ed il saper più che virile;

Anzi madre natura

Alla breve statura

Del vostro corpo graziosetto e bello,

Ha supplito con darvi assai cervello.

Indi la madre vostra

Vi dié il nome di Tullia con ragione,

Poiché sembrate un Tullio Cicerone.

TULL.                    Raguniamo il Consiglio.

Facciam che stabilite Sieno leggi migliori, onde si renda Impossibile all'uom scuotere il giogo; Ché se l'uomo ritorna ad esser fiero, Farà strage crudel del nostro impero.

Fiero leon che audace Scorse per l'ampia arena, Soffre la sua catena, E minacciar non sa;

Ma se quei lacci spezza, Ritorna alla fierezza, Stragi facendo ei va. (parte)

SCENA QUARTA

Aurora, poi Graziosino

AUR.                     Che piacer, che diletto

Può recare alla donna il fier rigore?

Il trattar con amore

Gli uomini a noi soggetti

Soffrir li fa la servitude in pace,

E la femmina gode e si compiace.

Io, fra quanti son presi ai lacci nostri,

Amo il mio Graziosino,

Amoroso, fedele e semplicino,

E lo tratto, perché mi adori e apprezzi,

Con soavi parole e dolci vezzi.

Elà, venga qui tosto (esce un Servo)

Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (parte il Servo)

In fatti il poveretto


Merita ch'io gli faccia buona ciera,

Se mi serve e mi fa da cameriera.

Eccolo ch'egli viene. Ehi, Graziosino.

GRAZ.

Signora. (viene facendo le calze)

AUR.

Cosa fate?

GRAZ.

Lavoro in fretta in fretta,

E in tre mesi ho fatt'io mezza calzetta.

AUR.

Lasciate il lavorar. Venite qui.

GRAZ.

Bene, signora sì.

AUR.

Obbedirete sempre i cenni miei?

GRAZ.

Io faccio quello che comanda lei.

AUR.

Caro il mio Graziosino,

Siete tanto bellino

GRAZ.

Mi fate vergognar.

AUR.

Vi voglio bene,

E vederete del mio amore il frutto.

GRAZ.

Queste parole mi consolan tutto.

AUR.

Baciatemi la mano.

GRAZ.

Gnora sì.

AUR.

Perché voi mi piacete,

Vi fo queste finezze.

GRAZ.

Oh benedette sian le mie bellezze!

AUR.

Ma vuò che siate attento

A servirmi, qualora vi comando.

La mattina per tempo

Mi recherete il cioccolato al letto;

Mi scalderete i panni;

Mi dovrete allestir la tavoletta;

Starete in anticamera aspettando

Per entrar il comando;

E se verranno visite a trovarmi,

Voi dovrete avvisarmi,

E come fanno i buoni servitori,

Voi dovrete aspettar e star di fuori.

GRAZ.

Di fuori?

AUR.

Vi s'intende.

GRAZ.

E dentro?

AUR.

Signor no:

Aspettar voi dovrete.

GRAZ.

Aspetterò.

AUR.

Se farete così, vi vorrò bene.

GRAZ.

Sì, cara, farò tutto:

Farò la cameriera,

Farò la cuciniera,

Farò tutte le cose più triviali:

Laverò le scodelle e gli orinali.

AUR.

In cose tanto abbiette

Impiegarvi non vuò. Voi siete alfine

Il mio caro, il mio bello,

Il mio amor tenerello,


Il mio fedele amato Graziosino, Tanto caro al mio cor, tanto bellino.

Quegli occhietti - sì furbetti

M'hanno fatto innamorar.

Quel bocchino - piccinino

Mi fa sempre sospirar. Caro il mio bene,

Dolce mia speme,

Sempre sempre ti voglio amar.

(Ei gode tutto,

E questo è il frutto

Della lusinga:

Ami, o lo finga,

Donna che vuole

L'uomo incantar). (parte)

SCENA QUINTA

Graziosino solo.

Oh che gusto! oh che gusto!

Ah che mi sento

Andar per il contento il cor in brodo.

Graziosin fortunato!

Oh quanto io godo!

Non si può dar nel mondo

Piacer che sia maggiore

D'un corrisposto amore.

Aman le belve,

Amano i sordi pesci, aman gli augelli,

Le pecore e gli agnelli;

Amano i cani e i gatti,

E quei che amar non san, son tutti matti.

Quando gli augelli cantano,

Amor li fa cantar;

E quando i pesci guizzano,

Amor li fa guizzar.

La pecora, la tortora,

La passera, la lodola,

Amor fa giubilar.

Oh che piacer amabile!

Oh che gustoso amar! Farò lo cuoco, farò lo sguattero,

Laverò i piatti, ed ettecetera,

Purché l'amore

Mi faccia il core


Movere, ridere e giubilar. (parte)

SCENA SESTA

Camera.

Giacinto collo specchio in mano, guardandosi con caricatura; poi Cintia

GIAC.                             Madre natura,

Tu m'hai tradito, Ma t'ho schernito Col farmi bello Con il pennello, Come le donne Sogliono far.

Questa parrucca in vero,

Questo capel, che colla polve è intriso,

Fa risaltar mirabilmente il viso.

Al raggirar di queste

Mie vezzose pupille,

Spargo fiamme e faville; e questa bocca,

Che sembra agli occhi miei graziosa e bella,

Fa tutte innamorar quando favella.

Queste donne son tutte

Invaghite di me; schiavo son io

Di queste belle, è vero,

Ma sovra il loro cor tutt'ho l'impero.

Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,

Il nastro, la parrucca, i guanti, tutto,

Tutto assettar conviene; e gli occhi e il labbro,

Colle dolci parole e i dolci sguardi,

Si prepari a vibrar saette e dardi.
CIN.                       (Ecco il bell'amorino). (ironicamente)

GIAC.                    Mia sovrana, mio nume, a voi m'inchino.

CIN.                       E ben, che fate qui?

GIAC.                                                   Qual farfalletta

D'intorno al vostro lume

Vengo, mia bella, a incenerir le piume.
CIN.                       Parmi con più ragione

Vi potreste chiamare un farfallone.
GIAC.                    Quella vezzosa bocca

Non pronuncia che grazie e bizzarrie.
CIN.                       La vostra non sa dir che scioccherie.

GIAC.                    Deh lasciate ch'io possa

Coll'odoroso fiato

De' miei caldi sospiri


Quelle belle incensar guancie adorate.
CIN.                       Andate via di qui, non mi seccate.

GIAC.                    Ah, se sdegnate, o bella,

I fumi del mio cor, porterò altrove

II mio guardo, il mio piede,

Il mio affetto sincero e la mia fede.
CIN.                       Olà, così si parla?

Voi staccarvi da me? Voi d'altra donna

Servo, schiavo ed amante?

Temerario, arrogante!

Voi dovete soffrir le mie catene.
GIAC.                    Qual mercede averò?

CIN.                                                        Tormenti e pene.

GIAC.                    Giove, Pluton, Nettuno,

Dei tremendi e possenti,

Voi che udite gli accenti

D'una donna spietata,

Spezzate voi questa catena ingrata.

Sì, sì, Nettun m'inspira,

Giove mi dà valore,

Pluto mi dà furore;

Perfida tirannia,

Umilmente m'inchino, e vado via.
CIN.                       Fermatevi: ed avrete

Tanto cor di lasciarmi?

Voi diceste d'amarmi,

Di servirmi fedel con tutto il core;

Ed ora mi lasciate? Ah traditore!
GIAC.                    Ma se voi mi sprezzate;

Se voi mi dileggiate

Come s'io fossi un uom zotico e vile,

E studio invan di comparir gentile!
CIN.                       Senza studiar, voi siete

Abbastanza gentil, grazioso e bello.

Quell'occhio bricconcello,

Quel vezzoso bocchin, quel bel visetto,

M'hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
GIAC.                    Dunque, cara, mi amate?

CIN.                                                             Sì, v'adoro.

GIAC.                    Idol mio, mio tesoro,

Lingua non ho bastante

Per render grazie al vostro dolce amore.

Concedete il favore

Che rispettosamente

E umilissimamente

Io vi possa baciar la bella mano.
CIN.                       Oh, signor no; voi lo sperate invano.

GIAC.                    Ma perché mai? Perché?

CIN.                       Queste grazie da me

Non si han sì facilmente.


GIAC.

Io morirò.

CIN.

Non me n'importa niente.

GIAC.

Dunque, se non v'importa,

D'altra bella sarò.

CIN.

Voi siete mio.

GIAC.

Che ne volete far?

CIN.

Quel che vogl'io.

GIAC.

Ah, quel dolce rigor più m'incatena!

Soffrirò la mia pena,

Morirò, schiatterò, se lo bramate:

Basta, bell'idol mio, che voi mi amiate.

In quel volto siede un nume,

Che fa strage del mio cor;

In quegli occhi veggo un lume,

Che mi fa sperare amor.

E frattanto vivo in pianto,

Ed un uomo sì ben fatto

Contrafatto morirà?

Se adorata esser volete,

Ecco qui, v'adorerò; (s'inginocchia)

Se al mio core non credete,

Idol mio, vel mostrerò.

Ma crudele, oh Dio! non siate,

Ed abbiate almen pietà. (parte)

SCENA SETTIMA

Cintia, poi Tullia

CIN.                      Oh quanto mi fan ridere

Con questo sospirar, con questo piangere.

Gli uomini non s'avveggono

Che, quanto più le pregano,

Le donne insuperbite più diventano,

E gli amanti per gioco allor tormentano.
TULL.                   Cintia, che mai faceste

Al povero Giacinto? Egli sospira,

Egli smania e delira.

Ah, se così farete,

L'impero di quel cor voi perderete.
CIN.                      Anzi più facilmente

Lo perderei colla pietade e i vezzi.

Gli uomini sono avvezzi,

Per la soverchia nostra

Facilità del sesso,

A saziarsi di tutto, e cambiar spesso.


Se gli uomini sospirano, Che cosa importa a me? Che piangano, che crepino, Ma vuò che stiano lì. Anch'essi, se potessero, Con noi farian così.

Laddove delle femmine Il regno ancor non v'è, La tirannia dei perfidi Pur troppo s'infierì; Ed or di quelle misere Vendetta si fa qui. (parte)

SCENA OTTAVA Tullia, poi Rinaldino

TULL.                    Ma io, per dir il vero,

Sono di cor più tenero di lei.

Son con gli amanti miei

Quanto basta severa ed orgogliosa;

Ma son, quando fia d'uopo, anco pietosa.

Talor fingo il rigore,

Freno di lor l'affetto e la baldanza,

Fra il timore li tengo e la speranza.

RIN.                       Tullia, bell'idol mio,

De' vostri servi il più fedel son io.

Deh, oziosa non lasciate

La mia fede, il mio zelo,

Ché sol quando per voi, bella, m'adopro,

Felicità nel mio destino io scopro.

TULL.                    Dite il ver, Rinaldino:

Siete pentito ancor d'avervi reso Suddito e servo mio? Vi pesa e incresce Della smarrita libertà primiera? Sembravi la catena aspra e severa?

RIN.                       Oh dolcissimi nodi,

Sospirati, voluti e cari sempre Al mio tenero cor! Sudino pure Sotto l'elmo i guerrieri; Astrea tormenti I seguaci del Foro; e di Galeno Sui fogli mal intesi Studi e s'affanni il fisico impostore. Io, seguace d'amore, Fuor della turba insana Di chi mena sua vita in duri stenti, Godo, vostra mercé, pace e contenti.


TULL.                    Noi con pietà trattiamo

I vassalli ed i servi, e non crudeli

Siamo coll'uom qual colla donna è l'uomo.

Noi dai Consigli escluse,

Non compagne dell'uom, ma serve e schiave,

Solo ad opre servili

Condannate dal vostro ingrato sesso,

Far per noi si dovria con voi lo stesso.

Ma nostra autorità, nostro rigore,

Temprerà dolce amore,

Ed il vostro servir che non sia grave,

Sarà grato per noi, per voi soave.

Cari lacci, amate pene D'un fedele amante core, Che ha saputo al dio d'amore Consacrar la libertà;

S'è vicino al caro bene, Non risente il suo tormento, Ma ripieno di contento, Il destin lodando va. (parte)

SCENA NONA

Rinaldino solo.

Dov'è, dov'è chi dice

Che dura ed aspra sia

D'amor la prigionia? Finché un amante

Vive dubbioso e incerto

Fra il dovere e l'amor, fra il dolce e il giusto,

Pace intera non ha; ma poiché tutto

S'abbandona al piacer, gode e non sente

I rimorsi del cor... Ma oh Dio! pur troppo
Li risento al mio sen, malgrado al cieco
Abbandono di me fatto al diletto,

E mi sgrida l'onore a mio dispetto.

Ah! che farò? Si studi,

Se possibile sia, scacciar dal cuore

II residuo fatal del mio rossore.

Gioie care, un cuor dubbioso

Inondate di piacer,

E trionfi un bel goder

Dileguando il rio timor. Benché sempre l'amoroso

Duro laccio

È un impaccio,


Non diletto al nostro cor. (parte)

SCENA DECIMA

Giacinto ed Aurora

GIAC.

Oh Diana mia gentil!

AUR.

Vago Atteone!

GIAC.

Piacemi il paragone,

Poiché son vostro amante e vostro servo.

Ma oimè, che Atteone è diventato un cervo.

AUR.

Io crudele non son qual fu la dea.

GIAC.

Né io sarò immodesto

Qual fu il pastor dolente.

AUR.

Siete bello e prudente.

GIAC.

Tutta vostra bontà.

AUR.

Giacinto, in verità

Voi mi piacete assai.

GIAC.

Arder tutto mi sento ai vostri rai.

SCENA UNDICESIMA

Cintia e detti.

CIN.

(Con Aurora Giacinto?) (da sé)

AUR.

Ma voi di Cintia siete.

GIAC.

Più di lei mi piacete.

Parmi che il vostro bello

Mi renda assai più snello.

Miratemi nel volto, a poco a poco,

Come per vostro amor son tutto foco.

CIN.

Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole

Il foco ad ammorzar.

GIAC.

O Cintia mia,

Ardo d'amor per voi.

CIN.

Ingannarmi non puoi;

Ho le parole tue tutte ascoltate.

GIAC.

Deh, mia vita...

CIN.

E saranno bastonate.

GIAC.

Bastonate a un par mio?

Deh, Aurora, a voi

L'onor mio raccomando.

AUR.

Siete schiavo di Cintia, io non comando.

CIN.

E voi, gentil signora,

Vi dilettate di rapire altrui

Il vassallo e l'amante?


AUR.

Faccio quello ancor io che fanno tante.

CIN.

Ma con me nol farete.

AUR.

Allor che sappia

Di darvi gelosia,

Voi dovrete tremar dell'arte mia.

CIN.

Distrutto in questa guisa

Nostro impero sarà.

AUR.

Poco m'importa:

Pria che ceder al vostro

Fasto superbo e altero,

Vada tutto sossopra il nostro impero.

CIN.

Giacinto, andiam.

GIAC.

Vengo.

AUR.

Crudel, voi dunque

Mi lasciate così?

GIAC.

Ma se conviene...

CIN.

Si viene o non si viene?

GIAC.

Eccomi lesto.

AUR.

Morirò, se partite.

GIAC.

Eccomi, io resto.

CIN.

Venite, o ch'io vi faccio

Provare il mio furor.

AUR.

Ingrato, crudelaccio

Voi mi strappate il cor.

GIAC.

(Mi trovo nell'impaccio

Fra amore e fra timor).

CIN.

Voi siete il servo mio.

GIAC.

È vero, sì signora.

AUR.

Amante vi son io.

GIAC.

Anco il mio cor v'adora.

CIN.

Voglio essere obbedita.

GIAC.

Ed io v'obbedirò.

AUR.

Non merto esser tradita.

GIAC.

Io non vi tradirò.

CIN. AUR.

} a due        E ben, che risolvete?

GIAC.

Mie belle, se volete,

Io mi dividerò.

Contente voi sarete,

Non dubitate, no.

CIN.

} adue        DAiqdueassnootnorvniepròar.tite,

AUR.

GIAC.

Contente voi sarete,

Non dubitate, no. (partono le due Donne)

Quest'è un imbroglio;

No, più non voglio

Farmi sì bello.

Perde il cervello

Chi mi rimira,


Ognun sospira

Per mia beltà.

CIN.

AUR.        } a due           Ecco ritorno, eccomi qua.

GIAC.

Belle mie stelle,

Chiedo pietà.

AUR.

Questo è il mio core (gli presenta un cuore)

Per voi piagato.

CIN.

Questo è un bastone (gli mostra un bastone)

Per voi serbato.

GIAC.

Son imbrogliato.

AUR.

Se lo bramate,

Ve lo darò.

CIN.

Di bastonate

V'accopperò.

GIAC.

(L'una, ti dono;

L'altra, bastono.

Quella il furore;

Questa l'amore.

Cosa farò?)

CIN.

AUR.        } a due           Via, risolvete.

GIAC.

Risolverò.

La vostra tirannia (a Cintia)

Piacere non mi dà.

La vostra cortesia (ad Aurora)

Contento più mi fa.

AUR.

Venite dunque meco.

GIAC.

Con voi mi porterò.

CIN.

Briccon, se parti seco,

Io ti bastonerò.

GIAC.

Da voi le bastonate,

Da lei gli amplessi avrò.

CIN.

Indegno, scellerato,

Io mi vendicherò.

GIAC.

(Gridate, strepitate).

AUR.

(Intanto goderò).


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Camera preparata per il femminile Consiglio.

Tullia, Cintia, Aurora. Seguito di Donne.

CORO                             Libertà, libertà;

Cara, cara libertà.

Bel piacere,

Bel godere,

Che diletto al cor mi dà.

Libertà, libertà;

Cara, cara libertà. (tutte siedono)

TULL.                    La dolce libertà che noi godiamo,

Conservare si dee; ma per serbarla, Da tre cose guardar noi ci dobbiamo: Da troppa tirannia, Dalla incostanza e dalla gelosia. Il tirannico impero poco dura; Ciascun fuggir procura Da un incostante cuore; E sdegno fa di gelosia il furore. Onde, perché si serbi La cara libertà che noi godiamo, Fide, caute, pietose esser dobbiamo.

CORO                             Libertà, libertà;

Cara, cara libertà.

Bel piacere,

Bel godere,

Che diletto al cor mi dà.

Libertà, libertà;

Cara, cara libertà.

AUR.                     Incostanza non chiamo

Se acquistar più vassalli io cerco e bramo.

Nostro poter, nostra beltà risplende

Quando più adoratori

Ci recano in tributo i loro cuori.

E se libere siamo,

Libere amar possiam chi noi vogliamo.


CORO                             Libertà, libertà;

Cara, cara libertà.

CIN.                      Ma usurpar non si deve

I dritti altrui. Ma colle smorfie e i vezzi Gli uomini non si fanno cascar morti Per far alle compagne insulti e torti. Faccia ognuna a suo senno; Ognuna si conduca come vuole, Finché la libertà goder si puole.

CORO

Libertà, libertà;

Cara, cara libertà.

TULL.

Il diverso parer che nelle varie

Nostre menti risulta,

Pensar mi fa che utile più saria

Introdurre fra noi la monarchia.

D'una sola il governo

Far si potrebbe eterno, e in questa guisa,

Se una femmina sola impera e regge,

Tutti avranno a osservar la stessa legge.

CIN.

Non mi spiace il pensier; ma chi di noi

Esser fatta potria

A sostener la nuova monarchia?

TULL.

Quella ch'ha più giudizio,

Quella ch'ha più consiglio,

Che sa con più prudenza

Il rigor porre in uso e la clemenza.

AUR.

L'impero si conviene

A femmina che sappia

Con dolci di pietà soavi frutti

In catene tener gli uomini tutti.

CIN.

Anzi a colei che fiera

Sul femminile soglio

Degli uomini frenar sappia l'orgoglio.

TULL.

Facciam così: ciascuna

Si proponga di noi; ciascuna ai voti

Il proprio nome esponga, e il trono eccelso

Indi a quella si dia

Che dai voti maggiori eletta sia.

CIN.

Io l'accordo.

AUR.

Io l'accetto.

TULL.

A noi si porga

L'urna e i lupini; ed io, poiché la prima

Fui a proporre il nobile progetto,

Prima m'espongo, e i vostri voti aspetto.

(Le Donne ballottano, e poi si apre il bossolo)

CORO

Non so se meglio sia


Per noi la monarchia, O pur la libertà.

CIN.                      Tullia, mi spiace assai.

Ora il pensier comun vi sarà noto:

Voi non avete avuto neanche un voto.
TULL.                   Ingratissime donne,

L'invidia è il vostro nume,

E la vana ambizion vostro costume.
AUR.                     Or si esponga il mio nome,

E vederete come

Meglio stimata io sia

In virtù della dolce cortesia. (ballottano per Aurora)

CORO

Non so se meglio sia

Per noi la monarchia,

O pur la libertà.

CIN.

Oimè, signora Aurora,

M'incresce il vostro duolo:

Voi non avete neanche un voto solo.

AUR.

Comprendo la malizia

Per cui fatta mi vien questa ingiustizia.

CIN.

Presto, presto, finiamola;

Vuò ballottare anch'io.

(Questa volta senz'altro il regno è mio). (ballottano per Cintia)

CORO

Non so se meglio sia

Per noi la monarchia,

O pur la libertà.

AUR.

Signora Cintia cara,

Per voi non si dà voto:

Il bossolo del sì per voi è vuoto.

CIN.

Femmine sconsigliate,

È un torto manifesto che mi fate.

CORO

Libertà, libertà;

Cara, cara libertà.

TULL.

Per quello che si vede e che si sente,

Niuna donna acconsente

All'altra star soggetta;

A ognuna piace il comandar sovrano,

E soggiogarle si procura invano.

AUR.

(Procurerò con l'arte

Il dominio ottenere).

CIN.

(A lor dispetto

Il regno occuperò).

TULL.

(Con l'arte usata,


Senza mostrar orgoglio,

Giungerò forse ad occupar il soglio).

Or si sciolga il Consiglio:

Vada ciascuna a esercitar l'impero

Sopra i vassalli suoi,

E libero il regnar resti fra noi.

CORO                             Libertà, libertà;

Cara, cara libertà. Bel piacere, Bel godere,

Che diletto al cor mi dà. Libertà, libertà; Cara, cara libertà. (tutte partono, fuorché Tullia)

SCENA SECONDA

Tullia sola.

Com'è possibil mai

Che possiamo regnar noi donne unite,

Se la pace voltar ci suole il tergo

Quando siamo due donne in un albergo?

Prevedo che non molto

Questo debba durar dominio nostro:

Ma pria ch'ei ci sia tolto,

Vorrei un giorno solo

Assoluta regnar. Ah, questa sete

Di comandar è naturale in noi,

E ogni donna ha nel capo i grilli suoi.

Fra tutti gli affetti

D'amore e di sdegno

L'affetto del regno

Prevale nel cuore;

La brama d'onore

Frenar non si può. Avere soggetti

Quegli uomini alteri

Che soglion severi

Le donne trattar,

Diletto bramar

Maggiore non so. (parte)

SCENA TERZA


Giardino delizioso alla riva del mare, il quale formando un seno nel lido offre comodo sbarco ai piccoli

legni.

Rinaldino, poi Giacinto, poi Graziosino

RIN.                                Queste rose porporine

Ch'ho raccolte pel mio bene,

Sono tutte senza spine,

Come senz'amare pene

È l'affetto ch'ho nel sen.
GIAC.                             Questo vago gelsomino

Che al mio ben io reco in dono,

Candidetto com'io sono,

Semplicetto, tenerino,

S'assomiglia al mio bel cor.
GRAZ.                            Questo caro tulipano

Vuò donarlo alla mia bella;

Qualche cosa ancora ella

Forse un dì mi donerà.
a tre                                 Vaghi fiori,

Dolci amori,

Bella mia felicità.

SCENA QUARTA Vedesi dal mare accostarsi una barca ripiena d'Uomini.

RIN.                      Osservate, compagni, ecco un naviglio

Che verso noi s'avanza.

Mirate sulla prora i naviganti

Volontari venir schiavi ed amanti.
GIAC.                   Il regno delle donne

È circondato dalla calamita,

Che l'uomo di lontan tira ed invita.
GRAZ.                  E questa calamita

Non è già una opinione,

Ma ogni donna ne tien la sua porzione.

a tre                                   A terra, a terra,

Qui non vi è guerra,

Ma sempre pace

Goder si può.

(Dalla barca si ode un concerto d'oboè e corni da caccia, mentre

approdano i Naviganti, e gettano il ponte per scendere.)


SCENA QUINTA

Aurora, Cintia e le Donne tutte, armate di strali ed aste, corrono alla riva per arrestare i Naviganti. Ne l'uscire di dette Donne s'ode dall'orchestra il suono di timpani e trombe che fa tacere

il concerto della barca.

CIN.                       Olà, voi che venite

A questi del piacer lidi felici,

Dite: venite amici, ovver nemici? (dalla prora della barca)
FERR.                    Amici, amici siamo.

Da voi, belle, veniamo

A domandar favori,

A servire e goder de' vostri amori.
CIN.                       Quand'è così, scendete;

E voi, donne, arrestateli,

E senza discrezione imprigionateli.

(Sbarcano Ferramonte e tutti i Naviganti; e frattanto si suona

alternativamente nella barca e nella orchestra.)
AUR.                     (Più che s'accresce il regno,

Più in me cresce il desio di regnar sola).
CIN.                       Spiacemi che fra noi

Questi bei giovinotti

Divider ci conviene.

Se sola regnerò, starò più bene.

CORO

In cui cantano anco Giacinto e Graziosino

Presto, presto, alla catena, Alla nuova servitù: Non fa scorno e non dà pena Volontaria schiavitù. (Partono tutti, fuorché Rinaldino e Ferramonte.)

SCENA SESTA

Rinaldino e Ferramonte

FERR.

Amico, vi son schiavo.

RIN.

E voi non siete

Fra le donne partito?

FERR.

Anzi nascosto

Quindi mi son per non andar con loro,

Mentre la libertade è un gran tesoro.

RIN.

Questo tesor l'abbiam sagrificato

Alla legge fatal del dio bendato.

FERR.

Dunque voi siete quelli


Che il cuor sagrificate ai visi belli!

Misera gioventù, misera gente,

Nata per divertirsi e non far niente!
RIN.                       Impiegati noi siamo

Nell'amar, nel servir le nostre belle.
FERR.                    Bell'impiego da eroi,

Bell'impiego davver, degno di voi!

E non vi vergognate? E non sapete

Che le donne son tutte,

Sian belle o siano brutte,

Crude tiranne, e fiere,

Nostre nemiche altere;

E che l'uomo tener vinto ed oppresso

È il trionfo maggior del loro sesso?
RIN.                       Ma non può dirsi inganno

Di donna la beltà.
FERR.                    Anzi è una falsità

Quel volto che innamora,

Che si liscia, s'imbianca e si colora.
RIN.                       E le dolci parole?

FERR.                                                 Son lusinghe

Che scaltramente incantano;

E le femmine poi di ciò si vantano.
RIN.                       E i bei vezzi? E gli amplessi?

FERR.                    Con quei bei vezzi istessi,

Col riso accorto e scaltro,

Cento soglion tradir un dopo l'altro.
RIN.                       Ma il mio cor non consente

Il suo bene lasciare.
FERR.                                                   Il vostro cuore

Orbato, affascinato,

Incantato, ammaliato,

Se a me voi baderete,

Dalla catena vi discioglierete.

Quando le donne parlano, Io lor non credo affé. Se piangono, se ridono, Lo stesso è ognor per me. Io so che sempre fingono; Che fede in lor non v'è.

Lo so che siete amico Voi delle donne assai, Ma quello ch'io vi dico Pur troppo lo provai; E se dir ver volete, Direte così è. (parte)


SCENA SETTIMA

Rinaldino solo.

Ah pur troppo egli è ver! Parole e sguardi,

Che rendono gli amanti

Schiavi della beltà, son tutt'incanti.

Ma come, oh Dio! ma come

Scioglier potrei dal cuore

L'amorosa catena?

La libertà mi sembrerebbe or pena.

Quando un cor si compiace

Dell'amorosa face,

Sì facile non è mirarla spenta;

Liberarsene affatto invan si tenta.

Nocchier che s'abbandona In seno al mare infido, Quando lo brama, al lido Sempre tornar non può.

Nel pelago amoroso Resta l'amante assorto, Né più ritrova il porto, Da dove si staccò. (parte)

SCENA OTTAVA

Camera.

Cintia con spada in mano, poi Giacinto

CIN.                       La vogliamo vedere. O regnar voglio,

O di tutte le donne è fritto il soglio.

Aut Caesar, aut nihil.

Non mi posso veder compagne intorno,

Che senza il merto mio

Vogliano comandar come fo io.

Ecco Giacinto: o deve

Seguir il mio disegno,

O sarà il primo a sostener mio sdegno.
GIAC.                    Cintia, mio amor, mio nume,

Suora di Citerea,

Mia sovrana, mia dea,

Eccomi tutto vostro:

Vi domando perdono, e a voi mi prostro.
CIN.                       E ben, siete pentito

D'avermi disgustata?
GIAC.                    Mia bellezza adorata,


Tanto pentimmi, e tanto,

Ch'ho lavata la colpa in mar di pianto.

CIN.

Mi amate voi?

GIAC.

Vi adoro.

CIN.

Siete mio?

GIAC.

Vostro sono.

CIN.

Ogni errore passato io vi perdono.

GIAC.

Oh cara! Oh me contento!

Balzar il cor per il piacer mi sento.

CIN.

Ditemi, come state

Di coraggio e bravura?

GIAC.

La gran madre natura

M'ha fatto l'alto onore

Di donarmi un bel volto ed un gran core.

CIN.

Mi piace il paragone.

(S'è bravo com'è bel, sarà un poltrone).

GIAC.

Su, parlate, esponete,

Comandate, imponete:

Armato a' vostri cenni il braccio mio,

Svenerà, se fia d'uopo, il cieco dio.

CIN.

L'impresa che a voi chiedo,

Difficile non è.

GIAC.

Nulla è difficile

A un cuor ch'è tutto facile.

CIN.

Prendete questa spada.

GIAC.

Ecco, l'accetto;

Mi passerò, se lo bramate, il petto.

CIN.

Or di sangue virile io non ho sete.

Voi uccider dovete,

In questa città nostra,

Cento donne, e non più, per parte vostra.

GIAC.

Come! donne svenar?

CIN.

Se voi ciò fate,

Mio sposo alfin sarete,

E meco regnerete; e quando mai

Ricusaste obbedir il mio precetto,

Vi passerò con questa spada il petto.

GIAC.

Eh signora, signora,

Per dirla, non vorrei morire ancora.

CIN.

Dunque che risolvete?

GIAC.

Ci penserò.

CIN.

Dovete

Risolver tosto. O delle donne il sangue,

O rimaner per le mie mani esangue.

GIAC.

Piuttosto che morire,

Con pena io vi rispondo:

Tutte le donne ammazzerò del mondo.

CIN.

Badate non tradir.

GIAC.

Ve n'assicuro.

CIN.

Giurate.


GIAC.

Sulla mia beltà lo giuro.

CIN.

Se sarete fedele,

Se voi m'obbedirete,

Credete a me, non ve ne pentirete.

Che cosa son le donne,

Più o meno già si sa.

Ma un certo non so che

Mi par d'aver in me

Che più vi piacerà;

E questa è la mia fede,

La mia sincerità.

La grazia e la bellezza

Si puol equiparar:

Ma quel che più s'apprezza,

Che stentasi a trovar,

È un cuore come il mio,

Che fingere non sa. (parte)

SCENA NONA

Giacinto, poi Aurora

GIAC.

Esser dovrò crudele

Per piacer al mio ben? Sì, sì, si faccia;

Si svenino, si uccidino

Queste nemiche femmine.

Ma piano, per mia fé:

Se uccidessero poi le donne me?

Vorrei, e non vorrei;

Sono fra il sì ed il no.

Penserò, studierò, risolverò.

AUR.

(Come? Giacinto armato?)

GIAC.

(Ecco la prima, a cui

Dovrò ferir il seno:

Ah! che, se la rimiro, io vengo meno).

AUR.

(Parla fra sé. Pavento

Di qualche tradimento).

GIAC.

(Orsù, vi vuol coraggio:

Con un colpo improvviso

L'ucciderò senza mirarla in viso).

AUR.

Giacinto.

GIAC.

(Ah bella voce!)

AUR.

Che fate voi?

GIAC.

Non so.

AUR.

Mi volete svenar?

GIAC.

Signora no.

AUR.

Che fate di quel brando?


GIAC.

Son un novello imitator d'Orlando.

AUR.

Datelo a me.

GIAC.

Non posso.

AUR.

E perché mai?

GIAC.

Perché... nol posso dir... perché giurai.

AUR.

Ah crudele, ah spietato,

Ah sconoscente, ingrato!

Vi conosco, v'intendo.

Forse di Cintia per gradir l'affetto,

Mi volete cacciar la spada in petto.

GIAC.

Oh Dio!

AUR.

Via, traditore:

Se avete tanto core,

Trafiggetemi pure; eccovi il seno.

GIAC.

Ahi, che non posso più; già vengo meno.

(gli cade la spada di mano)

AUR.

Or questa spada è mia. (la prende)

GIAC.

Pietà, per cortesia.

AUR.

Cosa meritereste?

GIAC.

Chiedo la vita in dono.

AUR.

Caro il mio Giacintino, io vi perdono.

Basta sol che mi dite

Chi vi dié questa spada, ed a qual fine.

GIAC.

Nol posso dire.

AUR.

Ingrato!

Io vi dono la vita,

E un leggero favor voi mi negate?

Voi volete che io mora.

GIAC.

Ah no, fermate.

Tutto, tutto dirò: Cintia volea...

AUR.

Basta così: la rea

Cintia sola sarà: voi, tutto amore,

Siete bello di volto, e bel di core.

GIAC.

Ah, non merto da voi

Della vostra bontà sì belli effetti.

Io son mortificato.

Sono... non so che dir: son incantato.

Al bello delle femmine

Resistere chi può?

Io non lo posso, no.

Mi sento il sangue movere,

Mi sento il core struggere;

Mi si conquassa il solido,

Mi bolle tutto l'umido,

Resistere non so.

Le tigri barbare,

Gli orsi fierissimi

Si arrenderebbero,

Quando vedessero


Quel volto amabile Che senza strepito Mi disarmò. (parte)

SCENA DECIMA Aurora, poi Graziosino

AUR.

Dunque Cintia garbata,

Superba, indiavolata,

Per desio di regnar volea bel bello

Delle misere donne far macello?

L'invidia, l'ambizione e l'avarizia

Faran precipitare il nostro regno,

E abbiam per sostenerlo poco ingegno.

Ma giacch'ella volea

Questa spada mirar nel seno mio,

Voglio provar anch'io di far lo stesso:

La vendetta è comune al nostro sesso.

Ecco il mio Graziosino;

Ei che m'ama davvero,

Sarà l'esecutor del mio pensiero.

GRAZ.

Ma io, Aurora cara,

Ma io non posso più. Se spesso spesso

Io non vi vederò,

Credetemi, davvero io creperò.

AUR.

Eh, Graziosino mio, siamo traditi.

Vedete questa spada?

GRAZ.

Sì, la vedo. (con timore)

AUR.

Questa spada dovea passarmi il petto;

Ma il ciel benigno e pio

Serbato ha il viver mio da tal disgrazia.

GRAZ.

Signora mia, con vostra buona grazia. (in atto di partire)

AUR.

Come! voi mi lasciate?

GRAZ.

Vi dirò; perdonate:

Allor ch'io sento favellar di morte,

Il cuor mi batte in seno forte forte.

AUR.

Ah misera ch'io sono!

Amo un ingrato: che per me non sente

Né timor, né pietà. Cintia ha trovato

Chi volea secondar il suo disegno;

Ed io di giusto sdegno

Accesa vanamente e invendicata

Rimanere dovrò? Son disperata.

GRAZ.

Ma cosa dovrei far?

AUR.

Con questa spada

Passar a Cintia il petto.

GRAZ.

E non altro?


AUR.

Non altro.

Alfin non è gran cosa,

Per un uomo, ammazzar femmina imbelle.

GRAZ.

Queste, lo dico anch'io, son bagattelle.

AUR.

Dunque avete risolto?

GRAZ.

Non lo so.

AUR.

Risolvere convien.

GRAZ.

Risolverò.

AUR.

Perché non accettate

Questo impegno a drittura?

GRAZ.

Perché, a dirla, ho un pochino di paura.

AUR.

Paura d'una donna?

GRAZ.

L'ho provata,

E so cos'è la femmina arrabbiata.

AUR.

Dunque, se non volete,

Pazienza vi vorrà. Cercar dovrò

Uno che non mi sappia dir di no.

GRAZ.

Cara, venite qui.

Anch'io dirò di sì.

AUR.

Ma lo farete poi?

GRAZ.

Tutto farò quel che volete voi.

AUR.

Tenete questa spada.

GRAZ.

Sì, la tengo.

AUR.

E quando Cintia viene...?

GRAZ.

E quando viene?...

AUR.

Cacciargliela nel seno...

GRAZ.

Bene, bene.

AUR.

Lo farete?

GRAZ.

Il farò.

AUR.

E poi m'ingannerete.

GRAZ.

Gnora no.

AUR.

Averete coraggio?

GRAZ.

Come un Marte.

AUR.

Caro il mio Graziosino!

Voi sarete il mio Marte!

GRAZ.

Anzi Martino.

AUR.

Quando vien la mia nemica,

Dite tosto: «Ah! che t'uccido ».

Così fece il dio Cupido

Che per voi mi ferì il cor.

Se pietà per lei provate,

Rammentate l'amor mio,

E pensate che son io

Che vi desta in sen furor. (parte)

SCENA UNDICESIMA


Graziosino solo.

Sono in un bell'imbroglio!

Non so cosa mi far. Se vil mi rendo,

La mia diletta offendo;

E se mostro bravura,

La mia poltroneria scopro a drittura.

Ma qui vi vuol coraggio.

Finalmente una donna

Non mi può far timore.

Graziosin, ora è tempo: animo e core.

Son di coraggio armato,

Tutto son furibondo,

E venga tutto il mondo,

Ch'io lo trafiggerò. Ma se la donna bella

Pietosa mi favella?

Io non l'ascolterò.

E s'ella mi minaccia?

Timore non avrò.

E se mi dà in la faccia?

Allor me n'anderò. Io mostrerò bravura

Sintanto che potrò;

Ma quando avrò paura,

Allora fuggirò. (parte)

SCENA DODICESIMA Cintia e Giacinto, poi Aurora e Graziosino

CIN.

Dov'è, dov'è la spada?

GIAC.

Signora, per pietà...

CIN.

Perfido, indegno,

Proverete il mio sdegno.

GIAC.

Sì, uccidetemi:

Morirò, se la morte mia bramate;

Ma a me la crudeltà non comandate.

CIN.

Dov'è la spada mia?

GIAC.

Io l'ho gettata via.

CIN.

Per qual ragione?

GIAC.

Perché mi fan le donne compassione.

CIN.

È questa la promessa

Che voi faceste a me?

GIAC.

Questo mio cor professa

A voi costanza e fé.


CIN.

Ma dov'è la mia spada?

GIAC.

Ahi, che crudel comando!

CIN.

Andate, ch'io vi mando,

Ma ben di tutto cor.

(Escono da lontano Aurora e Graziosino con la spada in mano)

AUR.

Ecco la mia nemica.

GRAZ.

(Son qui pien di valor).

AUR.

Non fate che più il dica.

GRAZ.

(Ah! che mi trema il cor).

CIN.

Mendace.

GIAC.

Fermate.

AUR.

(Via presto). (a Graziosino)

GRAZ.

(Aspettate). (ad Aurora)

CIN.

Ciarlone.

GIAC.

Pietà.

AUR.

Poltrone.

GRAZ.

Son qua.

a quattro

Mi sento nel petto

Dispetto e furor.

AUR.

Feritela. (a Graziosino)

GRAZ.

Ah! (tira un colpo a Cintia)

GIAC.

Fermatevi. (a Graziosino)

GRAZ.

Ah! (tira un altro colpo)

CIN.

Giacinto, pietà.

GIAC.

Qual sdegno, qual ira,

Qual furia v'inspira?

CIN.

Che cosa ho fatt'io?

AUR.

Feritela.

GRAZ.

Ah!

GIAC.

Fermatevi.

GRAZ.

Ah!

CIN.

Tu sei un'indegna.

AUR.

Sei tu maledetta.

a due

Vendetta, vendetta,

Vuò contro di te.

AUR.

Feritela.

GRAZ.

Ah!

GIAC.

Fermatevi.

GRAZ.

Ah!

CIN.

Ah perfido!

GRAZ.

Ah!

AUR.

A tempo migliore

Vendetta farò.

a quattro

Fermate, sentite:

Frenarmi non so.

Vendetta, vendetta;

Vendetta farò.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera.

Rinaldino in abito da guerriero, e Ferramonte

RIN.                      Al lume di ragion conosco e vedo

Delle donne gl'inganni, e l'error mio.

Voi, Ferramonte, aveste

Forza e valor bastante

Co' vostri saggi detti

Di farmi vergognar de' tristi affetti.

Eccomi ritornato

Uomo, qual fui, nelle primiere spoglie,

Pien d'eroici pensieri e caute voglie.
FERR.                   Possibile che abbiate

Tanto tempo servito a queste maghe?

Le femmine, sian brutte o siano vaghe,

Hanno a servire a noi,

E servito che ci han, si lascian poi.
RIN.                      I vezzi e le lusinghe

Troppo han di forza sovra il nostro cuore.
FERR.                   Questo ceto di donne traditore

Avrà finito il gioco.

Per invidia fra lor si son sdegnate,

E si son da se stesse rovinate.

SCENA SECONDA

Tullia e detti.

TULL.

Ahimè! chi mi soccorre?

RIN.

Ah Tullia mia!

FERR.

(Amico, state forte). (piano a Rinaldino)

TULL.

Vogliono la mia morte.

RIN.

E chi è che vi minaccia?

FERR.

(Non la mirate in faccia). (come sopra)

TULL.

Le donne invidiose,

Superbe ed orgogliose,

Per il desio d'occupar sole il regno,

Ardono fra di lor d'ira e di sdegno.


RIN.

Ah! voi pietà mi fate.

FERR.

(Rinaldin, non cascate).

TULL.

A voi mi raccomando:

Deh, voi mi difendete.

FERR.

(Forti, non le credete).

TULL.

Deh, non mi abbandonate.

FERR.

(Forti, non le badate).

RIN.

(La devo abbandonare?)

FERR.

(Un'altra volta vi vorrà ingannare).

RIN.

Tullia, che pretendete?

TULL.

Esser a voi soggetta,

Rinunziar del comando

Ogni ragione a voi.

RIN.

Che far degg'io? (a Ferramonte)

FERR.

(Prendetela in parola). (a Rinaldino)

RIN.

Idolo mio, venite; a questa legge

Nuovamente v'accetto.

TULL.

Amor e fedeltà io vi prometto.

Fino ch'io viva, vi adorerò,

Costante e fida per voi sarò;

Ed un bel regno,

Di me più degno,

Nel vostro core trovar saprò.

Più non m'accieca vano desio.

Arder vogl'io

Di quella face che m'infiammò. (parte)

SCENA TERZA

Rinaldino e Ferramonte

FERR.                   Io rido come un pazzo

A veder queste femmine umiliate Venir con un pochino di vergogna, Come le cagnoline di Bologna.

RIN.                      Amo Tullia, e se posso

Sperar d'averla in preda Senza far onta al mio viril decoro, Acquistato il mio core avrà un tesoro.

FERR.                   Sì, ma badate bene

Che poi, a poco a poco,

Non vi faccia la donna un brutto gioco.

Le donne col cervello La sogliono studiar. Principiano bel bello Coi vezzi ad incantar;


E quando l'uomo han preso, E quando l'hanno acceso, Si gonfiano, S'inalzano, E voglion comandar. (parte)

SCENA QUARTA

Rinaldino solo.

Il periglio passato

Cauto mi ha reso, e colla donna accorta

Cieco più non sarò. Tullia per altro

Non è delle più scaltre;

Che se tal fosse stata,

Questa spada serbata io non avrei

Per troncare con questa i lacci miei.

Onde amarla poss'io senza timore

Che ingannare mi voglia il di lei cuore.

Chi troppo ad amor crede

Si vede ad ingannar;

Ma il sempre dubitar

Tormento è assai maggior.

Del caro mio Cupido

Mi fido, - e vivo in pace;

E se sarà mendace,

Lo scaccerò dal cor. (parte)

SCENA QUINTA

Aurora e Graziosino

GRAZ.

Non ne vuò più sapere.

AUR.

Io son perduta,

Se voi mi abbandonate.

GRAZ.

Siete femmine tutte indiavolate.

AUR.

Il regno delle donne

Distruggendo si va.

GRAZ.

Causa la vostra troppa vanità.

AUR.

Ma voi mi lascierete

Al furore degli uomini in balìa?

GRAZ.

Io sono schiavo di vossignoria.

AUR.

Graziosino, pietà.

GRAZ.

(Mi sento muovere).

AUR.

Abbiate compassione.


GRAZ.

(Mi si scalda il polmone).

AUR.

Se volete ch'io mora, morirò.

GRAZ.

Ah, se voi morirete, io creperò.

AUR.

Dunque...

GRAZ.

Dunque son vostro.

AUR.

Mi salverete voi?

GRAZ.

Vi salverò.

AUR.

E mi amerete poi?

GRAZ.

Sì, v'amerò.

AUR.

Che bel regnar contenta

Nel cuor del caro bene,

E senza amare pene

Godere e giubilar!

Noi donne siamo nate

Per esser onorate,

Ma non per comandar. (parte)

SCENA SESTA

Graziosino, poi Cintia

GRAZ.

Colui di Ferramonte

M'ha consigliato ad essere crudele;

Ma se una donna poi gli andasse appresso,

Come un poltrone cascherebbe anch'esso.

CIN.

Lupi, tigri, leoni,

Gattipardi, pantere, orsi e mastini

Mi sento a divorar negl'intestini.

GRAZ.

Ecco qui un altro imbroglio.

CIN.

Fermate, è mio quel soglio:

Io vi voglio salir. Ma Giove irato

Mi fulmina e precipita,

E la terra mi affoga, e il mar mi accoppa.

Ahimè, mi danno un maglio sulla coppa.

GRAZ.

Questa è pazza davvero.

CIN.

Buon giorno, cavaliero.

GRAZ.

Schiavo, padrona mia.

CIN.

Andate col malan che il ciel vi dia.

GRAZ.

(Ha perduto il cervello).

CIN.

Perfido, tu sei quello

Che vuol rapirmi il trono?

Vattene, o ti bastono.

GRAZ.

Io non so nulla.

CIN.                                  Il capo mi frulla,

La testa sen va. La la laranlella,


La lan laranlà.

GRAZ.

Quando in capo alle donne

Entran di dominar le frenesie,

Si vedono da lor mille pazzie.

CIN.

Olà, tu sei mio schiavo.

GRAZ.

Sì, signora.

CIN.

Accostati.

GRAZ.

Son qui.

CIN.

Vanne in malora.

GRAZ.

La femmina tradir non può l'usanza,

E anche pazza mantiene l'incostanza.

CIN.

Olà, suddito altero

Del mio sovrano impero,

Mi conosci, briccon, sai tu chi sono?

Inginocchiati al trono;

Giurami fedeltà con obbedienza:

Abbassa il capo e fammi riverenza.

GRAZ.

Eh via, che siete pazza.

CIN.

Ah temerario,

Così parli con me?

Giurami fedeltade a tuo dispetto,

O ch'io ti caccio questo stile in petto.

GRAZ.

Piano, piano, son qui: tutto farò.

CIN.

Giurami fedeltà.

GRAZ.

La giurerò.

Giuro... signora sì.

Ma cosa ho da giurar?

Giuro... (che via di qui

Procurerò d'andar).

Fermate: giuro, giuro

Servirvi, obbedirvi,

Piacervi, vedervi,

Amarvi, onorarvi.

E irvi, ervi, arvi,

Con tutta fedeltà. (parte)

SCENA SETTIMA

Cintia, poi Giacinto

CIN.

Ah, ch'è un piacer soave

Della donna tener gli uomini sotto.

Ma oimè, veggo distrutta

Questa nostra grand'opra;

E gli uomini vuon star a noi di sopra.

GIAC.

Viva il sesso virile;


La schiatta femminile

Con tutti i grilli suoi

Finalmente ha da star soggetta a noi.

CIN.

Giacinto.

GIAC.

Che bramate?

CIN.

Voglio che voi mi amiate.

GIAC.

Questo voglio

A voi, signora, non sta bene in bocca,

Perché alle donne comandar non tocca.

CIN.

Ma voi siete mio schiavo.

GIAC.

Schiavo fui,

È ver, della bellezza;

Ma veggo alfin che la bellezza nostra

È assai migliore, e val più della vostra.

CIN.

Dunque voi mi lasciate?

GIAC.

Se l'amor mio bramate,

Pregatemi, umiliatevi;

Abbassate l'orgoglio, e inginocchiatevi.

CIN.

E così vil sarò?

GIAC.

Più non sperate

Amor da me, né ch'altri amar vi voglia,

Se negate di usar questa obbedienza.

CIN.

Farlo mi converrà per non star senza.

Eccomi al vostro piede

Pietade a domandar.

GIAC.

Impari, chi la vede,

Le donne ad umiliar.

CIN.

Ma troppo vil son io.

GIAC.

Se non volete, addio.

CIN.

Fermate.

GIAC.

Voglio andar.

CIN.

Via, caro Giacintino, (s'inginocchia)

Tornatemi ad amar.

GIAC.

Il sesso femminino

Si venga ad ispecchiar.

CIN.

Ma questo mai non fia.

GIAC.

Bondì a vossignoria.

CIN.

Fermatevi.

GIAC.

Pregatemi.

CIN.

Oimè, che crudeltà!

GIAC.

Rispetto ed umiltà.

CIN.

Caro il mio bambolo,

Per carità.

GIAC.

Mi sento movere

Tutto a pietà.

a due

Visetto amabile,

Siete adorabile;

Il mio cuor tenero

Vi adorerà. (partono)


SCENA ULTIMA Luogo delizioso e magnifico destinato per piacevole trattenimento delle Femmine dominanti.

TUTTI

CORO DI

Pietà, pietà di noi,

DONNE

Voi siete tanti eroi;

Pietà di noi, pietà.

RIN.

Se cedete l'impero,

Se a noi voi vi arrendete,

Pietà nel nostro cor ritroverete.

TULL.

Tutto io cedo, e m'arrendo,

E la pietà dal vostro core attendo.

CORO DI

Pietà, pietà di noi,

DONNE

Voi siete tanti eroi;

Pietà di noi, pietà.

AUR.

Graziosino, son vostra.

GRAZ.

Ed io vi accetterò,

Vi terrò, v'amerò, vi sposerò.

CIN.

E voi, Giacinto mio,

Cosa di me farete?

GIAC.

Quel che di voi farò, lo sentirete.

FERR.

Lode al ciel, finalmente s'è veduto

Che il Mondo alla roversa

Durare non potea;

E che da se medesime

In rovina si mandano

Le donne superbette che comandano.

CORO DI DONNE

Pietà, pietà di noi,

Voi siete tanti eroi;

Pietà di noi, pietà.

CORO D'UOMINI

Pietà voi troverete

Allorché abbasserete

La vostra vanità.

TUTTI


Le donne che comandano E il Mondo alla roversa Che mai non durerà.

Fine del Dramma.